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    Contro qualsiasi pronostico, Grifondoro era in finale. O meglio, contro i pronostici di tutti tranne che di Theo, che in quella vittoria ci aveva creduto sin dall'inizio, tentennando solo appena quando si era ritrovato suo malgrado con la spilla di capitano ad interni all'inizio della partita contro serpeverde.
    «“ad interim”»
    «uh?»
    Cazzo, aveva dimenticato di Mis seduto ai piedi del divano — ma quanto era silenzioso? O forse era morto, difficile dirlo con esattezza quando si trattava di suo fratello. Giusto per accertarsi non fosse così – e per dargli fastidio, perché era un insopportabile rompicoglioni – gli diede un calcio con la punta della scarpa.
    «si dice “«ad interim”»
    «ah, vabbeh.» sai a chi fregava?! Non cambiava comunque le cose: erano in finale!!! E ce li aveva portati lui. Circa. Aveva parato (un misero goal, perché i cacciatori serpeverde facevano schifo, tièèèèè) e aveva tenuto gli anelli inviolati, aveva incitato la squadra e li aveva guidati alla vittoria — era stato terrificante e continuava a non essere sicuro di volerlo fare di nuovo, sperava tanto che Bella si rimettesse in tempo per giocare la finale, ma.
    Se pensava che quell'ultima partita, poi, l'avrebbero giocata contro Corvonero, contro il Tipton, un po' l'idea di rimanere con la spilla appuntata al petto lo stuzzicava, solo per la goliardia di sfidare l'altro capitano da suo pari.
    E niente, ancora una volta il pensiero tornò inevitabilmente al portiere blubronzo, come da mesi a quella parte era solito fare nei momenti meno opportuni della giornata.
    Abbassò la testa e lasciò che i riccioli scuri oscurassero il viso, certo di aver assunto l'espressione più colpevole di tutte, e sperando che Mis non se ne accorgesse: improvvisamente, lucidare il manico di scopa che teneva in bilico sulle gambe sembrava un'operazione di vitale importanza e Theo non aveva occhi se non per l'accessorio e gli strumenti utili alla sua cura. Che stupido pagliaccio che era. Impossibile pensare che, fino a quel momento, erano riusciti a fregare tutti e tenere… quello che c'era tra loro, qualsiasi cosa fosse, un segreto. Uno fatto di incontri clandestini tra gli scaffali della biblioteca (l'ultimo posto dove chiunque, tranne il Tipton, sarebbe andato a cercare Theo) e baci rubati fuori dagli spogliatoi prima di una partita o di un allenamento; non avrebbe saputo dire perché avevano scelto di non dirlo a nessuno, a parte i motivi più ovvi: a Theo spaventava il giudizio dei Ben10 e più in generale la loro setta, e poi stava stupidamente convincendo se stesso che, se avesse tenuto la cosa solo per loro, avrebbe fatto meno male quando, come era prevedibile, Theo Kayne avrebbe rovinato tutto mandando a puttane una delle poche cose belle che gli erano capitate quell'anno.
    Non lo aveva detto nemmeno alla Russa, nemmeno a Mis, ed era certo di aver fatto un ottimo lavoro di occultamento fino a prova contraria, e che nessuno avesse motivo di sospettare nulla: infondo, agli occhi di tutti, lui e Paris continuavano a comportarsi come avevano sempre fatto, a insultarsi e alzare le mani l'uno sull'altro, solo che ora ogni rissa aveva un po' un profumo diverso, tutto un altro significato.
    (Sbagliato, era un pessimo bugiardo il Kayne; quel ruolo era sempre ricaduto sulle spalle molto più capaci di Mis, in quella vita e nell'altra.)
    Eeeeee stava pensando di nuovo (ancora?) al Tipton, davvero uno stupido pagliaccio, ecco cos'era.
    Affossò ancora di più il viso tra le spalle, capo chino sul manico che stava sfregando con così tanta veemenza che, prima o poi, era certo avrebbe preso fuoco.
    Se Mis stava parlando (ne dubitava fortemente), Theo non aveva idea di ciò che avesse detto fino a quel momento. Per quanto lo riguardava, riusciva solo a pensare alle mani del Tipton addosso a lui, in maniera più o meno violenta, e ai segreti che loro malgrado avevano iniziato a condividere negli ultimi mesi.
    Quel pensiero avrebbe dovuto rassicurarlo, ed invece non faceva che metterlo sul chi va là, agitandolo più del previsto e incidendo pericolosamente sul suo carattere già abbastanza imprevedibile. Senza rifletterci, finì con il grattare distrattamente un lembo di pelle sull'avambraccio dove, nascosto sotto la manica della camicia e della felpa, l'inchiostro scuro aveva lasciato un marchio indelebile, un tatuaggio magico in grado di tenerlo aggiornato sulle fasi lunari di mese in mese — a Ryu, quando l'aveva guardato con un sopracciglio arcuato e l'espressione incuriosita a seguito della sua richiesta di insegnargli l'incantesimo giusto per rendere magico un semplice tatuaggio, aveva banalmente risposto di voler soli ampliare il proprio profilo, e imparare nuove tecniche. Non erano cazzi suoi il perché (o per chi.) lo facesse.
    Così come non lo erano di Mis, o di nessun altro, motivo per cui aveva tenuto nascosto anche quello; erano (quasi) gemelli, lui e il Jacksson, ma non significava che dovessero condividere proprio tutto tutto. E poi, Theo era certo che a Mis non fregasse una sega di tutto quello, perso com'era nel suo mondo pieno di creature e animali, la Biancaneve dei poveri.
    Ma così, giusto per rompergli il cazzo e ricordargli che fosse ancora lì, e per mascherare un po' quell'inusuale silenzio da parte sua, gli diede uno scappellotto sul collo. Bro. «passami le caramelle» priorità.
    31.12.07
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    Indipendentemente da quante caramelle infilasse fra i denti, il sapore di sangue sembrava incapace di scrostarsi dalla lingua. Lo sentiva sulle gengive, il palato; l’interno della guancia. Prendeva meccanicamente un dolcetto dopo l’altro dal sacchetto poggiato al proprio fianco, pigri occhi verde bosco posati sulle fiamme del camino di una sala comune che gli apparteneva solo in parte - parte quantificata dall’ingombrante presenza sul divano alle proprie spalle – ma d’altronde, Mis tendeva a sentirsi ospite ovunque andasse. Different Lodge, non era da meno. I suoi momenti all’interno della società, e non ai suoi margini, riguardavano quasi esclusivamente l’esistenza di Theo Kayne. Non era certo che in mancanza del fratello, avrebbe mai partecipato al mondo. Perfino così, il tempo concesso al genere umano era limitato e tutto a sprazzi.
    Passò la lingua sull’arcata superiore dei denti, rincorrendo i granelli dolci e aciduli con espressione assente e distratta. Divisa scompigliata, era già tanto ne avesse una, capelli in disordine, labbra curvate naturalmente verso il basso. Aveva tutta l’aria di qualcuno che fosse al proprio posto solo quando intravisto con la coda dell’occhio. Funzionava solo ai bordi della pagina, il faunocineta, o circondato da così tanto verde da non sapere più dove fosse l’inizio, e dove la fine.
    Un reietto per scelta.
    Fece scattare la mandibola, cessando di ignorare il prurito al centro della fronte per concedere al compagno del Kayne l’occhiata che tanto sembrava cercando. Dalla parte opposta della stanza, lo stava fissando da quando aveva messo piede dentro la sala comune, senza neanche fingere. Apprezzava le bugie, Mis, quando significavano meno rotture di coglioni. Quella, aveva tutta l’aria di esserlo. Ne incrociò lo sguardo, mantenendo il contatto visivo senza esprimere nulla più di quanto avrebbe fatto un animale in gabbia: non era ostile, e non era amichevole. C’era quello che avrebbero voluto vederci, perché non funzionava sempre così? Mis si limitava ad esistere, e gli altri facevano di lui la narrazione che preferivano.
    «ad interim» Corresse, impassibile, cogliendo il soliloquio di Theo. Sembrava non lo stesse ascoltando, ma in realtà, come tutto, assorbiva passivamente ogni parola del Kayne, scegliendo di frequente di sacrificarlo in favore di memorie più utili. Non aveva neanche bisogno di dare un contributo alla conversazione: Theo parlava, e parlava e parlava, dandosi spesso sia domande che risposte, e Mis interveniva solo per correggerlo quando sbagliava congiuntivo, o inventava neologismi. Senza cattiveria, solo abitudine. Non abbassò lo sguardo dall’altro rosso-oro, attendendo fosse lui a distogliere l’attenzione per primo, o fare qualcosa in merito.
    Sapeva non lo volesse lì. Il mondo poteva anche aver cambiato regole, ma non significava che a tutti piacessero: Mis era uno special; in quella sala comune, dove passava abbastanza tempo da essere ritenuto un visitatore abituale, non ce lo voleva quasi nessuno. Indovinate a chi non fregava un cazzo? Assurdo, che bravi, come avete fatto a scoprirlo. Non era aperta sfida, quella sul volto del faunocineta, perché non gliene fotteva un cazzo di iniziare l’ennesima rissa – non così presto dall’ultima. Quella mattina stessa, in forma animale, aveva azzannato un compagno, strizzando la mandibola fino a perforare carne e muscolo. Perchè? Perchè sì, cazzo – un motivo lo aveva avuto, anche se sembrava non importare a nessuno. L’avevano calciato via, costringendolo a riassumere il proprio corpo; si era raggomitolato a terra sputando sangue sul proprio mento ed il pavimento di Hogwarts. Li aveva guardati attendendo che pagassero il debito, circondandolo a bacchette sguainate ed odio più feroce del suo ringhio. Neanche di quello, gli era importato nulla. Murphy Skywalker – security, special, ribelle - era intervenuta prima che la situazione potesse peggiorare drasticamente, affermando di non sapere chi avesse iniziato quella scaramuccia, e di conseguenza che l’unica alternativa fosse sbattere in sala delle torture entrambe le parti - Mis da un lato, tre maghi dall’altro; equo, come sempre. Avevano preferito andarsene. Non durava mai a lungo.
    «stai bene?» Una preoccupazione ed un monito che il Jacksson si era scrollato di dosso come un cane dal pelo bagnato, provando un mezzo sorriso ma sentendolo estraneo. Non gli capitava spesso di vergognarsi. C’era anche da dire che passasse davvero poco tempo in una forma in grado di provare vergogna, perché le statistiche potessero essere funzionali.
    «dovresti - » Lo sapeva. In qualunque modo avesse voluto concludere quella frase, Mis già lo sapeva, perché qualcuno glielo aveva già detto. «sì» e, con una mano a gesticolare vaga di fronte a sé, «scusa» andandosene prima che la Skywalker decidesse che meritasse una allarmata paternale in merito. Davvero non se le meritava, Mis; al contrario di Theo, faceva il meno possibile per finire in quelle condizioni.
    Ma cazzo. Ci tenevano proprio tanto, in quella scuola, a rompergli i coglioni.
    Continuò a guardarlo. Battè le palpebre, affatto impressionato dalla tenacia dimostrata dal Grifondoro: sapeva che quella gente avesse un super potere per risultare fastidiosa con la potenza di mille soli, e ne aveva una prova costante con suo fratello. Mis era stato temprato alle seccature esistenziali da Theo e Lenny, per scuoterlo dal suo torpore e suscitare una parvenza di risposta, serviva un minimo più d’impegno. Avrebbero potuto passare così il resto del pomeriggio, guardandosi con quieta ostilità, se altro non avesse titillato i sensi d’animale del Jacksson. Qualcosa di così innaturale da fargli corrugare le sopracciglia e tendere i muscoli della schiena, pronto all’azione. Si appiattì contro il divano, scontrandosi con il manico di scopa del fratello.
    Il silenzio.
    E le priorità cambiavano, in casi come quello. Se normalmente non era interessato alle questioni in sospeso che la gente sembrava avere con lui per l’unica colpa di essere vivo, certo non poteva che scendere nella sua scaletta d’attenzione quando accadevano cataclismi di quella portata. Distolse lo sguardo dal Grifondoro, azzardando un’occhiata sopra la propria spalla verso il Kayne. Stava… ? Ne studiò il profilo, corrugando le sopracciglia. Stava….pensando?
    «theo» Lo chiamò, perché da qualche mese era cambiato, e Mis faticava a stare dietro a quei cambi d’umore. Erano sempre stati diversi, ma non separati – non davvero. Iniziare ad esserlo, era stranamente… solitario, e non in maniera piacevole. Sentiva di averne perso qualche pezzo per strada, e non poteva fare a meno di domandarsi se per Theo valesse lo stesso. Certo, se avesse saputo che il problema di Theo Kayne fossero gli ormoni, lo sguardo non sarebbe stato così gentile e comprensivo – anzi, una testata e passava ogni male. Due per piacere personale. Ma che ne sapeva che fra tutti, tutti, i problemi che affliggevano la loro società, quello a masticare dall’interno Theo fosse una relazione amorosa con un ragazzo perfino abbastanza normo dotato. Quale sarebbe stato il suo prossimo dramma, la forza di gravità? «theo.» lo scosse piano, le dita sulla gamba. Reclinò veloce il capo, evitando l’impatto diretto con il piede dell’infame. Non lo morse, e pensò fosse molto zen da parte sua.
    «passami le caramelle»
    Ne prese una. La infilò in bocca, arcuando le sopracciglia intenzionale. «no» rispose, masticando con gaudio, invitandolo con un cenno della mano a sporgersi e prendersela come un essere umano funzionale. «qual è il tuo problema? Sei strano» passò il pollice sul labbro inferiore, guardando la polvere di zucchero raccolta poi sul polpastrello. «più del solito» una specifica del tutto necessaria, e priva di malizia.

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    Il primo «theo» di Mis non l’aveva neppure sentito, troppo perso nei suoi film ad occhi aperti, perché a quanto pareva era ciò che succedeva quando ti prendevi una sbandata colossale, la prima della tua stupida e fottutissima e giovanissima vita, e avevi gli ormoni a palla e un unico pensiero fisso nella testa. Ugh, terribile, sconsigliato.
    Il secondo, invece, l’aveva registrato solo in maniera periferica, decidendo che forse non valeva così tanto la pena rispondere a Mis, se poi non aveva nulla di intelligente da dire.
    (Nulla di diverso dal solito, vero, ma dopotutto Theo mica ci faceva caso.)
    Fu invece il tentativo fisico dello special, a convincerlo che fosse il caso di dare segni di vita: l’ultima cosa che Theo voleva era che Mis si insospettisse e facesse domande alle quali non avrebbe saputo rispondere. Poteva sempre buttarla in caciara, o incolpare letteralmente la primissima scusa che gli balenava per la mente, perché l’altro non ci avrebbe creduto a prescindere; ma una piccola parte di lui era segretamente incuriosita dalla possibilità di suscitare in Mis una reazione, una qualsiasi reazione, se solo avesse trovato il coraggio di dirgli come stavano veramente le cose.
    Anche se, ugh, conoscendo il minore da tutta la vita, immaginava che avrebbe reagito come reagiva a qualsiasi altra cosa: occhi vuoti, labbra tese, espressione di chi vorrebbe essere ovunque nel mondo tranne che lì. Non c’era nemmeno gusto, capite?! A che pro dirgli cose se poi… boh, non si incazzava nemmeno. Zero reazioni, davvero, il Kayne avrebbe avuto più successo tentando di sganciare la bomba con una delle statue del castello.
    Perciò lasciò perdere, chiedendo piuttosto una caramella.
    «qual è il tuo problema? Sei strano» Gli rivolse un dito medio, da persona matura quale era, e si allungò oltre la figura del faunocineta per afferrare il pacchetto di dolciumi, tentando di dargli il più fastidio possibile con quell’unico, scoordinato, movimento. Manico della scopa in testa? Ok. Ginocchiata alla spalla? Perché no. Gomitata sul viso? Evvai! Era il suo sacrosanto compito in qualità di fratello gemello maggiore quello di rompere il cazzo a Mis come nessuno altro al mondo. E ci teneva a fare un lavoro come si deve.
    Che poi fosse tutta una scusa per non rispondere alla domanda del Jacksson, era un altro paio di maniche.
    Theo si infilò una manciata di caramelle in bocca, più di quante fosse socialmente accettabile (o fisicamente possibile), e si limitò a rivolgere un’occhiata confusa a Mis, stringendosi nelle spalle.
    «più del solito»
    «sono quindici anni che me lo dici,» fu la risposta al sapore di zuccherini, sputata fuori in maniera rozza e direttamente attraverso il mostruoso numero di caramelle gommose che ora cercava di mandare giù senza finire con lo strozzarsi — sarebbe stata una morte piuttosto stupida, e imbarazzante. «nemmeno tu sei troppo normale.» magari era qualcosa nei geni, considerando che nemmeno Lenny lo sembrasse essere. Ognuno di loro aveva la sua speciale dose di *stelline* problemi *stelline*, forse un marchio di fabbrica della loro sconosciuta eredità.
    «tu che hai piuttosto?» e si, aveva appena usato la sua tecnica preferita da sfoderare in qualsiasi discussione in cui non potesse rispondere semplicemente usando le mani: uno reverse card, e senza nemmeno rispondere alla domanda di Mis! «hai morso qualcuno di sgradevole? sei più musone del solito.» che era tutto un dire, eh.
    Theo sapeva benissimo di tutte le volte che Mis finiva in punizione, non solo perché spesso si incontravano in sala torture (meme di umbrella academy) ma perché, contrariamente a quanto dimostrava, era un bravo fratello e, anche se non sembrava, si teneva sempre aggiornato su quanto succedeva al fratellino; perciò sì, sapeva di quanto successo quella mattina, così come aveva percepito le bad vibes provenire dal fratello e dal concasato a qualche metro da loro. Ma non era sua mamma e non gli avrebbe ricordato che fare a botte con qualcuno fosse stupido e sbagliato — anche perché, sarebbe stato un commento comico, e incredibilmente ipocrita, da parte di Theo Kayne. Piuttosto, dopo aver riportato la schiena contro il divano ed esser tornato a lucidare il manico della scopa, gli ricordò che «se ti serve compagnia per fare il culo a qualcuno, contami. mi annoio molto.» Avrebbe dovuto studiare, certo, ma perché farlo quando poteva spaccare la faccia a chi rompeva il cazzo a suo fratello? Quello era un compito di Theo, non poteva permettere che altri lo facessero meglio di lui, duh.
    31.12.07
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