10 stupid things i've done out of a compulsive need to be liked (cringe compilation)

kaz ft. jojo

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    Era vero che ad ogni azione corrispondesse una reazione.
    Era anche vero, e Kaz lo sapeva bene, che i pretesti e le scuse tentassero sempre di giustificarsi come conseguenze, ma lo fossero solo nell’ambito di coscienza lavata su presunzione e moralismo. Insomma, il succo era che quando dovevi rimanerci fottuto, ci rimanevi fottuto indipendentemente da quante volte prima di quella fossi riuscito a scamparla.
    Sapeva che quel momento sarebbe arrivato. L’aveva messo in conto, relegato in un piccolo angolino del suo (magro.) istinto di sopravvivenza, ma aveva deciso di continuare comunque, perché il rischio valeva sempre la pena quando simboleggiava qualcosa. Non era il tipo di persona da saltare nel burrone ad occhi chiusi per divertimento, ma se avesse pensato che potesse aiutare qualcuno, o che potesse aiutare qualcosa, l’avrebbe fatto senza porsi domande. Anche un po’ per spite, ad essere onesti: drizzava sempre le spalle bitorzolute che si ritrovava, l’Oh, quando aveva occasione di un bel vaffanculo al sistema. In parti piccole e misurate, nulla a che vedere con i Guerriglieri che andavano in giro a creare bordello; più alla Beech o alla JD che CJ o Chelsey. Non era in grado di fare graffiti, ma - ma! - poteva fare quello.
    E l’aveva fatto. Per anni. Un (molto piccolo) paladino della giustizia di un (molto piccolo) ritaglio del mondo in cui sarebbe entrato ufficialmente a vivere come adulto l’anno successivo. Il suo modo personale di cambiare le cose e reclamarsi un posto ed un’identità tutta sua. Non era facile quanto si potesse pensare, esistere a se stessi. Sapeva chi fosse per Kul, e sapeva chi fosse per Clay, e per Dylan, e le Furie, ma per se stesso? Sapeva chi volesse essere; non sapeva in quale segmento della linea temporale si trovasse per raggiungere quel Kaz, ma peccando del minimo di modestia sindacale, voleva credere di essere ad un buon punto.
    Poi, insomma. Non era che non visitasse spesso la Sala delle Torture, e per motivi molto meno giustificati di quello. Non aveva una vagina, ma anche lui aveva un suo ciclo mestruale personale: perdeva sangue una volta al mese, non era mai puntuale, e quando la chiamata alle armi arrivava in ritardo, viveva con l’ansia di quando sarebbe giunta, conscio che più venisse rimandata, più avrebbe fatto male. Non gli dispiaceva neanche così tanto: costruiva carattere! Era aesthetic! Poteva fingere di essere il bello due volte e dannato, anziché l’ennesimo special del cazzo a interferire nel quieto vivere di qualche purosangue inviperito - poteva fingere, Kaz, di essere importante almeno per quello, che fosse per se stesso, anziché per quello che rappresentava. Inventava sempre storie affascinanti su come si fosse procurato l’ennesima cicatrice, o perché avesse un cerotto fresco. Nei suoi racconti, era sempre l’eroe.
    Da qualche parte e per qualcuno, fosse anche solo se stesso, doveva pur esserlo.
    L’infermeria, poi, gli piaceva. Dakota era gentile, Willa ed i suoi modi bruschi lo facevano arrossire ed abbassare il tono di voce di un ottava per mostrarle fosse un VERO WOMO, e gli offrivano sempre i lecca lecca alla fragola malgrado fossero quelli che andassero più a ruba. Li tenevano da parte! Per lui! O almeno, di quello si era convinto. La realtà dei fatti era noiosa, e Kaz non era interessato a conoscerla.
    Gli piaceva fare la vittima quando non c’era motivo per esserlo: quando cadeva e si sbucciava un ginocchio; quando prendeva una testata perché non aveva visto un palo; quando agli allenamenti, i bolidi li prendeva di faccia anziché con la mazza; quando quegli arti un po’ meno troppo lunghi, finivano immancabilmente per sbattere contro la mobilia. Nella Sala delle torture, Kaz Oh non era quella persona, perché non avrebbe dato ad altri la soddisfazione di vederlo lamentarsi a causa di una punizione ricevuta per qualcosa in cui credeva o, peggio, qualcosa che era. Capitava che piangesse? Sì, certo, faceva tutto un male cane, ma quelle non poteva controllare, e tendeva a non fare neanche caso alle gocce bagnate scivolate sulle guance.
    «rubare libri in biblioteca è un reato gravissimo. Dovrebbero sbatterti fuori» Spostò la caviglia in tempo per evitare lo sputo del torturatore, il suo amico Sven, e non alzò il capo dall’interessantissima pietra su cui aveva posato gli occhi all’inizio di quel teatrino. Passò la lingua sul labbro gonfio, battè veloce le palpebre per liberarsi di sangue e lacrime; sarebbe rimasto fermo anche senza la catena legata al collo, ma era un tocco di classe per ricordargli quanto ai loro occhi restasse un animale.
    Sì, Kaz aveva preso in prestito un libro. Due, forse. Magari una dozzina o più. Li aveva portati a Different Lodge, perché anche loro meritavano una biblioteca, GRAZIE TANTE, e non rimpiangeva di averlo fatto solo perché ora le conseguenze gli mordevano il culo. L’avrebbe rifatto.
    Qualcuno chiamò Sven all’esterno. Attese di sentire i passi in allontanamento, prima di sollevare le iridi scure su Jojo. Sorrise ed arricciò il naso, scrollandosi nelle spalle. «enemies to lovers» mormorò, fingendo la voce non fosse leggermente spezzata, tentando di arcuare entrambe le sopracciglia. Spostò la mano, mostrando il disegno fra sé e Jojo che aveva nascosto all’uomo con il proprio palmo. Non erano vicinissimi, Kaz e Jojo, ma allungandosi, potevano riuscire ad arrivare alla griglia del tris entrambi. Tamburellò il dito sul labbro, sporcandolo appena di sangue. Dipinse un cerchio nell’angolo in alto a sinistra, quello più lontano da sé. «tocca a te!!»
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    Allora.
    La cosa positiva, era che trovasse il tutto un po' kinky ed eccitante. Labbro spezzato e sporco di sangue? Trucco sbavato? Cravatta sfatta? Aveva letto fumetti che con quelle premesse finivano in modi assai interessanti.
    La cosa negativa era che non ci fosse nessuno ad apprezzare quanto fosse carino ed indifeso in quelle condizioni, che avesse solo male, che il giorno dopo gli sarebbero venuti i lividi (molto meno aes del sangue), che la security e i torturatori si sarebbero ricordati di lui e avrebbero fatto un po' più attenzione alle sue azioni.
    Vabbè. Non si può avere tutto dalla vita.
    Strinse di più le ginocchia al petto, il mento appoggiato a queste.
    Era finito lì per un motivo così stupido che si odiava: sapeva di non dover discutere con gli studenti maghi, e sapeva soprattutto di non dover discutere con la security quando questa interveniva - neanche quando lui aveva ragione e non volevano dargli retta. Soprattutto in quei casi.
    Aveva accettato tanta merda in vita sua, leggeva ogni commento cattivo sui suoi post e video e aveva cercato di imparare a ignorarli o rispondevi col sorriso, a strisciare per chiedere scusa quando commetteva il minimo errore... e negli ultimi mesi a hogwarts aveva disimparato tutto. Avere della gente che gli voleva bene e basta - e non per quello che guadagnava o la visibilità che gli dava - l'aveva portato a credere di poter essere se stesso. Di poter dire cosa pensava sempre. Di semplicemente esistere.
    Ma non era così, evidentemente.
    C'erano ancora persone che non capivano cosa significasse il suo essere genderfluid, che lo prendevano come una scelta, che lo prendevano come un invito. A essere usato, sfruttato, preso in giro.
    Se fosse stato ancora un mago, probabilmente la security sarebbe intervenuta in modo diverso quando il ragazzino, seduto sulla panchina vicino a lui, dopo alcune domande scomode aveva allungato una mano per toccarlo.
    Non avrebbe incolpato Jojo per essersi alzato dopo i primi secondi di shock e, spinto l'altro via, avergli trasmesso il proprio disagio per quanto appena successo facendolo piangnucolare.
    Non gli avrebbero gridato contro, lo avrebbero lasciato spiegare che sì, aveva spinto via un ragazzino del secondo anno pur essendo lui del quinto e alto il doppio di lui, ma era stato istintivo perchè lo aveva molestato. No, santo cielo, non era stato Jojo a invitarlo a farlo o, peggio, obbligarlo magicamente.
    Non gli avrebbero afferrato il polso, mettendolo sul chi vive e facendogli di nuovo usare l'empatia per obbligare la donna a lasciare la presa e allontanarsi da lui - dimostrando che poteva davvero forzare qualcuno ad agire contro la propria volontà.
    Non aveva aiutato la situazione dire che non l'aveva fatto apposta, giuro, si era solo agitato-
    «Vediamo come ti agiti in sala torture»
    E adesso lui era lì, una catena al collo, e il ragazzino e i suoi amici se la ridevano ancora al parco, l'uno a raccontare agli altri cos'aveva sentito quando aveva alungato le mani sul ragazzo allampanato che si vestiva da ragazza di tanto in tanto e che, a quanto pareva, usava il suo potere per far provare e fare alle persone quello che voleva.
    Con un grugnito, Jojo nascose di più il viso sulle gambe.
    «rubare libri in biblioteca è un reato gravissimo. Dovrebbero sbatterti fuori»
    Alzò leggermente la testa, stringendo lo sguardo allo sputo si sfregio del torturatore.
    «enemies to lovers»
    sorrise leggermente. Non era un grande fan di Sven, onestamente.
    Megan sarebbe stata più il tipo di Kaz, a suo dire.
    «è proprio uno tsundere» mormorò in risposta, cercando di cancellare dalla faccia la propria autocommiserazione.
    «tocca a te!!»
    Spostò lo sguardo verso il tris.
    Avrebbe voluto essere un compagno di cella migliore per Kaz, davvero, e invece era solo... Jojo. Tanto bravo davanti alle telecamere quando aveva un copione da seguire o qualcosa di specifico da commentare, un vero caso umano quando si trovava di fronte a qualcuno in carne ed ossa in situazioni inattese.
    «Sven è solo geloso perchè non sa leggere» Ci pensò qualche secondo ancora prima di allungarsi e fare una X in centro al tris. «non capisce perchè sia tanto importante per noi la tua biblioteca» Alzò lo sguardo, sorridendo leggermente.
    «Grazie, di averla creata»
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    «è proprio uno tsundere» E Kaz appiattì un sorriso fra le labbra, lanciando una rapida occhiata a Jojo prima di tornare ad abbassare lo sguardo. «hashtag i could fix him» mormorò muovendo solo le labbra, lasciando che le sopracciglia scattassero verso l’alto. Un classico dei trope, quello. Non uno in cui l’Oh si fosse mai rispecchiato, il massimo che poteva aggiustare erano gli step della skincare e l’utilizzo dei prodotti giusti per i capelli, ma uno che avrebbe voluto. Più eroico ed onorevole rispetto al ma io posso essere l’eccezione, indole decisamente più figlia del suo narcisismo egocentrico. Un capriccio, e non uno dei pochi che l’Ivorbone avesse. Voleva credere che non fosse neanche troppo sbagliato, e che se lo meritasse: pensava a Thor e pensava a Joni, Kaz, a come entrambe cadessero nei tranelli kazohdkane perché li amavano e per loro potevano permettersi di essere più morbide. Qualcuno (Joni) meno di altre, ma comunque.
    Valutò la “X” centrale del compagno, e disegnò un cerchietto nell’angolo opposto rispetto al precedente, quello più vicino a sé.
    O | - | -
    - | X | -
    - | - | O
    «Sven è solo geloso perchè non sa leggere» Sollevò un angolo delle labbra, posando gli occhi scuri sul volto dell’empatico. «e perché sono più bello» una specifica che trovava sempre doverosa, e che avvallò soffiando drammatico una ciocca corvina da davanti gli occhi. Più facile interpretarla così, con ignoranza e gelosia, che rendersi conto di quanto la loro esistenza fosse una macchia nella loro. Un errore. Forse umorismo un po’ nuova generazione, ma anche l’unico che permettesse all’Oh di andare avanti. Tutto papà!!! (derogatory per entrambi) «non capisce perchè sia tanto importante per noi la tua biblioteca» La era? Non l’aveva fatto per – cioè in che senso – e quindi lo sapevano che era lui – e gli importava - la loro biblioteca!!!. Alzò il capo un po’ troppo velocemente, spalancando gli occhi verso il concasato. Si sciolse un po’ al sorriso, forse ridacchiò perfino nervosamente, perché Jojo era uguale a Sana, e Sana Park gli faceva sempre quell’effetto. Era un po’ un misto fra il parlare con Madre Teresa di Calcutta, e qualche divinità eterea scesa dal cielo solo per fargli una carezza sui capelli. «Grazie, di averla creata» YIKES, COSì, DRITTO AL CUORE? Kaz cercava sempre complimenti come un pescatore sulla sua barchetta, ma non significava che poi sapesse cosa farsene. Come reagire. Rispondere come un essere umano funzionale! E ringraziamenti? Strofinò vago il piede sulla pietra del pavimento, abbassando capo e sguardo e bofonchiando qualcosa di incomprensibile con le guance in fiamme. «sì beh, c’è non è che, mh» se avesse avuto una mano libera e funzionante, avrebbe arrotolato una ciocca sull’indice – invece fu più una scena alla The Office, con Kaz a cercare l’aiuto esterno delle telecamere in un angolo della Sala Torture. «non c’è bisogno di ringraziarmi. L’ho fatto perchè» era la cosa giusta da fare. Perchè c’era ben poco che potesse fare, in quelle quattro mura di Hogwarts, per segnare saldamente da che parte stesse e cercare di migliorare la situazione, ma almeno quel poco doveva farlo. «il muro era spoglio» non conosceva abbastanza Jojo per offrire la propria vulnerabilità emotiva del pensavo potesse fare piacere, o quella dell’unico neurone funzionante del i babbani non sanno nulla del nostro mondo, meritano la possibilità di imparare, perché sembrava impegnativo dare degli standard.
    E in cuor suo, sperava l’altro lo sapesse.
    «e sono un baddy» così poco credibile, che sorrise genuino e spostò divertiti occhi scuri sull’altro. Non ci aveva neanche mai provato a entrare nella sua reputation era (taylor’s version): Kaz era un lover. Derogatory, perché era l’album che gli piaceva meno.
    E quindi.
    Curvò le labbra verso il basso.
    Nessuno:
    Proprio nessuno:
    Non Sven:
    Non Jojo:
    Kaz, imbrigliato nella sala delle torture, con un occhio gonfio ed il labbro sanguinante, al fianco di un altrettanto messo male compagno di sventure: «ti piace la gran bretagna??»
    Oh, Kaz.
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    «hashtag i could fix him» Jojo portò una mano davanti alla bocca per soffocare una risata e non farsi sentire dalla guardia. Tecnicamente era un bravo attore, e non aveva bisogno di tapparsi la bocca (poteva ridere, o evitare di farlo, a comando), ma gli piaceva l'idea che Kaz si sentisse simpatico - visto che lo era.
    Guardò il disegno a terra, allungò di nuovo un dito per rispondere, soppesandolo per qualche instante mentre il cricetino nella sua testa correva veloce. Poteva cercare di vincere, far finire la partita in un pareggio come capitava quasi sempre a quel gioco, o poteva sbagliare, far sì che in un paio di mosse Kaz vincesse per forza di cose. Non sai mai quando all'altra persona serva un po' di serotonina data dall'aver vinto un match a tris improvvisato nella sala torture- a meno che tu non sia un empatico.
    Forse Kaz non ne aveva bisogno, ma se lo sarebbe meritato.
    Posò il dito a terra, e scrisse.

    O | - | X
    - | X | -
    - | - | O

    Quando rialzò gli occhi Kaz lo stava fissando, e per un attimo si chiese se ricordasse male il potere della furia, se fosse un telepate-... per poi rendersi conto dell'errore. «non avevi detto a nessuno che eri stato tu a farla, vero?» Errore da principiante, quello di Jojo. Era stato quasi naturale capire che era stato l'Oh a dare vita alla piccola biblioteca special dal modo in cui gli altri tibavorio reagivano a quei libri, e a come ci reagiva lui, la schiena sempre un po' più dritta e il sorriso un po' più fiero quando qualcuno si avvicinava agli scaffali; il torturatore che lo buttava lì riprendendolo per dei libri rubati era stata solo la conferma. «scusami, se era un segreto» alzò le mani «non lo dirò a nessuno» eppure era felice di averglielo detto, perchè senza neanche doversi impegnare a leggerlo, capiva quanto Kaz fosse felice che lui apprezzasse il suo piccolo atto di ribellione. Jojo gli sorrise di rimando.
    «non c’è bisogno di ringraziarmi. L’ho fatto perchè il muro era spoglio»
    Alzò le sopracciglia divertito. «Oh, il muro ne è sicuramente felicissimo» e anche gli ivorbone. Different Lodge aveva un modo tutto suo di essere casa, e di essere il contrario di accogliente. Se lo era, era solo per persone come Kaz che l'avevano resa tale negli anni: Jojo era a Hogwarts solo da mesi eppure aveva capito fin troppo in fretta il disinteresse degli adulti per quella struttura (V livello aka nydia e reiher: eppure... non è così :-( ).
    «e sono un baddy» «lo sei?» mano al cuore, sguardo teatralmente spaventato «devo fare attenzione o mi conquisterai come un qualsiasi protagonista bello e dannato?» Schioccò la lingua sul palato, inclinò la testa posando la guancia sulle ginocchia. «o forse sono già conquistato» sorrise angelico.
    «ti piace la gran bretagna??»
    Non ci dovette neanche pensare: «sì» per poi capire di averlo detto detto davvero molto velocemente, considerando che, da special minorenne, aveva visto molto poco del Regno Unito. «Nel senso... mi piace venire a scuola. Passare qualche weekend con mio padre e Sana e fare... cose in giro.» non solo video, non solo film, non dover fare diete assurde per mantenere la linea (seppur ancora mangiasse il minimo sindacale per non svenire), non sentirsi sempre sotto costante sorveglianza. La security di Hogwarts poteva solo imparare da sua mamma. «Fino all'anno scorso sono sempre stato educato a casa, ed ero spesso impegnato. Non ho mai avuto così tanto tempo libero!» ...si guardò in giro. Alzò un dito. «percepisco dell'ironia in quello che ho appena detto. Nel mio AU immaginavo le catene in un setting diverso, ma ci si può lavorare» quando tornò a guardarlo, sorrideva ancora. «a te piace?» era lì lì per continuare con un "neanche tu sei inglese, giusto?" ma si trattenne. Magari Kaz si considerava londinese TM.
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    Attese con il fiato premuto fra lingua e palato, mentre il dito di Jojo esitava sul pavimento. Dove la metti, eh, DOVE LA METTI LA X! Lungi da Kaz Oh, in quel momento e nella vita, farsi domande in merito a quel suo indugiare: la reputava strategia, nonché – sincera – difficoltà a scrivere. Il sorriso che curvò entusiasta le labbra del lumocineta, così come la breve risata trionfante che ben poco si addiceva alla stanza in cui si trovavano, fu del tutto onesto. Spregiudicato, con quel filo di orgoglio che solo vincere una partita contro qualcuno a cui vuoi piacere sapeva dare. Certo, c’erano probabilmente metodi più funzionali per dimostrarsi brillante e meritevole di affetto, ma perchè quando poteva puntare tutte le sue carte su una partita di tris? Kaz era esattamente il tipo di persona che si vantava delle proprie vittorie, ma solo con chi gli stava antipatico, o gente con cui aveva un osso da mordere, no, ho scoperto che non si traduce così in italiano. Grazie context reverso conto in sospeso, perché era un insopportabile raggio di sole. Con Jojo? Voleva fossero amici, quindi al posto dei cerchi disegnò due cuori – uno per il suo turno, e uno per evitarsi di perdere tempo con un turno successivo – con cui completare la fila, che cancellò strisciando l’indice sulla pietra. Un po’ insanguinata, ma alla fine alzò comunque la mano perché l’altro potesse stringergliela.
    Più o meno. A distanza. Contava comunque, se entrambi mimavano la stretta. «un’ottima partita, eccellente sfidante!»
    E felice, in quel momento, lo era davvero. Si prendeva i piccoli momenti, l’Oh. Viveva gli attimi leggeri, riempiendosi i polmoni di bolle arcobaleno da conservare per altri attimi che sapeva sarebbero arrivati, privandolo di tutti i colori. Lo facevano sempre.
    Non sapeva quanto, ancora. Ma quella era un’altra storia.
    «non avevi detto a nessuno che eri stato tu a farla, vero?» Lanciò una breve occhiata incuriosita al ragazzo, prima di riportare un imbarazzato sguardo color carbone su una pozza di quello che immaginava essere il suo stesso sangue. Umettò le labbra, sentendo improvvisamente il cuore in gola. «non mi sembrava necessario?» Non l’aveva mai detto, ma immaginava tutti a Different Lodge sapessero fosse stato merito – condanna? - sua. Non si era aspettato dei ringraziamenti in merito, anzi, se tutti fingevano di non sapere chi fosse l’artefice della libreria, avrebbero avuto un alibi nel caso… beh. Fece tintinnare le catene al polso. Proprio quel caso. Quindi…? Aprì la bocca per domandare, perchè avrei dovuto?, ma non voleva una risposta a quella domanda.
    Restava una questione troppo intima. Troppo intricata in una serie di circostanze su cui l’Oh non voleva indagare, perché significava ricordarsi il suo posto; il suo rango; le sue scelte.
    «Oh, il muro ne è sicuramente felicissimo» Cioè. Prima lo faceva vincere a tris, poi lo riempiva di complimenti e civettava facendolo sentire bellissimo e super simpatico, e aveva anche un senso dell’umorismo? Guarda FICUS RIPRENDITELO, A MENACE TO SOCIETY. Avrebbe voluto che offrire il proprio cuore fosse un gesto più intimo e significasse più di quel che era, ma Kaz lo prostituiva davvero a chiunque. Gratis, perfino. Allungava le mani, chinava il capo, e pregava lo tenessero - per favore.
    «lo sei? devo fare attenzione o mi conquisterai come un qualsiasi protagonista bello e dannato?» GIGGLING KICKING MY FEET! Davvero, Kaz ridacchiò felice, piegando la testa sulla spalla per strofinare il bollore sulla divisa, perché era stupido e adorabile e voleva già far loro braccialetti dell’amicizia. Cioè…! Guardatelo…! Come mirava dritto al petto dell’Oh…! Cercò di darsi un minimo di contegno, espirando secco dalla bocca aperta e facendo scattare la testa all’indietro per spostare i capelli dalla fronte. «b-»
    «o forse sono già conquistato» Ma che rizz era. Che – che rizz era.
    Con quel sorriso poi. Cioè, ma che kazzoh c’era andato a fare sullo yacht di Balt, quando poteva farsi insegnare tutto dall’empatico? Portò una mano al cuore, sinceramente sorpreso. Conquistato. Affascinato. Sedotto di sicuro, se le ciglia a battere lente sugli occhioni spalancati potevano essere di indicazione. «bro. che smooth» mamma mia. «anche io» e lo era davvero.
    Tanto che ci mise qualche secondo a tornare nel reale, preso contro piede dall’ondata di ammirazione verso Jojo Park. «beh» Continuò, distogliendo lo sguardo perché stava diventando imbarazzante. Voleva diventassero amici, non che lo reputasse, boh, un folle. UN MANIACO? JOJO GIURO NON SONO UN MANIACO ERA INTESO IN SENSO PLATONICO, MA ANCHE NON PLATONICO, PERò NON STRETTAMENTE FRA NOI CAPITO? (No, ma Kaz sì, e tanto mica era un telepate, fuck it we ball.) O sì. O forse sì. Ci pensò un attimo, l’Oh. Non erano così amici da renderlo super strano - mica era Clay, che sapeva di incesto. Dai, decise che poteva avere una cotta per Jojo. Era un Park, difficile non averla. Comunque, stava dicendo: «bello di sicuro.» una sottolineatura sempre necessaria (anche quando non vera) (MA LO SAREBBE DIVENTATA, QUINDI CONTAVA!) «dannato? eh» quello non poteva stretcharlo così tanto. «più bello e mh….» voleva dire ribelle, ma aveva un peso specifico non indifferente nel loro mondo. «bello e robin hood? Sai. sai cosa intendo» sperava di sì, perché non sapeva elaborare. Un sorriso a metà, le sopracciglia a scattare verso l’alto. «ecco. quel baddy» scrollò i capelli, soffiandoli prima che si incrostassero sul sangue. «sentiti conquistato quanto vuoi» tanto, sperava. L’autostima di Kaz nasceva tutta dalla sua delulu era e da Clay, quindi per favore, Jojo, adoralo – ricambierà!
    Ed eccolo, con il suo fenomenale rizz sotto zero – gelato come i piedi di Sara – a parlare della Gran Bretagna. Un vecchio qualsiasi incontrato sul tram. Ugh, il passaggio successivo sarebbe stato il meteo? ECCO PERCHè NON HAI AMICI. Jojo fu gentile, però, rispondendo al quesito sinceramente.
    Come si fossero trovati al bar, e non nella sala delle torture.
    «Fino all'anno scorso sono sempre stato educato a casa, ed ero spesso impegnato. Non ho mai avuto così tanto tempo libero! ...percepisco dell'ironia in quello che ho appena detto. Nel mio AU immaginavo le catene in un setting diverso, ma ci si può lavorare» Il sorriso che spuntò sulle labbra dell’Oh era divertito, ma non quanto lo sarebbe stato qualche attimo prima. Era ingiusto che il primo assaggio di mondo - e di libertà - di Jojo, risultasse in punizioni su punizioni per qualcosa che non poteva nemmeno cambiare. Cercò di sistemarsi a sedere meglio, arricciando il naso nel sentire la pelle tirare. «te ne intendi? Di catene. In setting diversi» [ buffering di qualche secondo ] [ ed ancora un po’ ] «scrivo fan fiction» aggiunse rapido, spostando un palmo aperto verso l’altro, sapendo che avrebbe spiegato tutto. Sentite, non gli capitava spesso di sentire qualcuno parlare con così tanta tranquillità di quegli argomenti – non con lui, almeno – e non poteva sempre cercare le reference su Google. «a te piace?» Tornò a guardare Jojo, sorpreso. A lui… piaceva? Non pensava qualcuno glielo avesse mai chiesto. Uscito dai Laboratori, papà aveva semplicemente preso lui e Kul dalla collottola stanziandoli lontano dall’influenza della Francia. Gli era sembrato il posto più sicuro.
    Faceva già ridere così.
    Erano a Londra da un paio d’anni. Sicuramente diversa dal Belgio, e per un motivo: «ho conosciuto clay» si strinse nelle spalle. Le persone tendevano a cambiare l’intera morfologia di un luogo, rendendolo più o meno interessante. I ricordi tempravano perfino l’ambiente. «e mi sono sentito parte di qualcosa» la squadra di Quidditch; la casata. A Beauxbatons non aveva avuto il tempo di sentirsi parte di un bel niente, prima di essere strappato via dalle macerie di quel che era stata. «sono un tipo da città, apprezzo le metropoli. Perfino quando non hanno un’anima come londra. così tante luci. ed è caotica!» priorità, e sensate. «forse ero solo troppo piccolo per apprezzare Anversa» da bambino, era stato in grado di apprezzare solo il grande cortile di casa, ed il parchetto del loro quartiere. «ma sono felice che siamo venuti qui,» agitò le dita indicando anche lui le catene. «tutto sommato» eh.
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    «Oh, hai vinto» una constatazione recitata con una certa ingenuità falsa ma gentile, a cui seguì, alzando lo sguardo, la stretta di mano a distanza. «sei stato bravo» Non serviva essere un empatico per sentire come a Kaz stesse brillando il cuore per quella vittoria. Era una cosa piccola, ma anche il Park era felice di aver partecipato a quel sorriso; c'erano tante cose che sua madre aveva sbagliato, nel crescerlo, ma Jojo era contento che gli avesse inculcato l'importanza di far stare bene le altre persone a costo di una bugia innocente, che gli avesse insegnato a essere come la Luna: rifletti la luce degli altri, non far vedere dalla terra le tue zone d'ombra, lascia che credano che la luna piena sia la parte migliore di te, anche se non è vera, anche se non è sempre.
    Si strinse di nuovo le ginocchia al petto, osservando il vicino di prigionia.
    «i meriti andrebbero riconosciuti» sincero, a questo giro, perchè convinto che una buona azione meritasse altro che non un buon karma, ma anche la giusta dose di grazie. Forse a pensarla così era la sua testa da content creator, che vedeva nella storia di Kaz non solo un gesto carino, ma un gesto carino che poteva ispirare milioni (facendo guadagnare like e followers), o forse era solo il sentire quanto in realtà Kaz ci tenesse a essere amato e apprezzato. Honestly, mood. Uscito di lì, avrebbe cercato di ricordarsi di usare i propri risparmi per comprare un regalo al ragazzo.
    Ridacchiò sentendo l'Oh conquistato dalle sue abilità oratorie. The bar was set low, ma chi era Jojo per non apprezzare i complimenti?
    «bro. che smooth»
    Uh.
    Uh.
    «anche io (sono conquistato)» Arrossì leggermente, il sorriso a farsi più aperto mentre posava il mento sulle ginocchia.
    Sbuffò una risata.
    L'aveva chiamato bro.
    Ovviamente gli era già capitato di essere definito così, ma detto da Kaz aveva una sfumatura più sincera, da amico. Un gender neutral bro che non era un intercalare random per fingersi più legati di quanto non fossero, o che nascondevano non si ricordasse il vero nome del Park.
    Non aveva molti amici veri, Jojo, non fatti semplicemente perchè - cit - era smooth. Pensava Kaz fosse sempre gentile con lui perchè fratello di Sana, non perchè gli piacesse... ma magari stava riuscendo a conquistarlo sul serio con le sue sole forze?
    «beh, bello di sicuro. dannato? eh. più bello e mh… bello e robin hood? Sai. sai cosa intendo» Jojo annuì velocemente. «ecco. quel baddy. sentiti conquistato quanto vuoi»
    «bello e ribelle» intervenne in aiuto. Era un brand che andava ugualmente di moda; il ribelle conquistava col suo core d'oro dedito all'aiuto degli altri, e poteva vedere benissimo come si adattasse a Kaz (che eppure aveva un piede anche nel trope di bello e stupido; con affetto) «l'eroe ribelle... ti si addice» rendendosi d'improvviso conto di quanto detto spalancò gli occhi, guardando in fretta verso la porta per assicurarsi che il torturatore non avesse sentito. «non intendevo... lo sai. Mi è scappato» arricciò il naso. «in Australia siamo un po' meno... attenti a come usiamo certe parole» o forse lo erano Jojo e sua madre, abituati a interagire col mondo babbano più che quello magico.
    (...)
    «te ne intendi? Di catene. In setting diversi» un'altra risatina dal naso, più stupita che imbarazzata. «scrivo fan fiction»
    «vuoi scriverla su di me?» sbattè le palpebre languidamente, e in fretta di nuovo ridacchiò. «Si aprirebbe un discorso lungo» che non era per forza contrario ad affrontare, se era con Kaz. Doveva per forza tenere certi aspetti della sua vita segreta, se voleva che Jojo's Park vivesse, che sua madre lo amasse e fosse contenta del suo lavoro, ma il giocatore di quidditch sembrava una persona abbastanza fidata, che non si sarebbe sconvolta a sentire certe cose, e che non l'avrebbe raccontato in giro... giusto? «non so se abbiamo sbloccato quel livello di amicizia. Cosa vuoi sapere?»
    (...)
    «ho conosciuto clay. e mi sono sentito parte di qualcosa»
    Pensava di capirlo, anche se non ci era ancora arrivato. Non aveva ancora un clay, non propriamente, ma ci stava lavorando.
    «sono un tipo da città, apprezzo le metropoli. Perfino quando non hanno un’anima come londra. così tante luci. ed è caotica! forse ero solo troppo piccolo per apprezzare Anversa- ma sono felice che siamo venuti qui, tutto sommato»
    «quanti anni avevi, quando hai lasciato... il Belgio, giusto?» appoggiò la guancia alla gamba «non ci sono mai stato... che poi, sono stato in un sacco di posti senza vederli, quindi non vuol dire molto» aggrottò le sopracciglia «Forse per questo mi piace Londra. È il primo posto che sto vedendo poco per volta, scoprendola pian piano e non da turista» sospirò «però mi manca l'oceano, quello sì» Aveva alcuni ricordi... scomodi riguardo l'obbligo di mettere un costume a shorts e nient'altro per video o altro, ma nuotare gli piaceva, e fare immersioni.
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    Il potere che le parole avevano sulla forma del mondo, era terrificante. Ne bastarono tre per raffreddare la Sala delle Torture, e far scivolare dalle labbra dell’Oh il sorriso appeso fino a quel momento. Tre, perché lo sguardo si facesse serio e adulto, dimentico della leggerezza con cui aveva osservato Jojo fino a quel momento.
    «bello e ribelle»
    Il cambiamento di umore, seppur repentino, sembrò non solleticare subito l’altro, che continuò con un «l'eroe ribelle... ti si addice» che fece scattare il cuore in gola a Kaz, gli occhi spalancati. Non era spaventato per sé stesso - avrebbe voluto gli si addicesse; un giorno, magari – e non aveva timore di essere stato scoperto, ma Jojo Park non poteva usare un linguaggio simile con così tanta facilità. Aveva un peso specifico, ed accusatorio. Iniziò a scuotere il capo, gli occhi a saettare verso la porta della stanza. Erano ancora soli, chiusi dentro come un attimo prima. «in Australia siamo un po' meno... attenti a come usiamo certe parole» Lo guardò, labbra dischiuse e guance pallide. Nessuno gli aveva spiegato come funzionasse dalle loro parti? Forse non avevano pensato fosse una priorità; forse non si erano resi conto che alcuni potessero ancora dire ribelle senza conseguenze, ed altri – fasce più basse, sangue più contaminato – non avessero lo stesso lusso. «qua non puoi» Bisbigliò veloce, cercando di intingere l’ammonimento con la solennità che richiedeva. C’erano giochi pericolosi per cui valeva la pena il rischio di bruciarsi, ed altri che portavano solo guai senza null’altro in tasca. «devi fare più attenzione a quello che dici, qui a Londra» continuò, lento, cercando gli occhi dell’altro. «non sai mai chi possa ascoltare, e chi… fraintendere. Lo so che non era quello che intendevi» Rassicurò, porgendo i palmi aperti in segno di resa. «ma non sono tutti come… me» soffiò, tornando a dedicare la propria attenzione all’intrico di pietre sotto di loro. Battè le palpebre sulle scie di sangue raggrumato, temendo di aver reagito troppo drasticamente, ma si ripetè la conversazione fra sè e decise che fosse stato contenuto, considerando il dove la avessero avuta. Preferiva Jojo la ricordasse come qualcosa di strano e fuori dalla norma, così che gli rimanesse più impresso, piuttosto che una battuta più delicata a cui non avrebbe dato la stessa importanza. Accorgimenti simili facevano la differenza fra vivere, o non farlo. Fu felice di cambiare argomento. Lentamente, e per quanto possibile dalle loro circostanze, tornò a rilassarsi, tornando in se stesso abbastanza da fare domande inopportune e specificare che fosse uno scrittore. «vuoi scriverla su di me?» Reclinò la testa da un lato, piegandola leggermente contro il proprio petto. Aprì la bocca per negare d’istinto, poi ci pensò seriamente, ed alla fine, con un sospiro riflessivo, offrì un «non penso? Non ho mai scritto nulla su persone che conosco.» Mentì, perché quella era decisamente una menzogna, ma sarebbe diventato muto prima di ammettere di aver contribuito al tag depark con il sibling della sopracitata. C’era un limite a tutto. «ma le catene, sai. Sono un po’ fuori dalla mia comfort zone, e qualcosa che non conosco» pin: please stop asking for a smut scene i’m a fuckin virgin idk how it works. «potrebbe essere una sfida! Mi piacciono le sfide» gongolò, occhi lucidi di entusiasmo e gote nuovamente arrossate.
    Buffering di un paio di secondi. Forse… Forse non era quello il setting diverso di cui stava parlando Jojo. Aprì bocca per domandarglielo, ma decise che preferiva non saperlo e lasciare quel dubbio di semantica fra loro e Dio. Sperava davvero il Park non gli facesse notare che in realtà si riferisse a, boh, una macelleria, perché c’era un tipo di imbarazzo sano, ed uno che Kaz non avrebbe mai superato, diventando il suo roman empire. Voleva davvero che fossero amici, e perché lo fossero, aveva bisogno di poterlo guardare negli occhi senza gridare internamente in memoria di quella specifica conversazione.
    «quanti anni avevi, quando hai lasciato... il Belgio, giusto?»
    Poggiò la testa contro la parete, strofinando appena i capelli sulle pietre. Lo guardò di sottecchi, cercando di contare. «dodici, ma a Londra ci siamo trasferiti due anni dopo» Non sentì il bisogno di specificare quella parentesi di due anni senza dimora, dopotutto anche Jojo aveva dei poteri – poteva immaginare come anche Kaz li avesse avuti. «il tamigi è un piccolo oceano, se lo guardi nella giusta prospettiva» con la mano libera, mimò l’angolo di una telecamera, ammiccando un mezzo sorriso verso l’empatico. «possiamo scoprirla insieme se ti va? Però non tipo… i musei e quelle cose da turista. La vera londra» che tradotto significava: perdersi, vagare senza meta, trovare un bar e decidere fosse il loro, creare tutta una serie di piccole tradizioni ed inside joke – eccetera eccetera. «magari ci uniamo ad una gang. Sai andare sullo skateboard?» E come le due cose fossero collegate nella mente di Kaz Oh, it’s none of your business.
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    A Jojo l'empatia piaceva - generalmente. Lo faceva sentire vicino alle persone, gli faceva dire la cosa giusta. Poteva capire meglio le reazioni altrui anche quando erano bravi attori, e poteva in risposta essere quello che loro volevano, quello di cui avevano bisogno.
    Ma quando le emozioni negative altrui arrivavano ad ondate inaspettate, tendeva a perdere il fiato affogando in esse. Non era bello sentire di aver scaturito reazioni come paura, rabbia, sgomento. Abbassava la guardia, diceva cazzate, e faceva innervosire Kaz che probabilmente ora lo odiava, fantastico.
    Il suo sorriso tentennò, facendosi dispiaciuto fino quasi a sparire, ma non abbandonò l'atteggiamento tranquillo (nonostante la voglia di prendere a testate il muro), accettando passivamente le parole del giocatore tassorosso. Temeva di aver rotto la loro bolla felice (non l'avrebbe più chiamato bro?), ma mostrarsi in panico avrebbe solo reso la situazione peggiore, potenzialmente imbarazzante se non peggio.
    «Hai ragione, farò più attenzione. Grazie» non ironico, e si sforzò perchè non suonasse neanche ferito dal cazziatone pur essendoci rimasto male. Non perchè l'altro aveva esagerato, ovviamente: non era colpa di Kaz, se vivevano in quel mondo, ma era colpa di Jojo se aveva finto per anni non fosse così. Solo perchè il governo inglese pubblicava da quasi dieci anni un calendario con gli uomini più potenti del mondo in pose particolari e mezzi nudi (ci faceva sempre un video di recensione), non voleva dire che non fossero gli uomini più potenti del mondo, e che odiassero quelli come Jojo e Kaz nonchè chi pareva volersi battere (seppur nei modi sbagliati) per loro.
    La situazione sembrò calmarsi per il cuore dell'Oh entro qualche minuto, e Jojo quasi tirò un sospiro di sollievo quando se ne rese conto. Forse non aveva rovinato tutto?
    Arrivati a parlare di fanfiction, sembrava essersi ripreso dei punti persi con la storia del ribelle.
    «non penso? Non ho mai scritto nulla su persone che conosco.»
    «Neanche io» Ignorò con classe l'odore di bugia; non era di suo interesse sapere più di quello che Kaz voleva rivelare. «Ma ne ho lette» su suoi conoscenti, colleghi, "amici", e anche su se stesso. Faceva parte di quel gruppo di persone che aveva bisogno, ogni tot, di googlare il proprio nome per vedere cosa usciva (la gente lo odiava? Cosa dicevano i tabloid? erano usciti nuovi meme? Aveva scritto qualcosa di sbagliato nella descrizione di una foto?)... e silenziosamente, stava anche dicendo "non c'è niente di male a scrivere ff simili". Così, fun fact, che Kaz le scrivesse o no davvero.
    «ma le catene, sai. Sono un po’ fuori dalla mia comfort zone, e qualcosa che non conosco. potrebbe essere una sfida! Mi piacciono le sfide»
    Annuì. Non era il momento di dirgli che a lui piacessero solo perchè sapeva che non avrebbero dovuto, e che quindi lo facessero sentire libero di pensare con la sua testa e di essere chi voleva. Un tempo e un luogo per ogni cosa «Hai il mio numero, Puoi scrivermi se ti va di parlarne» per iscritto era più facile, no? «O ti cerco ff carine che ne parlino!»
    Lo ascoltò parlare di come aveva cambiato casa, del trasferimento, cogliendo in quel battito di ciglia il sottotesto ai laboratori. Distolse lo sguardo fingendo di sistemarsi meglio le catene, imbarazzato perchè la sua esperienza con i dottori ribelli (doveva abituarsi a chiamarli così) era stata... diversa. Aveva voluto un cambiamento, c'era andato quasi volontariamente lì, e sua madre l'aveva salvato pagando il suo peso in oro poco dopo la sua scomparsa. In confronto alla maggior parte degli special, quella del Park era stata una vacanza.
    «possiamo scoprirla insieme se ti va? Però non tipo… i musei e quelle cose da turista. La vera londra» Inspirò profondamente guardandolo con occhi grandi e scuri. La vera Londra.
    «Sembrava la frase di un film» sorrise portandosi la mano al petto. «Uno che guarderei. Sarebbe fighissimo scoprire insieme la vera Londra» Si sporse in avanti, guance rosse mentre continuava emozionato. «Trovare i locali di nicchia che costano poco ma sono i più belli, i tetti dove la vista è migliore, i pub dove fanno i concerti dei gruppi indie, conoscere le leggende locali-...» non aveva ben chiara l'idea di cosa volesse dire "conoscere la vera Londra", ma per lui significava sentirsi a casa, sentirsi accolti, trovare posti strani e sconosciuti e esserne accolti. «Vado sullo skate! Anche tu? Sei mai stato al Southbank? Andiamoci insieme!!» In uno dei suoi giri da turista ci era passato col padre, la sua compagna e Sana, ma non aveva potuto fermarsi e non c'era più tornato - nonostante la sua parte capitalista avesse pensato di farlo per registrarci un video. Se anche Kaz andava in skate, potevano tornarci insieme!! Era un po' la mecca degli skater, e anche se Jojo non era bravissimo, ha lo skate nell'avatar quindi sembrava comunque una meta necessaria. «...se ti va»
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    Che per Kaz fosse difficile fare amicizia, non avrebbe dovuto stupire nessuno. Era allegro, ma rumoroso; interessato, ma distratto. Ignaro di tanti piccoli passi falsi in una conversazione, o delle dinamiche all’interno di un gruppo di persone. Mai cinico abbastanza da capire quando finisse lo scherzo, ed iniziassero i giudizi. A suo modo, molto personale, riservato: parlava tanto, parlava troppo, ma raramente di questioni personali. Un timido egocentrico, che di sé voleva parlare solo al futuro, e solo nell’ideale. Si era costruito un mondo tutto particolare, ed interamente suo, che raccontava agli altri come fosse stato reale, e non il sogno utopico di un’ottimista con scarse capacità applicative. Viveva di sogni come uno dei bambini sperduti di Peter Pan, tenendo lo stomaco vuoto e la testa piena di favole. Inadatto a rimanere solo a breve termine, ma con un futuro di solitudine auto generata.
    Stava seduto su quelle pietre sporche del suo stesso sangue, dipingendo una Londra onirica a Jojo e promettendo che l’avrebbero scoperta insieme, con il tono sincero di chi quei giuramenti li avrebbe lasciati andare, perché mai in grado di capire come inserirli nel proprio tempo. In quello altrui. Poteva chiudere gli occhi ed immaginare un universo in cui lui ed il Park scoprivano un locale underground dove suonavano musica dal vivo ogni giovedì sera, ed il venerdì lasciavano lo spazio al karaoke, e poteva perfino riuscire a vedere il giorno in cui avrebbe portato Clay trascinandolo sul palco per un duetto alla High School Musical (occhiata alla quarta parete, occhiolino al pv del Morales), ma dalla mente dell’Oh alla realtà dei fatti, passava sempre un abisso di dimenticanze e priorità. Nel suo futuro, si vedeva circondato da amici che lo adoravano, con una romantica storia d’amore – aveva già il setting, ed era il coffee shop dove avrebbe lavorato - che avrebbe fatto sospirare d’invidia tutti i passanti, e la pelle segnata da cicatrici di una guerra (foreshadowing!) che avrebbe combattuto e vinto ogni notte per rendere il mondo un posto migliore. Il meglio delle due vite, come Hannah Montana o le Sailor Moon. Si addormentava cullato dall’illusione di poter avere tutto quello, un giorno – sapendo, in un angolo freddo e vuoto del suo cuore, che non sarebbe riuscito ad averlo. Che, come già aveva fatto un tempo, avrebbe sacrificato la sua vita per la causa. Di due binari, ne avrebbe percorso solo uno, e sapeva quale sarebbe stata la sua scelta.
    Dopo il diploma, però. Aveva rimandato tutto a dopo il diploma, aggrappandosi ad ogni stralcio di adolescenza che riuscisse ad afferrare negli anni passati al castello, così da avere perlomeno dei ricordi. Bruciava veloce, perché sapeva che tutto quello avesse una scadenza.
    Tic, tac.
    Guardava l’entusiasmo di Jojo Park con una nostalgia che non avrebbe ancora dovuto permettersi, l’Oh. Come se quella prima stretta di mano, sapesse già di addio. Non era bravo ad intrecciare le dita fino alla fine, ed anche un po’ dopo. Ma poteva farlo in quel momento. Poteva alimentare l’eccitazione della scoperta, disegnando strade che non avrebbero percorso, o avrebbero dimenticato. Poteva farsi amare almeno fra quelle mura, come una bottiglia bucata sul fondo destinata a liberarsi del contenuto. Gli sarebbe bastato per almeno un paio di mesi, lo sguardo affettuoso del compagno. Una batteria che tendeva a scaricarsi in fretta.
    «Trovare i locali di nicchia che costano poco ma sono i più belli, i tetti dove la vista è migliore, i pub dove fanno i concerti dei gruppi indie, conoscere le leggende locali-...» Chiuse gli occhi, lasciando che le immagini prendessero il sopravvento sulla ragione. Rendendolo possibile e concreto. Un debole sorriso sulle labbra, la cosa più nuda che avesse mai mostrato al mondo – fragile, e vulnerabile.
    L’avrebbe perso. Qualche mese, e l’avrebbe perso, cancellato dal sangue e le grida e le lacrime. Storpiato sotto il piede di qualcosa più grande di tutti loro, indurito nella smorfia sempre un po’ triste dell’uomo che un giorno, sopravvivenza permettendo, sarebbe diventato. Sbiadito. «Vado sullo skate! Anche tu? Sei mai stato al Southbank? Andiamoci insieme!!» Perchè, quella stretta al petto. Perchè, quando le cose iniziavano a diventare reali, dovevano sempre fare così male, trascinando pesi immaginari ad ogni respiro. Non avevano ancora cominciato, e Kaz sentiva già di avere il cuore spezzato. L’amore, o la promessa che ci sarebbe stato, tendeva a fare quell’effetto – amici, amanti, a chi importava? A conti fatti di muscolo cardiaco se ne aveva solo uno, ed il fatto che cambiasse la forma non differiva nelle crepe. - e l’Oh non aveva armatura per difendersi anche da quello. Voleva l’affetto senza impegno, suo o di altri. Voleva il momento senza le conseguenze. «mi andrebbe» ammise, con quel tono basso destinato alle confessioni ed i segreti. «lo adorerei. Davvero! Sai qual è il mio sogno?» avere un sogno «quelle… cose. Dove vanno le persone a leggere le loro poesie. O le battle rap!! posti così, sai, dove devi scendere le scale per arrivarci??» Molto specifico, ma nella sua testa aveva perfettamente senso.
    E, come tutto quello che aveva senso solo nella sua testa, «no, non so andare in skate. Ma posso imparare? Se seraphine riesce a muoversi su hoverboard e cantare contemporaneamente, posso anche io» lungi da lui specificare che Seraphine fosse un personaggio di LoL – dai, chi non conosceva le kda nel santo anno del signore duemilaventitrè?
    Abbassò la voce, chinandosi verso Jojo «e voglio imparare a fare i graffiti, così possiamo firmarci ovunque andiamo» sorrise, Kaz. Allegro, spensierato, ed ottimista che quanto detto, potesse essere vero. Potessero averlo. «e -» drizzò il capo, sentendo un rumore nel corridoio. Rimase immobile, occhi scuri fissi in quelli di Jojo, ascoltando e riconoscendo i passi in avvicinamento. «sven» mimò con le labbra, indicando la porta.
    Più incerto, il tono dell’Oh. Insicuro, nel bisbiglio rivolto all’altro. «continuiamo in infermeria?» Almeno un altro po’.
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