Votes taken by …oh kaz

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    I think I'll pace my apartment a few times
    && fall asleep on the couch
    2005's
    lumokinese
    belga-bollo
    kaz oh
    Con il mento poggiato sulle dita intrecciate fra loro ed i gomiti a scavare solchi sulle ginocchia, Kaz Oh guardava una mattonella scheggiata dell’ospedale. Una precisa, con una crepa nell’angolo più a sinistra. Si domandava dove fosse finito il pezzo mancante, perché le altre domande sembravano un po’ troppo pesanti per lui. In quel momento; il giorno dopo, ad occhio e croce.
    Per sempre.
    «tu non sei più mio fratello, ti odio »
    Non lo pensava davvero, Kul. Sapeva non lo pensasse davvero. Ma era un timore costante, e ci si scontrava di continuo. Ogni battito di cuore ne picchiava uno spigolo. Lo sentiva rimbalzare fra una parete e l’altra della calotta cranica come una pallina da ping pong: ogni colpo, inspirava tremulo; al rimpallo, espirava e corrugava le sopracciglia. Sulla scomoda sedia del Primo ed Ultimo Soccorso, chiamato in amicizia (e da chi lo visitava spesso, tipo l’Oh) PUS, mordicchiava l’interno del labbro inferiore e faceva le due cose che meno preferiva al mondo: aspettava e pensava.
    Non avevano dato stanze singole, ai Sedici Prescelti. Mancava lo spazio, e certo il personale. Erano stati tutti ammassati in una delle camere del primo piano, su brande misere che apparivano, se possibile, ancor più sconvenienti della sedia su cui ormai aveva lasciato la propria impronta. C’erano sedute di ogni tipo, lì dentro. L’Oh, come Riccioli d’oro nella favola, le aveva provate tutte – quelle in legno, quelle da bagnino, quelle metalliche raccattate solo Dio sapeva dove – prima di scegliere quella plasticosa da giardino. Sentiva di essere diventato ormai un tutt'uno con lei.
    Non c’era stato verso di farlo alzare, dopotutto. E perché avrebbe dovuto? Erano tutti lì: Balt e Mimmo, Thor. Kul. Ancora addormentati, la pelle segnata e sporca dal sangue che non era venuto via al primo passaggio del panno umido. Non ce n’era stato un secondo, per l’Oh manipolatore d’ombre: Kaz aveva guardato lo straccio offerto da Melvin, ed aveva scosso secco il capo.
    Più passava il tempo, più aveva modo di riflettere fra sé e sè, e più si innervosiva. Lo riteneva un sentimento migliore rispetto alle centinaia d’altri in attesa di sfondare la cassa toracica, quasi gradevole. Un pensiero sul quale ossessionarsi che non fosse tutto il resto, recluso sotto cumuli di macerie e polvere. Non aveva – non voleva - non poteva -
    E non l’avrebbe fatto, signori e signore. Neanche una singola cosa. Cuore sottochiave, e lingua appiccicata al palato. Rimase aggrappato solo a quello, Kaz, perché una cosa per volta sembrava gestibile, ed osservare il profilo del fratello ancora in convalescenza con sguardo torvo ed accigliato, era la sua alternativa migliore. Continuava a cercare di immaginare la scena di quando l’altro avrebbe aperto gli occhi, completando dieci e cento scenari diversi. Il vero saluto che non avevano avuto tempo di darsi, le confessioni, il perché della sua scelta. Le lacrime – quelle, ne aveva immaginate parecchie, perfino nel solo contesto protetto riguardante loro due, e senza includere quanto tutto il resto attendesse sotto pelle di strappare e strappare. Per qualche motivo, non accadde nulla di quanto Kaz si era immaginato in quelle ore, quando le palpebre del fratello tremolarono segnando il suo risveglio.
    E la sua mano scattò a dargli uno schiaffo sulla tempia.
    «ma sei deficiente»
    Rabbia. Poco familiare, per l’Oh. Forse aveva passato troppo tempo con la sua anima gemella, perché tremava da testa a piedi di pura, non filtrata, furia. Migliaia di motivi, ma decise di dedicarne al minore solo un paio, nessuno dei quali includesse la stretta alla gola del pensiero fosse maledettamente morto. «”cosa direbbero mamma e papà”, bohoo. ma se mamma è morta, e sai che papà mi supporterebbe!» non alzò la voce, gli altri stavano ancora (shes dead – shes meditating) riposando, ma rivedere baby allen aveva riportato alla memoria il suo talento, non così segreto, di gridare molto forte, molto sottovoce. Bisbigli indignati, quello del lumocineta. «pugnalarti alle spalle?» Unì le dita della mano destra e le scrollò, labbra curvate verso il basso. Quello, doveva averlo ereditato da Remo. «come sei egocentrico. megalomane. Kul! kul. qui si parla del mondo intero» indicò con un ampio cenno la stanza attorno a loro, ingurgitando nel senso l’universo oltre quelle porte.
    Quella Bolla.
    «pensi sia qua perchè tu hai fatto di male a me Non resistette, allungando ancora una mano per schiccherarlo sulla guancia. Che fosse messo male, dopotutto, non era una novità – non per loro, non fra loro - e si sentì del tutto in diritto di mettere il dito nella piaga. Metaforicamente parlando.
    Il prezzo da pagare per avergli spezzato il cuore. Frantumato sotto il tallone, senza alcun maledetto rimorso. Parole dure, sputate come fottuto veleno solo per fargli del male: quella, era cattiveria gratuita. Quello era pugnalare qualcuno, alle spalle e tutto intorno. «rimanere da solo... ridicolo» incrociò le braccia al petto, sentendo il primo brivido lungo la schiena – non l’ultimo, immaginava. Cercò comunque di tenerlo a bada, perché non era pronto. Non lo era, ok? Scelta, sì, ed aveva fatto la sua; no, non sarebbe tornato indietro. Non significava che ne fosse euforico: tutti dovevano fare dei sacrifici. «hai papà. hai gli amici. hai tutta la vita» ed eccolo, il seme originario di quella rabbia.
    Aveva scelto tutto il resto, Kul. Rispetto alla cosa giusta, rispetto a lui. Ed anziché capirlo, fidarsi, e conoscerlo abbastanza da sapere che non avrebbe messo sull’altare la sua intera esistenza se non fosse stato sicuro ne sarebbe valsa la pena, parlava di tradimento? A Kaz, che incarnava tutti gli ideali per i quali avevano sempre combattuto? Insieme, per giunta. «questo è il momento in cui mi chiedi scusa.»
    If I don't say this now, I will surely break
    As I'm leaving the one I want to take
    Forgive the urgency, but hurry up and wait
    My heart has started to separate
  2. .
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    lumokinese
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    kaz oh | tw hurt comfort
    Kaz si sentiva come Jim Hawkins, il protagonista del pianeta del tesoro.
    Non coraggioso, né intraprendente. Non audace, o disposto a rischiare tutto pur di arrivare al proprio obiettivo. Non c’entrava neanche il blob Allen che popolava i suoi incubi ed i suoi peggiori momenti di veglia: come Jim, di risposte non ne aveva.
    Mai avute, e certo non nel futuro prossimo del furente sguardo di Theo Kayne.
    Dov’erano e quand’erano racchiudevano gli enigmi della natura umana dall’inizio dei tempi, e non sarebbe stato il quasi diciottenne Oh a trovare un punto a parentesi che persone più sagge di lui non erano state in grado di chiudere. Aprì la bocca e la richiuse, il sorriso a spegnersi lentamente e la mano ancora alzata a salutare i suoi fan (quello che “theo pensi sia dominic” aka Cory e “theo ma tu lo sai parlare l’alfabeto f-f-farfallino” aka il senor Didi) mentre la gravità della situazione iniziava a pesare fra le scapole. Appiattendolo. Togliendoli quel poco d’ossigeno trattenuto fra le guance dopo la guerra.
    Tenne gli occhi sul vetro, incapace di incrociare lo sguardo del Grifondoro. Sentiva dal suo tono che avesse bisogno di qualcosa, e sapeva di non essere, in quel momento e forse mai, nella posizione di darglielo: stabilità, sicurezza. Certezze. Avrebbe voluto Theo potesse fare affidamento su di lui, ma non poteva offrirglielo, perché non sapeva un cazzo ed aveva paura, ok? Un fottuto terrore a congelare il respiro sulla lingua.
    Sparire era un’alternativa ben peggiore a morire. Era un soldato, sapeva che certi rischi esistessero – ma sparire, abbandonare tutti? I suoi amici, la sua famiglia. Lo stavano cercando? Lo credevano morto? Avevano scelto il suo lato migliore per le foto segnaletiche?
    Gli mancava?
    O le loro vite sarebbero andate avanti tranquillamente, come nulla fosse stato. Altri amici, altri fratelli. Altri membri della squadra, nuovi idoli di cui seguire la scia al castello. Un barista neo assunto a coprire i suoi turni. Un altro bambino dagli occhi grandi da pucciare nel vaso della speranza liquida, per poi farlo rotolare nel marciume del mondo ed aspettarsi ne uscisse comunque brillante.
    Cosa aveva lasciato di sé, alle persone.
    Come l’aveva cambiato, quel mondo.
    Il suono metallico scosse il torpore del corpo senza spazzare la nebbia della mente. Agì d’istinto, perché nel cuore più nudo e sincero delle cose, dalla sua prima nascita, Kaz era quello: senza capire cosa stesse succedendo, afferrò il Grifondoro tirandolo verso di sé, schiacciando entrambi contro una delle pareti della stanza.
    Una granata, suggerì la memoria lessicale, incontrandosi a metà strada con quella muscolare. Stava ancora strizzando Theo contro il proprio petto, lo sguardo a cercare l’oggetto di metallo e la schiena esposta all’ambiente, quando il gas iniziò ad invadergli i polmoni.
    Era molto stanco, Kaz Oh. Quindi rise istericamente all’orecchio del compagno, mormorando un
    «pensi sia quello esilarante»
    e «mi sento in un luna park»
    ed un sempreverde «mr kayne i dont feel so good»

    Aveva la camicia hawaiana stropicciata. Il mento incrostato di sangue secco.
    «vi piace il mio cosplay? Edward cullen per adulti» passò le dita della mano libera fra le ciocche corvine, e strinse abbastanza da impedire alla mano di tremare. Il sorriso era esagerato, come tutto dell’Oh; lo mantenne comunque, perché c’erano dei suoi compagni di scuola, santiddio, e persone armate a tenerli in ostaggio. Doveva essere quello responsabile, fra loro; quello divertente, e sicuro di sé. Agganciò il braccio ammanettato sulla spalla del Kayne, costringendolo ad auto censurarsi con la sua stessa mano tirata verso l’alto.
    Non fare cazzate.
    Si era affacciato serio sulla stanza, ed incrociando lo sguardo di Diaz, aveva fatto solo un cenno del capo – stava bene, andava bene, era tutto sotto controllo – perché aveva diciassette anni e mezzo, era un ribelle, un sopravvissuto alla guerra di primavera, non voleva affatto mettersi a piangere e farsi abbracciare lasciando ad altri la responsabilità di mantenere contegno.
    I primi segni di vero cedimento avevano colpito trovando il profilo di Moka e Sin, perché erano morti ed era anche colpa sua e non erano più ribelli e perché non erano più ribelli lui quel mondo non lo capiva, ma era stato certo di essere ad un passo dalle lacrime quando aveva visto Kyle, un passo nella sua direzione prima ancora di rendersi conto di quanto stesse facendo.
    Si era frenato, appena in tempo. Con il cuore in gola e lo sguardo lucido, aveva piroettato sul posto trascinando Theo dai suoi compagni – uau, quanti Grifondoro – alzando le mani per mostrarsi innocuo e disarmato, finendo per piazzarsi non troppo casualmente fra il resto dei ragazzi e le guardie armate.
    «ew. Non so perché l’abbia detto»
    Forse perché sei drogato e probabilmente state per morire?
    «potrebbe, sì»

    Coi pugni stretti e i pensieri fragili, guardati adesso
    Crollavi sempre anche con basi stabili
    ma ora detesto pensare a te come una di quelli lì che ci hanno perso
    Pezzi di loro per darne agli altri
    Pezzi di cuore come gli scarti


    fa un cenno con il capo a diaz, occhioni lucidi a moka e sin, sta quasi per nascondersi dentro la maglia di kyle ma preferisce fare lo smartass con il resto degli studenti perchè ha una reputazione da salvaguardare
  3. .
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    17 y.o.
    lumokinese
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    kaz oh | tw hurt comfort
    «theo kayne»
    senza virgola, ed in seguito ad un lungo, ponderato, silenzio. Non gridò neanche, che di per sé doveva già essere un campanello d’allarme. Kaz Oh era una brava persona, e non perché l’avesse deciso a tavolino un casuale giorno della sua vita. Lo era perché ci provava, ogni giorno, a fare la scelta migliore. Forse non più saggia, non in quella vita, ma credeva davvero di star facendo la cosa giusta. Perfino nelle sue reazioni esagerate, cercava sempre di moderarsi, e capire il punto di vista altrui.
    Non quel giorno, signori miei. Perchè ci aveva provato, e si era comportato bene, e quello che aveva ricevuto dopo numerose violenze fisiche, era stata una fottuta testata in faccia: non era così paziente o zen da sopportare i capricci di un adolescente psicopatico.
    «mi hai rotto i coglioni» e gli sputò il sangue direttamente in faccia.
    Si sentì subito meglio. Forse poteva davvero puntare tutto sulla carriera da villain, anziché il paladino: dava più soddisfazioni. Sorrise, con il liquido scarlatto a colare sul mento. Non gli disse che gli altri avessero ragione a definirlo animale, perché a Kaz piaceva andare contro corrente, ed il pensiero comune tendeva sempre ad essere di gregge, e derisorio. Non gli disse neanche che per i cani rabbiosi ci fossero solo due strade, addestramento o puntura indolore, perché Theo era un bambino, e per quanto i bambini fossero sinceri, nessuno di loro era pronto a ricevere la stessa moneta. Non mantenendo un minimo di sanità mentale. Non diventando adulti migliori di chi li aveva preceduti. «non puoi comportarti sempre così, devi iniziare a controllarti. Viviamo in una società» osservò in tono forzatamente allegro, asciugando con il palmo le lacrime scivolate involontarie sulle guance. «skincare» mormorò, caso mai quel bastardo di un Grifondoro fosse interessato al suo benessere, scrollando la mano impregnata di sangue e pianto sul pavimento della stanza.
    A quanto pareva, niente villain arc quel giorno per Kaz Oh. Magari un altro.
    (Più probabilmente, mai).
    Era un ribelle, era abituato ad incassare; il naso non gli faceva abbastanza male da essere rotto, quindi il suo profilo non sarebbe stato rovinato. Il mondo era ancora al suo posto. Andava tutto bene. E se Theo non gli avesse appena tirato una testata in fuckin faccia, un suo segreto glielo avrebbe anche detto – ma era una brava persona, non un martire, ed il Kayne in quel momento non gli piaceva abbastanza per confidenze da sleepover club. Vi dirò di più: il Grifondoro occupava uno scalino così basso in qualunque scala gerarchica, che non gli interessava un suo segreto, motivo per cui non insistette oltre. Cosa avrebbe potuto dire di così scabroso, che dormisse la notte senza mutande? Poteva sopravvivere anche senza saperlo. Meglio, perfino.
    «secondo te… ci stanno guardando? se non è per l’oblinder, cosa pensi che vogliano?»
    Non gli rispose. Si finse occupato a tamponare il sangue con i suoi uccelli esotici, piuttosto che guardare un ragazzino in faccia e dirgli che fossero lì perché avevano fatto l’unica scelta possibile, e la più sbagliata. Non vedeva altri motivi per cui loro due – un mago, uno special, e persone così diverse - avrebbero dovuto trovarsi ammanettati in un posto in cui non funzionava la magia, se non il fatto che fossero entrambi Ribelli. Aveva bisogno di un attimo per … valutare la situazione, e capire come uscirne. Non aveva senso porsi problemi, se non si era in grado di risolverli.
    Poi Theo ebbe il suo momento epifania nei riguardi della pioggia. Un fiume di parole che ascoltò solo in parte, cercando piuttosto di alzarsi e trascinarsi appresso il fanatico con cui condivideva l’anello delle manette. A chi importava del Quidditch? Kaz era capitano solo per dimostrare qualcosa, a sé e gli altri, ma l’unica cosa che conosceva dello sport, erano gli scandali.
    E solo quelli divertenti o tragici, come l’Huxley o la Dallaire. Manco il coma di Piz, faceva scattare familiarità nella mente del belga.
    Poi cioè, che strana ossessione. Non è che il meteo avesse sempre ragione, anzi. E così mago centrico, il suo pensiero, quando c’erano special letteralmente in grado di cambiarlo: magari qualcuno che per quel giorno avesse programmato un pic-nic.
    Fortunello. A lui manco un biscotto della fortuna. Sigh.
    «cavolo.» con tono un po’ ruvido, un po’ grezzo. Forse non gli uscì neanche in inglese, quell’imprecazione morbida lì. Aprì la bocca; la richiuse quando sentì il sapore del sangue, che cercò di non guardare (difficile, considerando ci stesse affogando, ma era un fiero sostenitore del pensiero positivo, ed il suo manifesting era tutto per non percepirlo).
    «theo. theo. ce ne sono degli altri» lo strattonò, indicandogli le finestre al loro fianco e di fronte a loro. Agitò il braccio per mostrare le manette, così che capissero fossero in pericolo.
    Lo erano anche loro? Pensa. Che mondo piccolo.
    «oddio…. Abbiamo un sacco di inchiostro. BELLA!» sorridere causò un altro sanguinamento, e quasi ne bevve abbastanza da auto trasformarsi in vampiro. «SCRIVIAMO SULLE LENZUOLA?» Anche perché pur non essendo miope, a quella distanza non riconosceva nessuno – e non avrebbe chiesto all’altro, che fra i tanti problemi, come già aveva dimostrato pensando Kaz non fosse bello (!!!), aveva anche la vista.
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    17 y.o.
    lumokinese
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    kaz oh | tw hurt comfort
    Era uno scherzo? Aggrottò lievemente le sopracciglia, ricambiando l'occhiata feroce del Kayne con uno sguardo perplesso e condiscendente.
    «ma ti sei visto»
    Battè le ciglia, perchè non poteva credere di essere appena stato paragonato a Theo, e seriamente. Se si era visto? Bitch, non solo si era visto, ma negli anni si era preso cura di sè, cosa che il tappeto di punti neri sulla fronte del Grifondoro dimostrava l'altro non avesse mai fatto. Era alto, muscoloso il giusto senza sembrare deforme, aveva capelli lucenti e setosi, una pelle morbida e perfetta, e labbra più soffici di un bel sogno. Non sapeva come esplicare il senso di alienamento nel sentire il ma ti sei visto borbottato dal portiere. «fai sul serio?» si sentì di domandare, in piena fede.
    «se non ti conoscessi, direi che sei solo o molto invidioso, o molto innamorato, Kaz.» Sfarfallò rapido le ciglia, sentendo la bocca tendersi spontanea in un sorriso, e lo sguardo scuro, da alienato, farsi quasi intenerito. «oh, bubi» e si avvicinò per schioccargli un bacio sulla fronte, perché mai come in quel momento sentì pesare l’anno e mezzo fra sé ed il Kayne. Posò flemmatico la mano libera sulla sua spalla, guardandolo con più serietà di quanta ne avesse riservata allo scoprirsi ammanettato in un hotel. «alle elementari, forse» Ma con l’evolversi del genere umano, neanche i bambini adottavano più quelle tecniche di seduzione.
    «va bene. sei bellissimo» Non diede neanche peso al tono accomodante dell’altro, considerando avesse finalmente detto qualcosa di vero e sensato. Era proprio vero che una prima volta ci fosse per tutti! Sorrise, brillante come una lampadina al neon, passando le dita della mancina fra i capelli corvini. «oh my, grazie» «ma ora davvero, basta con le stronzate.» La smorfia divertita scivolò lenta ma inesorabile dal volto dell’Oh, riportato tristemente con i piedi per terra: ora capiva perché Theo non avesse amici. Non sapeva se fosse abbastanza altruista da take one for the team e sacrificarsi per permettergli un degno redemption arc dove fosse una compagnia piacevole e non una spina nel fianco. Si annotò mentalmente di pensarci. «chissà come hai fatto a sopravvivere tutti questi anni» Fece spallucce, abbastanza maturo da non fare uno reverse card, perché almeno uno dei due doveva mantenersi umile e modesto. La piega delle labbra appena curvata verso l’alto, però, suggeriva che quello non fosse mai stato un problema per lui, ma che invece pensasse fosse adorabile e divertente che a sollevare la questione fosse una bomba ad orologeria come il biondino. Oh bubi x2. Momento di tornare seri, e non perdersi a domandarsi se la sera prima avesse fatto skincare – sentiva la pelle tirare, segno che non fosse idratata quanto avrebbe dovuto: dov’era la sua crema idratante, e perché nessuno aveva messo a disposizione della protezione solare sul loro comodino? Magari avrebbe dovuto controllare in bagno. Sollevò gli occhi scuri verso la porta della stanza che credeva affacciarsi sui servizi.
    «sì, ma non sapevano fossimo svegli!!!»
    «e chi te l’ha detto» scandì, senza guardarlo, alzando piuttosto lo sguardo sulla poco distante superficie riflettente. «hai fatto i test per le telecamere come consigliano su tiktok?» Uno, e due, chi mai avrebbe rinchiuso delle persone in una stanza senza monitorarle. Quale sarebbe stato il punto. Kaz non aveva una grande mente criminale, ma un briciolo di senso logico, sì. «ho fatto risse ridotto molto peggio. cosa vuoi che sia un pollice rotto?» L’atteggiamento di Theo iniziava a diventare ridicolo, e l’Oh inspirò profondamente. Chiuse gli occhi, la mano a stringersi sulla propria bocca. «non siamo a scuola» sibilò, perché che credesse le sue scaramucce con i compagni fossero la stessa cosa rispetto a quello, era sinceramente preoccupante. Risse? RISSE? E MAGARI ANCHE UNA BATTLE DANCE. PREFERIVA LA SUA VERSIONE INIZIALE DOV’ERA TUTTO UN INCUBO ED ERA DESTINATO A PROVARE SULLA PROPRIA PELLE CHE THEO NON USASSE IL FILO INTERDENTALE, OH BRING ME BACK TO THE START. Voleva parlare disperatamente con qualcuno che non avesse l’età mentale di un duenne, prima che Theo lo trascinasse nel suo vortice oscuro. «dì la verità, stai solo cercando una scusa per rimanere legato a me. non ti facevo così disperato, sai.» Fu con sincera disperazione che ruotò gli occhi sul Kayne. «ma magari. Invece sei pure una palla» non c’era traccia di cattiveria nella voce dell’Oh, perché non voleva ferirlo. Ai sentimenti di Theo, non pensava proprio: c’erano i suoi, ed erano devastati dall’essere legato a qualcuno che non lo apprezzava. «ma.» Pausa.
    Se quello era il love language di Theo, sorgeva spontaneo il: «theo kayne. Ci stai provando con me?!» mandava messaggi contrastanti, quindi probabilmente sì. Non poteva biasimarlo, anzi, credeva ne avesse tutte le ragioni – e quello bastò a farlo sorridere, di nuovo ottimista e di buon umore. Forse un po’ di senso e buon gusto, lo possedeva davvero.
    «la prossima cosa che mi chiederai, come minimo, sarà quella di spogliarmi.» Non lo guardò neanche, considerando fosse già nudo. Per qualche motivo (che speriamo tutti non fosse non aver trovato una maglia per un SEDICENNE, AIUTO, ma che razza di assurda percezione di sé aveva nella sua mente di se stesso?!). «da nudo hai meno probabilità di sudare e puzzare» osservò, placido. «ma se ti senti a disagio, puoi avere la mia camicia? » abbassò lo sguardo sulla stoffa variopinta. Gli piaceva, quell’aria da chill, chill che gli donavano i tropical birds. Si sentiva, in qualche modo, un soldato in incognito in ambiente ostile. «gli uccelli piacciono più a te che a me» perché sono bestie, mica per altro. Era pur sempre Kaz.
    E poi la lettera. Il San Valentino. La sensazione di sbagliato a farsi strada fra le costole, strappato dalla mano sul colletto a trascinarlo a pochi minacciosi centimetri dalla faccia tonda del Grifondoro.
    Più o meno quando la pazienza dell’Oh era finita, perché c’era un limite al numero di volte che un sedicenne poteva maltrattarlo – soprattutto se brutto. Sì, purtroppo era così superficiale. Approfittò dello slancio per azzerare la distanza fra loro e baciarlo sulla bocca, perché finché poteva avrebbe perlomeno mantenuto la linea del pensiero make love not war.
    «fallo un’altra volta e ci metto pure la lingua» non apprezzava passare per il molestatore sessuale, ma preferiva comunque quello al dargli una testata – che meritava, mind you. Si pulì le labbra sulla spalla, grugnendo piano.
    «che hai detto?»
    «c’è scritto buon san valentino» ripetè, tutto corrucciato dall’uso affatto modico della violenza dell’altro. «ma è impossibile sia l’oblinder» canon che in amicizia avesse lo stesso nome on gdr. «mi rifiuto di pensare tu possa essere la mia anima gemella. Senza offesa» con un po’ di offesa.
    Si girò supino guardando il soffitto. «ne ho sentito parlare. E c’ero l’anno scorso, con ficus!!! ma era ...diverso» per molti motivi. «magari è qualcuno che ha voluto imitare il Grande Gioco senza avere abbastanza competenze. Bocciato. Magari, eh! Una notizia migliore rispetto ad un rapimento… specifico» assolutamente ignaro di quanto frullasse nella mente del Grifondoro, continuò a parlare. «forse c’è un modo semplice di uscire. Prova a dirmi un segreto» Magari per sbloccare le manette ci voleva un momento di vulnerabilità emotiva?
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    kaz oh | tw hurt comfort
    Una vera fortuna che Kaz non avesse problemi di intimità, perché Theo Kayne stava davvero mettendo check – il simbolo, non il Vibe, ma ciao custode! - ad ogni atto impuro presente sui tag di ao3. Minchia, se solo fosse stato una briciola attratto dal Grifondoro, forse a quel punto avrebbe perfino funzionato: trattenne l’aria in un sospiro sorpreso, quando si ritrovò schiacciato a terra dall’imponente peso del ragazzo. Un audible gasp ammirato. Poteva apprezzare il non troppo velato rizz dell’altro, abbastanza da sollevare gli angoli delle labbra nel più vago dei sorrisi. Era tutto materiale per le sue storie, quelle scritte su internet non la sua spank bank (e sì, aveva quasi diciott’anni, ne aveva una.) …. ma forse. A ben pensarci. Era un racconto eccellente per i posteri. Avrebbe solo dovuto cambiare l’altro addendo di quell’operazione, dubitava al mondo esistesse qualcosa di meno eccitante di una bestia perdi bave come il Kayne, ma poteva lavorarci.
    «abbassa la voce, cazzo. metti che qualcuno ti sente?!?»
    Inarcò un sopracciglio, poggiando distratto le dita sulle gambe di Theo. Proprio l’inizio di un qualsiasi soft porno, se solo non fossero stati Theo e Kaz - uno a pensare di essere all’interno di un complotto di illuminati, e l’altro nel suo AU. «e quindi? Che ci sarebbe di male» sinceramente perplesso, perché per quanto non fosse il suo tipo – e viceversa, per quanto assurdo fosse: IM EVERYONE’S TYPE – non era troppo disturbato dall’idea che qualcuno pensasse avessero consumato la loro passione in un motel dalle lenzuola pulite e neanche uno scarafaggio. Insomma, c’erano reputazioni peggiori, ed aveva lui tutto da perdere in quello scenario. Era sua la nomea a rischio, mica del Grifondoro. Quindi…? Passato il momento di stupore, Kaz non ci trovò più nulla di strano nell’avere l’altro a cavalcioni su di sé: non era la prima volta, e dubitava sarebbe stata l’ultima, considerando il tempo che entrambi passavano al Quartier Generale ad allenarsi. Trovava il contatto confortevole, familiare. Davvero tentato dall’afferrarlo per la maglia, tirarlo verso di sé, e stringerlo contro il proprio petto. Era un tipo da cucciolata, l’Oh – da farsi strizzare, e farci un sonnellino. Si trattenne solo perché Theo non sembrava essere sulla sua stessa lunghezza d’onda.
    «MA COSA STAI DICENDO SMETTILA DI URLARE COSE SENZA SENSO»
    IL DISRESPECT CON CUI CRESCEVANO QUEI RAGAZZINI! Gonfiò le guance offeso, spalancando gli occhi neri. «IO FACCIO QUELLO CHE VOGLIO» con tanto di gomito a sorreggere il proprio peso, sollevato abbastanza da terra da poter piantare un indice contro la fronte del Grifondoro. Con chi credeva di star parlando?! MALEDUCATO. LA GERARCHIA. Come se poi quell’attitudine se la fosse mai meritata: erano più le volte che le prendeva – non da Kaz, Kaz era un angelo – che quelle in cui le dava, ed i problemi di gestione della rabbia avevano smesso di andare di moda una decina d’anni prima. Il nuovo trend era abbasso la tossicità mascolina, e pensieri positivi e di rinforzo. Gli schiccherò il naso, giusto per dimostrare il suo punto.
    Non si sprecò neanche a spiegargli chi fosse Jimmy. Non aveva importanza, la custodia era sua.
    «che guardi.»
    Kaz era un bugiardo molto selettivo, ed il Kayne non rientrava nella cerchia di persone che meritava, come condanna od omaggio, le sue menzogne. Quindi «pensavo che sei proprio bruttino» perché era vero «e che secondo me puzzi» perché era importante. Il tutto con un tono morbido ed affatto polemico, come stesse leggendo da un’etichetta. «hai i capelli crespi. Non usi il balsamo» non una domanda, ma un grande, enorme punto negativo nella sua personale scala di punti. «e se proprio VUOI SAPERLO, sembri anche uno che NON USA IL FILO INTERDENTALE né si lava la lingua!!!!» e di conseguenza, l’aria di uno con l’alito pesante. C’era gente a cui piaceva, non giudicava, ma non era Kaz quella persona: lui solo fiori e menta e mandorle (cianuro).
    Ne sentì quasi la mancanza, quando scivolò per sedersi al proprio fianco. Una fitta ingiustificata al petto temendo lo lasciasse da solo, cieca al fatto che non potesse a causa delle manette. Kaz era indipendente, ma non significava che gli piacesse: preferiva tenersi qualcuno al proprio fianco, finché poteva. Impossibile da cancellare la sensazione che il suo tempo, non sapeva quale, stesse scadendo, e non avrebbe più potuto avere… quello. Un alleato, se non un amico.
    Fu più o meno a quel punto che strillò con quanto fiato avesse nei polmoni per cercare di farsi udire dalle stanze vicine. Spalancò le palpebre alla mano schiaffeggiata sulla sua bocca, sentendo già la pelle bruciare.
    Ma la smetteva di colpirlo?
    «ti uccido.» Lo guardò con sfida.
    E come tutte le persone normali – tra l’altro, penso sia successo anche l’anno scorso con Mort: deja vu? - gli leccò il palmo, così che lo lasciasse.
    Lo guardò intensamente negli occhi. «sono troppo bello per morire» haters gonna hate.
    «ti sei calmato?»
    La cosa sbagliata da dire, come avrebbe immaginato chiunque con un minimo di senno. Fu più o meno a quel punto che l’Oh iniziò a ribollire piano – in altri contesti, avrebbe iniziato ad illuminarsi come un OkkydyLynch qualsiasi – sguardo scuro fisso in un punto oltre le spalle del Grifondoro. Lo sentiva parlare, e parlare e parlare, ma riusciva a pensare solo a quel ti sei calmato? come se la sua fosse stata una reazione isterica e non una strategia. BEH, BENVENUTI NEL NUOVO MONDO, POTEVA ESSERE ENTRAMBE LE COSE! Si era fatto seria in fretta, l’Oh, responsabile solo quando strettamente necessario, e professionale. Ed offeso, certo.
    Profondamente, offeso.
    Ascoltò le sue considerazioni con il cipiglio seccato che meritava, ma valutandole in maniera obiettiva: no, non credeva neanche lui fosse una lezione.
    Tono privo d’inflessione, nel «qualcuno ci ha messo qui dentro. Lo sanno che siamo qui» con cui riportò infine l’attenzione sul Kayne, osservandolo di sottecchi. Se il suo gridare avesse portato lì qualcuno di poco desiderabile, tanto meglio: avrebbero avuto delle risposte, e finalmente una valvola di sfogo per la violenza del Grifondoro. Non era fatto per aspettare, Kaz. La pazienza non era certo una delle sue virtù. Che avrebbero dovuto aspettare, poi?? «non ho forcine, ma magari possiamo guardare sotto al letto?» si spalmò per terra senza attendere risposta, trascinando con sé anche l’altro ragazzo. «se ti rompi un pollice per liberarti, poi hai una mano fuori gioco, LE BASI! ASSOLUTAMENTE NO! Piuttosto passiamo il tempo che ci rimane ad allenarci a lavorare in coppia. ammanettati» non una frase che pensava avrebbe mai detto, eppure eccolo lì.
    Arricciò il naso, allungando quanto possibile il braccio sul pavimento per cercare qualcosa con cui aprire le manette. «e non salterò dalla finestra sei FUORI DI TESTA» whisper shouting is back, everyone! «possiamo provare ad uscire dalla porta almeno, prima??» forse in fondo avrebbe saltato dalla finestra. Aveva visto abbastanza video di parkour da potercela fare (non avrebbe mai potuto farcela.). «no, non ricordo cosa abbiamo mangiato. ma poi in che senso scoprirci, scusa, sanno già che siamo qui, babbeo» Una pausa.
    Rotolò sul pavimento fino a trovarsi faccia a faccia con il suo compagno.
    «forse dovremmo gridare più forte e poi nasconderci. Se ci stringiamo, qua sotto ci stiamo» ebbe perfino l’audacia di sorridere, perché doveva ammettere che se non pensava al fatto che sarebbero MORTI PERCHè I MANGIAMORTE LI AVEVANO RAPITI ED OBBLIGATI AD UNA SEDUTA DI LAVAGGIO DEL CERVELLO, era tutto molto divertente. Sentì qualcosa sotto i polpastrelli, e trionfante lo portò fra sé ed il Kayne.
    «UNA LETTERA»
    UNA LETTERA!
    «BUON SAN VALENTINO!»
    BUON SAN VALENT- «aspetta»
    cosa.
    Coi pugni stretti e i pensieri fragili, guardati adesso
    Crollavi sempre anche con basi stabili
    ma ora detesto pensare a te come una di quelli lì che ci hanno perso
    Pezzi di loro per darne agli altri
    Pezzi di cuore come gli scarti
  6. .
    I think I'll pace my apartment a few times
    && fall asleep on the couch
    17 y.o.
    lumokinese
    rebel
    kaz oh | tw hurt comfort
    «così ora hai detto a tutto l’hotel, e a tutta la regione, che siamo svegli, bravo.»
    Ma pensa te. Pensa te. Si massaggiò la fronte ed arricciò il naso, drizzando la schiena con rinnovata dignità.
    «non sarò il tuo piccolo sporco segreto, kayne.»
    Nel suo AU aveva tutto senso, ok? Non avrebbe saputo elaborare come, implicava troppe linee sovrapposte fra loro che nulla c’entravano le une con le altre. Che lui e Theo avessero una relazione, ad esempio, e che per qualche motivo fosse l’amante del Grifondoro; che fossero in quell’hotel in una delle loro scappatelle OH MIO DIO QUALE AU ERA TUTTO VERO CHIARAMENTE ALTRIMENTI PERCHè HO UN HOTEL LE GASP? «MA ABBIAMO FATTO SESSO???» Ricacciò indietro la testa come una tartaruga, studiandolo con rinnovato interesse. Non ricordava …? Neanche di averlo mai voluto…?
    Perchè non l’aveva mai fatto, non avevano vissuto alcun momento intimo, Theo non era manco sposato e quello non era il motel di una scappatella infedele? Mh. Forse sì, erano buoni motivi per non averne memoria. La realtà sembrava essere molto meno divertente, però.
    Per una questione di principio, incrociò le gambe e rimase testardamente a terra mentre il Kayne provava ad alzarsi, ancora confuso da quanto stesse succedendo. Ma che razza di sogno assurdissimo era? Kaz si amava troppo per vivere in un mondo onirico dove THEO KAYNE lo maltrattava ed era così… rude, e grezzo. Meritava di sentirsi una principessa anche quando chiudeva gli occhi, e solo complimenti. Cos’avrebbe detto di lui Freud se l’avesse visto in quel momento? Forzò il braccio a rimanere ad altezza del proprio mento, causando all’altro di rimanere incastrato in una posizione scomoda ed ingobbita. Non un problema suo.
    «la pianti di dire scemenze?!» E DA QUANDO AVERE UNA COTTA PER LUI ERA UNA SCEMENZA? Era bello, e di successo, coraggioso! Un sopravvissuto! ERA UNA FUCKIN CATCH PER CHIUNQUE. «BEH OK, NON MI MERITAVI IN OGNI CASO» Andava sempre così con gli uomini, subito pronti a spezzargli il cuore. Avrebbero potuto avere tutto insieme! Un… sacchetto di farina da adottare come figlio di nome JIMMY! L’avrebbero portato sull’altalena, e ricucito con lo scotch quando si fosse immancabilmente bucato ed avrebbe perso granelli per strada, poi l’avrebbero tenuto a dormire nel letto fra loro, scaldato dai loro corpi, mentre si guardavano amorevolmente da sopra il cappuccetto barilla. «E MI TENGO JIMMY!» Non avrebbe pianto. Era tornato da una guerra, non avrebbe pianto solo perché Theo Kayne non voleva avere un pacchetto di farina con lui da crescere fino a che non fosse diventato una pagnotta.
    «mi stai sfidando?!»
    «DAI SU PRENDIMI CAZZO» c’era la virgola, da qualche parte. Non sollevò le braccia, lasciando all’altro l’ingrato compito di sollevarlo a peso morto.
    Ridacchiò anche, dei vani tentativi del compagno. «ho visto film che iniziavano così. Questo è il momento in cui ti trascino per terra e -» certi pensieri era meglio tenerli per se stessi, perché il solo pensiero di renderli concreti, bastava a dipingergli in volto una smorfia tutt’altro che intrigata.
    Ew. Davvero ew. Guardò ancora il ragazzo, soppesandolo con aria solenne.
    Nope. Decisamente non il suo tipo, non quando provava in tutti i modi a non sedurlo. Kaz Oh era un narcisista, e come tale, per infatuarsi doveva essere amato e venerato. A meno che ad amarlo e venerarlo non fosse stato l’alieno di Tooth, in quel caso FANCULO ALLAN NON TI AMERò MAI OK? MI RICORDO DI TE DENTRO DI ME E NON MI è PIACIUTO NEANCHE UN PO’. VIOLATO.
    Poi accadde. L’impensabile. Tre parole che bastarono a rovinare tutto – no, non “Kaz sei brutto”, ma avrebbero sortito lo stesso effetto.
    «non stai sognando.»
    Una pausa di riflessione. Kaz, da quella peculiare posizione ravvicinata con un Kayne che lo malmenava e tentava di trascinarlo come il sacco di una lavandaia, battè le palpebre.
    «figurati» scandì, piano.
    Perchè non aveva senso. Nulla? Punto interrogativo?
    «sei sveglio. ma a questo punto immagino sia… boh, un test? una prova? sai…magari… la hatford………..»
    Oh… oh. Non il suo cognome, purtroppo.
    Aprì la bocca e la richiuse, guardandosi seriamente attorno per la prima volta. L’espressione sorpresa e sognante di poco prima, sostituita da occhi attenti e riflessive, spalle tese e pugni a chiudersi e riaprirsi. Dischiuse le dita, cercando di creare una sfera di luce nel palmo.
    «non c’è magia» osservò, un tono ben diverso da quello usato in precedenza. Si alzò velocemente, e dovette appoggiarsi al compagno per non rotolare a terra in preda alle vertigini. Rimase stretto a lui – no homo, tho – cercando di … pensare. Aveva senso fosse un test. Guardò Theo, e non ebbe bisogno di dire altro perché entrambi capissero a chi si stessero riferendo.
    «non mi piace» mormorò. Perfino Kaz era in grado di sussurrare, sorpresa delle sorprese! Lo tirò verso di sé, il mento sulla sua spalla. Bros being bros, mica complottisti ammanettati in una stanza, haha, vi pare, haha….«non mi piace» sottolineò, perché avevano una sola cosa in comune, e di certo non era la fi- «ma che hai - uh» prendendogli il braccio per guardare il livido, notò di averne uno identico sul proprio.
    Umettò le labbra. «sto per gridare» informò, perché era una brava persona.
    E non a caso, quella volta! Se fosse stato un test ribelle, sarebbero stati soli, o in compagnia di altri membri della Resistenza. Una lezione di Hogwarts, o altri studenti, o solitaria. Un’altra DA? «ti prego dio signore con il potere non altri alieni» borbottò rauco, prima di schiarirsi la voce.
    E uan
    e ciu
    e uan ciu tri «QUAAAALCUUUUNO MIIII SEEEENTEEEEEEE?» in balenese? Sì. Dopotutto, se avessero voluto ucciderli o torturarli, l’avrebbero già fatto.
    Credeva. Probabilmente? Yikes.
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    Kaz non era stata la prima scelta del dado.
    Nè la seconda. O la terza. Il dado aveva delle idee specifiche in merito a chi dovesse partecipare all’oblinder, ma Sara è testarda, e voleva proprio essere ovunque come il prezzemolo: occhi languidi, labbro tremolante. La risposta era stata un drammatico ”ciolla”, con forme e toni diversi, riverberato in ogni cellula, mentre l’Oh si sbracciava come Katniss agli Hunger Games per essere pescato dal mazzo.
    Un sospiro di Sara.
    E tutti i sogni romantici di Kaz infranti dal tono brusco e ruvido di Theo Kayne. Theo Kayne.
    Non che Kaz sapesse cosa stesse succedendo – figurarsi, aveva tutt’altre teorie – ma ci tenevo a specificare che QUANDO LO SAPRà, IL SUO CUORE SARà SPEZZATO E PENSERà DI MORIRE SOLO. Un argomento che approfondiremo a tempo debito, concentrandoci sul
    «è STATO UN INCIDENTE IO NEANCHE C’ERO?» con cui spalancò terrorizzati occhi neri sulla stanza, il busto sollevato ed in allerta, una mano al cuor- uh. Perchè non si muoveva. Una mano. Una - mano. Tirò con forza, trascinando con sé anche il braccio del qualcuno, fino a poggiare drammatico il palmo sul proprio petto.
    Non mentirò.
    Quando vide che attaccato ci fosse il braccio di qualcuno, strillò.
    «AAAAAAAAAAA» poi seguì il profilo del bicipite, constatando che fosse attaccato ad una spalla, ed un corpo in movimento. Sospirò di sollievo, ridendo leggero del proprio timore di essere fuckin svegliato ammanettato ad un braccio mozzato. «haha, scusa theo, pensavo fosse quello di mort» Aspetta.
    Battè le palpebre, strattonando un poco il compagno verso di sé per guardarlo meglio.
    «tHeO?!»
    Oh no. Oh no. Era forse uno di quegli strani sogni erotici dove l’altra persona era assolutamente qualcuno di randomico, ed anche se eri abbastanza certo di non esserne attratto fisicamente, il mattino dopo era tutto strano ed imbarazzante perché l’avevi visto fare – «non hai il mio consenso per toccarmi» specificò, portando la mano libera a coprire gli occhi. «sarebbe strano, sai? Giochiamo a quidditch insieme. Poi l’altra – storia» non Paris, era troppo Kaz per leggere la sexual tension fra i due, ma l’essere ribelli.
    «però il nostro nome ship sarebbe tho. Onestamente?» Curvò le labbra verso il basso, osservando il ragazzo in maniera oggettiva come un pezzo d’arrosto dal macellaio. Mh… «s-smash?» tentò l’opera di auto convincimento, ma la smorfia lasciò intendere tutto ciò che il tono non riuscì a trasmettere. No, niente smash, ew, aveva l’aria di essere uno di quelli che dopo l’allenamento puzzavano di sudore, e giravano per Hogwarts con le ascelle pezzate ed i vestiti umidi. «no, scusa. Magari dopo» tutto così, come primo impatto, ancora convinto di essere in un mondo onirico dalle dubbie scelte morali.
    «ti devo dei soldi? mi pare un modo un po’ estremo per chiederli indietro, ma okay.»
    Un sogno molto buffo. Non il più strano che avesse avuto. Lo osservò in silenzio qualche secondo, prima di annuire lentamente. «moooolti soooldi…..» per niente, ma i prodotti di beauty care costavano reni e primogeniti che l’Oh aveva finito, ed il suo onlyfans aveva una fanbase solida ma poco incline alla generosità. «anzi, sai cosa? qualsiasi cosa tu stia pensando, non è colpa mia» Peccato, un po’ aveva sperato di avere uno stalker che si fosse manifestato nei suoi sogni. Poteva forse essere sicuro non fosse così? Mh. «hai una cotta per me?? puoi dirmelo, eh» con un mezzo sorriso, soffiò una ciocca di capelli dalla fronte, ammiccando gentile verso il compagno. DAI ABBI UNA COTTA PER LUI, PICCOLA, PUOI RIMANERE FEDELE A PARIS, UFF GUARDA COM’è CARINO.
    «se per uscire da qui devo prenderti in spalla e trascinarti, così sia.»
    Ma cosa stava… succedendo. Si era appena offerto di portarlo in giro come Shrek con Fiona? Poteva abituarcisi, a quel trattamento da principessa, per quanto la fonte non fosse delle migliori. «lo faresti?» Lo valutò con occhio clinico.
    «sarò onesto con te: non penso ci riusciresti» ma apprezzava il tentativo.
    «hai dieci secondi per spiegarti.»
    Cielo. Dieci – cosa. COSA? NON FUNZIONAVA BENE SOTTO PRESSIONE! «MA DIECI SECONDI SONO POCHISSIMI, FACCIAMO ALMENO UN MINUTO? OK, OK – SPIEGO, SPIEGO – ma che cosa.» Fine momento di panico. Riflessivi occhi carbone posati sul Grifondoro. «cosa devo… spiegarti» Charades? Cosa significassero i tag su AO3?
    Con orrore, guardò un punto oltre la spalla del Kayne
    «in quale trope ci sto sognando»
    L’ALTA INFEDELTà? Non aveva una storia pronta per giustificare il proprio tradimento!
    Coi pugni stretti e i pensieri fragili, guardati adesso
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    ma ora detesto pensare a te come una di quelli lì che ci hanno perso
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  8. .
    kaz oh & mis jacksson
    well,
    that went horribly


    lumokinese ✧ ivorbone, vii ✧ 17 y.o.
    They'll kick you,
    then they'll beat you
    Then they'll tell you
    it's fair
    «non uccidete nessuno»
    Ecco, l’aveva detto. Matematico, quindi, che sarebbe successo. Inspirò secco l’aria dal naso, Kaz Oh, trattenendola sulla punta della lingua mentre congiungeva le mani davanti alla bocca. Occhi chiusi in preghiera: forse a Dio non interessava quel che l’Oh aveva da dire, ma la cantante dei Ricchi e Poveri non l’avrebbe mai tradito, e sapeva che lei, come lui, fosse preoccupata per l’incolumità dei pazienti del San Mungo. «ma prof» piagnucolò, abbattuto, non avendo cuore di sollevare le palpebre.
    Il Tibiavorio non voleva avere nessuno (altro, Kaz. Nessun altro, ricordi?) sulla coscienza, e quell’esperienza a lui sembrava semplicemente bullismo. Aver integrato gli special alle lezioni dei maghi, poteva sembrare progressivo solo ed unicamente ai maghi, considerando che loro non potevano letteralmente fare nulla se non guardare. Voyeuristi culturali, certo; senza quello specifico kink, però, solo strange forte e basta. Spiò fra le palpebre i compagni, attendendo come un pacco di Amazowl di essere smistato.
    Anatomia patologica. Ma perché. Un verso sgusciò impotente dalla bocca dell’Oh, labbra strette sui denti. Non aveva un bel nome, sembrava… complicato, e pure infettivo. Era infettivo?? MA COSA SI FACEVA IN ANATOMIA PATOLOGICA, COSA SIGNIFICAVA, DOVE LO STAVANO MANDANDO, ERA CAGIONEVOLE COME UNA DONNA VITTORIANA! Con la battitrice Serpeverde, poi!! Ed una tizia di cui non capiva assolutamente nessuna parola – l’inglese non era la prima lingua di Kaz, figurarsi con il marcato accento scozzese – ma a cui continuava ad annuire perché aveva l’aria di una che sapeva le cose. Quali cose, non avrebbe saputo dirlo. Aveva importanza? (sì)
    Prese i vari fascicoletti, usando gli ingredienti per farsi aria mentre prendevano l’ascensore diretti al piano giusto, ed il fascicolo per avere qualcosa da fare in attesa di scoprire come sarebbero morti. Si soffermò sul nome, per qualche motivo lo trovava più importante del resto, e schioccò la lingua sul palato. «fatykaz! No, non siamo parenti» nessuno l’aveva chiesto, ma era molto geloso del suo clan del kaz, e ci teneva a sottolineare di non avere nulla a che spartire con l’uomo lego.
    «magari basta il bacio del vero amore. Come nelle favole» sorrise, l’Oh. Il tipo di maledizione che aveva colpito il paziente, sembrava esattamente una di quelle da cui avevano tratto la favola della Bella e la Bestia – non un vero e proprio incantesimo, ma oggetti maledetti perché causassero a chiunque li toccasse di diventare come loro; era vero eh, l’aveva visto sul wiztok! - quelli che venivano chiamati capricci magici. Talvolta i rimasugli di magia, a furia di depositarsi come polvere, causavano effetti collaterali, tipo essere in grado di trasmutare l’uomo in oggetto.
    Forte.
    ALLORA ERA UN CASO FACILE! Non sapeva nulla di magia – aveva frequentato pochi mesi come mago, ed il resto del tempo era stato troppo impegnato a sopravvivere a se stesso ed un mondo che non lo voleva, per preoccuparsi di cose banali come lo studio - non conosceva le erbe che Mary Jane andava elencando, non sapeva quale fosse l’incantesimo generico di trasfigurazione in grado di riportare la mano al suo stato originale, e non poteva fare la pozione, ma ERA ENTUSIASTA. La cheerleader del gruppo!! Ai commenti di Mary Jane continuò a oooh e aaah come se tutto avesse senso (non lo aveva) e fu il primo a mettersi all’opera nella preparazione degli ingredienti per il distillato. ANCHE QUELLO LO CONOSCEVA. La sua estate da gymbro l’aveva cambiato, e più di una volta sullo yacht dei Monrique si era impasticcato per non svegliarsi la notte con malefici crampi al polpaccio. Certo, non aveva idea di cosa contenesse – e dopo aver visto spremere il fungo, decide che avrebbe preferito non saperlo; forse si teneva l’affaticamento muscolare – né di come produrlo, ma poteva forse significare qualcosa nel grande disegno della vita? No, esatto. Seguì le istruzioni delle compagne, canticchiando a bassa voce fra sé la canzone del film lego. «chissà se è alan. Come, in che senso chi è alan? L’arci nemesi di MORT» ignorato da tutti, iniziò a rantare sul libro del Rainey – non aveva mica capito fosse reale, pensava fosse una… storia, una parodia, e l’aveva trovato geniale e divertente: sperava ci facessero un fumetto, peccava di disegni – applicandosi nella produzione delle materie prime con la stessa meticolosità con cui preparava le colazioni e gli aperitivi al Platinum. Non era poi così diverso dal fare un caffè shakerato.
    Accese il fuoco sotto il paiolo, attento di versare solo metà dell’acqua all’interno del pentolone. Passò l’altra metà alla Parker, così che potesse metterla in freezer. Con l’aiuto di una mezzaluna, e minchia se si sentiva un ninja, ridusse la radice in [lazza’s voice] ceeeeeeeeeeeeneeere, continuando ben oltre il dovuto nella sua missione di renderlo una polvere così fine da stupire Lapo Linguini, e tentarlo ad una sniffata. Pestò la menta – CI FACEVA I MOJITO COSì!! JAY GUARDAMI, DOVREBBE VALERE PER IL TIROCINIO – fermato dalla mano di MJ prima di aggiungere tutta la menta, sostituendo il rimanente con i petali di Ciolanka. Era arrivato alla parte in cui Mort scopriva il furto del lego, quella ricca di pathos, e versò la menta mancante continuando a pestare con la disperazione del Rainey bambino di fronte al tradimento del migliore amico. Aveva quasi le lacrime agli occhi, quando qualcuno gli infilò gli occhialini protettivi e lo intimò a spingere più a fondo i guanti dandogli fra le mani il fungo da strizzare. Si sentì come la signora pimple pepper, o qualunque fosse il suo nome. Tutto quel… sebo. Quel fungo proprio non conosceva la skin care basica. Arricciò il naso inorridito, rapido a pucciare il cucchiaio nella polvere per raccoglierne fino all’ultima briciola, e mettere il tutto nel paiolo.
    Lasciò fosse MJ a girare il composto come fosse stato un Carmine Di Salvo, e la Parker ad assicurarsi che l’acqua non stesse bollendo troppo, mentre recuperava l’acqua dal freezer.
    Bicchierone? C’era. L’etichetta diceva fosse termoresistente.
    Liquido diventato viola? C’era.
    Si tastò le tasche alla disperata ricerca di una caramella al limone, prima di servire con tutti i riguardi del caso il beverone al suo quasi omonimo: «PAPALINA A LEI!» perché i vecchi amori si ricordano sempre.
    I give it all my oxygen,
    so let the flames begin ©


    GRUPPO 7 – 4° PIANO ANATOMIA PATOLOGICA
    (kaz, pozioni + delilah, trasfigurazioni + mary jane, erbologia)


    CITAZIONE
    DISTILLATO

    Paziente: Fatykaz Tuy

    Sintomi ed evidenze: lento irrigidimento muscolare, senso di bruciore crescente all’interno del corpo, mano sinistra trasformata in una mano di un lego

    Diagnosi: maledizione di tipo fisica causata da artefatto incantato

    ndF: no, non potete lasciargli quella mano; no, nemmeno se è divertente

    nome: Distillato Sciogli-Muscoli di Frop Kao
    descrizione: Creato dal mago di cui prende il nome, Frop Kao, lo Sciogli-Muscoli è un potente distillato indicato contro le tensioni muscolari. Molto usato da chi ha appena iniziato a frequentare le palestre - specialmente in Giappone: la famosa linea sportiva Mokepon ne è lo sponsor ufficiale - per sciogliere i muscoli tesi dopo esercizi affaticanti. Usato anche nell'ambito della fisioterapia per la riabilitazione. In paramagia, vengono vendute delle pillole contenenti piccole quantità del distillato per contrastare i crampi muscolari: al contrario di altre pasticche, però, l'unico gusto disponibile è quello alla banana.
    lista ingredienti:
    - 250 ml di acqua distillata
    - 40 g di foglie di menta finemente tritate
    - 10 g di petali di Ciolanka Sbilanka
    - 15 g di radice di Angelica Cinese sbriciolata
    - 15 ml di succo di Fiore di Blogirin
    procedimento:
    1. accendere il fuoco sotto il paiolo con 125ml di acqua (metà del totale) e posizionare l'altra metà (125 ml) in freezer
    2. su un tagliere, sbriciolare la radice di angelica cinese fino ad ottenere una polvere fine
    3. in un mortaio, pestare metà della menta richiesta dal distillato (20g) ed aggiungere i petali di Ciolanka
    4. continuare fino ad ottenere un composto omogeneo, aggiungendo nel mentre la menta mancante
    6. con la necessaria protezione (guanti, ed occhialini) spremere i funghi come si farebbe con un brufolo, fino a riempire un cucchiaio del liquido secreto dalla pianta (circa 15 ml)
    7. raccogliere la polvere della radice con il cucchiaino intriso di succo
    8. utilizzare lo strumento per girare il distillato, facendo attenzione a non bruciarsi
    9. appena l'acqua giunge a bollore, spegnere il fuoco
    10. attendere 10 secondi: la pozione dovrebbe variare il suo colore da verde, a viola brillante
    11. quando la pozione avrà cambiato colore, dovrà essere versata sopra il ghiaccio precedentemente estratto dal freezer
    (11b: fare molta attenzione al tipo di contenitore usato, non tutti riescono a reggere il repentino cambio di temperatura)
    12. servire tiepida, con una caramella al limone per poterne apprezzare il gusto fresco e rinvigorente.
    effetti: scioglie l'irrigidimento muscolare, donando freschezza ed elasticità.
    effetti indesiderati: (scritti molto in piccolo, forse mai tradotti dai kanji giapponesi) Da non utilizzare in caso di problemi vascolari. Un eccessivo e prolungato uso del distillato, può creare dipendenza, dissenteria, incapacità muscolare, senso di disorientamento, e se fai parte dell'una (1) possibilità di Sottor Drange, un pozionista avversario che ha studiato gli effetti prolungati nel tempo della Sciogli-Muscoli, la morte 🥰
  9. .
    CITAZIONE
    Darden decise di ignorare il non-così-velato insulto di Jericho, decidendo invece di aggiungerla alla lista per cui avrebbe dovuto rapire il bambino. Ormai si era già portata avanti, un pensiero che dopo averle sfiorato la mente aveva preso radici più in fretta di una ludopatia da scala 40. Posso smettere quando voglio, racconta Darden Larson con 40 figli asiatici.

    ma la smetti di farmi ridere da sola

    edit: ah pensa, l'avevo scritto anche nel commento sopra. sara core
  10. .
    gifs17 y.o.lumokineseoh kaz
    currently playing
    bad days
    the score
    The world can be a sad place, sad place
    So why don't you throw it in the backseat
    Show 'em what you can be
    Che per Kaz fosse difficile fare amicizia, non avrebbe dovuto stupire nessuno. Era allegro, ma rumoroso; interessato, ma distratto. Ignaro di tanti piccoli passi falsi in una conversazione, o delle dinamiche all’interno di un gruppo di persone. Mai cinico abbastanza da capire quando finisse lo scherzo, ed iniziassero i giudizi. A suo modo, molto personale, riservato: parlava tanto, parlava troppo, ma raramente di questioni personali. Un timido egocentrico, che di sé voleva parlare solo al futuro, e solo nell’ideale. Si era costruito un mondo tutto particolare, ed interamente suo, che raccontava agli altri come fosse stato reale, e non il sogno utopico di un’ottimista con scarse capacità applicative. Viveva di sogni come uno dei bambini sperduti di Peter Pan, tenendo lo stomaco vuoto e la testa piena di favole. Inadatto a rimanere solo a breve termine, ma con un futuro di solitudine auto generata.
    Stava seduto su quelle pietre sporche del suo stesso sangue, dipingendo una Londra onirica a Jojo e promettendo che l’avrebbero scoperta insieme, con il tono sincero di chi quei giuramenti li avrebbe lasciati andare, perché mai in grado di capire come inserirli nel proprio tempo. In quello altrui. Poteva chiudere gli occhi ed immaginare un universo in cui lui ed il Park scoprivano un locale underground dove suonavano musica dal vivo ogni giovedì sera, ed il venerdì lasciavano lo spazio al karaoke, e poteva perfino riuscire a vedere il giorno in cui avrebbe portato Clay trascinandolo sul palco per un duetto alla High School Musical (occhiata alla quarta parete, occhiolino al pv del Morales), ma dalla mente dell’Oh alla realtà dei fatti, passava sempre un abisso di dimenticanze e priorità. Nel suo futuro, si vedeva circondato da amici che lo adoravano, con una romantica storia d’amore – aveva già il setting, ed era il coffee shop dove avrebbe lavorato - che avrebbe fatto sospirare d’invidia tutti i passanti, e la pelle segnata da cicatrici di una guerra (foreshadowing!) che avrebbe combattuto e vinto ogni notte per rendere il mondo un posto migliore. Il meglio delle due vite, come Hannah Montana o le Sailor Moon. Si addormentava cullato dall’illusione di poter avere tutto quello, un giorno – sapendo, in un angolo freddo e vuoto del suo cuore, che non sarebbe riuscito ad averlo. Che, come già aveva fatto un tempo, avrebbe sacrificato la sua vita per la causa. Di due binari, ne avrebbe percorso solo uno, e sapeva quale sarebbe stata la sua scelta.
    Dopo il diploma, però. Aveva rimandato tutto a dopo il diploma, aggrappandosi ad ogni stralcio di adolescenza che riuscisse ad afferrare negli anni passati al castello, così da avere perlomeno dei ricordi. Bruciava veloce, perché sapeva che tutto quello avesse una scadenza.
    Tic, tac.
    Guardava l’entusiasmo di Jojo Park con una nostalgia che non avrebbe ancora dovuto permettersi, l’Oh. Come se quella prima stretta di mano, sapesse già di addio. Non era bravo ad intrecciare le dita fino alla fine, ed anche un po’ dopo. Ma poteva farlo in quel momento. Poteva alimentare l’eccitazione della scoperta, disegnando strade che non avrebbero percorso, o avrebbero dimenticato. Poteva farsi amare almeno fra quelle mura, come una bottiglia bucata sul fondo destinata a liberarsi del contenuto. Gli sarebbe bastato per almeno un paio di mesi, lo sguardo affettuoso del compagno. Una batteria che tendeva a scaricarsi in fretta.
    «Trovare i locali di nicchia che costano poco ma sono i più belli, i tetti dove la vista è migliore, i pub dove fanno i concerti dei gruppi indie, conoscere le leggende locali-...» Chiuse gli occhi, lasciando che le immagini prendessero il sopravvento sulla ragione. Rendendolo possibile e concreto. Un debole sorriso sulle labbra, la cosa più nuda che avesse mai mostrato al mondo – fragile, e vulnerabile.
    L’avrebbe perso. Qualche mese, e l’avrebbe perso, cancellato dal sangue e le grida e le lacrime. Storpiato sotto il piede di qualcosa più grande di tutti loro, indurito nella smorfia sempre un po’ triste dell’uomo che un giorno, sopravvivenza permettendo, sarebbe diventato. Sbiadito. «Vado sullo skate! Anche tu? Sei mai stato al Southbank? Andiamoci insieme!!» Perchè, quella stretta al petto. Perchè, quando le cose iniziavano a diventare reali, dovevano sempre fare così male, trascinando pesi immaginari ad ogni respiro. Non avevano ancora cominciato, e Kaz sentiva già di avere il cuore spezzato. L’amore, o la promessa che ci sarebbe stato, tendeva a fare quell’effetto – amici, amanti, a chi importava? A conti fatti di muscolo cardiaco se ne aveva solo uno, ed il fatto che cambiasse la forma non differiva nelle crepe. - e l’Oh non aveva armatura per difendersi anche da quello. Voleva l’affetto senza impegno, suo o di altri. Voleva il momento senza le conseguenze. «mi andrebbe» ammise, con quel tono basso destinato alle confessioni ed i segreti. «lo adorerei. Davvero! Sai qual è il mio sogno?» avere un sogno «quelle… cose. Dove vanno le persone a leggere le loro poesie. O le battle rap!! posti così, sai, dove devi scendere le scale per arrivarci??» Molto specifico, ma nella sua testa aveva perfettamente senso.
    E, come tutto quello che aveva senso solo nella sua testa, «no, non so andare in skate. Ma posso imparare? Se seraphine riesce a muoversi su hoverboard e cantare contemporaneamente, posso anche io» lungi da lui specificare che Seraphine fosse un personaggio di LoL – dai, chi non conosceva le kda nel santo anno del signore duemilaventitrè?
    Abbassò la voce, chinandosi verso Jojo «e voglio imparare a fare i graffiti, così possiamo firmarci ovunque andiamo» sorrise, Kaz. Allegro, spensierato, ed ottimista che quanto detto, potesse essere vero. Potessero averlo. «e -» drizzò il capo, sentendo un rumore nel corridoio. Rimase immobile, occhi scuri fissi in quelli di Jojo, ascoltando e riconoscendo i passi in avvicinamento. «sven» mimò con le labbra, indicando la porta.
    Più incerto, il tono dell’Oh. Insicuro, nel bisbiglio rivolto all’altro. «continuiamo in infermeria?» Almeno un altro po’.
    sooner or later you're gonna tell me a happy story. i just know you are.
  11. .
    Kaz ohvii, 18 y.o.cap, beater
    Una vibrazione.
    Non importava quante persone fossero seduti sugli spalti a guardarlo, e quanti stessero cantando il suo nome - inneggiando od insultando, faceva davvero la differenza? Quella dualità era un problema dei bellissimi, e Kaz lo accettava con garbo ed un cenno del capo - lui poté sentire il suono melodioso che solo due persone al mondo sapevano produrre, e solo quando insieme. Vibrò con la forza di mille soli, tremando come una ventola. Gli occhi neri abbandonarono il percorso della pluffa, che contro ogni pronostico era ancora fra le loro mani, per saettare sulla platea. In qualche modo, le trovò subito.
    «depark endgame» mormorò, in grado di notare perfino da quella distanza (come? con il sacro potere conferitogli dallo shipper club) come le due si stessero tenendo la mano. «HHHHH» un muto urlo familiare che da qualche parte, sperando non sotto il costume di Tooth, risvegliò qualcosa di Antico e Profondo in baby Allen. Un richiamo. Sorrise, Kaz, abbracciando la mazza al petto con una mano, ed agitando forsennato la mano per salutare le Furie. Erano lì! A guardare la partita!! DOVE LUI CAPITANAVA LA LORO SQUADRA! JONI GUARDAMI JONI GUARDAMI DYLAN GUARDA LE DEPARK. Sentì le guance dolere da quanto stava sorridendo, ebbro di adrenalina e la semplice gioia di fare qualcosa che gli piaceva (aka farsi guardare, mica giocare.) circondato da persone che gli piacevano, e che ricambiavano perfino. Kaz Oh era fortunato così, ogni tanto.
    Un po' meno la compagna che venne colpita dal bolide. Si rabbuiò, volando al suo fianco per controllare che fosse ancora integra. E, soprattutto, «la mano con cui usi il mouse tutto ok??» Perché era un bravo capitano (sperava; sempre un po' DELULU, ma nel suo au era così), e conosceva le priorità dei suoi giocatori.
    Alzò lo sguardo quando venne richiamato, notando la traiettoria del bolide verso di lui. Onestamente, lo preferiva rispetto a quando mirava al resto della squadra, anche se sperava sempre non puntasse alla faccia: c'erano cicatrici aesthetic, e poi c'erano deformazioni che ti rovinavano per sempre. Oh (non cognome, ma anche) a lui serviva quella faccia, era quella che usava per il club pretty boy (THE PRETTIEST!). Era tesserato, ma non assicurato. Andiamo!
    Con la coda dell'occhio, vide una delle gemelle Russell di fronte alla porta avversaria. Trattenne il fiato, buttandolo fuori tutto insieme nel colpire il bolide e rilanciarlo verso la prima casacca blu nel suo campo visivo.
    «ODDIO????»


    lady jesus
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    CODICE
    <b>(7) DIFESA KAZ (kaz+sun):</b>
    <b>BATTE SU AMIO (Kaz):</b>
  12. .
    Kaz ohvii, 18 y.o.cap, beater
    Entrare nella stanza delle necessità, fu come immergere dita sporche di inchiostro fresco in una pozza d'acqua. Il sorriso che fino a quel momento aveva sollevato gli angoli della bocca di Kaz, scivolò via tutto insieme; pochi strascichi, persi fra il chiudersi la porta alle spalle ed il poggiarvi la testa.
    Kaz Oh era bravo a mentire solo quando contava qualcosa. Ultimamente, ogni secondo sembrava dettare il bisogno di fingere, e fingere, e fingere ancora, e - non era fatto per quella vita di machiavellismo. Doveva strizzare i denti fra loro per poter forzare una risata, gli occhi sempre più seri di quanto l'espressione leggera raccontasse. Non erano rimasti in molti a ricordare il Kaz antecedente la guerra e la riforma, più numerosi coloro che a quelle smorfie volevano credere abbastanza da lasciarsi ingannare. Aveva sempre pensato di essere trasparente, ma era solo stato fortunato ad aver trovato persone a cui importasse abbastanza da vederlo, e non solo guardarlo. Si era lasciato alle spalle la scia di ammiratori, persone che non conosceva e che da un giorno all'altro avevano deciso di venerarlo e seguirlo ovunque, congedandosi con le ultime pacche di incoraggiamento per la partita del giorno dopo e l'ombra del loro veleno sulla pelle. Stringeva il telefono nel palmo così forte, da temere di spezzarlo. Deglutì, l'Oh. La spavalderia con cui aveva affrontato l'idea del match contro i Corvonero, si appiattì insieme a lui sulla parete, lasciando solo un ragazzo che aveva compiuto diciott'anni da un paio di mesi, ed ancora aveva bisogno di quello: portare un tremante telefono all'orecchio in attesa che dall'altra parte della linea, suo padre rispondesse.
    A lui poteva dirlo.
    Non a Kul, non a Clay. Loro l'avrebbero reso troppo reale, riflettendo timori ed insicurezze con fiducia mal riposta ma sincera, e lui non voleva. Voleva rimanesse un segreto sussurrato con voce robotica ad un cellulare con scarso campo. Voleva rimanesse una confessione religiosa fra sé e l'uomo che gli aveva riempito le guance di baci promettendo che avrebbero lottato per un mondo che meritasse di essere vissuto.
    E se non vinciamo?
    Concretamente, quella possibilità c'era.
    La squadra dei Tassorosso era stata costruita con quei pezzi di società che il mondo non aveva capito. La ragazza che fino a qualche mese prima aveva avuto paura di volare, ad esempio. O Balt e Ficus, che si erano uniti per rimanere con lui - lo sapeva, Kaz. Lo apprezzava più di quanto sapesse ammettere, che fossero rimasti muri solidi attorno ad un mondo che aveva minacciato di ingoiarlo intero. Ma non era abbastanza per vincere, ed a Kaz non fregava nulla del Quidditch, ma gli importava quello che lui e la sua squadra rappresentavano per gli altri.
    Gli importava della ragazzina magrolina del secondo anno che quella mattina gli aveva regalato una stella d'ombra, perché l'Oh sapeva cosa significasse quel gesto: che ricordasse, com'era stato per loro l'anno prima; che fosse grata ci fosse stato qualcuno a provarci anche per lei, e che avrebbe ricambiato. In quel sorriso timido ed impacciato, Kaz aveva capito che se non avessero dimostrato di poter vincere, tutto quello che avevano costruito in quegli anni, sarebbe andato a puttane. Di loro avrebbero solo riso, ma qualcun altro ne avrebbe pagato il prezzo. La società era cambiata, ma le persone che la componevano, no.
    Erano un simbolo.
    Non potevano permettersi di perdere.
    Quella consapevolezza oscurava tutto il resto, come una costante eclisse. Non avrebbe lasciato quel peso sulle spalle dei compagni, perché non lo meritavano: al contrario loro, si era scelto quella guerra una vita prima. Paladino delle cause perse; rivoluzionario.
    Ribelle.
    Era il ragazzo popolare, il Capitano del settimo anno che faceva arrossire e sospirare compagni di ogni classe e genere, che conquistava in attesa di essere conquistato come in una delle storie che leggeva ridacchiando prima di dormire, e colui che dava più importanza alla skin care che ai voti. Ma alla fine della giornata, quando tutto il resto appassiva, rimaneva solo l'unica cosa che realmente, nella vita di Kaz, avesse importanza: una causa. Il resto era superfluo, sprazzi di colore per riempire gli spazi vuoti - e ce n'erano tanti.
    Pa', e se non vinciamo?
    E l'uomo rispose nella maniera banale di ogni genitore, sottolineando che l'importante fosse divertirsi e provarci; Kaz aveva chiuso la chiamata sentendosi scorticato e vulnerabile; la voce di suo padre, cerotto su un'emorragia.
    Mamma avrebbe capito, lo tenne in gola fino ad essere in grado di buttarlo giù.

    Aveva guardato i suoi compagni con un sorriso brillante, e la sicurezza di un Generale pronto alla guerra. Sapeva che in quei casi fosse fondamentale fingere calma e naturalezza; la felicità non doveva forzarla, perché li adorava nella maniera onesta e sincera di chi al gioco della fiducia chiudeva gli occhi e si lasciava cadere prima ancora che le coppie fossero state decise. Balt, Ficus, Aracoeli, Jack-e-Kurt, Sun.
    «e ricordate la cosa più importante:» concluse così il suo discorso sentito e motivazionale su come si fossero allenati duramente («no, davvero, avete sentito che addominali? prima mica li avevo!») e si meritassero una giornata di divertimento in cui tutti sospendevano le loro attività per poter fare il tifo per loro («siamo come il menù large del crispy mcbacon a tre euro») intimando loro di avvicinarsi così che potessero allungarsi le braccia ciascuno sulle spalle dell'altro.
    La regola fondamentale.
    Li guardò con serietà, il capitano. Solenne.
    «se perdiamo, è perché i corvonero ci hanno boicottato.» Stay delulu kiddos. Offrì anche un cenno con il capo (di scuse.) a Balt e Ficus, perché sapeva stesse parlando dei loro amici, ma insomma, a girl gotta have her fever dreams e quello era il suo. Gaslighting se stesso, ed il resto del team.
    «salutate toothy e clay prima di prendere il volo!!!» mascotte e cheerleader, perché erano parte della squadra quanto loro, anche se stavano già scaldando il pubblico.
    E boi, se avevano bisogno di essere scaldati. Kaz era troppo emozionato per sentire il freddo, ma immaginava che non fosse così per tutti. Neve? Qual era il problema: lui dalla sua parte aveva i santini delle furie, tutti incastrati sotto la divisa, e mille soli interiori. Se sembrava brillare di luce propria, probabilmente era perché un po' lo stava facendo. Si avvicinò a Paris Tipton con un sorriso brillante e contagioso. Quando si strinsero la mano prima di salire sulle scope, Kaz lo attirò a sé per stampargli un bacio sul caschetto. Quando si allontanò , pollice ed indice incrociati a mimare un cuore offerto al pubblico, offri alla platea un occhiolino su cui scartò tre ✨ scintille ✨ magiche, perché voleva gli effetti speciali visivi. Quando la partita fosse iniziata, non avrebbe più potuto permetterseli, quindi doveva approfittarne.
    Roteò la mazza fra le dita, ridacchiando come una scolaretta alla sua prima cotta. Oddio! La sua prima partita da Capitano!! AIUTO! FURIE MI STATE GUARDANDO? FURIE! CLAY STAI PIANGENDO? CLAY! Salutò felice i suoi fan e non - ma anche gli haters, a loro modo, erano fan - gridando un «QUASI!» di incoraggiamento a Balt, perché lo adorava e andava bene così. Sapete cosa invece non andava bene? Il bolide diretto su Jack.
    O Kurt....
    No, Jack.
    O Kurt.............
    «TROVATI UN RUSSELL TUTTO TUO!&!&!&» Crowe magari; inspirando secco dal naso, chiuse le dita attorno alla mazza, e cercò di intercettare il bolide e spedirlo verso una macchia Blu.
    Una qualsiasi. Non era schizzinoso.
    (Ciao Geri! wannabe playing in background)


    lady jesus
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    (eliandi's version)


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    <b>(2) DIFESA JACK (kaz+ficus):</b>
    <b>BATTE SU GERI (Kaz):</b>
  13. .
    gifs17 y.o.lumokineseoh kaz
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    the score
    The world can be a sad place, sad place
    So why don't you throw it in the backseat
    Show 'em what you can be
    Il potere che le parole avevano sulla forma del mondo, era terrificante. Ne bastarono tre per raffreddare la Sala delle Torture, e far scivolare dalle labbra dell’Oh il sorriso appeso fino a quel momento. Tre, perché lo sguardo si facesse serio e adulto, dimentico della leggerezza con cui aveva osservato Jojo fino a quel momento.
    «bello e ribelle»
    Il cambiamento di umore, seppur repentino, sembrò non solleticare subito l’altro, che continuò con un «l'eroe ribelle... ti si addice» che fece scattare il cuore in gola a Kaz, gli occhi spalancati. Non era spaventato per sé stesso - avrebbe voluto gli si addicesse; un giorno, magari – e non aveva timore di essere stato scoperto, ma Jojo Park non poteva usare un linguaggio simile con così tanta facilità. Aveva un peso specifico, ed accusatorio. Iniziò a scuotere il capo, gli occhi a saettare verso la porta della stanza. Erano ancora soli, chiusi dentro come un attimo prima. «in Australia siamo un po' meno... attenti a come usiamo certe parole» Lo guardò, labbra dischiuse e guance pallide. Nessuno gli aveva spiegato come funzionasse dalle loro parti? Forse non avevano pensato fosse una priorità; forse non si erano resi conto che alcuni potessero ancora dire ribelle senza conseguenze, ed altri – fasce più basse, sangue più contaminato – non avessero lo stesso lusso. «qua non puoi» Bisbigliò veloce, cercando di intingere l’ammonimento con la solennità che richiedeva. C’erano giochi pericolosi per cui valeva la pena il rischio di bruciarsi, ed altri che portavano solo guai senza null’altro in tasca. «devi fare più attenzione a quello che dici, qui a Londra» continuò, lento, cercando gli occhi dell’altro. «non sai mai chi possa ascoltare, e chi… fraintendere. Lo so che non era quello che intendevi» Rassicurò, porgendo i palmi aperti in segno di resa. «ma non sono tutti come… me» soffiò, tornando a dedicare la propria attenzione all’intrico di pietre sotto di loro. Battè le palpebre sulle scie di sangue raggrumato, temendo di aver reagito troppo drasticamente, ma si ripetè la conversazione fra sè e decise che fosse stato contenuto, considerando il dove la avessero avuta. Preferiva Jojo la ricordasse come qualcosa di strano e fuori dalla norma, così che gli rimanesse più impresso, piuttosto che una battuta più delicata a cui non avrebbe dato la stessa importanza. Accorgimenti simili facevano la differenza fra vivere, o non farlo. Fu felice di cambiare argomento. Lentamente, e per quanto possibile dalle loro circostanze, tornò a rilassarsi, tornando in se stesso abbastanza da fare domande inopportune e specificare che fosse uno scrittore. «vuoi scriverla su di me?» Reclinò la testa da un lato, piegandola leggermente contro il proprio petto. Aprì la bocca per negare d’istinto, poi ci pensò seriamente, ed alla fine, con un sospiro riflessivo, offrì un «non penso? Non ho mai scritto nulla su persone che conosco.» Mentì, perché quella era decisamente una menzogna, ma sarebbe diventato muto prima di ammettere di aver contribuito al tag depark con il sibling della sopracitata. C’era un limite a tutto. «ma le catene, sai. Sono un po’ fuori dalla mia comfort zone, e qualcosa che non conosco» pin: please stop asking for a smut scene i’m a fuckin virgin idk how it works. «potrebbe essere una sfida! Mi piacciono le sfide» gongolò, occhi lucidi di entusiasmo e gote nuovamente arrossate.
    Buffering di un paio di secondi. Forse… Forse non era quello il setting diverso di cui stava parlando Jojo. Aprì bocca per domandarglielo, ma decise che preferiva non saperlo e lasciare quel dubbio di semantica fra loro e Dio. Sperava davvero il Park non gli facesse notare che in realtà si riferisse a, boh, una macelleria, perché c’era un tipo di imbarazzo sano, ed uno che Kaz non avrebbe mai superato, diventando il suo roman empire. Voleva davvero che fossero amici, e perché lo fossero, aveva bisogno di poterlo guardare negli occhi senza gridare internamente in memoria di quella specifica conversazione.
    «quanti anni avevi, quando hai lasciato... il Belgio, giusto?»
    Poggiò la testa contro la parete, strofinando appena i capelli sulle pietre. Lo guardò di sottecchi, cercando di contare. «dodici, ma a Londra ci siamo trasferiti due anni dopo» Non sentì il bisogno di specificare quella parentesi di due anni senza dimora, dopotutto anche Jojo aveva dei poteri – poteva immaginare come anche Kaz li avesse avuti. «il tamigi è un piccolo oceano, se lo guardi nella giusta prospettiva» con la mano libera, mimò l’angolo di una telecamera, ammiccando un mezzo sorriso verso l’empatico. «possiamo scoprirla insieme se ti va? Però non tipo… i musei e quelle cose da turista. La vera londra» che tradotto significava: perdersi, vagare senza meta, trovare un bar e decidere fosse il loro, creare tutta una serie di piccole tradizioni ed inside joke – eccetera eccetera. «magari ci uniamo ad una gang. Sai andare sullo skateboard?» E come le due cose fossero collegate nella mente di Kaz Oh, it’s none of your business.
    sooner or later you're gonna tell me a happy story. i just know you are.
  14. .
    kaz oh
    quidditch captain
    This life is such a ride, I live until I die
    I walk into the fire, I'm searching for the higher ground
    What a life, I live until I die, Won't fail unless I try
    Bleeding, keep on breathing
    Era quello che le persone avevano provato a parlare con lui quando era stato giovane, ed illibato dalla vita? (No, perché anche quando la stessa, dorata speranza, aveva illuminato le iridi scure, l’Oh aveva sempre espresso i propri pareri in maniera… meno adorabile, e più come i capricci di un bambino; non stupiva che raramente fosse stato preso sul serio) Provò un moto di tenerezza, e sconforto nel sapere che quella fase non sarebbe durata a lungo. Quell’ottimismo, gliel’avrebbero strappato via. Non voleva essere lui a farlo, ma a qualcuno sarebbe toccato prima o poi. «Es cierto… Ma è difficile fare qualcosa che, anche solo involontariamente, non si ripercuota sugli altri, no?» Vero, ma fino ad un certo punto. C’erano diversi tipi di conseguenze ed effetti catena. Il domino di quella nuova società, non era un gioco ad armi pari, e con lo stesso numero di pedine a cadere. Umettò le labbra, corrugando appena le sopracciglia. Cercò, ancora una volta, il muto supporto di Dakota Wayne, ma l’infermiere doveva aver proprio deciso fossero affari suoi, perché persistette nell’ignorarlo e nel fare cose assolutamente superflue tipo curare il resto degli infortunati. Non contavano le ferite morali? Come potevano avere, un po’ di ossa rotte, la precedenza sul suo cuore! Passò frustrato una mano fra i capelli scuri, attento a non spettinarli più del dovuto - aveva un’immagine da creare e mantenere, e non era quella dello scappato di casa. Al momento, perlomeno – accigliandosi appena. «sì. involontariamente» enfatizzò, ripetendo quanto detto dalla ragazza. Aveva un bel sorriso allegro, ed un paio d’occhi luccicanti di entusiasmo, e davvero non voleva essere lui la persona a privarla del proprio sole. Le giornate degli altri, Kaz puntava ad illuminarle, e non solo grazie al suo potere: voleva essere un faro nella notte, l’unica stella visibile in un cielo coperto da nuvole, la fiamma dell’accendino dopo vari tentativi di sole scintille. La speranza voleva darla, non toglierla. Umettò le labbra, drizzando le spalle malgrado volesse solo accartocciarsi su se stesso. «ma alcune persone… scelgono di far del male agli altri.» scandì lentamente le parole, un po’ per banale problema linguistico, ed un po’ perché stava andando a tentoni nel buio cercando il piano stabile sul vuoto. «non sempre per colpa loro» Società, tradizioni, rabbia, famiglie alle spalle a suggerire veleno alle orecchie, e lo capiva, ma non significava che dovesse anche tollerarlo. «ma lo fanno. E non è giustificabile» aveva ammorbidito il tono di voce, chinandosi appena verso di lei come se le avesse appena rivelato un grande segreto, e non osservato la triste, drammatica, realtà dei fatti.
    Kaz Oh era stanco di perdonare. L’aveva fatto, in passato. Giustificato, ed incolpato altri, sperando che qualcuno facesse qualcosa in merito; nessuno l’aveva mai fatto, ed allora aveva preso un respiro profondo, e deciso che l’avrebbe fatto lui. Uno per la squadra, sapete. Si era sempre lasciato scivolare fra le pieghe, ma era cambiato. Cresciuto, malgrado gli incubi ed il viso bagnato di lacrime con cui si svegliava al mattino avrebbero suggerito il contrario. Inasprito. Non era più il tempo di essere quelli pazienti. Non sarebbe arrivato nessuno a cambiare le cose. «Ma questi primi giorni qui… Todo es diferente. Ed è ancora peggio. È quasi come se fossi un… mostro.» Gli dispiacque, perché il tono suggeriva pensasse di essere l’unica.
    Non era così.
    Ci erano passati loro, prima. Ci stavano passando i maghi, ora. Era ingiusto in egual maniera. Per un po’ non disse niente, in parte condividendo l’amarezza del resto degli special - per anni si erano sentiti così, loro; buona parte della loro vita ad essere quelli sbagliati, ed i mostri da cui nascondersi - ma voleva essere migliore di così, e sapeva riconoscere non fosse colpa di Aracoeli. Le lasciò comunque un paio di secondi di silenzio per non sminuire la sua confessione, e non mentirle dicendo che sarebbe andata meglio, e che non lo fosse; per qualcuno, lo sarebbe sempre stata. «non lo sei per me» sorrise, perché era sincero e perché era proprio una frase da main character da dire a qualcuno, ed ebbe un frullio d’ali al cuore nel pensare che a parti inverse, si sarebbe subito innamorato di se stesso. Poteva quasi vedere le riprese, sentire la musica d’atmosfera; la lente rosa attraverso cui avrebbero inquadrato lui, l’eroe di cui tutti avrebbero fatto edit su Tiktok. Jojo, con il suo intramontabile rizz, sarebbe statx fierx di lui – tanto che Kaz valutò, per un solo folle istante, di suggerire alla ragazza di lasciargli una recensione su wiztinder, e di spargere la voce con tutti i suoi amici. Il fatto che non stesse considerando la Iglesias in quel modo, non gli impediva di essere la versione migliore e più affascinante di se stesso.
    La ascoltò parlare con il lieve sorriso che ogni tanto vedeva curvare le labbra del prof Henderson quando li guardava allenarsi (gesù… stava proprio invecchiando) incapace di non riflettere, almeno parzialmente, la solarità di Aracoeli. Era come avere al proprio fianco una piccola stufetta portatile, calda e confortante, ed il suo entusiasmo era contagioso. Valutò poi con sincera, e riflessiva, attenzione, come avrebbero potuto chiamare la ragazza. Cielita era fuori discussione, gli inglesi avrebbero storpiato il nome all’infinito – e c’era qualcosa di troppo intimo e personale nel modo in cui l’aveva ricordato, fasciando la parola sulla lingua con la cura riservata alle cose preziose e fragili. Ci voleva qualcosa di suo, ma che potesse essere di tutti. Alla fine aveva ceduto a sedersi alla base del letto della compagna, in un rettangolo dove non desse fastidio a nessuno. «riri? Come rihanna» una precisazione necessaria ed importante. «o cece – letto sisi, mind you» tamburellò l’indice sul labbro inferiore, cercando ispirazione fuori dalla finestra. Inutile dire che non la trovò.
    Una tragedia.
    «tifo dagli spalti?» E per un breve, brevissimo istante, pensò di dirle che fosse la cosa migliore. Non era colpa di Aracoeli se fosse caduta, ma l’aveva fatto, e quell’anno l’Oh voleva vincere.
    Fu molto breve. Ricordava le compagne che gli avevano dato una possibilità quando nessun altro era stato disposto a farlo. E aveva sentito, nonché visto, l’emozione della ragazza nel parlare dello sport. Ci volevano persone più crudeli di Kaz per dire no all’entusiasmo della Tassorosso – ed alla fine, se c’era il cuore… il resto veniva da sé, no? «oh no. Tu giochi» periodt.
    ivorbone
    vii year
    rebel
    higher ground
    imagine dragons</td
  15. .
    kaz oh
    quidditch captain
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    I walk into the fire, I'm searching for the higher ground
    What a life, I live until I die, Won't fail unless I try
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    Sarebbe stata una conversazione interessante. Kaz aveva frequentato Beauxbatons solo per pochi mesi – a Dicembre del suo anno da matricola, la scuola era stata smantellata, e lui era finito nei Laboratori – e per quanto sapesse vagamente un po’ di italiano e di spagnolo, perlomeno abbastanza da comprendere quando lo stessero insultando (le priorità di un Kaz appena dodicenne, esatto.), non era in grado di sostenere un dialogo. Sapeva il francese, il tedesco, e perfino un po’ di coreano, ma di spagnolo conosceva solo i churro e il dulce de leche. Guardò la mora battendo rapido le ciglia, cercando supporto morale nella finestra alle sue spalle. Riusciva a pensare solo alle enchilada (aveva passato decisamente troppo tempo con Dylan, visto che riconosceva solo cibi.), ma immaginava non c’entrassero molto.
    O lo facevano……..
    Corrucciato, riportò uno sguardo confuso ed interrogativo sulla …. straniera, perché non aveva idea da quale paese provenisse. Brasile? Colombia? MESSICO? Si guardò rapido attorno cercando una cartina geografica appesa alle pareti che potesse fargli venire una qualsiasi illuminazione; anche se l’infermeria non aveva occhi, si sentì comunque giudicato.
    «ho detto qualcosa di sbagliato?» Bisbigliò infine, incapace di reggere oltre quel (breve. Brevissimo. Ma Kaz era sensibile, ok) silenzio. «Tutti hanno il diritto di sentirsi come vogliono, senza soffocare le proprie emozioni.» Battè le palpebre, il capo reclinato sulla spalla. Minchia, che botta aveva preso? Roteò appena gli occhi sul Wayne, cercando di comprendere l’entità del danno, ma Dakota non ricambiò l’occhiata, ignaro del peculiare scambio fra i due. Che stava succedendo. Come il meme, l’Oh umettò le labbra ed alzò una mano con il palmo verso il soffitto. «si, beh. Ma in realtà, no» Offrì un sorriso sghembo e arruffato, il naso arricciato. Immaginava che fosse un ragionamento che funzionasse in un mondo ideale, ma nella realtà? Vero, ciascuno era libero di sentirsi come preferiva, ma … un po’ meno. «non se ha ripercussioni sugli altri» Osservò, perché gli sembrava il minimo. Un discorso forse troppo generalizzato, ma… lo era? Kaz Oh era esattamente il tipo di persona che anche quando voleva solo piangere, alle feste di compleanno fingeva di star avendo il tempo della sua vita per non rovinare la serata a nessuno. Quindi no, non lo trovava generalizzato: era specifico.
    Per lui. Ma insomma, per chiunque avesse un briciolo di rispetto per gli altri.
    POI SCUSA! L’avevano fatta cadere dalla scopa perché erano arrabbiati con i maghi! NON SI GIUSTIFICAVA IL COMPORTAMENTO TOSSICO DELLE PERSONE! Un rant che avvenne solo mentalmente, perché il cervello dell’Oh andava alla stessa velocità di Sara quando al mattino doveva timbrare l’entrata a lavoro. Da persona genuina qual era, però, tutti quei pensieri si riflessero uno per uno sul volto, che da confuso divenne teso, arrabbiato, ed infine risoluto, con spalle dritte e braccia incrociate sul petto. «non sono liberi di essere arrabbiati con te perché sei una strega.» Altro che soffocare, quel tipo di emozione andava ESTIRPATO ALLA RADICE. Si rilassò impercettibilmente quando la ragazzina disse di star bene, il sorriso a far capolino sulle labbra. Trovava impossibile guardare l’espressione entusiasta della Tassorosso, e non ricambiare almeno una parte della sua euforia. «Sono caduta perché… sì, ero spaventata. Sono spaventata. Ma non lo sono perché sono caduta!!» Iniziò, in slow mo come la principessa dei drammi che era, ad arcuare le sopracciglia e portarsi una mano al petto. Oddio…. Oddio. Aveva paura di lui? CLAY. CLAY! HA PAURA DI ME????? «¡Ay! ¡Perdóname! Intendo dire che… mi fa paura volare. Da sempre.» Ah, ecco.
    Per un millisecondo, si sentì offeso. Cioè, dai, poteva fare paura, no? Era ALTO! E MANIPOLAVA LA LUCE! Aveva tutti i requisiti per essere terrificante! Poi si ricordò che… beh. Non voleva essere terrificante, e di certo non voleva far paura, quindi era perfetto così. Annuì, come se avesse senso.
    Poi si fermò, perché non lo aveva.
    «sulla scopa, o come regola generale di vita….» Intendeva… cadere? Era un modo filosofico per interpretare la sua caduta, in effetti – o forse un problema linguistico. «Giustamente mi dirai: e allora por qué fare i provini per entrare nella squadra?» Rise con lei, rimanendo in silenzio perché completasse il botta e risposta dicendogli perché avesse fatto i provini per la squadra. Ok, non aveva posto lui la domanda, ma era implicita, no? Cioè… era una domanda sensata, Slay moretta per averci pensato prima che Kaz potesse dirlo (l’avrebbe fatto!!!!). Invece si guardarono, in silenzio.
    «oh» non lui. Forse doveva ripeterla? Tipo incantesimo. «perchè hai fatto i provini per la squadra?» FIXED IT!
    E io non so. Ma i giovani. Con quale audacia e coraggio qualcuno diceva all’egomaniaco Kaz Oh che fosse famoso?!?! Iniziò a ridacchiare, il piede a disegnare cerchi sul pavimento ed un ciuffo corvino sistemato dietro l’orecchio. Aveva anche le guance leggermente rosate. «ma che dici, famoso, addirittura, oh my» MA LO ERA, VERO? DIGLIELO DI NUOVO!!!!!!!!!!! DYLAN SONO DIVENTATO FAMOSO DOVE SEI DYLAAAN. «piacere di conoscerti!!! come vuoi essere chiamata?» ara come i campi? Coco? Eli? «aspetta…. Ma tu facevi Il TIFO PER NOI VERO?» he connected the dots!
    ...Forse. Kaz aka: Sara ricordava Ara fra gli spalti da anni, ma forse era prima che diventasse una Iglesias; forse ora sei appena arrivata. Kaz delulu.
    ivorbone
    vii year
    rebel
    higher ground
    imagine dragons</td
69 replies since 11/8/2021
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