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ft. Paris

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    theo kayne
    31.12.07
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    Cos'era il tempo.
    L'estate sembrava essere arrivata letteralmente il giorno prima, ed invece, oltre i vetri delle finestre, le foglie iniziavano ad ingiallire e il cielo si faceva sempre più scuro, e l'aria più fredda. A Theo, di base, dello scorrere del tempo e del cambio delle stagioni non era mai importato nulla: lo viveva come viveva tutto il resto, con menefreghismo e con rabbia, limitandosi ad accettarlo ma senza frenarsi dal litigare anche con quello, per il semplice motivo che potesse.
    Il fatto che avesse iniziato a prestare attenzione, a rendersi conto dei giorni che passavano e che lo separavano effettivamente dalla bella stagione, era una recente (e spiacevole) novità. Un'abitudine che, per inciso, aveva preso suo malgrado.
    Si era distratto abbastanza, in quel primo mese e mezzo di rientro al castello, tra i provini per entrare in squadra come portiere titolare (checked ✓), la ripresa delle lezioni dove poter dare il peggio di sé (checked ✓), qualche viaggetto per direttissima nella sala torture (checked ✓), le tipiche risse nei corridoi (o dovunque capitasse l'occasione, onestamente: checked ✓), e varie ed eventuali.
    “Guarda che quest'anno ci sono gli esami”, gli ripetevano (‘gli’ being Lenny.), “devi impegnarti se non vuoi essere bocciato” — sì sì, ok, va bene, acab, ciaone, chissenefrega. Tanto il suo destino era già scritto, no? Non c'era alcun esito in cui Theo Kayne finiva il quinto anno promosso (fine.) con più di una misera A. Potevano mettergli affianco tutti i tutor che volevano, nessuno avrebbe avuto successo o fatto di lui uno studente discreto.
    Solo uno c'era andato pericolosamente vicino, e Theo aveva fatto in modo e maniera di dimostrare l'esatto contrario solo per dispetto; lo stesso qualcuno che lo evitava da mesi — non che Theo ci avesse fatto caso eh. Figuriamoci se prestava attenzione a cosa faceva (o, in questo caso, non faceva) un certo Paris Tipton…
    Il pensiero del portiere blu-bronzo lo riportò inevitabilmente all'estate precedente, di nuovo; all'ultima volta che si erano visti, al ricordo di come Mini lo avesse incastrato ad andare a quella festa, trascinandolo con l'inganno, e alla sbronza che si era preso, perso nel mood generale di devasto e febbre alcolica, a come avesse cercato di dileguarsi ogni volta che incrociava, anche solo per sbaglio, il cammino del Tipton. Col senno di poi, forse, avrebbe dovuto continuare su quella strada — sarebbe stato meglio per entrambi, certamente. Visto com'erano andate poi le cose, la mattina dopo. O notte, insomma: o pomeriggio, va beh.
    Affondò i riccioli scuri nel libro aperto – ma ancora non letto – di fronte a sé, rivivendo di nuovo quei momenti alla vigilia del nuovo anno scolastico quando, ancora dignitosamente sbronzo dalla notte prima, aveva fatto il Grifondoro ™ e aveva agito seguendo il sentimento tipico che smuoveva i suoi concasati: l'audacia la stupidità. Ad oggi, un mese e mezzo dopo, si domandava: ma perché quel pomeriggio non si era fatto gli affari suoi, rimanendo spalmato sul divano che aveva condiviso con la Russa, anziché andare a cercare il Tipton? E perché non se n'era andato alla prima, o decima, volta che l'altro l'aveva cacciato? Perché era stato così… deficiente. Ecco. Così Theo Kayne.
    Sì massaggiò la nuca, laddove il fantasma della botta presa quando Balt, privo di controllo, l'aveva allontanato con una zampata e spedito contro una delle pareti; erano stati pochi ma intensi minuti di totale oblio, e quando Theo aveva riaperto gli occhi aveva trovato il Tipton di fronte a sé, sguardo contrito e preoccupato (per il suo compagno, duh, mica per lui – quello era stato ben chiaro al grifondoro), macchie di sangue ad insozzare i vestiti rovinati. Avrebbe dovuto dargli retta.
    Erano state le ultime parole che Paris gli aveva poi rivolto, tornando ad essere il suo insopportabile se stesso una volta ricominciato l'anno scolastico, ma facendolo rimanendo sempre svariati passi indietro — quasi come se quanto successo quella notte, o la notte del prom, non fosse mai esistito e non avesse alcun peso nel loro rapporto.
    E sapete cosa? Theo era stato bravissimo nel dimostrare che sapesse – e che potesse – giocare a quel gioco anche lui: aveva ignorato Paris tanto quanto Paris aveva fatto finta che il grifondoro non esistesse, diventando solo un pochino più insopportabile e musone con chi, invece, aveva ancora la sfortuna di stargli accanto (ciao Russa, ciao Mis). E c'era riuscito abbastanza a lungo, almeno fino a che i ruoli non si erano invertiti e non era stato il Kayne a ritrovarsi a dover controllare che Paris fosse vivo, usando la punta della scarpa, una dannata mattina durante il suo solito giro di corsa nei pressi del Lago Nero.
    Ugh.
    Avrebbe dovuto lasciarlo lì, con i postumi di qualsiasi cosa fosse — una sbronza, nel migliore dei casi; qualcosa che Theo non voleva processare, nel peggiore. Gli aveva assicurato fosse solo un graffio. Bugiardo bastardo.
    Il naso del grifondoro affondò ancora di più nel libro, l'odore pungente delle pagine invecchiate male a pizzicare nelle narici e a provocare prurito e fastidio. O magari quello era solo il pensiero del corvonero.
    Si lasciò sfuggire un grugnito, per il quale si beccò anche un'occhiata truce dalla studentessa seduta al suo stesso tavolo. Odiava la biblioteca. E odiava il suo nuovo tutor, che lo costringeva ad interminabili ore passate con il naso sui libri, come se quello bastasse a fare un miracolo con lui. Alla tassorosso, rivolse un dito medio e un ghigno alla sua reazione offesa; bitch. Si alzò, o sarebbe finito a litigare anche con lei, nascondendosi (perdendosi) tra gli scaffali pieni di libri, di cui non si sprecò nemmeno di osservare o accarezzare le copertine; era lì solo in attesa che finissero le ore di tortura e potesse tornare sul campo di quidditch.
    E invece.
    Solo uno tra Paris e Theo era comicamente fuori posto in quel contesto, e non era di certo il corvosecchia alle prese con i libri sistemati sugli scaffali, spalle rivolte al grifondoro. Theo aveva già visto quel film e non gli era piaciuto il finale (questo non significava che non gli fosse piaciuto il durante). Andava detto ed è stato detto.
    Avrebbe potuto fare un sacco di cose, tipo marcia indietro e fingere di non aver mai (involontariamente) quasi invaso lo spazio personale dell'altro portiere, ed invece fece ciò che Theo Kayne avrebbe fatto, dall'alto della sua immaturità: incastrò un dito sulla copertina rigida di uno dei libri alla sua destra, fece forza e lo gettò a terra.
    «ops.»
    Ora stronzo bastardo devi parlargli per forza, lo so che non resisti quando i libri vengono maltrattati!!
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    paris bentley tipton
    14.02.2007
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    Poggiò la fronte contro il legno dello scaffale, sollevato dalla sensazione fresca del materiale contro la pelle calda, una piccola grazia in mezzo all’inferno che era la biblioteca a quell’ora. Il corvonero chiuse gli occhi e torse il tessuto della maglia tra le dita, un punto fisso che serviva a mantenerlo ancorato nella realtà. Sentiva un impellente bisogno di vomitare, quel poco era certo, ma per ragioni ben diverse dalla nausea che premeva violenta dietro ai denti. L’influenza della luna si faceva sempre più insistente con ogni giorno che si avvicinava al plenilunio, e l’idea della sua seconda trasformazione era abbastanza per fargli desiderare di aprire una qualsiasi finestra del castello e lanciarsi di sotto. Alla fine, c’erano modi peggiori di andarsene. Era cambiato, Paris, dopo quella fatidica notte ad Ibiza e sebbene non imputasse nessuna colpa al Monrique, trovava ancora difficile incontrare il suo sguardo. Non aveva ancora fatto parola a nessuno di quello che era diventato, l’idea di permettersi di pronunciare quelle parole ad alta voce terrificante quanto il sapore amaro dell’Antilupo che aveva ingerito quella mattina. Non si considerava un mostro, ma trovava difficile affrontare quel cambiamento. Aveva messo su massa muscolare che fino a quel momento non aveva mai avuto, e all’improvviso i suoi sensi si erano fatti ben più acuti, anche se la parte peggiore era la resistenza all’alcol e alle droghe. Quello, non lo poteva accettare. Una maledizione per chi come il Tipton amava compromettere il proprio fegato. Forse era grazie a quei dannati sensi, che lo sentì arrivare. Una presenza ormai diventata familiare, dall’odore che suo malgrado aveva imparato a riconoscere in quei mesi e a evitare accuratamente. Era– sentite, aveva i suoi buoni motivi per ignorare l’esistenza del Kayne e avevano ben poco a che fare con gli eventi del prom. Cioè, anche. Non aveva idea di come parlargli o guardarlo, di come la loro dinamica fosse cambiata tra di loro o se fosse successo affatto. Erano complicati i sentimenti (ugh) del corvonero, avevano radici in una rivalità che durava da tempo, e che in qualche modo era sfociata in qualcosa di più. Se prima sentiva la necessità di assestare un pugno sulla sua stupida faccia, quel bisogno rimaneva, ma era accompagnato dall’irrefrenabile bisogno di zittirlo rubandogli un bacio. Non aveva senso, nulla di tutto ciò aveva senso; Paris non era il tipo da sentimenti, non lo era mai stato, e la cosa lo terrorizzava. E poi c’era la questione di Balt e della trasformazione, l’ennesimo nodo allo stomaco del Tipton che giorno dopo giorno si attorcigliava sempre di più. Era ben conscio di dove tendesse l’ago della bilancia, sapeva di essere il responsabile di quello che era accaduto, e per poco non aveva compromesso anche Theo. Era stato distratto dal ragazzo, non era stato abbastanza risoluto nel cacciarlo mentre metteva insieme l’Antilupo perché era troppo affamato per un qualsiasi contatto accidentale con il grifondoro ed aveva fallito per quello. Balt si era fidato di lui, e lui l’aveva fallito. Vedeva come il Monrique lo guardava, dell’esitazione nei suoi gesti e del rimorso cui ogni azione era corrotta, anche senza sapere l’intera versione dei fatti. In sostanza: Paris aveva delle ottime ragioni per nascondersi in biblioteca e fingere di non esistere per qualche ora. Ma il suo piano era andato in frantumi, ed era troppo tardi per un’uscita dignitosa. Le spalle si irrigidirono quando sentì i passi farsi sempre più vicini, fino a fermarsi dietro di lui, la presa sui libri che teneva in mano a rafforzarsi. Poteva lasciargliene uno in testa? No, meglio di no, non voleva rovinare quei volumi. In ogni caso, aveva dato abbastanza spettacolo qualche giorno prima alla lezione congiunta che li aveva portati alle Hawaii, peggio di così non poteva andare. Yet. Quasi sobbalzò nel sentire un tonfo, il classico rumore della copertina rigida di un libro che impatta con la pietra– un rumore che lo mandava in bestia. «ops» fu quel tono del cazzo, menefreghista e fin troppo tranquillo, a farlo voltare di scatto e a farlo saltare addosso al Kayne. Quasi saltare addosso, riuscì a fermarsi appena in tempo, a qualche passo dal grifondoro. Prese un respiro profondo per placare la sua irritazione, e si impose di contare fino a cinque prima di parlare. «cosa. vuoi.» riuscì a buttare fuori attraverso denti stretti, gli occhi castani ormai due fessure che si stringevano sul volto del ragazzo. Mantenne il contatto visivo per qualche altro momento, prima di chinarsi a raccogliere il libro e stringerlo al petto insieme alla sua precedente collezione. Si rialzò con tutta la dignità che riuscì a racimolare, nonostante i ricordi che quella posizione fece affiorare «ti sei perso?» domandò con ben più di una punta di sarcasmo, squadrando con diffidenza e qualcosa che non voleva nominare per mantenere un briciolo di dignità «o hai perso una scommessa? cos’era, vedere se riesci a farti buttare fuori da qui? di nuovo?» certo che, per una persona che era determinata ad ignorare il portiere rivale, gli stava concedendo più attenzione di quello che richiedeva la situazione.
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    theo kayne
    31.12.07
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    Un giorno Theo avrebbe imparato a riflettere prima di agire.
    O forse no.
    Ok, era molto più probabile che non imparasse mai — ma comunque, a prescindere da tutto, il giorno non era quello; per il momento il Kayne si doveva accontentare di rimanere costretto in quella stupidità intrinseca nell’età e nella sua indole (colpevole molto più la seconda, in realtà), e accettare di doversi subire le conseguenze delle sue scelte del tutto discutibili.
    E negli ultimi mesi ne aveva fatte parecchie, tutte riguardanti lo stesso soggetto per giunta.
    “Ha quindici anni”, aveva detto un saggio in chat, “si sbaglia, da giovani”.
    Sapete cos’altro aveva aggiunto quella stessa persona molto saggia? Che mica aveva mai detto di non voler più sbagliare, Theo. Era ancora molto giovane, dopotutto; di sbagli nel sacco doveva ancora metterne tanti, per poter dire di avere imparato.
    E se gli eventi dell’ultima settimana erano un indicatore, di strada da fare il grifondoro ne aveva ancora tanta.
    «cosa. vuoi.»
    Si poteva dire molto dei suoi modi – che fossero immaturi, discutibili, esagerati… – ma almeno erano efficaci; aveva catturato l’attenzione del Tipton, no? Poi, magari, si sarebbe anche domandato perché fosse così necessario per lui farlo, avere finalmente Paris voltato nella sua direzione, che gli rivolgesse la parola; in quel momento non voleva pensarci.
    Non quando diverse serie di immagini si accavallavano una sull’altra, alcune più vivide di altre, rendendo l’aria della biblioteca improvvisamente bollente e irrespirabile. Si trattenne dall’allargare il nodo della cravatta, già disfatto e disordinato, e rimase con le braccia conserte e il ghigno sghembo rivolto verso il portiere avversario.
    «non l’ho fatto apposta»
    A mentire, Theo, non era mai stato bravo; c’era un motivo se il bugiardo della famiglia era Mis, e lui fosse invece il ladro. Era sempre stato più bravo con i gesti, il Kayne, piuttosto che con le parole.
    E di parole, infatti, non ne aveva avute per mesi. Non ne aveva avute nemmeno dopo la gita alle Hawaii.
    Allargò le braccia in direzione di un pubblico invisibile, la voce bassa — più bassa del solito, persino per lui. «perché pensi che voglia qualcosa.»
    Perché era esattamente così, ma dettagli.
    La verità era anche che Theo stesso non sapesse cosa volesse da Paris — dargli fastidio? Quello sì, sempre. Dimostrare qualcosa– al corvonero? A se stesso? A tutto il mondo? Non lo sapeva. Quando le cose riguardavano Paris Tipton, il grifondoro non aveva molte certezze, solo grande confusione.
    Cercò di non ripensare a quella stessa confusione che l’aveva pervaso quando, al ritorno dall’isola americana, proprio il Tipton si era offerto di accompagnarlo in infermeria — cosa alla quale ovviamente Theo si era opposto (la visita di controllo, stava bene aveva solo preso un po’ di freddo.) (ma anche la compagnia del corvonero) senza successo.
    Per uno che l’aveva ignorato tutta l’estate (questo era ancora canon) il Tipton aveva uno strano modo di dimostrare indifferenza.
    Mantenne anche lui il contatto visivo con il maggiore, in attesa di una sua mossa, e cercò non non muoversi quando lo vide inchinarsi di fronte a sé per raccogliere il libro, dimostrando un autocontrollo che lo stesso Theo non sapeva di possedere, giuro. Aveva pur sempre quindici anni, e solo di recente era sceso a patti con le proprie preferenze; momenti di debolezza gli erano più che concessi.
    Sperava solo che si ritirasse su in fretta, perché i ricordi che stavano riaffiorando erano per molti luoghi ma decisamente non adatti alla biblioteca, e Theo non sapeva quanto ancora sarebbe riuscito a trattenersi dal prendere il Tipton e sbatterlo contro gli scaffali della biblioteca — in a decisamente kinky way.
    Era fin troppo cosciente della poca distanza tra loro, e del fatto che, contrariamente all’ultima volta che si erano visti, non c’erano compagni o capre nei paraggi, erano soli.
    Si, ok, con un altro paio di dozzine di studenti che giravano liberamente per tavoli e scaffali, ma in quel momento erano soli.
    «ti sei perso? o hai perso una scommessa? cos’era, vedere se riesci a farti buttare fuori da qui? di nuovo?»
    Seguì ogni movimento del Tipton fino a ritrovarselo alla stessa altezza, osservando ancora per una volta, tra sé e sé, come quella piccola (ma sostanziale!!!) differenza d’altezza di pochi mesi prima sembrava essere sparita. Maledetto. Almeno una cosa positiva rimaneva: nove volte su dieci, continuava a trovarlo insopportabile.
    Ok, otto.
    Va bene, sette.
    Tutte quelle parole gonfie da parte di Paris, comunque, e poi era lui il primo ad istigare il Kayne. «vogliamo riprovare?» Theo la ricordava la volta che era stato buttato fuori dalla biblioteca — e c’era stato anche Paris. Assurdo che avessero concesso al corvonero di poter varcare nuovamente quella porta prima che a lui, ma d’altra parte a Theo non era mai fregato nulla di avere o meno accesso alla biblioteca. «però non metterti a piangere poi se decidono di bannarti da questo posto fino ai mago.»
    Rimase ancora un attimo con lo sguardo incollato in quello dell’altro, poi scosse piano la testa in una cascata di riccioli spettinati, e si poggiò con nonchalance contro gli scaffali resistenti (quanto resistenti, di preciso?) (ma perché diamine stava pensando a cose del genere) (cioè, lo sapeva perché, ma non gli pareva il momento adatto), bloccando di fatto la strada al Tipton. «stavo cercando un libro.» Said Theo, never. «e invece ho trovato te, palloso uguale.» E allora perché era ancora lì a rompergli il cazzo? Eh, beh: aveva quindici fottuti anni e tante scelte sbagliate ancora da compiere.
    «non sono affatto sorpreso eh» era difficile vedere Paris in giro, in quel periodo, se ne stava sempre chiuso in aula o in biblioteca — non che Theo tenesse traccia degli spostamenti del Tipton eh!!! Figuriamoci. Diceva per sentito dire. «dovresti uscire di più, sei palliduccio.» E aveva delle brutte occhiaie, e l’aria stanca, e l’espressione cupa e preoccupata — non che Theo ci stesse facendo caso eh. «un po’ di sole non ha mai ucciso nessuno,» Era stupido da parte sua preoccuparsi, non era la badante del Tipton, e soprattutto non aveva la sua stessa indole da crocerossina. E allora perché lo stava facendo? Abbassò solo per un attimo lo sguardo, osservando le proprie unghie rovinate, «beh, a meno che tu non sia un vampiro.» O l'esatto opposto. Quando lo rialzò, lo puntò nuovamente in quello castano dell’altro. «No?» È solo un graffio — e allora perché l’aveva beccato nudo ed esausto, sulle rive del lago nero, un mese prima?
    Theo era stupido, ma non così stupido: c’era qualcosa che Paris non gli stava dicendo, e voleva sapere cosa.
    E poi, fanculo, sì, voleva anche una scusa per rimanere lì a rompergli le palle, fategli causa.
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    paris bentley tipton
    14.02.2007
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    In fondo, la violenza non era sempre la strada sbagliata. Quello glielo aveva insegnato Ficus, certified GGG che usava i pugni per difendere l’onore dei propri amici. Nel caso del Tipton, tuttavia, quei pugni avevano scopri meno nobili e più egoisti: «non l’ho fatto apposta». Sì, e Paris aveva un naso rosso e delle scarpe da clown– cioè, , ma quelli erano cazzi suoi. Vedete perché poi gli toccava ricorrere alle mani? Odiava sentirsi dire cazzate, specie quando erano così palesi. Ma sapevano entrambi che Theo era un pessimo bugiardo, e sarebbe stato come discutere come un bambino delle elementari quindi decise di lasciar perdere. Visto, lui era una persona matura. Magnanima, qualcuno avrebbe anche azzardato. E poi non aveva le energie mentali per esistere in quel momento, figurarsi per rispondere alle provocazioni del grifondoro. «Mh, se lo dici tu. Ma grosso come sei farei più attenzione.» si rese conto solo in un secondo momento di quello che aveva lasciato intendere, ma ebbe la grazia di rimanere composto anche di fronte a quel faux pas. Perché era un signore. O perché voleva far credere al Kayne di essere l’unico con una mente perversa tra i due, e torturarlo psicologicamente era uno dei pochi piaceri che ultimamente si poteva permettere nella vita. Logicamente, sapeva che avrebbe dovuto mettere a freno la sua maledetta lingua, ma non c’era nulla di logico quando si trattava di Theo. «vogliamo riprovare? però non metterti a piangere poi se decidono di bannarti da questo posto fino ai mago» ecco, quello fu abbastanza da disturbare l’espressione placida del corvonero. Potevano togliergli tutto, ma non la biblioteca. Sapete cosa significava vivere per nove mesi in un luogo senza internet? Un fottuto incubo, una condanna a morte, e l’unica cosa vicina alla civiltà erano i suoi romanzi storici. Ok, romanzi rosa con ambientazione storica, ma saranno stati pure affari suoi no? La mano tremò con l’istinto di estendersi e stringersi al colletto di Theo, ma riuscì a sopprimere quel bisogno in tempo. Altri bisogni, come lo sguardo a seguire la sua linea del corpo contro lo scaffale e le immagini che seguirono, erano più difficili da ignorare. Ma non era colpa sua! Era innocente, si stava comportando così be- «provaci e ti faccio piangere io. ma non come piace a te» eh, vabbè. Ma perché ci provava ancora, quando il Kayne riusciva a tirare fuori le parti peggiori di sé? Poggiò la schiena allo scaffale opposto al grifondoro, le caviglie a incrociarsi in una posizione che emanava nonchalance. Eppure, il suo sguardo diceva tutt’altro. Ecco perché si era obbligato a mettere distanza tra di loro, perché sapeva di non potersi fidare di se stesso, traditore maledetto e fottuto sottone. Lui se la ricordava la gita alle Hawaii, e anche il modo in cui si era reso ridicolo davanti a tutti. A Theo non interessava, e Theo non interessava lui, quindi non capiva quello stupido circo. O almeno, non nel modo in cui avrebbe voluto. MA ERANO DETTAGLI HHH moving on. «stavo cercando un libro» oh baby, quasi gli faceva tenerezza. Paris non era così stupido da pensare che fosse rimasto lì solo per parlare con lui, che non avesse niente di meglio da fare, ma voleva crogiolarsi nelle proprie delusions finché poteva. Almeno stavano avendo una conversazione civile senza mettersi le mani addosso, non era un segno in avanti? Chissà se il grifondoro lo odiava ancora, difficile da dire con gli eventi di quell’estate ma– eh, l’aveva evitato anche per quella ragione. Non voleva percepire ed essere percepito, e più stava in compagnia del Kayne e peggio era per la propria salute mentale. Era euforico per quei primi momenti dopo una lite con il portiere, perché aveva ricevuto la sua attenzione, perché voleva dire che allora esisteva ai suoi occhi, ma quello che seguiva era– non rimpianto ma…qualcosa che non sapeva descrivere. Malinconico? Perché non era solo quella l’attenzione che voleva da Theo. Ma lungi da lui aprire la bocca e rovinarsi la vita. «davvero, theo?» (aiuto ma aveva usato il suo nome???? AAAAA no vabbè ma play it cool) commentò piatto con un sopracciglio sollevato, le dita ad accarezzare distratte la spina del libro «e invece ho trovato te, palloso uguale» ah! Che simpatico. Alzò gli occhi al cielo, non preoccupandosi di nascondere il mezzo sorriso sulle labbra: che demente [affectionate] «questa è vecchia, kanye, cerca di aggiornare il repertorio» sì, aveva sbagliato apposta il cognome, ma era una payne thing ♥ ormai. Quello che seguì lo lasciò perplesso e vagamente amused, tanto che per un momento pensò di essere strafatto. Theo si stava preoccupando per lui???? MA IN QUALE MONDO. Cioè, ok, Paris immaginava di essere il ritratto della salute ma non pensava di essere messo così male da far preoccupare persino lui. Paris portò una mano a sistemare i capelli, un po’ self-conscious sotto lo sguardo di Theo, nello stupido tentativo di rendersi più presentabile. Peccato che non fosse quello il problema. Il suo problema era una condanna a vita, e non c’era un cazzo che poteva farci. «no, non sono un vampiro» ti piacerebbe, eh? Non aveva mai capito il fetish alla Twilight ma ok, poteva accettarlo «peggio» aggiunse sottovoce, appena un movimento delle labbra, una frustrazione scacciata in un fiato. Piegò il capo per osservare il Kayne, ed ebbe conferma di quello che aveva pensato prima, tutto terribile e non consigliato «ti stai preoccupando per me?» le sue parole non avevano la solita nota teasing che accompagnava ogni loro interazione, ma portavano una stanchezza che era visibile sotto ai suoi occhi e nel corpo abbandonato contro lo scaffale (molto solito, would recommend 10/10) (così per la vita) «non serve, sto benissimo» stava cercando di convincere il grifondoro o se stesso? Difficile dirlo a quel punto, ma non credeva di star facendo un buon lavoro «il ritratto della salute, non vedi?» eh, insomma. Ma era il look naturale degli emo, che ne sapeva il Kayne di quelle cose. E perché Paris non era un corvonero a tempo perso –nonché amico di un gaslighter esperto– tentò una strada diversa «te, piuttosto? ti è passato il–» con un gesto vago della mano indicò il proprio petto, e ok…ok! Lasciò anche indugiare lo sguardo su quello di Theo, ma non era colpa sua se aveva delle immagini impossibili da scacciare davanti a sé «la polmonite dalle hawaii» o qualsiasi cosa fosse, mica si era infromato!!! Non gli importava niente, ma vi pare. E poi Theo sembrava stare meglio di lui, quindi fuck you Kayne bravo e complimenti per non essere morto congelato.
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    theo kayne
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    Lo sapeva Theo di non essere convincente, così come sapeva di esserlo solo con i pugni, perciò non si stupì troppo quando il Tipton non diede segno di aver creduto alle sue parole, ma a rischiare di farlo strozzare con la propria saliva fu quel «ma grosso come sei farei più attenzione» chiaramente detto per sbaglio — su quello, pur non vivendo (per fortuna.) nella testa del portiere corvonero, poteva metterci la firma: era stato uno scivolone, chiaramente, ma se l’altro fingeva con nonchalance non fosse mai successo, chi era Theo per fare da meno. Processare quell’informazione richiedeva un po’ troppo lavoro per la mente del Kayne, che stava funzionando per miracolo (in quella vita, ma più precisamente) in quel momento.
    Meglio stringere i pugni, tenere lo sguardo fisso sull’altro fingendo di non aver sentito, e aprire la bocca solo per provocare — quello gli veniva benissimo, no? E non era imbarazzante.
    Ed era pure efficace, stando al modo in cui Theo vide l’espressione di Paris cambiare, anche se solo per un cenno. Fu tentato di sorridere, trionfo, perché sapeva di poterlo fare, di poter far breccia nella maschera esausta dell’altro, e cavare fuori un qualche genere di reazione da lui. Se non Theo Kayne, chi?
    Perché gli interessasse così tanto farlo, era argomento per un altro momento.
    (O possibilmente mai.)
    Ma a quanto pare quell’arma era a doppio taglio, e Paris era bravo a provocare almeno quanto lui.
    «provaci e ti faccio piangere io. ma non come piace a te»
    Bene ma non benissimo che l’unico commento che Theo si sentiva di fare al riguardo sfondava la barriera spazio-temporale di qualsiasi limite della decenza. Non che Paris non si meritasse di vivere nel suo stesso stato di tormento, stato con cui conviveva da agosto, per giunta, ma in quel momento Theo aveva questioni più importanti da perseguire, strano ma vero.
    Perciò non renderlo troppo difficile, Paris, con quello sguardo che dimostrava tutto fuorché l’impassibilità e la distanza che cercava di suggerire con la posa casualmente abbandonata contro gli scaffali direttamente opposti a quelli di Theo. Maledetto.
    E maledetto anche lo stesso Kayne, per essere finito ancora una volta a pensare alla stessa cosa sulla quale tornava a rimuginare più spesso del dovuto, in quell’ultimo periodo; si domandava se non avesse rovinato tutto, al prom, se le sue paure non fossero state giuste e giustificate, se fosse meglio prima quando, almeno, potevano toccarsi anche solo per macchiarsi a vicenda la pelle di sangue e lividi, anziché dover fingere di non essere attratto dal corpo dell’altro come una falena attratta da una fiamma. Non aveva propriamente dei rimpianti, il Kayne… aveva solo un sacco di “e se” su cui tornava, e ritornava, e ritornava. E ai quali aveva cercato di dare un senso, una spiegazione, anche pressando il Tipton fino a rendersi conto a suo spese (a loro spese) che magari non c’era niente da chiarire.
    Solo che era sempre stato un capoccione, il grifondoro, molto più che testardo, e non ci stava affatto a lasciar perdere, a costo di sembrare ridicolo. Tanto ormai cos’aveva da perdere, arrivato a quel punto.
    Fece per rispondere a Paris, ma il commento, qualsiasi fosse, rimase bloccato in gola e velocemente dimenticato.
    «davvero, theo?»
    Eli, Pandi, Theo: eye mouth eye
    Paris: side eye side eye side eye
    Ma soprattutto Theo, che non sentiva il suo nome lasciare le labbra del Tipton da quella sera: has stopped working.
    Se poi ci si aggiungeva il modo in cui l'altro prese a sistemare i capelli, un tocco distratto e abitudinario, che catturava sempre e comunque l’attenzione altrimenti volatile del grifondoro, com’era prevedibile quest’ultimo smetteva di avere pensieri coerenti e razionali. Non che ne avesse mai avuti in vita sua e bla bla bla, sì ok, ma la situazione era molto difficile. Aveva una missione, e anche pandi. E anche elisa, perciò evitate davvero di renderlo troppo difficile.
    A cosa si pensava in quelle situazioni? Ai cuccioli abbandonati? Cosa c’era di abbastanza triste e decisamente non eccitante per placare gli ormoni di un adolescente che aveva un unico pensiero fisso da mesi?
    «no, non sono un vampiro»
    Eh, insomma. Non quello!
    Ma tu guarda.
    Nascose… qualsiasi cosa stesse provando in quel momento, dietro un colpo di tosse, Theo, distogliendo lo sguardo dall’altro perché era un po’ troppo immaginarlo anche con i canini allungati pronto a succhiare (sangue, succhiare sangue). Ma dio rifugio. «già, peccato» e non stava nemmeno scherzando, perché ora riusciva solo a pensare a vampiro!Paris e *manine in preghiera* *manine in preghiera* era tutto troppo difficile.
    «peggio»
    «uh?»
    Nelle sue deliranti fantasie, Theo era convinto di aver immaginato quel commento, ma forse non l’aveva fatto? Assottigliò le palpebre, scrutando con attenzione il viso di Paris, più o meno come lui stava facendo con lo stesso Theo, capo piegato sulla spalla e occhi bosco puntati nei suoi. «tipton–»
    «ti stai preoccupando per me?»
    Non c’era la solita nota canzonatoria o fastidiosa nella voce dell’altro portiere, e fu quello a far mordere la lingua a Theo, e a fermare il commento che stava per sfuggire alle sue labbra.
    Ti piacerebbe, quello che avrebbe voluto dire.
    «dovrei?» quello che, suo malgrado, disse.
    L’universo di Theo Kayne iniziava e finiva con tre persone: Mis, Lenny, Sinéad — erano le sole di cui il riccio si preoccupasse davvero, e le uniche che si preoccupassero, di rimando, per lui. Non avrebbe neppure saputo dire a che punto dell’anno precedente Paris si era aggiunto alla lista, ma ora era lì e Theo non poteva negarlo. Non gli piaceva preoccuparsi.
    «non serve, sto benissimo. il ritratto della salute, non vedi?»
    Scosse piano la testa, lasciando cadere anche il sorriso rimasto caparbiamente fino a quel momento. «smettila di dire stronzate» lo credeva davvero così stupido?! «perché invece non–» «te, piuttosto? ti è passato il– la polmonite dalle hawaii» Provò a non soffermarsi sul modo in cui lo sguardo di Paris aveva esitato più del necessario sul suo petto, e provò ancora più intensamente a non pensare a come era stato privato della propria maglia durante la lezione, perché non faceva onore a nessuno dei due, e invece scosse piano la testa, di nuovo. «ma quale polmonite,» disse, quello che era rimasto chissà quanto tempo in infermeria a causa della febbre e della tosse — insomma, cose che capitavano a tutti, no? Ne aveva viste di peggio, durante le sommosse ribelli. «non era niente, solo un po’ di febbre.» E non stava facendo AFFATTO la stessa cosa che faceva Paris, sminuire il problema, perché il suo era effettivamente un problema già di per sé sminuito, al contrario di quello dell’altro.
    «non cambiare discorso.» perché davvero: era tonto, ma fino ad un certo punto.
    Lanciò mentalmente una monetina, il Kayne, pensando: se esce testa mi avvicino, e poi pensando anche che sai che c’è, non aveva bisogno che fosse una stupida falce a decidere la sua vita, perciò si staccò dagli scaffali e mosse un paio di passi nella direzione generale del Tipton, rimanendo lontano dall’altro così da non avercelo a distanza ravvicinata (e non rischiare quindi di allungare le mani), ma abbastanza da poter parlare con un tono di voce ancora più basso. «cos’è successo, davvero, quella notte?» E per una (1) volta non parlava del ballo di fine anno, ma di quell’altra fottuta notte che aveva, chiaramente, shiftato ancora di più il già precario equilibrio tra loro due. Theo era certo di essere rimasto privo di sensi per pochissimi istanti, poteva essere andato tutto così storto in quel breve lasso di tempo?!
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    Era tutto terribile, punto. Paris voleva prendere il suo libro e tornarsene a marcire nella propria sala comune, luogo sicuro dove era certo non avrebbe mai trovato il Kayne. Dov’erano i Ben10 a salvarlo quando serviva? Avevano colonizzato tutta la scuola, possibile che uno di loro non si trovasse in biblioteca? Mandò una preghiera mentale nella chat di gruppo, manifestando forte che arrivasse nel loro cuore. Magari a Mona, lei sì che sapeva come liberarsi delle pesti indesiderate. Paris aveva la sgradevole sensazione che il mondo si fosse capovolto, e si trovasse in uno strano universo in cui non solo Theo era venuto a cercarlo (capite? Assurdo, ma quando mai era successo) ma non erano ancora passati alle mani. Considerò per un breve momento che gli eventi di quell'estate potessero aver mutato la loro dinamica, ma fino a quel punto? A saperlo, l’avrebbe fatto prima: era stanco del sangue a gocciolare sulle sue camicie immacolate. Se doveva essere onesto con se stesso, probabilmente avrebbe ripetuto la notte del prom, perché era un masochista che non sapeva mai quando dire di no, non importava quanto fosse dannoso alla sua psiche. C’erano lati del Kayne che –ugh– non gli dispiacevano troppo, e non si riferiva solo alle sue tiepide prestazioni sessuali. Forse era un moronsexual, o forse qualcuno l’aveva maledetto. Ma una cosa era ammetterlo a se stesso nel buio della propria stanza, stretto nell’abbraccio delle proprie coperte e contento nel suo bozzolo, un’altra era affrontare la realtà di petto. Nah, magari un altro giorno ok???? O mai, anche mai andava bene. «dovrei?» malgrado tutto, qualcosa nel petto prese a battere appena più veloce alla vista della genuina preoccupazione sul volto del Kayne. Si morse la lingua per evitare uno dei suoi soliti commenti acidi, sapeva non avrebbero aiutato, ma era l’unico meccanismo di difesa che aveva da tutto quello. «smettila di dire stronzate. perché invece non–» per un momento la sensazione di panico, di essere scoperto, schiacciò la gabbia toracica come una lattina usata. Fortuna era che sapeva come distrarre Theo, e bastava davvero poco. «ma quale polmonite, non era niente, solo un po’ di febbre» sbuffò esterrefatto, il Tipton, sorpreso (ma non davvero) dal fatto che il Kanye potesse prendere sottogamba una cosa del genere. «se lo dici te» borbottò poco convinto, ma decise di non pressare oltre la questione, anche perché il grifondoro stava effettivamente meglio. Di certo più di lui, quindi non si sentiva nella posizione adatta per fargli una ramanzina sul curarsi di più della propria salute. Va bene essere pagliacci, ma il capo del circo anche no. «non cambiare discorso.»
    Oh no.
    Sembrava proprio un cane con il suo osso. Ossessionato uguale.
    Che due palle ma perché a lui. Non aveva già scontato la sua punizione celestiale or something?? Era pure una brava persona, non credeva di meritare quel trattamento dal fato.
    «cos’è successo, davvero, quella notte?»
    Il familiare panico che si era insinuato sotto la pelle tornò a mozzargli il respiro, per una volta niente a che fare con la vicinanza del Kayne. Distolse lo sguardo dal ragazzo, l’attenzione a vagare oltre gli scaffali e sul corridoio dove non pareva esserci nessuno. Aggiustò la presa del libro sulle braccia, aumentando di una frazione la forza esercitata quasi ad abbracciarlo– un piccolo conforto, qualcosa che lo tenesse ancorato al momento. «te l’ho detto: un morso da nulla. un graffio» sussurrò di rimando al Kayne, stizzito e con i nervi a fiori di pelle– doveva essere la luna piena a renderlo così emotivo. Non certo perché era un po’ emo. «e sì, ok, magari era un po’ più profondo di quello che pensavo ma–» ancora, il Tipton tentò di trovare una via di fuga attraverso il corpo del Kayne, ma dubitava ci sarebbe riuscito senza attirare l’attenzione di mezza biblioteca. Nella foga, non si era accorto di aver fatto un mezzo passo avanti. Quando se ne accorse, era ormai troppo tardi e qualcosa del suo inconscio, nuovo e pericoloso, gli suggeriva che ad indietreggiare avrebbe solo ammesso debolezza. «non ti ho mentito, credevo non fosse nulla» si strinse tra le spalle, sforzandosi di incontrare le iridi nocciola dell’altro ragazzo, il labbro inferiore catturato tra i denti e stretto in una morsa dolorosa. Non abbastanza da rompere la pelle, ma quasi. «ma forse era qualcosa, e ora sono fottuto a vita. contento?» non alzò la voce, ma il tono si fece incandescente, un solo tocco abbastanza per accendere la miccia nello sguardo del Tipton «ma va bene così, me lo merito. è colpa mia se balt ha perso il controllo» un’ammissione fragile quanto l’apparente compostezza di Paris, le spalle curvate in avanti e gli occhi persi sul neo che adornava la gote del grifondoro. Pareva un animale con le spalle al muro, il Tipton, e forse lo era. La nausea premette di nuovo contro le pareti dell’esofago, ma Paris si obbligò a non vacillare: era pronto a incassare il colpo del Kayne, qualsiasi esso fosse. «non posso nemmeno più dirti che sei una bestia, visto che non sono così scemo da insultarmi da solo» se stava tentando di buttarla sul ridere così che Theo non lo odiasse? Hahah no ma che dite. Anche se c'era ben poco da ridere, ma qualsiasi reazione sarebbe stata meglio del disgusto sul suo volto. O peggio, della paura. Voleva solo– voleva che tutto tornasse alla normalità, ma era conscio che fosse ormai troppo tardi.
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    Edited by ambitchous - 14/11/2023, 02:56
     
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    Per quanto odiasse ammetterlo, Theo vestiva le proprie emozioni troppo apertamente e non era mai difficile distinguerle una dall'altra sul suo volto giovane e costellano da lentiggini. Lo odiava, preferiva di gran lunga essere (più misterioso) meno palese, e mantenere un briciolo di dignità, ma non gli era fisicamente possibile con certe persone.
    Paris Tipton, purtroppo, era una di quelle persone.
    Poteva continuare a negarlo (in primis a se stesso) quanto voleva, ma la verità era un'altra e il suo linguaggio del corpo, il suo volto, parlava per lui.
    Quando Paris distolse lo sguardo, incapace di sostenere ancora il suo, Theo capì di aver fatto centro. E la stretta al cuore, improvvisa, fu terribile perché fino a quel momento non aveva realizzato quanto aveva sperato di sbagliarsi.
    «te l’ho detto: un morso da nulla. un graffio»
    Non si lasciò spaventare dal tono stizzito di Paris, stupido pagliaccio: e poi, se davvero credeva che Theo avrebbe lasciato stare solo perché gli rispondeva male, allora non lo consoceva affatto. Indurì lo sguardo, il grifondoro, dimostrando all'altro che non fosse in vena di cazzate.
    «e sì, ok, magari era un po’ più profondo di quello che pensavo ma–»
    Nel vederlo muoversi, convinto che stesse per fuggire o per iniziare una delle loro solite risse, Theo drizzò la schiena e si preparò a ingaggiare si rimando, pronto a letteralmente qualsiasi scenario tranne a quel «non ti ho mentito, credevo non fosse nulla».
    Troppo vicini, erano troppo vicini, e Theo ancora una volta non riuscì a impedire che la preoccupazione diventasse altro, che diventasse spavento, e piegasse i suoi lineamenti in una maschera di smarrimento, confusione, sconcerto. Forse tutte, e tutte insieme.
    Ma in che senso.
    Credevo non fosse nulla.
    Dischiuse le labbra suo malgrado, il Kayne, alla ricerca di qualcosa da dire, ma senza sorpresa trovò che non aveva parole: non ne aveva mai, neppure quando servivano davvero. Forse specialmente in quei momenti.
    Non gli balenò nemmeno per un istante, in testa, l'idea che Paris potesse fraintendere il suo turbamento per paura nei suoi confronti; non era quello, non era affatto quello, ma la mente di Theo poteva processare una cosa alla volta e il resto della questione aveva la priorità, ora.
    «ma forse era qualcosa, e ora sono fottuto a vita. contento?»
    Lo riconosceva nel tono basso ma rovente del Tipton che c'era qualcosa pronto a scattare nell'altro portiere, e Theo non era mai stato bravo a disinnescare le situazioni, o a calmare gli altri, tutto il contrario: spesso usava la loro rabbia per fuellare la sua, e anche quella volta sembrava non voler essere da meno.
    «contento?» troppo preoccupato da tutto il resto, aveva dimenticato di controllare il proprio tono e quell'unica domanda retorica era uscita più alta del dovuto. Si guardò intorno sperando di non aver attirato l'attenzione di nessuno, ci mancava solo che li interrompessero ora che erano arrivati a qualcosa.
    Si avvicinò di più al Tipton, abbassando la voce e stringendo la mano in un pugno, stretto al proprio fianco, per evitare di stringere invece la presa sulla spalla dell'altro. «perché dovrei essere contento» bisbigliò quell'ultima parola come se contenesse veleno — era davvero quello che Paris pensava di lui? Che gioisse per i suoi problemi? Era uno stupido; anzi, erano. Entrambi, per non aver mai capito letteralmente un cazzo l'uno dell'altro, e ancora meno della loro situazione.
    «paris–» «ma va bene così, me lo merito. è colpa mia se balt ha perso il controllo»
    Si morse la lingua, Theo, desideroso di continuare (con gli insulti) ma conscio che l'unica cosa da dire era un'altra: non è colpa tua. Perché, se proprio, la colpa era sua.
    Se Theo nin avesse insistito a rompere il cazzo a Paris, quella notte, se si fosse fatto gli affari suoi e avesse dato retta al maggiore, andandosene quando era stato invitato a farlo, se non lo avesse distratto dalla preparazione della pozione, nulla di quello sarebbe successo.
    Quell'improvvisa consapevolezza lo colpì più duramente del previsto, togliendogli l'aria per qualche istante, perché aveva sempre saputo di essere uno che mandava le cose a puttane e rovinava sempre tutto, glielo dicevano da sempre, ma dal saperlo e comportarsi comunque da cazzone a rovinare effettivamente la vita di un compagno ce ne passava. Anzi, due compagni: era certo che anche Balt vivesse ormai con i sensi di colpa per quello che aveva fatto, e non era nemmeno colpa sua.
    La colpa era di Theo.
    Una persona matura l'avrebbe ammesso.
    Una persona mature avrebbe offerto il suo aiuto, pur sapendo che non c'era nulla che potesse fare per porre rimedio a quanto fatto.
    Aveva condannato il Tipton a vita; era normale, quindi, molto più che giustificato, che lui non volesse più guardarlo in faccia.
    Ora Theo poteva spiegare tante cose.
    Avrebbe potuto vivere tranquillamente da ignorante senza mai avere la certezza di quanto sospettato, cullarsi nella sua bolla di menefreghismo e fingere che nulla fosse mai successo, e invece era andato ancora una volta avanti come un'ariete senza pensare alle conseguenze, aveva insistito, e aveva avuto le sue risposte.
    Ora doveva convivere con quel peso a gravare sul petto.
    Una persona matura avrebbe guardato Paris negli occhi e chiesto scusa.
    Ma Theo maturo non lo era, non lo era mai stato e probabilmente avrebbe tardato ancora a diventarlo, perciò si limitò a distogliere lo sguardo, con vergogna, e portarlo sui libri che Paris stringeva al petto, una barriera tra loro. Come dargli torto.
    Una parte di Theo avrebbe voluto allontanarsi, prima di fare altri danni, ma l'altra lo stava supplicando di non farlo, ricordandogli tutte le volte che aveva lui stesso desiderato che Lenny o Mis lo lasciassero in pace, perché da troppo vicino avrebbero certamente visto che razza di screwed up bestia fosse, e invece loro erano rimasti, sfidandolo per ciò che era; Theo gli aveva quasi letteralmente ringhiato contro, ma poi aveva accettato la loro presenza e ne era stato grato. Erano stati l'unico conforto in tutti i momenti in cui si era sentito più solo, e a pensarci a distanza di tempo era contento fossero rimasti.
    Voleva rimanere anche lui, per Paris, sospettando che non fossero poi così diversi l'uno dall'altro e il Tipton si fosse rifugiato in se stesso anziché affrontare il problema. Da quando sapeva leggere il maggiore così bene?
    «non posso nemmeno più dirti che sei una bestia, visto che non sono così scemo da insultarmi da solo»
    Appunto.
    Anche lui con il dry humor per mascherare quello che sentiva in realtà. Stupido Paris.
    Costrinse il proprio corpo a rimanere fermo, a non muovere né un passo indietro per la vergogna, né uno in avanti per il bisogno impellente (e stupido sdgshshsj) di accarezzare il viso dell'altro portiere. Non rispose alla battuta, se non con un vago cenno del capo che diceva chiaramente “quanto sei idiota”, ma chiese invece: «chi altro lo sa?» a parte Balt, e ora lui, Theo sospettava che la risposta fosse: nessuno.
    Alla faccia del non voler mentire, o tenere segreti.
    Non sei una bestia.
    Non riuscì a dirlo, si sentiva così tanto in colpa da avere fisicamente un blocco alla gola che gli impediva di parlare e dire altro, scusarsi, come una parte di lui diceva che avrebbe dovuto fare; non riusciva nemmeno ad alzare lo sguardo sull'altro.
    Come potevano andare avanti, da quello? Come potevano correggere uno sbaglio così grande?
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    Elisa è vagamente febbricitante quindi non risponde delle sue azioni. Dopo questa necessaria premessa, era il caso di dire che nemmeno Paris stesse granché bene al momento. Non ci capiva un cazzo, e sentiva di stare per scoppiare da un momento all’altro. Il problema era che non sapeva se avrebbe portato con sé il Kayne o meno. La sua vicinanza non lo aiutava a mantenere una salda presa sulle sue emozioni, non quando poteva percepirlo vibrare accanto a sé. Non era così che avrebbe voluto che andassero le cose, voleva del fottuto tempo per poter elaborare la trasformazione e dirlo ai Ben. Ma l’aveva già avuto quel tempo, no? Quasi due mesi, e non aveva fatto che sprecarli, che rimandare al giorno dopo in attesa di un intervento divino. Paris non aveva nulla contro i lupi mannari, non aveva mai trattato Balt diversamente per quello che era diventato, ma un conto era quando si trattava di un fatto esterno e un altro di quando ci conviveva ogni giorno. Tutto attorno a lui era amplificato, le sensazioni, gli odori, le emozioni. In quel momento, poteva quasi sentire la confusione e la rabbia del grifondoro sotto la lingua e a montare nel proprio petto come se fossero sue, anche se era l'ultima cosa che voleva. Se Theo l’avesse saputo, l’avrebbe ucciso– cristo, come se Paris avesse avuto una scelta in tutto quello. «contento? perché dovrei essere contento» fece cadere lo sguardo sul pugno serrato del ragazzo, sussultando appena come se avesse ricevuto uno schiaffo ad ogni sillaba corrosa dal veleno. C’era stato un periodo, nemmeno troppo tempo prima, in cui Paris sapeva che l’altro sarebbe stato ben felice della sua disfatta. Ogni occasione era buona per sbattergli in faccia le proprie mancanze e i traguardi che aveva fallito di raggiungere, o per usare quel maledetto pugno stretto al fianco per colorare la pelle cremisi. Ora si trovava su un terreno instabile, la terra sotto i suoi piedi a venirgli meno quando ne aveva più bisogno. Perché come faceva ad affrontare Theo faccia a faccia, e a fare finta di niente? Come faceva a dirgli che per una maledetta volta voleva essere preso a testate sui denti, che voleva il Kayne di una volta e non quella versione maledettamente contraddittoria. Fu quel «paris–» a segnare la sua disfatta, i sensi di colpa del ragazzo e il battito impazzito a fargli volere lo sguardo al cielo in cerca di un aiuto superiore. Era chiaro che da solo non ce la potesse fare. A mantenere il controllo e non avere una crisi esistenziale (la stava già avendo), ma soprattutto a respingere le immagini che quel singolo nome avevano evocato. Non era davvero il momento di pensarci. Preferì concentrarsi invece sullo sguardo del grifondoro che si rifiutava di incontrare il suo, come se si vergognasse, come se non ne avesse il diritto. Cristo dio che cazzo di scemo, ma come si faceva– voleva dargli quei libri in testa e fargli tornare il senno a forza di botte, perché come si faceva ad essere così deficienti? Si credeva per caso un martire? Credeva che il mondo girasse attorno a lui? La colpa risiedeva nelle azioni del Tipton, sin dal primo momento in cui aveva accettato di preparare l’Antilupo per Balt. Si era creduto all’altezza, il migliore, e aveva lasciato che la propria vanità lo facesse a pezzi. «perché non la smetti di fare il codardo del cazzo?» alla fine, fu tutto un po’ troppo, e il magma a premere e a montare sotto le spaccature nella facciata del Tipton esplose. Accadde all'improvviso e senza un’avvisaglia, le dite a chiudersi attorno al mento del grifondoro e a premere così da sollevarlo «volevi sapere la verità? che smettessi di dire stronzate? e va bene, ma almeno abbi la decenza di guardarmi negli occhi» si meritava almeno quello, no? Mollò la presa sul mento di Theo, prendendosi qualche momento per ricomporsi, per quanto fosse possibile. «non lo sa nessuno. nemmeno i ben. per ora» preferì sfogare la propria rabbia su quei maledetti libri che ancora aveva in mano, incastrandoli con più forza del necessario in un buco che trovò vicino a lui. E no, non era una metafora. «Non lo so cosa ti stia girando in testa» falso «ma non è colpa tua, ok?» era duro il tono del Tipton, severo quel che bastava per far comprendere a Theo che non ammetteva obiezioni. Gli occhi del corvonero, tuttavia, raccontavano una storia diversa: erano morbidi nella loro carezza sul volto di Theo, una supplica di credergli per una maledetta volta a incastrarsi nello sguardo dell’altro. Tuttavia, Paris conosceva abbastanza bene il portiere da sapere quanto fosse duro di testa, e che doveva sbattergli le cose in faccia prima che le capisse. Lasciò che un passo in avanti colmasse la distanza che li separava, e poggiò piano la fronte contro quella di Theo– doveva essere un gesto rassicurante, ma Paris non era mai stato troppo bravo in quelli «e se lo pensi sei un cretino, e sarò costretto a darti una testata sulle gengive» un sussurro ad infrangersi contro il respiro del Kayne, una promessa che sapeva di déjà-vu e di occasioni sprecate. «sopravvivrò, theo, non è la fine del mondo. devo solo essere un po’ drammatico prima» estese la mano per andare a cingere il polso di Theo, quello ancora stretto in un pugno, e con il pollice accarezzò il suo battito frenetico. Un perfetto specchio del suo. All’improvviso, imbarazzato e fin troppo cosciente di se stesso, mollò la presa e mise della distanza tra di loro. Deglutì piano, un colorito alieno sul suo volto pallido a macchiare le guance, sbattendo le palpebre come per liberarsi da una trance– ma cristo dio, ma ce la faceva a comportarsi come una persona normale per una fottuta volta. Era inutile che continuasse a mettersi in ridicolo e on display, rivelando parti morbide e fragili di se stesso che il Kayne non aveva mai chiesto di svelare. Sapeva di non essere voluto dall'altro, che qualsiasi cosa ci fosse stata tra loro era stato frutto di una tensione che era scoppiata si era esaurita in una sera, ma era così sbagliato approfittarne finché poteva?
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    theo kayne
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    Sapete cosa? Stavano quasi tornando al loro status quo, e se non fosse stato per quel(l’enorme.) dettaglio del morso – e.. sì, beh, anche l’altra cosa, certo —, Theo poteva quasi fingere non fosse mai cambiato nulla tra loro: parole dure, rabbia contenuta a fatica (o affatto), sguardi torvi, pugni serrati e pronti a lacerare la pelle dell’altro. Classic Payne.
    Ah, se solo Theo fosse riuscito a trovare la forza, più che il coraggio, di guardare Paris negli occhi; a tenerlo lì era ben altro, un bisogno fisico di avere l’altro portiere vicino, che vinceva persino sull’imbarazzo e sulla consapevolezza di (essere odiato) aver rovinato la vita al Tipton. Voleva rimanere lì, ma ciò non significava che fosse facile farlo, o alzare gli occhi per incontrare quelli di Paris.
    Senza guardarlo, solo ascoltando le sue parole dure, Theo poteva davvero immaginare uno scenario tutto suo delulu. Persino la rabbia a ribollire nella voce di Paris era un balsamo per il grifondoro: era familiare, benzina sul fuoco che accendeva una miccia fin troppo corta e che non aspettava nient’altro per esplodere.
    Le dita intorno al suo mento, invece, lo erano un po’ meno, e bruciavano sulla pelle di Theo per tutt’altro motivo; si sentiva attraversato da mille e più scariche elettriche, esattamente come la prima volta che Paris aveva accarezzato la sua pelle per un motivo diverso da quello di voler cavare sangue, o lasciare marchi dettati dalla rabbia, piuttosto che da altri bisogni primari; Theo lo ricordava come fosse stato il giorno prima, aveva impressi quei ricordi non solo nella mente, ma sulla pelle. Ci ripensava davvero più spesso del necessario.
    Fu costretto a seguire la volontà del Tipton, incontrando lo sguardo bosco dell’altro con timore, e facendosi ancora più piccolo nel notare il fuoco che lo animava: Paris lo odiava, era palese.
    …giusto?
    Qualsiasi cosa stesse provando Theo in quel momento (ed erano davvero un sacco di cose, tutte insieme), il grifondoro faticava a trovarle rispecchiate nella voce del Tipton, ma il suo sguardo raccontava tutta un’altra cosa. E fu quello, più di ogni altro gesto o parola, a mandare in tilt il Kayne.
    «volevi sapere la verità? che smettessi di dire stronzate? e va bene, ma almeno abbi la decenza di guardarmi negli occhi»
    Per essere un grifondoro, certe volte Theo Kayne sapeva essere davvero codardo; come in quel caso, ad esempio, così testardo nel non voler affrontare i propri (demoni) sentimenti, perché incapace di capirli, in primo luogo, e poi dargli una spiegazione logica.
    Non esisteva.
    A denti stretti disse quindi l’unica cosa che poteva dire, l’unica che non mancasse mai nel suo vocabolario: «vaffaculo,» perché meglio imprecare contro il Tipton che lasciare altre emozioni prendere il sopravvento, no?
    (No.)
    Intanto, però, Paris aveva vinto e ora Theo sosteneva il suo sguardo, stringendo ancora di più il pugno fino a sentire le unghie rovinate premere contro la pelle morbida del palmo serrato; non era escluso che prima della fine (della role) dell’incontro l’avrebbe usato per aprire un taglio sul viso del Tipton, eh. «non lo sa nessuno. nemmeno i ben. per ora» Ecco, vedete? Un coglione. «dovresti–» «Non lo so cosa ti stia girando in testa ma non è colpa tua, ok?» Un verso nasale sfuggì al suo controllo, e suo malgrado ebbe l’istinto di distogliere ancora lo sguardo, ma non lo fece. «ah no?» Il tono di Paris non lo fece demordere, comunque, anche perché: da quando accettava di non obiettare? Contro il corvonero, poi! Mpf. «e di chi sarebbe?» Alzò un sopracciglio, sfidandolo. «tua Chi era il martire del cazzo, tra i due, eh?
    Se Paris era alla ricerca di un modo per zittirlo, o romperlo definitivamente, o distrarlo, l’aveva appena trovato; probabilmente Theo non avrebbe mai avuto la sua risposta alla domanda appena posta – non che servisse, nel suo cuore la sapeva già – ma aveva improvvisamente smesso di interessargli. Come poteva farlo, quando Paris era più vicino, così tanto da poter inclinare piano la fronte e poggiarla contro la sua nel gesto più naturale del mondo, e al contempo così forte da abbattere qualsiasi difesa del grifondoro?
    «sopravvivrò, theo, non è la fine del mondo. devo solo essere un po’ drammatico prima» E lo stava facendo nel modo giusto — la parte dell’essere drammatico, non quella del sopravvivere, chiaramente.
    Sul sopravvivere, nemmeno Theo era messo non così bene: non quando sentiva il respiro di Paris sul suo, i loro nasi a pochi centimetri l’uno dall’altro, il suo nome ancora una volta pronunciato da una bocca che Theo avrebbe voluto impegnare in altri duemila modi, almeno. «io–» Ancora una volta il “mi dispiace” rimase incastrato in gola, incapace di uscire, bloccato da un orgoglio e una stupidità troppo più grandi di lui. E sì, anche dal fatto che Paris fosse così vicino per la prima volta in mesi, e che la sua mano stringesse contro il pugno chiuso del grifondoro, accarezzando la pelle e tenendo il tempo col suo battito impazzito. Socchiuse appena gli occhi, respirando a pieni polmoni, e riempiendoli del profumo dell’altro, impossibile negare a se stesso, a quel punto, quanto cazzo gli fosse mancato.
    E sì, non lo aveva ancora perdonato per avergli mentito (omettere era praticamente mentire, same thing!!), ma in quel momento Theo non capiva letteralmente un cazzo e riusciva solo a pensare quanto a lungo avesse desiderato avere il Tipton nuovamente a distanza ravvicinata, a distanza di bacio, sarebbe bastato così poco, una mano dietro la nuca dell’altro a fare pressione e le loro labbra si sarebbero toccate e–
    Lo sentì, più che vederlo, il momento esatto in cui Paris fece un passo indietro, metaforico e letterale; improvvisamente c’era troppo spazio tra loro, uno spazio che Theo coprì prima ancora di riflettere, afferrando con entrambe le mani il volto arrossato dell’altro portiere e premendo le proprie labbra contro quelle tese di Paris.
    Al diavolo tutto.
    Era un coglione.
    Paris, ma anche lui.
    Mosse un passo in avanti, costringendo il corvonero nello stretto spazio tra sé e lo scaffale, senza mollare la presa o interrompere il bacio. Che pagliaccio. Dentro di sé andava letteralmente a fuoco, bruciava per la vergogna e per molto altro, ma non c’era più un pensiero coerente nella sua mente, e c’era sempre tempo per farsi odiare ancora di più dal Tipton, tanto che aveva da perdere? Almeno così poteva rubare un ultimo bacio prima di essere preso a pugni sul naso.
    O a testate sulle gengive, eh?
    Thinkin.
    Era bastato letteralmente che Paris lo toccasse per fargli perdere quel poco di razionalità che aveva, questo era quanto ardentemente Theo lo desiderasse, ed era stato abbastanza per suggerire al suo inconscio che valesse lo stesso per l’altro, che poteva provarci, e al massimo davvero, si sarebbe preso quel bacio e una testata, ma almeno avrebbe avuto le sue risposte.
    Sì, altre; non era una gran bella giornata quella, per riceverne, a quanto pareva, ma che poteva farci? Era un testardo del cazzo, e poco ma sicuro non era la persona più sveglia dell’universo, fare le cazzate era un po’ il suo tratto distintivo, insieme all’infrangere le regole – come quella di non avere comportamenti sconci in biblioteca, ma chissenefrega no?
    Spinto dal momento, premette con il proprio petto contro quello di Paris schiacciando il corvonero contro gli scaffali, e cercando al contempo di approfondire il bacio e sperando che l’altro non gli mordesse la lingua come ripicca per averlo assalito senza avvertimento: c’era un limite al biting kink di Theo, e l’avevano già esplorato ampiamente in quell’aula vuota, post prom.
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    SPOILER (click to view)
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    paris bentley tipton
    14.02.2007
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    Paris si rendeva conto in quel momento che avrebbe dovuto scegliere le proprie battaglie con maggiore attenzione. Perché non c’era nessuno scenario al mondo in cui sarebbe uscito illeso da quel confronto, e lo sapeva bene. Eppure, si ostinava caparbio a rimanere lì a condividere lo spazio e l’aria con il Kayne, anche a costo della sua sanità mentale. Gliene era rimasta poca, ormai, e la stava buttando via per qualcuno come il grifondoro [derogatory]. Soprattutto quando l’unica e universale risposta che poteva offrirgli rimaneva «vaffaculo» ma in font diversi a seconda dell’occasione. Un particolare coping mechanism, quello del portiere, ma ormai Paris l’aveva accettato per quello che era e lo trovava adorabile. Un po’ come un gattino che si sentiva minacciato e soffiava contro chiunque si avvicinasse, ma aveva l’effetto contrario a quello desiderato. Paris non reagì alle sue provocazioni, ormai la loro era una storia vecchia, una bizzarra danza di seduzione fatta da insulti e scuse per sentire la pelle dell’altro contro la propria. Lo lasciò fare per vedere dove sarebbe andato a parare, una svolta al pattern che erano soliti intraprendere, certo che il Kayne non avrebbe avuto le palle di deviare troppo. In fondo, era sempre stato un codardo quando si era trattato di premere contro i propri limiti e spaccarli. Con il senno di poi, dio rifugio se si era sbagliato. Una domanda: si poteva avere un mancamento a sedici anni?
    Bestemmia.
    Urlo.
    Infarto cardiaco.
    La verità era che Paris non si aspettava quell’agguato da parte di Theo. Era pronto ad accogliere la fronte del ragazzo sul proprio naso, o le nocche ad infrangersi contro le costole, o qualsiasi forma di violenza fosse diventata sinonimo di intimità tra di loro. Si lasciò spingere contro la scaffale, immobile e con le braccia sollevate ai lati, le dita appena piegate ad aggrapparsi all’aria. Impotente davanti alla furia e all’intensità del grifondoro, rimase di stucco e si dimenticò come funzionare come un essere umano. La sua visione era piena di Theo: i suoi riccioli, le lentiggini cosparse sulle guance, l’odore di marlboro appiccicato alla pelle. Quelle maledette sigarette ebbero un effetto disastroso sulla psiche del corvonero, la lama che tranciò l’ultimo filo che lo teneva ancorato alla sanità. Per un agonizzante secondo, il cuore di Paris smise di battere. Poi riprese a correre impazzito, a un passo dallo scoppiare nella gabbia toracica. Le mani di Theo premevano sul suo volto, i calli sulle mani a graffiare la pelle mentre le sue labbra gli rubavano il respiro. Nulla aveva un cazzo di senso ma sapete cosa? Vaffanculo. Chiuse finalmente gli occhi, poggiando le mani sui fianchi di Theo e aggrappandosi con le unghie alla maglia. Aveva una mezza idea di mordergli la lingua per ripicca, ma decise di non rischiare la giocata: perché spingere via il grifondoro, quando poteva avere il suo calore a bruciarlo. Paris prese, e prese ancora, famelico nel modo in cui si aveva deciso di prendere il controllo di quella danza. L’aveva voluto troppo e da troppo tempo per lasciare che quello straccio di dignità che gli rimaneva lo fermasse, specie quando Theo lo voleva tanto quanto lui. E non era quella la parte più assurda? Che ricambiasse? Quella volta non poteva nascondersi dietro un altro volto, o dietro l’audacia contenuta in una fiaschetta di metallo. Theo lo stava baciando perché lo voleva, e il solo pensiero era abbastanza per provocare una sensazione calda e mai sentita prima nello stomaco Tipton. Giggling, kicking his feet and twirling his hair kinda thing. Fu costretto a staccarsi per riprendere fiato, ma rimanendo comunque nello spazio creato dalle braccia del grifondoro. In fondo, non si stava per niente male. «mi sei mancato» Te. Questo. Una confessione proibita contro le labbra del Kayne, un sospiro a mischiare i loro respiri che sapeva di nicotina e di una nota di cannella, fragile quanto il cuore di Paris in quel momento. Ti prego, ti prego non me lo spezzare. Il battito accelerato –al limite della tachicardia– di Theo era assordante quasi quanto il proprio nelle orecchie, tanto che temette per un attimo che si fermasse. «se questo è il tuo modo di zittirmi potrei abituarmici» i pollici presero a carezzare la vita e i fianchi del grifondoro in un movimento che andava sù e giù, la posizione delle mani fin troppo familiare a chi mesi prima aveva lasciato il proprio marchio con i denti. Piegò appena il capo per sottrarsi momentaneamente alle labbra del Kayne, e abbassò lo sguardo per qualche attimo per ricomporsi e racimolare il coraggio per quelle prossime parole. «questo non è un gioco per me» deglutì quando si forzò a riportare gli occhi in quelli di Theo, i lineamenti piegati in quello che poteva essere letto come nervosismo e anticipazione «non lo è più da un po’» perché era un pagliaccio e uno scemo, ed era cascato nel suo stesso tranello senza sapere come uscirne. Sollevò la mano per stringere il palmo del grifondoro al proprio, le dita a scivolare e ad incastrarsi l’una con l’altra come se fosse la cosa più naturale al mondo. La tirò per poggiarla al suo petto, appena sopra il suo cuore in procinto di cedere, così che Theo potesse sentire quanto fosse sincero. Un curioso parallelo di quello che era accaduto mesi prima in cortile, ma con soggetti diversi quella volta. Posso odiarti e volere comunque altro. «non posso fare più finta di niente» morso o meno, bacio o meno, i sentimenti di Paris erano ormai innegabili ed era arrivata l'ora di affrontarli.
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    theo kayne
    31.12.07
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    Incredibile ma vero, Theo Kayne non era mai stato bravo a seguire la semplice e lineare logica del “rifletti, e poi agisci”. Lo so, siete tutti sconvolti, non ve lo sareste mai aspettati da lui, vero!?
    Eh già.
    Per tutta la vita aveva sentito gente (Lenny) ripetergli che sarebbe arrivato prima o poi un muro troppo spesso che Theo non sarebbe riuscito a sfondare di testa, e che quel muro avrebbe sfondato, al contrario, lo stesso grifondoro; che non tutti i problemi potevano essere risolti con la violenza e che almeno il novanta percento di essi avrebbe potuto benissimo evitarlo imparando a contare fino a cinque (dieci era chiedere un po’ troppo) e solo dopo agire.
    Theo, invece, aveva il vizio di scattare già allo zero.
    In quella situazione, non si era comportato troppo diversamente da come aveva fatto altre mille volte in precedenza: il suo “agire prima, fare domande dopo” si era rivelato un problema anche – e forse soprattutto – tra le file dei ribelli, dove più di una volta era stato rimesso al suo posto (da Nelia, da altri adulti, da Barrow in persona…) e intimato di far lavorare il neurone essiccato che soffriva di solitudine nella sua scatola cranica.
    Ovviamente Theo non aveva mai accolto i caldi suggerimenti, perché fisicamente incapace di prendersi un attimo prima di agire — fare era l’unica risposta ai problemi, e alla vita, che il grifondoro conoscesse. Non aveva lo stesso distacco emotivo dal resto del mondo che aveva Mis, o la sua stessa impassibilità, né era capace di lasciarsi scivolare addosso i problemi semplicemente con uno sguardo pigro e una scrollata di spalle. Magari un giorno avrebbe imparato, magari un giorno avrebbe riflettuto, ma il giorno non era sicuramente quello.
    Non aveva avuto mezzo pensiero coerente quando aveva stretto il viso di Paris tra le sue mani e si era ripreso con decisione quello che troppo a lungo aveva desiderato; nemmeno un minuscolo barlume di raziocinio a guidare i suoi gesti, solo la più pura e naturale urgenza di fare sue le labbra del Tipton, di rubargli un bacio e il fiato, di ritornare anche solo per qualche istante a quella notte che aveva segnato, immancabilmente, un punto di non ritorno nel loro rapporto.
    L’aveva visto, gli era piaciuto, l’aveva voluto e, come una Ariana Grande qualsiasi, se l’era preso.
    Solo a metà di quel bacio, aveva realizzato l’impetuosità del gesto e gli infiniti risvolti (non per forza positivi) che avrebbe potuto avere.
    E poi aveva sentito le mani di Paris poggiarsi sui suoi fianchi, stringere la maglia quasi come se volesse pizzicare la pelle, lasciare segni indelebili come già fatto in precedenza — a quel punto Theo si era spento, e poi riacceso, e poi spento di nuovo. Perché Paris non lo aveva allontanato, ma al contrario, aveva cercato di tirarlo ancora di più a sé, come se non avessero già occupato tutto lo spazio fisico possibile, come se la schiena del maggiore non premesse già contro gli scaffali di legno. Theo, però, era stato disposto a seguirlo e dimostrare che, più stretti di così, non avrebbero potuto essere: erano così vicini che i loro battiti irregolari e frenetici rimbombavano l’uno nella cassa toracica dell’altro, e il Kayne non avrebbe saputo distinguere il suo da quello di Paris.
    Non che avesse voglia di farlo, in effetti.
    Sarebbe potuto andare avanti così per ore, per anni, con le mani ad accarezzare la pelle delicata del viso di Paris, fino a salire piano alle ciocche scure che nascondevano sfumature più chiare — pensò distrattamente se, da lupo, l’altro avesse un manto più chiaro e simile alla versione originale, e inconsciamente quel pensiero lo portò a cercare un contatto più profondo con il Tipton, perché Dara non era l’unico con kink strani in quella scuola, tiè.
    Era così preso bene, così perso in quel bacio disperato e urgente, che il dove fossero (nella fottuta biblioteca della scuola) o il cosa stessero facendo (stravolgere ancora una volta i precari equilibri che li governavano) aveva completamente smesso di esistere nella mente di Theo. C’erano solo lui, Paris, e labbra affamate le une delle altre.
    Lo sentiva nel modo altrettanto incalzante con cui Paris ricambiava che anche per lui valesse lo stesso.
    Immaginate il disappunto di Theo, perciò, quando sentì il corvonero staccarsi da lui, interrompere quel bacio che il minore, comunque, provò a cercare ancora, inseguendo per un attimo le labbra arrossate dell’altro, testardo e con assolutamente zero sbatti di dargliela vinta, o di interrompere a metà quanto stavano facendo. Aria? Chi aveva bisogno di aria?!
    Theo, ecco chi, nel giro di pochi istanti: perché perso nei suoi scenari deliranti e avendo completamente spento il cervello, non avrebbe mai pensato che Paris potesse aprire bocca e dire qualcosa. Qualsiasi cosa, men che meno quello.
    «mi sei mancato»
    Improvvisamente Theo si rese conto di quanta poca aria avesse, in effetti, a disposizione nei polmoni e si ritrovò a dischiudere le labbra per immagazzinare giusto il necessario per non rompersi definitivamente davanti al Tipton.
    Mi sei mancato.
    Gli era fottutamente mancato.
    Lui era mancato a Paris Tipton.
    Senza rendersene conto, strinse delicatamente qualche ciocca castana nel pugno, piegando la testa fino ad incontrare la fronte dell’altro, una pallida imitazione del gesto che quel giorno, se vogliamo, aveva segnato l’inizio della fine.
    «se questo è il tuo modo di zittirmi potrei abituarmici»
    Con Paris così vicino, stretto nel suo abbraccio, e con le dita che accarezzavano distrattamente zone già esplorate dallo stesso corvonero, Theo non sentiva di poter articolare frasi di senso compiuto. Avrebbe voluto, ma era certo che dalla sua gola sarebbero risaliti solo versi animali e senza senso — perciò, andando contro ogni previsione, scelse di rimanere in silenzio e affidare la sua risposta ad un nuovo bacio, premendo sulle labbra già provate di Paris quel e allora stai zitto che non riusciva a mettere a voce. Perché stavano sprecando tempo a parlare quando potevano fare altro?
    E perché Paris continuava a sottrarsi dai suoi baci, come se avesse davvero qualcosa di più intelligente da dire o fare?! Assurdo, bloccato. Theo gli rivolse lo sguardo più 100% done che riuscì a trovare, per quanto lo sguardo in preda all’euforia e frenesia febbrile gli permetteva, certo.
    «questo non è un gioco per me. non lo è più da un po’»
    E va bene che il Kayne non era mai stato l’attrezzo più affilato non solo della scatola, ma dell’intera rimessa degli attrezzi, però… cosa?! Aveva sentito bene? Paris aveva appena… cosa, di preciso. Dato voce ad una confessione profonda? Gli aveva appena fatto intendere che quello – qualsiasi cosa ci fosse tra loro dopo anni di scazzottate, una notte di passione rubata in un’aula vuota e un’altra notte un po’ meno bella – fosse una cosa seria?
    Era lo stesso Paris Tipton che fino a sei mesi prima lo regalava a destra e a sinistra?
    Theo era troppo buggato per esistere, figuriamoci rispondere, perciò con gli occhi spalancati e fissi in quelli del maggiore lo lasciò prendere la propria mano, e lasciò che l’altro incastrasse le dita fra le sue, in maniera così semplice e naturale che sembravano quasi fatte le une per ospitare le altre. Lo seguì ancora, come sotto ipnosi, fino a toccare il petto del portiere blubronzo e sentire, sotto stoffa e pelle, il muscolo cardiaco battere ad un ritmo così frenetico che per un attimo Theo si preoccupò seriamente che l’altro potesse crepargli davanti alla faccia.
    Ipocrita pagliaccio, il suo cuore stava battendo allo stesso ritmo impazzito, perciò tutt’al più sarebbero schiattati insieme. I Romeo e Giulietto dei maghi.
    «non posso fare più finta di niente»
    Sarebbe stato meglio, vero? Fingere che quelle emozioni non fossero lì, che quell’attrazione fosse solo quello: pura attrazione fisica, e niente più.
    Sì, lo sarebbe stato.
    Ma Theo si era un po’ rotto il cazzo di struggersi per il Tipton come la protagonista di un romanzo della Austen, perciò vaffanculo a tutto: avevano ampiamente dimostrato di non riuscire a tenere le distanze l’uno dall’altro, e Paris aveva appena confessato di provare qualcosa di serio nei suoi confronti – per quanto, comunque, l’idea di “qualcosa di serio” potesse mandare in tilt il grifondoro, che aveva solo sedici anni ed era alla sua prima esperienza nel settore, insomma. Non era semplice nemmeno per lui, tutto quello, e purtroppo si conosceva abbastanza bene da sapere già che non sarebbe stato perfetto — o facile da gestire. Non poteva promettere nulla al Tipton, aveva troppi difetti e un carattere immaturo e volatile, per poter fare promesse di un certo tipo, ma quello non negava il fatto che, comunque, fosse tarato per provare tutto e sempre in maniera fin troppo intensa: sapeva già che quella situazione avrebbe preteso il massimo da lui, l’aveva saputo dall’inizio, e aveva comunque accettato di provarci perché non era stato in grado di resistere. Era sempre stato molto bravo, Theo Kayne, a distruggersi con le proprie mani — e a portare con sé, nella disfatta, chiunque fosse nei paraggi.
    Accarezzò distrattamente la guancia di Paris con il pollice, tenendo ben salda la presa tra le ciocche castane dell’altro, cercando nei lineamenti del viso pulito del Tipton risposte che erano ancora troppo lontane, e giungendo infine ad una conclusione: era troppo tardi anche per lui.
    Non sapeva come fosse finito in quella situazione, ma non poteva più fingere, tanto per citare le parole di Paris: c’era chiaramente molto di più del bisogno di avere l’altro ragazzo solo ad un livello fisico, ma non reputava di avere ancora abbastanza forza, o consapevolezza, per poter affrontare quella verità.
    In sostanza, non aveva una risposta per Paris — poteva solo provare a spiegarsi nell’unico modo che aveva, con la propria bocca.
    Quando tornò a posare le labbra su quelle dell’altro, però, lo fece con meno urgenza e più calma, quasi addirittura una dolcezza che nessuno, Theo in primis, sapeva potesse possedere: eppure era lì, nel modo in cui si posava sulla bocca di Paris ancora e ancora e ancora, scendendo di qualche centimetro ad ogni bacio, spostandosi sulla guancia, sulla mandibola, perlustrando lentamente il collo lungo fino ad arrivare all’incavo con la spalla, dove arrestò la sua lenta e snervante discesa, per mordere la pelle bianca e stringerla tra i denti, baciare la pelle fino a lasciare il segno. Era una persona possessiva, il Kayne: aveva avuto sempre poche cose nella vita, ma quello che aveva voleva fosse noto a tutto il mondo che fosse suo. Il Tipton non era da meno. Si prese il suo tempo per marchiare la pelle del corvonero, come risposta a tutte le sue troppe parole; più di quello, Theo, non sapeva cosa offrire.
    Più di quello, e della mano a premere ora sulla schiena per avvicinarlo ancora di più, quasi come volesse unire ciò che Zeus, nel mito raccontato da Platone, per gelosia aveva diviso — come se cercasse di sfidare non solo la fisica, ma la volontà divina, per ricongiungere due metà che si erano ritrovate.
    (Qualcuno qui ha sentito troppe lezioni di filosofia and it shows.)
    Aveva solo quello, Theo, e sperava che a Paris potesse bastare per il momento.
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    tw: non percepitemi troppo. non guardatemi in faccia

    paris bentley tipton
    14.02.2007
    seattle
    San Francesco d’Assisi e tutti i santi, così Elisa aveva iniziato il post il 19 novembre. Ad oggi non si ricorda cosa volesse dire, ma era importante tenerlo perché sempre attuale. Probabilmente, era il pensiero che si ripeteva nella testa di Paris da cinque minuti a quella parte. Di certo, si fece più prepotente quando sentì le dita di Theo stringersi attorno alle ciocche dei capelli e tirare. Era un ragazzo debole, il Tipton, fategli causa. L’adrenalina a pompare nelle vene lo rendeva più sensibile, più azzardato nelle carezze e nei baci, il solo pensiero che qualcuno avrebbe potuto vederli era stuzzicante. Poteva solo immaginare quali sarebbero state le voci di corridoio, lo sgomento del sapere il capitano corvonero avvinghiato al portiere avversario. E sapete cosa? Vaffanculo, non gli interessava. Paris aveva smesso di vivere per gli altri anni prima, quando aveva deciso che non sarebbe stato la copia sputata di suo padre, ma che si sarebbe costruito la propria vita mattone dopo mattone con le proprie mani. Ma capiva che per il Kayne fosse diverso, e quel fragile ma esplosivo momento tra di loro era una cosa preziosa. Da sfiorare appena con le dita, da soffocare i gemiti di piacere con le proprie labbra così che nessuno sentisse.
    Di certo, il pollice ad accarezzare la guancia non aiutava il Tipton a pensare lucidamente.
    Così maledettamente tattile, quello stupido grifondoro.
    Sin dal primo momento, da quelle nocche a discendere sul proprio viso ai polpastrelli che premevano sotto al suo mento. Il ginocchio che premeva sullo sterno per farlo stare a terra, mentre gli ringhiava qualcosa addosso.
    Poteva quasi sentire quei tocchi fantasma in quel momento, pezzi di una storia che li aveva portati fino a quel momento.
    Paris cercò con la sua bocca quella dell’altro, sorridendo in quel bacio, una piega delle labbra che sarebbe rimasta tra sé e Dio– aveva già perso troppa dignità quel giorno. Ma in fondo perché sentirsi in colpa a prendere qualcosa che di meritava? Vaffanculo, era sempre stato un egoista di merda e non avrebbe smesso in quel momento. Ormai era innegabile al corvonero, il Kayne sapeva come renderlo argilla tra le sue mani. Aveva avuto la sua occasione mesi prima, ma erano stati entrambi troppo presi dalla foga per approfittarne. Lì, in quella nicchia nascosta tra libri e scaffali poco frequentati, Theo si stava prendendo ogni sospiro e gemito che Paris si stava lasciando sfuggire a suo malgrado. Fategli causa, se non aveva capito più niente quando i denti del portiere erano affondati nella propria pelle nel tentativo di lasciare un segno. E sapete cosa? Glielo avrebbe lasciato volentieri fare, perché l’idea di portare i marchi del ragazzo sulla pelle era una sporca fantasia su cui si era soffermato più di quanto gli piacesse ammettere. Nascosti dove solo lui poteva vedere, premere le dita sui segni violacei e immaginare le labbra del Kayne a distruggerlo da dentro, pezzo per pezzo. Strinse le dita tra le sue ciocche ribelli, l’altra mano ad affondare nella spalla per cercare la forza di reggersi in piedi. Dio, moriva dalla voglia di infilare quelle mani sotto i vestiti di Theo, esplorare con la sua bocca luoghi a cui ancora non aveva dato la giusta attenzione. Non era il posto adatto, né il momento, ma fino a quel momento non l’aveva mai fermato. E poi ormai non aveva più tanto sangue ad affluire al cervello per prendere decisioni intelligenti. Dovette prendersi un momento per cercare di recuperare il fiato, cercare di darsi una calmata per non lasciare vedere a Theo quando fosse ormai compromesso. Tirò piano ma deciso le ciocche strette attorno alle sue dita in modo da far alzare il capo al ragazzo, così che incontrasse il suo sguardo ormai annebbiato dal desiderio «sei capace a tenere la bocca chiusa?» inevitabile, la voce roca a graffiare il palato, gli occhi nocciola a cercare quelli altrettanto scuri del Kayne. Vi era racchiuso tutto quello che non aveva (ancora) il coraggio di comunicargli, una morbidezza che aveva riservato a poche persone fino a quel momento; una lama servita su un piatto d’argento per lasciarlo sanguinante mentre si insinuava nello spazio tra le sue costole. Non vi era un pensiero razionale a rimbalzare nella sua testa quando il suo corpo scivolò lungo lo scaffale. E ancora, una discesa interminabile fino a che le sue ginocchia non incontrarono il pavimento. In ginocchio davanti a lui, lo osservò da attraverso le ciglia come a cercare un permesso. Perché era un gentiluomo, come amava ricordare. Mantenne il contatto visivo quando si avvicinò al cavallo del Kayne, la bocca ad aprirsi per lasciare un bacio laddove il tessuto si era fatto ormai strained. Sbottonò il bottone dei pantaloni, per poi tirare giù la cerniera con practiced ease, un gesto che era una seconda natura per chi era abituato a incontri clandestini nei luoghi più disparati. Ci ho provato davvero tanto ma non sono capace in italiano. Quello che Paris si trovò davanti non era nulla di nuovo, but the sheer size of it was always enough to invite a challenge that Paris knew he could take on. Eager to get on with it, he tugged down his boxers just below the swell of his ass and was met with what he’d craved since a long time ago. He grinned when he saw a bead of liquid rising at the tip, but he doubted he was faring much better. Paris leaned forward to catch it, his tongue sliding in between the slit, savoring the taste of it. He could make a habit of it, he mused. Paris wrapped a hand on the base of his cock to keep it in place while he started to take what he was owed, his other hand descending lower and lower until he could feel his aching hardness against his palm. He pressed the heel of his palm down on hit, half a moan starting to form on his throat. The rest of his was swallowed by Theo's length. «dove vuoi venire, theo?» e non c'era bisogno di aggiungere altro, perché pandi ed elisa si erano capite e avevano avuto questa discussione.
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    Don't know how they see me now
     
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    TW: se state ancora leggendo sapete cosa vi aspetta, quindi...


    theo kayne
    31.12.07
    london, uk
    «sei capace a tenere la bocca chiusa?»
    La voce roca di Paris non avrebbe dovuto provocargli la pelle d’oca, eppure lo fece. Tutto, di quel bacio, di quella situazione, lo faceva tremare.
    Suo malgrado, Theo si lasciò spostare da Paris, la pelle delicata del corvonero ancora stretta tra i denti, non così forte da spillare strappare ma abbastanza da vedere già le prime sfumature violacee prendere forma sulla tela altrimenti immacolata.
    Lo seguì fino a posare lo sguardo in quello dell'altro, con la mente lontana anni luce e fissa sul lavoro che era stato interrotto, e ci mise un attimo in più del dovuto a recepire le parole di Paris. Capirle, poi, era fuori discussione: non stava nemmeno parlando, perché ammonirlo di tenere la bocca chiusa?! Era davvero un vizio, quello del maggiore! Avrebbe protestato verbalmente (e rumorosamente) se solo lo sguardo annebbiato dall'eccitazione di Paris, non si fosse riflesso in quello altrettanto scuro del Kayne.
    Ma c'era anche altro nelle iridi nocciola di Paris, un permesso che Theo non era in grado di decodificare, una debolezza che non avrebbe saputo sfruttare, o un permesso che non si rendeva conto fosse destinato a pochi; non era mai stato troppo sveglio, Theo, ma per fortuna di Paris non era mai stato neppure crudele — non si sarebbe mai approfittato di qualsiasi concessione avesse voluto concedergli, ammesso che ne avesse preso coscienza.
    Si limitò invece ad accettare le sopracciglia, specchiandosi in quella vulnerabilità inaspettata e straniera, qualcosa che a mente lucida lo avrebbe preoccupato — ma non era lucido, Theo, affatto. Era su un pianeta tutto suo, uno in cui il resto del mondo non c’era e poteva passare intere giornate a marchiare la pelle del Tipton con i propri denti, anziché con le proprie nocche. Non un cambiamento radicale, certo, ma sostanziale; fisico, Theo Kayne, lo sarebbe rimasto sempre e comunque, che fossero carezze o pugni quelle riservate all’altro ragazzo.
    In quel momento, in aggiunta, c'era una sfumatura rossa ad annebbiare la vista del Kayne, un piacere che sentiva crescere e che, lo sapeva, sarebbe stato difficilissimo da mettere a tacere già così; così come sapeva che, prima o poi, il Tipton avrebbe imposto dei paletti a quell'incontro perché di certo non avrebbe permesso a Theo Kayne di violare un posto sacro come la biblioteca con i suoi atti osceni.
    Nella migliore delle ipotesi, negli scenari che stavano passando in quel momento dietro i riccioli scuri, Paris lo invitava a spostarsi altrove per riprendere da dove si erano interrotti; nella peggiore, andava via e lasciava il Kayne al suo triste destino.
    Non aveva messo in conto, però, potesse esserci una terza opzione, troppo impossibile persino per essere contemplata — figuriamoci realizzata.
    Tant'è che in un primo momento, vedendo Paris scivolare lungo lo scaffale, Theo immaginò stesse cercando di divincolarsi dalla presa, o di raccogliere qualche libro finito a terra durante la pomiciata (che razza di nerd); quando poi lo vide fermarsi, in ginocchio come una donna prostrata ai piedi del suo adorato Dio, l'espressione si fece appena più confusa, ma sostenne lo sguardo nocciola perché come avrebbe potuto guardare qualsiasi altra cosa, in quel momento?
    La realizzazione di quello che Paris stava per fare, del permesso che stava aspettando, gli giunse solo quando vide il maggiore avvicinarsi al rigonfiamento dei pantaloni, e posare un bacio sulla sua innegabile erezione. Una realizzazione che lo colpì così forte da fargli quasi cedere le ginocchia.
    Stava per–.
    Annuì con frenesia, senza nemmeno pensarci, mente completamente priva di alcun pensiero che non coinvolgesse Paris Tipton in ginocchio davanti a lui tra i fottuti scaffali della biblioteca.
    Cristo santo, aveva tutto il potenziale per essere una scena ridicola, della quale Theo avrebbe riso, se solo avesse avuto un briciolo di razionalità in più, in quel momento: Paris, prostrato e intento a venerarlo in uno dei luoghi, in tutto il castello, che il portiere blubronzo considerava più sacro.
    Che razza di kink idioti aveva, scemo pagliaccio.
    (Come se proprio Theo potesse parlare.)
    Non poteva negare, però, che lo trovasse stimolante persino lui: aveva meno a che fare con le migliaia di libri sistemati sulle mensole, e più con il fatto che chiunque sarebbe potuto passare di lì e scoprirli da un momento all'altro — ma il risultato era lo stesso, e Paris vi si ritrovava giusto faccia a faccia in quel momento, tutto il sangue del grifondoro ad affluire al centro delle gambe e svuotare la mente di qualsiasi altro pensiero (già, di per sé, rari in situazioni normali).
    Il rumore della zip che veniva abbassata sembrò risuonare come un boato nella corsia vuota, dove non volava più neppure una mosca: sembrava stessero persino trattenendo i respiri, pur di non farsi scoprire, ma Theo non era certo di ricordare come si facesse a respirare, e in tutta onestà non reputava di averne bisogno, in quel momento — sarebbe morto comunque prima di immagazzinare abbastanza aria nei polmoni per evitare il soffocamento.
    E ora — ora le parole di Paris finalmente avevano senso.
    «no» con tutta probabilità non sarebbe stato capace di tenere la bocca chiusa, o di non fare rumore — non poteva affatto prometterlo.
    Non quandoParis aveva a malapena sfiorato la sua pelle nuda con la lingua, in un piccolo assaggio di quello che avrebbe potuto ricevere, e Theo già voleva urlargli quanto lo odiasse, che fosse un cretino, e che facesse meglio a fare di più e sbrigarsi prima che la situazione potesse precipitare.
    (E con precipitare intendo: la mano di Theo a fare il lavoro che avrebbero dovuto fare le labbra del Tipton, perché il grifondoro non era mai stato un ragazzo paziente e in quel momento voleva una cosa e una cosa sola, e se non l'avesse ricevuto da Paris, avrebbe fatto da solo.)
    Le sue imprecazioni, però, vennero messe a tacere ancora prima di iniziare, dalle dita di Paris che finalmente, finalmente!, andavano a iniziare il lavoro. Theo si lasciò sfuggire un sospiro pesante che divenne subito un gemito, e tentò di nasconderlo nell'incavo del gomito per almeno provare a fare silenzio; dubitava sarebbe finita bene per loro, se lo avessero beccati in quella posizione compromettente.
    (Ne sarebbe andato del suo orgoglio; l'espulsione non lo preoccupava.)
    E poi, proprio quando Theo credeva di aver fatto suo almeno un po' di contegno, ecco che il maggiore aveva l'ardore di gemergli addosso, con le labbra ancora chiuse intorno alla sua erezione. C'era un limite all’autocontrollo del grifondoro, e quello lo superava di un sacco.
    «cccazzo–»
    Espirò, picchiando la fronte contro il bordo dello scaffale, e stringendolo con una mano fino a far diventare bianche le nocche. Era ancora tutto così nuovo per lui che faceva fatica a prendere nota di ogni sensazione, e di ogni esperienza, ma sapeva che sarebbero rimaste tutte impresse nella sua mente, e sulla sua pelle, per sempre. Era l'elettricità che pizzicava la pelle, come scariche a basso voltaggio che servivano a farlo sentire più vivo; o il martellate del cuore che, giurava!, era salito fin sulla gola e gli mozzava il fiato; era il calore di pelle contro pelle, di un movimento ritmato e controllato che minacciava la sua (poca) sanità mentale; ed era il proprio sapore sulle labbra di Paris quando, ancora in preda ai tremori dell’orgasmo, avrebbe preteso altri baci — dieci, cento, infiniti.
    Era il modo in cui Paris chiedeva, senza prendere, o pretendere, perché sapeva che dietro il pilota automatico di un corpo che si stava pian piano riscoprendo e cedeva con troppa facilità ai bisogno primordiali, c'era la paura di farlo nel modo sbagliato.
    Poche cose al mondo spaventavano Theo Kayne, ma quello lo terrorizzava.
    «dove vuoi venire, theo?»
    Riaprì gli occhi – che non si era reso conto di aver chiuso; così come non si era reso conto della mano scivolata sui capelli di Paris, che stringeva ciocche castane e implorava di fare di più – e riuscì a blaterare appena un «sì» che non rispondeva assolutamente a nessuna domanda, ma era già tanto che fosse uscito dalle sue labbra in un verso che sembrasse effettivamente appartenere alla lingua umana; tra un gemito e un rantolo roco, persino lui dubitava di saper ancora come mettere insieme due semplici parole, l'una dietro l'altra.
    In quel momento non era tanto una questione di dove venire, ma quanto più di quando e la risposta a quella domanda era: molto presto.
    Oppure sarebbe esploso.
    Serrò la presa sulla nuca di Paris, in un gesto involontario, come per invitarlo a ricominciare quanto interrotto, e a farlo con una certa urgenza, e — Uh, da quella posizione vedeva perfettamente il biondo miele cercare di farsi strada dalla radice, e quel pensiero bastò a mandarlo in overdrive e fargli stringere la presa sulle ciocche bugiarde, come a voler costringere a realizzarsi, con la sola forza della propria volontà, una realtà che lo avrebbe destabilizzato e allo stesso tempo fatto sentire più sereno; voleva ogni lato del Tipton (does this answer the question, elisa?) ma più di tutti voleva quelli che Paris nascondeva, persino a se stesso.
    Soffocò un «tipton–» contro la stoffa della manica, il pensiero di quello che avrebbero potuto fare se si fossero trovati in un qualsiasi altro posto ad amplificare l'urgenza che sembrava già abbastanza palese, la sua fantasia (non troppo spiccata, in effetti) a suggerire uno o due modi in cui quella situazione avrebbe potuto evolversi — se solo non fosse stata la fottuta biblioteca.
    Eppure, l'idea di quello che avrebbero potuto fare proprio lì, lo portò a spingere in avanti i fianchi e cercare un ulteriore contatto, di più, ancora e ancora e ancora — più forte, più veloce.
    Non era una vera risposta, ma era quello che Theo aveva da offrire il quel momento, insieme ad un «paris–» strozzato, denti a mordere la carne morbida delle labbra, mentre lasciava che Paris Tipton lo distruggesse ad un ritmo tutto suo, che lo stravolgesse, che lo annientasse e lo ricostruisse da zero.
    Glielo avrebbe permesso.
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    I taste you on my lips
    && I can't get rid of you
    so I say damn your kiss
    && the awful things you do
    (you're worse than nicotine,
    nicoteen.)
     
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