Votes taken by #IYKYK

  1. .

    mid 20s

    florist

    adorkable
    take this lonely heart
    nothing but thieves
    Dionysius Caine aveva sempre seguito una filosofia molto basilare nella vita: stai al posto tuo, e non cacciarti nei guai.
    Sembrava una cosa semplice, tendente quasi al banale, detta così — ma non lo era. Non in quel mondo; non quando l'universo faceva letteralmente qualsiasi cosa in suo possesso per mettere i bastoni tra le ruote dei buoni cristiani che cercavano solo ed esclusivamente di sopravvivere, senza troppe richieste particolari, e senza troppe pretese.
    Dion aveva smesso di tenere il conto di tutto quello che succedeva, preferendo tenere la testa bassa e il naso nascosto tra i petali profumati del suo modestissimo, ma pittoresco, negozio. Quando aveva esordito, anni prima, esternando la sua volontà di aprire un negozio di fiori, la sua idea era stata accolta con lo stesso cipiglio confuso e perplesso che veniva solitamente riservato ai pazzi. “Un negozio di fiori. In questa economia? Chi ha bisogno di fiori? Perché piuttosto non apri un negozio di armi?!” Per quelle persone, Dion aveva una sola risposta: “e rischiare di spararmi da solo? Tutti hanno bisogno di fiori, specialmente in questa economia.”
    Una risposta semplice, e onesta, ma non necessariamente vera; gli affari non erano andati così bene come aveva sperato, e il suo progetto di aprire il più grande franchising di fiorai dell'Inghilterra era naufragato ancora prima di salpare. Ma sapete cosa? A Dion Caine piaceva il suo negozio, e gli piaceva il suo lavoro, e avrebbe tenuto alzata la saracinesca di quel posto fin tanto che fosse riuscito a permetterselo (arrotondando con i lavori di garden designer per quello o quell'altro eccentrico mago inglese fissato con i boquet di fiori esotici e di rose dai colori impossibili). Non solo non avrebbe chiuso perché era (troppo testardo per darla vinta ai suoi haters nonché) troppo orgoglioso del suo Giardino Segreto (ok, non un nome originale ma!! a chi importava); non avrebbe chiuso soprattutto perché dalla parte opposta della strada, non troppo tempo prima, aveva aperto un negozio di tatuaggi gestito dal ragazzo più bello e meno raccomandabile su cui Dion avesse avuto la (s)fortuna di posare gli occhi nel corso dei suoi venti (e qualcosa — ma chi teneva più il conto) anni.
    Ragazzo che (aveva un nome: Seattle, e Dion l'aveva imparato esattamente due giorni dopo l'inaugurazione del tattoo shop, grazie ad una delle sue clienti più giovani e sfacciate) si ostinava ad arrivare tutte le mattine in sella alla sua moto e mettere in mostra il fisico asciutto e muscoloso anche quando non era assolutamente necessario (flexare) indossare abiti così leggeri e aperti, non con le temperature rigide dell'Inghilterra.
    Non che a Dion dispiacesse, figurarsi.
    Guardare Seattle arrivare, scendere dalla moto e chinarsi per alzare la serranda del negozio era letteralmente la parte più emozionante della sua giornata. Oh, non è che succedessero grandi ed entusiasmanti cose in quella via, come si poteva biasimare un giovane uomo come Dion, se finiva con l'accontentarsi delle distrazioni che gli venivano offerte?!
    Ma no, se ve lo state chiedendo, Dion non aveva mai attraversato la strada per andare a bussare alla vetrina di Seattle, offrirgli un caffè come ogni altro negoziante della via aveva fatto nei primi periodi, e ingaggiare una conversazione. Piuttosto sarebbe morto. Il suo modo di lanciare hints al tatuatore era quello di esporre in vetrina dei fiori che avessero messaggi ben precisi nella speranza che l'altro li cogliesse e si convincesse a fare la prima mossa.
    Fino a quel momento, dopo un sacco di patetici mesi di tentativi, non era mai successo. Dion temeva anche di stargli leggermente antipatico. Una tragedia!
    Ok, forse non così tragedia — la vera tragedia la stavano per sfiorare proprio quel giorno, e a causa di una rissa improvvisa nata nel bel mezzo della via, proprio di fronte ai negozi di Dion e Seattle.
    Il Caine, che in quel momento stava sistemando le esposizioni dei fiori, innaffiando i vasi e rimuovendo le piantine più rovinate, ebbe un attimo di esitazione prima di convincersi a correre verso la rissa anziché dalla parte opposta, e per la sorpresa di nessuno, vide Seattle fare esattamente lo stesso.
    Aveva proprio l'aria di chi, in uno scontro del genere, ci passava intere giornate.
    (Dion pensò distrattamente che avrebbe voluto tantissimo essere il famoso "the other guy".)
    Scacciò via quel pensiero prima di essere brutalmente picchiato da uno degli sconosciuti che stava cercando di fermare, ma si beccò lo stesso una gomitata sul naso, alla quale rispose con un poco virile e adulto «accipicchia!» prima di portare il dorso della mano al viso e fare un veloce assestamento dei danni.
    Ugh, c'era del sangue. Aveva macchiato la camicia nuova?!
    Seattle l'avrebbe trovato più interessante così? Tumefatto, e sporco di liquido cremisi (purtroppo) suo?
    Scosse ancora la testa, perché quei pensieri intrusivi erano decisamente l'ultima cosa di cui aveva bisogno in quel frangente, e fece per afferrare uno dei litiganti — ma questo gli sfuggì tra le dita, proprio mentre una voce sconosciuta fendeva l'aria dietro di loro con un comando che Dion, per dei riflessi assolutamente involontari, ascoltò.
    «alt! Fermi! Mani in alto!»

    Ed ecco come in una qualsiasi giornata dell'anno, una iniziata come tante altre, Dionysius Caine si era ritrovato, sanguinante e con i capelli arruffati, seduto sulla panchina scomoda di una cella di contenimento in una centrale di polizia babbana.
    Perché viveva una dannata stupida commedia (sperava romantica.) e ovviamente i tipi che avevano innescato la rissa se l'erano data a gambe levate nel momento in cui era arrivata la polizia, lasciando lì un Dion in preda al panico e un Seattle su tutte le furie.
    «e… quindi.»
    Un Seattle che ora se ne stava seduto di fronte a lui, dalla parte opposta della cella, con la più omicida delle espressioni che Dion avesse mai cisto — e che sperava vivamente non fosse rivolta a lui. Aveva sinceramente paura della possibilità di essere aggredito dall'altro, e non nella maniera in cui aveva sperato a lungo.
    «quindi…»
    Considerava un progresso il fatto che il tatuatore si fosse seduto dopo quelle che erano parte a Dion come interminabili ore di avanti-indietro nella minuscola cella. Ma il silenzio non lo aveva mai messo a suo agio, e sentiva il bisogno di romperlo in letteralmente qualsiasi modo riuscisse.
    Fin'ora, non aveva trovato nulla di intelligente da dire.
    «uhm… quanto a lungo pensi ci terranno qui?»
    Non sarebbe stato di certo lui a dire che quella fosse la prima volta che finiva in manette, ma dal modo in cui aveva pregato (quasi supplicando) le forze dell'ordine di non arrestarlo, doveva esser sembrato piuttosto chiaro anche al biondo.
    Non fraintendetelo: l'idea di rimanere chiuso lì (anche tutta la notte.) insieme a Seattle lo stuzzicava non poco, ma era una creatura delicata Dion Caine, e non fatta di certo per la vita difficile del carcere.
    E poi, il negozio era ancora aperto?! Non aveva mica avuto la possibilità di chiuderlo, tra la rissa e l'arresto, cosa ne sarebbe stato dei suoi fiori, e dell'incasso? Per sua fortuna il tutto era successo appena in tarda mattinata, de non c'erano stati così tanti clienti fino a quel momento da rischiare di avere nelle casse più denaro di quanto non ne avesse effettivamente, ma rimaneva comunque un problema, e uno dei mille pensieri ad affollare la mente del fioraio in quel momento.
    Onestamente? Anche l'unico su cui si sentisse di poter indugiare, perché nove sui dieci rimanenti riguardavano il ragazzo dall'altra parte della cella e Dion non aveva ancora del tutto escluso la possibilità che Seattle lo odiasse.
    oh, how we worship the things
    that we don't quite understand
    (oh, it's more dangerous
    than you know)
    dionysius
    dion caine
  2. .
    theo kayne
    once: theo kane
    gonna start a fire, short fuse, while I take hits; tough times get by, never had a doubt.
    gonna set fire to the world with a matchstick,
    if I don't make it I'm taking the world with me, swimming in kerosene
    Il primo «theo» di Mis non l’aveva neppure sentito, troppo perso nei suoi film ad occhi aperti, perché a quanto pareva era ciò che succedeva quando ti prendevi una sbandata colossale, la prima della tua stupida e fottutissima e giovanissima vita, e avevi gli ormoni a palla e un unico pensiero fisso nella testa. Ugh, terribile, sconsigliato.
    Il secondo, invece, l’aveva registrato solo in maniera periferica, decidendo che forse non valeva così tanto la pena rispondere a Mis, se poi non aveva nulla di intelligente da dire.
    (Nulla di diverso dal solito, vero, ma dopotutto Theo mica ci faceva caso.)
    Fu invece il tentativo fisico dello special, a convincerlo che fosse il caso di dare segni di vita: l’ultima cosa che Theo voleva era che Mis si insospettisse e facesse domande alle quali non avrebbe saputo rispondere. Poteva sempre buttarla in caciara, o incolpare letteralmente la primissima scusa che gli balenava per la mente, perché l’altro non ci avrebbe creduto a prescindere; ma una piccola parte di lui era segretamente incuriosita dalla possibilità di suscitare in Mis una reazione, una qualsiasi reazione, se solo avesse trovato il coraggio di dirgli come stavano veramente le cose.
    Anche se, ugh, conoscendo il minore da tutta la vita, immaginava che avrebbe reagito come reagiva a qualsiasi altra cosa: occhi vuoti, labbra tese, espressione di chi vorrebbe essere ovunque nel mondo tranne che lì. Non c’era nemmeno gusto, capite?! A che pro dirgli cose se poi… boh, non si incazzava nemmeno. Zero reazioni, davvero, il Kayne avrebbe avuto più successo tentando di sganciare la bomba con una delle statue del castello.
    Perciò lasciò perdere, chiedendo piuttosto una caramella.
    «qual è il tuo problema? Sei strano» Gli rivolse un dito medio, da persona matura quale era, e si allungò oltre la figura del faunocineta per afferrare il pacchetto di dolciumi, tentando di dargli il più fastidio possibile con quell’unico, scoordinato, movimento. Manico della scopa in testa? Ok. Ginocchiata alla spalla? Perché no. Gomitata sul viso? Evvai! Era il suo sacrosanto compito in qualità di fratello gemello maggiore quello di rompere il cazzo a Mis come nessuno altro al mondo. E ci teneva a fare un lavoro come si deve.
    Che poi fosse tutta una scusa per non rispondere alla domanda del Jacksson, era un altro paio di maniche.
    Theo si infilò una manciata di caramelle in bocca, più di quante fosse socialmente accettabile (o fisicamente possibile), e si limitò a rivolgere un’occhiata confusa a Mis, stringendosi nelle spalle.
    «più del solito»
    «sono quindici anni che me lo dici,» fu la risposta al sapore di zuccherini, sputata fuori in maniera rozza e direttamente attraverso il mostruoso numero di caramelle gommose che ora cercava di mandare giù senza finire con lo strozzarsi — sarebbe stata una morte piuttosto stupida, e imbarazzante. «nemmeno tu sei troppo normale.» magari era qualcosa nei geni, considerando che nemmeno Lenny lo sembrasse essere. Ognuno di loro aveva la sua speciale dose di *stelline* problemi *stelline*, forse un marchio di fabbrica della loro sconosciuta eredità.
    «tu che hai piuttosto?» e si, aveva appena usato la sua tecnica preferita da sfoderare in qualsiasi discussione in cui non potesse rispondere semplicemente usando le mani: uno reverse card, e senza nemmeno rispondere alla domanda di Mis! «hai morso qualcuno di sgradevole? sei più musone del solito.» che era tutto un dire, eh.
    Theo sapeva benissimo di tutte le volte che Mis finiva in punizione, non solo perché spesso si incontravano in sala torture (meme di umbrella academy) ma perché, contrariamente a quanto dimostrava, era un bravo fratello e, anche se non sembrava, si teneva sempre aggiornato su quanto succedeva al fratellino; perciò sì, sapeva di quanto successo quella mattina, così come aveva percepito le bad vibes provenire dal fratello e dal concasato a qualche metro da loro. Ma non era sua mamma e non gli avrebbe ricordato che fare a botte con qualcuno fosse stupido e sbagliato — anche perché, sarebbe stato un commento comico, e incredibilmente ipocrita, da parte di Theo Kayne. Piuttosto, dopo aver riportato la schiena contro il divano ed esser tornato a lucidare il manico della scopa, gli ricordò che «se ti serve compagnia per fare il culo a qualcuno, contami. mi annoio molto.» Avrebbe dovuto studiare, certo, ma perché farlo quando poteva spaccare la faccia a chi rompeva il cazzo a suo fratello? Quello era un compito di Theo, non poteva permettere che altri lo facessero meglio di lui, duh.
    31.12.07
    gryffindor
    v | goalie
    kerosene
    olen
  3. .
    I think I'll pace my apartment a few times
    && fall asleep on the couch
    gryffindor
    dec. 31st, 2007
    goalie
    theo kayne | qwerty
    «mi hai rotto i coglioni»
    E quello, signori miei, era la prova che Theo e Kaz stessero finalmente diventando amici. Il Kayne era una persona semplice, e gli ci volle davvero poco per portare gli angoli della bocca ad accennare un sorriso che prometteva poco di buono, e di innervosire ancora di più lo special, prima di sussurrargli piano: «sembra che ti stia contagiando,» perché insulti e botte e leccate e sputi era il love language di Theo Kayne, e Kaz Oh stava rispondendo perfettamente, quasi un madrelingua anche lui. «in realtà ti piaccio, lo sapevo.» Probabilmente no, ma il grifondoro era troppo pieno di sé per poter pensare al contrario. Gli diede un buffetto con la spalla, dopo avergli pulito (ovvero: spalmato per mezza faccia) un po’ di sangue che colava copiosamente su denti e (orribile) camicia.
    «non puoi comportarti sempre così, devi iniziare a controllarti. Viviamo in una società»
    Lo squadrò appena, sopracciglia scure ad aggrottarsi, come se non capisse dove volesse arrivare: Theo era una persona civilissima, nella società ci calzava a pennello (no). «sai che noia se fossimo tutti bravi a eseguire gli ordini? lo faccio per loro,» un plurale generico che poteva andare dai professori agli adulti della resistenza, fino alle forze dell’ordine, «li tengo sempre in movimento e non li faccio annoiare.» Non che si aspettasse comprensione da parte dell’Oh.
    Che poi, che ne sapeva lui: Theo, quando voleva, sapeva essere un soldato perfetto.
    Il problema nasceva dal fatto che lo volesse troppo poco spesso.
    E quindi, immaginava che non si sarebbero fatti le unghie e scambiati i segreti, quindi. Mah, peccato. Kaz fingeva persino di non sentirlo, e poi era THEO quello immaturo. Non gli interessava la sua teoria sulla pioggia? Beh, peggio per lui: Theo sapeva di aver ragione. Si fece comunque trascinare in piedi, in effetti iniziava a non sentire più l’osso sacro a furia di star seduto, ma pur sempre perso nei suoi (terribili) pensieri. Solo alla fine, quando sentì il lumocineta avvisarlo che ce ne fossero altri, allora si riscosse dal torpore.
    «cosa? dove? chi sono?» e seguì le indicazioni di Kaz, correndo insieme a lui verso la finestra. A quanto pare, era in corso una sorta di riunione di condominio e lui si era perso svariati pezzi per strada. Tra l’altro, senza occhiali non vedeva praticamente nulla, perciò impossibile dire chi fossero; poteva solo riconoscere le sagome di qualcuno che si sbracciava per chiedere cose. E Kaz, being Kaz, rispondeva sbracciandosi a sua volta. «ma quale inchio– ah» ci arrivò con un attimo di ritardo, ma ci arrivo. E poi sorrise. «se vuoi posso continuare, vedi che so come rendermi utile se voglio?» era davvero… davvero qualcosa.
    Poi si strinse nelle spalle, tornando verso il letto e afferrando uno dei cuscini, per rubare la federa e usarla come foglio di fortuna. «vieni qui,» disse, ma agì prima di dare tempo all’Oh di avvicinarsi, e passò una mano sul suo viso per raccogliere abbastanza sangue da scrivere qualcosa di utile. «eh?! perfetto, no?» gongolò infine, osservando le lettere traballanti e poco comprensibili che avrebbero dovuto recitare: AUTIO NO MAGIA, e invece sembravano un’accozzaglia casuale di geroglifici.
    Perché era tante cose, Theo Kayne, tra cui spettacolare e divertente e affetto da disgrafia. «dici che capiranno? proviamo?» E avrebbe davvero fatto un (fallimentare tentativo) se uno sguardo familiare ai piedi del letto, qualcosa che non aveva notato fino a quel momento, non lo avesse distratto dalla missione.
    «quello cos’è–» chiese, inchinandosi già per raccogliere il foglio piegato, e dispiegarne i lembi fino a leggere il contenuto.
    O meglio: fino ad osservare la foto di una persona che Theo conosceva molto bene, perché era la persona che, idealmente, avrebbe dovuto capitanare grifondoro al posto suo. Nahla.
    Scomparsa.
    Dal quattordici febbraio.
    Quello riusciva a leggerlo persino lui che faticava a riconoscere lettere e numeri.
    Lo mostrò a Kaz, sguardo incupito e preoccupato, mentre presumibilmente tornavano alla finestra per mostrare un messaggio che fosse comprensibile dalla razza umana. «questo significa che non è più il quattordici» disse, capitan ovvio. «kaz… da quanto cazzo di tempo siamo qui? c’è nahla tra le persone che hai visto alle altre finestre? cosa straminchia sta succedendo?» e quanto, di preciso, erano fottuti?
    it's such a cold, cold world && I can't get out so I'll just make the best of everything I'll never have;
    && it's got me down but I'll get right back up as long as it's spins around. (hello cold world!)
    we can hope and we can pray that everything will work out fine
    but you can't just stay down on your knees: rhe revolution is outside.
    You wanna make a difference? Get out and go to get it.
  4. .
    I think I'll pace my apartment a few times
    && fall asleep on the couch
    gryffindor
    dec. 31st, 2007
    goalie
    theo kayne | qwerty
    Beh, a quanto pareva fuori dalla stanza non c’era nessuno. Kaz 1 - 0 Theo.
    Ma facciamo un passo indietro.
    «hai fatto i test per le telecamere come consigliano su tiktok?»
    «i che che consigliano su cosa?»
    Theo era molto confuso, e Kaz lo aveva appena baciato in fronte quindi insomma.
    La velata minaccia del “se lo rifai ti tiro una testata” non era stata poi così velata.
    «da nudo hai meno probabilità di sudare e puzzare» osservò, placido. «ma se ti senti a disagio, puoi avere la mia camicia? »
    lo fissò interdetto per un attimo, sopracciglia aggrottate e labbra strette, «quella cosa è orrenda. fa male agli occhi.» pausa. «perfetta per te! ti sta benissimo» quanti complimenti, wow!
    «gli uccelli piacciono più a te che a me»
    Oh no.
    (He. Said. What.)
    Quella capocciata sui denti era proprio promessa, firmata e, entro poco, persino consegnata. Era lì lì per farlo, giuro. Sul serio! Se solo.
    Se solo.
    Era San Valentino. Fuck? E la presa sulla stoffa con stampa tropicale dell’Oh si fece più serrata, la mascella stretta e lo sguardo incupito. Lo stava forse prendendo in giro? Non gli importava che fosse San Valentino e che fosse chiuso lì dentro con lui, per qualche scherzo; gli importava che fosse il quattordici febbraio e non fosse con Paris a festeggiare i suoi diciassette anni. E con una rapida occhiata al cielo fuori dalla finestra, Theo pensò che doveva essere già troppo tardi per rimediare: avrebbe dovuto letteralmente supplicare il corvonero di perdonarlo. Era già terribile così, solo a pensarci.
    Terribile al punto da far dissociare Theo per qualche istante, quelli, a quanto pareva, sufficienti per far sì che l’Oh prendesse coraggio e facesse la sua mossa, schiacciando le proprie labbra (ugh. erano davvero morbide, maledetto) contro quelle del grifondoro colto alla sprovvista. Durò meno di un secondo (Kaz non farti film, ew, potremmo essere parenti), e Theo ebbe a malapena il tempo di registrare che fosse accaduto realmente, ma le parole dell’altro ribelle non lasciavano molto margine di errore. «fallo un’altra volta e ci metto pure la lingua» E Theo, being Theo, cosa fece? Gli mollò una testata. Oh sì che gli mollò una testata. «tu provaci e te la strappo a morsi.» Dritta dritta sul setto nasale.
    E poi Kaz fa tutto il suo monologo, speriamo col naso rotto e il sangue a colare sui denti.
    Quindi non pensava che fosse l’oblinder? E quindi, che voleva dire questo per loro? Che fossero tornati al punto di partenza, senza una pista solida e senza idee di perché fossero lì, ammanettati l’uno all’altro?
    «sei inutile» disse lui, espressione offesa e imbronciata sul viso, spalle contro il letto e testa reclinata all’indietro. «e uno spaccagioie, te l’hanno mai detto.» si vantava di essere così simpatico gni gni gni e invece non lo era.
    «forse c’è un modo semplice di uscire. Prova a dirmi un segreto»
    Assottigliò le palpebre e guardò Kaz con intensità, riflettendoci su.
    (Aveva già deciso.)
    «dimme tu uno tuo Perché doveva essere lui a vuotare il sacco?! Tanto lo sapeva che Kaz voleva solo gossippare sulla sua vita privata, era una ciatella e, ancora peggio, uno dello shipper club: brutta gente, quella lì.
    (Salvava solo la meravigliosa Hazel McPherson, o’ capitano mio capitano)
    Avrebbe incrociato le braccia al petto, se solo avesse potuto.
    E qui, tra un silenzio e l’altro, Theo si rese conto che non sentiva alcun rumore provenire dal corridoio — che era strano, no? Erano passati ormai svariati minuti da quando Kaz aveva iniziato ad urlare come una final girl qualunque: possibile che nessuno volesse controllare (che non si stessero uccidendo a vicenda)? Si guardò intorno, osservando le pareti con aria assorta, e poi qualsiasi altra cosa riuscisse a vedere: lampada, armadio, toeletta, finestra. «secondo te… ci stanno guardando?» era davvero inquietante come ipotesi. «se non è per l’oblinder,» chissà se ce la facciamo ad avere una conversazione civile Kaz, o se nel frattempo ci stiamo ancora mordendo, «cosa pensi che vogliano?» da due studenti, poi. Che fossero a conoscenza, dopotutto, del loro essere ribelli?! E mentre aspettava una risposta da Kaz, con lo sguardo fisso verso la finestra, realizzò improvvisamente cosa lo aveva turbato fino a quel momento.
    «non piove.» disse piano, allungando il collo per vedere meglio. «non pove disse ancora, scuotendo Kaz per il braccio che condivideva con lui, «dovrebbe piovere. il meteo aveva detto che avrebbe piovuto.» e poteva anche essere uno stupido, Theo, ma era un ribelle e lo era da tutta la vita, e anche se non lo dimostrava, Lenny – e la resistenza – gli aveva insegnato che per sopravvivere bisognava molto spesso concentrarsi sui dettagli e non perderli di vista. «sono sicuro che il meteo metteva acquazzoni su tutta la Scozia, perché dovevo—» ahem, nope, non poteva dirgli che aveva pensato di organizzare qualcosa per Paris e farlo sotto la pioggia, anziché scoraggiarlo, l’aveva spinto a proseguire, «ne sono sicuro.» prese un cuscino e lo schiaffò sulle gambe di Kaz. «siamo in scozia, perché qui è dove vengono i tifosi dei magpies. di montrose» e se non lo sapeva, aveva passato troppo poco tempo a guardare partite di quidditch o a parlare con Piz. «hanno anche fatto da sponsor, qualche stagione fa, e avevano questo logo sulle divise.» duh???!!!
    Quindi, per tornare alla questione principale: «quello non mi pare un cielo che promette pioggia.» era tutto troppo strano. E io sono molto stanca, non so più chi sa o ha detto cosa dei miei pg, scusa, va così. Random.
    it's such a cold, cold world && I can't get out so I'll just make the best of everything I'll never have;
    && it's got me down but I'll get right back up as long as it's spins around. (hello cold world!)
    we can hope and we can pray that everything will work out fine
    but you can't just stay down on your knees: rhe revolution is outside.
    You wanna make a difference? Get out and go to get it.
  5. .
    I think I'll pace my apartment a few times
    && fall asleep on the couch
    gryffindor
    dec. 31st, 2007
    goalie
    theo kayne | qwerty
    «pensavo che sei proprio bruttino»
    «ma ti sei visto» sì, e gli piaceva quello che vedeva — che era la base del problema, ad essere onesti. Kaz aveva bisogno di un controllo oculistico, e anche alla svelta.
    (Disse, il miope che andava in giro senza occhiali.)
    Portò gli occhi verso il soffitto, imprecando sotto voce, in attesa che l’Oh finisse il suo monologo. «se non ti conoscessi, direi che sei solo o molto invidioso, o molto innamorato, Kaz.» E, così dicendo, gli scivolò giù dalle gambe; sia mai che l’altro prendesse quella posizione come un invito ad esplorare nuove intimità. Brr, avrebbe reso ogni allenamento da lì a per sempre davvero imbarazzante.
    La mano sulla bocca, comunque, non la spostò per colpa della leccata, sia chiaro: era il primo a mordere o leccare (chiedere a Dara per conferme.), figuriamoci se un gesto simile avrebbe potuto fargli schifo, o preoccuparlo. No, quando liberò la bocca di Kaz fu solo perché (s’era stufato) sperava che l’altro avesse riacquistato la lucidità necessaria per affrontare quella situazione con calma e pacatezza.
    Cosa che faceva ridere, perché Theo Kayne era il primo a non averne affatto.
    «sono troppo bello per morire»
    «va bene. sei bellissimo,» (vale come complimento per il fantaoblindere nel caso desse punti!!!!!!!!!! così, lo lascio scritto.) «ma ora davvero, basta con le stronzate.» E gli rivolse un sorriso che aveva tutta l’aria di essere esattamente quello che era: una presa in giro. «chissà come hai fatto a sopravvivere tutti questi anni» nella resistenza, ma fu abbastanza sveglio da non aggiungerlo.
    «qualcuno ci ha messo qui dentro. Lo sanno che siamo qui»
    «sì, ma non sapevano fossimo svegli!!!» Ma possibile che tutto lui, Theo Kayne, dovesse dirgli?!? In che razza di universo parallelo si era svegliato?!
    «se ti rompi un pollice per liberarti, poi hai una mano fuori gioco, LE BASI!»
    Gli parlò sopra, ricordando al tibiavorio che «ho fatto risse ridotto molto peggio. cosa vuoi che sia un pollice rotto?» Gli restavano ancora almeno un pugno buono, e due gambe. E la testa!! Per spaccare le gengive ai loro rapitori. ECCO QUALI ERANO LE BASI, ma che ne voleva sapere Kaz Oh?!
    «Piuttosto passiamo il tempo che ci rimane ad allenarci a lavorare in coppia. ammanettati»
    «sembra un incubo, piuttosto aspetto che vengano a prenderci» poteva essere una battuta, o la più totale verità; difficile capirlo solo osservando lo sguardo completamente esausto del Kayne. «dì la verità, stai solo cercando una scusa per rimanere legato a me. non ti facevo così disperato, sai.» Ma poteva capirlo, i riccioli che Kaz tanto criticava, in realtà, erano il punto forte di Theo e facevano impazzire tutti.
    «e non salterò dalla finestra sei FUORI DI TESTA»
    «ma diverso da loro» cit!!
    «possiamo provare ad uscire dalla porta almeno, prima??»
    «certo, che idea brillante!!» hello sarcasmo, my old friend, «e finire direttamente tra le braccia di chissà chi c’è la fuori!! PERCHÈ NO!!!» kaz era proprio: scemo.
    «ma poi in che senso scoprirci, scusa, sanno già che siamo qui, babbeo»
    Oddio. ODDIO!!! MA DAVVERO?????? Non voleva proprio capire. «non ci credo che te lo devo spiegare un’altra volta. ti facevo più intelligente di così.» eppure!! «NON SAPEVANO FOSSIMO SVEGLI!! E ORA INVECE SI!!! ADDIO EFFETTO SOPRESA O VANTAGGIO O QUALSIASI MODO TU VOGLIA CHIAMARLO!!!!!!!!»
    Ne aveva: le palle piene.
    «ho una fottuta fame che non ti sto a dire.» Theo affamato, Theo (ancora più) ingestibile (del solito). Funzionava proprio come un bambino, esatto.
    «forse dovremmo gridare più forte–» al che, Theo spalanco un braccio e lo guardò come si guarderebbe una persona con tutte le rotelle fuori posto: era serio??? «–e poi nasconderci. Se ci stringiamo, qua sotto ci stiamo» Non poteva crederci. Non poteva fucking crederci. «la prossima cosa che mi chiederai, come minimo, sarà quella di spogliarmi.»
    Abbassò lo sguardo sul proprio petto.
    Lo rialzò per cercare gli occhi scuri di Kaz.
    Si guardò di nuovo, per accertarsi di aver visto bene: eh sì, niente maglietta.
    «qualcuno deve averti battuto sul tempo.»
    (E se prima avevo scritto di qualche maglia/manica/cose, amen ME LO RIMANGIO!! SHIRTLESS THEO!!! tanto ormai è una cosa frequente. Ed è canon che non abbiano trovato una maglia che gli andasse bene per via dei muscoli MPFFF.)
    Ovviamente stava gongolando perché era un figo ed era giusto che mettesse in mostra i pettorali, ma quel pirla di una lampione cinese doveva proprio rovinargli la festa, con i suoi stupidi «BUON SAN VALENTINO!» e «BUON SAN VALENTINO!» dillà.
    Aspetta. (cit.)
    Lo afferrò per la collottola e lo avvicinò al viso. «che hai detto?» se lo stava prendendo per il culo, gli avrebbe dato tante di quelle mazzate da renderlo carino davvero. «oggi non è il quattordici febbraio.» perché se lo fosse stato, Theo avrebbe avuto un gran bel problema tra le mani: uno non passava trecentosessantacinque giorni a sentire Paris lamentarsi di come, l’anno prima, tutti i suoi amici lo avessero bidonato il giorno del suo compleanno per qualche strano evento di san valentino, per poi farsi rapire proprio lo stesso giorno. Come minimo, non ne avrebbe più sentito la fine, di quella storia.
    «dimmi che è uno scherzo.» o, piuttosto, uccidilo subito, Kazzino.
    it's such a cold, cold world && I can't get out so I'll just make the best of everything I'll never have;
    && it's got me down but I'll get right back up as long as it's spins around. (hello cold world!)
    we can hope and we can pray that everything will work out fine
    but you can't just stay down on your knees: rhe revolution is outside.
    You wanna make a difference? Get out and go to get it.
  6. .
    I think I'll pace my apartment a few times
    && fall asleep on the couch
    gryffindor
    dec. 31st, 2007
    goalie
    theo kayne | qwerty
    Non era mai stato bravo ad ignorare le provocazioni, Theo Kayne, ma Kaz ce la stava mettendo proprio tutta per fargli saltare i nervi e beccarsi un pugno sul naso. Lo stava chiedendo così apertamente che Theo sospettava sarebbe stato quasi felice di riceverlo — che razza di masochista.
    «ma. quale. segreto.» digrignato tra i denti stretti, le parole a seguirse l’un l’altra con il tono basso e inferocito di chi non ci stava ad essere considerato un.. un… hhh.
    «MA ABBIAMO FATTO SESSO???»
    E fu istintivo per Theo, a quel punto, alzare il braccio libero e schiaffare la mano sulla bocca di Kaz, schiacciandolo a terra sotto il suo non leggiadro peso. (Oh, uno ci prova a fare punti? Si deve andare di istinto) «abbassa la voce, cazzo» intercalare, non nome. «metti che qualcuno ti sente?!?» se era vero che c’erano altri ribelli nelle stanze adiacenti, l’ultima cosa che voleva era che qualcuno cogliesse stralci di quella surreale conversazione e pensasse che Theo se la faceva con Kaz. Brividini. Non era affatto il suo tipo (che, a quanto pareva, era “biondo tinto moro, zigomi alti e occhiaie violacee dovute a notti passate in bianco sopra ai libri”. molto specifico. ma non siamo qui per parlare dei “tipi” di Theo.)
    E quindi.
    Erano ancora sdraiati a terra, Theo a cavalcioni sull’Oh (no homo bro), con lo special che continuava ad urlare cose senza senso. E sapete cosa? Erano in due a poter fare quel gioco. «MA COSA STAI DICENDO SMETTILA DI URLARE COSE SENZA SENSO» lui? Non meritarselo?

    ..
    .
    Beh, era vero. Kaz era decisamente un gradino o quattro più in alto nella scala gerarchica della società hogwartsiana — specialmente quell’anno, poi. Lui era diventato quello figo e popolare («ugh») e Theo era rimasto il jock che attaccava briga con chiunque lo guardasse e passava più tempo in sala torture che in classe.
    Ma lungi da lui ammettere una cosa del genere di fronte all’Oh.
    Stava quasi per rispondere con qualcos’altro di altrettanto stupido, quando: «E MI TENGO JIMMY!»
    Mouth eye mouth.
    Theo: confuso.
    «chi… cazzo è Jimmy.» Non ricordava alcuna lezione di magia domestica dove li avevano costretti ad adottare qualche creaturina e procedere al loro sostentamento e alle loro cure (e per fortuna, perché in mano a Theo sarebbe morta pure una pianta grassa — o il sacco di farina che immaginava Kaz). «…ho capito.» non aveva capito «kyle ti ha dato un altro tamagotchi?» rip al movero mostrillo in pixel, dunque.
    E niente, c’era della conversazione assurda in quella confusione.
    «MA PERCHÈ URLI GUARDA CHE CI SENTO!!!!!!» E, come minimo, li avevano sentiti anche nelle cinque stanze affianco.
    «ho visto film che iniziavano così. Questo è il momento in cui ti trascino per terra e -»
    Ma porca puttana: «ci siamo appena seduti, ma basta» una sbattuta a terra in a (non) homoerotic way al giorno era più che sufficiente.
    A meno che dall’altra parte non ci fosse un certo portiere blu-bronzo e allora poteva sbattere Theo in terra quante volte voleva. I said what I said. Per fortuna nostra, comunque, la bolla di pensieri su Paris venne prontamente bucata dallo sguardo che Kaz gli stava rifilando— come se avesse appena posato gli occhi sulla cosa più ripugnante dell’universo. «che guardi.» minaccia, minaccissima: era pronto a scattare alla prima parola, Theo. Di qualsiasi tipo fosse stata.
    Stacchetto tattico perché sono già le nove e dieci e: «non c’è magia» «uh.» In effetti non gli era venuto in mente di controllare, ma c’era anche da dire che raramente Theo facesse affidamento su un tipo di magia che non fosse destinato a spaccare tutto — e gli sembrava ancora relativamente presto per far saltare in aria le pareti dell’hotel. Altri dieci minuti, almeno.
    Scivolò giù dalle gambe del capitano tassorosso e si mise seduto a terra, schiena contro il bordo del letto e la mano libera a passare tra i ricci scompigliati, in un momento di improvvisa, e destabilizzante, calma. C’era quasi silenzio, ora che Theo aveva smesso di ringhiare e Kaz di urlare. Un silenzio rotto solo dall’inconfondibile brontolio di uno stomaco disperato. «è il mio.» oh, era un atleta lui, era abituato a mangiare un sacco di proteine al giorno, tutti i giorni, e— «kaz.» serrò le palpebre e rivolse lo sguardo castano al compagno ribelle. «t–» «non mi piace. ma che hai - uh» qualsiasi cosa stava per dire, rimase incastrata nella gola del grifondoro quando l’altro lo tirò a sé, occupando il suo spazio personale senza nemmeno chiedere (proprio besty di dylan aiutoooo mi scoppia il cuore) e sollevò il braccio di Theo per osservare un livido di cui il Kayne non si era nemmeno accorto; non era di certo il primo marchio violaceo che appariva sulla sua pelle senza che lui se ne rendesse conto.
    «kaz–»
    «sto per gridare»
    Che… era un modo di dire, no? Theo immaginò di sì, e rimase ad osservare per un attimo il livido e, con una certa angoscia, il microscopico puntino al centro, il chiaro ed inconfondibile segno di un ago che aveva bucato la pelle. «che caz» «QUAAAALCUUUUNO MIIII SEEEENTEEEEEEE?» «zo–» Oddio ma era tutto scemo?!
    E ancora una volta Theo agì prima di riflettere (storia della sua vita), premendo il palmo aperto contro la bocca dell’Oh, e sussurrando ad un centimetro dal suo viso quella che poteva essere una minaccia o una promessa, a seconda di come si sarebbe comportato da lì in poi Kaz. «ti uccido.»
    Gli diede qualche istante per calmarsi (non piangere, ti prego non piangere o qui finisce male) e quando fu abbastanza certo che avesse ripreso a respirare con una regolarità che non gli avrebbe fatto rischiare l’infarto, staccò di poco la mano dalla bocca del tibiavorio, rimanendo comunque abbastanza vicino da censurarlo ancora se ce ne fosse stato bisogno.
    (Non costringermi a farlo con un limone, nemmeno per il fanta ne varrebbe la pena, già è a rischio separazione così.)
    «ti sei calmato?» sperava bene, perché stava per dire qualcosa che l’avrebbe agitato di nuovo, ancora di più, e l’ultima cosa che Theo voleva era rimanere ammanettato ad un corpo morto. «senti, non urlare ma non credo sia una lezione di nelia.» gli sussurrò, abbastanza vicini che non c’era bisogno di usare neppure un tono di voce normale, per farsi sentire. «non penso… drogarci mi pare un po’ estremo.» Si potevano dire molte cose della resistenza, e di certo erano disposti a tutto e non badavano ai mezzi pur di raggiungere un fine, ma voleva sperare che la loro professoressa di corpo a corpo avesse un po’ più a cuore le loro condizioni fisiche e fosse contraria all’uso non consensuale di droghe, di qualsiasi tipo esse fossero. «e tu non mi pari il tipo da scegliere volontariamente di iniettarti qualcosa nelle vene.» continuò, alzando entrambe le sopracciglia: cozzava un po’ con l’atteggiamento da principino popolare che si dannava così tanto di mantenere; quanto a lui, beh, era Theo — avrebbe fatto qualsiasi cosa per una scommessa. Anche le cose più stupide (been there, done that).
    Si rimise seduto sul pavimento, rimanendo girato verso l’Oh, e posando la spalla contro il bordo del letto, riflettendo.
    (Aveva già mal di testa.)
    «ti ricordi cosa abbiamo mangiato a cena ieri sera?» che poteva sembrare una domanda fuori luogo ma non lo era: Theo Kayne ricordava per filo e per segno tutto quello che veniva preparato dagli elfi, ad ogni pasto — e così anche il suo corpo. Per avere tutta quella fame, significava che dovevano essere passate più ore del previsto da quando l’ultima cosa concreta aveva raggiunto il suo stomaco. Non buono. «perché io non ricordo neppure dove fossi, quando mi sono addormentato.» Cosa che… ok, era capitata svariate volte nella vita ma dettagli. «pensi che–» era terribile anche solo <>l’idea, ma Theo aveva sempre saputo che correva il rischio (abbastanza concreto) di essere scoperto prima o poi — non era di certo il ribelle più accorto, ahilui.
    Ma no, perché mai i pavor avrebbero dovuto portarli in un resort, piuttosto che al ministero per interrogarli e torturarli? Poteva sbagliarsi.
    (Lo sperava.)
    (Ovviamente Theo è di quelli che non ha mai letto un numero di Polgy in vita sua, e dubito fortemente Mis o Mini l’abbiano letto per lui, perciò showbiz)
    «senti.» era il momento di rimboccarsi le maniche, evitare di pensare all’ematoma violaceo che avrebbe dovuto spiegare in qualche modo a Lenny ed essere abbastanza convincente da fargli credere che non si fosse dado all’eroina, e trovare una soluzione. «innanzitutto dobbiamo liberarci di queste,» alzò appena il braccio ammanettato, per indicare i nuovissimi bracciali di acciaio che gli avevano regalato, «e possiamo farlo in due modi: il primo è con una forcina,» insomma, non era il suo primo rodeo, «la seconda potrebbe non piacerti, perché prevede una bella dose di dolore.» era mai ricorso a quel metodo estremo? No, perché aveva l’abitudine di portarsi sempre dietro una forcina o uno spillo abbastanza sottile da poter usare in caso di situazioni come quelle — ma non ne aveva uno, in quel momento. «ma lo farei io, basta che poi quando usciamo da qui mi ridai le manette.» cosa? cosa. «dico davvero.» le priorità. «una volta liberi, possiamo provare a fuggire dalla finestra, non mi sembra molto in alto, e penso sia più facile che addentrarci nei corridoi di un hotel che non conosciamo.» ugualmente stupido, ma sembrava una mossa intelligente nella mente del kayne. «però devi smetterla di urlare, o ci scoprono subito e ci ammazzano.» severo ma giusto. «ci stai?»
    kaz, an intellectual: no.
    it's such a cold, cold world && I can't get out so I'll just make the best of everything I'll never have;
    && it's got me down but I'll get right back up as long as it's spins around. (hello cold world!)
    we can hope and we can pray that everything will work out fine
    but you can't just stay down on your knees: rhe revolution is outside.
    You wanna make a difference? Get out and go to get it.
  7. .
    I think I'll pace my apartment a few times
    && fall asleep on the couch
    gryffindor
    dec. 31st, 2007
    goalie
    theo kayne | qwerty
    (sandi colpisce ancora, quattro anni di seguito. Il vero match oblinder siamo noi *high five*)

    E pensare che di solito era Theo quello molesto, che urlava già di prima mattina e rincoglioniva tutti di chiacchiere (quando si svegliava col piede giusto, ovviamente; altrimenti teneva il broncio fino a mezzogiorno e perlopiù comunicava a versi e ringhi).
    Invece no, quella volta erano le sue orecchie ad essere violentate.
    Terribile.
    Ma poteva urlare più forte di Kaz.
    E lo avrebbe fatto.
    «AAAAAAAAAAA»
    «OOOOOOOOOOOOH»
    Ebbe anche quasi l’istinto di schiaffeggiarlo con la mano che l’altro aveva preso in ostaggio, ma non lo fece. Invece, assottigliò le palpebre e gli riservò un’occhiata truce. «così ora hai detto a tutto l’hotel, e a tutta la regione, che siamo svegli, bravo.» un frontino, però, quello non si trattenne dal rifilarlo al compagno, palmo ben aperto a picchiare contro la fronte del collega ribelle e un verso che somigliava vagamente ad un che razza di rinco a sfuggire dalle labbra del grifondoro.
    «tHeO?!»
    «eh. in carne ed ossa.»
    «non hai il mio consenso per toccarmi»
    Allora.
    Stava proprio cercando una scusa per farsi picchiare? Era così? Beh, Theo l’avrebbe accontentato: gli aveva fatto il culo in sala addestramenti un sacco di volte, poteva replicare quando voleva.
    «ma chi ti tocca.» offeso, mortalmente offeso. «e spaccarti la faccia non vale come toccarti.» borbottò più a bassa voce, alzandosi e tentando di portarsi dietro l’Oh solo per dispetto.
    «sarebbe strano, sai? Giochiamo a quidditch insieme. Poi l’altra – storia»
    «quale altra storia
    COSA STAVA INSINUANDO.
    «però il nostro nome ship sarebbe tho. Onestamente?»
    Ship? SHIP?
    Ecco, lo sapeva: li avevano sgamati e ora tutti sapevano di lui e Paris e parlavano alle sue spalle e— «hai una cotta per me?? puoi dirmelo, eh»
    hhh.
    «la pianti di dire scemenze?!» oh. mio. dio.
    (E quello era il migliore amico di sua mamma?!?!) (Sì, ed era bellissimo così, slay kazzino) (Menomale che Theo non sa nulla di tutto ciò.)
    «senti, parliamo di cose serie–»
    «lo faresti? sarò onesto con te: non penso ci riusciresti»
    Non doveva dirlo.
    Non doveva proprio dirlo.
    «mi stai sfidando?!» ed era già pronto a caricarsi l’Oh in spalla solo per dimostrare che potesse farlo, e dargli contro: non gli importava che fosse alto una torre di hogwarts e mezza, Theo aveva il proprio orgoglio da difendere. E invece: «in quale trope ci sto sognando»
    «uh?» il Kayne si divincolò dalla presa (che, doveva ammetterlo, era stata più complicata del previsto: farlo con un braccio legato a quello di Kaz era: difficile. ci avrebbe riprovato in un secondo momento.) «non stai sognando.» e per dimostrarglielo, gli tirò un pugno sulla spalla — più forte di quel che avrebbe dovuto, ma molto più leggere di quello che avrebbe potuto, quindi insomma. «se sveglio. ma a questo punto immagino sia… boh, un test? una prova? sai…» si strinse nelle spalle, e gesticolò senza senso per cercare di spiegarsi, «magari… la hatford………..» silenzio lungo una vita, perché Theo non sapeva come altro spiegarsi senza dire troppo: doveva sempre partire dal presupposto che qualcuno lo stesse guardando e/o ascoltando, ma non era mai stato troppo bravo a camminare nelle sfumature, lui, o a stare nelle zone grigie. Come spesso sottolineato, era più bravo con i fatti che non con le parole. «magari vogliono vedere chi fa il culo all’altro? chi riesce a liberarsi per primo?»
    In tutto ciò, non aveva ancora capito che fosse il quattordici febbraio.
    Sperava di non capirlo mai.
    it's such a cold, cold world && I can't get out so I'll just make the best of everything I'll never have;
    && it's got me down but I'll get right back up as long as it's spins around. (hello cold world!)
    we can hope and we can pray that everything will work out fine
    but you can't just stay down on your knees: rhe revolution is outside.
    You wanna make a difference? Get out and go to get it.
  8. .
    I think I'll pace my apartment a few times
    && fall asleep on the couch
    gryffindor
    dec. 31st, 2007
    goalie
    theo kayne | qwerty
    Prima di tutto: elisa non lo uccidere paris non lasciarlo. Ricordati che non è colpa sua e non ha deciso lui di trovarsi qui *manine* *manine* *manine* (unless sei tu, in quel caso usiamo 'ste manette wink?)


    Detto questo. Che altro c’era da dire.
    Poco, se non che Theo fosse confuso, ma così confuso, perché era abbastanza certo (diciamo… intorno al 79 percento?) di non conoscere quel posto, né di essersi smaterializzato fin lì durante la notte. Certo, di cose idiote ne aveva fatte davvero un sacco in soli sedici anni di vita, ma davvero, non credeva che quella volta fosse colpa sua.
    O almeno… lo sperava?
    Le manette erano sicuramente qualcosa che Theo Kayne avrebbe scelto di usare ma — side eyes alla persona a cui era legato: chissà chi sei. Nel dubbio, mi dispiace un sacco.
    «sei stat* tu?!» a fare cosa? Boh, nel dubbio: tutto. E indicò subito la stanza, il grifondoro, come a voler dare un senso alla sua domanda. «ti devo dei soldi? mi pare un modo un po’ estremo per chiederli indietro, ma okay.» alzò appena il braccio ammanettato, già pieno di quella situazione. «anzi, sai cosa? qualsiasi cosa tu stia pensando, non è colpa mia» andava detto, ed era stato detto; non che fosse necessariamente vero, ma tant’è.
    «senti,» il tentativo di incrociare le braccia al petto ebbe vita breve, quando il suo gesto improvviso gli ricordò di essere legato ad un altro essere vivente (terribile, sconsigliato), quindi optò per portare il pugno libero al polso, come un vecchio qualsiasi. «se per uscire da qui devo prenderti in spalla e trascinarti, così sia.» Non era decisamente il tipo da farsi quel genere di problemi.
    E poi, era sempre pronto a trovare una scusa per prendersela con qualcosa di fisico quando tutto il resto sfuggiva alla sua comprensione (ovvero: sempre .); quella volta non era diversa, con le sue stanze sconosciute, la sensazione di aver perso il conto dei giorni e che ci fosse un motivo dietro il suo non riuscire a spiegarsi perché fosse lì (aveva già escluso il post sbronza; l’alito non gli puzzava di alcol, né di erba.) perciò insomma. Quando non c’era una spiegazione concreta e reale per il problema in corso, Theo Kayne tendeva a prendersela con gli oggetti. O le persone. Avrebbe spaccato l’intera stanza (e l’intera fottuta struttura) e la faccia di quella persona se lo avesse tenuto ammanettato a sé ancora per molto.
    «hai dieci secondi per spiegarti.»
    O un po’ di più, dato che non sa contare e perde il filo.
    it's such a cold, cold world && I can't get out so I'll just make the best of everything I'll never have;
    && it's got me down but I'll get right back up as long as it's spins around. (hello cold world!)
    we can hope and we can pray that everything will work out fine
    but you can't just stay down on your knees: rhe revolution is outside.
    You wanna make a difference? Get out and go to get it.


    SPOILER (click to view)
    si è svegliato male, gli manca il suo letto, mi dispiace (può solo peggiorare)
  9. .
    ravenbitch
    vi | cheer
    ben10
    gryffindork
    v | goalie
    troublemaker
    Theo, poco ma sicuro, non era affatto felice di essere al San Mungo. Era uno dei posti che, più al mondo, detestava — non poteva farci nulla, continuava a preferire i bendaggi casalinghi e di fortuna alle garze sterili dei guaritori, e alle loro occhiate piene di rimprovero, delusione e pietà. Non era nulla di personale nei confronti specifici del San Mungo e i suoi impiegati, era un discorso che Theo Kayne applicava, banalmente, anche all'infermeria di Hogwarts. Il suo odio per le strutture ospedaliere era direttamente proporzionale al bisogno che aveva, quasi quotidianamente, di esse.
    Con la frequenza con cui riusciva a distruggersi in un modo o nell’altro, infatti, rischiava di dover passare davvero troppo tempo seduto su quei dannati lettini scomodi mentre mano sconosciute tastavano lividi e ferite e decidevano, al posto suo, quanto fosse grave o meno la situazione. Mpf, ma cosa volevano saperne loro; con i loro guanti e i loro camici e i loro anni di teste chine sui libri.
    Lenny era stata l’unica eccezione per sedici lunghi anni, l’unico a cui Theo avesse concesso il permesso di prendergli il mento tra le dita e costringerlo a guardarlo per osservare l’occhio nero o il naso rotto di turno; l’unico che avesse avuto il permesso (non esplicito, ma il verso gutturale e animalesco che Theo s’era lasciato sfuggire in più occasioni era suonato vagamente come un okay va bene fai pure e il maggiore se l’era fatto bastare come un permesso valido vita natural durante) di passare il disinfettante sulle ferite, o mettere dei punti di sutura su tagli troppo profondi — chiunque altro, Mis incluso alle volte, avrebbe perso la mano prima ancora di poterla avvicinare al portiere rosso-oro.
    Respirare l’aria asettica e che odorava di disinfettante l’aveva messo di cattivo umore.
    Non essere finito in gruppo con Mis o con Mini, aveva peggiorato la cosa.
    Vederli andare via per occuparsi dello stesso caso, aveva dato il colpo di grazia alla giornata.
    Theo aveva avuto, a quel punto, una sola speranza di poterla vagamente migliorare, e invece era capitato col ben10 sbagliato. «sunwoo,» l’aveva salutato con un cenno del capo e un grugnito che avrebbe potuto essere, come non essere, il nome di Dara; strano ma vero, il serpeverde non gli stava particolarmente antipatico, e Theo non sentiva alcun bisogno di trattarlo troppo male — o forse era solo la vocina nella sua testa che gli ricordava che dovesse assolutamente trovare l’approvazione di tutti e nove i ben rimanenti, se voleva– no, sapete cosa? doveva togliersi il Tipton dalla testa almeno per qualche ora, perché stava francamente diventando ridicola la cosa e Theo credeva di essere almeno un po’ più furbo di così.
    (Non lo era.)
    «Kane, riesci a procurarci un mortaio?»
    «non sono il tuo schiavo.»
    Solo per ripicca, avrebbe voluto davvero non dare retta alla richiesta del ben, ma suo malgrado si ritrovò a passare lo sguardo sui materiali che erano stati loro forniti dall’ospedale, rendendosi conto che non ci fosse un mortaio con cui tritare gli ingredienti. «non c’è il mortaio.» silenzio. altro silenzio. ancora silenzio. «ah, intendevi–» lasciò la frase a metà, un gesto vago della mano a smuovere l’aria davanti la sua faccia. «okay.» ora. Appurato in più occasioni quanto Theo Kayne non fosse l’attrezzo più affilato della scatola, risultava davvero così sorprendente realizzare che non avesse alcuna idea su come procurarsene uno? Doveva andarlo a chiedere a qualcuno…? Non c’aveva assolutamente sbatti.
    Così Theo, being Theo, scelse la via più lunga e contorta per arrivare alla propria meta; storia della sua vita.
    «io intanto posso cercare di concentrarmi sulla pozione. Anche se...»
    Senza stare a sentire davvero Dara, indicò un plico di fogli alla loro destra. «sì sì, bla bla, ok. secondo te quello serve?» ad occhio e croce, il grifondoro sospettava di sì; e proprio per quello lo scelse come vittima del suo esperimento.
    Uno che, strano ma vero!, era certo gli sarebbe uscito molto bene: aveva passato intere giornate con i bambini più grandi all’Istituto, a trasfigurare in argilla mucchi di foglie, rametti, rocce o qualsiasi altra cosa avessero sotto mano, per sé e per Mis, al punto che cretula era forse uno dei pochi (inutili) incantesimi che Theo Kayne sapesse lanciare senza far finire il mondo nel mentre.
    «cosa ne pensi del gingsen? Il coriandolo sarebbe meglio, e si amalgama bene con l'artemisia»
    «capisco tutte quelle parole separatamente» annunciò, mentre tirava fuori la bacchetta dalla tasca e rendeva l’equivalente di una settimana di analisi e test medici, un blocchetto di argilla da modellare poi affinché prendesse la forma di un mortaio e del pestello abbinato, «ma dubito fortemente a quello lì abbia bisogno di risvegliare desideri assopiti, in questo momento.» silenzio. altro silenzio. Con tutta la nonchalance del mondo, Theo alzò gli occhi e li puntò in quelli altrettanto scuri del serpeverde. «l’ho letto da qualche parte,» mica lo sapeva per esperienza personale che il ginseng veniva usato pure come afrodisiaco.
    Forse.
    «va beh.» bacchetta ancora alla mano, lanciò l’incantesimo indurente verso il mortaio per renderlo utilizzabile senza dover cuocere l’argilla. «tieni. è un po’ storto ma fattelo andare bene» mpf, lui ci aveva provato!
    mona benshaw
    bennet meisner
    hey, quick question:
    what the fuck is going on
    theo kayne
    dara sunwoo
    oh no!!!
    grandson



    SPOILER (click to view)
    GRUPPO 5: theo (ingrediente errato e incantesimo) + dara (lista ingredienti e pozione)
    Sintomi ed evidenze: convulsioni, nausea, e perdita di conoscenza
    Diagnosi: ferita magica causata da incantesimi oscuri

    INGREDIENTE ERRATO
    Ginseng: pur essendo un comunissimo e molto diffuso rimedio contro la stanchezza e in generale un alleato per stimolare le difese immunitarie, in questo caso la radice di ginseng non è utile nella pozione perché non contrasta a dovere gli effetti della magia oscura

    INCANTESIMO DI TRASFIGURAZIONE
    CODE
    <div class="card objs matricola trasfigurazione">
    <h2>cretula</h2>
    <p><b>Formula:</b> <i>cretula</i>. Un incantesimo semplice, che serve a tramutare un qualsiasi oggetto di piccole-medie dimensioni in argilla; utilizzato spesso per far fare pratica ai bambini, il risultato viene poi fatto plasmare e modellare come passatempo; se invece si è di fretta, è possibile dare una forma all’argilla utilizzando la bacchetta negli istanti successivi alla trasfigurazione, e forgiare così ciò di cui si ha necessità. Non può essere castato su persone o creature.</p>
    <h6><span>Incantesimo verbale dal colore rosso-bruno; per castarlo basta un gesto secco con la bacchetta in direzione dell’oggetto da trasfigurare, mentre si pronuncia la formula.</span></h6>
    </div>
  10. .
    TW: se state ancora leggendo sapete cosa vi aspetta, quindi...


    theo kayne
    31.12.07
    london, uk
    «sei capace a tenere la bocca chiusa?»
    La voce roca di Paris non avrebbe dovuto provocargli la pelle d’oca, eppure lo fece. Tutto, di quel bacio, di quella situazione, lo faceva tremare.
    Suo malgrado, Theo si lasciò spostare da Paris, la pelle delicata del corvonero ancora stretta tra i denti, non così forte da spillare strappare ma abbastanza da vedere già le prime sfumature violacee prendere forma sulla tela altrimenti immacolata.
    Lo seguì fino a posare lo sguardo in quello dell'altro, con la mente lontana anni luce e fissa sul lavoro che era stato interrotto, e ci mise un attimo in più del dovuto a recepire le parole di Paris. Capirle, poi, era fuori discussione: non stava nemmeno parlando, perché ammonirlo di tenere la bocca chiusa?! Era davvero un vizio, quello del maggiore! Avrebbe protestato verbalmente (e rumorosamente) se solo lo sguardo annebbiato dall'eccitazione di Paris, non si fosse riflesso in quello altrettanto scuro del Kayne.
    Ma c'era anche altro nelle iridi nocciola di Paris, un permesso che Theo non era in grado di decodificare, una debolezza che non avrebbe saputo sfruttare, o un permesso che non si rendeva conto fosse destinato a pochi; non era mai stato troppo sveglio, Theo, ma per fortuna di Paris non era mai stato neppure crudele — non si sarebbe mai approfittato di qualsiasi concessione avesse voluto concedergli, ammesso che ne avesse preso coscienza.
    Si limitò invece ad accettare le sopracciglia, specchiandosi in quella vulnerabilità inaspettata e straniera, qualcosa che a mente lucida lo avrebbe preoccupato — ma non era lucido, Theo, affatto. Era su un pianeta tutto suo, uno in cui il resto del mondo non c’era e poteva passare intere giornate a marchiare la pelle del Tipton con i propri denti, anziché con le proprie nocche. Non un cambiamento radicale, certo, ma sostanziale; fisico, Theo Kayne, lo sarebbe rimasto sempre e comunque, che fossero carezze o pugni quelle riservate all’altro ragazzo.
    In quel momento, in aggiunta, c'era una sfumatura rossa ad annebbiare la vista del Kayne, un piacere che sentiva crescere e che, lo sapeva, sarebbe stato difficilissimo da mettere a tacere già così; così come sapeva che, prima o poi, il Tipton avrebbe imposto dei paletti a quell'incontro perché di certo non avrebbe permesso a Theo Kayne di violare un posto sacro come la biblioteca con i suoi atti osceni.
    Nella migliore delle ipotesi, negli scenari che stavano passando in quel momento dietro i riccioli scuri, Paris lo invitava a spostarsi altrove per riprendere da dove si erano interrotti; nella peggiore, andava via e lasciava il Kayne al suo triste destino.
    Non aveva messo in conto, però, potesse esserci una terza opzione, troppo impossibile persino per essere contemplata — figuriamoci realizzata.
    Tant'è che in un primo momento, vedendo Paris scivolare lungo lo scaffale, Theo immaginò stesse cercando di divincolarsi dalla presa, o di raccogliere qualche libro finito a terra durante la pomiciata (che razza di nerd); quando poi lo vide fermarsi, in ginocchio come una donna prostrata ai piedi del suo adorato Dio, l'espressione si fece appena più confusa, ma sostenne lo sguardo nocciola perché come avrebbe potuto guardare qualsiasi altra cosa, in quel momento?
    La realizzazione di quello che Paris stava per fare, del permesso che stava aspettando, gli giunse solo quando vide il maggiore avvicinarsi al rigonfiamento dei pantaloni, e posare un bacio sulla sua innegabile erezione. Una realizzazione che lo colpì così forte da fargli quasi cedere le ginocchia.
    Stava per–.
    Annuì con frenesia, senza nemmeno pensarci, mente completamente priva di alcun pensiero che non coinvolgesse Paris Tipton in ginocchio davanti a lui tra i fottuti scaffali della biblioteca.
    Cristo santo, aveva tutto il potenziale per essere una scena ridicola, della quale Theo avrebbe riso, se solo avesse avuto un briciolo di razionalità in più, in quel momento: Paris, prostrato e intento a venerarlo in uno dei luoghi, in tutto il castello, che il portiere blubronzo considerava più sacro.
    Che razza di kink idioti aveva, scemo pagliaccio.
    (Come se proprio Theo potesse parlare.)
    Non poteva negare, però, che lo trovasse stimolante persino lui: aveva meno a che fare con le migliaia di libri sistemati sulle mensole, e più con il fatto che chiunque sarebbe potuto passare di lì e scoprirli da un momento all'altro — ma il risultato era lo stesso, e Paris vi si ritrovava giusto faccia a faccia in quel momento, tutto il sangue del grifondoro ad affluire al centro delle gambe e svuotare la mente di qualsiasi altro pensiero (già, di per sé, rari in situazioni normali).
    Il rumore della zip che veniva abbassata sembrò risuonare come un boato nella corsia vuota, dove non volava più neppure una mosca: sembrava stessero persino trattenendo i respiri, pur di non farsi scoprire, ma Theo non era certo di ricordare come si facesse a respirare, e in tutta onestà non reputava di averne bisogno, in quel momento — sarebbe morto comunque prima di immagazzinare abbastanza aria nei polmoni per evitare il soffocamento.
    E ora — ora le parole di Paris finalmente avevano senso.
    «no» con tutta probabilità non sarebbe stato capace di tenere la bocca chiusa, o di non fare rumore — non poteva affatto prometterlo.
    Non quandoParis aveva a malapena sfiorato la sua pelle nuda con la lingua, in un piccolo assaggio di quello che avrebbe potuto ricevere, e Theo già voleva urlargli quanto lo odiasse, che fosse un cretino, e che facesse meglio a fare di più e sbrigarsi prima che la situazione potesse precipitare.
    (E con precipitare intendo: la mano di Theo a fare il lavoro che avrebbero dovuto fare le labbra del Tipton, perché il grifondoro non era mai stato un ragazzo paziente e in quel momento voleva una cosa e una cosa sola, e se non l'avesse ricevuto da Paris, avrebbe fatto da solo.)
    Le sue imprecazioni, però, vennero messe a tacere ancora prima di iniziare, dalle dita di Paris che finalmente, finalmente!, andavano a iniziare il lavoro. Theo si lasciò sfuggire un sospiro pesante che divenne subito un gemito, e tentò di nasconderlo nell'incavo del gomito per almeno provare a fare silenzio; dubitava sarebbe finita bene per loro, se lo avessero beccati in quella posizione compromettente.
    (Ne sarebbe andato del suo orgoglio; l'espulsione non lo preoccupava.)
    E poi, proprio quando Theo credeva di aver fatto suo almeno un po' di contegno, ecco che il maggiore aveva l'ardore di gemergli addosso, con le labbra ancora chiuse intorno alla sua erezione. C'era un limite all’autocontrollo del grifondoro, e quello lo superava di un sacco.
    «cccazzo–»
    Espirò, picchiando la fronte contro il bordo dello scaffale, e stringendolo con una mano fino a far diventare bianche le nocche. Era ancora tutto così nuovo per lui che faceva fatica a prendere nota di ogni sensazione, e di ogni esperienza, ma sapeva che sarebbero rimaste tutte impresse nella sua mente, e sulla sua pelle, per sempre. Era l'elettricità che pizzicava la pelle, come scariche a basso voltaggio che servivano a farlo sentire più vivo; o il martellate del cuore che, giurava!, era salito fin sulla gola e gli mozzava il fiato; era il calore di pelle contro pelle, di un movimento ritmato e controllato che minacciava la sua (poca) sanità mentale; ed era il proprio sapore sulle labbra di Paris quando, ancora in preda ai tremori dell’orgasmo, avrebbe preteso altri baci — dieci, cento, infiniti.
    Era il modo in cui Paris chiedeva, senza prendere, o pretendere, perché sapeva che dietro il pilota automatico di un corpo che si stava pian piano riscoprendo e cedeva con troppa facilità ai bisogno primordiali, c'era la paura di farlo nel modo sbagliato.
    Poche cose al mondo spaventavano Theo Kayne, ma quello lo terrorizzava.
    «dove vuoi venire, theo?»
    Riaprì gli occhi – che non si era reso conto di aver chiuso; così come non si era reso conto della mano scivolata sui capelli di Paris, che stringeva ciocche castane e implorava di fare di più – e riuscì a blaterare appena un «sì» che non rispondeva assolutamente a nessuna domanda, ma era già tanto che fosse uscito dalle sue labbra in un verso che sembrasse effettivamente appartenere alla lingua umana; tra un gemito e un rantolo roco, persino lui dubitava di saper ancora come mettere insieme due semplici parole, l'una dietro l'altra.
    In quel momento non era tanto una questione di dove venire, ma quanto più di quando e la risposta a quella domanda era: molto presto.
    Oppure sarebbe esploso.
    Serrò la presa sulla nuca di Paris, in un gesto involontario, come per invitarlo a ricominciare quanto interrotto, e a farlo con una certa urgenza, e — Uh, da quella posizione vedeva perfettamente il biondo miele cercare di farsi strada dalla radice, e quel pensiero bastò a mandarlo in overdrive e fargli stringere la presa sulle ciocche bugiarde, come a voler costringere a realizzarsi, con la sola forza della propria volontà, una realtà che lo avrebbe destabilizzato e allo stesso tempo fatto sentire più sereno; voleva ogni lato del Tipton (does this answer the question, elisa?) ma più di tutti voleva quelli che Paris nascondeva, persino a se stesso.
    Soffocò un «tipton–» contro la stoffa della manica, il pensiero di quello che avrebbero potuto fare se si fossero trovati in un qualsiasi altro posto ad amplificare l'urgenza che sembrava già abbastanza palese, la sua fantasia (non troppo spiccata, in effetti) a suggerire uno o due modi in cui quella situazione avrebbe potuto evolversi — se solo non fosse stata la fottuta biblioteca.
    Eppure, l'idea di quello che avrebbero potuto fare proprio lì, lo portò a spingere in avanti i fianchi e cercare un ulteriore contatto, di più, ancora e ancora e ancora — più forte, più veloce.
    Non era una vera risposta, ma era quello che Theo aveva da offrire il quel momento, insieme ad un «paris–» strozzato, denti a mordere la carne morbida delle labbra, mentre lasciava che Paris Tipton lo distruggesse ad un ritmo tutto suo, che lo stravolgesse, che lo annientasse e lo ricostruisse da zero.
    Glielo avrebbe permesso.
    hogwarts
    gryffindor
    halfbloodrebelgoalkeeperidiot

    I taste you on my lips
    && I can't get rid of you
    so I say damn your kiss
    && the awful things you do
    (you're worse than nicotine,
    nicoteen.)
  11. .
    theo kayne
    once: theo kane
    gonna start a fire, short fuse, while I take hits; tough times get by, never had a doubt.
    gonna set fire to the world with a matchstick,
    if I don't make it I'm taking the world with me, swimming in kerosene
    Contro qualsiasi pronostico, Grifondoro era in finale. O meglio, contro i pronostici di tutti tranne che di Theo, che in quella vittoria ci aveva creduto sin dall'inizio, tentennando solo appena quando si era ritrovato suo malgrado con la spilla di capitano ad interni all'inizio della partita contro serpeverde.
    «“ad interim”»
    «uh?»
    Cazzo, aveva dimenticato di Mis seduto ai piedi del divano — ma quanto era silenzioso? O forse era morto, difficile dirlo con esattezza quando si trattava di suo fratello. Giusto per accertarsi non fosse così – e per dargli fastidio, perché era un insopportabile rompicoglioni – gli diede un calcio con la punta della scarpa.
    «si dice “«ad interim”»
    «ah, vabbeh.» sai a chi fregava?! Non cambiava comunque le cose: erano in finale!!! E ce li aveva portati lui. Circa. Aveva parato (un misero goal, perché i cacciatori serpeverde facevano schifo, tièèèèè) e aveva tenuto gli anelli inviolati, aveva incitato la squadra e li aveva guidati alla vittoria — era stato terrificante e continuava a non essere sicuro di volerlo fare di nuovo, sperava tanto che Bella si rimettesse in tempo per giocare la finale, ma.
    Se pensava che quell'ultima partita, poi, l'avrebbero giocata contro Corvonero, contro il Tipton, un po' l'idea di rimanere con la spilla appuntata al petto lo stuzzicava, solo per la goliardia di sfidare l'altro capitano da suo pari.
    E niente, ancora una volta il pensiero tornò inevitabilmente al portiere blubronzo, come da mesi a quella parte era solito fare nei momenti meno opportuni della giornata.
    Abbassò la testa e lasciò che i riccioli scuri oscurassero il viso, certo di aver assunto l'espressione più colpevole di tutte, e sperando che Mis non se ne accorgesse: improvvisamente, lucidare il manico di scopa che teneva in bilico sulle gambe sembrava un'operazione di vitale importanza e Theo non aveva occhi se non per l'accessorio e gli strumenti utili alla sua cura. Che stupido pagliaccio che era. Impossibile pensare che, fino a quel momento, erano riusciti a fregare tutti e tenere… quello che c'era tra loro, qualsiasi cosa fosse, un segreto. Uno fatto di incontri clandestini tra gli scaffali della biblioteca (l'ultimo posto dove chiunque, tranne il Tipton, sarebbe andato a cercare Theo) e baci rubati fuori dagli spogliatoi prima di una partita o di un allenamento; non avrebbe saputo dire perché avevano scelto di non dirlo a nessuno, a parte i motivi più ovvi: a Theo spaventava il giudizio dei Ben10 e più in generale la loro setta, e poi stava stupidamente convincendo se stesso che, se avesse tenuto la cosa solo per loro, avrebbe fatto meno male quando, come era prevedibile, Theo Kayne avrebbe rovinato tutto mandando a puttane una delle poche cose belle che gli erano capitate quell'anno.
    Non lo aveva detto nemmeno alla Russa, nemmeno a Mis, ed era certo di aver fatto un ottimo lavoro di occultamento fino a prova contraria, e che nessuno avesse motivo di sospettare nulla: infondo, agli occhi di tutti, lui e Paris continuavano a comportarsi come avevano sempre fatto, a insultarsi e alzare le mani l'uno sull'altro, solo che ora ogni rissa aveva un po' un profumo diverso, tutto un altro significato.
    (Sbagliato, era un pessimo bugiardo il Kayne; quel ruolo era sempre ricaduto sulle spalle molto più capaci di Mis, in quella vita e nell'altra.)
    Eeeeee stava pensando di nuovo (ancora?) al Tipton, davvero uno stupido pagliaccio, ecco cos'era.
    Affossò ancora di più il viso tra le spalle, capo chino sul manico che stava sfregando con così tanta veemenza che, prima o poi, era certo avrebbe preso fuoco.
    Se Mis stava parlando (ne dubitava fortemente), Theo non aveva idea di ciò che avesse detto fino a quel momento. Per quanto lo riguardava, riusciva solo a pensare alle mani del Tipton addosso a lui, in maniera più o meno violenta, e ai segreti che loro malgrado avevano iniziato a condividere negli ultimi mesi.
    Quel pensiero avrebbe dovuto rassicurarlo, ed invece non faceva che metterlo sul chi va là, agitandolo più del previsto e incidendo pericolosamente sul suo carattere già abbastanza imprevedibile. Senza rifletterci, finì con il grattare distrattamente un lembo di pelle sull'avambraccio dove, nascosto sotto la manica della camicia e della felpa, l'inchiostro scuro aveva lasciato un marchio indelebile, un tatuaggio magico in grado di tenerlo aggiornato sulle fasi lunari di mese in mese — a Ryu, quando l'aveva guardato con un sopracciglio arcuato e l'espressione incuriosita a seguito della sua richiesta di insegnargli l'incantesimo giusto per rendere magico un semplice tatuaggio, aveva banalmente risposto di voler soli ampliare il proprio profilo, e imparare nuove tecniche. Non erano cazzi suoi il perché (o per chi.) lo facesse.
    Così come non lo erano di Mis, o di nessun altro, motivo per cui aveva tenuto nascosto anche quello; erano (quasi) gemelli, lui e il Jacksson, ma non significava che dovessero condividere proprio tutto tutto. E poi, Theo era certo che a Mis non fregasse una sega di tutto quello, perso com'era nel suo mondo pieno di creature e animali, la Biancaneve dei poveri.
    Ma così, giusto per rompergli il cazzo e ricordargli che fosse ancora lì, e per mascherare un po' quell'inusuale silenzio da parte sua, gli diede uno scappellotto sul collo. Bro. «passami le caramelle» priorità.
    31.12.07
    gryffindor
    v | goalie
    kerosene
    olen
  12. .
    theo kaynev annoportiere
    Non è un buon momento, ma ci tocca.
    Confuso dal Sabbath dei latinos, di cui chiaramente Theo non aveva capito nemmeno mezza parola, aveva mal di testa per il modo in cui avevano iniziato a girargli intorno. Due pazzi. Perfetti grifondoro, quindi.
    Pure il bolide era confuso comunque, e quello era l'importante. «bel lavoro!» per non essere di reparto, avevano fatto un gran bel lavoro.
    Solo che, distratto dai due compagni di squadra, non aveva visto la serpeverde arrivare alle spalle di Donby e Max. «da dove spunti!!» e vabbeh, si butta verso gli anelli (sbagliati, cento percento) per (non) parare la pluffa.
    Minchia se Mini vince la scommessa Theo diventa un animale.
    Sì, ok, già lo è e blabla bla. Intendevo ancora di più.
    breath
    breaking benjamin
    living in the middle between the two extremes
    (eliandi's version)


    SPOILER (click to view)
    (non) para!
  13. .
    theo kayne
    31.12.07
    london, uk
    Incredibile ma vero, Theo Kayne non era mai stato bravo a seguire la semplice e lineare logica del “rifletti, e poi agisci”. Lo so, siete tutti sconvolti, non ve lo sareste mai aspettati da lui, vero!?
    Eh già.
    Per tutta la vita aveva sentito gente (Lenny) ripetergli che sarebbe arrivato prima o poi un muro troppo spesso che Theo non sarebbe riuscito a sfondare di testa, e che quel muro avrebbe sfondato, al contrario, lo stesso grifondoro; che non tutti i problemi potevano essere risolti con la violenza e che almeno il novanta percento di essi avrebbe potuto benissimo evitarlo imparando a contare fino a cinque (dieci era chiedere un po’ troppo) e solo dopo agire.
    Theo, invece, aveva il vizio di scattare già allo zero.
    In quella situazione, non si era comportato troppo diversamente da come aveva fatto altre mille volte in precedenza: il suo “agire prima, fare domande dopo” si era rivelato un problema anche – e forse soprattutto – tra le file dei ribelli, dove più di una volta era stato rimesso al suo posto (da Nelia, da altri adulti, da Barrow in persona…) e intimato di far lavorare il neurone essiccato che soffriva di solitudine nella sua scatola cranica.
    Ovviamente Theo non aveva mai accolto i caldi suggerimenti, perché fisicamente incapace di prendersi un attimo prima di agire — fare era l’unica risposta ai problemi, e alla vita, che il grifondoro conoscesse. Non aveva lo stesso distacco emotivo dal resto del mondo che aveva Mis, o la sua stessa impassibilità, né era capace di lasciarsi scivolare addosso i problemi semplicemente con uno sguardo pigro e una scrollata di spalle. Magari un giorno avrebbe imparato, magari un giorno avrebbe riflettuto, ma il giorno non era sicuramente quello.
    Non aveva avuto mezzo pensiero coerente quando aveva stretto il viso di Paris tra le sue mani e si era ripreso con decisione quello che troppo a lungo aveva desiderato; nemmeno un minuscolo barlume di raziocinio a guidare i suoi gesti, solo la più pura e naturale urgenza di fare sue le labbra del Tipton, di rubargli un bacio e il fiato, di ritornare anche solo per qualche istante a quella notte che aveva segnato, immancabilmente, un punto di non ritorno nel loro rapporto.
    L’aveva visto, gli era piaciuto, l’aveva voluto e, come una Ariana Grande qualsiasi, se l’era preso.
    Solo a metà di quel bacio, aveva realizzato l’impetuosità del gesto e gli infiniti risvolti (non per forza positivi) che avrebbe potuto avere.
    E poi aveva sentito le mani di Paris poggiarsi sui suoi fianchi, stringere la maglia quasi come se volesse pizzicare la pelle, lasciare segni indelebili come già fatto in precedenza — a quel punto Theo si era spento, e poi riacceso, e poi spento di nuovo. Perché Paris non lo aveva allontanato, ma al contrario, aveva cercato di tirarlo ancora di più a sé, come se non avessero già occupato tutto lo spazio fisico possibile, come se la schiena del maggiore non premesse già contro gli scaffali di legno. Theo, però, era stato disposto a seguirlo e dimostrare che, più stretti di così, non avrebbero potuto essere: erano così vicini che i loro battiti irregolari e frenetici rimbombavano l’uno nella cassa toracica dell’altro, e il Kayne non avrebbe saputo distinguere il suo da quello di Paris.
    Non che avesse voglia di farlo, in effetti.
    Sarebbe potuto andare avanti così per ore, per anni, con le mani ad accarezzare la pelle delicata del viso di Paris, fino a salire piano alle ciocche scure che nascondevano sfumature più chiare — pensò distrattamente se, da lupo, l’altro avesse un manto più chiaro e simile alla versione originale, e inconsciamente quel pensiero lo portò a cercare un contatto più profondo con il Tipton, perché Dara non era l’unico con kink strani in quella scuola, tiè.
    Era così preso bene, così perso in quel bacio disperato e urgente, che il dove fossero (nella fottuta biblioteca della scuola) o il cosa stessero facendo (stravolgere ancora una volta i precari equilibri che li governavano) aveva completamente smesso di esistere nella mente di Theo. C’erano solo lui, Paris, e labbra affamate le une delle altre.
    Lo sentiva nel modo altrettanto incalzante con cui Paris ricambiava che anche per lui valesse lo stesso.
    Immaginate il disappunto di Theo, perciò, quando sentì il corvonero staccarsi da lui, interrompere quel bacio che il minore, comunque, provò a cercare ancora, inseguendo per un attimo le labbra arrossate dell’altro, testardo e con assolutamente zero sbatti di dargliela vinta, o di interrompere a metà quanto stavano facendo. Aria? Chi aveva bisogno di aria?!
    Theo, ecco chi, nel giro di pochi istanti: perché perso nei suoi scenari deliranti e avendo completamente spento il cervello, non avrebbe mai pensato che Paris potesse aprire bocca e dire qualcosa. Qualsiasi cosa, men che meno quello.
    «mi sei mancato»
    Improvvisamente Theo si rese conto di quanta poca aria avesse, in effetti, a disposizione nei polmoni e si ritrovò a dischiudere le labbra per immagazzinare giusto il necessario per non rompersi definitivamente davanti al Tipton.
    Mi sei mancato.
    Gli era fottutamente mancato.
    Lui era mancato a Paris Tipton.
    Senza rendersene conto, strinse delicatamente qualche ciocca castana nel pugno, piegando la testa fino ad incontrare la fronte dell’altro, una pallida imitazione del gesto che quel giorno, se vogliamo, aveva segnato l’inizio della fine.
    «se questo è il tuo modo di zittirmi potrei abituarmici»
    Con Paris così vicino, stretto nel suo abbraccio, e con le dita che accarezzavano distrattamente zone già esplorate dallo stesso corvonero, Theo non sentiva di poter articolare frasi di senso compiuto. Avrebbe voluto, ma era certo che dalla sua gola sarebbero risaliti solo versi animali e senza senso — perciò, andando contro ogni previsione, scelse di rimanere in silenzio e affidare la sua risposta ad un nuovo bacio, premendo sulle labbra già provate di Paris quel e allora stai zitto che non riusciva a mettere a voce. Perché stavano sprecando tempo a parlare quando potevano fare altro?
    E perché Paris continuava a sottrarsi dai suoi baci, come se avesse davvero qualcosa di più intelligente da dire o fare?! Assurdo, bloccato. Theo gli rivolse lo sguardo più 100% done che riuscì a trovare, per quanto lo sguardo in preda all’euforia e frenesia febbrile gli permetteva, certo.
    «questo non è un gioco per me. non lo è più da un po’»
    E va bene che il Kayne non era mai stato l’attrezzo più affilato non solo della scatola, ma dell’intera rimessa degli attrezzi, però… cosa?! Aveva sentito bene? Paris aveva appena… cosa, di preciso. Dato voce ad una confessione profonda? Gli aveva appena fatto intendere che quello – qualsiasi cosa ci fosse tra loro dopo anni di scazzottate, una notte di passione rubata in un’aula vuota e un’altra notte un po’ meno bella – fosse una cosa seria?
    Era lo stesso Paris Tipton che fino a sei mesi prima lo regalava a destra e a sinistra?
    Theo era troppo buggato per esistere, figuriamoci rispondere, perciò con gli occhi spalancati e fissi in quelli del maggiore lo lasciò prendere la propria mano, e lasciò che l’altro incastrasse le dita fra le sue, in maniera così semplice e naturale che sembravano quasi fatte le une per ospitare le altre. Lo seguì ancora, come sotto ipnosi, fino a toccare il petto del portiere blubronzo e sentire, sotto stoffa e pelle, il muscolo cardiaco battere ad un ritmo così frenetico che per un attimo Theo si preoccupò seriamente che l’altro potesse crepargli davanti alla faccia.
    Ipocrita pagliaccio, il suo cuore stava battendo allo stesso ritmo impazzito, perciò tutt’al più sarebbero schiattati insieme. I Romeo e Giulietto dei maghi.
    «non posso fare più finta di niente»
    Sarebbe stato meglio, vero? Fingere che quelle emozioni non fossero lì, che quell’attrazione fosse solo quello: pura attrazione fisica, e niente più.
    Sì, lo sarebbe stato.
    Ma Theo si era un po’ rotto il cazzo di struggersi per il Tipton come la protagonista di un romanzo della Austen, perciò vaffanculo a tutto: avevano ampiamente dimostrato di non riuscire a tenere le distanze l’uno dall’altro, e Paris aveva appena confessato di provare qualcosa di serio nei suoi confronti – per quanto, comunque, l’idea di “qualcosa di serio” potesse mandare in tilt il grifondoro, che aveva solo sedici anni ed era alla sua prima esperienza nel settore, insomma. Non era semplice nemmeno per lui, tutto quello, e purtroppo si conosceva abbastanza bene da sapere già che non sarebbe stato perfetto — o facile da gestire. Non poteva promettere nulla al Tipton, aveva troppi difetti e un carattere immaturo e volatile, per poter fare promesse di un certo tipo, ma quello non negava il fatto che, comunque, fosse tarato per provare tutto e sempre in maniera fin troppo intensa: sapeva già che quella situazione avrebbe preteso il massimo da lui, l’aveva saputo dall’inizio, e aveva comunque accettato di provarci perché non era stato in grado di resistere. Era sempre stato molto bravo, Theo Kayne, a distruggersi con le proprie mani — e a portare con sé, nella disfatta, chiunque fosse nei paraggi.
    Accarezzò distrattamente la guancia di Paris con il pollice, tenendo ben salda la presa tra le ciocche castane dell’altro, cercando nei lineamenti del viso pulito del Tipton risposte che erano ancora troppo lontane, e giungendo infine ad una conclusione: era troppo tardi anche per lui.
    Non sapeva come fosse finito in quella situazione, ma non poteva più fingere, tanto per citare le parole di Paris: c’era chiaramente molto di più del bisogno di avere l’altro ragazzo solo ad un livello fisico, ma non reputava di avere ancora abbastanza forza, o consapevolezza, per poter affrontare quella verità.
    In sostanza, non aveva una risposta per Paris — poteva solo provare a spiegarsi nell’unico modo che aveva, con la propria bocca.
    Quando tornò a posare le labbra su quelle dell’altro, però, lo fece con meno urgenza e più calma, quasi addirittura una dolcezza che nessuno, Theo in primis, sapeva potesse possedere: eppure era lì, nel modo in cui si posava sulla bocca di Paris ancora e ancora e ancora, scendendo di qualche centimetro ad ogni bacio, spostandosi sulla guancia, sulla mandibola, perlustrando lentamente il collo lungo fino ad arrivare all’incavo con la spalla, dove arrestò la sua lenta e snervante discesa, per mordere la pelle bianca e stringerla tra i denti, baciare la pelle fino a lasciare il segno. Era una persona possessiva, il Kayne: aveva avuto sempre poche cose nella vita, ma quello che aveva voleva fosse noto a tutto il mondo che fosse suo. Il Tipton non era da meno. Si prese il suo tempo per marchiare la pelle del corvonero, come risposta a tutte le sue troppe parole; più di quello, Theo, non sapeva cosa offrire.
    Più di quello, e della mano a premere ora sulla schiena per avvicinarlo ancora di più, quasi come volesse unire ciò che Zeus, nel mito raccontato da Platone, per gelosia aveva diviso — come se cercasse di sfidare non solo la fisica, ma la volontà divina, per ricongiungere due metà che si erano ritrovate.
    (Qualcuno qui ha sentito troppe lezioni di filosofia and it shows.)
    Aveva solo quello, Theo, e sperava che a Paris potesse bastare per il momento.
    hogwarts
    gryffindor
    halfbloodrebelgoalkeeperidiot

    I taste you on my lips
    && I can't get rid of you
    so I say damn your kiss
    && the awful things you do
    (you're worse than nicotine,
    nicoteen.)
  14. .
    theo kaynev annoportiere
    «DAI CHE SE VINCIAMO FESTEGGIAMO TUTTI ASSIEME»
    YESS!! FUNGHETTI!!
    cosa? cosa.
    «FORZA GRIFONDORO ANDIAMO!!!» Batté le mani guantate un paio di volte, tenendosi in equilibrio sul manico di scopa con la sola forza delle gambe, e incitò la sua squadra, aggiungendosi alle grida incomprensibili che sentiva provenire dagli spalti, che penetravano nelle ossa dello stesso Kayne e lo elettrizzavano; spostò i riccioli apiccicati alla fronte e strizzò lo sguardo sulla figura di Avery che andava in porta, urlando improperi rivolti alla sua bestia del cuore nella speranza di distrarla. «PENSA ALLA PARATA E NON ALLA PATATA!» anche se, vi dirò, Theo sarebbe stato molto supportive con Mini — come pensava Mini sarebbe stata nei suoi confronti.
    Non per questo però avrebbe confessato di Paris ah ah.
    Andiamo avanti.
    «FORZA AVERY CE LA PUOI FARE» #7 «….ok va bene NON TI PREOCCUPARE MAGARI SBAGLIA ANELLO!!!! STAI TRA– ma che cazzo–» un altro bolide volava verso di lui, per fortuna meno killer degli altri, così Theo provò a scartare di lato con la scopa per evitare di essere disarcionato.
    breath
    breaking benjamin
    living in the middle between the two extremes
    (eliandi's version)


    SPOILER (click to view)
    (6) DIFESA THEO (theo + iris): schiva il bolide
  15. .
    mis jackssonvtifo i guess
    Manco il tempo di fare un post con il povero Giovannino, che già cercate di oneshottarmelo. Se sopravvive vi dirà che non si offende, e non l'ha presa sul personale; l'avete pensato abbastanza da lanciare un bolide quasi pari ai suoi punti salute, e lo vede come un gesto di rispetto. Una piccola parentesi necessaria perché c'è la concreta possibilità che un post possa non farlo mai, ecco. Tornando a Mis Jacksson.
    «chiunque abbia più tempo da perdere di me.» disse, il tizio con i binocoli per guardare una partita di Quidditch scolastico. Battè le ciglia senza rispondere, arcuando solo le sopracciglia, perché trovava fosse auto esplicativo da sé e non gli piaceva fare chiacchiere (inutili).
    «ma se lo scopri potrei essere interessato.» Piantò gli occhi chiari sulla nuca del ragazzo, esprimendo la propria confusione senza filtri. Il faunocineta era tante cose, ma non certo rinomato per la sua natura da centralino telefonico. «mh» Che nella sua lingua significava che non gliene sbattesse un cazzo, e non si sarebbe prodigato ad informarlo - manco guadagnasse una percentuale sulle scommesse.
    Prese un mini pretzel...
    (Donby in background che allarga le braccia verso il bolide in arrivo cantando COOOOME BREAK ME DOOOWN BOLIDE ME BOLIDE ME)
    ... E se lo mangió.
    come a little closer
    cage the elephant
    living in the middle between the two extremes
    (eliandi's version)
49 replies since 12/1/2023
.
Top