"what the hell you doing kid?"

[postq10] kaz ft. erisha & neffi

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    kaz oh
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    Le trattava come qualcosa di fragile perché non sapeva in quale altro modo tenerle fra le dita, Kaz. Si sentiva come quando da bambino seguiva sua madre in laboratorio, e lei gli lasciava fra le mani gli attrezzi che le servivano per il passo successivo della creazione del proprio macchinario intimandogli di fare attenzione. Che fossero delicati. Rimaneva con i palmi aperti senza fiatare, lasciando che mamma lo usasse come mensola, perché voleva aiutare e sentirsi utile.
    I palmi aperti li aveva anche quel giorno. La curiosità con cui guardava Neffi ed Erisha, non era troppo diversa da quella dell’Oh di una decade prima: occhi neri spalancati, sopracciglia inarcate, labbra dischiuse in meraviglia e tante parole taciute.
    Erano solo un po’ più vuoti, tutti e tre. Limati agli angoli e distorti in forme simili e familiari, ma piegate e ripiegate. Fogli stropicciati tenuti in tasca troppo a lungo che cercavano ora di appiattirsi sotto libri pesanti. Note scritte a mano su tutte le righe ed anche qualcuna in più.
    Più i respiri trattenuti, di quelli fatti scivolare liberi.
    Kaz era tornato a scuola con le spalle piegate ed il più finto dei sorrisi sulle labbra.
    Avrebbe preferito non tornare. Neanche per Clay e Dylan ed il resto delle Furie.
    Il padre aveva giustificato l’assenza degli Oh al castello dicendo che stessero studiando a casa, mentre tutti e tre erano invero impegnati al fronte. Non era stato felice che i fratelli fossero al suo fianco, ma non l’aveva neanche proibito: come avrebbe potuto, quando per tutta la vita avevano saputo quello fosse il loro destino. Nessuno, eccetto Clay ed il resto dei ribelli, sapeva che avesse combattuto quella guerra, e quindi aveva forzato gli angoli della bocca a curvarsi verso l’alto. Era tornato come perdente, Kaz, in una scuola forzata ad adorarlo dal nuovo mondo, ma che lì non ce lo voleva. Evitava di incrociare lo sguardo dei fratelli Motherfucka, di Rick e Mort, Hot e Liz; i sorrisi che rivolgeva a Bengali avevano perso le guance arrossate e le dita ad arruffare i capelli corvini. E le aveva trovate subito, Erisha e Neffi. Era rimasto fuori dalla porta della sala comune dei Corvonero mentre prendevano i loro averi, e si era fatto carico delle misere, così misere, scatole delle due ragazze mentre le accompagnava a Different Lodge, raccontando loro delle stelle fluorescenti appese al soffitto e la libreria personalizzata che aveva contribuito a creare. Aveva parlato delle serate a tema e dei pigiama party, dei bottini gentilmente offerti dagli Elfi Domestici con cui facevano aperitivo notturno, di come Nathaniel Henderson da ogni viaggio portasse loro qualcosa di nuovo con cui abbellire la struttura e renderla più personale. Disse loro del sistema a punti, dei cartoncini you tried con cui si sfidavano sotto banco tutti gli special a chi ne collezionasse di più.
    Non pianse neanche un po’, sapete. Avrebbe voluto farlo ad ogni sentenza. Ogni frase un po’ più morbida e sputata veloce dalle labbra dischiuse. Avrebbe avuto bisogno di farlo, anche solo per liberare di almeno un millimetro la gola chiusa, ogni volta che abbassava lo sguardo sugli occhi vacui e asciutti di Neffi, la schiena piegata della Byrne.
    E se ci pensava. Se ci pensava. Non era stato al loro fianco, quand’era successo.
    Tutto. Quel tutto arrivato ai ribelli in un secondo momento, con JD senza magia a obbligare una risata dalle labbra e l’addio taciuto delle sedie vacanti di Javi e Moka e Wren e Justin e Sin ed Al. C’era passato al QG, Kaz, per aiutare a spostarlo in un altro luogo; aveva visto i volti dei compagni, ed era stato in silente accordo che quei posti rimanessero vuoti anche nella nuova sede dislocata. Lì aveva pianto, un po’. Mani sul viso e ginocchia piegate contro il petto, finché Nelia non gli aveva stretto una mano sulla spalla dolcemente, bisbigliando che l’avrebbe accompagnato lei al castello – e magari passiamo a prendere un gelato prima, che ne dici, Kaz?
    Non sapeva cosa avessero visto. Non sapeva come non farglielo rivedere ogni momento.
    «possiamo dormire tutti insieme stasera. Se vi va» erano arrivati alla porta di Different Lodge, e di comune accordo si erano fermati prima di varcarne la soglia. Kaz alzò gli occhi al cielo per asciugare lo strato liquido. Avrebbe pianto dopo, quando ci fosse stato solo il Morales. Quando in mormorii spezzati avrebbe potuto dirgli dei video che aveva registrato e mai inviato, e che alla fine così importanti non lo erano; frammenti di quel che aveva visto, tenendo i peggiori per sé.
    Umettò le labbra con la punta della lingua.
    Si era fatto più grande di quanto non fosse, cercando di coprirle con la propria statura dalle occhiate dei compagni e dei concasati: nessuno sapeva che Kaz avesse partecipato per Sartre, ma loro quel segreto non avevano potuto mantenerlo.
    E sarebbero state odiate, per quello. Lo sapeva perfino l’Oh, e lui delle persone tendeva a pensare il meglio. «rimango con voi tutto il tempo» promise, sincero. Un bisbiglio, e lo sguardo abbassato su entrambe le ex Corvonero.
    La cosa che più gli faceva paura, la soffiò muovendo solo le labbra. «non è così male essere come noi. giuro» che fosse quello il problema: il guardarsi allo specchio e non riconoscersi; reputarsi mostri, quando non c’era nulla di sbagliato nella loro magia.
    Era solo diversa. Erano solo diverse.
    «rimango con voi tutto il tempo» ribadì ancora, perché gli sembrava importante.
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    NEFFI LOVELL
    god stood me up,
    and i don't know why.
    lights are on,
    but nobody's home.
    Azrael le aveva detto di non andare a combattere.
    Gliel'aveva detto.
    L'aveva avvertita, aveva provato a dissuaderla in tutti i modi.
    Ma Neffi Lovell voleva farsi valere, voleva avere una parte nella storia. Voleva tenere la penna in mano, per una volta, e scrivere anche lei la sua porzione, avere un ritaglio solo suo nel nuovo mondo.
    L'aveva avuto, alla fine.
    Quando Abbadon l'aveva toccata si era sentita morire. Era convinta che lo avrebbe fatto, in realtà. Era convinta che con quel tocco condiscendente le avrebbe tolto l'anima, la linfa vitale.
    Che non sarebbe più tornata a casa.
    Quando c'era tornata, camera sua non era più sua. Le sue cose non avevano più ragione di stare dove stavano. Di occupare quello spazio.
    Non aveva più diritto di stare tra i Corvonero e di dirigere la squadra.
    Non aveva più modo di strappare quel diploma col massimo dei voti.
    Neffi Lovell non era più nessuno.
    E questo, ci teneva a precisarlo - Dio solo sapeva quante volte l'avesse ripetuto a Kaz - non era perché era diventata una special.
    Contrariamente a quanto i suoi genitori avrebbero voluto per lei, non aveva mai ritenuto che la magia la definisse. Non aveva mai pensato che nessuno fosse inferiore a lei.
    Erano stati loro a definirla tale. Erano stati loro a dirle che un abominio, una ribelle, non aveva alcun posto nella loro famiglia.
    Aveva pianto, una volta ritrovata sua sorella. Non aveva esitato a lasciar cadere le armi e lanciarsi tra le sue braccia come una bambina spaesata, abbandonandosi al suo calore senza alcuno scrupolo. Chiedendole scusa per essere stata così avventata, scusa per le ripercussioni che le sue azioni avrebbero avuto su di lei.
    Non aveva mai mentito a Kaz, non aveva mai finto di stare bene quando non era così.
    Con Erisha era diverso. Lei aveva perso di più. Aveva perso anche il quidditch, ciò per cui aveva lottato per tutta la vita.
    «non è così male essere come noi. giuro».
    Scosse piano la testa, e gli diede un buffetto sul braccio.
    «Non è quello», tentò di rassicurarlo. «È che mi hanno tagliato i viveri».
    No, questo ancora non l'aveva detto. Alzò le spalle con studiata nonchalance.
    «Il posto è carino».
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    Edited by @speculumdeae - 4/6/2023, 19:30
     
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    Erisha Byrne
    A time when I
    Didn't feel like there was something missing
    Now my body and mind are so distant
    Don't know how to escape from this prison
    How can I free my mind?
    Quando aveva fatto il numero di casa, l’unico che conosceva a memoria, in una cabina a gettoni poco distante dall’accampamento, si era sentita un pesce fuor d’acqua.
    aveva ancora la bacchetta nella cinta dei pantaloni e le gambe distrutte dai rovi di Abbandon.
    Abbandon che aveva guardato negli occhi, che le aveva rivolto la parola, che le aveva tolto la magia.
    Si sentiva un guscio vuoto.
    Non perché fosse ormai diversa, non era quello il motivo.
    Era cambiato tutto. si sentiva spezzata, stravolta, come un fuscello sotto l’impetuosità del vento, e non poteva farci niente.
    «Pronto?»
    «Mamma, sono io» poggiata con il capo al muro, l’indice con lo smalto mangiucchiato ad arrotolare il filo del telefono
    «Bambina mia… menomale, sei salva… dove sei? Puoi venire da me in Ind…»
    «non sono più una strega, mamma, non c’è più magia in me» semplice e coinciso, la interruppe prima che potesse fare piani, che potesse essere felice di avere la sua unica figlia salva
    «…» Erisha rise, una risata disperata, dettata dal silenzio della madre «immagino che io non sia più la benvenuta, dico bene?» aveva combattuto per lei, per non costringerla a vivere sotto un regime dittatoriale peggiore di quello attuale, peggiore di quello di suo padre.
    aveva perso, ma almeno ci aveva provato «Lo sai che tuo zio..tuo nonno, non accetterebbero mai la tua presenza qui in quelle condizioni » per un attimo erisha smise di respirare «e tu? mi accetteresti così?» poggiò la fronte al muro per ricevere solamente un silenzio assordante come risposta dall’altro capo del telefono, non la voleva, ora che per lei era difettosa, sbagliata, non le andava più bene «non provare a riscuotere i fondi del mio conto, io sono l’unica Byrne, l’eredità è mia, l’hanno lasciata a me, sono maggiorenne e posso andare a prenderla quando voglio, non cercarmi più.» con gli occhi lucidi e la voce rotta le disse «non hai più alcuna figlia» fu quello il momento dove si rese conto di essersi comportata da Byrne.
    le persone che più odiava al mondo.


    Era passata una settimana da quando aveva avuto quella conversazione, l’ultima, con sua madre, e chiunque l’avesse vista dall’esterno avrebbe potuto confermare quanto Erisha Byrne fosse diventata uno spettro della vecchia se, i capelli arruffati, le occhiaie scure e il capo chino non erano mai stati parte integrante della sua personalità, ma lo erano diventati; quello scatolone che teneva fra le mani sembrava quasi più grande di lei, dentro c’erano le sue cose, la sua bacchetta, i guanti della sua divisa da quidditch, cravatte e sciarpe dello stesso colore del cielo di notte, non le servivano più, non le sarebbero mai più servite, sembrava piccola piccola Erisha Byrne, le spalle erano chiuse, forse per aver incassato troppi colpi, ed ogni sguardo tagliente che le si posava addosso sembrava far richiudere la diciottenne sempre più in se stessa «possiamo dormire tutti insieme stasera. Se vi va» dormire? quasi non sapeva più cosa fosse, era ormai routine svegliarsi di soppiatto per gli incubi, per aver sognato quegli occhi che le facevano ancora venire i brividi, nella follia di quei momenti la Byrne cercava la bacchetta pronunciando un lumos, l’incantesimo che ti insegnano da bambini, quello più semplice, si rendeva conto troppo tardi che fra le sue mani, quella bacchetta, non aveva più alcuna importanza, e piangeva, si permetteva di farlo solo lì, abbracciata all’oscurità della notte mentre nessuno la vedeva.
    sarebbe stata forte, era il mantra che si era ripetuta, dura come una roccia
    e allora perché le mancava il fiato, perché non riusciva quasi a respirare? «non è così male essere come noi. giuro» Erisha sorrise, perché non era quello il problema, non si riconosceva più, non aveva più una famiglia, un posto in cui tornare per le vacanze, delle mani che le avrebbero carezzato il capo solo come una mamma sapeva fare «rimango con voi tutto il tempo» la mano di Erisha andò a cercare quella di Kaz, enorme rispetto alla sua, e quella di Neffi «vi prego, non lasciatemi sola anche voi» pronunciato con voce flebile, tirò su col naso, si costrinse a stare zitta, per non scoppiare in un pianto disperato
    sarebbe stata forte
    ma non ci stava riuscendo affatto.

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    Peggio di sentirsi impotente, Kaz si sentiva incompetente, che toccava tasti tutti diversi. Stava lì, con quelle braccia lunghe e le spalle leggermente curve, a dondolare sul posto senza sapere cosa dovesse - potesse? - fare, cosa dovesse - potesse? - dire per allentare la tensione. Voleva disperatamente rendersi utile; era il come a sfuggirgli. Dita aperte a cercare di raccogliere acqua da un rubinetto aperto. «Non è quello. È che mi hanno tagliato i viveri» con quanta studiata, meticolosa, non curanza, Neffi Lovell si strinse nelle spalle; un’altra incrinatura nel cuore già a pezzi dell’Oh, lo sguardo umilmente posato sulla punta delle scarpe. Anche di quella informazione, non sapeva cosa farsene. Sapeva che situazioni simili esistessero al mondo, aveva sentito i mormorii dei suoi compagni, ma era una realtà così aliena alla sua da costringerlo a sentirsi a disagio. Inappropriato, perché favorito dalla sorte con una famiglia che l’aveva amato sempre; che nei Laboratori l’aveva spedito per salvarlo da una sorte ben peggiore che il diventare uno special. Un lampo di rabbia negli occhi scuri di Kaz, i denti serrati fra loro e la lingua a puntellare l’interno della guancia. Sapeva Neffi non volesse la sua pietà, e non era intenzionato a dargliela – anzi. Non era compassione quella ad aumentare i battiti del lumocineta, quanto più un fremito di ingiustizia furente che prese forma in un «beh, che si fottano.» sbottato con quanta dignità avesse, spalle improvvisamente dritte e occhi sulla porta di Different Lodge. Avrebbe dovuto essere più comprensivo vista la delicatezza dell’argomento, dispiacersi per la sua amica, ed invece era solo offeso per lei: se la Lovell non poteva adirarsi con chi l’aveva messa al mondo, ci avrebbe pensato lui. Era a quello che servivano gli amici, no? «Sei una donna indipendente e cazzutissima che non ha bisogno del cognome di nessuno. Ti aiuto a trovare un lavoro! Ho fatto il tirocinio al Captain Platinum, sicuro conoscono qualcuno – mh.» aveva di nuovo parlato troppo, e velocemente. Rallentò l’andatura delle parole a calpestarsi le une con le altre, cercando di non mettere pressione alla Lovell perché trovasse una soluzione in quel preciso momento: aveva ancora tempo di elaborare, prima di doversene preoccupare. E poteva rimanere con gli Oh quanto avesse voluto, se ne avesse avuto bisogno – sapeva che al padre dispiacesse non aver avuto neanche una figlia, era troppo ossessionato dall’equilibrio cosmico per non aver desiderato due pargole che compensassero l’esistenza di Kaz e Kul.
    «Il posto è carino»
    Il sorriso di Kaz si ammorbidì in un impeto di affetto e tenerezza – verso Neffi, verso i suoi compagni. «anche le persone» bisbigliò. Avrebbero faticato a crederci ancora per un po’, lo sapeva, ma prima o poi sarebbero tornate a fidarsi del genere umano. Inspirò tremulo quando Erisha Byrne gli strinse le mano, ricambiando la stretta e portando il dorso di lei contro il proprio petto. Neanche gli importava che potesse sentire quanto battesse frenetico sulle costole. Non se ne vergognava, di provare delle emozioni. Voleva le sentisse tutte a riverberare contro le nocche, un disco solo in parte rotto a rimembrarle che fossero vivi, e quello, alla fine della giornata, era quanto dovesse bastare. Finchè lo erano, potevano ancora cambiare la storia – la loro, quella di tutti. Potevano ancora combattere.
    Se lo volevano.
    «non vado da nessuna parte» un soffio. Una promessa che non poteva mantenere in eterno, ma per la quale avrebbe combattuto con le unghie e con i denti perché rimanesse reale fintanto che ne avessero avuto bisogno. «entriamo? Vi faccio fare il tour!» attese che convenissero sul fare quel primo passo all’interno della loro nuova vita, prima di spalancare con una spallata il dormitorio degli special. «e vi accompagno nella vostra stanza, così vi aiuto a sistemare le cose» ed avrebbe riempito ogni silenzio, cosa di cui non sembravano avere bisogno, ma che Kaz avrebbe fatto lo stesso. «tanto i nostri compagni li conoscete già tutti, no? CLAY! GIACOMINO! JOJO!» così, per nominare subito i più carini, e non accennare a Bengali: un po’ presto, per quello.
    Anche per nominare Ictus. Era un bravo cristiano (in tutti i sensi) ma i suoi sensi psycho shipper titillavano un po’ troppo nel poligono delle relazioni di Erisha Byrne, quindi evitò con classe l’argomento – aveva già nominato il club fossette, il medium poteva anche passare in secondo piano. «ah già, anche mio fratello» derogatory, ma sperava bastasse a strappar loro un sorriso.
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