Votes taken by @speculumdeae

  1. .
    vega
    vii | survivor
    feralesbians
    altair
    v | musician
    gggs
    per neffi lovell non c'era forse frase più azzeccata della tagline del prom, i'll sleep when i'm dead, ché era esattamente come si sentiva. nemmeno la skincare di kaz (o il proprio supplemento di lacrime da terrori notturni) era riuscita a fare il miracolo dell'anno. tuttavia, l'ex corvonero sapeva truccarsi a dovere, e proprio questo era ciò che aveva fatto per darsi una sembianza di normalità. non poteva deludere se stessa, né la bella ragazza con cui il comitato l'aveva accoppiata. insomma, si era data da fare, con quel suo no makeup makeup la cui base reggeva più delle fondamenta di hogwarts, occhiaie scomparse, voglia di crepare pure. almeno all'esterno. l'idea del pigiama party non l'entusiasmava affatto - era una che andava all out, neffi lovell, una che pulled all the stops, il tipo di persona che spendeva con tre o quattro zeri per un abito da sera. quando li aveva, quegli zeri, certo. eppure aveva fatto funzionare anche questo - e in effetti chi avrebbe potuto negare che quell'ensemble funzionasse?, completino di seta designer brand, rosa barbie con gli orli dei pantaloncini inguinali e le spalline del top di un acceso rosso ciliegia, ciabattine del medesimo colore, e capelli sciolti sulle spalle in onde morbide che risaltavano il balayage ritoccato da poco. anche quello era stato un modo - finanziato dalla sorella che tentava di ricucirle la salute mentale come sotto ai ferri - di tornare alla normalità almeno per un istante. era una gentildonna, lei, e infatti era addirittura andata fuori dal dormitorio serpeverde - serpeverde! - a prendere la payne, dazzling smile e tutto.
    arrivata all'ingresso aveva salutato i ben, almeno quelli che conosceva, cercando in tutti i modi di mascherare il proprio disagio nell'essere... beh, non più capo cheerleader. non più corvonero.
    non era l'essere special, il problema, ma era tutto ciò che ne conseguiva. le occhiate torve dei puristi, la perdita dell'eredità e della casa in cui era cresciuta, lo sgretolarsi di tutto ciò che conosceva sotto ai suoi piedi. doveva non pensarci.
    e quindi impiegò la parte iniziale del suo tempo a ringraziare le primine schiavizzate che le stavano mettendo lo smalto, con un sorriso un po' materno sul volto.
    «da dove vuoi iniziare?»
    «io punterei all'alcol».
    s'avvicinò appena perché solo lei la sentisse.
    «se vuoi fatturare è decisamente il posto migliore». cue occhiolino.

    _____________________________

    indovinate chi - traumi e sonno arretrato a parte - non era affatto calmo e rilassato.
    e perché proprio adriana camila regina aguilar?
    eccola, al fianco del suo cavaliere (per davvero!!!!!! oh kaz in persona!!!! non ci poteva credere. ogni tanto si dava i pizzicotti in modo incospicuo per assicurarsi di essere sveglia), in pigiama ma con stile - t-shirt crop dei kiss con un ritaglio a strisce sul davanti, non abbastanza da diventare indecoroso ma comunque visibile, e pantaloncini sportivi dello stesso grigio scuro della maglietta. le ciabatte le rimediò all'ingresso, ché di solito in dormitorio girava coi calzini spaiati e basta, e quelli se li era tenuti perché erano il suo marchio di fabbrica, uno giallo con la faccia di pikachu sulla caviglia e l'altro bianco a righe blu. i capelli erano semi-raccolti, una treccia che scendeva per tutta la loro lunghezza togliendole dalla fronte le ciocche più chiare e mischiandosi a quelle scure fino alla vita, dove sbocciavano delle beach waves che perlopiù erano al loro stato di natura.
    si mise a sedere per farsi mettere lo smalto e già moriva dentro all'idea di averlo uguale a kaz, a cui lanciava occhiate di sottecchi con tutto l'imbarazzo del mondo a cominciare una conversazione semi-seria. attese che gli studenti più piccoli finissero la loro opera d'arte e smollò loro delle caramelle che aveva in una bustina in tasca. «grazie mille!». fece pure teatralmente per ammirarsi le unghie con molta soddisfazione, affiancandosi poi nuovamente a kaz e guardandolo dal basso della propria statura con occhi vagamente (palesemente, però non glielo dite) adoranti.
    «ti... ti va di andare...». scosse la testa. dio rifugio. «ti va di andare a vedere che musica mettono?».
    chissà se in quel frangente era riuscita almeno a chiedergli che musica gli piacesse.
    neffi lovell
    benagol payne
    as you throw me on the rocks,
    for love i left your side
    'cause i believed in love
    and beauty's wiles
    where heaven shone from your eyes
    dre aguilar
    kaz oh
    alright
    pilot speed




    neffi: sorride ai bambini schiavizzati e parla con gol

    dre: fa i complimenti ai bambini schiavizzati! guarda adorante kaz. e riesce addirittura a rivolgergli la parola. assurdo
  2. .
    e niente mi ci sono affezionata in un (1) post lo sapevo io uff

    CODICE
    <tr>
      <td colspan="2" style="border-top:3px solid #6D7134;"></td>
      </tr>
     
      <tr>
      <td rowspan="3" width="40%" style="padding:10px" bgcolor="#0c0c0c">[URL=https://stefansalvatored.tumblr.com/maiaplls1]<div style="background:url(https://64.media.tumblr.com/8ff48b93c28ca0b17120642b7e939bfe/531f817729d4f491-30/s540x810/587046fe66383cd5e29841deed9e1e2576b55c2c.gif) no-repeat center; background-size: cover;width:175px;height:80px;"></div>[/URL]</td>
      <td>pv: maia reficco</td>
      </tr>

      <tr>
      <td>profilo: [URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/?act=Profile&MID=12560653]Adriana "Dre" Aguilar[/URL]</td>
      </tr>
     
      <tr>
      <td>altro: [URL=https://www.pinterest.it/overdoseofwords/wip-dre/]pinterest [/URL]+ [URL=LINKSPOTY]spotify[/URL]</td>
      </tr>
  3. .
    DRE AGUILAR
    welcome to the jungle,
    we've got fun and games,
    we got everything you want, honey,
    we know the names
    La guerra era finita, il lockdown era finito, la vita libera di Adriana era finita.
    La quotidianità era diventata diversa, perfino le modalità d'esame sembravano diverse (ma non lo erano), addirittura i suoi compagni le sembravano diversi. Perché lo erano, forse. Perché molti di loro erano stati a combattere tra le fila dell'uno o dell'altro schieramento. Lei si diceva che aveva fatto bene, comunque, a evitare. Avrebbe perso miseramente. Piuttosto, se n'era stata chiusa in dormitorio a strimpellare la sua chitarra acustica per la gioia delle orecchie di chi voleva approfittarne per dormire un po' di più facendo finta di stare attento alla didattica a distanza.
    Inutile dire che ad Adriana Aguilar non poteva fregare di meno della didattica a distanza. Quella in presenza, con un po' di sforzo, la reggeva pure. Ma a distanza? Se sto sul mio letto m'addormento, altro che seguire le lezioni.
    Ne era venuta fuori, però. Tutti, distrutti un po' più o un po' meno, ne erano venuti fuori.
    Aveva aspettato qualche attimo di ritrovato respiro, e si era detta che era arrivato il momento di crescere. E quale miglior modo se non trovarsi un impiego? Possibilmente fisso, quantomeno per l'estate, adesso che il cielo sembrava farsi più chiaro più a lungo, e le piogge, pur senza scomparire, iniziavano a cedere il passo a un clima più mite e disteso.
    Ascoltò lo scampanellio sopra (molto, molto sopra) la sua testa nello spingere in avanti la porta del negozio con l'accenno di un sorriso sulle labbra, e si preparò a mostrare i suoi migliori occhi da cucciolo al mago che si sarebbe trovata di fronte di lì a pochi istanti.
    Si stava pure impegnando a tenere una postura decente, Dre, che aveva legata alla schiena la propria chitarra, che dall'angolazione giusta appariva più grande di lei.
    «Saaaalve!».
    Cercò di mettersi in punta di piedi, tra le mani un paio di fogli che a primo sguardo era chiaro fossero una sorta di strampalato curriculum da lei stesso redatto (male). Si sarebbe avvicinata al bancone poggiandolo sul piano, e aggrappandosi al bordo.
    «Mi chiamo Dre» ... sembrava volersi correggere, ma non lo fece. Tanto Dre faceva più musicista. «Aguilar» almeno questo, «e sarei qui per un lavoro». Cue occhi da cucciolo. «... per favore?»
    gif code
    2006
    mexican
    musician
  4. .
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    «La mia Neffi?».
    Improvvisamente, aveva di nuovo sedici anni. Diciassette. Diciotto. Era di nuovo la ragazzina che distoglieva lo sguardo prima che potessero leggerle gli occhi.
    Espirò con poca grazia, poca pazienza, e troppo di tutto il resto.
    Esitò ad accogliere l'invito a entrare, nonostante fosse lì per quello. Nonostante volesse parlarle. Prima che il mondo finisse.
    «Puoi...». Scosse la testa, lasciò il casco sull'appendiabiti, si passò la mano libera sul viso, lasciandosi trascinare come non avesse vita propria, per un attimo.
    «Artëm». Come poteva chiamarlo. «È una lunga storia», che non avrebbe potuto spiegarle nemmeno volendo. Ma non voleva, non davvero.
    Gli occhi si allargarono di riflesso, le mani a tentare di fermarsi sulle spalle altrui, per calmarla, rassicurarla.
    «Poco?».
    Era tutta la vita che i suoi erano anni di merda, ma quelli senza di lei erano stati peggiori.
    Non poteva metterla in pericolo. E non poteva, semplicemente non poteva rendersi ospite della sua famiglia. Marito e figli, coppe e medaglie sulle mensole. Una perfezione a cui una volta aspirava anche lei. Un ritratto genuino di una vita che avrebbe voluto e non aveva mai potuto avere.
    Perché la persona con cui la voleva ce l'aveva già con qualcun altro.
    «Conti tutto, Erisha». Una risata amara, un sorriso triste, che non gli illuminava gli occhi. «Da sempre» ... «ma come avrei potuto dirtelo? Ti sei sposata Goblin, cazzo». Un sospiro. Rassegnato, stavolta. «Volevo solo che fossi felice, almeno tu».
    every time i try to bring it down,
    you always turn my head around
    ARTËM
    (NEFFI LOVELL)
    39
    SPY
    RAVENCLAW
    REBEL
  5. .
    NEFFI LOVELL
    god stood me up,
    and i don't know why.
    lights are on,
    but nobody's home.
    Azrael le aveva detto di non andare a combattere.
    Gliel'aveva detto.
    L'aveva avvertita, aveva provato a dissuaderla in tutti i modi.
    Ma Neffi Lovell voleva farsi valere, voleva avere una parte nella storia. Voleva tenere la penna in mano, per una volta, e scrivere anche lei la sua porzione, avere un ritaglio solo suo nel nuovo mondo.
    L'aveva avuto, alla fine.
    Quando Abbadon l'aveva toccata si era sentita morire. Era convinta che lo avrebbe fatto, in realtà. Era convinta che con quel tocco condiscendente le avrebbe tolto l'anima, la linfa vitale.
    Che non sarebbe più tornata a casa.
    Quando c'era tornata, camera sua non era più sua. Le sue cose non avevano più ragione di stare dove stavano. Di occupare quello spazio.
    Non aveva più diritto di stare tra i Corvonero e di dirigere la squadra.
    Non aveva più modo di strappare quel diploma col massimo dei voti.
    Neffi Lovell non era più nessuno.
    E questo, ci teneva a precisarlo - Dio solo sapeva quante volte l'avesse ripetuto a Kaz - non era perché era diventata una special.
    Contrariamente a quanto i suoi genitori avrebbero voluto per lei, non aveva mai ritenuto che la magia la definisse. Non aveva mai pensato che nessuno fosse inferiore a lei.
    Erano stati loro a definirla tale. Erano stati loro a dirle che un abominio, una ribelle, non aveva alcun posto nella loro famiglia.
    Aveva pianto, una volta ritrovata sua sorella. Non aveva esitato a lasciar cadere le armi e lanciarsi tra le sue braccia come una bambina spaesata, abbandonandosi al suo calore senza alcuno scrupolo. Chiedendole scusa per essere stata così avventata, scusa per le ripercussioni che le sue azioni avrebbero avuto su di lei.
    Non aveva mai mentito a Kaz, non aveva mai finto di stare bene quando non era così.
    Con Erisha era diverso. Lei aveva perso di più. Aveva perso anche il quidditch, ciò per cui aveva lottato per tutta la vita.
    «non è così male essere come noi. giuro».
    Scosse piano la testa, e gli diede un buffetto sul braccio.
    «Non è quello», tentò di rassicurarlo. «È che mi hanno tagliato i viveri».
    No, questo ancora non l'aveva detto. Alzò le spalle con studiata nonchalance.
    «Il posto è carino».
    gif code
    2004
    ex-cheer
    mimesis


    Edited by @speculumdeae - 4/6/2023, 19:30
  6. .
    JULIETA
    from sprinkler splashes
    to fireplace ashes,
    i gave my blood, sweat and tears for this
    IGLESIAS MENDOZA
    Era fuori dalla porta, in spalla ancora il fucile d'assalto che le aveva tenuto compagnia come un vecchio amico.
    Era fuori dalla porta e non aveva il coraggio di entrare, Julie, perché era passato un mese senza alcun contatto. Perché era tornata a casa senza Javier.
    Ci aveva messo giorni a tornare da Stonehenge, in mezzo alle rovine di quel posto di merda che aveva provato a salvare. Ci aveva provato con tutte le sue forze. Eppure non era servito. Le ossa rotte, le ferite, il sangue che ancora sputava quando sentiva la gola raschiare, non erano niente a confronto del vuoto pressante che sentiva nel petto, il fuoco della sconfitta, la paura di non rivedere mai più suo fratello, l'apprensione per Mireia, per Dante e Vergil, per la loro casa.
    Quello che una volta chiamava coraggio adesso le sembrava pazzia. Schierarsi contro Abbadon che parlava di un mondo più giusto per gli special come loro - perché non ci aveva mai creduto, lei, nella nobiltà di sostituire un dittatore con un altro.
    Stava lì su ciò che restava del marciapiedi davanti al loro palazzo, accartocciata su se stessa come una lettera scritta male, il respiro irregolare di chi era stato sballottato come una marionetta contro gli alberi, le pietre, i pavimenti. Si passò una mano sul viso, cercando di convincersi a tirarsi su. Dovette appoggiarsi a terra per far leva, le gambe stanche dalla guerra e dal viaggio che a malapena reggevano il suo peso. Si voltò verso la porta, e per qualche istante non potè fare altro che guardarla inerme.
    Ci volle ancora qualche istante prima che si decidesse a suonare il campanello.
    Cos'avrebbe mai potuto dire?
    Scusa, mi si è spaccato il telefono.
    Scusa, non ho lasciato nemmeno un biglietto.
    Scusa, ho perso nostro fratello.
    Scusa, scusa, scusa.
    S'appoggiò allo stipite con la schiena, la testa bassa, gli occhi a fissare i propri stivali da combattimento. Sporchi di sangue. Sangue suo e altrui. Sulle scarpe, sulla divisa strappata, sulle ferite visibili sulle mani e sul volto. Dietro le palpebre ogni volta che chiudeva gli occhi.
    Scusa, scusa, scusa.
    Scusa se sono tornata, saresti stata meglio senza di me.
    hemokinete
    guerrillera
    you're on your own, kid
    taylor swift
    midnights
    aesthetic
    spotify
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
  7. .
    ↳ PRIMA UTENZA: @speculumdeae
    ↳ NUOVA UTENZA: razzle|dazzle
    ↳ PRESENTAZIONE: gn
    ↳ ROLE ATTIVE: neffi1 neffi2
    may1 may2
    ↳ ULTIMA SCHEDA CREATA: may 12.12.22

    Edited by @speculumdeae - 1/6/2023, 13:39
  8. .
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    Mentre attraversava la città, e pensava a quel momento, credeva avrebbe fatto più male. Avrebbe fatto più male non essere riconosciuto, forse essere rifiutato, cacciato via in malo modo... ma questo non era successo.
    I suoi tratti si ammorbidirono d'istinto, una muscle memory che aveva sviluppato già da ragazzina - guardava tutti da sotto le sopracciglia, un'occhiata gelida se li degnava d'attenzione, ma non Erisha. Per lei le espressioni erano leggere, spontanee. Era meno guardinga, più fiduciosa, non temeva il suo giudizio. Non del tutto, almeno.
    «conosci un po’ troppe cose, per essere uno sconosciuto».
    Accennò un sorriso, e scosse piano la testa.
    Non gli era mai capitato, in effetti, di dover dire il suo nome nel corpo di Artëm. Lo metteva a disagio, lo faceva esitare.
    «Sono... ero...», abbassò gli occhi, in un moto di vergogna, «Neffi».
    Prese un respiro profondo, incerto sul da farsi. Forse era stato un errore ricomparire nella sua vita così. Senza avvisare. Dopo dieci anni di silenzio.
    «Non avrei dovuto disturbarti» ... «ma avevo bisogno di vederti, di parlare con te, di...»
    every time i try to bring it down,
    you always turn my head around
    ARTËM
    (NEFFI LOVELL)
    39
    SPY
    RAVENCLAW
    REBEL
  9. .
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    Quante volte si era maledetta per non averle lasciato nemmeno una parola.
    Anni di silenzio che una volta erano continui messaggi, sfilze di foto e di video, link di ogni e qualsiasi stupidaggine pensava le sarebbe piaciuta. Telefonate fiume che sembravano non dovere mai finire.
    Poi, invece, erano finite.
    Non avrebbe saputo spiegare come, quando, o perché. Aveva tentato di dare miliardi di spiegazioni a se stessa. Era solo una, quella che quadrava. Quella che non la faceva sentire una stronza, una traditrice, un'amica di merda. Che fosse per il suo bene. Che allontanandosi potesse proteggerla. In realtà, si proteggeva solo dal macigno che le calava sul petto ogni volta che Erisha le presentava qualcuno. O parlava di qualcuno. Si meritava di meglio - qualcuno che non dovesse impegnarsi per non guardarla come se portasse il sole nel mondo. Eppure, quelli erano gli stessi occhi con i quali era Artëm a guardarla, come un vecchio amore che è rimasto in sospeso, quando invece non è mai stato.
    Abbassò lentamente lo sguardo per incrociare quello di lei.
    «Guardami». Era sicuro che se ne sarebbe resa conto, che l'avrebbe riconosciuta. «Sono io».
    Non riusciva a non sorriderle, nonostante gli facesse male.
    Si passò una mano sul viso, e lentamente si sfilò i guanti da motocicletta che portava, infilandoli nella tasca della giacca, il casco integrale sottobraccio che gli faceva più da supporto morale.
    «Mi dispiace». Avrebbe elaborato? Di sicuro voleva, ma le parole gli morivano in gola. «... non avrei dovuto sparire nel nulla». Scosse piano la testa. «Non avrei potuto vederti sposare Goblin. Mi... mi dispiace».
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    ARTËM
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  10. .
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    Domani sarebbe stato una persona nuova.
    Quante volte era già successo?
    Si era già reinventato troppe volte, passaporti falsi incastrati sotto le assi del pavimento polveroso della soffitta di casa sua. Una casa babbana, anonima, senza la benché minima personalizzazione. La trattava come una safe house, Artëm, ci lasciava le cose essenziali perché non andassero perse al Quartier Generale.
    Gli anni erano passati e lui era rimasto incastrato come quei passaporti che lo vedevano cambiare identità dopo una manciata d'anni senza fermarsi da nessuna parte. Perché erano in guerra, perché il mondo stava finendo, come vent'anni prima. Quando pensavano che l'ultima notte sarebbe stata l'ultima di paura, l'ultima di esitazione. L'ultima di innocenza.
    Forse lo era stata davvero, quando era un'altra persona che poteva accartocciarsi su se stessa al fianco dei suoi migliori amici, una cuffietta ciascuno, un occhio ciascuno sulla pagina di un romanzo rosa. La skincare, i brillantini, le polaroid dietro la cover del telefono in cui sorridevano perché ce l'avevano fatta.
    Neffi Lovell una volta sognava di lasciare Londra. Magari dimenticare la magia e tutto il male che le aveva fatto.
    La guerra, invece, l'aveva convinta. Non l'aveva cambiata - ma l'aveva resa ciò che era. E ciò che era era Artëm, il figlio delle insicurezze di una ragazzina che voleva solo essere brava, essere amata. Che aveva bisogno di vincere una maledetta guerra per provare qualcosa.
    Adesso era un uomo che nessuno ricordava, un volto anonimo che non si riconosceva allo specchio.

    Non doveva farlo, si era detto. Usare le risorse di lavoro per i propri scopi personali. Non doveva. Ma i ricordi dell'ultima notte al mondo l'avevano tenuto sveglio finché i piedi non si erano mossi da soli fino alla moto.
    E allora aveva imboccato le strade gelide e distrutte di Londra alla volta di una casa che non conosceva, ma avrebbe dovuto.
    A un certo punto, era semplicemente sparita. Si diceva di averlo fatto per il suo bene. Non il proprio, mai il proprio. Il futuro di Erisha era sempre venuto prima del suo, prima ancora che se ne accorgesse.
    Non gliel'aveva mai detto.
    Alla fine, non aveva mai smesso di essere quella bambina spaventata dal rifiuto. E aveva lasciato che la sua migliore amica si sposasse. Che cambiasse vita, che cercasse i propri sogni che non erano più i loro.
    L'aveva lasciata andare, ed era sparita nel nulla.
    Ed era diventata Artëm, una figura che ogni tanto chi la conosceva avrebbe scorto di passaggio in metropolitana, ma che non era più amica, confidente, protettrice.
    Artëm per loro non era nessuno, e così doveva essere. Per il bene di tutti.

    What a privilege it was to matter to you.
    Mentre bussava aveva in faccia il sorriso di un ragazzo che non era mai stato. Quello che leggeva il nome di qualcuno che una volta conosceva sopra il campanello e s'immaginava storie che non erano le sue.
    Nessuna storia era la storia di Artëm, perché Artëm non era nessuno.
    Tese l'orecchio in attesa dei passi che lo separavano da lei. Il proprio respiro gli teneva compagnia, la condensa nell'aria una coltre che nascondeva le sue paure al mondo.
    «Hey...».
    Quanto avrebbe voluto slanciarsi in avanti e stringerla a sé. Come a prometterle che sarebbe andato tutto bene. L'ennesima menzogna della sua vita.
    «... non ci vediamo da un po'».
    every time i try to bring it down,
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    ARTËM
    (NEFFI LOVELL)
    39
    SPY
    RAVENCLAW
    REBEL
  11. .
    CODICE
    <tr>
     <td colspan="2" style="border-top:3px solid #6D7134;"></td>
     </tr>

     <tr>
     <td rowspan="3" width="40%" style="padding:10px" bgcolor="#0c0c0c">[URL=https://tcssagifpacks.tumblr.com/aa6u]<div style="background:url(https://64.media.tumblr.com/f0159bad73a1066671e2f1bba99f4da4/6f667c5ca69cf362-ef/s400x600/f742f00004dea4714ce5e82f96c258298d209cb3.gif) no-repeat center; background-size: cover;width:175px;height:80px;"></div>[/URL]</td>
     <td>pv: Adria Arjona</td>
     </tr>

     <tr>
     <td>profilo: [URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/?act=Profile&MID=12546845]Julieta "Julie" Iglesias-Mendoza[/URL]</td>
     </tr>

     <tr>
     <td>altro: [URL=https://www.pinterest.it/overdoseofwords/julie/]pinterest [/URL]+ [URL=LINKSPOTY]spotify[/URL]</td>
     </tr>




    ho cambiato la pv di julie quindi vi rimando il codicino per comodità vvb <3

    Edited by @speculumdeae - 18/5/2023, 13:31
  12. .
    NEFFI LOVELL
    no one gets a break in this town
    they're closing all the local joints down
    there's nothing left for us here now
    in fear and loathing
    Vedere la sorella in ansia non era una novità, per lei, ma questa volta la cosa la preoccupava. Non aveva nemmeno il sincero istinto, che l'inglobava come una seconda pelle da quand'era nata, di prenderla bonariamente in giro o farle il verso. Semplicemente, rifilandole una lunga occhiata da sotto le folte sopracciglia biondo cenere, si limitò a continuare a sorseggiare il suo bourbon. Più o meno come fosse acqua nel deserto dopo giorni di cammino sotto il sole. L'osservava quasi di sottecchi camminare in circolo, e questo, a un certo punto, parve tingerle la bocca di un sorriso accennato. Scosse piano la testa. «Non fare niente che io non farei» «Potrei... rimproverare a morte i seguaci di Abbadon», suggerì, quell'aria stupida di sventatezza giovanile attanagliata al suo volto come una camicia di forza. In verità, forse non aveva ancora realizzato, o si rifiutava di farlo. Forse era così abituata al sentimento di costante paura, apprensione, preoccupazione per se stessa e per gli altri da non darvi peso, almeno non quello necessario, quello che avrebbe dovuto. Di certo non aveva intenzione di mostrare alcuna di quelle emozioni ad Azzy, che a quel punto l'avrebbe chiusa in casa e avrebbe trovato anche il modo di toglierle la magia pur di non farla andare.
    «Allora ti tengo qualche freccia in più. E tu mi tieni i proiettili». Terminata la bottiglina la ripose nella borsa come se niente fosse, il gomito puntellato sul bracciolo della poltrona e la guancia appoggiata al palmo, artigli in bella mostra e occhi attenti sulla sorella maggiore. «Di sicuro ce ne sarà più di uno nascosto da qualche parte. Se non qui, a scuola». La voce manteneva ancora un tono basso, ma si faceva più decisa ad ogni parola. «Andrà tutto bene, vedrai», una promessa che non poteva mantenere.

    gif code
    2004
    CHEER CAP
    VS ABBY
  13. .
    NEFFI LOVELL
    no one gets a break in this town
    they're closing all the local joints down
    there's nothing left for us here now
    in fear and loathing
    «Gne gne gne» soffiò a distanza, dando qualche altro bacetto all'aria con le labbra decorate dal rossetto rosso. Meno acceso, perché metà era finito addosso alla sorella. «È un rosso universale, sai? Ti starebbe bene, dovresti provarlo!».
    Voltandosi alla propria destra aprì la borsetta per tirarne fuori una bottiglia in miniatura di bourbon, incurante del rimprovero che sarebbe di sicuro arrivato dalla maggiore. Tagliò il sigillo con un'unghia affilata e, rimosso il tappo, bevve un sorso. «Vuoi?». La domanda venne fuori senza però alcun gesto delle mani, avvolte gelosamente intorno alla bottiglia. Voleva offrirglielo davvero, sì, ma non rischiare che glielo togliesse.
    Annuì alla sua richiesta. Le andava bene non esporsi. Di solito si nascondeva in piena vista, ma in battaglia non sarebbe stata la migliore delle strategie, probabilmente - nessuno avrebbe dato peso a una bambolina in battaglia, certo, ma sarebbe anche sembrata un bersaglio facile. «Va bene», confermò. Un altro sorriso andò a graziarle il viso, dal quale il colore pareva risucchiarsi pian piano al continuare della conversazione. Aveva desiderato dell'adrenalina, certo, ma il rischio concreto di rimetterci la vita, o che ce la rimettesse qualcuno che amava, non la entusiasmava per niente. Avrebbe davvero voluto costruirsi un bunker. Ma le cose non potevano cambiare da sole. «Munizioni, per esempio», accennò, abbassando talmente la voce da potersi far capire quasi esclusivamente dal labiale. «Io ne porto qualcuna in più per te e tu qualcuna in più per me».

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    in fear and loathing
    «Fai il gioco dei nomi con me, Azrael - occhioni paurosamente blu che roteando si guardano il cervello per schiarirsi le idee e sopracciglio biondo inarcato ormai pacchetto incluso. Scosse piano la testa, arricciando il naso in finta breccia al proprio orgoglio, e lasciò scivolare la borsetta giù dal braccio sulla poltrona adiacente il divano, avvicinandosi a falcate accompagnate dal ticchettio degli stivaletti bianchi in ecopelle alla sorella maggiore. Poggiandole le mani dalla manicure impeccabile - tutta artigli di un discutibile rosa confetto - sulle spalle, le lasciò un bacio rosso fuoco sulla fronte senza troppi complimenti, scostandosi poi per sedersi insieme al proprio misero bagaglio delle necessità e accavallando le gambe (s)coperte dalla minigonna dello stesso materiale e colore degli stivaletti. «<b>Non soffro d'ansia», le assicurò, un angolo della bocca a sollevarsi docilmente non senza quel malcelato sarcasmo che non era mai riuscita a tenere lontano da ogni suo discorso. Mentiva, naturalmente. Di certo l'alternarsi di punizioni e minacce genitoriali e viaggetti in sala torture a conseguenza di aiuti e protezioni a qualche special di troppo aveva in fondo avuto almeno un po' d'impatto sulla psiche della Lovell, che tuttavia non gradiva farne alcuna menzione. E infatti neanche stavolta la fece, poggiando la schiena all'indietro e lasciando scivolare i capelli sciolti oltre lo schienale. Socchiuse gli occhi, lasciandosi andare a un sospiro prima di riaprirli e sorridere, con amarezza e un barlume di sincerità che si poteva intuire dal luccichio determinato nello sguardo. «Al sicuro, dici?» ... «sappiamo tutti che non siamo al sicuro lì dentro». Anche la sua, di voce, rimaneva bassa, sommessa. Dei loro genitori nessuna delle due si era mai fidata, dopotutto, e quella sfiducia era chiaramente reciproca. «Se non ci impegniamo noi... chi dovrebbe farlo allora? Abbiamo ancora addosso tutta la furia dei nostri anni, ce lo dicono sempre per un motivo o per un altro». Ancora un sorriso le graziava le labbra ma senza arrivare agli occhi. Sospirò, rimanendo in silenzio per qualche istante ad osservarla. Immobile, come volesse ricordare i dettagli, il viso e l'espressione dell'unica persona che le aveva sempre dimostrato cura, premura, amore. Quella che più di tutte sarebbe stata una perdita se qualcosa fosse successo. L'unica a cui al contrario sarebbe mancata. Sentiva quasi gli occhi bruciare, e li abbassò di riflesso. «Tu ci vai», era un dato di fatto, ammesso in tono quasi arrendevole, e spaventato. «Io... se tu andassi e io non fossi lì con te non me lo perdonerei mai». E non solo lei - anche Kaz era coinvolto, lo sapeva, se lo sentiva. Come avrebbe fatto a starsene buona a scuola, frequentare le lezioni, organizzare qualcuna delle sue attività del cazzo, sapendo che i suoi cari s'erano rimboccati le maniche e stavano sputando sangue anche per la sua libertà? «Piuttosto dovremmo aiutarci».

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    Neffi Lovell era contraria ai sentimentalismi.
    Prevalentemente perché in casa sua erano sempre stati puniti a cinghiate, e ne portava le conseguenze addosso come quei tatuaggi che fai da ragazzo e di cui ti penti talmente da uscire fuori con le maniche lunghe anche se ci sono trentasette gradi. E faceva questo, Neffi, il più delle volte - questo o quell'altro accessorio copriva cicatrici bianche che ne fendevano il corpo, ma che per lei non erano vergogna, no: più un ricordo del perché valesse la pena. Di agire da insider, di fare l'equilibrista su funi troppo alte per una ragazzina della sua età. Dicevano le piacessero i giochi di potere tra le quattro mura di Hogwarts - le piaceva dirigere una squadra a piacimento, schioccare le dita e avere gente che obbedisse. Ma non era questo lo scopo, non era questo l'obiettivo. Eppure, coi suoi occhi truccati e lunghe ciglia scure, riusciva a far credere a tutti di sì. E questo le bastava.
    Non era spaventata. Non ancora, almeno. Aveva letto la sua lettera in santa pace, nel buio pesto del dormitorio a notte fonda, controllando fino all'ultimo che neppure Erisha fosse sveglia a guardarla tenere qualcosa di segreto da lei.
    Non aveva fatto alcuna valigia, convinta di soffermarsi poco, in and out like a motherfuckin' thief in casa propria - solo una borsetta rosa e soffice che pareva più un peluche penzolava dal suo braccio sinistro, all'interno cellulare, documenti, sigarette e un paio di bottiglie d'alcol in miniatura: ciò che serviva per sopravvivere, altro che cambi, quelli, nonostante il gusto discutibile della sorella, poteva di certo chiederli a lei. Si accertò in tutti i modi che i genitori non fossero presenti - con la magia, senza magia, ascoltando, guardandosi intorno -, prima di aprire effettivamente la porta d'ingresso, infilando solo la testa nella stanza e avvistando proprio la sorella maggiore e la sua tisanina, che per un attimo la fecero sorridere. Solo un attimo.
    «Dicono che uno xanny aiuti di più, lei che ne pensa, Doc?».

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