Sing, "Hit me baby, one more time"

@ londra, stan ft irma

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    stanley luna
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    Soffiò una ciocca bionda dalla fronte, troppo impegnato a reggere il volante con entrambe le mani per spostarlo con le dita. Il fatto che la strada fosse completamente al buio, non aiutava i nervi già tesi di Stanley Luna: il serbo stava alla guida come un criminale stava alla condanna all’ergastolo – male, esatto. Umettò le labbra, ancora nuovo all’abitacolo di quell’automobile.
    Che non era sua. Cioè, la era, ma non davvero: non era registrata a lui, non aveva il bollo, non aveva l’assicurazione, e non sapeva neanche se da qualche parte al suo interno avesse un libretto, perché aveva avuto l’ansia di controllare (e quindi guidava senza saperlo? Esatto, perché l’ignoranza era una benedizione, e se la polizia l’avesse fermato, avrebbe potuto puntare tutto sulla sincerità dell’essere stupido). Non l’aveva rubata, ok? L’aveva trovata, abbandonata da più di un mese nello stesso posto, con ancora la chiave inserita. Non aveva neanche dovuto cercare su Google come accendere una macchina con i fili – grazie a Dio, perché avrebbe finito per rimanerci secco con una [ carlo conti’s voice] scossa - e l’aveva ritenuta di conseguenza un regalo dei non troppo generosi britannici in favore di un povero serbo che in quella città non conosceva nessuno se non Joseph Moonarie. Aveva deciso di meritarsela.
    (Dopo aver scritto un biglietto, ed averlo lasciato sul sedile; non avendo ricevuto risposta dopo settimane, aveva decretato che i proprietari fossero morti, e Lolla fosse ufficialmente sua.)
    Era perfetta. Non era inglese, quindi aveva l’abitacolo dell’autista al posto giusto, e se anche un tempo, in un’altra vita, l’idea di guidare per una metropoli come Londra – tutta al contrario, poi! - l’avrebbe mandato in una spirale di panico e terrore, a quello Stanley non importava più. Era coraggioso. Indipendente. Un uomo forte che aveva affrontato un lungo viaggio della speranza, senza nulla più che una valigia, per trasferirsi dal suo sugar daddy (non lo chiamava così in sua presenza.) tascabile. Rivoluzionato.
    Aiutava il fatto che milioni di persone fossero morte e i superstiti non guidassero per le strade di Londra, ecco. Aveva incrociato più o meno tre auto, ed immaginava che la quota non sarebbe aumentata. E dove stava andando, il buon Stan, nel cuore della notte?
    Se lo ripetè, ma ad un passo dalle lacrime: dove cazzo stava andando, Stan, nel cuore della notte?
    Era certo di aver messo l’indirizzo giusto su Google Maps, e lo sapeva perché aveva l’indirizzo salvato su tutte le applicazioni di delivery, l’unico mezzo di sostentamento in quei tempi difficili (di certo nel santo anno 2023 non avrebbe chiamato per ordinare una pizza, duh) aka in cui Joey andava in trasferta, e lui rimaneva da solo con se stesso.
    E la connessione wifi. Ma soprattutto se stesso.
    Voleva solo un gelato, ok. Un mcflurry. Solo quello. Aveva cercato il McDonald’s più vicino, e l’aveva trovato distrutto; quello successivo, abbandonato. Eccetera, eccetera. Non si azzardava a recarsi nei locali magici, anche perché dubitava l’avrebbero servito in primis, e il Mc non consegnava al loro indirizzo. Un gelato alla vaniglia con gli smarties, ok? Non voleva le stelle ed il firmamento. Si era sentito abbastanza badger da salire in auto, e darsi quel contentino. Aveva bisogno di energie se voleva trovare la forza per connettersi alle piattaforme di ricerca del lavoro ed inviare il suo CV (portarlo cartaceo? Preferiva morire di fame.) e… solo quello.
    Non sapeva più dove fosse.
    Il sole era calato.
    Non c’era neanche un lampione.
    Se avesse fermato la macchina, sapeva non l’avrebbe più rimessa in moto. Sarebbe rimasto a dormire lì, vivere lì, finché Joey non fosse andato a prenderlo, ed avrebbe anche pianto un po’ già che c’era. Osservando il nulla oltre il finestrino, come la protagonista di una qualsiasi romcom su Netflix. Non poteva fermarsi. Ormai stava guidando per inerzia, con i sintomi di un attacco di panico a premere sulla gola struggendolo di tachicardia. Deglutì forzatamente.
    Un rumore. Metallico e secco. Temette di aver perso la marmitta, Stan. Il cerchione, e magari esserci passato sopra bucando la ruota. Un pezzo di motore, forse.
    Decise di fare l’unica cosa che qualsiasi altra persona matura avrebbe fatto: allungò le dita verso la manovella della radio, alzando il volume fin quando non riuscì a sentire altro se non i bassi a far tremare i vetri.
    «bella questa» obbligò le parole a uscire dalla gola, e la testa a muoversi a tempo. Sentiva i muscoli della schiena irrigiditi, il soffitto della bocca terribilmente asciutto. «I just wanna go baaaaaaaaack, back to 1999, take a riiiiide to my ooooold neighborhoooooood» si rilassò abbastanza da staccare il palmo sudato dal volante, in favore di un tamburellare ritmato con la sola punta delle dita.
    Ok. Ok! Poteva farcela. Tranquillamente, perfino. Sarebbe andato sempre dritto finché non avesse riconosciuto… qualcosa, o Gmaps fosse tornato ad andare. Aveva tutto sotto controllo. Gli venne perfino da ridere. Cioè, ma poteva essere così pirla da preoccuparsi per un minuscolo imprevisto? «I JUST WANNA GO BAAAAACK, SING “HIT ME BABY ONE MORE TI-”» non avrebbe negato lo strillo che sfuggì dalle labbra. Avrebbe solo, come tanto gli veniva bene, finto non fosse mai successo.
    Ma gridò, Stanley. Sbattè la testa contro il sedile dell’auto, schiacciando il pedale del freno così improvvisamente da sentire la cintura di sicurezza tagliargli la pelle del collo, le dita arrotolate sul volante cercando di fermare la macchina fisicamente. C’era qualcuno in mezzo alla strada
    Tunf.
    Oddio.
    Oh mio dio.
    Oh -
    La macchina si fermò. Charlie XCX e Troye Sivan continuarono a cantare di voler tornare nel millenovecentonovantanove, e il cuore di Stan batteva così veloce che doveva aver raggiunto la velocità necessaria per viaggiare nel tempo ed accontentarli. Aveva investito qualcuno?
    Mh.
    Doveva – guardare. Scendere. Controllare? Rimase a guardare la strada di fronte a sé, illuminata unicamente dai suoi fanali, con tanto di bocca dischiusa in sorpresa e vertigini causate dalla botta di adrenalina. Oddio.
    Aveva.
    No.
    Cosa.
    Uh.
    Mh.
    Battè le palpebre.
    E sentì qualcosa picchiare contro la parete del passeggero.
    Gridò di nuovo, portando la mano al collo come una dama ottocentesca, coprendo poi la bocca con le dita. Si zittì solo quando qualcuno aprì la porta, si lanciò sul sedile, e gli intimò di partire prima ancora di aver chiuso la portiera. E cosa potevi fare quando una persona sconosciuta, in una strada desolata e abbandonata di Londra, ti finiva quasi sotto l’auto, e poi si accomodava al suo interno intimando con urgenza di partire??????????
    Partivi. Senza domande.
    Andava tutto bene.
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    ebbene. ebbene.
    sì. ancora io.
    non mi scuserò. vi dirò però che: può essere chiunque. State scappando da qualcuno? da QUALCOSA? siete solo arrabbiati in generale?? fuggiti di casa?? Non lo so. andiamo all'avventura insieme, di ignoranza. A CAZZO DURO!
     
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    irma buckley
    13.03.1994
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    Alla sesta volta che il telefono iniziava a vibrarle nella tasca posteriore dei jeans, finalmente Irma si decise a rimuovere uno dei quanti, sfilandolo con i denti, e a tirare fuori il Redmi, sollevando appena gli occhi verso il soffitto quando notò chi la stava chiamando.
    «heeeey, connie» a voce bassa, per evitare di farsi sentire da tutto il condominio (disabitato, a quell'ora, ma non si poteva mai sapere), salutò la sua bestia (non un typo) allungando un po' troppo quella prima vocale, per nulla sospetta, dicono da regia. «non è un buon momento,» – focus su una telecamera immaginaria che, dal primo piano sulla special, pian piano allarga l'inquadratura e mostra sempre di più dell'ambiente circostante: una stanza, buia, un mobile che sembra una scrivania con tanto di PC portatile lasciato acceso ma con lo schermo bloccato, e due mobili a giorno appoggiati contro le pareti a nord e sud della stanza; Irma, rannicchiata a terra, teneva la schiena premuta contro uno di questi due – «priorità: non sono morta, e non mi hanno arrestata» ancora «di nuovo» andava specificato, «non potevo rispondere, scusa, e ora devo proprio andare.» sentiva dei passi avvicinarsi oltre la porta a vetri che dava sul corridoio lugubre, e non poteva rischiare di essere beccata lì. «non aspettarmi per cena BACI» e prima di poter sentire le repliche della geocineta – perché sapeva che sarebbero arrivate – Irma chiuse la telefonata imprecando fra sé e sé: non le piaceva essere maleducata con Cornelia, anche perché sapeva che l'altra non l'avrebbe apprezzato, ma in quel caso faceva di necessità virtù.
    …che non era proprio il detto giusto per la situazione ma sapete a chi non importava? Esatto, alla rossa che si era intrufolata in quell'ufficio senza permesso, e non voleva davvero essere beccata lì dal proprietario di quel bellissimo cagnone che aveva visto nella fotografia su tutte le mensole (giuro: su tutte.) e dovergli spiegare cosa ci facesse nel suo ufficio, chiaramente senza appuntamento. Era finita nei guai per molto meno, e la sua fedina era molto più che sporca, era praticamente uno straccio lercio, e non poteva davvero permettersi un'altra nota rossa sul registro.
    «veloce, pensa.» più facile a dirsi che a farsi, quando l'adrenalina faceva pompare il sangue più forte e il tum-tum-tum del cuore arrivava a martellare fin dentro alla scatola cranica.
    Dovette ricordarsi che non era il suo primo rodeo, che si era tolta da situazioni ben peggiori, ma le sue uniche via di fuga in quel momento erano le scale antincendio dall'altra parte del corridoio (nel quale, ricordiamolo, passeggiava ignaro di tutto un povero cristo – nella peggiore delle ipotesi, lo stesso cristo che di lì a breve sarebbe entrato nell'ufficio per recuperare la borsetta del pranzo dimenticata quel pomeriggio o chissà cos'altro) oppure la finestra alle spalle della scrivania — purtroppo l'idrocinesi non aveva donato alla Buckley il dono della levitazione, e fare un volo di cinque piani non le sembrava il massimo delle aspirazioni.
    Ok, quindi: «a cazzo duro» sia.
    Abbassò il berretto nero sulla fronte, attenta a nascondere bene ogni ciuffo ramato, e poi lo calò sugli occhi, coprendo intanto la bocca e il naso con il collo alto del maglioncino indossato: si sentiva molto Nancy Drew, o Arsenio Lupin.
    Tutto quello sbatti, e non aveva trovato neppure quello che cercava UGH.
    Rimanendo accucciata – precauzioni inutile, ma faceva troppo totally spies per non farlo – raggiunse il dispenser dell'acqua e ne riempì un bicchiere, portandolo con sé fino alla porta, dove versò il contenuto proprio ai piedi dell'uscio, spingnendolo poi con il proprio potere fin sotto la fessura, verso il corridoio, concentrandosi per allargarlo e renderla una macchia quanto più grande e scivolosa possibile — non voleva far male al poverino, voleva solo rallentarlo e darsi la possibilità di raggiungere le scale prima di essere acciuffata e sbattuta prima a terra, poi ad Azkaban.
    Quando sentì il tonfo inconfondibile di un corpo che cade a terra a peso morto, allora scattò in piedi, aprì la porta e corse come una forsennata, come non aveva mai corso in vita sua (e per un buon motivo).

    Incredibile la disperazione a che cosa poteva portare: nel caso si Irma, a correre a gambe levate per chilometri senza badare al fiatone o alle gambe doloranti o al fatto che, se fosse stata abbastanza disperata tutta la vita, avrebbe potuto benissimo competere per la maratona di New York. Ah, le occasioni sprecate nella vita.
    Si decise a fermarsi per riprendere fiato solo quando sentì i polmoni bruciare e le gambe minacciare di cedere sotto il peso dello sforzo, e quindi arrestò la sua corsa lì dove si trovava (dove si trovava?) senza minimamente accettarsi se fosse un luogo sicuro o meno. Non ne ebbe il tempo.
    Vide i fari dell'auto ancora prima di sentire il rumore del disco dei freni che veniva letteralmente ucciso da una frenata senza pietà, poi sentì il muso dell'auto impattare contro il suo fianco e in seguito l'asfalto mordere la pelle morbida della coscia e del palmo della mano, con cui aveva cercato di evitare di schiantarsi di testa sulla strada.
    Stordita, e già messa a dura prova dalla fuga a gambe levate, Irma ci rimise un po' a rimettersi in piedi, e quando lo fece fu borbottando un «ma chi gliel'ha data la patente» più che doveroso — come se non fosse stata lei quella al centro della carreggiata, ferma immobile con le mani premute contro ginocchia e il fiato corto.
    Ma sapete cosa?
    Lì, nel bel mezzo del nulla dimenticato pure da dio Justin Timberlake, l'apparizione di quell'auto era quasi provvidenziale. Poteva mai rifiutare un segno del destino (come una role aperta dove imbucarsi) e non approfittarne? No, esatto.
    Fece esattamente quello che qualsiasi folle malintenzionato avrebbe fatto: il giro dell'auto, fino ad arrivare al lato del passeggero, e poi iniziò a battere sul finestrino come una forsennata.
    Quando il conducente iniziò a gridare, Irma gridò con lui. «NON URLARE DAI MA CHE MODI» Era davvero una persona peculiare, aveva persino lasciato le sicure sbloccate — o era un malintenzionato a sua volta e non lo preoccupava l'idea di venire aggredito fermo al semaforo (si vede che non aveva mai guidato sulla Colombo) oppure era solo scemo.
    Irma, dal canto suo, non ci pensò due volta prima di salire sulla vettura e chiudersi lo sportello alle spalle. Non le sfuggì la scelta ironica della canzone sparata a tutto volume nell'abitacolo.
    Dopo svariati secondi di silenzio, in cui aveva fissato apertamente il biondino alla guida, sollevò entrambe le sopracciglia e indicò la strada. «beh, che facciamo?» Quando vuoi puoi partire, eh.
    Ah, ok, aveva capito: aveva visto un sacco di episodio di 911 la rossa (e con un sacco intendo: tutti, anche lo spin-off) e sapeva esattamente di cosa si trattava: «sei sotto shock. Ma guarda, sto bene!» si toccò in più punti, dimostrando di essere tutta intera, «ora possiamo partire?»
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    scusa amo doveva andare così
     
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    stanley luna
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    Adrenalina? Shock post traumatico? Non vi è dato saperlo, vi basti essere consapevoli del fatto che Stan Luna fosse perfettamente funzionale e nel pieno delle proprie capacità motorie e fisiche, tanto da togliere il piede dal freno e tornare ad accelerare. Non un pensiero, non uno solo, nei primi metri consumati con una sconosciuta appena investita al posto del passeggero.
    Poi la realtà, lenta ma inesorabile, iniziò a farsi strada nella nebbia del suo scarsamente abitato campo emozionale, costringendolo a deglutire saliva e bile e spostare effettivamente lo sguardo dalla strada per portarlo sulla ragazza. Perfino guardandola, temette fosse uno strano frutto della sua immaginazione. O peggio: un fantasma vero e proprio, che ancora non fosse a conoscenza di essere morto. Era possibile? Sentì gli occhi pungere di lacrime, ma si rifiutò di versarle. Spettro o meno, c’era qualcuno nella sua auto, e Stanley Luna non aveva alcuna intenzione di spiegare ad un’entità, fisica o meno che fosse, i suoi copy mechanism in merito al terrore, o all’improvvisa assenza di epinefrina nel sangue. Provava la strana sensazione di essere asciutto dentro, privato di ogni liquido come una medusa incagliata in un lido. Provò a passare la lingua sulle labbra, ma sentì tutto affilato, e ruvido; carta vetro su parti dure. Tentò anche di schiarirsi la gola, invano. Quando aprì bocca per parlare, ne uscì lo stesso rantolo che accompagnava le mattinate di chi lavorava nelle fattorie - un asino, ed uno che non fosse felice di essere stato svegliato. Ricompose mentalmente quanto detto dalla persona.
    «non sono sotto shock»
    (era molto sotto shock. Tremava così forte da dover serrare le dita attorno al volante, per impedirsi di prendere il volo come una delle fate con cui giocavano sempre le sue vicine al piano di sotto)
    «andiamo???» MA DOVE. DOVE DOVEVANO ANDARE. Un altro verso di gola sgusciò dalla bocca del Luna, qualcosa di sofferente e decisamente poco umano. «oddio ti ho investito scusa ma è sangue quello? sembra sangue. non ho cerotti non ho bende non ho conoscenze posso cercare su internet però» tutto insieme, a flusso di coscienza. Stan seguiva la filosofia di pensiero per cui sentire i ragionamenti ad alta voce, li rendeva sensati e reali. Il primo passo per ideare un piano, era elencarne gli obiettivi, e seguirli fino a giungere ad una soluzione. Mai come in quel momento sentì la mancanza di un quaderno dove prendere appunti. Non era progettato per agire d'impulso, od adattarsi alle situazioni di stress. Non era in grado di reagire - ma stava continuando a guidare senza entrare in full modalità panico, e credeva fosse più di quanto chiunque, viste le sue circostanze, potesse chiedere. «dove devi andare. oltre che in ospedale. dove ti porto. al san fungo??» MA C'ERANO LE INDICAZIONI PER IL SAN FUNGO SU GOOGLE MAPS? «non sembri preoccupata. perchè non sei preoccupata? ti ho investito. messo sotto con la macchina. sprimacciata come un cuscino sotto le gomme» era uno scrittore, conosceva mille modi per dire le cose, ed in quei :sparks: momenti :sparks: in cui il sangue non arrivava al cervello, li diceva tutti. Un moderno poeta. «sei già morta vero? oddio sei già morta» curvò le labbra verso il basso, le nocche bianche per lo sforzo di stringere il volante. Di nuovo, sentì gli occhi riempirsi di lacrime.
    E poi: «non era così che avevo immaginato il mio primo omicidio» Per errore, capito? Che modo di merda per andare in prigione.


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    irma buckley
    13.03.1994
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    Suonerà strano e assurdamente folle, ma essere investita da un’auto in corsa non era la cosa peggiore che fosse successa alla Buckley — dopotutto, era stata abbandonata dai suoi genitori, rimasta orfana dell’unica donna che avesse mai considerato come mamma, l’avevano rinchiusa nei laboratori per anni … voglio dire: finire sotto le ruote di quell’auto sgangherata non era nemmeno nella top 20 delle cose più terribili mai successe in quei venti e qualcosa anni di vita.
    Ok, aveva fatto male, e l’asfalto aveva lasciato escoriazioni, laddove il tessuto degli abiti si era strappato lasciando la pelle scoperta, ma poteva sopportarlo. Inoltre, poteva sempre ricorrere al suo potere e guarire almeno in parte alcune delle ferite, ma per il momento non voleva ancora giocarsi la carte “special” con lo sconosciuto (non aveva ancora del tutto eliminato l’ipotesi che fosse un serial killer — e sì, ok, era stata lei a salire sulla sua auto, ma chissenefrega).
    «non sono sotto shock»
    Senza guardarlo, ma tenendo comunque traccia della sua figura e dei suoi movimenti con la coda dell’occhio, rispose distrattamente «uhuh» mentre controllava i danni della caduta: il gomito, stando alle scariche elettriche che sentì pervaderla quando lo tastò con due dita, doveva avere avuto la peggio, e il giacchetto di pelle era decisamente da buttare. «era il mio preferito, uff» borbottò tra sé e sé, togliendolo per avere una visuale migliore sulla ferita. Anche la gamba destra aveva riportato graffi e tagli, ed era abbastanza certa che piccoli granelli di asfalto fossero rimasti incastrati nella pelle lacerata, ma li avrebbe rimossi in un secondo momento.
    Fu un lavoro certosino ma molto veloce, era piuttosto abituata a fare una stima precisa dei danni anche con poche occhiate, e quando distolse le iridi nocciola per riportarle sul biondo al volante, la sua espressione era chiaramente quella di una che non se l’era bevuta. «certo»
    Era molto sotto shock.
    Bastava vedere l’espressione attonita e il modo in cui serrava il volante con una forza tale da suggerire che potesse sdradicarlo.
    «quindi…»
    «andiamo???
    «eh, se ti va.»
    Non capiva, sinceramente, cosa stesse aspettando: l’intervento della guardia nazionale?!
    «sai che– oddiocoseraquelverso?!?!?» cos’era stato? Si voltò di scatto per osservare i sedili posteriori, convinta di trovare un asino o qualche creatura magica rubata dallo zoo. «cos’hai nel portabagagli?! cosa–» «oddio ti ho investito scusa ma è sangue quello? sembra sangue. non ho cerotti non ho bende non ho conoscenze posso cercare su internet però»
    Ah.
    Era stato lui.
    Tornò a rilassarsi contro il sedile, la special, accarezzandosi un fianco che, nel voltarsi di fretta, aveva notato facesse più male del previsto: forse, dopotutto, la conta dei danni non era stata così precisa. «hey, hey!» sventolò una mano nella sua direzione, sperando di non distrarlo troppo perché l’ultima cosa che serviva ad entrambi era andare a sbattere contro un albero, «stai tranquillo, ok? sono viva e sto bene. un po’ di sangue al massimo macchierà la tappezzeria della tua auto ma non mi ucciderà.» pensate, avrebbe anche potuto aiutare a lavarlo via, se lui si fosse dimostrato una persona che valeva la pena di aiutare — Irma stava ancora decidendo, a riguardo.
    «dove devi andare. oltre che in ospedale. dove ti porto. al san fungo??»
    «ah-a! nope, nessun ospedale.» Non è che avesse propriamente un problema con i camici bianchi, ma aveva un problema con i camici bianchi: le ricordavano i giorni nei lab e se poteva li evitava. «sto bene, davvero. solo qualche graffio, passeranno.»
    «non sembri preoccupata. perchè non sei preoccupata? ti ho investito. messo sotto con la macchina. sprimacciata come un cuscino sotto le gomme» «parli davvero un sacco, lo sai?» e, più lui parlava, più Irma iniziava a sospettare che non fosse un serial killer: solo un poverino che si era trovato nel posto sbagliato, al momento sbagliato. «non sono preoccupata perché–» «sei già morta vero? oddio sei già morta» Al ché, Irma sollevò un sopracciglio e riservò un’occhiata sbieca al biondo. «nemmeno tu hai un’aria molto sana, eh. mpf.» ma guarda un po’ questo! «non sono morta, ho solo corso molto forte, e molto a lungo.» ci tenne a chiarire, braccia conserte al petto e smorfia imbronciata a curvare le labbra. «e, come cercavo di dirti, non sono preoccupata perché non è la prima volta che mi investono. hai delle gomme da masticare?» un cambio di argomento repentino, non perché avesse da nascondere qualcosa e non volesse parlare degli altri incidenti in cui era finita, ma semplicemente perché erano così banali e all’ordine del giorno, per Irma Buckley, che non valeva nemmeno la pena perderci su tempo. «o una mentina. oh, una boccetta d’acqua magari!! sarebbe il top.»
    Intanto lui: «non era così che avevo immaginato il mio primo omicidio»
    E quindi lei: «pensi spesso a come sarà il tuo primo omicidio…..?»
    Forse, infondo, magari era davvero un serial killer — uno che non era ancora sbocciato, però.
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    stanley luna
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    Doveva fermarsi. Una parte di Stan, non sapeva quale nè quanto importante (cit; sì, è Twilight), sapeva di doversi fermare, così da poter prestare perlomeno un finto primo soccorso alla ragazza che aveva appena maledettamente investito, ma apparato muscolare e neuronale sembravano in disaccordo su come agire: continuò a guidare, perchè lo stava già facendo, e non scegliere era una delle sue attività preferite. Non sapeva quando, o se, sarebbe finita quella strada, nè dove li avrebbe portati. Non era neanche certo che la benzina sarebbe bastata, ma aveva deciso fosse il problema di uno Stanley del domani: quello, aveva preoccupazioni più pressanti a cui pensare. Gli occhi chiari del Luna guizzarono rapidi dalla strada al passeggero al suo fianco, sopracciglia corrugate nel seguirne i movimenti. Un altro mezzo rantolo sgusciò dalle labbra del serbo nel notare altro sangue, l'odore ramato a mescolarsi a quello umido della tappezzeria dell'auto.
    Che cosa stava succedendo.
    «stai tranquillo, ok? sono viva e sto bene. un po’ di sangue al massimo macchierà la tappezzeria della tua auto ma non mi ucciderà.»
    Magari aveva un trauma cranico. La squadrò ancora di sottecchi, umettando nervoso le labbra. In un mondo idilliaco, Stan possedeva le conoscenze sul primo soccorso, perché a lavoro era stato obbligato a seguire un corso in merito, ma nella realtà aveva solo firmato quello che il suo RSPP gli aveva chiesto di firmare, senza seguire alcun corso. Il serbo non aveva mezze misure: o si faceva troppe domande risultando nevrotico e vittima della paranoia, o non se ne faceva affatto, limitandosi ad attendere che qualcuno gli desse indicazioni su dove andare assecondando qualunque richiesta. Neanche i film l'avevano mai edulcorato in materia, era una delle rare anime al mondo che mai aveva seguito una puntata di grey's anatomy, e come scrittore, era sempre più preoccupato a sferrare il colpo che a sopravviverlo. Ricordava vagamente qualcosa sul non poter dormire ...? Sulla luce negli occhi per osservare la (non??) dilatazione della pupilla ...?
    Era tendenzialmente fiducioso, ma trovò il fatto che la ragazza non volesse andare in ospedale alquanto sospettoso. Corrugò le sopracciglia, un'altra occhiata in tralice a cercare sulla pelle esposta di lei qualche tatuaggio compromettente che la legasse a unità criminali (ma perché, Stan, conosci i tatuaggi dei mafiosi? No, ma era convinto che se ne avesse visto uno, l'avrebbe saputo). Insoddisfatto, riportò occhi e dubbio sulla strada, curvando gentilmente per evitare di sballottollare la sua passeggera. «perché non vuoi andare in ospedale?» non ci provò neanche a mascherare il cinismo, perché l'aveva appena investita, e non voleva che gli morisse in macchina solo perché non era stato in grado di prestare soccorso. Quando si immise in una strada principale, abbandonando la selva oscura e la mancanza dei lampioni, cercò cartelli che potessero rivelarsi utili.
    «preferisci un ambulatorio veterinario?» Il tono serio del serbo indicava che non stesse scherzando affatto, e non fosse una battuta per darle implicitamente dell'animale: aveva visto un sacco di film dove i criminali andavano a farsi rattoppare dai veterinari. Non sapeva quale reale motivo avesse la bionda per non voler una struttura sanitaria pubblica, ma non avrebbe creato una discussione prima di risolvere il problema. Dopo, magari. Quando fosse stato certo che non sarebbe morta a causa sua.
    «e, come cercavo di dirti, non sono preoccupata perché non è la prima volta che mi investono. hai delle gomme da masticare?» Il suo cervello non funzionava così velocemente da fargli elaborare due informazioni in contemporanea. Rimase incastrato nella prima parte, quella in cui l'altra ammetteva di farsi investire a settimane alterne, arrovellandosi sul modo migliore per interpretare quella frase, e risponderle. Che fosse una truffatrice? Intascava poi i soldi dell'assicurazione? «non ho l'assicurazione» chiarí subito, caso mai avesse creduto di aver trovato un altro pollo da spennare. Joke's on her, quel pollo era già mcnuggets da un pezzo! La seconda osservazione che si sentì di fare, perplesso e personalmente oltraggiato dall'intera situazione, considerò di tenerla per sé, ma dopo intensi secondi di analisi e dissossatura mentale, sbottó «e non ti ha insegnato a guardare prima di attraversare?!» HE COULD NEVER! Fool me once, non avrai mai più la possibilità di percepirmi una seconda volta da fool me twice, perché non lascerò mai più la sicurezza della mia dimora. Imparava dai propri errori e da quelli altrui, Stan - che non significava non li ripetesse mai, solo che, facendolo, sapeva quanto fosse stupido e civilmente sbagliato. L'espressione del Luna si corrugò di assurda ed assurda richiesta, senza prendere in considerazione neanche per un istante di cercare caramelle, gomme, o acqua. Pensava fosse una spa? ALL'OSPEDALE AVREBBE TROVATO TUTTO QUELLO DI CUI AVEVA BISOGNO, e - soprattutto - non sarebbe più stata un problema suo, quindi perché non poteva essere rispettosa quanto lui, ed aiutarlo a liberarsi da quella miseria? «pensi spesso a come sarà il tuo primo omicidio…..? Nonostante fosse l'unica macchina in circolazione, le abitudini erano dure a morire, mise la freccia per immettersi sulla strada che l'avrebbe portato in centro. Non esitò nel «si» di risposta, perché duh, certo che ci pensava spesso. Non si sarebbe neanche giustificato dicendo di essere uno scrittore, perché lo faceva come Stan, non come i suoi personaggi - e no, fortunatamente per tutti, non era uno di quegli autori che volevano provare sulla loro pelle tutto quello da riportare nelle storie. Sarebbe stato..... qualcosa. «ed anche a come morirò. funerale e colonna sonora compreso» azzardó un'occhiata verso l'altra, sorpreso. «tu no?» Assurdo???


    diploma
    ??? help
    muggle25 y.o.serbian????

    Those days it was so much better, oh
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    irma buckley
    13.03.1994
    danzica, pl
    L’idrocineta non stava vivendo il miglior pomeriggio della sua vita.
    MA!! Non stava vivendo nemmeno il peggior pomeriggio della sua vita, quindi, per citare un saggio, daje? Le cose non andavano così male, a parte qualche escoriazione, il giacchetto di pelle da buttare (l’unica vera nota triste di tutta quella vicenda, rip amigo) e una o due costole incrinate – stando al dolore che aveva sentito dopo essersi voltata un po’ troppo bruscamente per controllare se ci fossero creature fatte uscire clandestinamente dallo zoo –; era ancora viva, no? Perciò doveva reputarsi fortunata.
    Tipo letteralmente, perché non aveva mai fatto nulla, nella vita, che fosse prudente e non avrebbe di certo iniziato in quel frangente; perciò, poter dire di esserci arrivata a vivere quel giorno era un successo di cui tenere conto, nel grande insieme delle cose.
    Poi, oh, mica aveva sbattuto la testa o cose simili, cadendo! Era stata abbastanza sveglia (disse lei, mai nella vita) da attutire il colpo con le braccia e non finire con il cranio sull’asfalto, perciò, di nuovo, daje. Perché l’altro si preoccupasse così tanto, proprio non lo riusciva a capire.
    «perché non vuoi andare in ospedale?»
    «perché mia mamma lavora lì e non voglio si preoccupi!»
    Facile, la bugia a scivolare sulla lingua; una di moltissime, e di certo non l’ultima che avrebbe rifilato al ragazzo. O, in generale, nella vita.
    «preferisci un ambulatorio veterinario?» Portò la mano al petto, a quel suggerimento, spalancando la bocca con aria esterrefatta. «mi stai dando della» cagna «bestia?» Del tono serio del biondo, Irma non sapeva che farsene; non lei, che amava tendere al ridicolo e al (tragi)comico qualsiasi circostanza. «scherzo, non sono offesa.» Pausa. «o forse….» altra lunga pausa. «no, non è vero. ti sto prendendo in giro.» Il tutto, nello spazio di pochi minuti — ma quelli, ne era più che certa, sufficienti a confondere ancora di più il povero cristo.
    Se non avesse il precedente di averla tirata sotto le ruote della sua carretta, probabilmente Irma si sarebbe sentita quasi dispiaciuta per lui.
    «non ho l'assicurazione»
    «quindi se muoio è un gran bel casino, per te, amico?» A occhio e croce avrebbe detto di sì. Lo sarebbe stato anche per lei, in effetti, ma lungi da Irma Buckley arrivare a pensare a tanto. O riuscire ad unire i puntini. «sei fortunato che stia bene sottolineò allora, per l’ennesima volta, perché non sarebbe morta in quella carcassetta di lamiere e sedili di pelle rovinata.
    E, vecchia e rovinata per vecchia e rovinata, Irma alzò una gamba e posò lo stivaletto sul cruscotto dell’auto, con la nonchalance di davvero nessuno che si fosse ritrovato nella sua stessa situazione. Si mise ad armeggiare con la stoffa strappata dei jeans, accendendo poi anche la luce di cortesia per osservare meglio la ferita sul ginocchio, tamponando il sangue che scendeva (fortunatamente in maniera modesta) e provando a fare la conta di quanti minuscoli granelli di asfalto si fossero conficcati sotto la sua pelle.
    Il tutto, , sotto lo sguardo del povero biondo. C’erano priorità, e priorità; lo sconosciuto non rientrava in nessuna delle due categorie, per Irma.
    Si lasciò sfuggire un «do cholery» nella sua lingua natale, stringendo poi le labbra tra i denti, quando un’ispezione un po’ più invasiva del previsto fece scattare un interruttore invisibile e una scarica da millemila volta partì dal ginocchio, arrivando fino al cervello. Minchia se faceva male. Nulla a cui non potesse sopravvivere, certo, però «porcaputtanaladra
    E intanto, quello parlava e parlava.
    Ma quanto parlava?
    E se lo diceva lei, poi!!
    «e non ti ha insegnato a guardare prima di attraversare?!»
    «e a te nessuno ha insegnato a guidare?! hai un fanalino rotto, genio!!» o forse lo aveva rotto lei, sbattendoci contro, difficile dirlo – non aveva i ricordi così chiari riguardo quanto successo. Era accaduto troppo in fretta perché Irma ne registrasse anche i dettagli. «come minimo, ci scappa la multa e anche qualche punto sottratto alla patente.» tiè!!!
    Rimise giù la gamba, decidendo che stuzzicare la ferita non fosse la più saggia delle idee, e sperando che Connie non avrebbe fatto troppe domande quando sarebbe tornata a casa, sanguinante e zoppicante, per l’ennesima volta.
    In qualche modo, poi, si rese effettivamente conto che la conversazione avesse virato su tutt’altro argomento, e si fermò ad osservare il profilo del ragazzo con le sopracciglia a aggrottate.
    «si. ed anche a come morirò. funerale e colonna sonora compreso»
    Rimase in silenzio a lungo, occhi sbarrati rivolti al’altro, che nel voltarsi brevemente verso di lei la trovò esattamente così: esterrefatta, confusa e, ugh terribile, odiava ammetterlo, un pochino eccitata. «tu no?» Assurdo???
    Era davvero troppo strano.
    Lui, intendo. Non la situazione che stavano vivendo.
    Scosse piano la testa, senza perdere l’espressione beota disegnata sul viso. «sai com’è, tendo a preferire il contrario. godermi la vita! lo so, lo so, assurdo» e minchia sì, lo stava sfottendo. E anche alla grande. Stesso tono di voce e tutto il resto!!!
    «e dimmi.» per sua sfortuna, però, zitta proprio non sapeva rimanerci. «com’è che te lo immagini? pieno di gente? e che canzone suonano? hallelujah di leonard cohen
    Se le avesse risposto “no, la versione di Jeff Buckley” si sarebbe yeetata dall’auto in corsa.
    wizard
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    halfblooddeatheaterw.i.t.c.h.rascal


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    because this road
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