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  1. .
    they hate to see a boytoy win.
    Doveva aver battuto violentemente la testa, non c'erano altre spiegazioni per il comportamento di Lawrence.
    Battè le palpebre un paio di volte, scacciando il ronzio nelle orecchie con un gesto della mano, come se fosse una zanzara, il problema, e non i ripetuti colpi alla testa ricevuti.

    Continuò a camminare verso Cherry, o meglio, a trascinarsi verso la bionda, incurante del fatto che incespicasse sui propri piedi un passo sì e l'altro pure, o che la vista fosse appannata dal sangue che colava sugli occhi.
    Batté le palpebre, e le trovò coperte da un liquido denso, appiccicoso, e cremisi.
    Sangue?
    Beh, Lawrence, cos’altro poteva essere.

    Quando la raggiunse, le prese il viso tra le mani tremanti e le chiese, con un moto di apprensione che solo la Benshaw poteva suscitare in lui «stai bene?»
    Non si era nemmeno reso conto di essersi effettivamente mosso, ma la presenza di Cherry fra le proprie braccia era solida e tangibile, un chiaro segno che non stesse immaginando tutto.

    Le spostò i capelli dal viso, poggiando la fronte contro la sua, e respirando piano — cristo santissimo, sembrava che i polmoni stessero andando a fuoco, ogni cosa gli faceva male, e voleva solo tornare a casa sua e dormire sei giorni di fila.
    Vero, incredibilmente vero.
    Delle voci della gente intorno a loro non gli interessava nulla; non era nemmeno sicuro di riuscire a percepirli, gli altri esseri umani. C’era solo la sua migliore amica accovacciata di fronte a lui, pezzi di piombo — no, di metallo, conficcati nella gamba, parte di qualsiasi ordigno avessero fatto esplodere, chiaramente.
    «sembra il foro di un proiettile, ah ah» lo sfirò piano, prima di rendersi conto che fosse davvero una pessima idea.
    Uh.
    Beh, le idee – e i pensieri – arrivavano tutti ovattati, in quel momento. AH!
    Era molto stanco, Lawrence. Voleva solo dormire.
    Aveva davvero un solo desiderio in quel frangente e, stranamente, non era rotolarsi tra le lenzuola di uno sconosciuto e dare alle stanche membra un motivo per essere davvero stanche.
    Il suo desiderio era uno.
    Era—

    «andiamo a casa» così, di punto in bianco, nel bel mezzo della battaglia si.
    Era la prima e l'ultima volta che andava a morire per Moka. O per il vecchio bastardo.

    «andiamo a casa.»
    Potevano? Ma si che potevano.
    E in che senso qualcuno ha fatto esplodere una bomba, australiana stai zitta, tu e il tuo stupido accento, vai via, lasciaci stare, lascia in pace Cherry, lascia—
    Oh Dio, ma certo, qualcuno aveva fatto esplodere una bomba.
    Aveva sentito l’onda d’urto (le onde d’urto, plurale! AH!) scaraventarlo via prima di realizzare davvero cosa stesse succedendo; era finito contro il bancone del gate, Lance, sbattendo con violenza la testa. Era finito a terra, senza essere in grado di ripararsi dalla caduta, ed impattando con il pavimento freddo dell’aereoporto con la fronte, tanto perché non aveva già preso abbastanza botte.
    E non il genere che piaceva a lui, poi!
    «qualcuno ha fatto esplodere una bomba» ripeté a Cherry, a sua – non dirlo. Non dirlo Lawrence, «mamma, stai bene?»
    Batté le palpebre, senza preoccuparsi di togliere il sangue dallo sguardo castano che faticava più del necessario a mettere a fuoco la figura della strega.
    Mamma?
    Scoppiò a ridere, e poi si rifece serio.
    Poi rise di nuovo.
    «devo vomitare.»
    Si sentiva un Hugo Cox qualunque prima di qualsiasi esame — e si, certo che conosceva Hugo Cox, avevano fatto tutte le scuole insieme.
    Ed in effetti, vomitò.
    Ma tra detriti, sangue, gente che perdeva braccia e gambe come pezzi dei lego, il panico generale e le condizioni di quel dannato terminal, dubitava qualcuno se ne sarebbe accorto.
    Sperava almeno di aver vomitato sulle scarpe di Claudia, che era ancora lì, e voleva rubargli la mamma la sua migliore amica.
    Protestò con quanta più veemenza gli fosse concessa dal fisico provato, ma alla fine perse la presa su Cherry, e fu costretto a lasciarla alle cure di una decisamente più funzionale Moor. Le vide sparire entrambe, una bionda appena un po’ più viva dell’altra, e mise il broncio.
    «stronze!» Nemmeno lo avevano aspettato.
    Si rimise in piedi, usando le sedie – divelte da terra e scaraventate via dall’esplosione – come supporto; impresa davvero complicata, si rese tristemente conto, se non tanto per le gambe cedevoli e tremanti, per il continuo senso di vertigini che non ne voleva sapere di lasciarlo stare. Si rese conto dell’essere ad un passo dal perdere conoscenza – di nuovo?! – solo quando la presa scivolò lungo il metallo freddo, e quasi finì nuovamente a terra.
    Intorno a lui la gente si muoveva in maniera sempre più concitata, e la sola idea di dover alzare lo sguardo per osservare lo fece rimettere di nuovo. Il terminal danzava in immagini confusi davanti alla sua visione sfocata, e il ronzio nelle orecchie non ne voleva sapere di scemare.
    Non era un dottore, ma poteva arrivarci anche lui a capire che non vertesse nelle migliori delle condizioni.
    Oh, ma! Un dottore, certo. Aveva bisogno di un medico. Qualcuno che si prendesse cura di lui. Dottore.
    Doc.
    Doc?
    Smaterializzarsi senza un’idea precisa di dove si voleva finire era sconsigliato da qualsiasi istruttore di Smaterializzazione, e da qualsiasi mago con un pizzico di buon senso.
    Evidentemente non era il caso di Lawrence Matheson che, senza nemmeno pensarci due volte, chiamò a sé la magia necessaria per allontanarsi dalla scena del crimine, e finire il più lontano possibile da lì.
    No, non lontano.
    Bastava che fosse da qualche parte con un dottore.
    L’ospedale!
    Si, beh, certo — per una persona normale e senza una commozione cerebrale in corso sì. L’ospedale.
    Per Lance?
    Beh. Lui lo conosceva, un dottore.
    «busso.»
    Bussò.
    Accasciato alla porta di casa di Sinclair, ma lo fece.
    lawrence
    matheson

    Hangover, no closure, turn over; there you are.
    Bad choices, loud noises, && taking it way too far
    spaceboy
    “a young, pretty, homosexual”
    wizard
    not a perfect soldier (nor a good man)
    the victim — 2000, entrepreneur, pretty boyI waste all my time walking sacred lines
    with you on my mind;
    && now that we've said goodbye, there's no more
    "one more time"s; I start to wonder why
    Why I ever wanted to let go, yeah
    regrets
    steve howie
    moonmaiden, guide us
  2. .
    più comunemente conosciuti come flank, i sanguinari si occupano di indebolire il nemico con attacchi rapidi così da poter sferrare gli ultimi colpi fatali con facilità.
    Tra i motivi che l'avevano spinto a cercare sempre più spesso la compagnia di Lissette Monrique (a parte quelli più ovvi, ovvero che fossero entrambi bellissimi e che Hogwarts non offrisse cosi tante altre alternative interessanti e di compagnia) spiccava sicuramente il fatto che la bionda non perdesse mai occasione per sottolineare quanto Lance fosse meraviglioso, simpatico, di bell'aspetto, intelligente, di successo, affabile, classy. Ogni complimento mosso dalla bionda era un boost per l'ego già smisurato di Lawrence Adrian Matheson, che ne voleva sempre di più — se li meritava. Non come le offese gratuite di Cherry MPF migliori amiche e poi……… l'ereditiera spagnola aveva colto chiaramente l'essenza di Lance, che dal canto suo non poteva proprio trattenersi dal circondarsi di persone che riuscissero a vedere quel lato di lui che nessun altro capiva, il Superman del suo Clark Kent, o il Mr Hyde del suo Dottor Jekyll, a seconda dei punti di vista.
    Le sorrise complice, durante quel brindisi che prometteva di essere il primo giro di molti, un pomeriggio che sarebbe scivolato gradualmente in una serata divertente e al limite della decenza (morale e non solo) come tante altri pomeriggi scivolati in serate divertenti al limite della decenza — un altro dei motivi per cercare la compagnia di Liz non era così insensato, o noioso.
    «brindiamo a tutte le scelte della mia vita allora, mi amor»
    «ammettiamolo, sono quelle dai risvolti più divertenti,» ammiccò — lui che amava farne, e non pentirsene mai il giorno dopo. Non era programmato per il rimpianto, il Matheson; semplicemente, trovava sempre la scusa o la motivazione più adatta per giustificare ogni conseguenza, anche quelle che facevano ribollire il sangue nelle vene. E nell'ultimo anno, di quelle scelte ne aveva fatte fin troppe; non significava mica che fosse disposto a smettere!
    «chi non fa scelte sbagliate, come può dire di conoscere il sapore di quelle giuste?» era bello, giovane, ricco e pure filosofo! Davvero una catch per chiunque, peccato avesse esattamente zero voglia di legarsi sentimentalmente a qualcuno; il solo pensiero gli procurava giramenti di testa, stress e rush cutaneo.
    Al «non sono troppo bassa per fare la modella?» rispose con un cenno della mano, gesto internazionale del “non dire scemenze”, che nessuno avrebbe potuto fraintendere, nemmeno due come loro (da QI francamente discutibile; altro motivo!!) «gli standard di bellezza sono cambiati, tesoro, non lo sai?» ora il mondo apprezzava un genere tutto diverso rispetto a quello degli anni 50 e 60, e i canoni per definire se una persona fosse bella o meno erano stati ampiamente capovolti, «e poi, chi guarderebbe mai l'altezza a discapito–» la indicò con un gesto, dall'alto verso il basso, «di tutto questo.» Liz aveva davvero un viso bellissimo, sotto il trucco pesante e il mascara scuro, e un fisico mozzafiato coperto da abiti di dubbio gusto (e se lo diceva lui, il re indiscusso del pessimo gusto, stando a quanto diceva Cherry!!); altezza o meno, con il giusto stile e le giuste luci, avrebbero potuto creare un servizio fotografico da urlo. «ma anche se così non fosse,» aggiunse poi, mescolando lo spritz con movimenti circolari del polso, gesti familiari per un amante dei drink in compagnia come lui, «l'agenzia è la mia e decido io chi ha le carte in regola per entrare nei miei studi di posa, e chi no.» ragionamento semplice e che non faceva una piega.
    E, per una volta nella sua vita, non lo stava proponendo nemmeno con un secondo fine in mente; quell'offerta fatta alla Monrique era genuina e priva di qualsiasi scopo secondario, ma Lance valutò subito l'idea di approfittare della gentilezza della bionda e accettare l'invito sullo yatch, chi era lui per dire di no?
    Si lasciò persino prendere la mano da lei, un gesto innocente che Lance non concedeva ad abbastanza esseri umani (anche perché era circondato da bestie che evitavano il contatto umano come la peste — motivo per cui Law era ben lieto di considerarli amici) e che forse l'ultima volta aveva accordato a Bollywood, perché era la sua nipotina del cuore e una bambina di indefiniti anni molto più furba di lui e Amos messi insieme. Manipolatrice e sveglia, proprio una mini lui con i codini colorati. A Liz, invece delle smorfie divertite che aveva rifilato a Bolly in quell'occasione, rivolse uno sguardo appena accigliato e sopracciglia aggrottate, solo in parte specchio della preoccupazione che l'idea di “farsi portare dal cuore” provocava in lui — punto primo, non era certo di averne uno; punto secondo, preferiva di gran lunga ragionare con il cervello piuttosto che con il muscolo cardiaco, non si fidava abbastanza.
    «è magico, possiamo andare ovunque ci porti il cuore»
    La sentiva già la voce di Cherry rispondere subito “alla RSA più vicina, quindi”, ma Lance era diventato bravo ad ignorarla, dopo tutti quegli anni. «ovunque ovunque chiese, pensieroso, «comodo, in effetti! E tu dove andresti, se dovessi partire in questo preciso momento?» sperava non dicesse qualcosa di triste o sentimentale come "andrei a cercare le persone sparite" perché buh-uh quello era happy hour e non sad boi hour — c'era un tempo e uno spazio, e soprattutto un luogo, per pensare a chi non c'era più, e non era decisamente quello.
    lawrence
    matheson

    don't lose perspective, we all get damaged,
    && some of us don't ever heal
    rogue sanguinario
    [toglie ps al nemico nel tempo]
    mago
    Lvl mago
    2000 — entrepreneur — pretty boyyou probably think I must be broken
    ("promiscuous boy, be ashamed")
    Well I can tell you honey, I'm potent
    At least I own up to mistakes.
    lucky escape
    years&years
    Mother of Night, darken my step
  3. .
    più comunemente conosciuti come flank, i sanguinari si occupano di indebolire il nemico con attacchi rapidi così da poter sferrare gli ultimi colpi fatali con facilità.
    «propongo di brindare alle scelte sbagliate» annunciò Lance, alzando il bicchiere di spritz che aveva ordinato, e facendolo tintinnare contro quello della Monrique, seduta di fronte a lui. «e al fatto che non smetteremo mai di farne.» le concesse persino un sorriso complice, perché sotto molti aspetti erano così simili che spesso, nell’ultimo anno, Lawrence si era chiesto come avessero fatto a non diventare amici prima; erano letteralmente la brotp delle brotp, un sogno e una visione celestiale per gli occhi di chiunque, e per di più condividevano (il mezzo neurone) un sacco di passioni comuni. Era davvero assurdo che non si fossero trovati prima; se proprio, il Matheson incolpava i tre anni di differenza e il fatto di aver frequentato classi (e giri) diversi, fino a quel momento.
    Lissette Monrique gli piaceva; per motivi diversi da quelli che, per dire, lo avevano avvicinato ad una Cherry più di un decennio prima, ma ugualmente importanti. Era la sua collega preferita, quella da cui andava quando (non aveva voglia di lavorare) voleva fare una pausa caffé, e l’unica che non gli diceva mai di no se proponeva un drink post lavoro *manine* era anche bella e simpatica, ottima compagnia da portarsi in giro per attirare gli sguardi. E sì, certo, aveva delle particolari fissazioni e quella peculiare passione per il leccare cose, ma chi era lui per giudicare!
    E poi, erano entrambi sopravvissuti alla Guerra di Primavera — sempre più assurdo che non avessero bondato già lì.
    Ecco le scelte sbagliate di cui parlava Lance; le stesse che avrebbero rifatto di lì a breve; lei per i suoi motivi, su cui Law non indagava perché non gli interessava così tanto; lui perché si annoiava e perché Cherry sarebbe andata, e non esisteva alcuno scenario in cui se ne teneva fuori mentre suo mamma andava a riprendersi quel deficiente di un Telly.
    Sia ben chiaro che quello era l’unico motivo per cui Lawrence Matheson sarebbe andato, e assolutamente non per recuperare Moka Telly o un vecchio bastardo qualunque.
    Portò il drink alle labbra e assaporò l’amaro sapore del campari, prima di afferrare una patatina.
    (Gli aperitivi del Bar dello Sport erano i suoi preferiti, proprio come quelli che aveva gustato più e più volte nei migliori bar italiani, quelli con le viste più mozzafiato e i camerieri più carini.)
    «uh, l’offerta per venire a posare allo studio è sempre valida, lo sai vero?» ricordò all’improvviso, poi, facendo un cenno in direzione della Monrique con il bicchiere. «ho anche già l’idea e l’allestimento perfetto, nulla di scadente, tranquilla, solo il meglio per una delle mie persone preferite.» Ci metteva davvero poco a scegliere le proprie alleanze, Law, e Liz lo era diventata in brevissimo tempo, un’alleata. «fammi solo sapere quando, e mi terrò libero!» il “se ne usciamo vivi” non ebbe nemmeno bisogno di esplicitarlo, perché sapeva ne sarebbe uscito vivo. Su quello, come su molte altre cose, Lance non aveva alcun dubbio: si diceva che l’erba cattiva non moriva mai, infondo, no?
    lawrence
    matheson

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  4. .
    Quando portò, per l’ennesima volta, lo sguardo distratto verso la pista ghiacciata, Lance pensò che non lo pagavano (affatto!!) abbastanza per stare lì a vedere gente che veniva sbattuta a destra e a sinistra e che se le dava di santa ragione con un’asticella con paletta finale.
    E pensava anche che quello non era assolutamente ciò che intendeva lui quando diceva di volersi far sbattere al muro, e non capiva che genere di problemi avessero gli sportivi, per trovare piacevole una disciplina tanto violenta. Solo uno come Moka Telly Jr. poteva trovarla interessante, infatti.
    Lo sport, in generale, a Lawrence non era mai particolarmente piaciuto; aveva trovato gratificante vincere sul campo da quidditch quando era ad Hogwarts, ma non abbastanza interessante da farne poi tutta la sua vita anche fuori (al contrario di quella bestia di suo fratello Wyatt Holland — ennesima dimostrazione di quanto fossero diversi, e perciò impossibile che nelle loro vene scorresse lo stesso sangue; di quei tempi, Lance trovava tutte le giustificazioni per confermare la sua teoria e smentire invece le confessioni del neo special); insomma, il Matheson di solito puntava ad altri modi per fare attività fisica, e se proprio doveva sudare e faticare, preferiva farlo per dei fini decisamente più piacevoli.
    Era tornato al quidditch solo a settembre – non come atleta, ma come assistente – solo perché l’idea di bazzicare intorno al nuovo coach (e a qualche altro professore con cui la conoscenza era stata prematuramente interrotta mesi addietro) gli era sembrata allettante e divertente; e se il bonus era (il coach) spiare più da vicino l’assistente anonimo con cui Cherry se la faceva (“i modi vaghi e sospetti” con cui lei ne parlava, in Lance non trovavano appigli, aveva già capito tutto da tempo) per vedere se le intenzioni fossero serie o meno, tutto di guadagnato.
    Non si era spinto così oltre da pensare che Nathan potesse essere suo padre perché non voleva pensarci e basta; per lui la questione era chiusa, era uno scherzo, era andato avanti.
    Perciò no, non avrebbe mai capito chi per passione sceglieva di farsi sbatacchiare qua e la sul ghiaccio, o contro la barriera in plexiglass.
    C’erano molti altri modi per essere sbatacchiati.
    Non sarebbe stato lui a dirli a Moka: se in tutti quegli anni di amicizia non aveva imparato una o due cose, erano problemi suoi.
    Sussultò appena quando il citato special venne sbattuto come un tappeto contro la parete, ma il viso rimase inespressivo e gli occhi tornarono presto a posarsi sull’applicazione dove stava cercando, con interesse solo marginale, qualcuno con cui matchare.
    «il masochismo è arrivato a livelli estremi,» commentò così la scena, senza alzare gli occhi su Cherry, seduta accanto a lui, pur sentendola irrigidirsi appena. «la torta è stupida ma almeno è azzeccata.» nessuno sapeva quanto a Moka Telly servisse la terapia.
    Si degnò di distogliere l’attenzione dalla serie di torsi nudi che continuava a swipare a destra e sinistra solo quando Cherry scattò impercettibilmente in avanti, gesto che, se Law non fosse stato seduto così vicino alla pavor, avrebbe persino mancato di notare; quello che vide, seguendo le attenzioni della migliore amica, portò un angolo delle labbra ad alzarsi leggermente verso l’alto, soddisfatto.
    Non c’era nulla di più certo di quello.
    Prevedibile, quasi.
    Col tono meno colpito di sempre, bisbigliò: «moka telly che fa partire una rissa, sono sconvolto.» bloccando lo schermo del cellulare e godendosi l’azione. «finalmente.»


    «ditemi che almeno avete ripreso la scena»
    «no» Se ne stava in piedi con la spalla appoggiata contro una delle pareti dello spogliatoio, il Matheson, ad osservare quel coglione di Moka tamponare il sangue che scendeva copioso dal naso rotto. Non fece letteralmente nulla per aiutarlo, pur potendo, e lasciò che fosse Cherry a giocare a fare la crocerossina. «la memoria del telefono mi serve per altre cose» tipo raccogliere le foto che riceveva, o quelle che poi inviava, ma sono discorsi per altre sedi, «non lo voglio il tuo brutto muso a intasarmi il telefono.»
    «meno male che vi avevo detto di non venire»
    «non guardare me, ha insisto lei per venire. io avevo di meglio da fare oggi che vederti fallire in campo. sicuro di aver imparato le regole del gioco?» chiedeva perché era un amico premuroso, lui.
    Si guardò poi intorno, prima di posare la torta – che teneva in mano da tipo ore – sulla panchina, accanto al Telly. «dobbiamo per forza stare qui? puzza.» e lui era abituato al tanfo degli spogliatoi di Hogwarts, quindi era tutto un dire! Aveva seguito Cherry lì dentro solo perché voleva essere presente quando la bionda avrebbe inevitabilmente preso a sberle il Telly, e fino a quel momento era rimasto deluso, proprio come tutto il primo quarto d’ora di gioco.
    Sollevò appena un sopracciglio, alla reazione di Moka. «hai visto, chers? non gli piace, te lo avevo detto. ora si mette a piangere.»
    Non poteva farci nulla — da quando si era fatto ammazzare, Law detestava Moka un po’ di più. Era più forte di lui, guardandolo gli tornava in mente l’esatto momento in cui l’aveva visto perdere definitivamente se stesso e poi tornare indietro, e ripensava al modo in cui la cosa l’aveva fatto sentire, e lo odiava.
    E poi, ultimamente era di cattivo umore a prescindere, quindi sfogarsi su qualcuno era anche un ottimo rimedio, visto che evidentemente grindr non bastava.
    «non lo so, ragazzi. forse preferivo una sega.»
    Ecco, appunto.
    «nei tuoi sogni» lo informò, tornando a reggere la parete come aveva fatto fino a pochi istanti prima, passando lo sguardo da uno all’altro amico. «è tutto davvero molto toccante, e non vedevo proprio l’ora di passare il pomeriggio in uno spogliatoio puzzolente, ma possiamo muoverci? qui qualcuno ha di meglio da fare.» non lui, chiaramente, visto che sul cellulare tutto taceva e nemmeno una stupida notifica a tirarlo fuori da quella stupida situazione.
    Non poteva manco mangiare la torta, perché Cherry ci aveva sputato dentro!
    lawrence
    matheson

    Don't go yelling stupid things
    in the heat of battle like I'm on fire!
    Fire leaves behind nothing but ashes.
    && you must survive at all costs.

    , like, "I'm on fire!"
    24 | 23.01.00 | leeds (uk)
    deatheater | halfblood
    once: laurie benshine
  5. .
    grifondoro vs serpeverde sorry, I can't hang out; it's quidditch season



    Theo Kayneportiere28PS
    Avery Batescacciatore25PS
    Maximilian Brewstercacciatore25PS
    Don Woodcacciatore22PS
    Raz Cherneybattitore30PS
    Iris Rouxbattitore25PSbolide (3pq)
    Nahla Hiltoncercatore25PS
    Sinéad 'Mini' Mikhailovaportiere30PS
    Roxanne 'Roxie' O'Deathcacciatore25PS
    J Boonpracacciatore25PS
    Breccán McCarthycacciatore25PS
    Delilah Parkerbattitore25PSbolide (8pq)
    Fabian 'Ian' Graysonbattitore25PS
    Alexander Lestrangecercatore (C)29PS
    passaggio – grifondoro (1/3)


    Passaggio preciso, la pluffa rimane ai grifondoro che possono proseguire l'azione.

    L'avvertimento di Theo si perde nell'aria; per fortuna c'è Iris che arriva in tempo per evitare il peggio, e rispedire al mittente un bolide non troppo forte ma preciso. Don si becca giusto una botta al ginocchio, ma è ancora tutto intero — i salesiani hanno manifestato.

    (26) DIFESA DONBY ( iris + theo ): 11+4+3.5= 18.5pd → 19pd (-3ps)
    BOLIDE DELILAH (iris): 8pq

    Intanto i serpeverde sono troppo presi dal difendere Delilah e uccidere i grifondoro e non si accorgono del bolide sul loro capitano: Alexander se lo prende bene in pieno, e la palla impazzita lo prende ad una spalla: secondo me è slogata.
    Il bolide riprende la sua corsa puntando Iris.
  6. .
    whodesdemona benshaw
    roleguest (bride's side)
    outfitdress & hair
    infoseventeen | ravenbitch
    infohead cheerleader | ben10
    Lance avrebbe voluto essere una persona migliore di così.
    No, non migliore nel senso di meno egoista, meno falsa, meno ambiziosa; no, migliore nel senso di più forte. Perché non c’era nulla di adulatorio nell’essere così debole da ritrovarsi, suo malgrado, a tenere traccia dei movimenti di un certo dottore, e seguirli con ancora più attenzione nel vederlo muoversi sulla pista da ballo.
    Fosse stato migliore (non sarebbe stato Lawrence) non si sarebbe trovato affatto in quella situazione, tanto per cominciare; e non avrebbe tirato in mezzo nemmeno il povero sconosciuto che aveva avvicinato. Fosse stato migliore, sarebbe stato molto meno divertente vivere la sua vita.
    Dovette ricordarsi che, tutto sommato, essere com’era gli piaceva moltissimo, e non aveva alcun rimpianto; l’aver ceduto ad uno sguardo di troppo non significava assolutamente nulla. Aveva imparato la lezione, Lawrence, l’aveva imparata molto bene; aveva smesso da tempo di correre dietro qualcuno che, sin dal principio, non avrebbe dovuto cercare. Per Sinclair Hansen, Law aveva infranto tutte le sue regole: aveva fatto ciò che aveva giurato di non fare mai – tornare due volte dallo stesso uomo – e si era reso ridicolo, dimostrando di avere qualcosa a battere nel petto, nonostante avesse cercato comunque di nasconderlo dietro (inutili) tentativi di negoziare qualcosa che, lo aveva assicurato lui, avrebbe favorito entrambi.
    Sapeva di star mentendo, che quel “un’ultima volta, come addio?” era poco credibile anche se accompagnato da una postura disinvolta e da un sorriso morbido a piegare le labbra. L’aveva saputo anche Sinclair, e aveva deciso di smascherare il gioco di Lance, dandogli quello che mai nessuno prima di quel momento aveva osato: il benservito.
    «credevo che la scorsa volta fosse l’ultima volta.»
    Lance, quelle parole, se le ricordava ancora.
    Così come ricordava le venature nel legno della porta che il vecchio bastardo gli aveva sbattuto sul naso subito dopo.
    Perciò sì, Lawrence aveva chiuso con lo special, e avrebbe davvero voluto essere più forte di così e non cedere alla stupida tentazione di vedere cosa facesse, con chi lo facesse, e se fosse felice della situazione.
    Raphael (dai, nel frattempo si è presentato, ho deciso io) sembrava esattamente ciò di cui il Matheson aveva bisogno: un passatempo. Un ripiego. Avrebbe potuto dire che gli dispiacesse per l’uomo, che oggettificarlo in quel modo era sbagliato da parte sua, ma non era così; Lawrence Matheson non si poneva quel genere di problemi morali. E stando ai sorrisi ricambiati dal Vaughan, sembrava disponibile a starci — perfetto per entrambi, no?
    Così, seppur a fatica, si era costretto a distogliere l’attenzione dall’Hansen e riportarla sull’altro, già stufo delle chiacchiere vuote e smanioso di passare ad altro; leggenda narrava che ci fossero un sacco di stanze disponibili, nella struttura, e che stessero già andando a ruba.
    «quindi, raph –»
    «ah lawrence, eccoti. ti stavo cercando»
    Non lo aveva perso di vista, oh no; era perfettamente conscio di ogni spostamento dell’altro. Ci aveva provato a non farlo, ma aveva fallito, e anche se in maniera marginale, ne aveva comunque registrato ogni movimento e ogni espressione. L’aveva saputo ancora prima di sentirne la voce così vicina che Sinclair sarebbe stato il primo a cedere, e aveva avuto ragione.
    Sfarfallò le ciglia in direzione di Raphael, fingendosi mortificato per quell’interruzione, e poi si voltò lentamente verso l’Hansen. «eccomi, sono qui.» sono sempre stato qui, avrebbe voluto urlare; ma era – un cazzo di falso. – un signore, e si limitò a sorridere mentre Sin gli sfilava il calice dalle mani, attento a non sfiorare nemmeno per sbaglio le sue dita.
    Sapeva benissimo a che gioco stesse giocando lo special, e non era disposto ad abboccare. Così si limitò a mantenere il sorriso sulle labbra, sereno e docile, e a scuotere piano la testa. «oh no, ci stavamo giusto conoscendo.» Una mezza occhiata di sbieco al prof, e il sorriso a farsi più imbarazzato, come se lo avessero colto sul fatto.
    Si permise di indugiare un po’ sulla figura del Vaughan, prima di tornare a guardare Sinclair.
    «c’è qualcosa che deve dirmi, doc?»
    Credevo che la scorsa volta fosse l’ultima volta.
    Quell’immagine bruciava ancora nella sua mente, e sperava che almeno un po’ Sin riuscisse a scorgere parte di quel rancore che bruciava nello sguardo castano, ora tutto per l’Hansen.
    Alzò un sopracciglio quando l’uomo lo informò che forse quello non era il posto giusto, e dovette pensare un attimo sul da farsi: una parte di lui era già pronta a scattare e seguire Sinclair, perché aveva preso certe abitudini che erano difficili da perdere; mentre l’altra, quella più infida, avrebbe voluto avvinghiarsi al Vaughan e vedere Sinclair Hansen diventare verde d’invidia e mangiarsi le mani.
    «ok.»
    Disse semplicemente, riprendendosi il calice dalle mani di Sin e allontanandosi, offrendo le sue più sentite e sincere scuse al povero professore.
    Lo sapeva che era uno sbaglio.
    Lo fottutamente sapeva.
    Si era già bruciato una volta negli ultimi mesi, che era più di quanto non avesse mai fatto nella vita, e anche se sapeva che a soffrire fosse stato unicamente il suo orgoglio (e nient’altro, parola di scout), non voleva essere preso in giro un’altra volta. Gli venne in mente quella stupida canzone dell’ultimo film Disney visto con Bollywood, e una smorfia di scherno rivolta a se stesso si fece largo sul viso dolce, mentre attraversava la sala del ricevimento e imboccava il corridoio che portava ai bagni e alle cucine; non era quello il momento di pensare a come anche il mondo di Law e quello di Sin avrebbero fatto meglio a non incrociarsi mai, a come la sua vita fosse andata liscia come l’olio fino alla guerra – e subito dopo –, a come cercare conforto nell’uomo fosse stato stupido, infantile e francamente ridicolo.
    A come, persino alle sue orecchie, le sue scuse fossero suonate vuote.
    Ed infondo se Sin l’avesse detto, se avesse ammesso che fosse reale, forse sarebbe stato peggio; nessuno dei due poteva permettersi… quello, qualunque cosa “quello” fosse. Era stato il primo, e forse uno dei pochi, argomenti su cui erano stati d’accordo.
    Non li aveva comunque fermati.
    Soddisfatto della nicchia nel muro, nascosti dietro una colonna, vicini alle scale che portavano alla taverna in disuso, Lance finalmente si fermò, e incrociò le braccia prima di rivolgersi a Sin, ogni espressione di finta cordialità o morbidezza spazzata via dai lineamenti giovani. «quindi ora vuoi parlare?» lo fissò con intensità, senza cedere terreno, «oppure eri solo geloso e volevi evitare che qualcun altro potesse avere quello che tu non hai voluto?» non un comportamento maturo, per uno della sua età, duh. «perché io l’ho accettato, sai?» bugiardo; ma si era ripetuto così tante volte che infrangere le sue regole per un uomo qualsiasi non valesse la pena da finire quasi col crederci.
    Quasi.
    «forse dovresti fare lo stesso.»
    Credevo che la scorsa volta fosse l’ultima volta.
    Oh, no, don't look in their eyes
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    puramente self-indulgent, parla solo con sin, potete non leggere, interessa solo ad elisa ciao
    ah si, la canzone menzionata è questa
  7. .
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    «hai ragione, sei qui per farti perdonare»
    Non diede modo al senso di colpa che lo colpì in pieno di rendersi visibile sui lineamenti morbidi, né lasciò che trapelasse alcun sentimento nel sorriso tirato che rivolse alla Benshaw quando la informò che «no, non sono qui nemmeno per quello.»
    Bugia.
    Era lì esattamente per quello, e lo sapevano entrambi; ciò che Cherry non sapeva era il motivo che avesse spinto Lawrence ad allontanarsi dalla pavor in quei tre mesi, spingendolo a comportarsi – e cito testualmente – “da coglione”, e non avrebbe mai dovuto scoprirlo. Lance non era pronto ad affrontare quella conversazione, e dubitava che lo sarebbe stato mai. Meglio continuare a fingere che fosse tutto un cazzo di scherzo giocato a suo sfavore da Wyatt Holland, e andare avanti.
    «sono stato impegnato, lo sai.» Era un uomo d’affari, ora, il Matheson: in quei tre mesi non aveva solo scavato la sua fottuta fossa cercando conforto tra le braccia di un uomo che, era chiaro, non avrebbe mai avuto né potuto avere, aveva anche finalmente tirato su la sua impresa ed era stato un lavoro che aveva richiesto un sacco di tempo, di soldi e di mal di testa burocratici. «se ben ricordi, ti ho anche invitata all’inaugurazione» anche se c’aveva dovuto pensare su a lungo prima di decidersi ad imbucare quella dannata lettera, il primo (abbastanza fallimentare) tentativo di contattare la Benshaw da quella fatidica alba allo Stonehenge.
    Cercò di nascondere così, con le parole vuole e un tono di voce leggero e consono alla giovialità della festa, il groppo in gola che quel «ma ci sarei stata per te» gli aveva suscitato.
    Ci sarebbe stata, davvero? Pur sapendo… pur sapendo tutto, lo avrebbe guardato con gli stessi occhi? No, ovvio che no. Chi volevano prendere in giro? E l’idea di perdere Cherry come amica era stata l’unica cosa che aveva spinto Lawrence a tirare la testa fuori dal culo e cercare di riallacciare i rapporti, occultando le prove e negando persino a se stesso di aver mai posato gli occhi su quella dannatissima foto.
    «ma non porto rancore, lawrence, stai sereno»
    «sei una cazzo di falsa» e la strinse appena a sé, felice di lasciar cadere così il discorso, e cercando due posti da dove osservare (oppure no) il dispiegarsi degli eventi e – ugh – lo scambio delle fedi.
    «tre posti.»
    «i cani siedono sull’erba.»

    Lance aveva passato tutta la cerimonia con gli occhi incollati all’app di incontri, a swipare a destra e sinistra su profili di uomini il doppio della sua età: del matrimonio #akerrow non gli interessava nulla, era lì solo per presenziare a nome della sua famiglia (ugh) e perché l’aveva promesso a Cherry prima che tutto andasse a puttane, come le aveva ricordato la bionda prima della funzione.
    Lui, all’amore, nemmeno ci credeva.
    E, ancora di più, non credeva alla monogamia.
    L’idea di incatenarsi per sempre a qualcuno? Terribile, bloccata. Poi ci si domandava perché si finisse sempre con lo scegliere il tradimento, eh già, chissà perché. L’essere umano non era fatto per quel genere di paletti ed imposizioni, parola di Lawrence Matheson.
    Ogni tanto, sentendosi oggetto di attenzioni non desiderate, aveva alzato lo sguardo per incontrare quello turchese della corvonero seduta dall’altra parte della pavor, che con un cipiglio disgustato lo stava chiaramente giudicando e lui, dall’alto della sua maturità, le aveva rivolto le smorfie più dolci, fingendosi assolutamente innocente. Fa che finisca presto e si passi alla parte divertente della storia, aveva pensato l’ex serpeverde, agognando già cibo e alcolici come un invitato medio qualunque, in sostanza.
    Poi, come a voler rispondere alle sue preghiere, qualcuno dall’alto (lo staff della venue) decise che era davvero il momento per abbandonare le parole e passare ai fatti, finalmente.
    Lance seguì, buono buono, la Benshaw maggiore farsi largo tra gli invitati e raggiungere la sala dove si sarebbe tenuto il rinfresco, cellulare ancora in mano e i primi segnali di vita da coloro che stavano finalmente rispondendo ai suoi match. Si avvicinò all’amica e le chiese, «secondo te a che ora finisce?» in modo da potersi organizzare il post serata — tanto aveva già capito l’andazzo di quel matrimonio: c’erano solo uomini sposati o peggio, con figli poppanti al seguito, oppure gente che Lawrence preferiva evitare (ughhh hhhhh HHH!!) e — «penso che tu abbia attirato l’attenzione di qualcuno»
    Furono più le parole di Cherry, che non la gomitata nel costato, a far vagare lo sguardo castano dell’ex serpeverde per la sala, solo in parte cullato dall’idea stupida e infantile e chiaramente fuori luogo di incontrare così quelle altrettanto scure di un uomo che conosceva abbastanza bene. Ma non fu lo sguardo di Sinclair, che Law incontrò.
    Purtroppo? Per fortuna?
    Eh.
    Non si perse comunque d’animo, svelto a ricambiare il sorriso offerto dall’uomo dall’altra parte del buffet.
    «proprio come piace a te: decrepito»
    «stai zitta, stronza» soffiato appena attraverso il sorriso al miele che stava rivolgendo all’altro, e che nemmeno per un attimo perse il calore e la morbidezza che Lawrence, negli anni, era diventato un maestro nello sfoggiare. Lo abbassò solo per un attimo verso Cherry, sfarfallando le lunghe ciglia scure come un angioletto. «te l’avevo detto che la giacca avrebbe fatto colpo»
    («è così bella che non si può guardare»)
    «non ti dispiace se ti lascio con la bestia, vero?» Certo che no, sapevano entrambi che non c’era assolutamente alcun finale a quella storia che li avrebbe visti lasciare il matrimonio insieme, come i peggiori perdenti di sempre. «ti voglio bene, non fare nulla che non farei anche io» e, con un bacio poggiato delicatamente sull’acconciatura bionda di Cherry, Law si staccò dalle sorelle Benshaw per raggiungere l’uomo sconosciuto.
    Sulla strada prese due bicchieri, porgendone uno all’altro una volta avvicinato.
    «non credo di aver avuto ancora il piacere,» gli sorrise, sfoggiando le sue fossette più dolci e lo sguardo più morbido di cui fosse capace, presentadosi nella sua veste migliore «sono Lawrence. lato dello sposo, o della sposa?» Oh, in qualche modo doveva rompere il ghiaccio, e poi non aveva mai detto che le chiacchiere fossero il suo punto forte: di solito, lasciava il segno per altro. Wink wink?
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    parla con cherry, avvicina raph (scusate, vi ignora tutti ma ha delle priorità)
  8. .
    ho chiesto a babbi e mi ha confermato di non essere più intenzionata a tenere il ruolo quiiiiiindi

    HTML
    [URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/?t=62734678]Lawrence Matheson[/URL]

    - assistente di quidditch (ノ◕ヮ◕)ノ*:・゚✧
  9. .
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    Non è che a Mona non piacesse Lawrence Matheson; è che l’unica cosa per cui lo sopportava era il suo essere assolutamente e irrimediabilmente gay e, per tanto, non costituisse una possibile minaccia al genere femminile. Fine. Per tutto il resto, lo trovava irrilevante e, francamente, anche un po’ inadeguato e certamente non degno delle attenzioni di sua sorella. Ma ultimamente Mona aveva iniziato a pensare che Cherry non avesse le priorità giuste come la corvonero aveva sempre sostenuto: l’ammirava ancora, era – e sempre sarebbe rimasta – il suo modello di vita ma.
    Eh, un sacco di “ma” aleggiavano intorno alla neo capo cheerleader, in quel periodo.
    Posò con calcolata lentezza le iridi zaffiro sul profilo della maggiore, due schegge appena visibili attraverso le palpebre strette, come a voler studiare quella persona che credeva di aver conosciuto per tutta la vita e che, invece, ultimamente sfuggiva alla sua comprensione come granelli di sabbia che scivolavano attraverso dita dischiuse. Cherry era impegnata in una conversazione con quella specie di migliore amico che aveva scelto di accollarsi anni prima, alla cerimonia dello smistamento; ugh, che dire, non tutti potevano avere lo stesso buon gusto di Mona, né l’intelligenza di prendere al proprio fianco una persona degna e all’altezza, come invece aveva fatto lei. Il Matheson era per lo più trascurabile, a sua detta.
    Ciò che si stavano dicendo, non le interessava: era lì con loro solo perché non poteva essere con nessun altro, e non sarebbe di certo arrivata al matrimonio accompagnata dai suoi genitori, nonostante fosse lì proprio per merito loro, che avevano, di fatto, ricevuto l’invito a quelle nozze.
    Sentì comunque, suo malgrado, Lawrence sussurrare in un tono volutamente udibile quel «Mona mi sta fissando» al quale rispose con una pigra e distaccata occhiata, un sopracciglio leggermente inarcato che voleva rispondere: non montarti la testa, non è nulla di lusinghiero. «tua sorella, non il cane.» Una specifica che l’ex serpeverde si sentì in dovere di fare, visti i precedenti di confusione: che cosa assolutamente da Cherry dare lo stesso nome della sua sorellina alla sua bestiola infernale — ma infondo, Lance un po’ capiva il perché l’avesse fatto.
    Con un gesto naturale, dovuto ad anni e anni di pratica, offrì il braccio alla migliore amica e diede le spalle alla studentessa. «non sono venuto qui per fare da babysitter.» Perché si fossero accollati anche la stronzetta bionda, non era dato saperlo: dopo mesi di silenzio, Lance camminava su un ghiaccio troppo sottile per negare a Cherry di portarsi dietro la bambina, e lui, nonostante tutto, stava cercando di recuperare quella situazione degenerata all’indomani della guerra, quando aveva letto quella dannata lettera e il suo mondo era stato completamente rovesciato.
    Sì, ok, il mondo di tutti era cambiato e bla bla bla — a lui fregava meno di zero di quello che succedeva agli altri, sapete? Era fin troppo occupato a pensare al fatto che la sua migliore amica potesse essere anche sua madre, qualcosa che continuava a pensare come uno scherzo di pessimo gusto perché era troppo assurdo per essere vero.
    Quindi, per amore di Charlyse Benshaw, Lance stava sacrificando la propria piazza; un saggio (ugh, ew, meh, non faremo nomi.) gli aveva consigliato di sistemare le cose prima che fosse troppo tardi, e sia ben chiaro e reso noto che Lance non lo stava facendo perché glielo avevano suggerito, ma perché qualsiasi cosa fosse, sua mamma o sua nonna o una perfetta estranea al proprio albero genealogico, Cherry rimaneva la sua fottutissima migliore amica, nonché la sua coscienza, e in tre mesi lontano da lei Lawrence era stato in grado di far deragliare completamente la sua vita, in un modo o nell’altro. Certo, aveva fatto anche grandi cose, tipo aprire la propria agenzia di moda (un giorno arriverà davvero, lo giuro) ma aveva preso anche scelte molto discutibili, come tornare a bussare alla porta di un uomo, con la coda tra le gambe, solo per vedersela sbattere in piena faccia. Quindi insomma.
    «troviamo qualcuno a cui smollarla, ho sentito che c’è l’angolo baby park dove si possono lasciare i mocciosi (incustoditi).» Come avrebbe fatto a far colpo su qualcuno, con la cozza attaccata a loro? Quella lì aveva il vizio di far scappare la fauna maschile, o di pietrificarla sul posto come una Medusa del discount. «non ho intenzione di lasciare questo matrimonio da solo» e non aveva bisogno di aggiungere altro: Lance era entrato in modalità caccia nel momento stesso in cui aveva indossato la giacca di velluto bordeaux e si era stampato il suo miglior sorriso angelico con tanto di dolci fossette a completare il quadro.
    Mona, nel frattempo: «mi mancano i ben e ho detto tutto
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    mona & law: arrivano con cherry, parlano solo tra loro, importunateli pure

    e con questo ho finito pandi out sono *stelline* morta *stelline*
  10. .
    lawrence matheson
    now I'm told that this is life
    && pain is just a simple compromise,
    so we can get what we want out of it.
    Would someone care to classify
    our broken hearts and twisted minds,
    so I can find someone to rely on?
    (&& run to them, full-speed ahead)
    Lance non nascose l’espressione divertita nel notare il disagio di Sin, quando il dottore iniziò a guardarsi intorno, forse preoccupato che qualcuno potesse accidentalmente origliare la loro conversazione e farsi una cattiva – ma sarebbe stata anche sbagliata? – idea di lui. Non la rese neppure troppo palese, però, nascondendola dietro un sorriso innocente e un guizzo brillante negli occhi castani, che prometteva un sacco di cose poco innocenti, ma che riservò solo ed esclusivamente all’uomo; non gli disse che gli dispiaceva di averlo messo a disagio – perché non era così –, anche se avrebbe voluto, solo per vedere, e godersi, la reazione dell’altro.
    E invece continuò a fingersi volutamente confuso, sottolineando termini inequivocabili con il candore di una damina ottocentesca: gli mancavano giusto le gote imporporate per l’imbarazzo di aver tirato in ballo un argomento così controverso, e poi sarebbe stato il ritratto del pudore. Non poteva farci nulla, era semplicemente la sua natura quella lì: non c’era conversazione che Lawrence non fosse in grado di rendere sporca e piena zeppa di allusioni. Si divertiva così!
    Il modo in cui lo special stava reagendo alle sue provocazioni, tentando di resistere, poi, non faceva che aumentare il divertimento; Law sarebbe potuto andare avanti per ore, fino a vedere l’autocontrollo dell’uomo sgretolarsi come sabbia asciutta. Aveva già capito che fosse una preda facile, gli era bastata una mezza occhiata distratta mentre era in fila al bancone Lilum per inquadrarlo e farsi un’idea molto precisa di Sinclair.
    (Spoiler: non aveva davvero capito nulla.)
    Attendeva solo il momento in cui avrebbe potuto riscuotere il premio per la sua dedizione e gli sforzi compiuti: lo sapeva che era solo una questione di “quando”, e non di se.
    Era molto sicuro di se stesso e delle proprie capacità, il Matheson, e conosceva perfettamente le armi a sua disposizione; aveva imparato ad usarle sin da giovanissimo, e raramente sbagliava. Sentiva che non fosse lontano dal centrare l’obiettivo anche quella volta — e pensare che, per una volta!, all’inizio della conversazione, quello era stato l’ultimo dei suoi pensieri. Poi Sin aveva iniziato a parlare di argomenti fraintendibili e… beh, Lawrence era solo umano, infondo.
    «non lo so, sento che potrebbe essere necessaria una dimostrazione pratica»
    «oh,» improvviso stupore colorò appena le sue gote, costringendolo ad abbassare lo sguardo sui palmi ancora uniti in grembo, «si sta offrendo?» ogni parola, ogni mossa, e persino il tono di voce, era tutto calcolato dall’ex serpeverde, così come il mostrarsi abbastanza pudico da avere il buonsenso di abbassare gli occhi e non incrociare quelli del maggiore quando lasciava cadere quella velata provocazione nella conversazione, sapendo che avrebbe potuto essere fraintesa — desiderando che venisse fraintesa. Solo dopo qualche secondo di intima riflessione, trovò il coraggio di alzare nuovamente il mento e cercare il viso dell’idrocineta. «per la terapia, intendo.» E nient’altro, ovviamente. «sono disposto a imparare in prima persona, se vuole insegnarmi.» Conosceva poco Sinclair, e nonostante la sostanziale differenza d’età tra i due, Law era più che certo di avere molta più esperienza dell’uomo, in ambito di “terapia”; tutt'al più, le dimostrazioni pratiche avrebbe dovuto essere Lance a darle. Ma agli uomini piaceva credere di avere controllo, no? E Lance era disposto a sacrificare il proprio ego, in determinate situazioni.
    Tipo quella.
    «gli esercizi per la terapia, ovviamente»
    La luce maliziosa nello sguardo lo rese ancora più scuro e profondo, mentre si avvicinava con il busto, per quanto la gamba ingessata lo permettesse, incontrando Sinclair a metà strada. «ovviamente Era assolutamente d'accordo, al cento percento, completamente, mille su mille.
    Mh mh.
    E infatti lo rese palese con quel suo commento sul “prono (e non porno, perché era un bravo ragazzo) e supino; attivo e passivo”, esclamato senza battere ciglio e con la più pura delle espressioni.
    «la giusta terapia è importante», aggiunse, palmi aperti ed aria del tutto innocente.
    «conciato così? Starei molto attento, Lawrence, e preferirei affidarmi alle mani di un esperto»
    «e lei se ne intende, Doc?» parole studiate ma lasciate cadere con semplicità, nonostante il tono di voce e il sorriso morbido potessero suggerire altro — ma solo ad una mente viziosa come la sua, perciò Sin: è anche un po’ colpa tua, sappilo, se vuoi capire qualcosa che Lawrence non sta dicendo. «è abbastanza esperto con le mani?» ancora una volta, non c’era un doppio senso nelle sue parole: ce n’erano mille. Lo sguardo castano non vacillò nemmeno un secondo, ancora fisso in quello altrettanto scuro dell’uomo. «o, non so…» fece una pausa, arricciando le labbra, già triste al solo pensiero, «ha qualcuno da raccomandarmi? qualcuno a cui possa–» mh, come aveva detto Sinclair? «affidarmi Chiedo.
    gif code
    halfbl.
    denial
    2000
  11. .
    Ho una domanda che mi affligge da un po': chissà se quella sul palco è Cassie, e se gli shade stanno conducendo esperimenti sociali (e sbavacchiando, Cherry ti vedo) a discapito della zia-cognata di entrambi. Ugh. In effetti non voglio davero saperlo, è già tutto molto cursed così.
    Livelli di disagio: Seth Cohen che scopre di Julie Cooper e Caleb.
    UGHHH.
    Magari non ci pensiamo.
    Non pensiamo nemmeno al resto.
    Erano solo due migliori amici con gli ormoni a duemila, un po’ troppo annoiati, e con il bisogno costante di forzare i limiti della decenza e del buonsenso; perché erano anche quello, Charlyse e Lawrence — oltre che madre e figlio.
    Come direbbe il saggio: aiuto.
    Non che Law sapesse ancora nulla, comunque, riguardo quella storia; erano tempi più facili, quelli, prima della guerra e prima di tutto il resto. Tempi in cui il loro unico problema era sedersi l’uno accanto all’altra, bicchiere in mano, e bocche pronte a criticare chiunque capitasse sotto i loro sguardi attenti e giudicanti.
    Tipo: «Ma perché, gli si alza ancora?»
    E Law, che non era altro se non un ragazzo altruista, buono e filantropo: «posso offrirmi volontario per scoprirlo.»
    Parole accompagnate da un sorriso angelico, tutte fossette e aria che non prometteva nulla di buono; ,agari l’avrebbe anche fatto, chi poteva dirlo, dipendeva da come sarebbe andata a finire la serata — per ora voleva godersi la compagnia di Cherry e vincere la partita al loro gioco più vecchio e longevo, l’unico che, anche dopo tutti quegli anni, non li aveva ancora stufati.
    «”Piacere liquido”, dici? Il colore è certamente una promessa»
    Duh, da quando non si fidava del suo giudizio?!
    «Anche il sapore, fidati» lui aveva già bagnato le labbra, assaporando qualche goccia del drink, e poteva affermare senza dubbio che ne valeva la pena. Magari avrebbero fatto davvero un doppio giro anche di quello.
    Ma prima le cose importanti: Law sorrise soddisfatto quando vide Cherry iniziare a scandagliare la clientela del Lilum alla ricerca della vittima perfetta. Lui aveva già adocchiato uno o due possibili candidati, ma il minimo che potesse fare, riducendo già ampiamente il pool di aspiranti rimorchi con le sue preferenze, era quello di lasciare a Chers la scelta.
    (Ma solo perchè era il turno della Benshaw, non era così altruista, non allarmatevi.)
    «non sarà decrepito come piace a te, ma non è niente male» solo
    «Quante volte devo ripetertelo,» sospirò, rivolgendo gli occhi al soffitto del locale, «sono maturi, non decrepiti.» Ma cosa ne voleva sapere lei, infondo, che ancora perdeva tempo dietro quelli della loro età, ugh. «Dovresti prendere spunto, anziché criticare, anziché perdere tempo a fare la babysitter...» Era solo un consiglio spassionato, il suo, eh! Ad ognuno i propri kink: chi quello dell’uomo adulto e affascinante, e chi con quello del poppante con ancora i denti da latte.
    Le rivolse un’espressione che convogliava tutte le parole rimaste taciute (poche, perché Lawrence non aveva filtri con Cherry, e nessuna apparenza da bravo ragazzo da mantenere) e poi le sorrise, la più falsa delle pieghe a muovere gli angoli delle labbra verso l’alto: «non preoccuparti, nessuno è perfetto» “tranne il sottoscritto, ovviamente”, ma non serviva che lo esplicitasse.
    Spizzò comunque la vittima designata, curioso di scoprire su che genere di uomo si fossero posati gli occhi chiari della pavor e rimase piacevolmente soddisfatto dalla scelta. «Okay, okay Non male, in effetti, maledetta Chers: avevano quasi gli stessi gusti, una cosa terrificante se ci si rifletteva a mente lucida, ma che faceva sicuramente comodo in situazioni del genere.
    Riccioli brizzolati, un bel viso e due braccia dalle quale Law si sarebbe fatto stringere volentieri, «non male.» e alzò una mano, in attesa che Cherry gli battesse il cinque.
    Per Merlino, quanto amava quel gioco; non che gli servissero delle farse simili per hook up con qualcuno, ma era più divertente farlo quando c’era qualcosa in palio. E, a quel proposito: «cosa vogliamo scommettere questa volta?» Oh, Cherryna. «Non ti basta già l'umiliazione a cui dovrai andare incontro quando vincerò e sarai costretta ad ammettere – nuovamente! – che sono migliore di te?» Sfarfallò le lunghe ciglia castane, incrociando le dita sotto al mento, e guardandola con la più innocente delle espressioni. «Sei adorabile.» E, pur sapendo che avrebbe potuto perderla, alzò la mano per darle un buffetto sulla guancia.
    «dicevo, sono disposta a mettere in palio un giro sulla mia bambina. solo per te» addirittura? Allora faceva seriamente. Brava Cherry: a Lawrence non piacevano le persone smidollate.
    «Ok, e io, mmh» cosa poteva offrire alla Benshaw, che non fosse, preferibilmente, il numero del suo ennesimo patrigno? (Ugh.) «Io ti lascio le chiavi della casa in Cornovaglia per un intero weekend.» Potevano avere tutto, i Benshaw, ma non avevano una residenza estiva in uno dei più pittoreschi villaggi magici dell’estrema contea. «E puoi portarci chi vuoi Ugh, gli faceva male anche solo pronunciare quelle parole, e pensare che corresse il rischio che Moka Telly infettasse non solo la casa, ma l’intera contea, con la sua presenza.
    Poi, con un secondo di ritardo, aggiunse: «ma scusa, avevi dei dubbi Riguardo al drink, come osava assumere quel tono sorpreso, come se lui avesse mai scelto l’alcolico sbagliato in tutti quegli anni di amiciza. «Alle volte ti comporti come se non mi conoscessi affatto, tsk.» Ingrata.
    lawrence
    matheson

    @ dilf of the week;
    I get dirty thoughts about you,
    they get worse when I'm without you.
    Does that mean that I'm going to hell?
    Or are you thinking them as well?
    23 | 2000 | leeds (uk)
    deatheater | halfblood
    unhinged era state of mind
  12. .
    lawrence matheson
    Le settimane erano trascorse lentamente da quel primo giugno e sembrava che fossero passati mesi, forse addirittura anni, da quando, un po’ alla volta, e decisamente non tutti, avevano lasciato la radura di Stonehenge.
    C’erano momenti in cui Lawrence chiudeva gli occhi e si vedeva ancora lì, schiacciato dal monolite crollato, Cherry stretta a lui e— e sapeva che la fitta al centro del petto aveva ben poco a che fare con gli eventi di quel giorno, quanto più con quello che aveva scoperto dopo; perché era una creatura incredibilmente egoista, Lawrence Matheson, e la sua vita sarebbe continuata lo stesso anche a seguito dell’esito di quel conflitto, se solo una stupida lettera non avesse fatto crollare tutte le certezze che l’ex Serpeverde avesse mai avuto in quella vita. Non gli interessava della guerra, non gli era mai interessato della guerra, né di come sarebbero cambiate le cose da quel giorno in poi — al diavolo, aveva persino scherzato che, se necessario, avrebbe fatto modo e maniera di diventare uno special anche lui, e questo ben prima che potessero avere la certezza di come, o quanto, il mondo sarebbe cambiato.
    Ma gli interessava di se stesso, sempre e solo la sua unica priorità; e fintanto che Lawrence Matheson avesse trovato il modo di uscire vincitore anche da quel conflitto, andava tutto bene.
    Un po’ meno bene, però, andava tutto il resto.
    Poteva ignorare i cambiamenti politici, o cambiare i suoi ideali così come cambiava il vento, da brava banderuola quale era, ma non poteva ignorare quanto letto e scoperto nella missiva che gli era stata, tsk, consegnata. Derogatory. Aveva tenuto la lettera al sicuro in una delle tasche della divisa logora fino a che, tornato a casa, non l’aveva ritrovata quasi per caso; senza accorgersene, aveva fatto come suggerito da Barrow Skylinski: aveva finto non esistesse, fino a che fingere non era stata più un’opzione.
    Una volta dimesso dall’ospedale, l’aveva trasferita dalla tasca ad uno dei cassetti della camera da letto, con tutta l’intenzione di lasciarla marcire lì; desiderava ancora bruciarla davanti allo sguardo dell’Holland, solo per fargli vedere che non avesse assolutamente nulla da guadagnarci, nel leggerla, e prima o poi l’avrebbe fatto. Per dispetto — una cosa che gli veniva molto bene, quello era innegabile. L’aveva nascosta ad Amos, e l’aveva tenuta lontana dalle manine curiose e impiastricciate di Bollywood; ma era durato poco, troppo poco, e quando l’aveva trovata ancora lì, una mattina di un paio di giorni dopo, a ricambiare lo sguardo confuso, non aveva più resistito.
    Col senno di poi, avrebbe dovuto; l’aveva sentito ancora prima di strappare la carta ingiallita della busta che qualsiasi cosa fosse stata contenuta all’interno, non avrebbe portato nulla di buono. Non quando a consegnarla era stato Wyatt Holland. Ma testardo come al solito, Lawrence aveva messo a tacere quelle voci e aveva sfilato la lettera piegata; non si era accorto della fotografia a scivolare via, e s’era concentrato sulle parole scritte in una calligrafia che aveva avuto modo di riscontrare già dalla busta fosse troppo simile alla sua, ma non identica. Una forgiatura fatta male, aveva sostenuto; perché no, infondo? Un’imitazione, una copia. Poteva essere qualunque cosa. E quella carogna di Holland doveva conoscerlo molto più di quanto lasciava credere, perché le parole usate, il tono scelto, erano sicuramente molto vicini a quelli di un Lawrence qualsiasi; persino lui non poteva negare che avrebbe usato analogie molto simili (ma meno incentrate sul quidditch, ugh, ma come si poteva essere così fissati con quello sport?) per spronarsi a diventare una persona migliore. Aveva quasi sorriso, quasi!, nel leggere quei “puoi avere una seconda occasione per guadagnare tutto quello che hai avuto, e molto di più”: il grifondoro stava forse cercando di mirare al suo cuore? Beh, non sarebbero bastate quella manciata di lettere messe una dietro l’altra per farlo desistere, ma apprezzava comunque lo sforzo.
    Se fosse stato un altro, ci avrebbe quasi creduto.
    Poteva persino lasciarsi convincere dalla storia strampalata inventata dall’Holland – con quale fine, poi? Era troppo assurdo anche per voler credere che fosse uno scherzo, cosa si era aspettato? Che ci cascasse? Non era mica un pagliaccio credulone, lui – e ammettere che sarebbe stato intrigante venire a scoprire di un se stesso del futuro che era tornato indietro per darsi una seconda possibilità e ricominciare da capo; una trama che un giocatore di ruolo come lui poteva apprezzare, un plot twist che l’avrebbe reso “main character” (non che non lo fosse già, duh). Ma l’Holland, poco attento ai dettagli, aveva lasciato dei buchi in quella trama: se la vita di Laurie era stata così perfetta e grandiosa come descriveva nella letera, perché l’aveva abbandonata? Perché non era rimasto nel suo tempo, a vivere i sogni di gloria che una carriera di successo come giocatore di quidditch professionista gli aveva regalato? A godersi il tappeto rosso agli eventi, e la compagnia di tutti quelli che, per cinque minuti infimi di gloria, pregavano per averlo? Perché aveva lasciato tutto? Lance sapeva che lui non l’avrebbe mai fatto: piuttosto che gettare alle ortiche una vita intera, già favolosa di suo, avrebbe fatto tutto il possibile per renderla ancora più stratosferica, indipendentemente da quando “disastrosa” potesse essere la situazione mondiale. Al diavolo, era la scusa perfetta! Poteva guadagnare tutto sulle spalle degli altri.
    Quella storia lì, Lance non se la beveva.
    E aveva intenzione di dirlo a Wyatt, la prossima volta che si fossero incontrati; applaudire i suoi futili tentativi di sconvolgerlo con una bugia inventata ad hoc (davvero, apprezzava l’impegno e la dedizione, senza dubbio) e suggerirgli di lasciare il quidditch per dedicarsi alla vita da scrittore di romanzi fantasy. Almeno poteva avere il futuro che, visti i recenti avvenimenti, non avrebbe avuto nello sport magico.
    Con un ghigno divertito, quel giorno lì, distante ormai settimane, aveva piegato la lettera e l’aveva rimessa nel cassetto, dedicando alla scelta delle mutande da indossare più attenzione di quante non ne avesse date alla missiva appena letta: c’erano priorità e priorità. Fu solo perché aveva già la testa bassa che, chiudendo il cassetto, aveva notato la foto in terra, raccolta poi senza pensarci su più di tanto.
    L’ennesimo scherzo fatto male, probabilmente avrà utilizzato Photoshop.
    Un pensiero, quello, che era morto in fretta quando il sorriso della donna nella foto lo aveva colpito con forza, come un pugno alla bocca dello stomaco. Perché era un sorriso che Lance avrebbe riconosciuto ovunque, quello; era il sorriso di Cherry. Ma non era la sua Cherry quella nella foto.
    A sorridergli dietro la filigrana ingiallita era una donna più grande, matura e adulta; e a giudicare dall’anello al dito, una moglie.
    Law aveva avvicinato la foto al naso, strizzando gli occhi per mettere a fuoco possibili dettagli che avrebbero avvalorato la sua tesi: era un falso anche quello, doveva per forza esserlo. Ma gli unici dettagli che aveva notato, nella pellicola in movimento, erano stati l’aria felice della donna ritratta (non è Cherry, non è Cherry, non è Cherry) e i marmocchi che la circondavano: tre che le correvano intorno alle gambe, una lei la teneva in braccio.
    Aveva assottigliato le palpebre, concentrandosi su uno dei bambini, quello che, poteva giurarci, aveva visto in altre cento, mille, foto crescendo. Non poteva essere. Senza rifletterci, aveva allungato la mano verso una delle mensole al muro e aveva preso una delle cornici, affiancandola alla foto che stringeva in mano. Non poteva fottutamente essere.
    Eppure, il sorriso del bambino era lo stesso, e anche il neo sulla guancia. Neo che, per istinto, Law cercò sul proprio viso.
    Non c'erano nomi diverso da “Laurie”, nella lettera; nessuna menzione a una madre, o un padre, men che meno a dei fratelli.
    Come poteva essere?
    E come aveva fatto l’Holland a mettere le mani su una foto di Lance da piccolo? Non poteva avere più di sei o sette anni, in quella dispositiva sfuggita dalla busta; come aveva fatto a modificarla così bene, al punto da farla sembrare reale? Perché... dai, doveva per forza essere uno scherzo no? Non c’era fottutamente verso che Cherry fosse... Cosa, sua madre? Una zia? Una... No. Non poteva semplicemente essere.
    “The Nile is a river” and bla bla bla.
    Law aveva messo via la foto e si era constretto a non pensarci più.

    Per un po’ aveva funzionato.
    Si era gettato a capofitto nella riabilitazione, una terapia che, secondo il suo modesto parere, funzionava meglio se alla fisioterapia si affiancava anche un altro genere di attività fisica — non che fosse proprio comodo, o facile, soddisfare quel bisogno con la gamba ancora fuori uso e dolorante, ma hey!, era un ragazzo pieno di risorse, lui, e non si sarebbe di certo fatto fermare da due stampelle e un gesso momentaneo.
    Odiava tutto della fase di ripresa, ma gli forniva una scusa plausibile per continuare ad ignorare i veri problemi.
    Da quel giorno alla radura, infatti, non aveva ancora affrontato né Moka, né Cherry; la cosa più vicina a toccare l’argomento “Stonehenge” era stato parlare con Sinclair Hansen fuori dal San Mungo, un pomeriggio. E, a quel punto, aveva già iniziato a cedere, e anche da parecchio.
    La foto era ritornata, magicamente [derogatory], a pesare nella tasca dei jeans, nel portafoglio dove l’aveva nascosta; non riusciva a non guardarla o a separarsene, e allo stesso tempo si odiava per il modo in cui, pian piano, stava lasciando al dubbio libertà di insinuarsi nella sua mente e mettere radici. Non poteva permettersi quel genere di pensieri, non se voleva rimanere una persona sana di mente (una delle poche rimaste al mondo, tra l’altro). Voleva affrontare Wyatt Holland e chiedere spiegazioni, costringerlo ad un confronto faccia a faccia per beccare le menzogne nel suo sguardo, la falsità nelle sue parole; voleva che gliele dicesse in faccia, certe cose; che spillasse quei segreti come un cazzo di uomo, se sapeva cosa volesse dire comportarsi come tale. Lance non era certo che l'altro fosse familiare con quel concetto così semplice.
    Però— però.
    Sapeva essere razionale, Lawrence: non era un buzzurro senza cervello che si lasciava comandare dalle emozioni o dagli istinti, non avrebbe affrontato l’Holland senza avere la certezza di poter mantenere la propria compostezza e la calma. Non gli avrebbe fato quella soddisfazione. E poi, ad essere onesti, voleva che almeno l’intralcio del gesso alla gamba venisse meno, casomai si fossero ritrovati a concludere ciò che avevano lasciato in sospeso nella radura.
    Quindi aveva atteso con pazienza il giorno adatto, e aveva evitato Cherry, organizzando l’incontro perfetto per mettere alle strette Wyatt e farlo confessare che fosse tutto un ridicolo, e francamente anche un po’ deludente, scherzo.
    Quel giorno era finalmente arrivato.
    Era ironico, e perfetto, che avvenisse proprio all’Aetas, dove i due s’erano già incontrati il giorno in cui Abbadon aveva dichiarato guerra al mondo babbano. Poetico. No, non aveva stalkerato il minore, non personalmente, ma le sue fonti gli avevano riferito che passasse tutti i pomeriggi al parco per allenarsi (ugh, junkie) e Law aveva fatto in modo di trovarsi accidentalmente lì quando l’Holland era passato anche quel giorno.
    Con un sorriso sereno e un cenno della mano, lo aveva salutato andandogli incontro, nonostante dentro di sé vibrasse letteralmente di rabba, rancore e risentimento. Non aveva mai disprezzato una persona così tanto come in quel momento. «Wyatt, ciao» falso, falsissimo, come una banconota da uno zellino, «che coincidenza.» Bla bla bla, era già stufo di fare small talks. «Come stai?» Come se gli fregasse qualcosa delle sue condizioni, oddio, che stress: fingersi brave persone era davvero esasperante, certe volte. Voleva solo farla finita, provocare l’Holland al punto da portarlo ad alzare le mani (un compito facile, considerando quanto l’altro fosse prono a sfociare nella violenza anche senza provocazioni) e poi sfogarsi nascondendosi dietro la scusa del “è solo difesa personale!”. Lo voleva far nero, stringergli le dita intorno alla gola e vederlo boccheggiare fino a sentirlo ammettere la verità. Era tutto quello che desiderava, sapere che avesse mentito e che avesse inventato tutto; voleva tornare a guardare Cherry senza sentire la voragine al centro del petto sospettando che le loro vite non fossero state altro che due gigantesche bugie.
    it's easy to ignore trouble
    when you're livin' in a bubble;
    so, what are you gonna do
    When the world don't orbit around you?
    23 | 23.01.00 | leeds, uk
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    2043: laurie (ben)shine
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    «no, davvero, sarebbe ipocrita da parte mia»
    Lentamente, Lawrence riportò lo sguardo sull'uomo seduto al suo fianco, osservandolo e considerandolo attentamente. «ci sono cose ben peggiori al mondo dell'essere un ipocrita, non lo sa?» tipo, non so: essere poveri, il primo esempio che gli venne in mente.
    Ma lo accettava, perché un parere gli avrebbe fatto comodo, sì, ma non era necessariamente ciò di cui aveva bisogno al momento.
    (O mai.)
    Non lo sapeva, di cosa avesse bisogno, in realtà.
    Di un Oblivion bello forte, probabilmente; chissà se poteva comprare uno dei guaritori, o degli psicomaghi, o persino uno special!, affinché rimuovessero dalla sua memoria quanto scoperto di recente; voleva tornare a guardare la sua migliore amica senza sentire la terra tremare e cedere sotto ai suoi piedi, portando con sé ogni certezza mai avuta in quella vita.
    Ah, wishful thinking.
    Avrebbe davvero aiutato?
    Sì, ne era abbastanza sicuro.
    Ma voleva?
    No, non necessariamente: gli piaceva essere un po' drama queen e crogiolarsi nei suoi stessi problemi. Aveva ancora tempo per decidere su come muoversi e cosa farne, di quella recente scoperta. Al momento, aveva una conversazione abbastanza interessante a distrarlo.
    «lawrence, ti sembro qualcuno che pratica sport estremi?»
    Batté le ciglia un paio di volte, prendendo nota dei tratti del viso di Sinclair, dell'attaccatura alta dei capelli, le rughe d'espressione intorno agli occhi, e decise che era meglio non dare voce ai suoi pensieri (perlopiù impuri). «non credo risponderò alla domanda.» non smise di osservarlo, però, reputando che non avesse assolutamente l'età per determinati tipi di sport, ma era anche vero che «ci sono comunque un sacco di altri sport più tranquilli, sa? Con i quali si farebbe sicuramente meno male.» tipo, boh, il criquet? Il torneo di burraco? «e comunque,» si schiarì la gola, incrociando le mani in grembo, espressione serafica sul volto giovane e dolce, «parlavo in senso più ampio,» sia mai che non l'avesse capito. «lo sport come metafora, ha presente? o come pratica ricreazionale in camera da letto.»
    Chissà se Sinclair stava solo fingendo di non capirlo, o se fosse davvero il genere di persona che teneva quegli argomenti tabù confinati solo nella complicità del proprio ufficio, e li trattava solo lontano da orecchie indiscrete. Non gli era sembrato così pudico quando avevano affrontato il discorso della satiriasi, tempo addietro.
    Peccato, davvero un peccato, ma Law decise di fargli il favore di stare al suo gioco, qualunque fosse, e lasciar perdere, cambiando del tutto argomento.
    Solo che non si aspettava minimamente un rant del genere, in risposta ad una domanda banale come la sua. Aveva immaginato un “eh, qualche settimana, giorno più giorno meno” e le lamentele di circostanza su come la riabilitazione fosse noiosa e dolorosa, ma non di certo... quello.
    Lo osservò con la più confusa delle espressioni, sguardo vuoto e lontano anni luci, e labbra appena dischiuse. «Devo ammettere che mi ha perso ad “ossofast”», lo informò, in parte terrorizzato e in parte affasciato dal gergo medico (e in parte anche un po' aroused). «scusa, sono affascinato dalla.....medicina» al ché, Law gli rivolse un sorriso, il primo sincero da quando Sin aveva preso posto sulla sedia di plastica vuota accanto alla sua. «si nota,» affectionate e derogatory insieme, era difficile da spiegare. «ma temo proprio di non aver capito granché, e che parlando di attivo e passivo non intendesse proprio la stessa cosa a cui pensavo io, eh doc?» Niente, era più forte di lui: si era trattenuto anche abbastanza, alla fine la sua natura unhinged prendeva sempre il sopravvento. «stessa cosa per il prono e supino» termini che mai avrebbe accostato, come prima immagine, alla fisioterapia. Ma dimmi, elisa, hai cercato di proposito la parte più caotica di fisioterapiaitalia o è un caso hhhhhh ok. Va bene. Lo accetto. «se vuole, può rispiegarmelo in altri termini» e se c'era una sottile nota di malizia, nel suo tono, non sarò di certo io a smentirlo.
    «come hai fatto a ridurti così? e io che pensavo di essere messo male»
    Si strinse nelle spalle, picchiettando sulla gamba maciullata, la stessa nella quale Sergione, in quel del Cremlino, aveva conficcato già un pallottola settimane prima. «uno dei monoliti di Stonehenge mi è caduto addosso, e ha rotto qualche osso» eufemismo del secolo «niente che un po' di sano moto attivo e passivo, prono o supino non possa curare» if you know what I mean!
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    Si passò una mano sul viso, stanco, e l'altra si mosse di proprio accordo per stringere appena di più i bordi già consumati di quella polaroid, e la ficcò nella tasca della tuta — se non la vedeva, poteva fingere non esistesse, no?
    Tornò a guardare in direzione dell'Hansen, quello stupido sorriso falso – come ogni altro aspetto della sua vita, si rendeva conto in quel momento, non senza un pizzico di ironico divertimento – ancora appiccicato sulle labbra. Sempre lì, la sua migliore arma e la sua miglior difesa, infallibile specialmente (e forse, solo) con dei perfetti sconosciuti.
    «oh no, ma prego» le mani, adesso libere, lo esortarono con un gesto palese e inconfondibile a proseguire, un invito a fare del suo peggio «giudichi pure» a Lance non interessava che fosse positivo o negativo, quel giudizio; a voler essere proprio sinceri, un po' lo intrigava sapere cosa pensasse una figura professionale e certificata come Sinclair Hansen — che poi fosse un uomo con il doppio dei suoi anni e la sua sola presenza stesse titillando la parte unhinged, come dicono i saggi, di Lawrence, era solo un dettaglio trascurabile. Un bonus.
    Tuttavia non bastava.
    Se fosse stato un altro momento, un altro contesto, e probabilmente anche un altro Lawrence, non ci avrebbe neppure pensato due volte e si sarebbe attaccato a quelle parole in maniera diversa, più maliziosa, giocando con doppi sensi e cose rimaste non dette ma esageratamente hintate; era uno dei suoi hobby preferiti, al pari del suonare la chitarra e giocare a dungeons and dragons. Ma quel giorno gli risultava pesante e difficile persino quello.
    Per una misera volta nella vita, non cercava divertimento; gli avrebbe fatto comodo, non necessariamente bene, certo, ma non lo voleva.
    Voleva, invece, solo qualcuno con cui (non) parlare; a cui potesse dire le cose a metà, e comunque far arrivare il messaggio; qualcuno che potesse fornire un opinione distaccata e al contempo professionale su quanto fosse fucked up la sua vita in quel momento.
    Un'opinione, poi, che Lawrence avrebbe ignorato.
    Non parlava della vita sessuale; quella era bellissima e perfetta anche dopo la guerra, non c'erano abbastanza divieti che Cassandra Turner potesse mettere per tenerlo fuori dal Lilum, Law ci sarebbe tornato ancora, e ancora. Ma non era strano che fossero finiti, alla fine, proprio lì.
    Tutto il resto era una matassa fottutamente ingarbugliata che Lawrence non sapeva nemmeno da dove iniziare per provare a sbrogliare. Forse, dopotutto, non voleva così tanto provare a dargli un senso; ma era quasi poetico, e forse persino un po' inquietante, che Sin si fosse materializzato proprio quando, ipoteticamente parlando, Lawrence aveva sentito la necessità di (non) parlare con qualcuno.
    La cosa ancora più ironica? In circostanze simili, ma in tempi meno sospetti, avrebbe parlato con Cherry. E invece! Ora non poteva farlo.
    Anzi.
    Avrebbe potuto, ma non voleva. Non era nemmeno certo che valesse la pena allarmarla, o preoccuparsi davvero, per quanto ne sapeva poteva davvero essere uno scherzo di Wyatt. E allora perché pesava sul cuore come un fottuto macigno? Perché una parte di lui, piccola ma impossibile da ignorare, lo dava già per una verità incontestabile?
    Si morse l'interno della guancia, distogliendo lo sguardo da Sin e portandolo sulla gamba ancora ingessata: la magia faceva miracoli, e ricostruiva le ossa nella metà del tempo rispetto alla medicina babbana, ma la ripresa, gli avevano detto, sarebbe stata lunga. Beh, almeno il tatuaggio della principessa Peach è salvo, aveva pensato il Matheson, magra consolazione dopo aver saputo che avrebbe necessitato di stampelle e fisioterapia per settimane. Un'altra consolazione era quella di pensare che ad altri era andata peggio di lui.
    Uno di quelli, era seduto al suo fianco.
    Era stato troppo impegnato a lanciare maledizioni contro il Telly, a Stonehenge, per rendersi conto che ci fossero anche altri a condividere quel terribile momento con l'elettrocineta. Non chiese nulla, però, perché non erano affari suoi; ma un po' lo stuzzicava la curiosità di sapere come fosse stato.
    Terribile, immaginava.
    E di certo non un problema di cui volesse farsi carico, nemmeno per provare a distrarsi momentaneamente dai suoi. «alle volte può essere una valvola di sfogo del tutto lecita. se praticato in modo sicuro, certo» Ma sì, meglio lasciare che l'Hansen intavolasse conversazioni del tutto casuali sulla vita sessuale del minore, perché no. Un normale martedì nella vita di Lawrence Matheson. «sempre sicuro. sempre» dai, ma per chi l'aveva preso, uno sprovveduto? «dicono ci siano modi diversi per sfogarsi, ma onestamente la violenza non mi hai mai affascinato. e neppure gli sport estremi» due cose che, nemmeno a dirlo, si limitava a praticare solo dietro porte chiuse. «non nella maniera canonica, comunque.» l'angolo delle labbra si piegò appena verso l'alto, sguardo a cercare solo brevemente l'uomo, senza mostrare la minima vergogna, in primis perché non erano certo quelli i discorsi che facevano vergognare il Matheson, e secondo perché avevano già parlato, seppur brevemente, di quelli che Lance aveva ritenuto, erroneamente, essere problemi legati al sesso, non c'era nulla che Sin non sapesse (o non avesse valutato) già. E poi andiamo, erano due persone adulte e vaccinate, non c'era nulla di male ad affrontare certe tematiche; erano il pane quotidiano di Lance!
    «difetto di fabbrica, dici? come mai?»
    Quelli, invece, erano già meno nelle sue corde.
    Si strinse nelle spalle, dando poca importanza a parole uscite direttamente dalla sua bocca ma che non dovevano per forza avere un peso.
    (Ce lo avevano.)
    «Stupidaggini.» Ma in effetti, chi poteva dirlo che non avesse ripreso davvero da sua mamma; magari era qualcosa nel DNA, nel sangue. Non gli interessava nemmeno sapere chi fosse l'altra metà del suo corredo genetico, sapere di Cherry era più che sufficiente. «e "difetto" non è la parola giusta,» fece schioccare la lingua contro il palato, grattando distrattamente la gamba ingessata, «sarebbe più corretto chiamarli... peculiarità. Segni particolari,» nulla di cui ci si dovesse vergognare. «difetto è troppo» derogatory «limitante e poco lusinghiero» due cose che Lawrence non desiderava venissero associate alla sua persona.
    Uno sguardo alle stampelle dell'Hansen, e decise che era il momento di cambiare argomento; dopotutto, quella non era una sessione e Sinclair non era il suo strizzacervelli. Indicó con un cenno le stampelle dell'uomo, e chiese «qual'è la prognosi, doc?» voleva vedere se potesse consolarsi ancora con un verdetto più lungo del suo, perché l'idea di rimanere limitato nei movimenti per altre settimane lo mandava in paranoia, e aveva bisogno di rifarsi un po' godendo della sfiga altrui.
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    «non li voglio più quei trenta galeoni»
    Lawrence aveva guardato Cherry socchiudendo le palpebre — e temendo che, in un modo o nell'altro, qualcuno di loro li avrebbe riscossi. La domanda, la roulette russa, era capire chi.
    Anche se lui un'idea ce l'aveva.
    Per una rarissima volta nella sua fottuta vita, Lance sperò di sbagliarsi; di aver commesso un errore di valutazione, di aver calcolato male le probabilità e i pronostici, di non averci capito un emerito cazzo.
    Non era così.
    Perché era troppo sveglio, troppo furbo, troppo intelligente.
    Non si ripeteva così ogni giorno della sua vita, da ventitré anni? Non ne andava maledettamente orgoglioso? Non ne aveva sempre fatto un vanto, di quella spiccata percezione che lo contraddistingueva?
    Strizzò le palpebre, e sospirò.
    Era un dono, e una maledizione, sapere di avere ragione.
    Perché non c'era altro modo in cui tutto quello potesse finire — uno schieramento vinceva, e uno schieramento perdeva. Era così che doveva finire; non c'erano pareggi. Solo dei fottuti calci di rigore che avrebbero decretato il nuovo ordine delle cose.
    E per come si erano messe, non sarebbero stati loro a perdere. Non Cherry, non di certo Lawrence; lui sapeva sempre dove schierarsi per assicurarsi di risultare vittorioso. Era un altro dei suoi doni, uno che ora desiderava aver passato a suon di insulti e commenti piccati a quella testa di cazzo di Moka Telly Jr.
    Coglione. Infame. Bastardo.
    Non c'erano abbastanza epiteti dispregiativi che Law potesse rivolgere allo special, per essersi schierato dalla parte sbagliata. Per averci quasi trascinato anche Cherry.
    Lo odiava.
    Lo odiava come si odiano i fratelli.
    Perché in quella raduna Lawrence aveva un fratello, poco ma sicuro, e non era il grifondoro che adesso si contorceva in terra per il dolore; forse in un altra vita lo era stato, e forse avrebbe potuto esserlo in quella se le cose fossero andate diversamente; ma non era Wyatt quello per cui Lawrence aveva serrato la mascella e per il quale sentiva gli occhi pizzicare (è solo polvere, è solo sangue, figurati se piango per quel pezzo di merda di una presa elettrica) — era Moka. Moka che veniva circondato da una nube densa e nera; Moka che si inginocchiava a terra di fronte ad Abbadon; Moka che spariva per interminabili minuti; Moka che tornava e li osservava tutti come se non li vedesse, occhi impossibilmente neri e vuoti; Moka che batteva le ciglia e crollava a terra, nello sguardo confuso e disperato qualcosa che Lance, da quella distanza, non riusciva a distinguere.
    Moka, che era morto davanti ai loro occhi.
    E Lawrence, sempre il solito egoista, non riusciva a non odiarlo per avergli fatto una cosa del genere. Per aver fatto a Cherry una cosa del genere.
    Cherry che soffocava un grido sulla sua spalla, e affondava le unghie nella sua pelle, e lo stringeva con tutte le sue forze, come se quel gesto potesse portare Moka da loro.
    E Law.
    Law fissava in silenzio l'elettrocineta; e desiderava con tutto se stesso di poterlo prendere a calci, perché doveva sempre fare una cazzata? Perché non poteva essere come loro? Perché doveva — perché?
    «cosa ti posso dire, dio ha i suoi preferiti. non moka, stava messo peggio di te»
    Aveva detto la Benshaw.
    Avrebbe dovuto ridere quando ne aveva avuto la possibilità, Lawrence. Ghignare della sorte del Telly, e delle sue sfighe; lui aveva una gamba rotta, e Moka un pezzo di roccia a spuntare dallo stomaco. Ah, coglione.
    Ma quello era prima. Prima che Moka Telly facesse guadagnare quei trenta galeoni.
    Avrebbe dovuto ridere quando ne aveva avuto la possibilità, perché ora non c'era fottutamente nulla da ridere. Non quando “peggio” significava morto.
    E okay — aveva aperto di nuovo gli occhi, il Telly.
    Ma era davvero lui?
    Law immaginava che l'avrebbero scoperto col tempo.


    Col senno di poi, non sappe dire come fosse finito. Chi fosse stato il primo a muoversi dopo che Abbadon aveva girato i tacchi e li aveva lasciati a fare i conti con le conseguenze di quanto accaduto. Alcuni si smaterializzavano da soli, altri venivano trascinati via da amici e parenti; altri ancora erano stati risucchiati dalle faglie, ed erano spariti per sempre nell'etere. Altri erano lì, nella radura, immobili. Increduli. Alcuni rotti, altri semplicemente .
    Lawrence — Lawrence non era più schiacciato dal monolite, quel tanto lo sapeva; ma dopo aver visto gli occhi verde acqua dell'amico spegnersi, aveva smesso di comprendere tutto il resto.
    Qualcuno l'aveva aiutato a liberarsi, e aveva commentato che la tibia fosse spezzata, che avesse lacerato la carne, che avesse perso troppo sangue ma fosse, tutto sommato, fortunato. Okay, immagino. Forse quello stesso qualcuno lo aveva smaterializzato al San Mungo. Forse ci si era smaterializzato da solo; impossibile dirlo.
    Ma era lì, all'ospedale magico che strabordava di pazienti con traumi di ogni genere e portata. Era lì, a differenza di tanti altri.
    E nella tasca aveva ancora quella lettera che, nel trambusto finale, aveva completamente rimosso.


    «Lawrence?»
    Non c'è, non è in casa.
    Quale casa?
    Casa non era mai stata un luogo fisico, per il Matheson. Erano sempre state le persone — poche, ma scelte con cura. Selezionate, messe alla prova, promosse; alcune con appena la sufficienza (puoi sempre migliorare), altre col massimo dei voti (non sarai comunque mai la migliore, quel primato è mio).
    Di quelle persone, in quei giorni, non riusciva ad affrontare lo sguardo di nessuno.
    Di uno, perché non sapeva cosa dirgli che non fossero insulti; dell'altra, perché non poteva e basta.
    C'era una persona che voleva vedere, e che voleva prendere a pugni fino a spaccargli ogni fottuto osso del corpo — ma non poteva; temeva che se avesse messo le mani addosso a Wyatt Holland, non sarebbe stato in grado di fermarsi mai più.
    Gli aveva rovinato la vita.
    Sì, era un drammatico del cazzo Lawrence Matheson, ma ne aveva il sacrosanto diritto. Se lo poteva permettere, quando da giorni non faceva altro che osservare la fotografia scivolata fuori dalla busta leggera; una fotografia che aveva fatto tremare e crollare il terreno sotto i suoi piedi. Ogni certezza, e ogni cosa avesse mai pensato di sapere della propria vita.
    Sì, ok, c'era anche la lettera; ma quei “è la nostra seconda opportunità, sfruttala al meglio e non rovinare tutto, puoi ancora guadagnarti la vita perfetta che sognavi” eccetera eccetera erano niente in confronto ad un paio di occhi chiari che lo osservavano sorridendo aldilà della pellicola magica, occhi troppo familiari incastonati perfettamente in un viso che conosceva meglio del proprio — un viso che ricordava più giovane, che solo pochi giorni prima aveva accarezzato asciungando le lacrime con i propri polpastrelli. Un viso che sorrideva felice, genuinamente felice, mentre stringeva al petto un fagotto biondo e con la mano libera richiamava i tre marmocchi che le correvano intorno.
    Un viso che —
    «Posso?»
    Alzò gli occhi dalla foto, e la girò per custodire gelosamente quel segreto che voleva rimasse solo suo. Non dell'uomo che s'era palesato al suo fianco, non di certo della diretta interessata.
    Che, per inciso, continuava ad evitare da giorni come se quello potesse cambiare la realtà dei fatti.
    Sempre che fosse vero.
    Non escludeva ancora che potesse essere uno scherzo dell'Holland, un colpo cosi basso che sembrava un po' eccessivo anche per lui.
    Poggiò le mani sulla foto, su quel retro che non riportava scritto nulla se non un semplice “estate 2030, marocco”; preferiva spiegarlo come uno scherzo, piuttosto che giustificare i protagonisti della pellicola. Serrò il pugno, e alzò lo sguardo su Sinclair.
    «Alla fine hai risolto quel problema?»
    Ci mise un attimo a registrare le parole, a registrare la sua presenza, o a rendersi conto di dove fosse. Riabilitazione, la sessione di fisioterapia. La gamba maciullata. La realtà.
    Non quella raffigurata nella foto.
    Batté un paio di volte le palpebre, cercando di dare senso alle parole dell'uomo, e di scacciare dalla mente qualsiasi altro pensiero.
    Di non pensare al viso di Cherry.
    Al sorriso.
    Alle leggere rughe d'espressione intorno agli occhi.
    Tirò le labbra in un sorriso, provando a renderlo convincente. «Non è mai stato un problema, Doc.» Forse per qualche minuto, qualche ora, quelle che erano bastate a spingerlo a bussare alla sua porta e chiedere un consulto professionale senza alcuna vergogna. «A quanto pare, mi piace e basta.» Eccolo lì, il solito vecchio Lawrence. Lawrence, senza lo spettro di una vita vissuta e dimenticata; senza le parole di Laurie a risuonare nella testa; senza il sorriso di Cherry a prendersi gioco di lui.
    Solo Lawrence.
    O quello che riusciva a permettersi di essere in quel frangente.
    «Difetto di fabbrica, immagino» o pregio? Immaginava che dipendesse dai punti di vista.
    Non che gli importasse davvero.
    Non quando la verità pesava come un macigno sul cuore, e sul grembo, dove riposava stretta nel pugno.
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    halfbl.
    denial
    2000
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