Votes taken by traptitude

  1. .
    il voto dei protettori è quello di permettere a se stesso ed ai compagni di vedere l'alba successiva, sopravvivere per combattere un'altra guerra.
    Era un caso che tutte le apparizioni della Madonna di Amos fossero in un pub? Con una bambina di un anno e qualcosa a carico il pubblico a casa si spera di sì, perché se no sarebbe stato strange forte, il suo personalissimo au di Una Notte da Leoni. Forse era incorporato nella sua slut era pack, difficile a dirlo. Una slut era che era meno fiorida dell’anno precedente, un fiume che si era ridotto a niente più che un rivolo. C’erano poche cose che erano in grado di trattenere la sua attenzione per un lasso di tempo significativo, distratto e con la testa tra le nuvole sin dalla più tenera età, ma lo sforzo per trovarle valeva la salita. Tracce di schiuma della birra rimanevano testardamente aggrappate alla barba dell’Hamilton, il boccale di birra abbandonato vicino alle braccia incrociate. Spinse il mento contro il palmo della mano, la mente a vagare senza il suo permesso. Aveva un senso di déjà vu, l’Hamilton, nello studiare i volantini affissi alla bacheca di volti che conosceva. Si chiedeva se era così che si era sentita sua sorella, quando anni prima era scomparso nelle tenebre di una notte qualsiasi. Amos aveva sentito voci di quello che era successo agli scomparsi, ma pregava per loro che non fosse niente di equiparabile a quello che aveva vissuto in quel capanno. Era proprio perché aveva provato sulla propria pelle cosa significasse non esistere più agli occhi del mondo, che si sentiva in dovere di unirsi alle missioni organizzate dal ministero 🤡🤡🤡.
    Come tutti possiamo notare, era immerso nel suo mondo, a ponderare questioni di massima importanza.
    Nemmeno si era accorto che qualche stronzo qualsiasi si era accomodato dietro a lui. Certo, avrebbe dovuto avere una migliore cognizione dei propri dintorni di quei tempi, ma quanto poteva essere sfortunato per battere le statistiche sui rapimenti due volte.
    Sussultò quando una mano sfiorò la sua spalla, e se fosse stato in un cartone animato, sarebbe saltato così in alto sulla sedia da sbattere il capo sul soffitto. Decise di lasciar perdere, di ignorare la mano molesta nella speranza che fosse stato un errore umano. Eppure, quella mano non voleva ignorarlo di rimando. Non era l’inizio di un porno, probabilmente. Per quanto gli piacesse far finta di esistere e non essere percepito, essere palpato senza nemmeno un invito a priori era il suo hard limit. Si voltò lentamente per dire allo sconosciuto di darci un taglio, mani strette sul bordo della sedia per mantenere l’equilibrio e occhi celesti vagamente disturbati.
    Quando–
    «la mia anima gemella?!»
    Oddio, era come trovarsi in una fiction di Rai1.
    E in effetti, a un più attento sguardo, Amos riconosceva quel volto.
    Sussultò sulla sedia per una seconda volta, i suoi movimenti a telegrafare mossa per mossa quelli di «yale???» ma chi, la sua anima gemella? Proprio lei. «non dirmi che ora spunta nelia dal bagno» tratto da una storia vera, luogo in cui si era infilata l’ultima volta per poi non uscirne mai più. Ci mise ancora qualche attimo per riprendersi dalla sorpresa, per poi scivolare accanto a dove era seduto Yale con il suo boccale di birra. «cosa mi racconta la mia anima gemella preferita?» guardatelo, che onesto cittadino, che anzi di cercare di estrarre dettagli sulla Missione si perdeva in small talk come solo un vecchio in coda all'eurospin avrebbe potuto fare.
    amos
    hamiltom

    'Til the veins run red and blue
    We come around here all the time
    difensore protettore
    [un tiro pd bonus]
    SPECIAL
    LEADER
    1996 — special — lumokinesisWe're hollow like the bottles that we drain
    You drape your wrists over the steering wheel
    Pulses can drive from here
    We might be hollow, but we're brave
    400 lux
    lorde
    moonmaiden, guide us
  2. .
    CITAZIONE
    questa è colpa di freme e dei suoi sogni profetici. voi non leggete non percepitemi

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    nicholas galitzine
    I should let go and I'll get it
    I need comfort, but I hate being comfortable
    I wonder why I hate getting what I want
    It's torture, but I can't seem to shake it off
    Sapete quel detto che recita al cuor non si comanda? Ecco, vi era un altro organo a cui era difficile dire di no e Amos ne era costante vittima. Era lo stesso motivo per cui si era beccato un proiettile nella spalla, la pelle raggrinzita e rialzata una memoria impressa dietro alle retine e sui propri polpastrelli. Una memoria che al momento aveva ben poca importanza, spazzata via dalle labbra di Marcus che si infrangevano sulle sue e prendevano e prendevano ancora senza alcuna finezza. A quel punto, era un miracolo che l’Hamilton avesse abbastanza lucidità da tentare di aprire la porta del cubicolo. A quanto pare: non abbastanza. «così finisce che ti fai male, amos» si lasciò allontanare a malavoglia, le labbra a piegarsi all’ingiù in un broncio contrariato, come se l’uomo gli avesse fatto un torto «calma» quell’ultima parola a perdersi tra i loro respiri suscitò diverse reazioni in Amos, così come la mano che si strinse sulla sua mascella. Reazioni che era sicuro l’Howl potesse percepire, innegabile il desiderio che pulsava nelle vene, ferale e febbricitante. Si lasciò spingere oltre la porta, perché ormai tutti abbiamo capito che Amos aveva un manhandling kink e good for him. Fu improvvisa la perdita di calore e del corpo premuto contro il suo, un battito di ciglia e quello dopo si era ritrovato ad osservare la schiena di Marcus. Una bellissima schiena, attenzione, ma non un qualcosa a cui era interessato in quel momento. Strinse le dita attorno al bordo della porta per affacciarsi, facendo leva sui talloni, giusto in tempo per vedere l’uomo recuperare il coltello da dove lo aveva lasciato. Chissà se era perché voleva usarlo su di lui. Poteva pensare a modi più piacevoli di essere impalati, ma a ognuno i suoi gusti. Si lasciò premere nuovamente alla parete da Marcus, le dita ad incastrarsi nei passanti della cintura per attirarlo a sé, fino a che il concetto di distanza aveva perso motivo di esistere. «voglio essere chiaro» niente freme va così se no non finisco più, a ognuno i propri demoni. Amos splayed his hands over the man’s hips, feeling the jut of his hip bones against his palms. He tipped his chin, somewhat curious as to what Marcus had to say, even if he already had a vague idea. «questa è solo una parentesi» Amos smiled, somewhat amused, a boyish grin that matched the glint in his eyes «non l’ho mai considerata nient’altro» the note in voice was rough and tight, trapped somewhere between his larynx and the press of Marcus’ palm against his skin. He knew that Marcus could feel his crazed heartbeat pounding furiously, the veins on his neck throbbing and dilating, a song of its own vowing into the cacophony of their breaths. The hand laid on the man’s hips trailed upwards, brushing against crisp fabric and hard muscle, drawing a map under his fingertips. He tipped his head forward and let Marcus catch his lips, a low moan captured by his mouth, while he let the man take what he wanted. It was far more chaste than he expected, but Amos wasn’t going to be picky about it— A SOTTONEEE. The sight of Marcus catching a trail of saliva and bringing it to his mouth, swollen lips closing around his lips and sucking made him impossibly hard. He let his gaze stray on that scene for a moment longer and let himself imagine another scenario where those lips could be made of use. «birra? di solito non bevo» a hot flush stained his cheekbones and spread down his neck, a stark contrast against the pale and strained tendons of Marcus’ hand. Amos drew a sharp breath, a palpable hitch in an otherwise undisturbed cadence, his tongue darting to wet his lips hoping to capture Marcus’ taste. Jesus fuckin’ christ, he could feel his heart threatening to burst his ribcage open, leaving him to bleed out on the floor. Déjà-vu. «ma magari in questo caso posso fare un'eccezione» Marcus’ breath ghosted on his neck and left a trail of goosebumps in its wake, and made his knees weak «ah si? forse allora dovresti approfttarne» he tilted his head, his mouth seeking Marcus’ again, less gentle than the first time. Amos had no patience for that, not now that he had what he’d been waiting there for the taking. One hand sneaked under his shirt to his stomach, fingers splayed and short nails biting at the skin. He brought the other hand to Marcus’ head, carding through his hair and tugging at the strands when his teeth grazed his feverish skin. «m-marcus» a soft gasp escaped his lips, his eyelids growing heavy and fluttering close. He applied pressure to the man’s head, wanting those teeth to hurt, to leave their mark right next to the scar on his shoulder. Amos hated the valiant composure the man was still so adamant on holding onto, he craved to see that composure dissolve under his ministrations and let him come undone. So he brought his mouth over to his neck, licking and sucking at the skin with his tongue, leaving a trail of kissing on his way to Marcus’ ear. He could feel his pulse thundering, a matching rhythm of his own, and a flood of endorphins rushed through him at the thought of making Marcus feel that way. But it wasn’t enough. «sei sempre così impostato» he bit at the skin there, not too harshly but enough to leave his mark, the stark indent of his teeth on pale skin «composto» he punctuated his words with another kiss, another purple mark along his throat, at the juncture between his neck and ear «forse dovresti lasciare andare per una volta» a bold claim, perhaps, a presumptuous little thing. Amos didn’t let Marcus process it and took his earlobe between his lips, nibbling at the tender skin there, his tongue teasing and sucking. The pressure on his throat made itself known again, a heady reminder of strength concealed under those clothes and the knife tucked away somewhere on the man’s body. Jesus christ, he wanted those fingers to tighten further and leave a ring of bruises against his neck, a mess of gasping breaths and aching pleasure. «quali erano le cose a cui avevi pensato?» Marcus took his hand and brought it down causing the special to smirk, a dimple deepening the fold on his cheek, his lips a mere kiss away from Marcus’. Oh, so he wanted to play it out like that. Freme mi rifiuto di dirlo in italiano enough is enough «I want to taste you» he blew a breath on his lips, canines sinking in the plump flesh of Marcus’ lip and tugging– god, it was a pity they had so little time. «sentirti qui» grasping Marcus’ fingers, he brought them up to his lower stomach, somewhere where his navel (ma sì l’anatomia è sopravvalutata). He took the matter into his own hands, pushing at Marcus’ chest and toward the toilet seat (che è chiuso e pulito perché siamo in un posto molto decoroso e civilizzato -cit) until he was seated on it. Amos soon followed, one knee planted on the seat while he straddled Marcus’ lap. Amos was disheveled, his shirt slipping from his shoulder and exposing the mark left by the man, the pebbled nipple that begged to be touched and the scar on his chest. He could feel the firm muscle under his thighs and the porcelain digging at his knees, but above all it was impossible to ignore the press of Marcus’ hardness against his own. A surge of desire rushing through his veins, making his cock throb inside the confinement of his trousers. He reached down between them and took hold of the man’s stiffness, massaging his balls through his trousers and the length of his cock swelling in his palm. He put more pressure on it, relishing in the way Marcus’ breath stuttered against his cheek, the tight leash he kept on his control slipping little by little with each stroke. It was instinctive, the hitch of his hips forward, rubbing his own hardness over Marcus’ to seek some friction. He removed his hand to fiddle with his belt, his hatred for the strip of leather increasing with each passing second «cristo, ma cos'è sta cosa» he almost pouted, but was sufficiently dignified to keep it off his face– for the moment. In the end, he removed the belt and tossed it somewhere below them. He pulled down the zipper to sneak his hands inside his pants, right where skin met skin, no more barriers between them. Freme basta sono tre pagine di porno continua te.
    sooner or later you're gonna tell me a happy story. i just know you are.
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    Non era come se Amos si andasse a cercare quelle situazioni con il lanternino, accadeva piuttosto che gli cadessero in braccio. E davvero, sarebbe stato maleducato rifiutare. Indubbiamente, passare diversi anni a Villa Hamilton aveva cambiato la sua psiche in maniera irreversibile, rendendolo sprezzante di fronte al pericolo e sfacciato in situazioni dove avrebbe fatto meglio a tacere. In quel momento, ogni fibra del suo essere gli intimava di uscire da quel bagno, ma i suoi muscoli non ne volevano sapere: stava lì fermo alla parete, sordo al suo senso di preservazione. Non portava mai a niente di buono la vicinanza all’Howl, la cicatrice sulla sua spalla era un costante ricordo di ciò. «avevi qualche dubbio, amos?» fece fatica a ricordare quello che era stato detto qualche attimo prima, troppo impegnato a passare lo sguardo sulla figura di Marcus. E che figura, santiddio. Non si sarebbe dispiaciuto insinuarsi oltre quello che i suoi occhi gli concedevano. Scosse la testa, un guizzo della bocca ad alzare l’angolo delle labbra «certo che no» e avrebbe potuto elaborare, ma sentiva di star camminando su ghiaccio sottile da fin troppo tempo. C’era un limite alla stupidità dell’Hamilton (non ridete) e seppur sentisse di non averlo raggiunto, si riservava il primato per più tardi. «in parte hai ragione. sto approfittando della tua presenza per rimandare i miei doveri» Amos deglutì piano alla vista del coltello, incerto del fatto se si trattasse di una minaccia o di una promessa. Era già inciampato per sbaglio, o meglio il suo brutto vizio di aprire la bocca, sulle tendenze violente di Marcus anche se doveva ammettere che al tempo era stato troppo deprivato di ossigeno per fare i conti con la propria coscienza. Sapeva solo che non gli sarebbe dispiaciuto avere un ripetere delle lunghe dita dell’uomo a stringersi attorno alla propria gola e premere. Tracciò il movimento dell’uomo fino alla superficie di ceramica del lavandino, domandandosi perché qualcuno avrebbe dovuto girare con un coltello addosso. Marcus decise di rispondere alla domanda che, seppur non avendo espresso ad alta voce, era scritta in ogni lineamento dell’Hamilton «ho un affare da concludere» mh, bene ma non benissimo. «un affare» borbottò tra sé e sé, assaporando quella parola sulla lingua e masticandola ancora e ancora, fino a che una singola lampadina si accese «anzi- non voglio sapere» l’implicazione dell’Howl era palese, e Amos abbastanza sobrio da capire quando indietreggiare. Elisa no, quindi top. Comunque, era chiaro che Amos volesse solo una (1) cosa e avrebbe volentieri fatto finta di non vedere le red flags davanti a lui pur di averla. Non mi sento più le labbra, spero che Amos invece le senta eccome. «prendo tempo. tu hai altri impegni?» lo sguardo dell’Hamilton si spostò per un attimo all’uscita del bagno, i suoi piani di cercare Run ormai abbandonati da un pezzo- avrebbe capito, la Crane. Le sue opzioni erano dunque attaccarsi nuovamente al boccale di birra e spegnere quel poco di lucidità che gli era rimasta oppure accettare quella scommessa. Perché di un gioco di trattava, avanzare o ritirarsi a seconda delle carte dell’Howl, e decidere di bluffare nonostante la consapevolezza di non avere nulla in mano. «Posso pensare a un paio di cose» così, casual e con totale nonchalance, cosa che era anche vera se solo avesse deciso di applicarsi e di uscire da quel bagno. Eppure, per qualche ragione sconosciuta, era inchiodato alla parete dallo sguardo dell’uomo. Che si stava avvicinando pericolosamente, una tentazione a cui non avrebbe resistito nemmeno volendo. «Ma chissà che non le trovi anche qui» a quel punto, Marcus era così vicino da poterlo toccare, e tanto fece quando agganciò l’indice nel passante dei pantaloni per tirarlo più vicino a sé. Non disdegnava un buon, vecchio gioco di gatto e topo, ma si era stancato- ancora si ricordava la serata (terribile sotto alcuni punti di vista) a casa del maggiore. «secondo te—» rabbrividì quando il respiro di Marcus si infranse contro la sua pelle, piccoli brividi a scomparire sotto al colletto della camicia. Odiava che fosse sempre composto, salvo piccoli scorci che raramente apparivano, una netta differenza dal suo stato attuale: capelli scompigliati dalle dita passate tra i riccioli, camicia sbottonata da fin troppi bottini e il proprio controllo a decimarsi con il passare dei minuti. «tra quanto tempo il mio accompagnatore inizierà a farsi due domande e verrà a cercarmi?» era chiaro l’innuendo di Marcus, perfettamente cristallina l’immagine che si compose in quel momento nella mente dell’Hamilton. Il fatto che ci fosse un accompagnatore provocava in lui un accenno di fastidio, salvo poi ricordarsi la fine che lo attendeva. Chissà se Marcus pianificava di fare lo stesso con lui. In a kinky way magari? «possiamo sempre scoprirlo» un invito, quello del lumocineta, nello spingere il corpo dell’uomo appena lontano da lui così da potersi dirigere verso uno dei bagni. Gli rivolse uno sguardo oltre la spalla, un chiaro invito a seguirlo «ricordo che abbiamo un conto in sospeso, io e te» lo sguardo che gli lanciò era tutt’altro che subtle, ma d’altronde Amos si era stancato di beat around the bush (ma quando mai) e riteneva che fosse arrivato il suo maledetto momento «il tuo accompagnatore può aspettare, o trovarsi altro da fare. non mi interessa» allungò una mano per stringere la camicia di Marcus tra le dita, tirandolo a sé con uno strattone tutt'altro che delicato, e catturò le sue labbra con le proprie. Cristo, era un qualcosa che aveva voluto fare dal primo momento in cui aveva posato gli occhi su di lui, era un miracolo che avesse resistito così a lungo. Indietreggiò, un misero tentativo di entrare nel bagno, ma a quel punto era difficile capire cosa stesse facendo.
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    A questo punto, la domanda nasce spontanea. Una domanda del tutto legittima.
    Amos, ma passi la tua vita nei pub?
    Era una coincidenza -questione di pessimo tempismo e abitudini ormai consolidate- che in qualche modo gli astri si allineassero e venisse sorpreso in quel particolare momento della sua vita. Era un ottimo padre di famiglia e un lavoratore diligente, poteva giurarlo. Non passava le serate con la bocca attaccata al collo di bottiglia a persuadere l’ultima goccia di alcol a scendere in gola -e no, non si trattava di un eufemismo. Oltre che essere un eccellente genitore, era anche una persona che prendeva a cuore il benessere economico del locale della sua migliore amica e che si preoccupava di contribuire a riempire la cassa. L’Hamilton aveva tendenze del Nord, e insisteva a pagare anche quando avrebbe potuto bere a scrocco. Il fatto che Run l’avesse abbandonato al tavolo per scomparire in antri sconosciuti del Better Run era spiacevole, ma sospettava che fosse ora di cibare Gemes. Voci di corridoio raccontavano che l’uomo era stato relegato in una stanza a pelare patate per produrre la vodka, e che ormai vedesse raramente la luce del sole. Ma Amos non poteva biasimare la Crane: l’alcol era importante, a volte anche più delle relazioni interpersonali. Annoiato, abbandonato e dignitosamente brillo era caduto nel vizio che da qualche mese a quella parte non riusciva a scrollarsi di dosso: lasciare vagare lo sguardo dove non avrebbe dovuto. Una delle ultime volte gli aveva regalato un proiettile alla spalla, e un portafoglio (quasi) rubato. Alla sua età sarebbe dovuto essere più sveglio dal riconoscere certi pattern ed evitarli, ma non se l’era presa ancora abbastanza in culo da evitare. Non in quel senso. Beh, anche.
    Prese un sorso del boccale di birra, rimpiangendo subito dopo di non aver preso qualcosa di più forte. Aveva bisogno di qualcosa che gli facesse scivolare l’ansia sociale addosso e che gli consentisse di smettere di pensare per qualche attimo. Sfortunatamente per lui, l’universo sembrava avere altri piani. Fu impossibile da ignorare, quella figura familiare e dagli asset (ifykyk) ben distinti. E si sarebbe limitato a seguirla con lo sguardo, piedi ben saldi al pavimento e una volontà di ferro, se non si fosse voltato a lanciargli un’occhiata. Per un breve, terribile momento l’Hamilton pensò che vi fosse qualcuno dietro di lui. Invece, contro ogni prospettiva, Marcus Howl aveva deciso di torturarlo anche quel giorno. Ingenuamente, Amos aveva pensato che non avrebbe avuto una seconda occasione per sparare il suo colpo. Gli era bastata una prima volta, quando era abbastanza sicuro di aver rischiato di avere le mani del maggiore addosso, ma non come sarebbe piaciuto a lui. Quelle parole che sapevano di minaccia ma lasciavano intendere un sottotono ben diverso, che non riusciva a decifrare del tutto, ma che lo attiravano come una caramella con un bambino. Forse aveva dei problemi, era pronto a riconoscerlo. E tanto confessò a se stesso quando finalmente si alzò, debole alla carne come un uomo qualsiasi nel ricordare le parole dell’Howl Scordati tutto il resto. Almeno per stanotte. Amos credeva nelle seconde occasioni, sperava che valesse lo stesso per il maggiore. «Come va la spalla?» quelle, le prime parole che Marcus gli rivolse. Non un saluto, non l’accenno di quelle iridi cobalto a scivolare sulla sua figura- ma andava bene così, avrebbe fatto in modo di non essere ignorato ancora a lungo. Indugiò per un momento, la lingua a bagnare il labbro inferiore in un gesto nervoso. L’Hamilton si domandava cosa ci sarebbe voluto per sentire quelle mani a stringersi sulla sua gola per una seconda volta. «Avevi ragione, te la cavi bene con la mani» poggiò le spalle alla parete opposta a dove si trovava l’Howl, le mani a scivolare nelle tasche dei jeans «è guarita bene» offrì poi come spiegazione, una fune a cui aggrapparsi nel caso non si trovassero sulla stessa lunghezza d'onda. Se fosse stato più sfacciato, si sarebbe offerto di fargliela controllare ma per sua fortuna il sangue fluiva ancora al cervello. «Mi hai fatto venire qui solo per chiedermi della mia spalla?» inarcò un sopracciglio chiaro, le parole a danzare sulla lingua quasi divertite, amused, ma con un sottotono che sperava Marcus cogliesse. O forse l'uomo con cui si trovava era il suo partner, e Amos era sul punto di commettere un passo falso non indifferente.
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  5. .
    amos hamilton
    Easy they come, easy they go
    I jump from the train, I ride off alone
    I never grew up, it's getting so old
    'Cause they see right through me
    Era bastato un mese per mandare il mondo a puttane, e di conseguenza rovesciare sottosopra l’intera esistenza dell’Hamilton. Com’era che era passato da un cittadino di terza classe a uno di prima nel giro di poche settimane, quando per anni il governo stesso aveva cercato di relegare quelli come lui ai margini della società? Un ottimo quesito, uno a cui gli mancavano le basi filosofiche per rispondere. Amos non si lamentava, se non per il fatto che gli aiuti economici destinati agli special erano destinati ad estinguersi e di conseguenza quei soldi in più sempre comodi quando si aveva una figlia a carico- e sì, Amos avrebbe dovuto saperlo dopo aver passato anni a prendersi cura di Cash, ma a quei tempi non viveva di certo da solo. Era stato facile, fin troppo comodo, fare appoggio su sua sorella. La stessa sorella che lo aveva praticamente forzato a trasferirsi momentaneamente da lei in quel mese, era bastata una scusa qualunque a farlo cedere, anche solo per non sentirsi così solo ogni dannato giorno. Certo, c’era Bolly, ma aveva un anno. E fino a prova contraria, i bambini di quell’età non erano un grande partner di conversazione. A proposito di Bolly- Alexa: posso portare un bambino a bere? Bella domanda, ma se Amos si fosse affidato a un AI per vivere sarebbe stato rovinato molto tempo prima. E poi, gli aveva detto di no quindi la sua risposta gli era scivolata addosso e aveva deciso di ignorare l'assistente virtuale. Avrebbe potuto lasciare Bollywood a Lawrence o a Moka, ma dopo il mese in cui erano spariti non voleva disturbarli più del necessario. Amos fingeva che andasse tutto bene, perché ammettere il contrario portava con sé una valanga di conseguenze che non era pronto ad affrontare. Ma chi glielo aveva fatto fare, di essere un adulto? Non lo voleva più, Dio o chiunque ci fosse lassù se lo poteva riprendere. Quindi si trovava al Testa di Porco con Bolly in braccio, la carrozzina abbandonata vicino al suo sgabello al bancone. La verità era che l’Hamilton aveva notato lo strano, francamente allarmante, cambiamento nel proprietario del pub e- non lo sapeva nemmeno lui cosa fare. Era probabilmente stupido il fatto che si trovasse lì. Ma dopo anni che aveva condiviso lo stesso tetto con il Crane, pensava di essere più che legittimato a preoccuparsi per lui. Il lumocineta era sempre più smarrito dallo stato del mondo, e da qualsiasi cosa fosse successa in quel mese a coloro che aveva perso di vista. Aveva le sue teorie, certo, ma non significava che volesse elaborarle: sarebbe stato fin troppo reale per i suoi gusti. Certo, era meglio soffermarsi sulle sue teorie complottistiche che sulle memorie dell’ultima volta che era stato in un pub- gli avevano sparato, pessima esperienza 0/10 would recommend. A meno che non ci fosse un uomo estremamente attraente a ricucirti dopo, allora forse ne valeva la pena. «Grazie» sorrise grato alla ragazza che poggiò una birra davanti a lui, accompagnata da del succo alla pera per Bollywood. Poteva berlo? Elisa non lo sa, e nemmeno le interessa. Stupidi bambini. Batté il bicchiere contro quello più piccolo di Bolly «alla nostra» e infilò la mano nella tasca per tirare fuori il portafoglio e pagare, anche se- «l’hai preso te?» si rivolse alla bambina, occhi sgranati e battito che incominciava a diventare sempre più pronunciato. Stava scherzando, ma fino ad un certo punto, sua figlia era una bambina molto intelligente. Del portafoglio non vi era traccia, nemmeno quando l’Hamilton frugò disperato nell’altra tasca. Prese Bolly di peso e la depositò nel passeggino, così che si potesse alzare e guardarsi intorno; era certo di averlo quando era entrato nel locale, non poteva essere tanto lontano. Strano, perché non si era accorto di niente. Forse dopo quello, e il proiettile che si era beccato, quello era un segno divino di stare lontano dai pub. Lasciò le iridi correre per la stanza nella speranza di intravedere il suo portafoglio, soffermandosi su una figura che aveva in mano un oggetto molto familiare «ATTENZIONE! PICK-A-POCKET» dai vins dimmi che almeno te così la cit. Si avvicinò alla ragazza, trascinandosi il passeggino dietro, la mano a calarsi sulla sua spalla con l'intenzione di attirare la sua attenzione «scusa, cosa ci fai con il mio portafoglio?» e se il tono di voce era accusatorio, lo sguardo più diffidente del normale e le sopracciglia corrucciate beh- era più che normale, l'avevano derubato!
    gif code
    1996
    special
    lumokinesis


    CITAZIONE
    sorta nota a terra un portafoglio, lo raccoglie e apre per vedere a chi appartenga; cerca Amos nei dintorni per restituirglielo ma nel frattempo è Amos a notare sorta e si avvicina accusandolo di averlo borseggiato.
  6. .
    amos ryder hamilton
    When somebody told me I would change
    I used to hide behind a smile
    When somebody told me I would change
    I was afraid, I don't know why


    27 ✧ special ✧ lumokinesis
    So come on, call me liar
    Yeah, you're so quick to judge
    'Cause, yeah, I might have changed
    But everybody does
    Se Amos Hamilton fosse stato più sveglio, con qualche gene Hamilton in più, forse si sarebbe reso conto di essere caduto dritto nella tana di un predatore, le fauci premute sulla giugulare e il sangue a colare sulla pelle pallida del collo. O forse, era proprio quel dannato sangue a scorrergli nelle vene a renderlo così schiavo del pericolo, un brivido di adrenalina lungo la schiena a renderlo un burattino che si muoveva al ritmo della melodia composta dall’Howl. «vediamo.. spaccio, una chiacchierata amichevole, una sveltina in santa pace—» la definizione di chiacchierata amichevole sembrava differire tra i due, perché Amos era convinto che le chiacchierate che avevano luogo nei vicoli fossero tutt’altro che amichevoli- ma insomma, non era del mestiere. Quando Marcus gli domandò a quale delle tre si stesse dedicando, per poco non si strozzò con la sua stessa saliva- era pur sempre Amos, per quanto stesse cercando di essere smooth. Batté le palpebre una, due volte, il respiro ancora incastrato nella gabbia toracica e la sua attenzione rapita dalle iridi cerulee di Marcus. «beh, nessuna di queste tre a quanto pare» una semplice osservazione, nonché la sacrosanta verità- non era colpa sua, se qualcuno aveva deciso di giocare al pistolero mascherato. Si chiedeva cosa sarebbe successo, se al posto di quell’uomo avesse avuto Bolly stretta tra le braccia, se nemmeno poteva più mettere piede fuori casa senza paura che gli sparassero. Era un caso fortuito che vi fosse lo special nelle vicinanze per portarlo a casa sua, specie quando nemmeno la loro conoscenza non era che superficiale, uno sconosciuto che si prendeva la briga di ricucirlo mentre gli sanguinava sull’arredamento. Si domandava cosa l’avesse spinto a un tale atto di altruismo, specie quando non gli pareva il tipo. Ma d’altronde vi erano cose senza spiegazione nell’universo, come sua sorella che si ostinava a tenere Elijah chiuso nello scantinato. Amos si fece serio per un momento, lasciando trapelare un accenno di gratitudine nei tratti di un viso ormai provato, nella piega delle labbra e nel bianco dei denti «grazie per avermi aiutato, non eri tenuto a farlo» certo, perché ignorava il fatto che il motivo per cui si era trovato con un proiettile in corpo e con una sostanziale perdita di sangue, era proprio l’uomo davanti a lui. Amos strinse i denti per evitare di lasciarsi scappare l’ennesimo grugnito di dolore al cerotto che veniva posato sulla ferita, ma cristo se Marcus era il peggior infermiere che avesse mai conosciuto. Un bruto, uno spartano, un maledetto sadico. «cosa vorresti, Amos? se potessi scegliere» l’Hamilton abbassò lo sguardo a seguire il percorso che la mano stava tracciando sul suo fianco, una scia di pelle d’ora ad accompagnare i polpastrelli dell’empatico. Aveva freddo? Al contrario, aveva più caldo di quello che sarebbe dovuto essere concesso a qualcuno parzialmente svestito come lui. Una domanda difficile, quella di Marcus- una risposta troppo scontata. Perché sapeva benissimo cosa volesse dall’Howl, era innegabile, palese nel modo in cui era stato catturato dal suo tocco. «vediamo- qualcosa che non mi faccia pensare a questo» un vago gesto in direzione del cerotto e di ciò che era celato sotto al tessuto, si meritava molto più dell’alcol a bruciare le membrane dello stomaco per dimenticare di essere stato appena sparato. «non ti facevo per una persona altruista ma chissà, forse mi sono sbagliato» difficile dire se fosse serio o meno, nemmeno Amos ne era sicuro a quel punto- ciò che era innegabile, era che Marcus non gli era mai parso come la più approcciabile delle persone. Eppure, si trovava nel suo appartamento, no? Forse non era tutto ciò che voleva far credere. Amos ne sapeva qualcosa. «cerca di stare fermo» ah, quella gli era nuova. Parlava di movimenti bruschi, ma gli unici gesti che il lumocineta si era permesso fino a quel momento erano stati dolorosamente lenti e privi di qualsiasi vivacità- ma dove doveva andare. Piegò il capo sulla sua spalla, l’Hamilton, scrutando Marcus con un pizzico di confusione e divertimento a luccicare negli occhi «e cosa dovrei fare? sono nelle sue mani, doc, non vado da nessuna parte» dio santo, il giorno che si fosse fatto furbo, sarebbe stato un grande giorno per la sua incolumità. Doveva mordersi la lingua, pensare tre volte prima di parlare, non passare per un ungrateful brat. Fu in parte per quel motivo che si lasciò manhandle dall’Howl -che tra parentesi aveva delle gran belle mani, coperte di sangue o meno- decisamente intrigato dal braccio premuto sul torace. Amos credeva di aver volato un po’ troppo vicino al sole, e adesso ne stava pagando tutte le conseguenze, e vi dirò non gli dispiaceva. Se avere le labbra di Marcus premute sulle sue era il prezzo da pagare, Dio, non sarebbe stato lui a tirarsi indietro. E si appropriò della sua bocca, mano a scivolare sulla nuca ed insinuarsi tra le ciocche castane, tenendolo lì mentre l’empatico esplorava il suo corpo. Non pensava che la sua serata sarebbe giunta a quel punto, ma non gli dispiaceva per niente. «amos? hai visto chi ti ha sparato?»
    cioè .
    lo stava cockblockando perché voleva giocare al detective conan?
    con la fuckin mano sul suo pacco?
    «ma cos’è, un interrogatorio? mancano giusto le manette» così, un suggerimento che poteva scegliere se cogliere o meno. Scosse la testa, l'Hamilton, ormai abbastanza studiato nell'arte degli uomini da sapere che ognuno di loro aveva il proprio kink- e se quello dell'Howl era giocare a Cluedo, l'avrebbe accontentato «non l'ho visto bene, di certo non in faccia. aveva una corporatura come la tua, penso anche un'altezza simile» avrebbe voluto elaborare (no, non davvero) ma la sua attenzione continuava ad essere richiamata dalle dita di Marcus che giocavano con quella maledetta cerniera, un tormento che non credeva di poter sopportare per molto altro tempo. Dio santo freme scusa ma io devo prepararmi davvero taglio. «lo sai che potresti fare altre mille cose con quella bocca, vero?» hint hint. Batté le ciglia, un'espressione del tutto angelica sul suo viso- e poi, perché Amos ne aveva avuto abbastanza di perdere tempo, sostituì la mano dell'Howl con le sue, abbassando la cerniera dei jeans in una chiara invitazione. E niente freme ci becchiamo al varci aiuto sono inritardo.
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  7. .
    amos ryder hamilton
    When somebody told me I would change
    I used to hide behind a smile
    When somebody told me I would change
    I was afraid, I don't know why


    27 ✧ special ✧ lumokinesis
    So come on, call me liar
    Yeah, you're so quick to judge
    'Cause, yeah, I might have changed
    But everybody does
    Amos Hamilton aveva un’inclinazione a finire in situazioni scomode, che si trattasse di essere rapito e portato in un laboratorio, di finire in un capanno insieme a una bomba o avere la sfortuna di imbattersi in Marcus Howl. «hai un foro di proiettile nella spalla. un colpo pulito, non sembra aver lesionato nessun nervo» per qualche motivo, non lo stupiva affatto. Anzi, era più sorpreso dal fatto che non fosse accaduto prima, dato l’andazzo. Lo osservò da dietro le ciglia bionde, la mascella serrata per il dolore alla spalla e il trattenersi dal lasciarsi scappare qualcosa di incredibilmente stupido. Qualcosa come e non lo potevi lasciare lì? Immaginava sarebbe stato meno peggio di avere un maledetto cratere nella carne. Una domanda affiorò spontanea alla mente dell’Hamilton al sentire la spiegazione dell’uomo, una deduzione logica che Marcus avrebbe dovuto prevedere «te ne intendi di questo tipo di ferite» così, un commento buttato a caso per tastare il terreno. Sapeva che l’Howl non avrebbe risposto, o non nella maniera che desiderava, ma non lo si poteva condannare per la sua tenacità. E poi magari -e dico magari- voleva solo una scusa per continuare a studiarne la figura, tracciare le linee del suo volto e lasciare che la sua mente completasse con i pezzi mancanti che non poteva ancora scorgere. Non era il momento adatto, affatto, ma dopo tutto quel tempo passato con Moka, Run e Lawrence anche Amos era caduto in ginocchio davanti ai suoi desideri carnali. «ma se non la chiudo adesso, morirai dissanguato» ah ecco, forse era per la perdita di sangue che aveva iniziato a delirare. Forse, Marcus aveva intuito ciò che si celava dietro il volto angelico dell’Hamilton, perché insistette con il premere più forte il panno. E prima gli schiaffi, e poi quello- ma qual era il suo problema? Avrebbe dovuto capirlo fin dal primo momento che lo aveva visto prendere a pugni il sacco da boxe, che l’Howl aveva dei problemi a gestire la violenza. Ma quello non voleva dire che fosse la sua bambola di pezza, o il modellino dell’Allegro Chirurgo. Tutti i suoi buoni propositi di ripetergli di farla finita evaporarono all’istante quando gli prese la mano, sostituiti da confusione e un pizzico di intrigo. Mark me down as scared and horny. «ti sei fatto sparare, ecco cos'è successo. ora devi schiacciare forte, capito?» roteò gli occhi, l’Hamilton, perché in fondo ogni tanto anche lui era un po’ bratty. Che poi, non si era fatto sparare, qualcuno aveva sparato a lui. Certo, poi c’era il fatto che si fosse messo in mezzo come un deficiente di prima classe, ma il succo rimaneva lo stesso. Prese il posto di Marcus nelo schiacciare il panno, non ci teneva ad essere schiaffeggiato l’ennesima volta- davvero, non avevano una safeword? «questo dovrebbe aiutarti» il volto dell’Hamilton si illuminò alla vista del suo personale Sacro Graal, non era certo che l’alcol fosse il migliore degli anestetici in quella situazione ma dubitava vi fosse altro. Ringraziò l’Howl, perché era una persona educata prima di sanguinante, e fece per afferrare la bottiglia con una mano quando- hhhhhhhh. Marcus. Signor Howl. Daddy daddyssimo. Cosa stai facendo. Niente, glielo ficcò in bocca. Il collo della bottiglia, si intende. Fosse stata Amos una persona diversa, avrebbe mantenuto lo sguardo dell’Howl mentre le labbra erano strette attorno al vetro, un accenno di lucidità a bagnare i suoi occhi a causa dell’alcol.
    Ma! Non lo era.
    Chissà.
    Chissà.
    «se credi di averne bisogno posso darti qualcosa da mordere»
    Eh, ma allora lo faceva apposta.
    Potevano giocare a quel gioco in due, dopotutto Amos era ferrato dopo aver passato una notte insieme alle Letterine. Ormai, dopo i gemiti di Nate, poteva reggere di tutto. «di solito preferisco qualcosa da succhiare, ma posso accontentarmi» perfettamente innocente, il tono dello special, privo di qualsiasi malizia. Eppure, non c’era niente di innocente del modo in cui gli occhi indugiarono un momento più del dovuto sulle labbra dell’Howl- era pur sempre una creatura debole, peccaminosa, e l’adrenalina era la peggiore delle droghe in quel momento. «una caramella, cose di questo gener- AHIA» si lasciò sfuggire un gemito di dolore improvviso, gli occhi a serrarsi al sentire l’ago preparare la pelle. Maledetto Howl del cazzo, era così distratto a provarci che nemmeno si era accorto di niente. Non aveva nessuna nozione di medicina, Amos, ma aveva sentito da qualche parte che rilassare il corpo aiutava. Si concentrò invece sullo stringere la presa sul panno ormai stropicciato, lo sguardo a vagare ovunque non fosse il suo sangue. «cosa ci facevi in quel vicolo, Amos?» se avesse potuto, si sarebbe lasciato andare a un bombastic side eye. Ma che domanda era? Era ovvio cosa ci facesse in quel vicolo, a meno che Marcus fosse troppo high and mighty per partecipare a quel genere di attività. Dubitava, aveva la faccia di qualcuno che non era uno sconosciuto a una sveltina in un vicolo. Soffiò l’ennesimo sibilo tra i denti, l’ennesimo punto a cadere al suo posto- cristo, ma non smetteva più? «non lo so, cosa fanno due uomini brilli in un vicolo?» scusa freme non so perché sia diventato così bratty. Ma moving on, l’ora è tarda e Amos aveva deciso di aver smesso di soffrire. Incrociò le iridi cobalto di Marcus, e fu allora che decise di mandare a puttane anche l’ultimo brandello di pudore che gli rimaneva. Aveva decisamente perso troppo sangue per essere chiamato a fare scelte razionali. «non mi merito qualcosa per essere stato bravo?» impertinente, la curva delle labbra, e davvero l’Howl non avrebbe nemmeno dovuto avere dubbi sulla natura della sua richiesta. E poi la palla mi ha detto che non posso essere unhinged quindi mi tratterrò fortissimo dal mettere mani in posti. In posti carini eh!
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  8. .
    amos ryder hamilton
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    Oh, Amos se ne sarebbe pentito. Non era un presagio, un pensiero venuto alla mente in un momento del tutto casuale- no, quella era una certezza. Sicuro quanto il fatto che il sole sarebbe sorto all’indomani. Amos si sarebbe pentito di aver affidato sua figlia a Lawrence e Moka quella sera. Non lo avrebbe mai fatto, se avesse avuto un’altra scelta nel suo mazzo di carte- invece, si ritrovava con le uniche due carte che sapeva già essere fallimentari ma su cui avrebbe dovuto costruire una strategia. Si affacciò alla porta che dava sul salotto, le testa a sporgere abbastanza per osservare quello che stava accadendo senza essere necessariamente notato. Bollywood sedeva in mezzo a Law e Moka intenta a guardare qualcosa alla televisione, mentre le voci dei due ragazzi si sovrapponevano l’una all’altra «ma no, cosa dici. voltaren» non- non il genere di conversazione che si aspettava di sentire, onestamente. Ma sapete cosa? Era felice che non stessero traumatizzando Bollywood con discussioni tra chi avesse il pene migliore tra i daddies, o il loro sex toy preferito. L’Hamilton era sempre ben felice di contribuire al dibattito, ma voleva risparmiare sua figlia di un anno- sì, anche se non capiva mezza parola. «cosa ne sai te, hai mai provato il maalox plus?» sì, tutto bellissimo, ma gli sembrava che quel discorso non aveva un capo né una coda. Come Elisa che ha chiesto di suggerirle cose sconce, e le hanno suggerito cose a caso. Menomale che c’era Moka ad illuminare tutti coloro che erano scettici della superiorità del Maalox «sa di arancia, trasforma la sofferenza in serenità. e poi è rotondo quindi perfetto se vuoi strozzarti» scelse di rivelarsi alla coppia in quel momento, facendosi strada nel salotto con aria perfettamente innocente, quella che tendeva sempre a fregare chi si trovava davanti «ma sai, preferisco altro»
    L’attenzione di Moka e Lawrence si spostò lentamente su di lui
    Silenzio nella stanza
    Scambio di sguardi
    Bollywood che ride come una piccola sociopatica
    «la mozzarella filante, pezzi di carne. cosa andate a pensare» e poi dicevano a lui, quando i peggiori erano loro- davvero non c’era un limite alla manipolazione mentale dei due. Peccato che non fosse uno dei loro daddies. O mommies, slay Moka anche lui aveva mommy issues, poteva vagamente comprendere. Si accovacciò in modo da essere all’altezza di Bolly, osservandola per un momento prima di stamparle un bacio sulla testa; le sarebbe mancata, e gli dispiaceva lasciarla con quei due soggetti, ma prometteva di tornare a un’orario decente. Ovviamente stavano comunicando telepaticamente, cose che persone escluse dal bond padre-figlia non potevano nemmeno sperare di comprendere. «mi raccomando, tienili d’occhio» di certo, si fidava più di sua figlia di un anno che si due adulti che fingevano solo di essere funzionanti. Ecco perché avevano bisogno di una badante, e quella badante aveva proprio finito con l’essere lui. Dalla padella alla brace, insomma.

    Se qualcuno gli avesse chiesto come diavolo fosse finito lì, non era certo che avrebbe avuto una risposta. E quella voce nella sua testa, quella che lo malediva e lo riempiva di insulti di tipo passivo-aggressivo, assomigliava in maniera spaventosa a quella di sua sorella. Aveva fatto una cazzata, lo sapeva, non era il suo compito fare il buon samaritano della situazione e non per qualcuno con cui si era scambiato la saliva. Ma era stato un puro istinto, qualcosa che aveva nelle ossa e non poteva negare- la quota Maria Teresa (Cristina? aiuto) da Calcutta Hamilton. No scjsateee ma a cosa sto assistendo visto sanfo. Vi prego venitemi a prendere con un alicortero. Basta fatela finita . Ok continuo a scrivere così sembra mi stia tenendo impegnata . «ehi, devi rimanere sveglio» mugugnò qualche sotto voce, qualcosa di interpretabile un po’ come «dndkdn le banche interessi bancari» allo schiaffo non si abbandonò a nessun suono molesto, perché Elisa non è così parità da aurosabktarsi. cioè ma cosa volete poi ma ognuno le cose nella proposta infinita. Intimità.
    Oddio, vedeva la luce in fondo al tbbuell.
    Ave ala dice di berlusconi.
    Ave maria plenaria gratia.
    Ma quello non era Il Berlusa, anzi. Molto più informaC !:””9, bello, lo conosceva .
    Provò ad aprire la bocca, ma se la ritrovò impastata come se avesse bevuto un vino con troppe tannins- ma cosMer asiccesso. Era vivo? Non ne era successo, per niente. Oddio
    ma lo stavano spogliando. Era glià spoglio?
    Eh. Amos non aveva esattamente un rape/sleeping kink, preferiva essere sveglio e conscio durante l’atto. Provò a muoversi, spostare il braccio oppressivo che stava premendo sulla sua carne, ma a malapena riuscì a sollevarlo. Riaccade pesante e senza forza sul grembo, uno sforzo immane che strappò un gemito di dolore dalle sua labbra. O forse, forse erano i ceffoni che continuava a prendersi. «ma hai finito?» non era sicuro che l’avesse sentito, non era nemmeno sicuro di averlo detto ad alta voce. Gli girava la testa, sentiva la voce di qualcuno chiamarlo da lontano senza che riuscisse ad identificarne le sillabe.
    E poi-
    Un dolore lancinante, white hot pain shooting up la sua spalla.
    Un urlo nudo e crudo fu strappato dalla sua gola, i denti a serrarsi e le mani a stringersi sulla superficie del legno come una morsa. Il suo corpo fu scosso da uno spasmo, l’istinto di mettersi a sedere a premere sul retro della sua mente- ma non poteva, non poteva perché qualcosa, qualcuno lo stava tenendo fermo con la forza. Dovette compiere uno sforzo immane per mettere a fuoco la figura, i contorni illuminati dalla luce divina che Amos era sicuro di vedere perché stava per raggiungere il Nirvana. «marcus?» era confuso, cosa ci faceva Marcus Howl lì? Ma dov’era? «devo ricucirti adesso. sai dirmi come ti chiami? dove sei nato, cose così. se non riesci a stare sveglio da solo devo tirartene un altro» al percepire un panno fare contatto con la pelle, soffiò l’ennesimo respiro tra i denti, il bisogno di sottrarsi a quella tortura cinese sempre più impellente «AHIA-CRISTO» in caps a caso, ma lasciamolo così molto fitting «ricucirmi? cosa- cosa?» non stava sudando freddo, perché non era fisicamente possibile data la sua già penosa condizione. Se avesse potuto sbiancare, l’avrebbe fatto. «che è successo?» spostò lo sguardo tra gli occhi dell’Howl al proiettile che stringeva tra le pinte, le sopracciglia ad aggrottarsi- mh, ma pensa. Le sue azioni avevano conseguenze. «e no, basta schiaffi, mi fa già male tutto così» cioè, per carità- no anzi non voleva elaborare, non avrebbe nemmeno degnato di nota quei pensieri che gli erano affiorati alla mente. Cazzo, Hamilton, ti hanno sparato altro che spank me gran D. «hai qualcosa per- questo fece un vago segno con la mano, per quanto gli fosse possibile, al suo corpo. Qualcosa per il dolore, che fosse morfina, alcol, un po’ di ibuprofene. Davvero, non era un fan di essere fatto a pezzi per poi essere ricucito.
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  9. .
    amos ryder hamilton
    Mentre i suoi compagni di (cella) bevuta si scambiavano opinioni sul più e sul meno, Amos aveva finito il suo drink. Inclinò il bicchiere per studiarne il fondo, ormai solo acqua colorata e rimasugli di ghiaccio a specchiarsi nelle iridi (tormentate) cristalline. Era una serata particolare per l’Hamilton, reduce dall’adrenalina che lo aveva accompagnato per minuti, ore, non ne era sicuro, e vagamente stordito dall’alcol. Quell’ultima, era una scusa- gli piaceva credere che l’alcol avesse sciolto la sua postura e la sua lingua, ma la verità era che ogni azione e parola era una diretta conseguenza di un adulto maggiorenne e consenziente. Al sentire che Javier fosse cileno, l’espressione dell’Hamilton si fece ancora più incuriosita. Durante il suo viaggio in giro per il mondo, il Cile era stato una delle tante mete, ed era rimasto affascinato dalla cultura del luogo- peccato che non avesse incontrato molti uomini come Ptolemy. O non si sarebbe trovato lì a flirtarci, con tutta probabilità. L’Hamilton non aveva ancora capito la dinamica di quel peculiare assortimento di persone, ma quello scambio di battute, gli sguardi rubati per poi essere portati nuovamente in luoghi più consoni lo intrigavano. Ovviamente, stava parlando di Nathaniel e Freddie. C’era della chimica lì, una storia non ancora messa su carta, era impossibile negarlo. Ma Amos si morse la lingua prima che l’istinto vincesse sulla ragione, capiva che non fosse il suo posto spingere per un qualcosa che nemmeno i diretti interessati avevano realizzato pienamente. «comunque eviterei di parlare di sesso davanti a un minorenne» in quel momento, percepì gli occhi dell’Henderson posarsi sul suo profilo. Ormai, all’Hamilton piaceva credere di avere una cerca dimestichezza nel leggere i pensieri di quella famiglia -non Jericho, mai Jericho- quindi ci volle ben poco ad immaginare su cosa si fosse soffermato Nathaniel. Voltò il capo ad incrociare il suo sguardo, le sopracciglia bionda ad arcuarsi e la piega della labbra a guizzare verso l’alto per un momento eh già, mi sono fatto anche tuo fratello quarantenne. «prima sembravi un babyboy che aspetta bravo a casa, ora il pusher che una casa non ce l'ha» rivolse un’occhiata complicata al professore, resistendo all’impulso di dire qualcosa di estremamente sconcio. L’aveva chiamato babyboy? Doveva essere un pet name abituale per lui, data la sua reputazione. Ma non giudicava, facevano parte dello stesso spettro, solo che Amos si posizionava sull’estremo opposto. «si beh» non lo dire- non lo dire, non ti azzardare «dipende dai punti di vista» decisamente più tame di quello che aveva pensato, e dovette congratularsi con se stesso per non aver lasciato la vena elisaunhinged prendere il sopravvento. Che poi, come si poteva pensare che partecipasse alla conversazione quando il braccio di Javier era praticamente stresso intorno a lui? Era un ragazzo debole, l’Hamilton, prono a cedere ai vizi della carne e alla chiamata dell’alcol. «non ti facevo il tipo da una scopata ogni tanto ci vuole» a quel punto, non poté davvero più trattenere il grin che si allargò sulle labbra, gli occhi a danzare sui visi dei suoi compagni per discernere la reazione- erano tutti così sconvolti come l’Henderson, o era solo lui ad essere fin troppo pudico? «perché, te non scopi mai?» un quesito più che legittimo, da parte di Amos. Certo, capiva che nella vita esistesse un equilibrio cosmico, ma perché doveva essere giudicato per quello che era un istinto più che umano? Davvero, non vedeva cosa ci fosse di strano. «ci passiamo dieci anni.» ah, allora era lì che voleva andare a parare. Amos non era un fan del sbandierare ai quattro venti le sue passate relazioni, almeno non in dettaglio, quindi si astenne dal fare qualsiasi allusione verso il Lowell. «dieci anni? cosa vuoi che sia» davvero, sempre meglio di farsi un ventitreenne in un bagno, mentre i cadaveri delle persone che avevano fatto fuori erano ancora caldi. Signor Ptolemy, ma mi scusi, be fucking for real. «specie quando il partner è più che consenziente» il tono si voce si fece più lascivo, gli occhi a cadere un momento sulle labbra di Javier. Così, gliela buttava lì assolutamente a caso. Interpretasse come meglio credeva l'hint nemmeno troppo velato di finire la serata altrove.
    E poi: l'incubo.
    I brividi.
    «non cerchi una relazione stabile?» la reazione di Amos fu all’incirca come quella di Javier, anche se più contenuta. Cioè, ma davvero? Aveva solo ventisette anni, perché avrebbe dovuto accasarsi con qualcuno? Che ansia, cristo, non ci voleva pensare. Anche perché aveva visto cosa succedeva a coloro che si impegnavano, e non andava mai a finire bene. Amos Hamilton pensava di aver già dato dopo il Lowell, ci aveva messo fin troppo tempo a ricostruirsi pezzo per pezzo, ogni giorno un passo dopo l’altro, fino a che ripensare al maggiore non gli ispirava più un’immensa malinconia e una crisi di pianto. Forse, la sua nuova slut era, era il suo umile modo di proteggere quello che era un cuore fin troppo esposto e facile da stringere in una mano e frantumare. Scosse il capo con qualche secondo di ritardo, gli occhi a farsi distanti e persi sulla condensa del bicchiere «no, al momento sono felice così» non stava nemmeno mentendo, aveva scoperto molte cose su se stesso da quando si era permesso di ampliare i propri orizzonti «voi piuttosto? dato che non sembrate il tipo da una scopata e via» riportò la sua attenzione sulle letterine, e se si soffermò per qualche istante di troppo sulle figure di Freddie e Nate, beh, doveva essere una loro impressione. Fiutava il gossip, una possibile relazione, che gli dessero almeno un quarto di gioia.
    Driving out into the sun
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    Went looking for a creation myth
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  10. .
    amos ryder hamilton
    Se Amos fosse stato un po’ più Hamilton e meno Amos, avrebbe storto il naso davanti alla nonchalance con cui l’Henderson l’aveva snobbato. Non saprei da cosa iniziare, diceva con la coda di paglia, la faccia di qualcuno che ne aveva combinate di tutti i colori. Era fortunato che Amos fosse stato distratto dal sorriso di Javier, e dunque non perseguì oltre l’argomento. Anche perché sarebbe stato come sparare sulla croce rossa: «questa è la mia...terza? anima gemella, tutte trovate a san valentino grazie a forze maggiori» beh, che dire, era proprio il caso di ammettere che c’era sempre qualcuno messo peggio. Era vero che l’Hamilton non poteva dire di aver trovato l’anima gemella, ma almeno quando non era sua abitudine passare il San Valentino rinchiuso in una stanza con degli sconosciuti. Oddio, in realtà sì, ma non aveva nulla a che vedere con anime gemelle mancate. «magari il prossimo anno è quello buono» lo dubitava, ma quello non glielo disse. Dopo tre volte, persino la più ottimista delle persone finiva con il cadere in ginocchio davanti al volere del Fato. «per quanto mi riguarda, le anime gemelle sono sopravvalutate» catturò con il pollice una goccia di condensa, per poi portare il bicchiere alle labbra a nascondere un sorriso amaro. Anime gemelle? Non esisteva nulla del genere, non dopo quello che aveva visto accadere attorno a lui nel corso degli ultimi anni. Un giorno, avrebbe trovato Gemes Hamilton e gli avrebbe insegnato il significato della parola per sempre. Conosceva diverse persone che avrebbero potuto fargli un favore. Fece per continuare, ma Freddie riassunse perfettamente quello che era il suo pensiero, la sua filosofia di vita. «no, per me le anime gemelle non esistono, le persone semplicemente si scelgono, decidono di accettarsi e di rinunciare a una parte della propria indipendenza per poter vivere in compagnia di quella persona» alzò il bicchiere in direzione del professore, una sincera ammirazione a brillare dei suoi occhi. Ma pensa te, allora non erano solo dei coglioni arrapati. «non avrei saputo dirlo meglio» non gli era sfuggito lo sguardo che Freddie aveva volto a Nelia, sentiva che si stava perdendo qualcosa, una storia. Prese un sorso dal suo bicchiere, la mente a vagare sulle soap operas che sua madre si guardava quando era piccolo. Sospettava di essere finito in una puntata speciale in quello che era il drama degli insegnanti di Hogwarts. «io credo nella pura attrazione. quella che ti fa fare cazzate solo perché puoi e vuoi farle. e nel sesso.» se si parlava di attrazione e di cazzate, l’Hamilton doveva essere un campione. Era pur sempre la persona che si era trasferita dall’altro capo del mondo con la sua situationship, per poi rimanere scottato. Non ne andava particolarmente fiero, ma aveva tratto diversi insegnamenti da quella storia, della serie non affezionarsi troppo a nessuno. Fino a quel momento, aveva funzionato alla grande, tra il letto di uno sconosciuto e l’altro era stato facile dimenticarsi di Brandon. Ormai, non era altro che uno dei tanti nomi che si erano susseguiti nella sua vita. «qualche volta le cazzate sono un bene, no? rendono meno monotona la vita» inclinò il capo verso Ptolemy, gli occhi dell’Hamilton brillarono per qualche secondo di una malizia che non vi era prima, un’allusione nemmeno così implicita che poteva essere presa come meglio credeva. «una scopata ogni tanto ci vuole» *cazzata, mamma mia cosa non fanno l’alcol e una serata intensa alle spalle. «comunque eviterei di parlare di sesso davanti a un minorenne» Freddie, evidentemente, doveva essere frustrato con la vita e il sesso se stava cercando di essere il cockblocker di turno. L’Hamilton avrebbe potuto sfilare il documento dal portafogli e mostrarglielo, ma non pensava che il discorso meritasse una tale considerazione da parte sua. Fece il gesto di guardarsi intorno, per poi riportare uno sguardo poco impressed sui presenti «non vedo nessun minorenne qui» portò un braccio dietro la sedia, una gamba ad accavallarsi sopra l’altra per mettersi più comodo (era pur sempre gay, non era nella sua indole stare seduto composto) «ma sono lusingato se pensi che dimostri meno di ventisette anni» sollevò un sopracciglio, una risata divertita a scivolare dalle labbra. Non era la prima volta che riceveva un tale complimento, ma si era un po’ rotto le palle: non era facile cuccare se la gente pensava avessi sedici anni. Specie se, come Amos, si tendevano a preferire uomini più maturi.
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    guarda javi non ti ho ancora limonato come voleva il dado solo perché amos ha dell'amor proprio. ma chissà amos slut era


    Edited by ambitchous - 14/3/2023, 03:39
  11. .
    We do our best vampire routines
    As we suck the dying hours dry
    baby daddytwenty-six
    amos ryder
    hamilton
    Che Amos lo volesse o meno, finiva sempre per ricoprire i panni di babysitter. Questo valeva sia per gli adulti che per i bambini, nonostante a un primo sguardo sarebbe appaerso come un minorenne a chiunque. Accettò comunque Bang tra le braccia? Certo che sì, era il suo mostro preferito. Una volta aveva persino provato a morderlo, ma era un fuckin bambino quindi glielo poteva perdonare. «difficilissimo. non lo so se ti conviene provarci.....» Piz doveva ringraziare di trovarsi quell’Hamilton davanti, e non il resto del parentame, perché chiunque altro si sarebbe sentito offeso da quelle parole. Cosa, solo perché era difficile credeva che non ce la potesse fare? Eh, ma il nostro Amos era un po’ malewife coded quindi avrebbe lasciato correre. «va bene, ti lascio l’onore allora» doveva pur fare qualcosa per ricostruire la fragile masculinity del Morley, dopo che era stata massacrata da quel gioco. Da bambini. Ma, ripeto, Amos era un’anima caritevole e non l’avrebbe sottolineato- non poteva certo perdere un cliente. Qualche volta poteva essere ingenuo, e fin troppo buono, ma scorreva del sangue Hamilton in lui. Madonna basta reputation era quando justice per Amos. «puoi cercare qualcosa lì in mezzo, sono quelli che ho già vinto» spostò lo sguardo sulla pila di peluche, trovandosi momentaneamente sopraffatto dalla mole di roba sul bancone. «gli etero mi fanno paura» sussurrò tra sé e sé, ma anche a Bang, perché era quella la pura verità. Scelse un paio di peluche dal mucchio, distinguendoli a tutti i bambini con un sorriso sul volto «questi ve li regala zio piz. come si dice?» un coro di grazie si sollevò dai suoi protetti, e un po’ gli si stinse il cuore. JULIE, a saperlo avrebbe adottato anche Davide (cosa? cosa). E qui potrei intraprendere un discorso profondo sulla questione bambini, l’essere gay, il futuro, e la famiglia tradizionale ma sapete cosa? Devo postare tra poco quindi immaginatevelo. «NON È POSSIBILE. C’È QUALCOSA SOTTO!!» sobbalzò, l’Hamilton, sorpreso dall’esplosione del Morley. Più che un adulto, con una carriera di tutto conto alle spalle, sembrava un bambino a cui avevano fatto cadere il gelato. Oddio, non stava mica per piangere? O per prendere a pugni il venditore. Non sapeva cosa sarebbe stato peggio. Forse il piangere, perché a quel punto avrebbero iniziato anche i bambini. «Dimmi che l’hai visto anche tu. Il bolide che deviava all’ultimo, DIMMI CHE L’HAI VISTO!» ecco da chi aveva preso Bang, se mai ci fossero stati dubbi sulla paternità di Piz, ora erano evaporati del tutto. E fu proprio per questo motivo, che Amos impiegò la stessa tattica che funzionava sempre su Bang: dargli ragione, e poi distrarlo. «ah?» no, non aveva visto. Assolutamente nulla. Ma non aveva altra scelta: «CERTO! davvero, ma davvero assurdo» scosse la testa con fare sbigottito, la voce ad alzarsi di un’ottava- era proprio un attore nato. Kinda. «sai cosa? forse-» «Dammi la caramella. Ora ci riprovo.» mhhh what about no? Ma che palleeee odiava gli uomini etero, ma perché a lui. Che poi, Piz era etero? Non ne era sicuro, ma come offesa era sempre on point. Strinse la mano per tenere la caramella salda nel palmo, poggiando invece l'altra mano sul bicipite di Piz: era il momento della distrazione «oddio! MA! quelli erano tua sorella e un ragazzo???» no vabbè shock ma cosa dici???? DAVVERO?? No, non davvero. Ma qualcuno doveva separare Piz dalla sua ludopatia. «no ma- ma cosa sta facendo?» si finse scioccato, la vera immagine di un cittadino scandalizzato da chissà cosa. Non c'era un cazzo da vedere, ma probabilmente Piz si sarebbe distratto abbastanza da trascinarlo via. Gaslight, gatekeep, girlboss.
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    Is it called a happy end?
    If the world gets me
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    ajr
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    amos ryder hamilton
    Amos Hamilton non sapeva dire di no. Quel suo fatale difetto l’aveva gettato in una spirale di impicci e disastri che la sua mente non riusciva nemmeno a quantificare, trascinandolo in situazioni dalle quali avrebbe volentieri fatto un passo indietro. Se fosse stato un po’ più Hamilton e un po’ meno Amos, non sarebbe successo. Sua sorella glielo ripeteva sempre, eppure le sue parole continuavano a scivolargli tra le dita- non era che non ci provasse, ma che era impotente davanti alla volontà altrui. Ecco perché aveva accettato quando Piz l’aveva invitato ad allenarsi nella sua palestra -vedi come ti farà bene! aveva detto, e Amos non aveva avuto il cuore di dirgli che stava bene così- e successivamente quando Lawrence aveva iniziato a trascinarlo alle sue sessioni. L’Hamilton non era la persona più percettiva del mondo, eppure persino lui aveva incominciato a notare un certo pattern dopo le prime volte. Sebbene la palestra del Peetzah avesse il suo fair share di clienti, ognuno di loro aveva le proprie routine a cui aderivano. Era naturale che dopo un certo numero di tempo passato in sala, l’Hamilton avesse imparato a riconoscere i volti di alcuni di questi. Anzi, vedendo che la sua tecnica era ancora in erba, alcuni di solo si erano persino offerti di correggerla sua postura durante alcuni esercizi. Dopotutto, non poteva sempre avere Morley a seguirlo. Se all’inizio quell’invito in palestra era parso come un incubo in miniatura, con il passare dei mesi Amos aveva trovato un altro luogo dove si sentiva a suo agio. Gli era mancata una routine mentre era in giro per il mondo, e mattone dopo mattone stava cercando di costruirsi qualcosa di suo. Dunque, non era strano che l’Hamilton avesse riconosciuto un certo pattern nelle azioni di Lawrence; quel pattern, più nello specifico, aveva un volto che Amos conosceva fin troppo bene. Fin troppo bene era forse un eufemismo, ma sapeva bene chi fosse Marcus Howl. E che sarebbe stato meglio girargli alla larga. Ecco perché aveva passato ben parte di quei venti minuti a concentrarsi sulla sua scheda, ignorando sistematicamente le allusioni di Lawrence e i suoi pugnetti. «non sbavare troppo, però. altrimenti poi ti tocca pulire i pavimenti. AH no, aspetta. Lo fai comunque» il lumocineta voltò lentamente il capo verso Lawrence, gli angoli della bocca a curvarsi senza rivelare un vero e proprio sorriso «e forse, se continui a sbavare, toccherà anche a te» piegò il capo, ricambiando il pugnetto che gli aveva dato poco prima. Dopotutto, la palestra era troppo grande per un solo paio di mani. «Se non mi richiama mai più, muoio. Ho bisogno di un’altra ripassata» perché, ovviamente, l’Hamilton era stato il destinatario del resoconto della notte di fuoco dell’amico. Non c’era dettaglio di cui non fosse a conoscenza, anche volendo le descrizioni vivide di Lawrence non lasciavano scampo a malintesi. «non lo so, non mi sembra il tipo» si strinse tra le spalle con fare indifferente, Amos non era un estraneo a quel tipo di persona, e sapeva che raramente finiva con un secondo incontro. Non voleva dargli false speranze dopo tutto l’interesse che aveva dimostrato -il che era insolito per lui- ma qualcuno doveva fargli un reality check. «guardalo» sospirò greve, per poi voltare il capo nella direzione indicata. Amos Hamilton lo vedeva, sarebbe stato difficile non farlo, ma sapeva anche che osservare era tutto ciò che si poteva permettere. E poi, Marcus sembrava aver notato di essere diventato oggetto della loro attenzione. «Secondo te, prima o poi coglierà gli hints?» Amos alzò gli occhi al cielo, socchiudendoli un momento dopo per raccogliere la sua calma zen «oh, fidati, li ha colti abbondantemente» qualcuno doveva dirglielo, era l’unico modo per uscirne in un unico pezzo «non hai visto come ci ha guardato?» male, molto male. Amos non poteva biasimarlo, se si fosse trovato al suo posto non era sicuro che avrebbe esibito la medesima calma. In quel momento decise di tentare una strada estrema, che contraddiceva qualsiasi intenzione avesse avuto fino a quel momento: approcciare la radica del problema: Marcus Howl. Dubitava che la vita di Lawrence sarebbe stata al sicuro per molto ancora se avessero continuato così. «fammi provare una cosa» se ne sarebbe pentito? Probabilmente. Non sapeva se Lawrence l'avrebbe seguito o meno, ma non era importante ai fini della sua agenda. Si diresse verso l'Howl con una confidenza che era solo superficiale, mentre dentro desiderava solo di detonarsi in mille pezzi. Aveva notato che Marcus indossava delle cuffiette, quindi decise di posizionarsi direttamente nel suo campo visivo. Alzò una mano per attirare la sua attenzione, per poi aspettare che interrompesse la musica «scusa, ti va se ci alterniamo?» indicò il sacco con un cenno del capo, fiero di come la sua voce rimase salda e incurante. Poco importava che non avesse nemmeno idea di come infilarsi dei guanti da boxe, se si trovava lì era per un altro motivo «volevo...» ora che si trovava con la piena attenzione dell'Howl addosso, la sua calma vacillò. Era difficile mantenere il suo sguardo cristallino, quindi Amos spostò momentaneamente lo sguardo oltre alle sue spalle «scusa per il mio amico, non so se hai....sentito qualcosa» magari la la pausa e l'altra di una canzone, anche se pregava sinceramente di no, perché c'era un limite all'umiliazione che Amos era disposto a sopportare per i suoi amici.
    We were a hammer
    to the Statue of David
    We were a painting
    you could never frame
    This city always hangs a
    little bit lonely on me

    twenty-sixlumokinesisbaby daddy
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    I give it all my oxygen,
    so let the flames begin ©
    amos ryder hamilton
    1996 - special muggle - photokinesis - baby daddy
    «e tu l’hai...tenuta» Rea avrebbe dovuto conoscere suo fratello dopo tutti quegli anni, raccattare dei randagi era un pilastro portante della sua personalità. Un po’ come era stato adottato lui anni prima dalla sorella, voleva dare la stessa opportunità a persone meno fortunate. Anche se quello includeva crescere una bambina di cui non conosceva nulla, tantomeno il nome. Almeno quella volta nessuno sarebbe venuto a bussare alla sua porta per reclamare il figlio perduto, o almeno sperava. L’India era troppo lontana dall’Inghilterra perché accadesse, no? Non era quello il momento di discendere in una spirale di dubbi e preoccupazioni, non quando Rea era lì davanti a lui. Non voleva causarle ulteriori preoccupazioni, credeva di averlo fatto abbastanza sparendo per anni in giro per il globo. «negli ultimi anni, al non è morto né è stato rapito, che come ben saprai è un record. Elijah vive qui» Amos annuì lentamente, prendendo posto su una delle sedie che c’era in cucina. Era sorpreso che Alejandro fosse sopravvissuto per tutto quel tempo, ma ciò che lo destabilizzava maggiormente era Elijah. Sentiva che ci fosse una storia dietro, ma conoscendo Rea avrebbe dovuto aspettare il momento giusto per tirarla fuori e ricavare maggiori informazioni. Così come la sorella si preoccupava di lui, era suo dovere fare lo stesso. «jay si è trasferito con lydia con cash e tupp. Che sono… i loro figli, caso mai ti fossi perso l’aggiornamento» oh. Logicamente, sapeva che sarebbe dovuto esserne felice, che non aveva nessun tipo di claim su Cash nonostante lo avesse cresciuto per una parte della sua vita. Era sparito dalla sua vita, non era certo di meritarsi un premio come babysitter padre dell’anno. Il fatto che, poi, Cash e Tupp fossero figlio di Jay e Lydia era certamente something ma aveva visto il modo in cui loro due si guardavano- sarebbe stato più strano se Rea avesse parlato di una sua prole. Hahah trpp crazy !11!! «abitano vicini?» una domanda nata dalla pura curiosità, non certo perché stava già meditando di andare a trovare la coppia e offrire i suoi servizi da babysitter. «gemes vive con heidrun, e no, non si sono ancora sposati» oH MIO DIO?????? Ma perché tutti si erano trasferiti, che cosa era successo nel tempo in cui era stato via. L’Hamilton ebbe l’improvvisa situazione di essere l’unico ad essere rimasto indietro con la propria vita, un passo indietro rispetto a tutti coloro che lo circondavano. «meglio così, sarei stato molto offeso di non aver ricevuto un invito» provò ad abbozzare un sorriso, ad emulare il tono leggero di qualcuno che non stava spiraling ogni passing moment. Sperava che Run non si fosse dimenticato di lui. Che ci fosse un posto da qualche parte anche per lui. Forse non sarebbe dovuto tornare, era cambiato così tanto e lui non si sarebbe mai- «tu piuttosto? Te ne sai andato con il lowell per mettere su una fattoria, e sei tornato da solo e con una bambina rubata in india» ah, quella sì che era una bella domanda. Se non altro, spostò la sua attenzione su un’altra parte della sua vita che avrebbe preferito tenere chiusa in un cassetto. Prese a giocare con le dita cicciotte (e sbavate) di Bollywood, un reminder che era lì nel presente, che era finalmente a casa e nulla di ciò che era successo sarebbe tornato a tormentarlo. Era un discorso complicato, che sicuramente meritava più di un paio di parole per riassumerlo, ma era il massimo che poteva fare al momento. Non voleva ammettere alla sorella quanto avesse fallito: mentre tutti si stavano costruendo una vita, Amos Hamilton era solo bravo a smontare i mattoni uno ad uno fino a che si ritrovava punto a capo. «diciamo che non ha funzionato, tra di noi. volevamo cose diverse e....pensavo di essere pronto ma non lo ero» faceva quasi ridere a dirlo ad alta voce, una di quelle frasi così cliché che si sentiva ridicolo a ripeterla alla sorella. Eppure era così, non era colpa sua se la sua vita era una parodia di una commedia romantica. Solo che la sua storia finiva male, al contrario di quelle a cui si assisteva sul grande schermo. «forse era la persona sbagliata, o forse lo sono io» si strinse tra le spalle, le labbra a prendere una piega derisoria «ma lo sai che non sono bravo a dire di no alle persone, e l'ho tirata per le lunghe.....ho fatto più danni che altro, alla fine» ammise a capo chino, stringendo Bollywood un po' più forte. Il familiare senso di colpa che l'aveva scavato dentro sin da quando aveva rotto con Brandon ricomparve, ma tentò di tenerlo a bada in favore di rimanere nel presente «volevo tornare a casa ma-» la voce si fece più pastosa, dovette schiarirsi la voce prima di continuare a parlare «non lo so, mi sentivo un fallimento così, tornare qui sarebbe stato come ammetterlo a tutti» distolse lo sguardo da quello di Rea, sbattendo le palpebre rapidamente prima che la cucina potesse diventare sfocata e distorta. Ma che gli prendeva? Vedere sua sorella dopo tutti quei mesi doveva averlo reso emotional. «ma viaggiare mi ha fatto bene. ora sto meglio» minchia.
    Someone should have told you
    that you'd always have a place to go
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    amos ryder
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    Forse aveva offeso Piz.
    Oddio, aveva offeso Piz????
    Amos Hamilton non era una persona che cercava il conflitto, ma nemmeno un confronto più mite, la maggior parte delle volte si limitava a prenderle con il sorriso sul volto quindi quella nozione gli sembrava assurda. «Non sono stato io??!!!» ok?? L’Hamilton si limitò ad annuire vigorosamente, scegliendo saggiamente di cucire la bocca per il momento, in attesa che il Peetzah elaborasse. «È stato Bang. Stava giocando.» in effetti, Bang sembrava posseduto dal demonio, più del resto dei suo coetanei. Amos non aveva idea da chi avesse preso, considerando che i suoi genitori gli sembravano persone mentalmente stabili. Certo, lo stesso dubbio sarebbe potuto sorgere riguardo l’Hamilton stesso e sua sorella, quindi non credeva che quella scusante reggesse più di tanto. Intanto, mentre Amos era occupato con le sue congetture mentali, Morley stava continuando il suo monologo dove -tra tutte le persone al mondo- stava cercando di giustificarsi con Amos Hamilton. Amos Hamilton, capite? Un po’ gli faceva tenerezza, come quello zio cool ma un po’ impacciato che cercava di far sorridere i bambini con le sue pessime battute. Non aveva idea del perché gli fosse venuta quella strana analogia in mente, ma la mente del lumocineta era un posto bizzarro dove regnava il caos più assoluto. E dire che, da quando aveva fatto la conoscenza di Lawrence, la situazione era peggiorata: pensieri inappropriati su uomini che avevano il doppio della sua età, decisioni di vita discutibili, il revival di una pubertà che non aveva mai potuto vivere. E qui, è doveroso aprire una parentesi: non pensieri su Piz, per fortuna- aveva degli standard, l’Hamilton, e anche se era gay avrebbe preferito farsi Penn. Scusa Piz, lova ya Piz. «E ciao, comunque» oh boi, si era decisamente offeso. Non era più il suo babysitter preferito? Male, malissimo non poteva accettarlo. Aveva una reputazione da mantenere, dopotutto. Cosa sarebbe successo se la voce si fosse sparsa, togliendo all’Hamilton la possibilità di essere assunto da qualche dilf? Per fortuna il lavoro da L’inguinis lo metteva in contatto con abbastanza dilfs, but still era una questione di principio. «scusa, ero sorpreso» abbassò lo sguardo sui propri piedi per un attimo, grattandosi la nuca in qualche modo colpevole. Sì, era stato rude e non lo negava, ma era stato colto di sorpresa dalla situazione. «Sì, tutto ok. A quanto pare oggi il babysitter era impegnato» possibile che tutti i babysitter della Londra magica fossero evaporati da un giorno all’altro? Dov’era finita la sua squad? Trovarsi un lavoro non era una scusa per abbandonare dei bambini ah no?, era proprio vero che avevano l’immondizia al posto del cuore. «Non è che ne vorresti un altro, eh? Chiedo» più che una richiesta, all’Hamilton pareva una supplica disperata da parte di un uomo che stava per gettare la spugna. O il bolide, insomma. «magari se lo prendo io si calma? dovrei avere delle caramelle da qualche parte» sì, perché ormai l'Hamilton era pratico e andava in giro con dolciumi vari perché sapeva che sarebbero stati la chiave per sopravvivere ai capricci dei bambini. Allungò le braccia verso il Peetzah per prendere Bang, il quale non smise di agitarsi anche una volta essere passato all'Hamilton- ma non importava, Amos conosceva le sue pecore. «si addice proprio a bang» lanciò uno sguardo complice al bambino, che nel frattempo aveva cercato di dargli un pugno nell'occhio: era proprio fiery come un leone. «è tanto difficile? accetto i gettoni dello stand come pagamento per bang» e non perché Eugene l'avesse pagato con i gettoni, ma era abbastanza sicuro che Piz non potesse eguagliare il favore che gli aveva fatto il Jackson. Che rimarrà tra noi perché Amos non avrebbe svelato cosa aveva comparato a Jade a L'inguinis, ma era stato qualcosa di abbastanza costoso da far fare bella figura ad Amos i primi giorni in cui aveva iniziato a lavorare lì. «o ne puoi vincere uno anche a noi, sei il più sportivo tra i due» e come poteva, Morely, resistere al fascino di un branco di bambini e i loro occhioni supplicanti? Non poteva, esatto. «per favoreeee?» nessuno gli aveva mai vinto un peluche11!!! Poi, sentendo che Bang stava diventando una forza incontenibile, tirò fuori dalla tasca (di Mary Poppins) alcune caramelle e le offrì ai bambini -tranne Bollywood, non era un genitore degenere- «puoi persino vincere una caramella!» che onore!
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    A dire la verità, ad un giovane Amos i bambini non erano mai piaciuti così tanto. Era più un senso di indifferenza che un vero e proprio disgusto, accompagnato alle volte dal classico moto di tenerezza quando si imbatteva in un bimbo particolarmente carino. Insomma, un po’ come per gli animali. Era sempre stato il più piccolo della famiglia, non aveva mai avuto esperienze con fratelli o cugini più piccoli, così estraneo a quel mondo da non averlo mai contemplato. Fino a che non era arrivato Cash nella sua vita, poi tutti i bambini a cui aveva fatto da babysitter negli anni e infine Bollywood. Aveva ricoperto le vesti di un padre-ragazzo, lo zio a cui venivano accollati i nipoti nel weekend e anni dopo quelle di un padre ormai maturo e con anni di esperienza alle spalle. Ciò nonostante, gestire un infante aveva sempre e comunque le sue sfide e l’Hamilton era stato sfidato eccome. Si pentiva un po’ di tutto alle volte, ma al contempo non avrebbe scambiato il suo presente per nulla al mondo. «volete andare sul bruco mela?» Amos si affacciò oltre il manico del passeggino, per volgere lo sguardo alle due piccole pesti che lo accompagnavano. Cash e Uran gli erano stati accollati dai genitori senza che potesse opporsi, ma Cash gli era mancato così tanto che avrebbe colto qualsiasi occasione per passare qualche ora in compagnia di quello che sarebbe sempre stato un po’ suo figlio. «no, io voglio la mela caramellata!» «io voglio vedere i clown!!!!» chissà se Uran era davvero figlio di Eugene dato il suo amore per i clown, in quanto a Cash aveva preso tutto da Amos. L’Hamilton sospirò, non potendo fare a meno che sorridere ai capricci dei due bambini: era troppo debole per dire di no e deluderli. Ed ecco perché era il loro zio preferito. «va bene, va bene ho capito» poggiò i palmi sul capo di Uran e Cash per placarli, un gesto che non falliva mai di farli tacere- e sì, Rea li aveva condizionati come dei cani di Pavlov qualsiasi «perché non andiamo a prendere qualcosa da mangiare prima? bollywood ha fame» tralasciò il fatto che la bambina non potesse davvero consumare il cibo degli stand, ma la sua faccia cicciotta e i suoi occhi da cucciolo erano un’arma che funzionava sempre sulle due pesti. Amos riprese a spingere il passeggino, avvicinandosi all’area dedicata al cibo che confinava con vari altri stand. Fu proprio quando stava passando accanto a uno di questi che ricevette un bolide dritto in faccia. ll suo primo istinto fu quello di urlare, ma si morse la lingua e si limitò ad accasciarsi sul manico (manubrio?) del passeggino «chi è stato? non sai che ci sono dei bambini qui? poteva essere pericoloso» il capo dell’Hamilton scattò in alto a cercare il colpevole, pronto a rimproverare chiunque fosse stato. Era arrabbiato, una furia che raramente usciva fuori ma che era doverosa quando si trattava dell’incolumità dei bambini che gli erano stati affidati. La ramanzina gli morì sulla punta della lingua quando il suo sguardo incrociò quello di Morley Peetzah, ritrovandosi per un momento senza parole al vederlo con un bolide in mano. «uh......piz mi hai appena lanciato un bolide in testa?» piegò il capo osservandolo con una confusione mai provata prima, non capendo il perché di tale bullismo. E dire che pensava di essere il babysitter preferito dell'uomo. Si avvicinò allo stand insieme alla sua gang, non mancando di salutare la bestia infernale che era Bang. «è uno strano modo di attirare l'attenzione delle persone. senza contare che avresti potuto colpire loro» Cash e Uran non erano nemmeno figlio suoi (debatable), non voleva avere quel tipo di responsabilità!!! «tutto bene? sembri un po'.......» esaurito, sfatto come qualcuno che aveva corso una maratona «provato» Amos settled per quello, troppo educato per dirgli la verità.
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93 replies since 9/10/2014
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