ghosts follow me around these days

@infermeria, kaz ft. aracoeli

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +4    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Bolla
    Posts
    125
    Spolliciometro
    +297

    Status
    Offline
    kaz oh
    quidditch captain
    This life is such a ride, I live until I die
    I walk into the fire, I'm searching for the higher ground
    What a life, I live until I die, Won't fail unless I try
    Bleeding, keep on breathing
    Quell’estate, Kaz Oh non aveva mai avuto un attimo di pausa. Aveva iniziato con il campo estivo alla palestra del Peetzah maggiore per imparare a battere – e aveva rinunciato a molti dei suoi usuali prodotti per la skincare per permettersela: gli amazon dump non erano la stessa cosa – proseguito con gli allenamenti extra al QG insieme a Nelia, e concluso trionfante sullo yacht di Balt Monrique dove aveva davvero, davvero, compresso tutta l’esperienza adolescenziale che non aveva avuto sino a quel momento. Il tutto, perché aveva un obiettivo.
    (Non pensare. Non ricordare. La guerra, i morti, le strade distrutte, JD special, le Ombre, il sangue e la polvere da sparo, Erisha e Neffi, Abbadon. Popolavano i suoi incubi ed ogni attimo di veglia in cui non fosse distratto da altro, strappandogli il fiato dai polmoni come un pugno ben assestato. Entrava in spirali da cui faticava ad uscire, l’Oh, memore delle notti passate a bisbigliare ai rifugiati che avrebbero trovato un modo per salvarli; i giochi di luce con cui aveva distratto i bambini, troppo piccoli per vedere nella magia altro se non meraviglia; il cuore a strizzarsi alle guance sporche di polvere e umide di pianto. Tornare ad Hogwarts e fare finta di niente, come se una parte di lui non fosse rimasta in ogni campo lasciato alle proprie spalle; come non fosse stato menomato dall’interno di qualcosa che non sapeva come ricostruire. Kaz si era rifugiato in una bolla di vetro, trasparente e fragile, e riempito ogni incrinatura soffiando un colore diverso sperando potesse bastare.)
    Diventare il più popolare. Era il suo settimo anno, quello. Non avrebbe riavuto altre occasioni per vivere il teenage dream che sembrava segnare i protagonisti di ogni storia.
    (E voleva migliorare. Voleva meritarsi di essere sopravvissuto, tutto sommato. Voleva evitare di essere ancora, ancora ed ancora, il peso morto sulle spalle dei compagni, trascinato dietro come qualcosa da proteggere anziché su cui appoggiarsi.
    Ed egoisticamente, voleva semplicemente una vita normale, ma eccezionale. Così vicino alla morte da sentirla sulla pelle ad ogni battito di ciglia, si era moralmente costretto a spingere l’acceleratore su tutto quello che non aveva avuto sino ad allora, perché in qualunque momento avrebbe potuto non averne più occasione: aveva avuto la sua prima, e non ultima, sbronza; aveva provato titubante le droghe colorate offerte da Balt come fossero state caramelle; aveva fatto sesso, un dettaglio che non mancava mai di ricordare a nessuno, anche se la storia era molto meno lusinghiera di quanto l’Oh facesse credere – ma quello era fra lui e Dio
    .)
    Aveva sempre avuto un ego di una certa importanza, l’Ivorbone, ma quell’estate gli aveva permesso di vedersi sotto una luce diversa, spingendolo a sviluppare la fiducia in se stesso necessaria perché quell’ego diventasse un problema di tutti.
    E tutto, del nuovo sistema, sembrava aiutarlo.
    Non era più il ragazzino ingenuo che non capiva, quello che arrossiva e rideva nervosamente quando il cuore balzava un paio di battiti.
    (Lo era, ma non più per tutti: solo per pochi; solo per chi voleva vederlo).
    Forse cinico non sarebbe stata la parola adatta per definirlo, dubitava che una sola estate – o una vita. - potesse renderlo così diverso, ma era più… ruvido. Distaccato.
    (Non gli importava più di tante cose.)
    Più grande.
    Kaz Oh era cresciuto. Aveva cercato di non farlo per anni, pur fingendo il contrario; poi aveva guardato il mondo sgretolarsi, aveva aiutato a distruggerlo, e d’improvviso negli occhi scuri si affacciava il giovane adulto che l’indomani avrebbe modellato il futuro della società magica. Gli stessi occhi scuri che studiarono il sorriso di Jordan – Tassorosso, settimo anno – ricordando quanto contrario fosse stato al fatto che fosse entrato in squadra, e tutte le spinte involontarie con cui l’aveva schiacciato sui muri del castello. Anche Hogwarts non era la stessa, e Jordan Blythe sorrideva all’Oh come fossero sempre stati migliori amici, un delicato pugno sulla spalla ad accettarlo come parte del gruppo; un “ehilà, campione!” con cui l’aveva accolto al suo rientro. Studenti che l’avevano odiato, cercavano d’improvviso di entrare nelle sue grazie, affogandolo di complimenti e regali. Ridendo a battute che non facevano ridere. Cercando di toccarlo quanto più possibile, supplicando silenti una sola attenzione in più.
    Ma ricordava, Kaz. Ricordava il disgusto sulla loro bocca. Ricordava i bisbigli per i corridoi; le urla quand’era sceso per la prima volta in campo. Ricordava il disprezzo, impresso in ogni cicatrice nascosta sotto i vestiti, e riconosceva l’ipocrisia di ogni languido battito di ciglia.
    Wow, gli dicevano ora, guardando la fascetta da Capitano della squadra; sembra fatta apposta per te, quando per anni avevano cercato di sbatterlo fuori, tenuti a bada solo dai ringhi di Thor e le occhiate di Joni Peetzah. Kaz Oh quella fascia la portava con orgoglio, e malinconia, e maledetto principio. Era stato il primo special a giocare a Quidditch, portando con incuria un bersaglio sulla schiena per tutto il suo quinto e sesto anno - neanche gli piaceva, lo sport. - ed era stato naturale accettare di portare avanti l’eredità delle Furie. Joni non aveva insistito: aveva dato per scontato che sarebbe stato lui a guidare le nuove reclute – perlomeno, così gli aveva detto il nuovo allenatore di Quidditch quando l’aveva chiamato nel proprio ufficio per appuntargli il titolo – senza chiedere, ma anche senza demandare. La scelta era toccata a lui.
    (Magari aveva pianto un po’, nell’ufficio di un imbarazzato Hayes, ma non erano affari di nessuno. Magari le sue Furie gli mancavano ogni istante. Magari avrebbe voluto averle vicino, almeno per un altro po’, anziché ritrovarsi a guidare una squadra di riserve che il Campo non l’aveva mai visto; magari gli si era spezzato il cuore, a sfiorare il tessuto, conscio che l’ultima a toccarlo fosse stata la Peetzah. A chi importava?)
    Ed ora lo amavano. Lo idolatravano. Veneravano la strada su cui camminava come fosse stato un cazzo di messia, e Kaz (odiava tutto) pur amando quelle attenzioni (e le odiava, perché lo svuotavano: erano dei vampiri sociali, a succhiare tutto quel che era lasciando solo quel che non era) non era in grado di ricambiarle. Non offrì un sorriso a Jordan, infatti.
    Non subito. Si limitò a guardarlo, dall’alto del suo metro e novantadue, battendo le ciglia con l’intenzione di fargli capire quanto poco gli importasse di lui e della sua cricca. Non erano allo stesso livello; non lo sarebbero diventati. Hogwarts era d’improvviso diventata il suo regno, e pur tenendo saldamente la corona sul capo, Kaz Oh non sarebbe stato il re che andava in giro nudo, lasciando che leccassero quanto ci fosse da leccare per ingraziarselo. Fanculo loro, e la comodità con cui ora facevano scivolare occhiate ammirate nella sua direzione. «campione?» allora sì che sorrise. Divertito, perché quella storia non la ricordava così. Gli diede un buffetto sulla guancia, mostrando i denti in un ghigno. «iniziamo con capitano, e poi vediamo.» Nel tempo passato con Balt, aveva compreso una grande lezione di vita: non importava che ci credesse lui, nelle cose, ma che lo facessero gli altri.
    (L’aveva imparato a sue spese, credendo a tutte le stronzate del Monrique come fossero state oro colato, quando Balt era un fautore della :sparks: improvvisazione :sparks: senza senso.)
    Il suo obiettivo era gaslightare la popolazione di Hogwarts nel chiamarlo Capitano, come il padre di Nate Archibald in Gossip Girl: Kaz Oh sarebbe diventato solo per gli amici.
    Comunque.
    «Capitano, andata. Bella! Stai andando ad allenarti?»
    Più o meno. Un allenamento morale, se così si poteva definire.
    Aveva fatto i provini per la squadra.
    Era stato tutto terribile, soprattutto perché chiunque, davvero chiunque, si era presentato per avere un’occasione di far parte della prima squadra con uno special Capitano. Il cambiamento post Abbadon aveva lasciato la popolazione smarrita e sola, e quello era il modo dei civili di adattarsi: seguire il flusso, anche quando non lo condividevano. Giocare sicuro, la coscienza a pesare sporca in ogni sorriso. Ma non era stata quella la parte peggiore, no - era stato il sottotono vendicativo ad appiattire la morale dell’Oh, ed a trascinarlo stanco e provato per i corridoi del castello. La cosiddetta rivalsa degli special, risolta in crudeltà gratuita così che i maghi pagassero il debito degli anni precedenti. Piccoli incidenti, spalle strette fra loro nel giustificare le proprie azioni come errori di calcolo.
    Fiammate. Vortici d’aria a far perdere l’equilibrio sulla scopa, facendo cadere i candidati sul campo. Scintille. E tutti a pagarne gli effetti collaterali, chi perché partecipava alle selezioni, e chi perfino – il più grave, perché passato sotto le attenzioni di un criocineta con la passione per le schegge di ghiaccio – dagli spalti.
    «No.» Si liberò dalla stretta al braccio, spostando la mano lungo il fianco del compagno, e sorrise soddisfatto. Non gli doveva dare spiegazioni. Un mondo nuovo.
    «ok, haha. Allora… ci vediamo in giro, mh? Mangiamo insieme qualche volta?»
    Che… infame. Strinse i denti, l’Oh, perché l’ipocrisia non gli era mai andata a genio, ed inspirò profondamente, perché non voleva fare scenate. Visto? Era cresciuto. Niente parolacce o aggressività nella posa di Kaz, solo una posa rilassata ed un sorriso gentile.
    «vediamo, dai» nord core; a rivedersi mai più.
    Lo congedò sfarfallando le dita, trascinando i piedi verso l’infermeria. Forse non era suo dovere quello di andare a chiedere scusa a nome dei concasati, non era previsto nelle sue mansioni, ma ovviamente l’Oh sarebbe andato comunque, e non solo per placare gli animi.
    Era sinceramente dispiaciuto che la situazione si fosse evoluta in maniera così drastica, ed in così poco tempo. Aveva ruotato supplicanti occhi neri sul coach Hayes, perché non era colpa sua ma non sapeva cosa fare, e l’uomo aveva gestito la situazione interrompendo le selezioni e mandando tutti, seppur gentilmente, a spigolare. Kaz si era limitato a guardare i compagni, conscio che la conversazione – che davvero, davvero, non voleva fare – sarebbe arrivata, ma a priorità aveva scelto prima di dedicarsi agli infortunati.
    Si fermò sulla soglia dell’infermeria, il pugno chiuso contro il legno, ma non ancora premuto per bussare. Una fitta al pensiero che non ci avrebbe trovato Willa; che non l’avrebbe sgridato a denti stretti. C’era Dakota, però; c’era ancora Dakota, e Dakota Wayne era dalla sua parte.
    Poteva farcela.
    Umettò le labbra, schiarendosi la voce e decidendosi a bussare. Dischiuse la porta, affacciandosi cauto oltre la soglia. «posso…?»

    ivorbone
    vii year
    rebel
    higher ground
    imagine dragons</td


    ciao amici!! sono rimasta sul vago su /chi/ sia in infermeria così c'è spazio di manovra, può essere staff scolastico/studenti (special o maghi alike) che si sono infortunati ai provini o assistendo / gente che passava per caso al campo da quidditch #wat insomma. it really be like that sometimes
     
    .
  2.     +2    
     
    .
    Avatar

    Junior Member

    Group
    Ghost
    Posts
    23
    Spolliciometro
    +27

    Status
    Offline
    Aracoeli Miranda-Iglesias
    wanna be beater
    ‘Cause everyone hurts,
    Everyone cries.
    Everyone tells each other all kinds of lies.
    Everyone falls,
    Everybody dreams and doubts…
    Got to keep dancing when the lights go out.
    Aracoeli aveva un disperato bisogno di normalità.
    Certo, cosa mai era stato normale nella sua vita?
    Fino a undici anni, era cresciuta convinta di essere normale, appunto, babbana, per dirla in altri termini, convinta che la normalità fosse scorrazzare per Vega Alta, a Porto Rico, sempre e solo in compagnia di tutta la famiglia che avesse mai avuto e conosciuto, sua madre. Le era andato bene così, anzi, aveva amato che fosse così, che ci fossero solo e soltanto loro due, e il loro piccolo, grande mondo.
    Poi era arrivata quella lettera, e dopo un’iniziale titubanza, la sua mamá le aveva confessato la verità, il volto serio dagli occhi asciutti: era una strega, come tutta la loro famiglia. Quella famiglia che aveva rifiutato e allontanato lei, condannandola alla damnatio memoriae, perché era una sporca magonò. E questa era diventata la nuova normalità, una normalità che faceva bruciare una rabbia a cui non sapeva dare un nome dentro di lei, ma pur sempre una normalità.
    Persino quando la sua mamita si era ammalata Aracoeli si era sforzata di riportare il tutto a una parvenza di ordinario, per convincere la sua intera, e unica, famiglia, che sarebbe tutto bene, che tutto si sarebbe risolto e sarebbero ritornare a passeggiare mano nella mano sulla spiaggia di Vega Alta. Aveva cercato di crederci fino alla fine, tentando disperatamente di tranquillizzare sua madre, di rasserenarla in quell’inevitabile, ma in fondo normale, passaggio.
    L’aveva ripetuto ancora e ancora a sé stessa, che era tutto normale, quando quell’uomo dagli occhi malinconici identici ai suoi l’aveva condotta con sé quasi dall’altra parte del mondo. Aveva cercato di riempire con la propria voce il silenzio di suo padre, per rassicurarlo che quella nuova realtà avrebbe fatto bene a entrambi, che avrebbero trovato il modo, insieme, per farla diventare normale. Che lo era già, perché in fondo erano una famiglia.
    Aveva tentato di tenerla insieme, quella normalità nuova di zecca, visto che si era infranta quasi nell’istante stesso in cui era diventata non più solo Aracoeli Miranda, ma Aracoeli Miranda-Iglesias. L’aveva stretta così forte da ferirsi, mentre aveva guardato quel padre ancora sconosciuto uscire dalla porta dell’appartamento che divideva con la sorella Mira, leggendo nei suoi occhi una promessa già frantumata in partenza, quella di tornare.
    Mentre il mondo fuori cadeva su sé stesso, fra quelle quattro mura aveva finto che fosse tutto normale, che quella famiglia non ancora davvero nata ce l’avrebbe fatta, che avrebbero trovato un equilibrio, tutti insieme. Si era appoggiata, anzi, aggrappata a sua zia con una disperazione così feroce da farle bruciare le guance di vergogna, ma non aveva potuto fare altrimenti.
    E quando alla fine quei pochi, malconci pezzi che rappresentavano ciò che rimaneva del mondo, e della sua famiglia, erano riemersi dal fumo, anche lei si era spezzata. Non c’era nulla di normale. Non poteva essere la normalità, quella.
    Ecco perché, quando le porte dell’Hogwarts Express si erano richiuse alle sue spalle, solo una manciata di giorni prima, quel desiderio si era trasformato in necessità. Aveva bisogno di ritrovare la normalità perduta, o, almeno, di provare a cercarla. E quale miglior posto se non Hogwarts?
    Tuttavia, i suoi piani andarono in frantumi nell’attimo stesso in cui mise piede al castello. Già sul treno aveva percepito qualcosa, ma si era trincerata dietro il suo proverbiale buonumore, nonostante tutto. Hogwarts sarebbe stata proprio come gliel’aveva descritta in quei mesi sua zia Mira, e come aveva letto nei libri che le aveva prestato. Simile a Castelobruxo, certo, eppure diversissima. E in effetti Hogwarts era diversa, ma non nel modo che aveva immaginato. Era diversa perché fingeva di essere normale. Lo faceva sforzandosi così tanto da risultare quasi corrosiva.
    Nascosta sotto sorrisi di circostanza e belle parole, la guerra era arrivata fin lì, lasciando il suo indelebile segno.
    Ma Aracoeli era pur sempre figlia di sua madre, la donna che non aveva mai visto piangere, nemmeno dopo essere stata ripudiata dalla sua famiglia perché priva di magia convenzionale, nemmeno in quel letto di ospedale, a un passo dalla morte. Era forte. Era testarda. Si sarebbe conquistata la normalità. L’avrebbe trovata, nonostante tutto, anche in quel mare di falsità.
    E l’avrebbe fatto in sella a una scopa, sebbene la terrorizzasse tanto.
    Perché Aracoeli amava il volo, amava il quidditch, ma aveva sempre avuto troppa paura per volare. Si era sempre limitata a guardare gli altri farlo, sostenendoli a gran voce, organizzando cori e quant’altro, convincendo sua madre ad abbonarsi alla televisione sportiva magica per non perdere neanche una partita. Non aveva mai trovato il coraggio di salirci in prima persona, su una scopa.
    Eppure adesso l’aveva fatto. Aveva partecipato ai provini per la squadra della sua nuova casa, i tassorosso. Aveva spiccato il volo, sicura di avvicinarsi, così facendo, anche solo di un soffio, alla sua mamacita.
    Quando quindi era precipitata, non aveva opposto resistenza, perché era normale. Era normale che cadesse, perché non ne era capace. Ma si sarebbe rialzata e avrebbe riprovato. Ancora e ancora.

    Nonostante lo stordimento, percepì comunque il suono. Ci mise qualche secondo a realizzare che si trattava di un battito. Un battito sul legno, per la precisione. Qualcuno stava… bussando. Inumidendosi le labbra, si sforzò di mettere a fuoco, giusto in tempo per intravedere una chioma scura fare capolino dalla porta.
    «posso…?»
    Sorrise, sincera, e cercò di tirarsi su a sedere, provocandosi una smorfia, e soprattutto una fitta, di dolore. «¡Adelante, adelante!» Era lì per vedere lei? Improbabile, visto quanto poco aveva resistito sulla scopa… E poi l’infermeria era piena di persone infortunate durante i provini per la squadra tassorosso. Però era veramente ammirevole da parte di Kaz Oh, il capitano, venire a trovare chi non ce l’aveva fatta. «Vieni pure! Voglio dire, se vuoi, ecco, claro!»
    hufflepuff
    V year
    ENFJ-A
    Everyday Life Coldplay


    Hhhh scusa, non voleva essere /così/ depresso come post.
    Ma è andata così............................
     
    .
  3.     +2    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Bolla
    Posts
    125
    Spolliciometro
    +297

    Status
    Offline
    kaz oh
    quidditch captain
    This life is such a ride, I live until I die
    I walk into the fire, I'm searching for the higher ground
    What a life, I live until I die, Won't fail unless I try
    Bleeding, keep on breathing
    Poggiò la fronte contro la porta, ruotando il capo per guardare di sottecchi l’interno dell’infermeria. Si irrigidì brevemente, aria inspirata dal naso e bloccata fra i denti, nell’incrociare gli occhi stanchi di Dakota Wayne; non si sentì meglio quando l’assistente lo guardò da sopra la spalla, sopracciglia arcuate ed un cenno con il capo. Deglutì, posando infine le iridi scure sulla figura che l’aveva invitato ad entrare, ritrovandosi a corrucciare tutto il viso verso la Tassorosso.
    Non era stata una bella caduta. Il coach era intervenuto prima che potesse peggiorare, certo, ma non era stata una bella caduta, ed a renderla peggiore, c’era il fatto che non fosse stata casuale. Non si sarebbe trascinato lì dentro per qualsiasi incidente, perché quelli capitavano e ne erano tutti consci, ma quello della mora non rientrava in categoria: era stato fatto di proposito, facendo assumere alla faccenda un significato tutto diverso. Figlio dello stesso odio con cui gli special erano stati ingozzati fino all’anno precedente.
    Una situazione che temeva potesse solo peggiorare.
    Se vuoi.
    Non era certo di volerlo, Kaz. Soprattutto non quando notò quanto apparisse piccola la ragazza sulla brandina, una fitta di senso di colpa nel rendersi conto di non ricordare il suo nome. Era il minimo che lo sapesse, no? Potenzialmente, sarebbe stato il suo capitano, e lei era finita in infermeria anche a causa sua. Non riuscì a reggerne lo sguardo allegro, ancor meno il sorriso sulle labbra, puntando invece il capo sui propri piedi nel tirarseli dietro verso la brandina metallica. Si schiarì la voce, dondolando nervoso sui talloni. Voleva chiederle se fosse stata la sua prima volta sulla scopa, se ora ne fosse terrorizzata; voleva dirle che gli dispiaceva, e promettere, bugiardo, che non sarebbe ricapitato; voleva rassicurarla che giustizia sarebbe stata fatta, ma non era certo di poter giurare neanche quello: se giustizia significava scaricarli in sala delle torture, non credeva di volerlo davvero. Strinse le labbra fra loro, azzardandosi infine a sollevare la testa. Ne incrociò lo sguardo solo parzialmente, coperto in parte dai capelli carbone scivolati sulla fronte. Non li spostò, lasciando divenissero un filtro fra sé e il mondo.
    «sono arrabbiati» disse invece, in un soffio, spalancando gli occhi e pregando che capisse. Rimase in piedi ai piedi del letto, le braccia lungo i fianchi perché non sapeva che farsene. «non voglio giustificarli. hanno sbagliato» si affrettò ad aggiungere, sollevando entrambi i palmi verso la ragazza. Si rese conto di suonare esattamente come qualunque propaganda misogina del boys will always be boys, e corrugò le sopracciglia rimproverando se stesso. SI ERA CRESCIUTO MEGLIO DI COSì. Scosse il capo, facendo saltare nel mentre le spalle. Ricominciamo. «stai bene? Il coach ha detto che non è niente di grave, ma volevo sentirlo dire da te» parte della verità che l’aveva condotto lì, ma il fatto che non fosse quella integrale, non la rendeva meno sincera. Kaz Oh, d’altro canto, non era in grado di mentire, ed indossava la sua onestà in ogni morbida curva delle labbra, fossero sorrisi o bronci. «e poi magari ti eri spaventata, e volevi parlarne con qualcuno?» Si sentiva… inadeguato. Joni Peetzah non si sarebbe mai trovata ai piedi di un lettino in infermeria senza sapere cosa dire.
    Inspirò, e drizzò la schiena. «mi dispiace che sia capitato»
    Una conversazione che era andata così al contrario, da farlo sorridere – solo marginalmente in maniera isterica – e tornare alle origini: «io sono kaz»
    Meglio tardi che mai!!
    ivorbone
    vii year
    rebel
    higher ground
    imagine dragons</td
     
    .
  4.     +2    
     
    .
    Avatar

    Junior Member

    Group
    Ghost
    Posts
    23
    Spolliciometro
    +27

    Status
    Offline
    Aracoeli Miranda-Iglesias
    wanna be beater
    ‘Cause everyone hurts,
    Everyone cries.
    Everyone tells each other all kinds of lies.
    Everyone falls,
    Everybody dreams and doubts…
    Got to keep dancing when the lights go out.
    Tutto era nuovo, per lei, tra le mura di Hogwarts, ma Aracoeli aveva fatto i compiti. Il sangue latino scorreva potente nelle sue vene e, in quanto tale, la rendeva una comare perfetta. Uno stereotipo, certo, proprio come dare per scontato che le piacesse la musica e che si infuriasse per un nonnulla, proprio a causa del calore del suo sangue.
    Eppure, nel suo caso, era tutto vero, e non se ne vergognava affatto. Al contrario, ne andava orgogliosa, perché ognuna di quelle caratteristiche la facevano sentire vicina a sua madre e, anche se non poteva saperlo, in fondo anche a suo padre.
    Così, in quei primi giorni al castello, aveva messo a frutto le sue doti naturali e cercato di scoprire il più possibile su tutto e, ancora di più, tutti. In buona parte il suo era puro e semplice gusto per il pettegolezzo, coltivato tanto sul campo quanto per sentito dire, grazie alle infinite telenovelas che avevano costellato la sua infanzia e la sua adolescenza. Quello che più la affascinava erano i rapporti umani e, con loro, le persone stesse. Adorava le persone, sfaccettate e complesse e imperfette com’erano. E adorava le relazioni che si venivano a creare tra loro.
    Ma al dilettevole aveva associato anche il cosiddetto utile. Non era una calcolatrice, Aracoeli. Le importava davvero di ciò, e soprattutto di chi, la circondava. Tuttavia, non era stupida. Sapeva benissimo che ricominciare da zero in una nuova scuola, specie poi dopo quell’improvviso ribaltamento scatenato dall’esito della guerra, non sarebbe stato per nulla facile. Di conseguenza, cercare di carpire più informazioni possibili sui suoi compagni e su ogni cosa concerneva la vita a Hogwarts, in particolar modo i non detti, era essenziale per la sua sopravvivenza.
    Ecco perché, in cima alla sua lista, aveva tentato di tracciare un primo, abbozzatissimo ritratto di Kaz Oh. I suoi interessi, la sua storia, il suo modo di fare. Quidditch a parte, le era subito apparso chiaro quanto lo special fosse coraggioso, in tutto ciò che faceva e che aveva fatto.
    Ancora prima di parlargli per la prima volta, Aracoeli si era ritrovata ad ammirare profondamente Kaz.
    Anche se ovviamente non poteva essere lì per lei, fu comunque bello, quindi, vederlo comparire in infermeria. Forse il ragazzo non se ne rendeva conto, ma la sua presenza lì era prima di tutto un simbolo. Un simbolo delle sue buone intenzioni, del suo preoccuparsi davvero per gli altri.
    Lo guardò avvicinarsi, preparandosi a salutarlo e a vederlo sfilare davanti a sé per avvicinarsi a quella che doveva essere la sua vera meta. Ma lui rimase fermo, a pochi passi dalla porta, e abbassò lo sguardo. Il sorriso di Aracoeli vacillò per un istante: aveva fatto qualcosa di sbagliato? Detto qualcosa di sbagliato? Cosa doveva fare?
    Per fortuna, però, quando incontrò gli occhi di lui, il suo sorriso si era tornato a stabilizzare, anche se ancora non sapeva bene cosa dire. Anzi, non lo sapeva e basta.
    «sono arrabbiati»
    «¿Enfadados?», ripeté in un mormorio, confusa. Chi? Chi era arrabbiato? Avrebbe voluto chiederglielo, ma Kaz sembrava così turbato… C’era un che di supplichevole, nel suo sguardo, quasi una richiesta implicita. Aracoeli si sforzò di capire, sentendosi terribilmente stupida. A chi si riferiva? L’Oh diceva che avevano sbagliato…
    Le faceva strano non dire nulla, lei che, di solito, parlava e parlava e parlava. Parlava persino nel sonno, incapace com’era di tacere! Ma adesso… Sospirò e scosse appena il capo, sforzandosi di minimizzare con quel gesto e un piccolo sorriso, nel tentativo di rassicurare lo special. «Tutti hanno il diritto di sentirsi come vogliono, senza soffocare le proprie emozioni.» Di questo era certa e così le era sempre stato insegnato.
    Eppure non era la prima ad aver imparato a nascondere il dolore? La perdita di sua madre, quella di suo padre, addirittura del mondo stesso…
    «Sì, sì, estoy bien, va tutto bene!», si affrettò a rispondergli, forse con un po’ troppo fervore, sia per l’emozione di aver scoperto che Kaz era lì (anche) per lei sia per non farlo preoccupare. «Nulla che un po’ di ossofast e di riposo non possano curare!» Gli sorrise ancora di più, vedendolo fare lo stesso, e percepì in lui la stessa sincerità che sentiva nascere dentro di lei.
    Quel primo ritratto abbozzato di Kaz cominciava ad acquisire qualche tratto più sicuro. Sembrava davvero una brava persona. Ma, dopotutto, Aracoeli ne era convinta già in partenza, sapendo che le sue prime impressioni difficilmente sbagliavano.
    «e poi magari ti eri spaventata, e volevi parlarne con qualcuno?»
    Eppure l’Oh continuava a stupirla. In positivo.
    Deglutì il magone che in un attimo le era salito in gola, ma non riuscì a scacciare gli occhi che, altrettanto velocemente, si erano fatti lucidi nel sentirlo dire così. «Scusa… e grazie…!» Con il sorriso sulle labbra un po’ tremanti, si strofinò gli occhi. «Sono caduta perché… sì, ero spaventata. Sono spaventata. Ma non lo sono perché sono caduta!!», cercò di spiegarsi, ingarbugliandosi però nelle sue stesse parole. «¡Ay! ¡Perdóname! Intendo dire che… mi fa paura volare. Da sempre.» Si fermò un attimo a riprendere fiato e solo allora si rese conto di quanto doveva apparire non solo sconclusionato, ma anche e soprattutto assurdo, il suo discorso. «Giustamente mi dirai: e allora por qué fare i provini per entrare nella squadra?»
    Una risata le proruppe dalle labbra, interrompendo i suoi stessi vaneggiamenti.
    «mi dispiace che sia capitato»
    «Gracias, davvero.» Un’altra conferma. «Vorrei dire di essere così perché ho sbattuto la testa…» Un’altra risata. «Ma mentirei. Sono…»
    «io sono kaz»
    Un altro sorriso. «… Lo so. Tú eres famoso. Io sono… caotica. Ma forse non intendevi questo… Sono Aracoeli!»
    hufflepuff
    V year
    ENFJ-A
    Everyday Life Coldplay
     
    .
  5.     +2    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Bolla
    Posts
    125
    Spolliciometro
    +297

    Status
    Offline
    kaz oh
    quidditch captain
    This life is such a ride, I live until I die
    I walk into the fire, I'm searching for the higher ground
    What a life, I live until I die, Won't fail unless I try
    Bleeding, keep on breathing
    Sarebbe stata una conversazione interessante. Kaz aveva frequentato Beauxbatons solo per pochi mesi – a Dicembre del suo anno da matricola, la scuola era stata smantellata, e lui era finito nei Laboratori – e per quanto sapesse vagamente un po’ di italiano e di spagnolo, perlomeno abbastanza da comprendere quando lo stessero insultando (le priorità di un Kaz appena dodicenne, esatto.), non era in grado di sostenere un dialogo. Sapeva il francese, il tedesco, e perfino un po’ di coreano, ma di spagnolo conosceva solo i churro e il dulce de leche. Guardò la mora battendo rapido le ciglia, cercando supporto morale nella finestra alle sue spalle. Riusciva a pensare solo alle enchilada (aveva passato decisamente troppo tempo con Dylan, visto che riconosceva solo cibi.), ma immaginava non c’entrassero molto.
    O lo facevano……..
    Corrucciato, riportò uno sguardo confuso ed interrogativo sulla …. straniera, perché non aveva idea da quale paese provenisse. Brasile? Colombia? MESSICO? Si guardò rapido attorno cercando una cartina geografica appesa alle pareti che potesse fargli venire una qualsiasi illuminazione; anche se l’infermeria non aveva occhi, si sentì comunque giudicato.
    «ho detto qualcosa di sbagliato?» Bisbigliò infine, incapace di reggere oltre quel (breve. Brevissimo. Ma Kaz era sensibile, ok) silenzio. «Tutti hanno il diritto di sentirsi come vogliono, senza soffocare le proprie emozioni.» Battè le palpebre, il capo reclinato sulla spalla. Minchia, che botta aveva preso? Roteò appena gli occhi sul Wayne, cercando di comprendere l’entità del danno, ma Dakota non ricambiò l’occhiata, ignaro del peculiare scambio fra i due. Che stava succedendo. Come il meme, l’Oh umettò le labbra ed alzò una mano con il palmo verso il soffitto. «si, beh. Ma in realtà, no» Offrì un sorriso sghembo e arruffato, il naso arricciato. Immaginava che fosse un ragionamento che funzionasse in un mondo ideale, ma nella realtà? Vero, ciascuno era libero di sentirsi come preferiva, ma … un po’ meno. «non se ha ripercussioni sugli altri» Osservò, perché gli sembrava il minimo. Un discorso forse troppo generalizzato, ma… lo era? Kaz Oh era esattamente il tipo di persona che anche quando voleva solo piangere, alle feste di compleanno fingeva di star avendo il tempo della sua vita per non rovinare la serata a nessuno. Quindi no, non lo trovava generalizzato: era specifico.
    Per lui. Ma insomma, per chiunque avesse un briciolo di rispetto per gli altri.
    POI SCUSA! L’avevano fatta cadere dalla scopa perché erano arrabbiati con i maghi! NON SI GIUSTIFICAVA IL COMPORTAMENTO TOSSICO DELLE PERSONE! Un rant che avvenne solo mentalmente, perché il cervello dell’Oh andava alla stessa velocità di Sara quando al mattino doveva timbrare l’entrata a lavoro. Da persona genuina qual era, però, tutti quei pensieri si riflessero uno per uno sul volto, che da confuso divenne teso, arrabbiato, ed infine risoluto, con spalle dritte e braccia incrociate sul petto. «non sono liberi di essere arrabbiati con te perché sei una strega.» Altro che soffocare, quel tipo di emozione andava ESTIRPATO ALLA RADICE. Si rilassò impercettibilmente quando la ragazzina disse di star bene, il sorriso a far capolino sulle labbra. Trovava impossibile guardare l’espressione entusiasta della Tassorosso, e non ricambiare almeno una parte della sua euforia. «Sono caduta perché… sì, ero spaventata. Sono spaventata. Ma non lo sono perché sono caduta!!» Iniziò, in slow mo come la principessa dei drammi che era, ad arcuare le sopracciglia e portarsi una mano al petto. Oddio…. Oddio. Aveva paura di lui? CLAY. CLAY! HA PAURA DI ME????? «¡Ay! ¡Perdóname! Intendo dire che… mi fa paura volare. Da sempre.» Ah, ecco.
    Per un millisecondo, si sentì offeso. Cioè, dai, poteva fare paura, no? Era ALTO! E MANIPOLAVA LA LUCE! Aveva tutti i requisiti per essere terrificante! Poi si ricordò che… beh. Non voleva essere terrificante, e di certo non voleva far paura, quindi era perfetto così. Annuì, come se avesse senso.
    Poi si fermò, perché non lo aveva.
    «sulla scopa, o come regola generale di vita….» Intendeva… cadere? Era un modo filosofico per interpretare la sua caduta, in effetti – o forse un problema linguistico. «Giustamente mi dirai: e allora por qué fare i provini per entrare nella squadra?» Rise con lei, rimanendo in silenzio perché completasse il botta e risposta dicendogli perché avesse fatto i provini per la squadra. Ok, non aveva posto lui la domanda, ma era implicita, no? Cioè… era una domanda sensata, Slay moretta per averci pensato prima che Kaz potesse dirlo (l’avrebbe fatto!!!!). Invece si guardarono, in silenzio.
    «oh» non lui. Forse doveva ripeterla? Tipo incantesimo. «perchè hai fatto i provini per la squadra?» FIXED IT!
    E io non so. Ma i giovani. Con quale audacia e coraggio qualcuno diceva all’egomaniaco Kaz Oh che fosse famoso?!?! Iniziò a ridacchiare, il piede a disegnare cerchi sul pavimento ed un ciuffo corvino sistemato dietro l’orecchio. Aveva anche le guance leggermente rosate. «ma che dici, famoso, addirittura, oh my» MA LO ERA, VERO? DIGLIELO DI NUOVO!!!!!!!!!!! DYLAN SONO DIVENTATO FAMOSO DOVE SEI DYLAAAN. «piacere di conoscerti!!! come vuoi essere chiamata?» ara come i campi? Coco? Eli? «aspetta…. Ma tu facevi Il TIFO PER NOI VERO?» he connected the dots!
    ...Forse. Kaz aka: Sara ricordava Ara fra gli spalti da anni, ma forse era prima che diventasse una Iglesias; forse ora sei appena arrivata. Kaz delulu.
    ivorbone
    vii year
    rebel
    higher ground
    imagine dragons</td
     
    .
  6.     +2    
     
    .
    Avatar

    Junior Member

    Group
    Ghost
    Posts
    23
    Spolliciometro
    +27

    Status
    Offline
    Aracoeli Miranda-Iglesias
    wanna be beater
    ‘Cause everyone hurts,
    Everyone cries.
    Everyone tells each other all kinds of lies.
    Everyone falls,
    Everybody dreams and doubts…
    Got to keep dancing when the lights go out.
    «ho detto qualcosa di sbagliato?»
    Oh baby. Dolce, tenero, baby Kaz.
    Che poi di piccolo l’Oh non avesse nulla era un’altra storia, visti i suoi innumerevoli centimetri. Ma era qualcosa nel suo sguardo, nelle sue parole, a farle saltare in mente, ogni volta che lo guardava, quegli aggettivi. Poteva anche essere alto il doppio di lei, e essere all’ultimo anno, e il capitano della squadra di quidditch di tassorosso, e il primo special della scuola (e forse persino della storia!!) ad aver mai volato a cavallo di una scopa, giocandoci, ma Kaz Oh andava protetto da tutto e da tutti. Dal mondo.
    E non era solo l’inner Thor di Sara, e Sara stessa, in effetti, a parlare.
    Aracoeli lo conosceva solo per sentito dire, ma, istante dopo istante, le sue supposizioni prima e la sua prima impressione dopo non fecero che rafforzarsi.
    «No. No, tranquillo», lo rassicurò con un sorriso, scuotendo appena la testa. «Forse, si alguna vez, sono io ad aver detto qualcosa di sbagliato.» Altrimenti come spiegare la sua espressione confusa e preoccupata?
    Ed evidentemente doveva essere proprio così, dato che Kaz continuò a osservarla con fare stralunato, prima di far scorrere lo sguardo nella stanza e infine sul soffitto. O forse aveva anche qualcosa di strano in faccia? Cercando di dissimulare l’imbarazzo si tastò il viso, convinta di trovarci orribili cicatrici, sangue o chissà cosa. In effetti finì per strapparsi una smorfia quando premette un po’ troppo sulla fronte, dove trovò quello che doveva essere un bernoccolo grande come una pallina da tennis. Be’, poco male. Forse.
    Per fortuna, nel mentre, il capitano era tornato a sorridere… e a guardarla. Sorrise a sua volta, un po’ di rimando, un po’ tanto compiaciuta quanto imbarazzata di avere l’attenzione di lui su di sé. Tuttavia, anche se con gentilezza, Kaz non sembrava molto d’accordo con lei. Aggrottò le sopracciglia, senza fare nulla per nascondere il suo esserci rimasta un po’ male. Aveva sbagliato a giudicarlo una brava persona? No, difficilmente sbagliava in queste cose. Però era strano che non pensasse che tutti fossero liberi di esprimersi e avessero il diritto di sentirsi bene o male che fosse, no?
    «non se ha ripercussioni sugli altri»
    «Oh.» Che non era il suo cognome. Non solo, almeno. Sgranò appena gli occhi, sorpresa e colpita. «Es cierto… Ma è difficile fare qualcosa che, anche solo involontariamente, non si ripercuota sugli altri, no?», gli fece notare gentilmente, giocherellando con il lenzuolo su cui teneva poggiate le mani.
    Era sorpresa, ma non spaventata, dal tono che stava prendendo quella conversazione. Credeva che il capitano dei tassorosso fosse venuto in infermeria per accertarsi che nessuno si fosse fatto male in modo irrimediabile, decisione già di per sé estremamente nobile e ammirabile. Pensava di essere solo una delle tante, cosa che in effetti era ed era sempre stata, quindi non si aspettava che si intrattenesse lì con lei per più di qualche minuto. Ma mettersi a parlare di cosa era giusto o sbagliato? Domandarsi se le persone avessero il diritto di dire e ancora di più fare tutto ciò che volevano?
    Davanti al proprio stupore, vide passare sul volto di lui una ricca gamma di emozioni, dalla confusione, alla tensione, alla rabbia, persino!, alla risolutezza. Un po’ si preoccupò, Aracoeli, pensando di nuovo di esserne la causa. Non voleva farsi odiare da nessuno, tantomeno dall’Oh, che sembrava sul serio una brava persona, una persona di cui avrebbe davvero voluto essere amica. Ovviamente, però, cominciò già a figurarsi i peggiori scenari, quando lui le incrociò le braccia davanti.
    «non sono liberi di essere arrabbiati con te perché sei una strega.»
    Questo non l’aveva previso.
    Anzi, non l’aveva proprio neanche pensato.
    Dapprima aggrottò la fronte, cercando di collegare tutti i puntini. «Non credo di aver capito…» Tuttavia, proprio mentre parlava, una lampadina le si accese nella mente. Ma era troppo assurdo per essere così… Le sopracciglia le si sollevarono, mentre negli occhi passava un bagliore di consapevolezza. «Non voglio fare la vittima… Anzi, non lo sono proprio!» Sbuffò, con una smorfia. «Sin embargo… Non è che a Castelobruxo fossi molto popolare, eh. Sono pur sempre una sangre sucia, o almeno, circa… Así, in ogni caso, sono sempre stata l’anello più debole della catena alimentare», cercò di spiegarsi, con una mezza risatina amara. «Ma questi primi giorni qui… Todo es diferente. Ed è ancora peggio. È quasi come se fossi un… mostro.» Abbassò lo sguardo, mordendosi inavvertitamente l’interno di una guancia già dolorante. «Ma non sono una vittima.»
    Non voleva sentirsi così.
    Non doveva sentirsi così.
    Perché lei era viva, a differenza di tanti altri. Lo doveva a sua madre, e persino a suo padre.
    Così si buttò in quello che sapeva fare meglio: parlare ancora e ancora. Ma evidentemente continuava a confondere Kaz. O forse era solo un problema linguistico? In effetti spesso non si rendeva conto di mescolare inglese e spagnolo, tanto era abituata a farlo e a usarli in modo interscambiabile – oltre al fatto che, a casa, con sua madre prima e con Mira poi, finivano per parlare con la sua lingua madre, il più delle volte –, ma sospettava che il vero problema non fosse quello.
    «perchè hai fatto i provini per la squadra?»
    Rise e si strinse nelle spalle. Era una domanda più che legittima. Anche perché gli aveva appena detto di aver paura di volare. Almeno non aveva aggiunto che quella era la sua prima volta sulla scopa, se si escludevano le fallimentari lezioni il primo anno a Castelobruxo. «Perché adoro il quidditch. Lo quiero», spiegò con sincerità, gli occhi luminosi, e lucidi, per quello che stava dicendo. «Ho sempre sognato di giocarci e… ho trovato il coraggio solo adesso. Mi sono detta che dovevo provarci. Dopo… dopo tutto quello che è successo… Il mio temor di volare non aveva senso!! Dovevo provarci e…» Rendendosi conto solo in quel momento di essersi dimenticata di riprendere fiato, si fermò e fece un gran respiro. «Scusa, quando parlo di qualcosa che mi piace me emociono un po’ troppo…» Rise scuotendo la testa per la propria stupidità, poi riprese: «Y nada. Ci ho provato. Per questo sono caduta. Lo sapevo già in partenza di non avere possibilità di entrare in squadra, ma dovevo farlo».
    Almeno in questo sperava di rassicurare l’Oh. Non voleva che si preoccupasse di ferire i suoi sentimenti, rifiutandole l’ingresso tra le fila del quidditch tassorosso. Sarebbe stato da locos affidare un ruolo tanto importante a qualcuno che, come lei aveva appena candidamente ammesso, aveva paura di volare. La passione era importante, certo, ma non sempre bastava.
    Un altro moto di istintivo affetto tornò a invaderla nel vedere l’elettrocineta emozionarsi per la propria popolarità. Non sembrava costruito. Anzi, non lo era e basta. Era sincero, e vero. Sorrise allegra. «Piacere mio!!» Oddio, le stava chiedendo come voleva essere chiamata?? Lui??? A LEI???? Arrossì di piacere e alzò appena le mani. «Non… non lo so? Non ho mai avuto un vero soprannome?? A parte Cielita…» Si rabbuiò per un istante, un velo di tristezza davanti agli occhi al pensiero della madre. Tuttavia si sforzò di riscuotersi subito, non volendo turbare ancora di più il ragazzo. Che però… «No…?» Altri problemi di traduzione? «Forse, anzi, di sicuro mi confondi con qualcun altro… Ma ci sta!! Non è che io sia molto memorabile… anzi, non credo di esserlo per niente!!», si schernì sorridendo e scuotendo appena il capo.
    E invece Kaz aveva ragione. Aveva fatto il tifo per i tassorosso per almeno due anni. Così come, per due anni, era stata al quinto anno. Ma il multiverso è un concetto di cui sappiamo spaventosamente poco e, al tempo, non c’era ancora stato lo zampino del daddy TM Javi.
    Aracoeli sapeva di essere una ragazza latina come tante, ma, tendenzialmente, la irritava non poco, giusto per continuare con gli stereotipi, l’essere confusa con un’altra persona solo perché latina. Ma se a farlo era il capitano dei tassorosso, il popolare e coraggioso (e bello) Kaz Oh… «Però grazie!! Se fossi stata qui sicuramente avrei fatto il tifo per voi!!!» Sorrise ancora, genuina. «E lo farò a partire dalla prossima partita, questo è certo. Conosco un sacco di cori!!»
    hufflepuff
    V year
    ENFJ-A
    Everyday Life Coldplay
     
    .
  7.     +2    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Bolla
    Posts
    125
    Spolliciometro
    +297

    Status
    Offline
    kaz oh
    quidditch captain
    This life is such a ride, I live until I die
    I walk into the fire, I'm searching for the higher ground
    What a life, I live until I die, Won't fail unless I try
    Bleeding, keep on breathing
    Era quello che le persone avevano provato a parlare con lui quando era stato giovane, ed illibato dalla vita? (No, perché anche quando la stessa, dorata speranza, aveva illuminato le iridi scure, l’Oh aveva sempre espresso i propri pareri in maniera… meno adorabile, e più come i capricci di un bambino; non stupiva che raramente fosse stato preso sul serio) Provò un moto di tenerezza, e sconforto nel sapere che quella fase non sarebbe durata a lungo. Quell’ottimismo, gliel’avrebbero strappato via. Non voleva essere lui a farlo, ma a qualcuno sarebbe toccato prima o poi. «Es cierto… Ma è difficile fare qualcosa che, anche solo involontariamente, non si ripercuota sugli altri, no?» Vero, ma fino ad un certo punto. C’erano diversi tipi di conseguenze ed effetti catena. Il domino di quella nuova società, non era un gioco ad armi pari, e con lo stesso numero di pedine a cadere. Umettò le labbra, corrugando appena le sopracciglia. Cercò, ancora una volta, il muto supporto di Dakota Wayne, ma l’infermiere doveva aver proprio deciso fossero affari suoi, perché persistette nell’ignorarlo e nel fare cose assolutamente superflue tipo curare il resto degli infortunati. Non contavano le ferite morali? Come potevano avere, un po’ di ossa rotte, la precedenza sul suo cuore! Passò frustrato una mano fra i capelli scuri, attento a non spettinarli più del dovuto - aveva un’immagine da creare e mantenere, e non era quella dello scappato di casa. Al momento, perlomeno – accigliandosi appena. «sì. involontariamente» enfatizzò, ripetendo quanto detto dalla ragazza. Aveva un bel sorriso allegro, ed un paio d’occhi luccicanti di entusiasmo, e davvero non voleva essere lui la persona a privarla del proprio sole. Le giornate degli altri, Kaz puntava ad illuminarle, e non solo grazie al suo potere: voleva essere un faro nella notte, l’unica stella visibile in un cielo coperto da nuvole, la fiamma dell’accendino dopo vari tentativi di sole scintille. La speranza voleva darla, non toglierla. Umettò le labbra, drizzando le spalle malgrado volesse solo accartocciarsi su se stesso. «ma alcune persone… scelgono di far del male agli altri.» scandì lentamente le parole, un po’ per banale problema linguistico, ed un po’ perché stava andando a tentoni nel buio cercando il piano stabile sul vuoto. «non sempre per colpa loro» Società, tradizioni, rabbia, famiglie alle spalle a suggerire veleno alle orecchie, e lo capiva, ma non significava che dovesse anche tollerarlo. «ma lo fanno. E non è giustificabile» aveva ammorbidito il tono di voce, chinandosi appena verso di lei come se le avesse appena rivelato un grande segreto, e non osservato la triste, drammatica, realtà dei fatti.
    Kaz Oh era stanco di perdonare. L’aveva fatto, in passato. Giustificato, ed incolpato altri, sperando che qualcuno facesse qualcosa in merito; nessuno l’aveva mai fatto, ed allora aveva preso un respiro profondo, e deciso che l’avrebbe fatto lui. Uno per la squadra, sapete. Si era sempre lasciato scivolare fra le pieghe, ma era cambiato. Cresciuto, malgrado gli incubi ed il viso bagnato di lacrime con cui si svegliava al mattino avrebbero suggerito il contrario. Inasprito. Non era più il tempo di essere quelli pazienti. Non sarebbe arrivato nessuno a cambiare le cose. «Ma questi primi giorni qui… Todo es diferente. Ed è ancora peggio. È quasi come se fossi un… mostro.» Gli dispiacque, perché il tono suggeriva pensasse di essere l’unica.
    Non era così.
    Ci erano passati loro, prima. Ci stavano passando i maghi, ora. Era ingiusto in egual maniera. Per un po’ non disse niente, in parte condividendo l’amarezza del resto degli special - per anni si erano sentiti così, loro; buona parte della loro vita ad essere quelli sbagliati, ed i mostri da cui nascondersi - ma voleva essere migliore di così, e sapeva riconoscere non fosse colpa di Aracoeli. Le lasciò comunque un paio di secondi di silenzio per non sminuire la sua confessione, e non mentirle dicendo che sarebbe andata meglio, e che non lo fosse; per qualcuno, lo sarebbe sempre stata. «non lo sei per me» sorrise, perché era sincero e perché era proprio una frase da main character da dire a qualcuno, ed ebbe un frullio d’ali al cuore nel pensare che a parti inverse, si sarebbe subito innamorato di se stesso. Poteva quasi vedere le riprese, sentire la musica d’atmosfera; la lente rosa attraverso cui avrebbero inquadrato lui, l’eroe di cui tutti avrebbero fatto edit su Tiktok. Jojo, con il suo intramontabile rizz, sarebbe statx fierx di lui – tanto che Kaz valutò, per un solo folle istante, di suggerire alla ragazza di lasciargli una recensione su wiztinder, e di spargere la voce con tutti i suoi amici. Il fatto che non stesse considerando la Iglesias in quel modo, non gli impediva di essere la versione migliore e più affascinante di se stesso.
    La ascoltò parlare con il lieve sorriso che ogni tanto vedeva curvare le labbra del prof Henderson quando li guardava allenarsi (gesù… stava proprio invecchiando) incapace di non riflettere, almeno parzialmente, la solarità di Aracoeli. Era come avere al proprio fianco una piccola stufetta portatile, calda e confortante, ed il suo entusiasmo era contagioso. Valutò poi con sincera, e riflessiva, attenzione, come avrebbero potuto chiamare la ragazza. Cielita era fuori discussione, gli inglesi avrebbero storpiato il nome all’infinito – e c’era qualcosa di troppo intimo e personale nel modo in cui l’aveva ricordato, fasciando la parola sulla lingua con la cura riservata alle cose preziose e fragili. Ci voleva qualcosa di suo, ma che potesse essere di tutti. Alla fine aveva ceduto a sedersi alla base del letto della compagna, in un rettangolo dove non desse fastidio a nessuno. «riri? Come rihanna» una precisazione necessaria ed importante. «o cece – letto sisi, mind you» tamburellò l’indice sul labbro inferiore, cercando ispirazione fuori dalla finestra. Inutile dire che non la trovò.
    Una tragedia.
    «tifo dagli spalti?» E per un breve, brevissimo istante, pensò di dirle che fosse la cosa migliore. Non era colpa di Aracoeli se fosse caduta, ma l’aveva fatto, e quell’anno l’Oh voleva vincere.
    Fu molto breve. Ricordava le compagne che gli avevano dato una possibilità quando nessun altro era stato disposto a farlo. E aveva sentito, nonché visto, l’emozione della ragazza nel parlare dello sport. Ci volevano persone più crudeli di Kaz per dire no all’entusiasmo della Tassorosso – ed alla fine, se c’era il cuore… il resto veniva da sé, no? «oh no. Tu giochi» periodt.
    ivorbone
    vii year
    rebel
    higher ground
    imagine dragons</td
     
    .
  8.     +1    
     
    .
    Avatar

    Junior Member

    Group
    Ghost
    Posts
    23
    Spolliciometro
    +27

    Status
    Offline
    Aracoeli Miranda-Iglesias
    wanna be beater
    ‘Cause everyone hurts,
    Everyone cries.
    Everyone tells each other all kinds of lies.
    Everyone falls,
    Everybody dreams and doubts…
    Got to keep dancing when the lights go out.
    Aracoeli non era un’ingenua, non del tutto, almeno. Era solo un’inguaribile ottimista. Non erano poche le volte in cui si era sentita accusare di falsità, per questo, perché era impossibile che qualcuno credesse così tanto nel mondo e, ancora di più, negli altri. Eppure, da che ne avesse memoria, era sempre stato così. E sua madre l’aveva sempre incoraggiata e aiutata a sviluppare questa parte del suo essere, perlopiù in modo inconscio e, solo in tempi recenti, quando era diventata grande, parlandone apertamente. Le ripeteva spesso che il suo era un dono, ma anche una maledizione. Che non avrebbe dovuto perderlo mai, ma che doveva anche stare attenta a non farlo sfruttare alle persone sbagliate. Tuttavia, quest’ultimo era un controsenso, almeno per lei: come potevano esistere persone sbagliate?
    «ma alcune persone… scelgono di far del male agli altri.»
    Strinse le labbra, pensosa, ma alla fine annuì appena, ancora persona nelle proprie riflessioni. Quello che Kaz diceva era vero, perché tutti sono liberi di scegliere. Però… scegliere di fare del male? Le risultava così inconcepibile da metterle i brividi. Ma non era stato così, solo pochi mesi prima? Certo, da una parte e dall’altra le persone erano scese in guerra perché credevano in qualcosa, ma erano state consapevoli, dovevano esserlo state, che questo avrebbe significato anche fare del male agli altri.
    «non sempre per colpa loro»
    «Sì. E no. Si è sempre responsabili delle proprie opciones. Anche quando si è costretti», mormorò, istintivamente, stringendo le coperte sotto le dita. Forse era cresciuta in una cultura della colpa, ma non poteva farci nulla. Il senso di colpa le era stato instillato con la vita, e forse la sua vita stessa era nata dal senso di colpa. Quello di suo padre, che aveva lasciato sua madre. Quello di sua madre, che non aveva detto nulla di lei fino a quando non era stato inevitabile. Quello delle loro famiglie, che non avevano voluto sapere nulla né dell’uno né dell’altro, mai.
    «ma lo fanno. E non è giustificabile»
    « Lo hacen, sì», concordò, in un soffio. «Ma sono, siamo humanos. Sbagliamo. E perdoniamo.» Cercò lo sguardo dell’Oh e, quando lo trovò, lo fissò con intensità, sorridendogli sicura di quello che stava dicendo. «Tutti possono imparare a essere migliori.» Poteva essere una frase fatta, ma Aracoeli ci credeva davvero. Così come credeva, però, alla sofferenza dello special, una sofferenza, e una rabbia, così profonde da non poter essere pronunciate ad alta voce. O forse… che lo stesse facendo per lei? Per non spaventarla? Per non danneggiare il suo, di dolore?
    Sgranò gli occhi, sorpresa, e annaspò nel cercare qualcosa da dire. Farfugliò un piccolo: «Grazie», sentendosi immensamente piccola e stupida. «non lo sei per me» «Muchas gracias», tornò a ripetere, ancora più sorpresa e, stavolta, palesemente imbarazzata. Le ci volle qualche istante, però, per realizzare davvero quello che era appena successo. Kaz Oh, il bravissimo e coraggioso e bello battitore e capitano dei tassorosso, le aveva detto che, per lui, lei non era un mostro. Lui. A lei.
    Sembrava una scena da telenovelas.
    Una di quelle strappalacrime che guardava con sua madre. Quelle che duravano anni, decenni, persino, dove si raccontava la storia di una famiglia tra amore e morte. Quelle che le avevano riempito la testa, e il cuore, di sogni irrealizzabili di felicità.
    E che, in tempi recenti, erano in parte state soppiantate dai k-drama.
    Kaz Oh era un perfetto protagonista maschile di k-drama (e anche di telenovelas, a parer suo).
    Ma lei?
    Lei?
    Le si riempirono gli occhi di lacrime, un po’ al pensiero di sua madre, un po’ al realizzare ancora una volta cosa lui le aveva appena detto, un po’ perché, appunto, si sentiva inadatta, per non dire indegna, di quell’affermazione.
    E poi perché, adesso, non poteva più tornare indietro. Fino a quel momento era stata quasi una cosa a tavolino, frutto del sentito dire e delle immense capacità della sua immaginazione. Ma adesso la realtà stava superando la fantasia, e in meglio.
    Cominciava ad avere davvero una cotta per Kaz Oh.
    Così, naturalmente, vederlo appollaiarsi ai piedi del suo letto non poté che scatenarle nel petto una tempesta di emozioni. Che si andarono a sommare a quella mezza confessione sul soprannome con cui la chiamava sua madre. Sua madre… avrebbe voluto raccontarle di lui. Dirle che l’aveva accolta, e accettata, che l’aveva sostenuta e aiutata. Che si era preoccupato per lei. E che, adesso, chiedeva il suo parere su quale soprannome preferisse. «Come Rihanna!», esclamò in coro con Kaz, tutta contenta ed emozionata. «Bello! Ma anche Cece…» Perché scegliere era così difficile?? «Mi piacciono tutti! Grazie per avermelo chiesto… Però è un soprannome, no? Deve essere scelto da te. Cioè, dagli altri!! Deve essere scelto dagli altri.» Rise imbarazzata, abbassando per un istante lo sguardo. «En el sentido…» Tornò ad alzare gli occhi, cercando quelli di lui, ora persi fuori dalla finestra. «Guardandomi, secondo te da cosa ho la faccia? Riri? Cece?» Che poi lei non si sentisse all’altezza di nessuno dei due era un’altra storia.
    Ci si sarebbe arrovellata sopra ancora, perché la questione soprannome era molto importante, ma quella del quidditch lo era ancora di più. Amava quello sport. Insieme a Mireia, Dante e Virgil, il quidditch era l’unica cosa che l’aveva tenuta a galla, nei mesi appena passati. Certo, lei e sua zia si erano divorate decine di serie tv e film romantici, ma quando alla fine Mira crollava, addormentandosi raggomitolata sul divano, Aracoeli cercava vecchie partite e vi si immergeva. Sceglieva sempre le più lunghe, quelle che erano durate giorni interi, per non dire settimane, e le guardava tutta la notte, così concentrata sulle azioni da dimenticare volutamente tutto il resto.
    «tifo dagli spalti?» Annuì con forza, un sorriso un po’ triste, ma sincero, sulle labbra. «Non sono abbastanza brava e coordinata per fare la cheerleader, ma appunto, so un sacco di cori e… riesco a urlare molto forte!» Rise, stringendosi nelle spalle con colpevolezza. «Ecco, se esistesse una squadra di aulladores forse riuscirei a…»
    «oh no. Tu giochi»
    «… entrarCOOOSA??»
    Nonostante la bocca nascosta dietro le mani, Aracoeli diede prova di quello che aveva appena cercato di dire. Urlare era davvero una delle sue migliori qualità. Aveva una voce potente e ferma, troppo grande e forte per essere contenuta in un corpo tanto piccolo.
    Quindi congiunse le mani, ancora davanti alle labbra, e alzati gli occhi al cielo cominciò a ringraziare: «Te doy gracias, Jesús mío, de todo corazón, porque has venido a mi alma. Virgen Santísima, Angel de mi guarda, Angeles y Santos del Cielo, dad por mi gracias a Dios». Salvo poi accorgersi che erano in infermeria. E lei aveva urlato come una pazza.
    «Oh caz.»
    hufflepuff
    V year
    ENFJ-A
    Everyday Life Coldplay
     
    .
7 replies since 26/8/2023, 14:44   256 views
  Share  
.
Top