A little taste of happiness

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    Ethan
    Huxley
    Ethan era felice.
    Non lo diceva ad alta voce, in realtà non lo ammetteva neanche a sé stesso, avviluppando quella piccola scintilla di gioia in un bozzolo di ansie e paure, quasi potesse spegnersi da un momento all’altro, eppure con la speranza potesse dare inizio a un vero e proprio incendio, accendendo una miccia qualunque, la prima che capitava a tiro, dandogli così modo di poter esplodere. Probabilmente avrebbe fatto danno, non ne sarebbe uscito illeso ma… avrebbe cambiato qualcosa, anche se soltanto la minima parte di un disegno troppo grande da poter comprendere, come un quadro visto da troppo vicino per poter scorgerne i dettagli, focalizzando l’attenzione sulle piccole pennellate, meri accenni di colore.
    Ad essere del tutto onesti, l’Huxley era terrorizzato: l’ultima volta che si era sentito così leggero era finita, letteralmente, in tragedia. Gli elementi dell’equazione erano pur sempre gli stessi e c’erano ferite che, a distanza di sei/sette anni non si erano ancora rimarginate. Tuttavia, non poteva fare a meno di alimentare di nascosto quella piccola speranza, di provare a credere che i rapporti potessero tornare ad essere civili o, meglio, che fossero effettivamente sulla strada che avrebbe portato a una tregua.
    Si accontentava di poco l’ex Grifondoro, perché aveva imparato troppo presto i significati dietro le parole perdita, dolore, rimpianto, odio e sofferenza, perché sapeva che ogni momento che la vita gli concedeva era prezioso, che non poteva, né doveva, dar nulla per scontato. Era un’anima buona l’addestratore di draghi e questo le creature magiche lo avevano sempre fiutato: mai un gesto brusco, mai uno sguardo spaventato, mai un tono sgarbato o un’espressione di disgusto. Fin da bambino si era trovato a suo agio tra gli animali, mosso sia da una curiosità tutta infantile di scoprire il mondo – e meravigliarsi di esso –, che da uno spiccato spirito avventuriero che lo aveva portato a immaginare gli scenari più disparati. Poi era cresciuto e quella curiosità si era trasformata in amore, con una spiccata predilezione per i draghi e per il loro universo, fatto di leggende e tante, tante, scottature. Era arrivato ad adottarne uno, a fare da balia a un esemplare nano, fino a ponderare l’idea che non era poi così male vivere costantemente col brivido che la casa potesse andare a fuoco. Aveva bisogno di compagnia e quella delle sue bestioline era la più semplice da gestire: avevano solo bisogno di cibo, di spazi sconfinati, di libertà e di qualcuno che si prendesse cura di loro, qualcuno da cui tornare.
    Tutto questo per dire che non era poi così nuovo agli imprinting con gli animali, quello che lo aveva sorpreso – e meravigliato e reso veramente euforico – era che proprio il corgie di Holden, Sherlock, lo avesse preso in simpatia. Ok, ciò che lo aveva leggermente sconvolto era proprio l’idea che il Collins avesse un cane o che fosse in grado di badare a un'altra creatura vivente (da quello che ricordava, già a Hogwarts era solito sotterrarsi sotto pile di libri nei periodi di studio e aveva la sensazione che anche in ambito lavorativo si lasciasse assorbire dalle scadenze, tralasciando tutto il resto), ma non aveva avuto modo, né lo avrebbe fatto, di esprimere ad alta voce le sue preoccupazioni.
    Dal suo compleanno, aveva iniziato a vedere Holden un pochino di più, a portare dei regalini per Sherlock, a prender parte, in maniera del tutto marginale, a una routine già collaudata fatta di passeggiatine e visite al parco. Come già detto, Ethan si accontentava di quella manciata di minuti passati insieme al maggiore e al suo cucciolo, senza pretendere null’altro, senza mai approfondire troppo alcuni aspetti che, inevitabilmente, lo avrebbero portato ad ammettere verità ancora troppo scomode. Per questo motivo, quando scartò il secondo pacchettino che il giornalista gli aveva regalato a Natale, fu sull’orlo delle lacrime. Così felice da non riuscire a ricordare l’ultima volta che si era sentito in quel modo – no, non è vero, la ricordava benissimo -. Aveva girato e rigirato il collarino tra le dita, il suo personalissimo guinzaglio per portare a spasso Sherlock quando più ne aveva voglia, un permesso che non avrebbe mai potuto chiedere e che non avrebbe mai potuto pensare gli sarebbe stato concesso. Un regalo così inaspettato da bloccarlo per diversi minuti, se non giorni, costringendolo quasi a farsi spazio in un’altra vita, in due altre vite.
    Aveva iniziato col presentarsi due volte a settimana, poi a includere almeno il weekend e, in poco meno di un mese, aveva reso la sua passeggiatina con Sherlock un appuntamento quasi quotidiano cui non poteva mancare. Non quando sapeva che il piccolo corgie lo aspettava scodinzolante – e sculettante – dietro la porta d’ingresso, non quando poteva viziarlo un pochino, lontano dagli occhi vigili di Holden. Se non fosse che adorava troppo Sherlock e aveva troppa paura di una punizione da parte del Collins – e per non far andare quel bellissimo regalo sprecato -, avrebbe permesso al cucciolo di scorrazzare libero al suo fianco, senza alcuna restrizione, certo che non si sarebbe allontanato troppo, né che avrebbe accelerato troppo il passo o provocato altre creature nel parco. Tuttavia, Holden era un padre apprensivo e non gliene poteva far certo una colpa.
    “Chi è il cucciolo più bello del mondo?” chiosò piegandosi per prendere il frisbee che Sherly gli aveva appena riportato, poggiando le mani a coppa attorno al muso dell’animale per premiarlo con dei grattini dietro le orecchie. “Chi?” Continuò coccolandolo prima di alzarsi nuovamente per lanciare l’oggetto lontano e far fare un po’ di movimento al cagnolino che rischiava di impigrirsi come il suo padrone. Non prese la mira, era abbastanza convinto fosse in una zona del parco non troppo frequentata, e lanciò nuovamente il frisbee, tenendo ben salda tra le mani la maniglia della pettorina, convinto che non avrebbe dato fastidio o colpito nessuno… o forse no.
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    Role libera.
    Scusate il pippone ma l'ho aperta un po' a caso e solo perché il regalo di Holden doveva essere ostentato perché lo ha reso davvero felice contento
     
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    «ehi - »
    «no»
    Bells sorrise, entrambi i gomiti a reggere il peso del proprio corpo mentre, come una lucertola, assorbiva i pigri raggi del sole che quel pomeriggio aveva deciso di graziarli. Abbassò d’un pelo gli occhiali dalle lenti scure, osservando da sotto fitte ciglia brune l’ennesimo caso umano del giorno che aveva pensato il trovarla da sola, fosse un invito a farle compagnia. Se Arabells Dallaire avesse voluto qualcuno con cui passare quel pomeriggio, l’avrebbe avuto, indipendentemente da quanto i due ingrati dei suoi migliori amici giocassero sempre la noiosa carta del lavoro. Aveva Phoebe; aveva il suo piccolo tirocinante da addestrare alla società; un Elwyn a cui restaurare l’immagine; aveva Piz, e Delith, e la maggior parte delle sue compagne di squadra (non Abbie. Odiava, Abbie). Nel suo tempo libero, aveva anche un fratello ed il resto dei suoi amichetti, comprendendo con essi il vario parentame con cui cercava, quando si annoiava parecchio, di creare un legame: Amos, Jericho, Jane. Semplicemente, capitava che malgrado fosse un animale sociale, volesse starsene per i cazzi suoi senza nessuno con cui fare convenevoli. Staccava la batteria sociale prima di uscire di casa, mostrando la sua vera natura fastidiosa al resto dell’universo.
    C’era più d’un motivo se avesse tante conoscenze, e pochi amici.
    Non c’era nulla che non andasse nella vita di Bells: aveva il lavoro che aveva desiderato sin da bambina, quando le era stato precluso; la fama che si era sempre meritata e guadagnata; un investimento nel quale credeva ogni giorno più di quello prima; aveva amici che la adoravano, una famiglia allargata che la amava, e neanche un’increspatura in vista a minacciare il suo idilliaco lieto inizio - un po’ troppo giovane per la fine, e non era emo come il ritrovato Baudelaire. Era felice? Non lo sapeva. Era facile riconoscere di essere tristi, smarriti, confusi e senza un obiettivo, ma più complicato rispondere a quella domanda. Se il giorno dopo fosse successo qualcosa di terribile, probabilmente , avrebbe detto di essere stata felice, ma senza il suo opposto non sapeva come riconoscere quella sensazione di apparente calma piatta.
    Ne era un po’ terrorizzata.
    I suoi amici non sparivano da anni. Suo fratello non aveva più causato problemi, fossero essi la sua morte, ricadute nel vortice dell’alcool, o nuove amnesie. Nessuna guerra che la demandasse come protagonista, o le portasse via un altro pezzo di famiglia. Era quasi… snervante, non doversi preoccupare di ogni fiato tirato o trattenuto. Innaturale. Viveva con la costante sensazione che qualcosa di brutto stesse per succedere, senza avvisaglie, e pur essendo il genere di persona che viveva il momento approfittando di quella bolla di pace, non poteva fare a meno di domandarsi cosa sarebbe accaduto l’indomani. La quiete non si prendeva mai troppe pause dal caos, e l’incognita poteva risultare eccitante quanto orribile.
    Magari si sarebbe trattato di un effetto farfalla.
    Magari quell’individuo che la osservava dall’alto con un cipiglio severo e pronunciato, sarebbe stato l’inizio della sua fine. Nel dubbio, Bells continuò a sorridere senza l’ombra di una preoccupazione al mondo.
    «ma non ho neanche -»
    «no.» ribadì, premendo di nuovo gli occhiali alla radice del naso. Non congedò lo sconosciuto con un cenno della mano, preferendo rimanere a fissarlo fino a che non avesse colto il piuttosto ovvio suggerimento di andarsene. Si divertiva con poco, e quello era un esperimento sociale utile quanto tanti altri. Alcuni le chiedevano scusa imbarazzati, altri si arrabbiavano, e poco importava che fossero lì per Bells, o per la Cercatrice delle Arpie: volevano entrambi la stessa cosa – attenzioni. Essere una figura pubblica non implicava che dovesse sempre essere affabile e concedere il possibile, ed una ragazza da sola in un parco non avrebbe dovuto suggerire che la solitudine fosse forzata e non voluta. Sentiva di avere tutto il diritto di fare un po’ la «stronza», comme on dit.
    Colse un movimento con la coda dell’occhio. Il più infimo, banale, degli spostamenti, ma abbastanza da attirare l’attenzione della mora, addestrata a fidarsi della propria vista periferica alla ricerca del boccino. Arricciò lievemente il naso. Spostò il peso da un lato del corpo, alzando un braccio per indicare al giovane di avvicinarsi.
    Di più. Di più.
    E quello lo fece, pensando cercasse rogna e pronto a dargliene.
    Bells gli rivolse il genere di sorriso che avrebbe dovuto dipingersi solo sulle labbra degli amanti, lontano da occhi indiscreti ed in spazi contenuti. «parfait» ed il frisbee lo colpì sulla nuca. Afferrò il dischetto in plastica prima che potesse toccare il suolo, stringendolo appena fra indice e medio prima di premerlo sul palmo, sorridendo estasiata mentre quello le rivolgeva complimenti e lusinghe che quasi la fecero arrossire. Mentre quello si allontanava, ancora mugugnando fra sé, Bells gli soffiò un bacio ed «rifacciamolo, qualche volta!» a cui l’altro rispose facendole il gesto dell’ombrello.
    Era: felice.
    E lo fu ancor di più quando vide la salsiccia con le zampe correre nella sua direzione ai duecento all’ora permessi dalla fisica solo ai cani piccoli, la lingua a rimbalzare a ritmo con i passetti. Posò il frisbee a pochi passi dai propri piedi, così che il cagnetto potesse riprenderlo; magari era diffidente, e dalle sue mani non l’avrebbe preso. Poteva anche essere un po’ stronza con le persone, ma mai con gli animali.
    (Con le bestie si: ciao cata)
    Quando pensava che la sua giornata non potesse che migliorare, vide da chi fosse accompagnato il Corgi, ed alzò le mani salutando allegra Ethan Huxley, invitandolo ad avvicinarsi. «mini elwyn!» batteria ricaricata, Bells era di nuovo in modalità socievole (non necessariamente simpatica, attenzione). «sicuro di non essere interessato al quidditch? Quello sarebbe stato un tiro preciso fra gli anelli. Posso mettere una buona parola per te con Piz. Magari scorre nella famiglia, l’attitudine alle parrucche» ammiccò divertita, stringendosi nelle spalle. La mela non cadeva mai lontana dall’albero, no?
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    Ethan
    Huxley
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    No, non c’era margine per provare altro il quel brevissimo lasso di tempo intercorso tra il momento in cui il frisbee aveva lasciato le sue dita, quello in cui Sherlock era balzato sculettante in avanti e, soprattutto, l’attimo in cui l’Huxley aveva realizzato che il gioco fosse diretto sulla testa di qualcuno.
    Ora, era ben consapevole che il suo cognome era spesso associato a risse, scandali, uscite inappropriate e scoppi d’ira ma… lui era quello buono, capite? Il fratello dall’indole pacifica, che evitava gli scontri come fossero vaiolo del drago, quello che era sempre disposto a fare un passo in dietro pur di raggiungere un compromesso. Ethan era tenace, più che testardo, e aveva la capacità di scegliere le battaglie per cui lottare, evitando così di saltare da un dramma all’altro, di fare inutilmente sangue acido e, soprattutto, non aveva il dono di stare sul cazzo a tutti non appena apriva bocca. Quella, a dirla tutta, era una specialità di Elwyn e lui era ben felice di non aver sviluppato quel particolare superpotere.
    Per questo motivo, soltanto l’idea che potesse essere la causa di un bernoccolo non lo entusiasmava. Che la potenziale vittima fosse Arabells Dallaire lo entusiasmava ancor meno.
    Aveva una sorta di irrazionale timore reverenziale nei confronti della mora che si portava dietro più o meno dai tempi della scuola. Ok, era 4? 5? Anni più grande della Corvonero, ma era pur sempre la sorella di Elijah!, il suo vecchio Capitano! Metti che poi andava a raccontare al fratello che era stato lui a farle un occhio nero??? A rovinare così tutti i bei ricordi che avevano costruito insieme??? Ah ah ah jokes on him, il maggiore dei Dallaire aveva subito un memory reset di cui lui non era a conoscenza.
    A parte questo, tirò un sospiro di sollievo mentre correva, sbracciandosi, in direzione di Bells, sperando di attirare la sua attenzione per evitare l’impatto ma, a dirla tutta, l’illuminazione della ragazza era stata sublime.
    “Oh, meno male!” sospirò rallentando appena, mentre dava corda alla pettorina di Sherlock per dargli la possibilità di spaziare senza limiti, avvicinandosi comunque alla panchina dove stava la giocatrice delle Arpie, oltre che per recuperare la scampata arma del delitto, anche per salutarla. A differenza di qualcun altro di sua conoscenza, era stato ben educato dai suoi genitori. Peccato che si fermò quasi in prossimità della meta, le mani portate sui fianchi e l’espressione priva di qualsivoglia emozione.
    Guardò alle sue spalle, sperando quasi di vedere la versione ridotta di suo fratello sgambettare nella loro direzione, ma niente, Arabells ce l’aveva proprio con lui. Insulto peggiore non poteva esserci, ma almeno aveva smorzato con il mini, questo perché neanche impegnandosi avrebbe potuto raggiungere i livelli di inadeguatezza del maggiore degli Huxley. Se gli fosse mai passato uno sgarbo subito dal maggiore? Assolutamente no. Quegli anni lontani non avevano fatto altro che dargli la possibilità di continuare a rimuginarci sopra.
    “Arabells!” Un po’ si era pentito non l’avesse colpita in testa col frisbee, ma tant’è! “Che bello rivederti!” e lo pensava davvero, soprattutto quando Sherlock iniziò ad annusare scodinzolando le caviglie della giocatrice delle Arpie, valutando se fosse il caso o meno di farsi coccolare anche da lei.
    “Solo se posso tenermi la mia barba.” Commentò con una risata, sapendo esattamente a cosa si stesse riferendo la ragazza, era stato 7 anni in Romania, ma le notizie giravano comunque. “Credo che Piz non sia così disperato da rivolermi come portiere, ma qualora dovesse servire e dovesse avanzarvi una parrucca, sapete dove trovarmi!” Possibilmente, lontano dai guai, dato che l’ultima volta che aveva visto Morley era stato all’Amortenzia e il suo ex capitano, Holden e, ovviamente, Elwyn avevano quasi deciso di girarla a rissa.
    “Non so davvero come tu faccia a gestirli entrambi, davvero.” Era ammirato e anche un po’ spaventato dalla ex Corvonero. “Ok che non devi farlo contemporaneamente ma… che coraggio!” Aveva già una solida carriera come giocatrice di Quidditch, cosa l’aveva spinta a mettersi in affari con l’acerrimo nemico del suo allenatore? A prescindere dal fatto che Elwyn meritasse un capitolo a parte.
    “Come stai? Vieni spesso qui?” Domandò sinceramente interessato. Non era uscito spesso da quando era tornato, se non per accompagnare Sherlock al parco. “Non vedo Elijah da una vita! Sta bene?” Continuò chinandosi a prendere il frisbee e a porgerlo alla ragazza.
    “A te l’onore.”
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    Come Joey, Willow, e Perses nei confronti di Julian, Arabells spense brevemente il sole di Ethan. Vide il momento esatto in cui l’altro rimpianse tutto, ed offrì un sorriso amichevole e del tutto innocente all’addestratore di draghi. Era una delle sue specialità, quelle. Poco importava (qualche volta. Quel giorno, era una di quelle) non lo facesse con malizia, qualche raggio doveva comunque assopirlo per poter tollerare la restante illuminazione. Per anni aveva dovuto compensare Elijah, e Bells prendeva sul serio i propri doveri di sorella minore. Si chinò in avanti per offrire il palmo al cagnetto, così che potesse annusarla e decidere cosa farne di lei. Gli animali tendevano a volerle bene, vedi Jeremy ed Arci - ed era ricambiato, sempre. Quel musino umido… gli occhietti lucidi…. Il pelo soffice come quello di un pupazzo….. baby (e sì, valeva anche per i cata). «Solo se posso tenermi la mia barba.» Offrì parte del sorriso donato al corgi anche al golden retriever in piedi al suo fianco, osservandolo di sottecchi con una punta di divertimento. «certo. Donna barbuta, sempre piaciuta» si strinse nelle spalle, grattando il cagnolino dietro le orecchie. «Credo che Piz non sia così disperato da rivolermi come portiere, ma qualora dovesse servire e dovesse avanzarvi una parrucca, sapete dove trovarmi!» Stella. Oh, stella. Che Bells avesse fallito, e si fosse messa in affari con l’Huxley sbagliato? Ethan aveva già guadagnato più punti in quei pochi minuti di quanti ne avesse guadagnato Elwyn da… beh, sempre. Purtroppo per la Dallaire, aveva un soft spot per i casi umani, e l’ex giocatore delle Arpie era il presidente e membro onorario del club disadattati.
    Senza contare che Arabells Dallaire non fallisse mai.
    Mannaggia. Chissà quand’era successo che non fosse più un grande scherzo esilarante, e si fosse realmente affezionata a Elwyn come persona. La beffa era a lei, a quanto pareva. «sopravvaluti piz. E non tentarmi, mon beau, la parrucca si trova» un ghigno scivolò liquido sulle labbra sottili della francese, la mano a picchiettare sulla panchina al proprio fianco invitandolo ad accomodarsi. «non so davvero come tu faccia a gestirli entrambi, davvero. Ok che non devi farlo contemporaneamente ma… che coraggio!» Rise, perché non era la prima persona a domandarselo. I giornalisti in particolare sembravano intrigati dal peculiare rapporto di Arabells con due fra i più famosi giocatori della loro annata, affascinati da come un’Arpia, poi, potesse aver scelto di iniziare un business con un traditore, fraudolento e bugiardo. «grazie. mi annoio facilmente» ammise con un sorriso, come fosse una grande verità. Per ovvie ragioni, non poteva esserlo, ma era un po’ presto per dirgli che dovesse sempre essere impegnata in qualcosa, anche più grande di lei, per non perdere senno e lucidità. Una volta c’erano i suoi migliori amici a toglierle quel peso sulle spalle, ma… erano cresciuti. Non avrebbe mai smesso di aver bisogno di loro, e viceversa, però crescere aveva inevitabilmente diviso le loro strade, dato altri pesi ed altre spalle su cui poggiarsi, e non sempre potevano condividerli fra loro. Non come facevano un tempo, quand’erano contro tutti. «e mi piacciono le sfide. Mai letto le mie interviste? rude» gli fece l’occhiolino, soffiando sulle unghie per lucidarle sul tessuto della maglietta. Potevano anche esserci pareri diversi sulla Dallaire, ma su una cosa sembravano tutti concordi: il suo spirito competitivo andava di pari passo al mettersi costantemente in gioco. Non sapeva dire no ad un confronto, di qualsivoglia genere esso fosse.
    E non sapeva perdere.
    «Come stai? Vieni spesso qui?» Rise, perché si conosceva abbastanza da sapere fosse divertente, l’idea che andasse spesso nei parchi pubblici. Preferiva la notte al giorno, le feste ai picnic – insomma, era quel genere di persona. «nah, dipende dai giorni. E tutto» fin troppo «okay, non particolarmente entusiasta all’idea di tornare alla policy anti droga e alcool di piz, ma me ne farò una ragione» ovverosia, avrebbe trovato l’ennesimo modo per aggirare le regole del More senza compromettere il campionato. Almeno quel dettaglio, poteva ammetterlo pubblicamente anche a chi, come Ethan, avrebbe potuto correre un secondo dopo dai giornalisti e spifferare tutto. Non le sembrava il tipo da una mossa simile, ma non si sapeva mai, e con la cautela ci pagava le bollette e gli adorabili vestiti che indossava. Inoltre, non credeva che l’Huxley fosse particolarmente interessato al dramma di uno spogliatoio tutto al femminile. Nella sua vita, Arabells aveva avuto poche girl friends, e si vedeva. Qualcuna le piaceva davvero (e perché proprio Chelsey ♥) ma con altre, convivere era sempre stato… delicato. Offriva loro la versione diplomatica e approcciabile che regalava al resto del mondo, puramente lavorativa. Giocare le faceva dimenticare con quante testate volesse colpirle, e se lo faceva andare bene.
    «Non vedo Elijah da una vita! Sta bene?» Trattenne un sorriso stringendo le labbra fra i denti, perché quel una vita metaforico di Ethan, era letterale per Eli. Proprio un’intera esistenza. Qualche anno prima, avrebbe evitato quella domanda con l’ennesima scrollata di spalle, ma aveva deciso da tempo che fosse oramai acqua passata – e che i segreti di suo fratello, non fossero più solo suoi. Aveva spezzato il cuore di troppe persone, spezzando anche il suo, perché Bells gli concedesse ancora di farlo. «ha avuto… un’amnesia. E difficoltà di adattamento» (l’alcolismo, ma non erano affari dell’Huxley) recitò meccanica, ma con un sorriso genuino nel prendere il frisbee dalle mani del biondo. Come la guardava speranzoso, il corgino, quasi avesse tra le mani il destino del mondo.
    Bravo Holden, una cosa buona l’hai fatta. Bells era già innamorata. Sciolse i muscoli delle braccia, prese la mira (...lontano dalle persone, giuro) ed approfittò dell’assenza di vento per cercare di lanciare il dischetto il più lontano possibile all’interno della safe zone facilmente raggiungibile in qualunque momento. «ma ora? Una bomba» morse il labbro impedendosi di ridere per quella squallida, ma ormai divertente, battuta interiore. La bomba… il capanno… quand’era morto, capita? Troppo divertente.
    Comunque.
    «te come stai? Non ti ho mai visto al sub» neanche all’inaugurazione, perché era troppo presa dalle persone che realmente le interessavano (scusa ethan, un bacino) per il family drama del suo socio. «non sei un fan dell’arte? Abbiamo dei quadri davvero...pazzeschi» e perché proprio quelli che suo fratello dipingeva con il pene.

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    Ethan
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    Vide tutto a rallentatore, l’Huxley, come fosse spettatore di un film che, al contempo, poteva essere comico e l’inizio di un horror. Sgranò gli occhi mentre man mano prendeva consapevolezza di quello che stava per accadere, della traiettoria del frisbee, di Sherlock che era diventato un bullet train impazzito, dell’impatto con la nuca dello sconosciuto.
    Ecco, in quel momento, si sentì quasi incentivato a scavare una buca nel parco e seppellirsi per la vergogna. Non sapeva cosa fare, cosa dire. Lui che aveva sempre le scuse pronte, si sentì un attimo paralizzato da quello che accadde dopo l’impatto.
    Era pronto alle urla e agli insulti, era pronto ai gestacci ma… indirizzati verso di lui. Bloccò la sua corsa più o meno a metà, prima di raggiungere la panchina incriminata, prima ancora di riconoscere una delle ex giocatrici di Quidditch che aveva visto militare nella squadra di Corvonero quando ancora andava a Hogwarts.
    Iniziò a camminare, il passo incerto, estremamente confuso da quel rifacciamolo e la risposta dello sconosciuto. Vorrei dire che le cose sarebbero andate meglio di lì a poco, ma…
    Era ancora chino su Sherlock, troppo preso dal recuperare il frisbee incriminato, quando sentì l’appellativo che la Dallaire aveva utilizzato pochi istanti prima.
    Momento, momento, momento.
    Lui aveva ricambiato il saluto tutto contento di incontrare un volto amico – e che non era stata lei la vittima di quel giorno – e questo era quello che si meritava?
    “Eh?” portò istintivamente le mani sui fianchi, dimentico di premiare Sherlock con un croccantino, il quale sbuffò di disappunto. Facciamo fosse anche lui indignato per quell’associazione. “Non credo di meritare un simile insulto.”
    Scosse piano il capo e, nel farlo, scivolò via anche l’espressione contrita, così come l’ombra che per qualche istante gli aveva incupito lo sguardo.
    Ricordò a se stesso che Arabells Dallaire scherzava e che non sapeva. Non poteva sapere.
    “Dimentichi che sono un ex portiere e che quel tiro è stato decisamente parato.” Non in maniera canonica, certo, ma o avrebbe preso l’anello o sarebbe finito con precisione tra le braccia dell’ultimo difensore. Allungò la mano verso Sherlock e, dopo averlo accarezzato e dato il suo premietto, lo assicurò al suo guinzaglio, per non perderlo di vista e assicurarlo al suo fianco.
    Si avvicinò ancora di più alla ragazza, sistemandosi meglio sulla panchina. Poggiò il gomito sullo schienale e, guardandola di sottecchi, si avvicinò interessato alla proposta: “Quanto pensi possa essere l’ingaggio? Uno farebbe sangue acido, l’altro riavrebbe con sé un ex compagno di squadra completamente disinterrato alle sue giocatrici… E, soprattutto, di che colore sarebbe la parrucca?”
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    Ethan
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    C’è del disagio qui.
    E no, al momento non sto parlando di Ethan, di quello che avrebbe provato di lì a poco. Sto proprio parlando del post precedente, che lasceremo comunque affinché i posteri possano sapere cosa sia successo in questa role e affinché le Babbi del futuro non facciano più affidamento sulle connessioni date dagli hotspot del telefono. Ci fidiamo solo della fibra.
    Ma torniamo all’Huxley che dispensa gli abbracci di cui tutti hanno bisogno, quello col sorriso in grado di sciogliere anche i cuori più duri – tranne quello di Holden, quello di Holden è il sempre il boss dei cuori da sconfiggere –, quello che allieta le giornate di chiunque abbia la fortuna di incrociare la sua strada.
    Non una sviolinata che lui farebbe a sé stesso, probabilmente sarebbe l’ultima persona al mondo capace di farsi un complimento, ma ci piace pensare sia esattamente così, che sia questa la distinzione tra i due fratelli, una linea così netta che anche nonna avrebbe trovato impossibile confonderli.
    “Nel mio caso? Letteralmente scherzò sedendosi sulla panchina, osservando tutto contento Sherlock che aveva deciso Bells fosse una sua amica, tanto da posare il suo musetto sul palmo della giocatrice e osservarla in attesa della sua ricompensa. “Tieni, così lo avrai conquistato al 100%!” Le passò il sacchetto dei croccantini che portava sempre con sé, affinché suggellasse quell’amicizia appena nata con il Corgie più docile e buono che avesse mai avuto l’onore di incontrare. Poteva anche aggiungere più viziato, ma non voleva certo togliere ad Arabells il gusto della sorpresa.
    Guardando i due, sperava che fosse così facile creare e cucire rapporti, che bastasse così poco per rendere felice qualcuno. Si domandò quando, esattamente, nella sua vita era iniziato ad andare tutto a rotoli, quando le caramelle avevano smesso di essere merce di scambio per la felicità.
    Non aveva più idea di come funzionassero i rapporti umani; aveva passato così tanto tempo con gli animali – nello specifico con delle creature enormi, particolarmente permalose e irascibili, spesso di cattivo umore e sempre affamate… praticamente degli Elwyn in grado di covare tesori e sputare fuoco – da aver perso contatti con la realtà. Non solo, aveva perso ogni legame con il suo passato, ogni relazione aveva immediatamente perso di significato quando quelle più importanti erano venute meno. Holden prima, la sua famiglia dopo.
    Ed era stato un continuo spegnersi, un continuo abbandonarsi a tutto ciò che poteva alleviare quel dolore, a colmare quelle assenze. Non era mai stato l’Huxley più forte, quello era un primato che spettava a Lisbet, solo il più veloce a fuggire, a fare un passo indietro, a sparire.
    “Se sopravvaluto Piz, sopravvaluto anche le Arpie?” Domandò con un piccolo ghigno, prima di continuare. “Ho visto che state andando bene in campionato, sono venuto a vedere qualche partita in incognito, quando il tempo me lo ha permesso.” In genere quando c’erano temporali così forti da impedirgli di andare a cercare i draghi nella riserva e acquazzoni così potenti da renderne impraticabili i sentieri. Praticamente aveva visto le partite con le condizioni meteo peggiori, eppure non poteva dire che non stessero facendo un ottimo lavoro.
    “Immagino mio fratello sia sempre lo stesso, se ancora non ti ha annoiato.”
    Il sorriso che aveva avuto fino a quel momento tentennò sulle sue labbra, pericolosamente in bilico. Non amava parlare di Elwyn, non sapeva neanche fino a che punto fossero ancora membri della stessa famiglia e non persone che, per un certo periodo, avevano condiviso lo stesso tetto.
    La verità è che, dai funerali del padre, non lo aveva più visto, non lo aveva più cercato, aveva persino chiesto a Lisbet di evitare di parlargli di lui. Ogni tanto lo sentiva nominare nella riserva, quando combinava qualche cazzata così colossale da richiamare l’attenzione dei media esteri, ma il suo legame finiva lì, scivolava via sulla sua pelle quasi non fosse mai esistito.
    Non era solito portare rancore, Ethan, ma aveva scoperto di poterlo fare, e per tanto tempo.
    Non lo aveva dimenticato, come non aveva dimenticato nessuno dei volti che avevano fatto parte della sua vita, ma aveva scelto di non prestargli più attenzione. Non lo aveva perdonato, probabilmente non avrebbe mai potuto.
    “Scusa, ma non le traducevano in rumeno.” Fece spallucce, spingendo fuori il labbro inferiore e implorando pietà con una delle sue espressioni più tenere. Non funzionava con i draghi, dubitava potesse tornargli utile proprio con Arabells Dallaire.
    “Un po’ ti capisco…” non approfondì, si limitò a sospirare, perché c’erano giorni in cui avrebbe voluto bere una pinta di birra al pub, giorni in cui avrebbe finito un’intera bottiglia di whiskey se solo non avesse deciso di smettere, di tornare sobrio per una persona in particolare. Aveva già dato con l’alcol, si era rifugiato in lui per anni nelle notti più buie, senza però riuscire mai a spingerlo nell’oblio, senza mai lenire completamente il dolore.
    “Mi dispiace.” E gli dispiaceva davvero, perché era stato pur sempre il suo capitano, uno dei suoi punti di riferimento. Perché gli aveva dato fiducia quando molti avrebbero visto in lui soltanto un povero ingenuo. Perché aveva creduto in un ragazzino che solo volando poteva dimenticare la terra che, a ogni passo, crollava sotto i suoi piedi. “Ah. Spero continui a migliorare. Portagli i miei saluti, se pensi possa fargli piacere.”
    Non aveva la presunzione di credere che, tra tutti, Eli potesse ricordarsi di lui, né che conservasse frammenti dei momenti trascorsi insieme tra spogliatoio e dormitorio, tra il campo e le lezioni.
    Abbandonò la schiena sulla panchina, realizzando quando il mondo fosse andato avanti, indietro o si fosse resettato senza che lui lo sapesse, senza che fosse in grado anche solo di immaginarne le conseguenze.
    “Io mi sto riprendendo.” E faceva strano dirlo ad alta voce, faceva strano ammetterlo con un estraneo ancor prima di ammetterlo a se stesso. Aveva preso la decisione di tornare già prima di quel fatidico compleanno, di quella lettera che lo aveva messo davanti a una realtà così diversa da quella che gli era stata narrata.
    Aveva fatto piccoli passi, forse nella giusta direzione: si era riavvicinato alla sorella, aveva un’intera riserva da gestire, aveva con sé Turk e la compagnia costante di un altro piccolo drago nano. La sua ricerca faceva progressi e stava pian piano riuscendo a dare spessore al suo nome lì dove il più grande di tutti i tempi restava Newt Scamander. “E sono venuto al sub una volta, per l’inaugurazione. Il vostro locale è anche molto carino!” Puntualizzò, senza specificare che era stato costretto da Liz, che ce lo aveva mandato sotto minaccia. Sapeva che quello poteva essere un punto di svolta per Elwyn, ma non aveva ragioni per prenderne parte. Non era riuscito a darsi un valido motivo – oltre alla speranza di incontrare Holden quella sera – per essere lì, per condividere la sua gioia, quando a lui aveva lasciato solo il dolore.
    “Preferisco gli animali alle persone e… anche all’arte. Non fraintendermi, so che la vostra è un’attività culturale, eppure…” non sapeva come dirlo in modo più carino, probabilmente non ci sarebbe mai riuscito. “… non ce lo vedo proprio. L’ho constatato con i miei occhi quello sì, ma non riesco proprio ad associare una scultura a quella capra’energumeno di mio fratello.”
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    Ebbe qualche istante di deja-vu. Il tempo di un battito di palpebre, la scena a riavvolgersi e svolgersi di fronte a sé come una prima volta. Una di quelle tante finestre sugli universi alternativi, gli ”e se” che spopolavano fra le fanfiction, il fantomatico effetto farfalla per cui ad ogni azione corrispondeva una reazione differente. Durò poco, quanto bastò alla Dallaire perchè si formasse un solco d’espressione fra le sopracciglia – lo sguardo distratto, la testa leggermente piegata sulla spalla.
    (babbi...ma… a quale post hai risposto…., le parve quasi di sentire, come una voce a sovraimporsi alla narrazione.)
    Cessò d’improvviso così come era apparso, lasciando Bells disorientata ma con un vago sorriso sulle labbra. Prese la sacca con i croccantini, ampliando la smorfia divertita verso il biondo nel farne scendere qualcuno sul palmo della mano. Arabells Dallaire trovava che il comportamento animale non fosse poi così diverso da quello degli esseri umani: bastava essere pazienti, mostrarsi innocui ed amichevoli, offrire leccornie, e il gioco era fatto. Certo, la tecnica andava poi specializzata di caso in caso, ma i bombi, pur variando natura, quello restavano. Allungò la mano libera per accarezzare Sherlock fra le orecchie, mentre quello mangiucchiava di gusto i crocchi. Ugh, con quell’espressione felice, era davvero troppo adorabile per essere vero. «Se sopravvaluto Piz, sopravvaluto anche le Arpie?» ma guarda, un Huxley con un senso dell’umorismo, era davvero finita in un multiverso? Dove si era nascosto tutto quel tempo. Perché a lei era toccato quello imbronciato e con un’ilarità pari a quella di uno scalino di marmo? Battè le ciglia languidamente, un «ah ah, divertente» morbido e chiaramente non divertito. Gli diede una pacchetta amichevole sulle scarpe, tanto era già chinata per accarezzare il Corgi, facendogli così sapere che avesse apprezzato il tentativo, e potesse riprovarci un’altra volta. Era una ragazza fisica, ma rispettava i sensi degli spazi altrui, e non conosceva Ethan (punto) abbastanza da sapere come avrebbe preso un gentile coppino dietro la nuca. Matura, vero? «Ho visto che state andando bene in campionato, sono venuto a vedere qualche partita in incognito, quando il tempo me lo ha permesso» Reclinò il capo sulla spalla, tornando a poggiare la schiena sul sedile della panchina. Rivolse al ragazzo un’occhiata sorpresa, domandando un «in incognito?» di cui già immaginava la spiegazione, ma sentirselo dire non poteva far male. Non capiva come potesse essere così poco interessato alla fama ed alla pubblicità, un concetto decisamente alieno per qualunque Arabells Dallaire mai esistita. Perfino da bambina viveva per gli applausi e l’attenzione, e da giovane adulta, gli scandali li cavalcava sempre fino a portarli a proprio favore. O per dispetto, se si fosse trovata nei panni del mini Huxley. «Immagino mio fratello sia sempre lo stesso, se ancora non ti ha annoiato.» Notò come alla menzione dell’altro il sorriso si fosse scheggiato, pur rimanendo a pendere agli angoli delle labbra. Un’espressione che conosceva bene, Bells, perché di argomenti di cui non voleva parlare ne conosceva almeno una decina, e riguardavano tutti ciò che aveva di più caro. Non si spegneva un sole con poco più di una pioggerella estiva, servivano tifoni e lampi. Compensò allargando il proprio, di sorriso, studiandolo da sotto ciglia scure. «nessuno rimane mai lo stesso» osservò in tono leggero, lasciando però che portasse con sé il significato implicito di quelle parole. Uno che Ethan avrebbe potuto ignorare, non gliene avrebbe fatto una colpa e sarebbe andata tranquillamente avanti con la sua vita, o una su cui avrebbe potuto riflettere, applicandola ad un mondo che era più grande rispetto ad una riserva di draghi. Non erano cazzi suoi i motivi per cui la menzione del maggiore togliessero l’allegria al biondo, e onestamente, lo capiva – in generale come sorella minore, ma in effetti… anche nello specifico come Elwyn Huxley: aveva la capacità di togliere in fretta il sorriso a chiunque, con la sua sola e fantastica eccezione - ma voleva abbastanza bene al suo collega da spezzare alla cieca una lancia a suo favore. «spero» aggiunse poi, ammorbidendo l’espressione con entrambe le sopracciglia sollevate ed un sospiro greve. Non un discorso che la riguardava, lei era già la versione migliore di se stessa, ma confidava che il resto del genere umano lavorasse sulla propria derelitta psiche come un bambino con la pasta di sale, o quel pianeta non sarebbe durato ancora a lungo.
    (e infatti, spoiler alert, non l’aveva fatto.)
    «Scusa, ma non le traducevano in rumeno.» Che stronzetto. Era mediamente – e platonicamente, non preoccuparti Holden. - conquistata. Arricciò il naso facendogli la linguaccia, scimmiottando un NoN LE tRaDuCeVaNo In rOmEnO e schiccherando le dita di fronte al naso dell’altro. Senza colpirlo, eh.
    Per ora. Ancora un po’ di confidenza, e partiva la Bells WWE (da qualcuno doveva pur aver preso, Chelsey).
    «Ah. Spero continui a migliorare. Portagli i miei saluti, se pensi possa fargli piacere.» Liquidò la questione con un vago cenno della mano nell’aria, e lo sbuffo di una risata a grattare la gola. Con o senza memoria, «è elijah» quindi certo che gli avrebbe fatto piacere il saluto di qualcuno che neanche ricordava di aver conosciuto. E non era neanche ironica. La mente di suo fratello, perfino spolverata da ciò che l’aveva reso Elijah Dallaire, era davvero un posto peculiare, e per quanto la riguardava, non condivisibile. «Io mi sto riprendendo» Non sapeva da cosa, ma non aveva importanza. Apprezzava la sincerità di quell’ammissione, così diversa dal banale e sempre falso tutto bene. «hai un bel faccetto» confermò allora, piegando un angolo della bocca in un sorriso. Non aveva così tanti ricordi di Ethan Huxley da poter fare un paragone, ma almeno non era scavato e morto dentro come quel rimbambito del fratello. «E sono venuto al sub una volta, per l’inaugurazione. Il vostro locale è anche molto carino!» C’erano state molte persone quella sera, e tante altre ne erano seguite. L’aveva visto…? Parve rifletterci, l’ex Corvonero. Probabilmente sì; magari avevano anche scambiato convenevoli non dissimili a quelli. Non le faceva onore avere così poca memoria in merito all’incontro, ma a suo favore… non lo conosceva, e non era – ancora – abbastanza legata ad Elwyn da volerlo fare. Insomma, il SUB nasceva principalmente come mossa di marketing, ed in secondo luogo perché divertente. Il resto non l’aveva considerato, ai tempi. E dire che avrebbe dovuto immaginarlo che un uomo disfunzionale si sarebbe inserito perfettamente nella scacchiera della sua vita. Li raccoglieva come pietre di Thanos. «Preferisco gli animali alle persone e… anche all’arte. Non fraintendermi, so che la vostra è un’attività culturale, eppure… non ce lo vedo proprio. L’ho constatato con i miei occhi quello sì, ma non riesco proprio ad associare una scultura a quell’energumeno di mio fratello» Per il preferire gli animali alle persone, mood non il pg, manco gli animali erano più affidabili. anche se Bells poteva dirsi su territorio equo. Le persone la… affascinavano, e le piacevano abbastanza da averla portata, negli anni, a diventare una farfalla sociale. «perchè preferisci gli animali?» chiese curiosa, senza giudizio nel tono. T tutte le persone che la pensavano come Ethan rispondevano in maniera diversa, ed era sinceramente interessata su quale fosse il suo punto di vista.
    E poi rise, Bells. Alzò una mano per chiedere una pausa, piegandosi in due dalle risate, perché era semplicemente troppo divertente. Quando finì di ridere, tamponò elegantemente il sotto palpebra dalle lacrime, singhiozzando un’ultima risatina. «scusa, scusa. Dicevamo? mh. forse è perché l’hai cercato nell’arte sbagliata. Tuo fratello è più da quadri. Un giorno magari ti faccio vedere i suoi preferiti, ti danno tutta un’altra prospettiva sulle persone» soprattutto quando le tele erano state dipinte con l’altro mini Huxley.
    "did it hurt? when i told you to google it and i was right"
    arabells "lies" dallaire, 22
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    Ethan
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    “Non sono particolarmente bravo con…” fece una breve pausa, prendendo del tempo. Non voleva lasciare Arabells senza una risposta, ma non era ancora del tutto pronto a darla a se stesso, ad esprimere ad alta voce quello che aveva tenuto nascosto per anni. “… le interazioni con gli altri. Non perché non mi piacciano, ma i rapporti umani sono complicati.” E lui era quel tipo di persona che si affezionava facilmente, per cui bastava una piccola gentilezza per conquistare la sua fiducia, per affezionarsi, per rimanere ferito. E aveva sofferto abbastanza, troppo. Sua madre, suo fratello, suo padre gli mancavano ogni giorno. All’inizio era stato devastato dalla perdita della persona che amava di più al mondo, del suo porto sicuro. Poi, man mano, si era anestetizzato al dolore ed erano rimasti solo vuoto e rabbia. Si era indurito al punto da non essere più in grado di perdonare e questo lo aveva terrorizzato, perché aveva significato perdere anche Lisbet e quel fratello che a stento riusciva a chiamare tale. Era andato a fondo con lui nel momento stesso in cui aveva accettato di aiutarlo, di essergli vicino quell’ultima volta.
    Si era vergognato di se stesso e della persona che poteva essere, che poteva diventare.
    “E poi perché ci ha sempre pensato qualcun altro ad essere sempre al centro delle luci della ribalta.” E a lui era andato bene così. Fin da subito era stato chiaro che la sua passione per il Quidditch era di gran lunga inferiore rispetto a quella per i draghi, che più che passare ore in cortile in sella a un manico di scopa preferiva restare a casa e sfogliare i grandi tomi enciclopedici sulle creature magiche che la madre aveva collezionato in giro per il mondo. Si era iscritto ai provini di Grifondoro per non deludere suo padre, ma non aveva mai fatto vanto dell’essere entrato in squadra. Apprezzava i suoi compagni, aveva imparato cosa significasse lavorare in squadra, essere un tutt’uno con chi indossava gli stessi colori, ma era finito tutto lì. Non era lui che veniva sottoposto ad allenamenti estenuanti, non era lui che veniva massacrato dai bolidi fino a quando non era più in grado di reggersi in equilibrio sul manico di scopa.
    Si era voltato dall’altra parte e aveva finto di ignorare quello che il padre stava facendo ad Elwyn, a tutto il dolore cui lo stava sottoponendo, senza dire una parola, terrorizzato che potesse accadere anche a lui.
    Forse, più correttamente, era terrorizzato dalla figura paterna, da ciò che Leopold era diventato dopo la morte della moglie. Aveva perso la bussola e Ethan non aveva mai trovato il coraggio di farglielo notare, non dopo aver saputo che Wayde era andato in un istituto correttivo con la speranza di poter acquistare quei poteri che, agli occhi dell’uomo, lo rendevano così diverso dagli altri figli. E Ethan aveva paura di lui, aveva paura di se stesso e dei sentimenti che lo legavano ad Holden. Se il padre lo avesse scoperto, anche lui sarebbe stato corretto? Anche lui sarebbe stato mandato via per essere rieducato?
    Allora aveva scelto la strada più comoda, aveva scelto di scomparire, di essere invisibile agli occhi del padre e di ignorare quello che accadeva ogni giorno in casa o a Hogwarts. Faceva il suo, non creava problemi e andava avanti sperando di non entrare mai nel raggio d’azione di Leopold, di essere trascinato nella sua follia come era successo ad Elwyn e Wayde.
    “Quando era su tutte le copertine per lo scandalo delle Arpie, i giornalisti sono venuti nella Riserva per chiedermi di lui, per avere qualche scoop, per conoscere dettagli sulla scabrosa vita del battitore di Quidditch più chiacchierato del momento.” Prese un altro respiro, portando indietro la testa, chiudendo gli occhi per rendere più vivido nella sua mente il ricordo di quei giorni. La verità è che ricordava molto poco, che era spesso assente a se stesso e che mettere a repentaglio la propria vita gironzolando in un parco giochi per i draghi era diventata la sua routine. “Cosa volevano sentirsi dire? Che era un idiota? Non c’era bisogno dessi loro una conferma.” Perché lo aveva sempre pensato, anche in tempi non sospetti, anche quando c’era ancora dell’affetto sincero tra loro. Tuttavia, sapeva benissimo quanto quel gesto fosse un grido dall’aiuto, l’ennesimo che Ethan aveva scelto di ignorare. Non voleva tornare, non voleva affrontare la sua famiglia, benché meno l’assenza di Holden.
    Forse, se non fosse stato così codardo, le cose sarebbero andate diversamente, forse avrebbe avuto ancora il coraggio di guardare la sua famiglia negli occhi… o forse, più semplicemente, avrebbe ancora avuto una famiglia da cui tornare.
    “Non mi piacciono i giornalisti.” Concluse, rendendosi conto che prima o poi avrebbe comunque dovuto rapportarsi con loro qualora i suoi studi e le sue ricerche avessero prodotto dei risultati degni di un certo rilievo mediatico. Ma c’era ancora tempo, ci avrebbe pensato poi.
    Nessuno rimane mai lo stesso.
    Si voltò a guardarla in silenzio, lasciando che il significato di quelle parole sedimentasse tra loro. Lo sapeva benissimo Ethan, lo aveva vissuto sulla propria pelle. Aveva visto le persone che aveva più care diventare dei mostri o vittime dei propri demoni, aveva visto come il dolore poteva cambiare una persona fino a renderla irriconoscibile. Aveva annaspato in fiumi di alcol dimenticando se stesso e chi era, aveva lasciato che agenti esterni lo spegnessero e seppellissero ciò che aveva di più caro perché voleva smettere di soffrire, di essere deluso dalle persone che amava. Di deludere le persone che amava.
    Aveva scelto di disintossicarsi, di porre fine alle sue dipendenze, di provare ad essere una persona migliore, ma non poteva pretendere che anche gli altri si adeguassero a lui, che facessero anche loro dei cambiamenti positivi, che scegliessero di evolvere e di andare avanti.
    Non voleva sapere che versione del fratello avrebbe avuto davanti a sé, perché non era in grado di sapere quella che lui stesso gli avrebbe mostrato. Erano così diversi dai ragazzini che erano stati che spesso si era insinuato il dubbio fossero mai stati parenti o se, quella dannata notte, si fosse limitato ad aiutare un estraneo.
    Se così fosse stato, probabilmente avrebbe fatto meno male.
    Accennò un sorriso davanti a quella piccola speranza, pur essendo consapevole che c’erano fratture che non si sarebbero mai del tutto saldate, che i segni di quelle ferite sarebbero rimasti quasi immutati nel tempo.
    Non voleva illudersi, non questa volta. Aveva nuovamente scelto di proteggere se stesso.
    “Ho un bellissimo faccetto.” Rimarcò voltandosi nuovamente verso di lei, arricciando il naso in una finta espressione di superiorità. “O così dicono tutte le vecchiette che frequentano il mercato. Credo che qualcuna faccia cadere di proposito le buste della spesa per far sì che mi chini ad aiutarla.” E questo pensiero lo fece rabbrividire appena, perché voleva convincersi che la libido scomparisse dopo una certa età e che nessun’anziana signora pensasse a lui una volta a letto e tolta la dentiera.
    Stava per risponderle quando la Dallaire rise.
    La osservò affascinato, come fosse un raro uovo di drago. Si sporse leggermente in avanti, verso di lei, quasi incredulo. Non… non era più abituato a quel suono. Era… strano. Piacevole. Lo faceva sentire parte di qualcosa, forse di una comunità da cui si era sempre sentito escluso. E sentì che anche dal suo petto sgorgava una risata. Così semplice, eppure così inusuale per lui.
    “è così strano.” continuò, sempre ridendo e prendendo Sherlock sulle sue gambe. “Ma non ce la faccio proprio ad immaginare lui a commentare un Monet. Non ce la faccio.” Rimarcò provando a imitarlo senza successo, lasciando che Sherlock fosse travolto dall’ilarità di quel momento e iniziasse a leccargli il viso in cambio di un grattino.
    “Ecco perché mi piacciono gli animali.” Disse mentre accarezzava la testolina del piccolo Corgie. “Perché sono semplici. Ti fanno capire quello che vogliono senza troppi fronzoli, senza mai girarci intorno. Perché riescono a essere felici con poco, perché non sono in grado di mentire o di illuderti. Perché non ti abbandonano.”
    Portò di nuovo la sua attenzione sulla ragazza, curioso di sapere qualcosa in più su di lei. “Tu invece? In che tipo di arte ti si dovrebbe cercare?”
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    Da lì ad un anno, Bells avrebbe perso tutto quanto di quel momento: il sorriso leggero sulle labbra, e la risata a brillare negli occhi chiari; la fama che l’aveva resa una stella nel firmamento del Quidditch, il posto da titolare nella squadra che sventolava sotto al naso di Ethan; poter vedere come il sole illuminasse il volto dell’Huxley rendendo i capelli fili d’oro. Di quella Arabells Dallaire, sarebbe rimasto solo il cuore – un po’ più feroce ed affilato, forse. Arrabbiato, e con giusta causa.
    Diversa.
    Nessuno rimane mai lo stesso.
    Alla ex Corvonero, era sempre piaciuto un po’ troppo avere ragione.
    Era stato improvviso. Nella Dallaire seduta al fianco del ragazzo, le dita a grattare Sherlock dietro le orecchie, non c’era traccia di quel che sarebbe stato. Beata ignoranza, mh? Così continuava a sorridere, e studiare come le espressioni del biondo cambiassero in continuazione. Aveva l’aria di essere uno spasso come avversario in una partita di poker, magari glielo avrebbe proposto.
    «i rapporti umani sono complicati.» Reale, ma non abbastanza da giustificarne l’allontanamento. Gli scoccò un’intensa occhiata di sottecchi, lasciando che un angolo della bocca si curvasse verso l’alto. Era il fatto che fossero complicati, a renderli interessanti. Mai banali o prevedibili, non del tutto, e sempre...elastici. Non erano orbite attorno a pianeti, quanto più elastici incastrati fra pollice ed indice di entrambe le mani, e tirati: tendevano ad allungarsi, ridursi. Spezzarsi. Annodarsi, quando scivolavano dai polpastrelli. Scottare la pelle in schiocchi secchi. «è quello il punto» osservò, lasciando da parte la vena polemica per ammorbidire il tono in gentilezza. Di natura selvatica, non riusciva ad essere troppo ruvida con mini Huxley, e la sua così palese energia da golden retriever. Voleva, piuttosto, allungare le mani, e fare i grattini anche a lui oltre che al Corgi. «E poi perché ci ha sempre pensato qualcun altro ad essere sempre al centro delle luci della ribalta.» Di nuovo, quell’ombra amara sul viso di Ethan, lo sguardo a rabbuiarsi e farsi distante. Avrebbe voluto chinarsi verso di lui, cercare i suoi occhi, e domandargli dove fosse, ma non lo fece. Lo lasciò vagare, rimanendo silente al suo fianco mentre Ethan ingollava il sapore acre dei suoi stessi pensieri. Non era invidia, a tingere la voce del ragazzo. Era… qualcosa di più complesso, e da cui distolse la propria attenzione per non invaderne la privacy. «Quando era su tutte le copertine per lo scandalo delle Arpie, i giornalisti sono venuti nella Riserva per chiedermi di lui, per avere qualche scoop, per conoscere dettagli sulla scabrosa vita del battitore di Quidditch più chiacchierato del momento. Cosa volevano sentirsi dire? Che era un idiota? Non c’era bisogno dessi loro una conferma.» Sbuffò una risata, perché non poteva dargli torto e perché il fatto che fossero andati alla riserva, sembrava averlo toccato più del necessario. Aprì la bocca per domandargli come si fosse sentito in merito a quell’invasione dei suoi spazi, se odiasse Elwyn perché era stato in grado, senza neanche muoversi, di togliergli anche quello, ma di nuovo, fu abbastanza saggia da tenere quelle domande per sé. Troppo personali per Ethan, e di parte per Bells, che nell’intonazione del biondo non poteva che trovare i bassi borbottii del maggiore che così poco sembrava tollerare. Dovette ricordare a sé stessa che qualunque problema avessero gli Huxley, non fosse suo. Terribile, la tendenza ad infilarsi nelle crepe delle persone che adorava, e cercare di incollarle con mera forza di volontà. Magari poteva andare a qualche incontro per ex alcolisti con Eli, e rubare uno dei loro consigli.
    «Non mi piacciono i giornalisti»
    Mostrò i denti in un ghigno, sospirando il proprio divertimento. Scontato che lei li adorasse: aveva stabilito un funzionale rapporto di utilità fra sé e loro, dove gli scandali la rendevano ancor più folgorante ed il suo nome veniva bisbigliato in ogni numero. «sono una razza a parte» confermò, non senza una punta d’affetto. «sai a chi non piacciono i giornalisti? A chi ha qualcosa da dire, ma non vuole farlo» alzò ed abbassò le sopracciglia, languida ed allusiva. «avete molti segreti, voi huxley?» sì; che ne sapeva, Arabells Dallaire.
    Planare sull’arte del SUB, e su come Elwyn Huxley si inserisse nel contesto, fu semplice. Naturale. La risata della Cercatrice, genuina ed allegra, spolverata di tutto ciò che la rendeva irraggiungibile agli occhi di chi non la conosceva; quella di Ethan, sorpresa e liquida, avrebbe voluto imbottigliarla e fargliela sentire ogni volta che s’incupiva, mormorando un visto? Vai alla grande con le persone, anche se è complicato. Si rese conto che avrebbero potuto diventare amici molto facilmente, lei e l’Huxley minore. Poteva perfino passare sopra al fatto che avesse vestito gli abiti Grifondoro: ce l’aveva fatta per Elijah, Nathaniel e Piz – cos’era uno in più? Poi basta, però. Abbastanza, era abbastanza. «è così strano. ma non ce la faccio proprio ad immaginare lui a commentare un Monet. Non ce la faccio» L’allegria rimase appesa al sorriso della Dallaire, e gli occhi che sollevò sull’altro. Se solo avesse saputo che, oltre a commentare le opere in esposizione, avesse contribuito in prima persona! «te lo mostro subito» Scattò in piedi, un occhiolino alle orecchie sollevate ed all’erta di Sherlock. Disegnò in aria il perimetro di un quadro, mostrandolo teatralmente all’Huxley, quindi inspirò, concentrandosi per entrare nel personaggio.
    Aggrottò le sopracciglia. Forzò le labbra a curvarsi verso il basso. Incrociò un braccio sul petto, e poggiò il mento sopra il dorso della mano.
    «mh.»
    Pausa.
    Roteò lo sguardo su Ethan, sorridendo. «fine. Ma ho deciso una traduzione per ogni mh. un dizionario molto specifico» e creativo: tutti i borbottii dell’Huxley contenevano almeno una metafora filosofica sulla vita, e sul posto dell’essere umano nell’universo. Elwyn non aveva sembrato apprezzare, ma d’altronde, non sembrava mai apprezzare nulla, quindi la Dallaire non l’aveva presa sul personale.
    «Ecco perché mi piacciono gli animali. Perché sono semplici. Ti fanno capire quello che vogliono senza troppi fronzoli, senza mai girarci intorno. Perché riescono a essere felici con poco, perché non sono in grado di mentire o di illuderti. Perché non ti abbandonano.» Oh, baby, who hurt you. Riprese posto al suo fianco, un ginocchio piegato contro il petto e la guancia premuta sulla gamba. Lo osservò seria una manciata di secondi, indecisa su come rispondere. Voleva dirgli fosse proprio quello, il bello delle persone. Come sapessero entrare sotto pelle, e lacerare. Lasciare il segno. «capita che scappino» butto lì, leggera, senza più guardarlo per non rendere la conversazione ancora più pesante. «e si perdano. O succeda qualcosa che gli impedisca di tornare» sospirò, occhi sul prato del parco. «se pensi che non mentano e non illudano, non hai mai avuto un gatto» sorrise bieca, tornando a guardare Ethan. «non così diversi da noi, quindi. dopotutto» e lo pensava davvero, malgrado, come Ethan, fosse stata abbandonata sia dalla sua famiglia, che da quello che pensava essere l’amore della sua vita. Ah, beata gioventù. Felice di essersi lasciata alle spalle quella ragazzina; dei cuori spezzati, la Dallaire, ci aveva ricamato un tappeto, e ci puliva le scarpe ogni volta che entrava nel suo appartamento. «Tu invece? In che tipo di arte ti si dovrebbe cercare?» Ed Arabells, essendo Arabells, rise di nuovo. Più mutata, tenendo quel divertimento personale. Più calda, perché Ethan le piaceva davvero, con quelle domande ingenue e morbide. «quella devastante» ammiccò, perché non poteva farne a meno. Quando, guardando un quadro, si sentiva qualcosa smuoversi dentro – l’emozione viscerale di scoprire le forme per la prima volta. La sorpresa, nell’immergere la mano nel colore, di poter creare qualcosa. Le fotografie scattate quando tutti guardavano, ed il marmo impossibilmente cesellato di statue secolari. «ovunque» tutto era arte, e tutto – specialmente al sub – era Bells, che del bello aveva fatto un modello personale. Liquidò la questione battendo le ciglia civettuola, permettendo al sorriso di farsi più serio. Tamburellò ritmata le dita sul proprio polpaccio. «pianoforte» confessò. «suono da anni. Non ho potuto vedere un quadro per più di metà della mia vita. La musica è una costante» si strinse nelle spalle, tenendo per sé quanto avesse avuto bisogno di sentire, negli anni in cui non le era stato permesso guardare. Come invece, ora, fosse meravigliata da tutto. «ogni tanto mi esibisco» perché fosse mai che la Dallaire potesse lasciare per troppo tempo le luci della ribalta solo al resto degli artisti – era un’egocentrica, d’altronde. «dovresti venire a sentirmi» sorrise, arcuando le sopracciglia nell’ennesimo invito al locale. Gli diede una spintarella con la gamba. «anche in incognito. Se mi dici che ci sei, ti troverò» se suonava come una minaccia, probabilmente era perché la fosse.
    "did it hurt? when i told you to google it and i was right"
    arabells "lies" dallaire, 22
    now playing: seize the power
    Gather 'round,
    here's how to get what you want
    Introduce a new religion
    of feeling like a boss
     
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8 replies since 21/1/2022, 21:36   311 views
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