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    berenice hillcox24 | censorfashion designer
    Contrariamente a quanto molti potessero sostenere, a Nice Hillcox non piacevano i confronti. O meglio, le piacevano, ma solo quelli dove non era costretta a mettere in gioco nulla di se stessa, quelli dove non rischiava di perdere un pezzo di sé lungo la strada. Vincere non aveva lo stesso sapore se per farlo era costretta a rinunciare a parte della sua essenza. Non ne valeva la pena.
    Preferiva, in quei casi, chiudersi nei propri silenzi e ripararsi dietro le spesse mura che avvolgevano non solo il suo cuore, ma ogni parte di lei; quelli facevano da filtro per questioni per cui valesse la pena esporsi, e quelle che, al contrario, era meglio non affrontare. Albert era una di quelle questioni; così come a lungo lo era stato Dominic, o come continuavano ad esserlo i suoi genitori in quel tempo. Perché non vedeva un solo, singolo, scenario che finisse con il proprio cuore ancora intatto, e non aveva la minima voglia di concedere a nessuno, neppure al cugino, quel potere; non quando, anche per colpa del ragazzo, aveva passato l'ultimo anno a rivalutare ogni singolo aspetto della propria vita, per capire se valesse la pena o meno avere nuovamente delle persone da amare, quando poi l'unico finale era sempre e comunque uno che annegava nel dolore, e lei con esso.
    Non poteva farlo, fine.
    Ma non abbassò lo sguardo quando sentì Albie ammettere di non riuscire a guardarsi allo specchio, perché era troppo orgogliosa per dimostrare le proprie debolezze, anche a qualcuno che le conosceva tutte a memoria, una per una, come il fu Cox-Bulgakov-Wood. E una di quelle debolezze era la consapevolezza di aver vissuto sulla propria pelle quella sensazione, il non riuscire a guardarsi allo specchio a causa di un aspetto che faceva troppo male: subito dopo il viaggio, anche Nice aveva avuto difficoltà a incontrare il suo riflesso, troppo uguale a sua madre per non sentire una fitta al cuore ogni volta che il pensiero finiva inevitabilmente a Zoe, e di conseguenza a Cameron
    Anche se le motivazioni erano diverse, comprendeva più di quanto Albie potesse immaginare; lo aveva sempre fatto. Ma non glielo avrebbe detto.
    C'era un'altra cosa che condivideva con Zoe Cox, ed era l'orgoglio.
    «Ma come darle torto, visto che l’hai praticamente rapita? Si merita di fuggire…»
    Mentre chiudeva la porta alle spalle, rispose all'accusa del cugino con un «cosa ti aspettavi che facessi? Che la lasciassi sola, a badare a se stessa mentre tu andavi a morire chissà dove? Io l'avrò anche rapita, come dici tu, ma almeno ero con lei» Un tono di voce troppo piatto, troppo controllato, per non percepire almeno in parte quanto quelle parole non fossero solo per la gatta; era troppo forzata la postura dritta e impassibile, per non capire che servisse come difesa contro una rabbia troppo forte, delle emozioni così grandi che rischiavano di farla esplodere, e per le quali Nice incolpava, ancora una volta, il lato Cox del suo DNA.
    Odiava che solo in pochi non avrebbero letto tra le righe di quelle accuse, e odiava ancora di più che una di quelle persone fosse proprio il cugino.
    Nel vedere come Bee – famosa per essere sempre poco prona alle coccole che non fossero da parte di Nice o di Bertie – avesse accettatto senza neppure un miagolio infastidito che l'altra la prendesse nel suo abbraccio e nascondesse il viso nel pelo nero e morbido, colpi più vicino di quanto Nice fosse fosse disposta ad ammettere. Non aveva mai avuto dubbi che quella persona lì fosse Albert, ma non aveva nemmeno voluto (stupidamente) elaborare l'informazione, e accettare che fosse vero.
    Non il fatto che Albie fosse ora una donna, o uno special — a chi interessavano quelle cose, di certo non a Nice. Quanto più che fosse davvero lì, a casa sua, con la coda tra le gambe nonostante il mento alto, e la scusa più vecchia del mondo come riparo dietro cui nascondersi.
    Fu istintivo dunque per la Hillcox controllare le difese perennemente innalzate, e accertarsi che non ci fosse nulla fuori posto, neppure una minima intaccatura che avrebbe potuto rivelarsi fatale, facendo entrare più emozioni di quante Nice non volesse processarne. Persino il fatto che Albie cercasse di litigare con lei non la faceva stare meglio, perché era esattamente quello che Albert avrebbe fatto, e Nice non poteva accettarlo.
    Semplicemente, non poteva.
    «E poi guarda com’è contenta Bee…»
    Strinse le labbra tra loro, arricciandole e decidendo che quello fosse il momento perfetto per raggiungere la cucina e dare le spalle alla bionda figura ancora vicina alla porta. Aveva bisogno di aria, di spazio e tempo per riflettere e riprendersi e ricaricare il proprio arsenale.
    Avrebbe potuto dirgli che la spilla era un regalo, non che lui potesse capire, ma non lo fece perché, per qualche stupido e infantile motivo, non voleva cedere alle provocazioni del Behemoth e dargli la possibilità di insinuarsi sotto la pelle.
    L'aveva già fatto fin troppe volte, e dove l'aveva portata quell'atteggiamento? Lasciò che la spilla parlasse per lei, prima di rimuoverla dal petto dove era appuntata e appoggiarla sul tavolo della cucina.
    «Me li ha prestati Chelsey.»
    Un quasi inudibile tsk sfuggì dalle labbra ancora serrate della stilista, che si guardò dietro solo un secondo, prendendo nota degli abiti di Albie e commentando, semplicemente, «non mi stupisce.»
    Chelsey era tante cose, tra cui una forza della natura e una sua cara amica, ma sapeva di moda tanto quanto Nice sapeva di quidditch.
    No, anzi: Nice, per sua sfortuna, sapeva fin troppo di quidditch; quanto Bertie sapeva di quidditch, ecco.
    «Mi chiedevo se volessi trovarmi qualcosa di più consono da mettermi. Sai, grazie al tuo giusto senso estetico…»
    Stava cercando di comprarsela elogiando i suoi gusti e il suo talento? Beh, avrebbe funzionato in altre circostanze; in quella, invece, serviva solo a stringere ancora di più una morsa intorno al cuore gelido della Hillcox — proprio per questo, sempre più a rischio di rottura: un cuore come il suo, duro e dalle parete troppo rigide, non poteva essere strizzato e poi pretendere tornasse alla sua forma originale, o che continuasse a battere come se nulla fosse successo. Una volta incrinato, il muscolo cardiaco non era più in grado di riprendere le sue normali funzioni, di pompare sangue e amore e comprensione come avrebbe dovuto fare. Nell'ultimo anno, aveva subito fin troppe pressioni e Nice non sapeva quanto a lungo, ancora, avrebbe resistito prima di spaccarsi completamente, lasciando al suo posto solo migliaia di schegge di ghiaccio utili a nessuno. Di certo, non a lei.
    «non faccio la carità, e non ti presterò i miei abiti.» Avrebbe preferito che non avessero lo stesso body type, ma in quelle forme Albie era ancora più simile a lei di quanto non lo fosse normalmente, tanto che avrebbero potuto benissimo essere scambiate per sorelle.
    Un tempo, era stato esattamente così; Nice si era sentita più sorella di Albert che non di Flo, o del piccolo Paris. Era sempre stato più di un cugino — un confidente, una costante importante, un'anima gemella.
    Cosa era successo, poi?
    A quando risaliva quella frattura nel loro rapporto? Potevano incolpare il viaggio nel tempo, e il loro muoversi in quel nuovo-vecchio mondo a ritmi differenti, o era iniziato tutto dopo la morte di Cam? Nice non avrebbe saputo dirlo, perché si era nascosta dietro la cieca e infantile convinzione che andasse tutto bene per troppi, troppi anni.
    Osservò la figura del cugino attraverso il riflesso di Bertie sulla vetrina della cucina, quella dove Nice teneva il servizio di piatti buono, e i bicchieri più belli da servire a degli ospiti che non aveva (né avrebbe) mai avuto. Faceva male guardarlo, e poco dopo distolse lo sguardo, preferendo armeggiare con la teiera per avere qualcosa da fare, e l'unica che potesse davvero offrirle un caldo supporto in quel momento era il tè.
    Ancora dandogli le spalle, e osservando senza realmente vederlo il getto d'acqua corrente, gli chiese: «hai davvero fatto tutta questa strada solo per implorarmi di sistemare il tuo guardaroba, dopo che per anni hai denigrato la mia passione e il mio talento? Sei caduto molto in basso.»
    Ciò che non riuscì a chiedere: è una condizione irreversibile? Non tornerai mai più alle tue sembianze originali? Voleva convincersi non le importasse, ma Nice Cox-Hill era sempre stata una bravissima bugiarda.
    mars
    sleeping at last
    living in the middle between the two extremes
    (eliandi's version)
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    berenice hillcox24 | censorfashion designer
    Nice era una persona troppo intelligente per non sapere che quel giorno, prima o poi, sarebbe arrivato. Forse non era stata abbastanza matura, in quell’ultimo periodo, per far sì che si verificasse prima, ma su quel punto preferiva non soffermarsi oltre, ripetendosi che non fosse stata la mancanza di maturità a spingerla ad evitare con attenzione il cugino, ma tutta un’altra serie di motivi, e impegni, che una donna impegnata come lei aveva quotidianamente. Quelle non erano neppure vere e proprie bugie, a dirla tutta — ma di certo erano scusanti dietro le quali la ministeriale si era nascosta, scegliendo volontariamente di fare turni più lunghi in ufficio, di addossarsi un carico di lavoro ben più grande di quello che le spettava, con la risposta sempre pronta a chiunque le chiedesse perché: perché voleva che la Lovecraft apprezzasse il suo lavoro e lo riconoscesse per ciò che era, essenziale e imprescindibile. Voleva essere la giovane donna in carriera che aveva sempre saputo di poter diventare, pur nella carriera che non aveva mai sognato ma che, per circostanza e per necessità, si era fatta andare bene. Un fondo di verità, i suoi intenti, ce lo avevano avuto; che poi fossero serviti anche a tenerla il più lontana possibile dal fu Albert, era solo un dettaglio.
    Ma persino lei, determinata e ferma nelle proprie scelte, sapeva che non avrebbe potuto evitare quel confronto per sempre; le sarebbe piaciuto, certo, ma sapeva che non fosse possibile.
    Il punto era che sia lei che Albie avevano fatto delle scelte, e non necessariamente le stesse, o quelle che avrebbero reso fieri l’uno o l’altra, a seconda. Nice, delle sue scelte, non si pentiva: sapeva che il cugino, e i suoi genitori, avrebbero storto il naso nel sapere che aveva deciso di lavorare per il ministero, ma avere le mani in pasta nella censura era un modo come un altro per essere sempre un passo avanti su ogni cosa, e se i suoi parenti non riuscivano a capirlo, non era un problema suo.
    Non è che fosse andata in guerra per difendere il ministero, lei. O per combatterlo apertamente. Lei.
    E sì, certo che ce l’aveva ancora con loro – con tutti loro – per aver fatto esattamente quello che, meno di dieci anni prima e venti dopo, aveva rovinato per sempre le loro vite. Nice era stata l’unica ad aver imparato dalla storia come essere neutrale, come scivolare tra uno e l’altro schieramento ed evitare di lasciare che deragliasse la sua vita, limitandosi a trarre i benefici che il vivere entro un certo limite poteva offrire. Non si aspettava certo che i suoi genitori, all’oscuro di un futuro terribile che li aspettava, decidessero di non ripeterlo — ma Adalbert? Albert? Lui c’era stato, nel duemilaquaranta, quando Cameron era morto e i suoi stessi genitori erano risultati vittime di una guerra che avevano deciso di combattere volontariamente; c’era stato quando, insieme, avevano raccolto i pezzi delle loro vite e avevano provato a rimetterli insieme, consapevoli che non sarebbero più state le stesse; c’era stato, quando avevano giurato di non lasciare che quel tempo li trascinasse via, che li assorbisse al punto da farli sparire — e invece, mentre Nice decideva di andare avanti e accettare che quello fosse il loro nuovo tempo, pur senza dimenticare chi fosse e da dove (da quando) arrivasse, Albie era rimasto indietro. Si era fatto trascinare via. Si era fatto coinvolgere. E sebbene Nice non avesse mai avuto la conferma ai propri sospetti, non le serviva saperlo davvero per sentire di avere ragione: suo malgrado, conosceva ancora il Behemoth da sapere quando non le diceva qualcosa, e una cosa grande come la resistenza era impossibile da nascondere, tra loro. Potevano solo fingere entrambi che non fosse lì, consci che fosse una menzogna futile per entrambi.
    Ne aveva ulteriore conferma ogni volta che con la coda dell’occhio notava l’aspetto non più familiare di suo cugino, quella conseguenza che si era chiamato addosso da solo, decidendo di schierarsi — non si trattava nemmeno di aver scelto lo schieramento giusto o quello sbagliato, persino a Dominic la ministeriale aveva riservato, ancora una volta, il suo gelido silenzio per aver accettato di imbracciare le armi. Come non poteva incolpare suo cugino di aver fatto lo stesso? Con quale motivazione, poi, quella di seguire le orme dei loro genitori? Come se non lo avesse vissuto in prima persona dove il loro cammino li avessi condotti; come poteva essere così egoista? Così stupido? Perché impegnarsi a voler cambiare il mondo, perdere tutto per farlo, quando bastava vivere in quello che avevano e fare buon viso a cattivo gioco? Avrebbero potuto essere felici anche da soli, tra loro, ma Albie aveva fatto un’altra scelta — e nella sua inettitudine, continuava a incolpare Nice di aver fatto la propria, di essere andata avanti e di averlo volontariamente lasciato indietro.
    Quello che non capiva, quel buono a nulla di un Cox-Bulgakov-Wood, era che Nice lo aveva aspettato. A lungo. In cima ad una collina scalata in solitudine, e a fatica, e che le appariva incredibilmente solitaria senza Albie al suo fianco. Lo aveva aspettato, fin quando non aveva capito che Albert avesse scelto un’altra strada, e non l’avrebbe mai incontrata in cima a quella collina.
    Alla fine non le era rimasto altro se non raccogliere le sue cose, e il suo orgoglio, e cominciare a scendere e accogliere un’esistenza diversa, accettando di non avere più la sua unica costante, nonché punto fermo di tutta una vita, al proprio fianco.
    Ma ancora una volta aspettava, Nice; suo malgrado era lì, dall’altra parte della porta, con le braccia strette attorno al proprio busto, in attesa che Albert trovasse il coraggio per bussare, o per suonare il campanello. Lo sentiva aldilà dell’uscio, fermo e, ne era certa pur senza ricorrere alla Legilimanzia, alle prese con una lunga serie di pensieri che avrebbero rischiato di portarlo via da quell'appartamento, così come gli stessi l’avevano portato fin lì. Onestamente, la ragazza non sapeva quale dei due esiti preferisse; non era pronta ad accettare l’ingresso di Bertie in quella nuova vita, ma sapeva anche di aver rimandato quel confronto troppo a lungo.
    Strinse le labbra nel sentire una vocina riferirle quelle che, immaginava, fossero discorsi di incoraggiamento che il Behemoth stava rifilando a se stesso; con un sospiro, sfilò entrambi gli orecchini mettendo a tacere una volta per tutte quelle voci. Tendeva ad indossare l’accessorio quando era in casa per spiare, a suo modo, i vicini e per ridere delle loro banali e penose vite, e solo per caso aveva dunque sentito l’ex mago avvicinarsi al suo appartamento; erano stati proprio gli orecchini a riferirle del suo avvicinamento, e a metterla in allerta. Ma ora che Albie era davvero lì, Nice non li voleva più ascoltare: qualsiasi cosa avesse da dire il biondo, la Hillcox voleva ascoltarlo in maniera onesta, non filtrata attraverso le mezze verità dei gioielli incantati.
    Il suo stridulo del campanello, la fece trasalire.
    Non aveva creduto che il cugino trovasse il coraggio di farlo.
    Prese un respiro, e dopo aver atteso qualche istante, aprì finalmente la porta.
    «Sono venuta a trovare Belladonna. Mi mancava.»
    Non lo salutò, e si sforzò di non far trasparire alcuna emozione sul viso perfettamente impassibile, nemmeno la sorpresa di vedere ancora una volta quel viso a cuore e i capelli lunghi, piuttosto che quello familiare di Albert.
    Era sempre stato molto simile ai genitori, il biondo, ma ora la somiglianza con loro era sconcertante: non era bella come zia Dee, ma aveva qualcosa nella forma del viso e del naso, nello sguardo, che la ricordava particolarmente. I colori, invece, quelli erano ancora tutti di zio Adam. Cox.
    Faceva male guardarlo.
    Guardarla?
    Era impossibile non tornare subito con la mente a quel prom dove l’aveva vista per la prima volta. Contro ogni buonsenso, il suo per primo, si ritrovò ad ammettere: «le somigli moltissimo.» E non c’era bisogno che specificasse a chi.
    Poi si riprese, lasciando scivolare quel commento, e quel breve momento di debolezza, contro la cortina di gelo che nell’ultimo anno aveva rimesso al suo legittimo posto: intorno al proprio cuore. «Non credo a Belladonna sia mancato tu.» Lo informò, braccia conserte al petto e ferma ancora sull’uscio. «Temo tu abbia fatto un viaggio a vuoto.» E, infame come al solito, la gatta scelse proprio quel momento per fare la sua comparsa, miagolando e avvicinandosi al padroncino che riconobbe subito, nonostante tutto.
    Ugh, maledetta.
    Nice rivolse gli occhi al cielo, e si spostò di un passo lasciando al Behemoth la possibilità di entrare nell’appartamento. «Spero sia una visita breve,» si chiuse poi la porta alle spalle, tornando nella sua posizione ormai di default con le braccia incrociate e lo sguardo impassibile, «ho cose da fare.»
    «e quell’abbinamento fa male agli occhi; mai indossare una maglione simile con quei jeans.»
    Una leggera risata sfuggì dalle labbra serrate della ministeriale, che si affrettò ad indicare la spilla appuntata al petto, regalo natalizio di un collega (nda: nella mia testa è da parte di Mood, me lo tengo come headcanon). «è stata lei,» disse, come a volersi scusare per quel commento; o forse no. «ma in effetti ha ragione; vedo che il nuovo potere non ha portato con sé il giusto senso estetico, che peccato.»
    C’erano così tante cose che avrebbe voluto dire, ma le tenne gelosamente custodite infondo al cuore, preferendo optare per commenti vaghi e superflui, forse per tastare il terreno o forse per convincersi che non stessero davvero vivendo quella precisa situazione nel tempo e nello spazio.
    mars
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    +++ avvento: orecchini magici e spilla gingerbread
    CITAZIONE
    15) Dei semplici orecchini con clip (che possono essere indossati anche da chi non ha buchi ai lobi) con la peculiare capacità di riferire a chi li sfoggia conversazioni che avvengono anche a distanza (entro un raggio comunque limitato). L'unica fregatura? Gli orecchini riportano quanto udito a modo loro, travasando le conversazioni e aggiungendo qua e là piccoli dettagli per rendere il tutto, secondo loro, più interessante. Fidatevi di quanto vi sussurrano... ma non troppo!

    8) Una spilla di Natale a forma di gingerbread man! Non sembra avere nulla di particolare, fin quando non la applicate al maglione, ed iniziate a sentirla… parlare. E boi, non ha nulla di carino da dire su nessuna delle persone che incontrate - e lo fa con la vostra voce, così che gli altri pensino siate stati voi. Satan
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    1 2censor#darkhillnice hillcox
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    empire
    beth crowley
    I'm gonna build me an empire
    and it's lonely at the top
    (nobody will ever convince me to stop)
    E quindi: l'arrivo dello studente non aveva risolto nulla, incredibile. Nice era: sconvolta, esterrefatta, incredula.
    Sospirò, rivolgendo le iridi cerulee di Jane verso il soffitto.
    «Sì!! Cioè, no… Voglio dire che…»
    «Si o no, deciditi, non è una domanda difficile.» Qualcuno doveva pur dire le cose come stavano, e trattare il ragazzino con i guanti non avrebbe aiutato la loro situazione; tanto valeva aiutarlo a spicciarsi e darsi una svegliata.
    «Insomma, siete voi quelle in difficoltà, mentre io non ho alcun diritto e…»
    Nice ispirò così forte dalle narici da smuovere l'aria, già stanca e di cattivo umore per tutta quella trafila, e di combattere con un bambino insicuro non ne aveva proprio voglia.
    «Vi vedo, sì. Ma non credo che siate morte? Spero che non lo siate!! Ma se lo foste… non sareste così?? C’è qualcosa di… di vivo, nelle vostre anime. Non come…»
    Che non fossero propriamente morte l'avevano capito anche loro, non serviva lo ripetesse, ma annuì comunque per esortarlo a tirare le somme di quella intricata situazione, se ci riusciva.
    «Come Ari! O Sara!»
    Ancora una volta mi domando: vediamo lo spirito di Ari? Unclear. Magari Ictus sta accennando al nulla cosmico, quindi sorvoliamo.
    Per fortuna di tutti, fu Lydia a prendere le redini di quella conversazione.
    «un incantesimo sarebbe troppo specifico. E complesso. Richiede volontà da parte di chi lo casta, e nella maggior parte dei casi – soprattutto quelli in cui il risultato è così personale – perlomeno la presenza di incantato e incantatore nella stessa stanza»
    Da escludere sicuramente — cosa che Nice, nella sua testa, aveva già fatto. Era più probabile fossero gli effetti di un artefatto maledetto o di una pozione riuscita male.
    «l’ipotesi più probabile è che di qualunque cosa si tratti, sia a tempo. Ventiquattro ore?»
    «sembrano già troppe,» sottolineò a bassa voce, aggirandosi nei pressi del divano e passando la mano sopra lo schienale, senza toccarlo, perché conscia che la sua mano sarebbe passata attraverso la tappezzeria e la sensazione era così strana da metterla a disagio.
    Riportò lo sguardo sull'assistente quando la sentì proporre di andare a cercare altri special con poteri più idonei per la situazione, e storse il naso con disappunto. «vogliamo davvero coinvolgere altra gente? Non so se me la sento di finire sulla bocca di tutti, studiata e rigirata come un esperimento» ok, voleva trovare una soluzione al problema, ma tenendolo comunque circoscritto al minor numero di persone: erano già in quattro, tre più del necessario per come la vedeva lei.
    «Mi dispiace che, tra tutti, sia capitato qui proprio… io. Sicuramente uno dei miei amici saprebbe cosa fare!! Io…»
    Sì, dispiaceva anche a Nice.
    Ma non lo disse, perché voleva effettivamente uscire da quella situazione e peggiorare le cose con il suo caratteraccio non avrebbe di certo aiutato lo sgorbietto con l'ansia da prestazione.
    «Potete possedermi!! O farmi tutto quello che volete!»
    Ew?! No. Decisamente no. «Grazie, ma passo.» Anche col suo consenso, era un genere di intimità che Nice non voleva esplorare, non con un tredicenne (o con nessun altro). «Qualcun altra si offre?» lanciò sguardi allusivi alle sue compagne di sventura, incrociando le braccia al petto: c'era un limite ai test che Nice era disposta a fare, e (tentare di) possedere un minorenne era assolutamente fuori da questi.
    «Fitz può spiegarmi!!» Cercò con lo sguardo il profilo dell'altra medium, inclinando il capo sulla spalla. «Dimmi cosa devo fare, e io lo faccio.»
    «puoi farlo?» Sperava che il momento Guru ™ di Fitz portasse a risultati concreti — dove con concreti intendeva: loro. Voleva tornare ad avere un corpo tangibile… per poi affrontare il secondo problema, ovvero quello che la vedeva confinata nell'aspetto dell'elettrocineta. Ma una cosa alla volta.
    «Siete… sicure? Del cronocineta, dico…» No, ovviamente, ma non disse nulla e lasciò la parola alle altre, «E se ci dicesse che siete davvero… morte? E se fosse… colpa mia??»
    «perché dovrebbe essere colpa tua chiese, lasciando intendere che se avesse avuto delle strane idee lo avrebbe preso a calci anche senza una forma corporea concreta. «ma piuttosto,» guardó ancora una volta Fitz e Lydia, «vogliamo ripercorrere le ultime giornate? Magari troviamo qualche cosa di strano, o il fattor comune che ci ha rese così.» picchiettò l'unghia non curata di Jane sul labbro, riflettendo sugli spostamenti di quegli ultimi giorni. «io sono stata al ministero, a casa, all'Amortentia, in giro a fare shopping… ma non ricordo di essere entrata in negozi di dubbia natura,» si affrettò a commentare, prima che potessero intervenire, «né ricordo di aver maneggiato manufatti incantati. Ma potrebbe essere stato qualcosa dalle sembianze apparentemente innocue…?»
    E aveva un'altra domanda molto più importante: «dove sono i nostri corpi? quando mi sono svegliata, nel letto di Jane c'ero solo io e nient'altro,» le informò: nessun corpo freddo, o in stasi, niente di niente. «è tutto molto strano,» pure troppo, per i suoi gusti.
    «denuncerò l'artefice di questo scherzo di pessimo gusto alle autorità» TIÈ.
    sooner or later you're gonna tell me a happy story. i just know you are.
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    whoberenice hillcox
    roleguest (bride's side)
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    infocensor | fashion designer
    Nice aveva assistito alla cerimonia da sola, seduta tra le prime file ma in disparte, costringendosi a non immaginare i suoi genitori al posto di William e Akelei. Era stato uno sforzo enorme, per il quale aveva dovuto stringere i denti e tenere lo sguardo chiaro concentrato sulla figura degli sposi davanti a sé, ricordandosi che fosse lì per loro, e non per veder realizzata qualche sua stupida fantasia.
    Onestamente, era contenta di non avere nessuno accanto a sé, nessuno che la conoscesse, non Renée impegnato ad assolvere i suoi doveri di testimone, non Chelsey o Hyde, non Albert, e non di certo Dominic; sarebbe stato ancora più difficile nascondere la mascella serrata o i pugni stretti, al punto da sentire le unghie smaltate di verde e oro lasciare rosse mezzelune sul palmo della mano.
    Da mesi, ormai, Nice era tornata a chiudersi in se stessa e pensare solo alla carriera, e alle soddisfazioni personali che quello poteva donarle: così facendo, non aveva il tempo per pensare a nient’altro, e al suo rientro a casa era sempre troppo stanca per riflettere o affrontare i fantasmi delle cose non dette che abitavano quel misero appartamento più di quanto non facesse la stessa Hillcox. Andava bene così.
    Si unì diligentemente all’applauso finale, muovendosi più per inerzia che per propria volontà, rendendosi conto di non aver davvero prestato attenzione alle parole degli sposi, né del fatto che la funzione fosse ormai finita. Rimase al suo posto, in attesa che Renée terminasse di parlare con Joe, e solo quando il generale fece per avvicinare i suoi genitori, allora lei lo raggiunse.
    «Congratulazioni,» sorrise ad entrambi, cercando di incanalare quanta più sincerità possibile nella sua espressione; era davvero felice per gli akerrow, quello senza dubbio, e voleva che almeno loro lo sapessero. «È stata una bellissima cerimonia, ancora tantissimi auguri.» Non si azzardò a fare nulla più di stringere le mani della sposa tra le sue, prendendo nota di quando fossero entrambi splendidi nei loro abiti (scelti dalla sottoscritta, modestamente), prima di passare ad accarezzare la schiena di Renée ed invitarlo ad allontanarsi, un stai facendo la fila divertito a piegare le labbra della stilista.
    «Fin’ora tutto bene, no?» A fatica, ma avevano superato il primo scoglio.
    Si fermò con il generale nei pressi del buffet, ignorando il resto degli invitati il più possibile. «Cos’hanno detto della cena?» Certo che lo sapeva anche lei, duh, Nice sapeva tutto. Così come sapeva che ci fosse qualcuno molto interessato dalla loro presenza, che con intensità lanciava sguardi nella loro direzione; Nice era decisa a fingere il più possibile di non vederlo, perciò quando il Barrow si voltò per cercare la fonte di tale fastidio, non molto distante da loro né difficile da individuare, Nice tenne lo sguardo fisso sul profilo del suo accompagnatore e fece la buona grazia a tutti quanti di rimanere in silenzio.
    Silenzio che, a quanto pareva, quel giorno volevano tutti mettere a dura prova.
    Non vedeva Albert da mesi, ma non avrebbe avuto bisogno di sentirne la voce o coglierne le parole per capire che fosse lui: lo vedeva nello sguardo, ora di qualche sfumatura più azzurra, e nella piega schifata delle labbra.
    E poi, quel viso Nice lo aveva già visto la notte del suo ultimo prom, anni prima.
    «Per fortuna Akelei può contare sul suo splendore naturale, perché quel vestito è davvero… insulso.»
    «O forse sei te a non avere gusto»
    Portò una mano a accarezzare distrattamente il petto del generale, e con una singola occhiata (ad Hyde, di supporto.) a Renée, gli ricordò che non c’era bisogno che combattesse le sue battaglie per lei.
    «non lo so, a me il vestito pare perfetto»
    Poteva fare da sola.
    «Lo è, non sprecare fiato con chi non ha le competenze per poter giudicare.» Già solo la scelta dell’abito fatta da su* cugin* la diceva molto lunga. Stava chiaramente brancolando nel buio, senza di lei.
    (In più modi di quanti Nice potesse immaginare.)
    Alzò lentamente lo sguardo in direzione del Capo del Consiglio, poi, trattenendo a fatica un sorriso a metà; un gesto con la testa fu l’unico salutò che affidò all’ex coinquilino, sapendo che sarebbe bastato ad entrambi. «Ora se volete scusarmi,» non aveva voglia di affrontare Albie in quel momento, fra tutti quelli possibili. Indicò con un cenno del capo un gruppo di ministeriali più in la, «con permesso.»
    E senza attendere un loro saluto, e senza nemmeno portare con se Renée, Nice si allontano in fretta prima di cedere alla tentazione di prendere a sberle il Behemoth.
    Aveva visto Albert, aveva persino intravisto i suoi zii tra le centinaia di facce radunate quel giorno, ma l’unica coppia che avrebbe voluto vedere in quel momento non era lì. Dove diamine erano i suoi genitori? Perché… perché non erano lì? Nice avrebbe pagato oro per vederli, anche solo da lontano, felici e spensierati, a mettersi in ridicolo sulla pista da ballo come in tante altre occasioni precedenti.
    Affidò la morsa che sentì stringere al petto ad un bicchiere di champagne, mandandone giù il contenuto con foga ma allo stesso tempo con una certa eleganza, lungi da lei dare l’impressione di volersi affogare con le bollicine.
    (Tentazion spericolata.)
    Il gruppo di ministeriali, comunque, lo aveva raggiunto davvero – per dare contesto e veridicità alla farsa – pur senza partecipare attivamente alla loro conversazione. Cosa stavano dicendo? Nice non ne aveva idea, era lì solo per non dover essere da nessun’altra parte. Soprattutto per non essere da nessun’altra parte.
    Eppure.
    «lo so che è uno sbaglio, lo so che sono uno sbaglio»
    Si girò lentamente, flute stretto tra due dita come se ne andasse della propria vita; si girò lentamente, e pur avendone riconosciuto la voce, non si era davvero aspettata di vedere Dominic lì, di fronte a lei. Era fottutamente sorpresa avesse trovato il coraggio di affrontare i propri demoni e avvicinarsi.
    Era quasi certa di star immaginando tutto, per questo motivo si limitò ad abbassare lo sguardo sul braccio allungato dal guaritore, domandandosi distrattamente se, toccandolo, avrebbe finito solo per tentare di stringere tra i propri palmi solo aria.
    «ma vuoi ballare con me?»
    Quel maledetto sorriso, e quegli occhi sinceri nei quali Nice si era persa fin troppe volte, anche a discapito del buon senso. Faceva troppo male, in aggiunta a tutto il resto.

    «sono tre anni che mi esercito aspettando questo momento»
    Non c’era bisogno che Dominic specificasse altro, Nice aveva ben chiara nella mente l’immagine di loro nella stanza in infermeria, nudi e accarezzati dalle prime luci di quella fatidica alba, il giorno in cui erano cambiate per sempre le cose tra loro.
    Ancora una volta, quel pomeriggio, il ricordo del suo ultimo prom tornava a bussare con prepotenza.
    «sbaglia con me»
    Cosa fare se non sostenere lo sguardo dell’altro, cercandovi all’interno, involontariamente, la promessa che non l’avrebbe più fatta soffrire come in quegli ultimi, terribili, mesi?
    Difficile, impossibile, non pensare ancora una volta al Dom di quella mattina, al quale aveva affidato completamente se stessa pur sapendo di star commettendo un errore; quel Dominic che l’aveva amata come la prima volta, e di più, e che lei aveva lasciato senza risposte e senza rimorsi, nella penombra di una stanza le cui pareti erano ancora impregnate di ogni loro istante d’amore.
    Abbassò appena le palpebre, la stilista, decisamente non così forte come aveva creduto di essere.
    Perché, al contrario di quanto aveva cercato di dirsi, Dominic le era mancato tantissimo. Le mancava tutt’ora. Sapeva che perdonarlo sarebbe stato difficile, perché lui aveva scelto volontariamente di partire per il fronte ben due volte, quando sapeva che fosse l’unica cosa in grado di terrorizzare la Hillcox in maniera impensabile, l’idea di perdere di nuovo qualcuno di caro — era lo stesso motivo per cui non poteva perdonare Albert. Loro avevano perso tutto, in un’altra vita; lo avevano perso insieme. Come poteva non capire?
    E Dominic.. Dominic, ad un passo da lei, con il braccio teso in sua direzione, e la speranza a piegare timidamente gli angoli della bocca in un sorriso incerto.
    Nelle notti più difficili, quando ogni certezza era venuta a mancare, e lei si era ritrovata sola in un appartamento nuovo con l’unica compagnia del gatto, aveva desiderato intensamente potersi rintanare tra le braccia del guaritore e lasciare che lui le accarezzasse i capelli e le ripetesse che andava tutto bene. Perché, nonostante tutto, amava Dominic Cavendish. E non c’era verso di cambiare quei sentimenti.
    Né voleva farlo.
    Allungò il braccio per lasciare il flute, pieno a metà, sul vassoio di un cameriere, e poi offrì la propria mano al biondo. «Spero tu ti sia esercitato parecchio, Cavendish.»
    Potevano ancora provare a ricostruire… qualcosa? C’era ancora speranza per loro?
    Nice si domandava se sarebbe stata in grado, prima o poi, di guardare Dominic negli occhi e non sentire il cuore rompersi come la mattina in cui aveva trovato il biglietto sul cuscino, o come quando avevano litigato nella cucina del loro appartamento, e si erano fatti male a vicenda — sarebbe stato molto difficile, pensò, mentre il lento (scelto da elisa per i gugel, quindi ce lo becchiamo anche noi zia), cresceva e riempiva la sala, e Nice sceglieva ancora una volta di sbagliare, nella speranza di non doversene pentire di nuovo.
    && if I get burned,
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    when3 september 2023
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    infolegionnaire | supportive gf


    parla con renée, hyde e bertie; poi con dominic.
  5. .
    obliviontober 2023 settimana 1 // mini prompt: "something just like this"

    e18SFbJz3TroeE



    eh. doveva succedere. CIAO ADAMINO MIO !!! niente non ce la posso fare, Finn è così Adam che ogni volta mi fa male il cuoricino PROPRIO IL MIO BAMBINO !! BABY !! JULIE !!!
    ciao ciccina smack ti lascio anche la versione alt dell'avatr perché l'altra fa venire il mal di testa (// "proprio come adam" ci tiene ad aggiungere qualcuno OPSIES)


    (textures: cypher-s && ravenorlov)
  6. .
    yoooooooo ufficializzo anche qui dai, almeno rimangono i link #cos

    - monina: come amichetta d'infanzia purosangue!!
    - theo: per picchiarsi !! VIECCE !! ti spacca il setto natale, promesso *stelline*
    - ...in effetti basta, non ricordo chi altro ti avessi offerto, ma nel dubbio c'è il resto del team hogwarts: nelia (prof di corpo a corpo), lupe (prof di erbologia), nathan (assistente di storia della magia) e romolo (security)

    tutti gli altri sono grandi e/o non bazzicano per hogwarts quindi non saprei !! magari in futuro, con altri pg #cosa?cosa #PIGGIOMANIA!
  7. .
    obliviontober 2023 oblivion ft. mitologia greca
    settimana 1 // poteri fisici

    c. morales,
    assorbimento cinetico
    s. baker,
    emissione di onde sonore
    c. krum,
    guarigione
    k. sargent,
    mimesi
    a. behemoth,
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    p. withpotatoes,
    moltiplicazione
    n. parrish,
    realtà artistica

    (clicca sull'immagine per ingrandire)
  8. .
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    «siamo in anticipo.»
    C’era giusto un pizzico di frustrazione nella voce della ex serpeverde, mentre consegnava l’invito all’entrata, una mano a reggere la pergamena color avorio e l’altra stretta intorno al braccio del suo accompagnatore. «non arrivo mai in anticipo Lo sguardo, e le labbra arricciate, che rivolse a Renée la dicevano lunga: avrebbe potuto utilizzare quei preziosi minuti per concludere i preparativi e sistemare un po’ il trucco o i capelli, controllare che il vestito fosse in ordine e la collana perfettamente dritta e centrata. Ed invece era stata trascinata alla cerimonia in orario, il ché significava che non ci fosse ancora il numero di invitati presenti sufficienti a godere della sua entrata scenica.
    «guarda,» approfittò della mano ora libera dell’invito per indicare il centro della sala, le sedie ancora vuote e i gruppetti di persone che si andavano a formare pian piano, «non c’è nessuno.» Le iridi ghiaccio scivolavano sulle figure presenti come se non esistessero — nessuno di importante, nessuno per cui mettere in mostra la sua creazione di velluto e decorazioni in oro, solo qualche parente maniaco della puntualità e qualche sfigato che non sapeva che arrivare con qualche minuto di ritardo era buon costume. La puntualità era solo un’invenzione delle lobby.
    Ma capiva da dove arrivasse la fretta di Renaissance, e la accettava: anche lei avrebbe mosso mari e monti per non perdersi nemmeno un istante del matrimonio dei suoi genitori, e anche se il Capo dell’esercito non glielo aveva espressamente detto, Nice sapeva fosse anche per quello che l’aveva trascinata al ricevimento allo spaccare delle diciassette.
    Quello, e il fatto che fosse uno dei sopracitati maniaci della puntualità, ugh.
    «questo ti obbliga a fare il giro del giardino con me almeno tre volte, lo sai vero?» non si era fatta bellissima solo per fari vedere da quattro gatti e poi rimanere seduta tutto il tempo. «e non preoccuparti,» lo zittì prima di qualsiasi protesta, «le mie scarpe sono molto comoda, potrei camminarci su tutta la notte.» Una sfida nello sguardo gelido, come a dirgli di permettersi di opporsi alla sua volontà: erano lì insieme, e Nice non aveva voglia di vagare per il giardino da sola, come un’anima in pena, con il rischio di rimanere incastrata in conversazioni spiacevoli.
    Non che avesse paura di incontrare qualcuno con cui non voleva intrattenersi, ma anche; erano passati mesi, e ancora non aveva affrontato suo cugino, o un certo biondo infermiere, o chiunque altro. Renée era l’unica persona a cui Nice avesse concesso il privilegio e l’onore di rivolgere parola, anche dopo il conflitto, ed era bene che se ne ricordasse: non ci avrebbe messo molto a chiudere fuori anche lui, e solo il Barrow sapeva quanto bisogno avesse lui di lei, e delle loro chiacchiere in libertà riguardo il futuro da cui entrambi provenivano. Però sì: se avesse potuto evitare di scambiare inutili convenevoli in mezzo a centinaia e centinaia di invitati, affrontando persone che evitava apertamente e con classe da mesi, sarebbe stata molto più che felice. Renée era la sua barricata tanto quanto Nice era il supporto morale del “Calloway”.
    Ma non era neppure una stronza totale, la Hillcox: ogni tanto si ricordava di essere una persona e di avere un cuore, nascosto dietro una spessa coltre di gelo nuovo di zecca. Si fermò a qualche passo dall’inizio delle sedie disposte per gli invitati, e trattenne Renée con sé, applicando una leggera pressione sul braccio del comandante, fino a farlo voltare verso di lei. «non farmi fare brutte figure.» Che era un modo come un altro per dirgli di stare tranquillo, era solo un matrimonio, e tempo un’oretta avrebbero aperto l’open bar. Gli sistemò il papillon al collo, anch’esso verde e ricamato con filamenti d’oro, gli stessi con cui Nice aveva decorato il proprio vestito, e poi sistemò invisibili pieghe sulle spalle del completo indossato dal ragazzo. «non vedo l’ora di vedere Akelei sfilare sotto gli occhi di tutti.» fasciata nel vestito da lei confezionato: quello era il momento più importante della sua carriera.
    E sì, immaginava anche fosse un gran bel giorno special per William e Akelei, yay.

    Intanto, non troppo lontano da lì, qualcun altro era stato costretto ad arrivare in anticipo per ben altri motivi.
    Hold May Beer era totalmente, e irrimediabilmente, rapita e stregata dalla special che aveva di fronte. Al punto da inciampare nelle proprie parole quando, nell’incredibile imbarazzo che la visione di una Kieran vestita di tutto punto per assolvere il suo compito di damigella l’aveva gettata, tentò di fare un complimento alla mimetica. «stai bellissima», che non era né un stai benissimo né un sei bellissima e allo stesso tempo era entrambi, raddoppiato nella forza e nell’essere sentito, proveniente direttamente dal profondo del cuore della Beer.
    Aveva fatto il possibile, quel giorno, per essere all’altezza del suo ruolo di accompagnatrice, dall’avere i capelli puliti e accuratamente acconciati alla base della nuca, fino all’indossare un completo giacca e pantalone con tanto di bustino lilla abbinato al vestito da damigella di Kier: tutto, pur di rendere felice la mimetica e non farla sfigurare.
    Hold May Beer era finita letteralmente sotto un treno e aveva lasciato che la trascinasse verso l’oblio e l’infinito, persa per quegli occhioni da cucciolo di labrador che la osservavano ogni volta come se fosse la creatura più singolare e curiosa e degna di amore dell’intero universo. Hold non credeva di meritarselo così tanto, ma non era così sciocca da privarsene dando voce ai suoi dubbi e alle sue paure: da quando avevano chiarito il fatto che il bacio al sapore di viscere di clicker non fosse stato un caso, ma qualcosa che entrambe avevano desiderato da molto più a lungo, la relazione tra loro era cambiata. In meglio, osava dire l’acidocineta, perché Kieran Sargent aveva il vizio e la capacità di rendere tutto migliore, anche un caso disperato come la stessa Hold. La Sargent faceva davvero miracoli, altrimenti come si spiegava la presenza della maggiore ad un matrimonio, e per giunta con tutta l’intenzione di comportarsi bene e da persona civile quale non era assolutamente?!
    Persa, persissima: ecco cos’era, Hold May Beer.
    Strinse la mano della mimetica nella sua, senza paura di farsi vedere da qualcuno, ma quando si avvicinò a Kier fu solo per sussurrarle all’orecchio «queste scarpe sono scomodissime, posso toglierle sotto al tavolo?» (oh, civile sì ma fino ad un certo punto) e lasciarle un bacio così veloce sulla guancia che se pure qualcuno avesse guardato nella loro direzione, con un battito di ciglia avrebbe potuto perderselo.
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    when3 september 2023
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    nice: arriva con renée, parla solo con lui, avvicinatevi a vostro rischio e pericolo
    hold: arriva con kieran, parla solo con lei, avvicinatevi a vostro rischio e pericolo
  9. .
    segno ufficialmente (così aggiorno anche qui!) (non cambio nemmeno account, yolo)

    nome pg: theo kayne
    scheda:
    CODICE
    https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/?t=62832022

    ruolo: portiere TITOLARE!!!!
    altro: perchè ce l'ha nel sangue CIAO MAMMA!!! e perché deve far vedere a mini chi è il portiere migliore TIÈ ZIO JULIAN PROMETTO CHE TI RENDERMEO FIERI #+1+1-1
  10. .
    aggiornato.....praticamente non è rimasto nessuno.....oh serpettine mie....sigh
    (ne approfitto per ricordarvi di chiedere l'abilitazione ai nuovi gruppi, si guardo voi liz mort e costy SMACK)
  11. .

    when
    21/11/22
    where
    london, uk
    who
    nice cox-hill

    midnight rain
    Nice Cox-Hill era sempre stata un'instancabile lavoratrice, una ragazza che aveva messo a malincuore da parte le pergamene e lo studio fin troppo presto, per sostituirli con lavori dalla paga non sempre dignitosa, e quasi mai gratificanti a livello personale, in un mondo che non chiedeva, ma pretenda e basta.
    Aveva sempre saputo di essere il tipo di persona capace di spaccarsi la schiena pur di avere successo in ciò che faceva – era la figlia di sua mamma, dopotutto, e al carattere di Zoe Cox, Nice, aveva aggiunto l'ambizione di una fiera serpeverde e il focus degli Hill che suo padre non aveva mai avuto. Insomma, una combinazione micidiale che non le aveva mai dato via di scampo, e che aveva fatto di lei la più stacanovista tra i cugini, capace di mettersi sotto e dare il meglio di sé anche quando il lavoro non era quello dei suoi sogni, ma uno – o cinque– accettato per necessità.
    Il duro lavoro non l'aveva mai preoccupata, e anzi, in quello, aveva trovato più e più volte la maniera per estraniarsi dai problemi quotidiani: immergendosi nel lavoro, Nice evitava di pensare a tutto il resto. Lo aveva reso spesso la scusa dietro cui nascondersi, la distrazione dentro cui perdersi. Non sorprendeva affatto, dunque, che negli ultimi tre-quattro mesi, la sua resa fosse migliorata notevolmente, così come le sue prestazioni; era arrivata al punto da ottenere complimenti persino dalla Lovecraft in persona, miti cenni della testa che indicavano chiaramente un certo apprezzamento per il suo operato, e la Hillcox non avrebbe potuto esserne più fiera; quasi le faceva dimenticare che la ragione delle lunghe nottate in ufficio, e degli straordinari portati allo stremo in un laboratorio abbandonato – di cui era rimasta ultimo baluardo, in assenza di Jericho e Arci – era stata una fottuta guerra
    Erano stati mesi difficili, quelli intercorsi dalla Fiera della Primavera e l'alba del primo Giugno; mesi in cui in molti avevano abbandonato i propri lavori, le case e le famiglie, per recarsi al fronte. Tanti di loro – molti, troppi – non vi avevano fatto ritorno. Mesi in cui le città avevano bruciato, e mesi di follia e morte; mesi in cui si parlava costantemente dei caduti sul campo di battaglia, ma mesi di completo silenzio riguardo coloro che erano rimasti. Di loro, delle Nice di quel mondo, nessuno parlava: nessuno pensava mai a chi rimaneva indietro, a chi veniva lasciato a casa senza sapere se avrebbero mai rivisto i propri cari.
    Chi rimaneva non era nei pensieri di nessuno se non di coloro che li aveva abbandonati.
    Era una delle tante, e tristi, leggi non scritte di qualsiasi conflitto. Per quelli come la stilista che rimanevano a casa, il mondo e il tempo non si fermavano: tutto continuava a scorrere, seppur ad un ritmo diverso, e non era permesso incespicare o fermarsi. La quotidianità diventava il loro campo di battaglia, e arrivare a fine giornata senza soccombere al peso della vita, il fine ultimo a cui aspirare.
    Le case, vuote e troppo grandi, erano accampamenti solitari.
    Il loro era un destino doloroso tanto quanto quello di chi scendeva in campo per combattere; in qualche modo, vi erano scesi anche i lasciati indietro — partecipavano al conflitto per ogni caro andato, e che forse non sarebbe più tornato.
    Nice era a Londra, ma era anche a Parigi, a Città del Messico, in Azerbaijan, a Seoul. A Stonehenge.
    Era ovunque fosse quel disgraziato di Albert Bartholomew Cox-Bulgakov-Wood.
    Non aveva accettato i “lo faccio per tenerli d'occhio, Nice” di Jekyll, e non aveva risposto alle telefonate di Renaissance; aveva scelto di non inveire contro Mckenzie perché sapeva che avrebbe sortito solo un effetto peggiore, e aveva continuato a tenere in ordine l'atelier solo per consegnare le proprie dimissioni di persona alla prima occasione utile, quando avrebbe rivisto finalmente Jericho e Archibald. Aveva scelto di non riconoscere, anche solo vagamente, il viso di Gabe – il viso di Jane – negli articoli riguardanti la distruzione di Kyoto che erano passati sulla sua scrivania.
    Si era offerta come aiuto a zio Hugo, perché qualcuno doveva pur badare a sua sorella Florence e a se stessa, e non sarebbero stati di certo gli zomeron, o zia Milly, tutti partiti per il fronte (e su quello Nice non aveva dubbio fosse esattamente così: i suoi genitori non avrebbero mai lasciato indietro le bambine se non per una questione più grande di loro.)
    Aveva svuotato la casa di Dominic dai propri effetti personali, e ne aveva cercata un'altra tutta per sé, una stanza dove poter innalzare nuovamente tutte le barriere di cui aveva bisogno per non sentirsi mai più in quel modo. Non aveva più avuto contatti con l'ex corvonero da quando aveva deciso, per la seconda volta, di partire a combattere una guerra che avrebbe potuto lasciare ad altri.
    Aveva invece serrato la mascella, serrato i pugni, e lasciato che il ghiaccio tornasse a formarsi, piano ma inesorabilmente, fino a corazzare nuovamente il muscolo cardiaco.
    Li aveva visti tornare, certo, chi più chi meno sulle proprie gambe, ma tutti vivi; li aveva visti tornare, ma non li aveva perdonati. Tranne Renée, lui aveva dovuto farlo, era il fottuto generale del fottuto esercito; Nice gli aveva comunque tenuto il muso per giorni, e costretto a farsi perdonare portandole il caffè ogni mattina.
    Aveva saputo di Albert, ma non lo aveva contattato.
    Si era messo in mezzo; il passato non gli aveva insegnato proprio nulla, a quanto pareva, e il biondo ne aveva pagato le conseguenze. Non sapeva cosa dirgli, perché tutto quello che Nice aveva a premere contro denti e labbra, contro il petto, era una rabbia cieca. Ingiustificata, forse, e certamente egoista, ma non per questo meno reale.
    Lavorare era stato l'unico modo per rimanere a galla: circondata da pergamene, libri e giornali, Nice aveva potuto mentire persino a se stessa, affermando di non avere il tempo per pensare a tutto il resto. Non aveva funzionato sempre, e alcune notti era rimasta sveglia ad accarezzare Belladonna in silenzio; e altre aveva bussato alla porta di Hyde sperando che lui aprisse, solo per sedersi sul suo divano e non parlare; altre si era smaterializzata in posti isolati ma conosciuti e aveva urlato fino a perdere la voce.
    Il ministero non era mai stata un'oasi di pace per nessuno, ma era quantomeno divenuto il suo punto fermo, persino in un periodo di incertezza come quello.
    E quando la guerra era finita, quando tutto era cambiato, Nice aveva continuato a lavorare imperterrita e senza battere ciglio. Un nuovo mondo? Ok, poteva abituarsi, così come tre anni prima aveva scelto di abituarsi alla vita degli anni Venti. Bastava solo tenere sotto chiave il cuore, quella volta, e non rimanere vittima delle sue stesse emozioni. Poteva farcela.
    Il suo unico svago, durante le giornate, era altro lavoro; ironico, ma non proprio inaspettato, ecco.
    Quando aveva saputo del matrimonio tra il Capo dei Cacciatori e il professore di Strategia, tra Akelei e William, Nice non ci aveva pensato due volte prima di bussare alla porta della Cacciatrice e offrire il suo aiuto per confezionare un abito da sposa originale, elegante e unico come la sposa meritava. Era stata felice di sapere che neppure la guerra, e l'esito di quest'ultima, aveva messo un freno ai preparativi e all'organizzazione. Tutti avevano bisogno di uno svago, e Nice aveva bisogno di un lavoro — uno che amasse svolgere. Quel matrimonio poteva essere il suo trampolino di lancio, e fruttarle ancora di più della pubblicità di Penn Hilton; iniziava, piano piano, a farsi un nome nella società magica e vestire Akelei Beaumont per il giorno più importante della sua vita era sicuramente un'occasione che non poteva farsi sfuggire.
    Così, quando non era intenta a censurare l'informazione pubblica, Nice sgobbava per rendere quell'ammasso di tulle e pizzo un abito da sposa da sogni. Ogni lustrino applicato, ogni ricamo cucito, ogni piega plissettata e stirata, era un pensiero in meno rivolto alle persone che le avevano fatto male, inconsapevolmente o meno, e che era decisa a tenere fuori dalla sua vita ancora per un po'.
    Inutile a dirsi, con quella caparbietà a fare da movente e da spinta, Nice aveva lavorato notte e giorno per creare una delle opere di cui andava più fiera in assoluto; persino l'abito che aveva indossato al suo ultimo prom impallidiva in confronto a quello confezionato per Akelei.
    Non c'era posto per la stanchezza, nella vita di Nice Hillcox, e qualsiasi colorito smunto o occhiaie pesanti poteva essere nascosto con un trucco ben applicato.
    Avrebbe tirato avanti ancora a lungo, sapeva di poterlo fare, fintantoché dalla sua parte avesse avuto ambizione, forza di volontà, e un sacco di caffeina.
    Per l'ultima, in quel preciso momento, doveva ringraziare il «generale Calloway» derogatory, sempre; non poteva mica chiamarlo Renaissance Beaumont-Barrow davanti a tutti i loro colleghi.
    Accettò il caffè doppio offerto dal BB, e gli indicò la sedia libera di fronte a sé. Alle occhiate curiose dei colleghi di piano, Nice non badò; era un problema loro se ancora si stupivano di vedere il Generale Zelda Calloway scendere fin da loro e prendere un caffè con una umile impiegata dell'ufficio Censura. Preferiva di gran lunga uscire, o vedersi in reparto più neutrali, ma quel giorno non era disposta a cedere alle malelingue o ai pettegolezzi, e soprattutto aveva bisogno del suo caffè seduta stante.
    Sorseggiando suddetto nettare divino, puntò lo sguardo ghiaccio in quello dell'altro vigilante, accennando appena un sorriso oltre il bordo del bicchiere. «pensa cosa diranno quando ci vedranno andare al matrimonio insieme parlò a voce bassa, per farsi sentire solo da Renée, ma avrebbe voluto testare la reazione altrui già in quel momento. «scandaloso» si finse profondamente sconvolta, mano sul cuore e occhi spalancati. «avremmo potuto persino diventare lo scoop del secolo, e rubare la scena, ma avranno occhi solo per Akelei» com'era giusto che fosse; la Hillcox aveva preparato anche un bel completo per William solo per non fargli fare brutta figura e non farlo sfigurare accanto alla Beaumont, ma lo sapevano entrambi – lo sapevano tutti – che le attenzioni per quel giorno erano destinate ad essere tutte per la sposa, e Nice non vedeva l'ora di raccogliere i frutti del suo lungo lavoro. «un peccato, avremmo potuto avere tutto.» quando, infondo, non avevano nulla nessuno dei due; non in quel preciso momento storico, comunque. Nice, di sicuro, aveva perso tutto: aveva giocato, aveva scommesso, e aveva perso. La vita andava così, di solito; non la sua, e non per due volte di seguito, e si odiava profondamente per quello. A quanto pareva, certe lezioni non le imparava nemmeno lei. «nei prossimi giorni ti farò avere il fazzoletto da taschino,» abbinato al suo vestito, mi pare ovvio, «o il papillon, non ho ancora deciso quale dei due farti abbinare.» E Zelda muto, o Nice gli avrebbe tolto per sempre il saluto.
    berenice
    hillcox
    so I peered through a window,
    a deep portal, time travel;
    all the love we unravel
    && the life I gave away.
    gif: teendramas.tumblr.com
    i panic! at (a lot of places besides) the disco
    i see it, i like it, i want it, i got it
  12. .
    berenice hillcox
    «Forse sei tu a non essere stata attenta, negli ultimi, umh… ventidue anni?»
    Nice si permise di alzare pigramente lo sguardo, ancora nascosto dietro i grandi occhiali scuri, sul cugino, giudicandolo; lei era stata attenta — sempre. Più di tanti altri, per i motivi più disparati che andavano da quello più banale legato alla noia e al bisogno di occupare le sue giornate, a quello più profondo per il quale non doveva fornire precisazioni, perché era convinta che Albert sapesse, nonostante tutto, quanto lei lo amasse.
    Evidentemente, se si erano ridotti a commenti del genere, si era sbagliata; succedeva così di rado che non era familiare con il sapore amaro di quella consapevolezza, e decise di lasciar perdere, riparandosi dietro gli occhiali da sole e uno schiocco della lingua contro il palato come unica risposta al fu Cox-Bulgakov-Wood.
    Se era convinto di quello, Albie, se era convinto che Nice non prestasse attenzione, allora per lui non c'era più nulla da fare: era un caso perso e nemmeno la terapia d'urto della ex cheerleader l'avrebbe salvato. Meglio lasciarlo crogiolare nella sua idiozia.
    Non oppose alcuna resistenza, dunque, quando la conversazione passò con molta (fin troppa) facilità ad argomenti vuoti e frivoli, come la pizza; per carità, Nice stessa avrebbe firmato col sangue una petizione per decretare la pizza un patrimonio dell'umanità, ma non era il genere di conversazione che avrebbe voluto avere con suo cugino, con il quale non parlava – non parlava davvero – ormai da fin troppo tempo.
    Come si erano ridotti così?
    Nice non lo sapeva, ed era troppo orgogliosa per cercare risposte nei suoi difetti, e nel modo in cui si era dedicata anima e corpo al lavoro e alla relazione con Dominic — era più facile decidere autonomamente che la colpa fosse soprattutto di Albie, e farla finita lì.
    Tanto non è che il biondo si stesse impegnando molto per farsi vedere sotto una luce migliore, eh, con quei suoi commentini da Blair Waldorf sottomarca, una Mean Queen Bitch che non ce l'aveva fatta; sarebbe stato quasi commovente, il suo provarci, se Nice non l'avesse anche trovato enormemente insopportabile.
    «Me l’hai detto? Sicura di non starti confondendo con il tuo toy boy con cui giochi alla dottoressa con l’infermiere?»
    Scelse di fare un favore ad entrambi, la Hillcox, e da donna matura quale era decise di non rispondere a quell'ennesima provocazione; Albie doveva essere proprio disperato se pensava che sarebbe bastato quello a irritarla, e non erano problemi di Nice se lei, suo malgrado, era riuscita a lasciarsi andare e ad aprirsi con qualcuno, mentre Albert rimaneva statico nella sua ignavia — se credeva che bastasse così poco per farla sentire in colpa, ancora una volta, non la conosceva affatto.
    Era una situazione così nuova, ancor più che strana, e Nice non aveva i mezzi con cui affrontarla: quel viaggio nel tempo aveva cambiato fin troppe cose, e la stilista non s'era resa conto che avesse cambiato anche il rapporto con Albie fino a che non era diventato troppo tardi; che cosa gli era successo? Come avevano potuto lasciare che la vita si mettesse tra loro e sfilacciasse il legame che li teneva uniti, l'unico che gli rimanesse, fino a renderlo così fragile da minacciare di staccarsi per sempre da un momento all'altro? Bastava un peso appena più forte, un pugno saldo che andasse a tirare un estremo della corda mentre una forza uguale e contraria tirava il lembo opposto, e le loro strade si sarebbero separate senza probabilmente incrociarsi più.
    Poteva davvero sopportare l'idea di osservare il viso di suo cugino e vederci uno sconosciuto?
    No, non poteva; ma non era nemmeno in grado di fare qualcosa per evitare che accadesse. Perché Nice era orgogliosa, ed era testarda, e soprattutto era piena di sé: non poteva sopportare il fatto di essere nel torto, né riconoscersi delle colpe che aveva ma che non voleva ammettere; quella sua ostinazione le era costata già almeno due rapporti importanti, nella vita, con due persone orgogliose almeno quanto lei — ma Albie non era né Florrie, né Zoe… Lui, prima o poi, avrebbe abbassato la testa e avrebbe cercato un compromesso per uscire da quella situazione.
    Nice si ripeteva che fosse così, che dovesse solo aspettare, perché non aveva nient'altro per andare avanti se non quello; e le serviva, necessario come l'aria.
    Eppure i minuti scorrevano, i tranci di pizza erano quasi a metà, e Albie non aveva ancora spiccicato parola se non per quei commenti vuoti che avrebbero voluto far male e che, invece, a malapena l'avevano fatta sorridere.
    Parole al vento, intangibili e vuote.
    Qualcosa che non avrebbe mai pensato di associare al rapporto con Albert, eppure rischiavano di arrivare proprio lì.
    E Nice, avvilita ma non abbastanza umile, non si azzardò a fare nulla se non ad alimentare quel fuoco gelido che bruciava tra di loro; la domanda su Sinclair era l'ultima delle sue priorità, ma era qualcosa con cui, era sicura, potesse toccare nervi scoperti del tirocinante magiavvocato e suscitare in lui una reazione.
    Che, di fatti, non tardò ad arrivare.
    «Come se tu non sapessi già tutto» Nice si strinse nelle spalle, mordendo il trancio di pizza, senza staccare gli occhi dal cugino. «Vorresti davvero dirmi che Nizza la pettegola indomita non si è già informata su ogni cosa, compresi quanti rotoli di carta igienica ci sono nei bagni?»
    “Nizza la pettegola indomita”, quasi un complimento, quello di Albie; lo avrebbe accettato volentieri, la faceva sentire più vicina a zio Tyler!
    «E a te che te ne importa?»
    Di Sinclair, nello specifico, «nulla,» ma di Albert tutto; quello, comunque, non lo disse. «Ma avevo capito avessimo deciso di parlare delle cose meno interessanti possibili,» aggiunse con un filo di sarcasmo, pulendosi le dita impiastricciate con un tovagliolo di carta, e incastrando Albie in una sfida di sguardi.
    L'occhiata gelida della Hillcox era pregna di significato, e la ragazza attendeva il momento in cui Albie avrebbe finalmente capito che dalla bocca della cugina non sarebbe uscito assolutamente nulla di serio “fino a che lui non avesse tirato fuori la testa dal culo”, citazione testuale di sua mamma quando si parlava di papà Cam, e che si addiceva perfettamente anche a quel momento tra cugini. Se era così che Albert voleva giocare, Nice accettava le regole e le seguiva alla lettera.
    «Al Ministero sono ancora più stupidi di quanto pensassimo» non commentò, stringendosi nelle spalle: sì e no, qualcuno ancora si salvava, a detta di Nice, ma non avrebbe difeso nessuno perché non erano affari di Albie, non in quel momento.
    «Quel posto era uno solo. Ed era mio. Sinclair non dovrebbe neanche esserci, lì. Sembra di stare in un cimitero, quando arriva la mattina.» E via, uno sproloquio infinito su quanto la saccenteria dell'ex concasato gravasse sulla stabilità psicologica del Behemoth, su quanto lo infastidisse il profumo di rosa del Sinclair, di quanto la sua presenza rovinasse le giornate di Albie, e blablabla. Per essere uno che odiava qualsiasi aspetto del Regal Biondo, Albert ne sapeva proprio tanto a riguardo.
    Alzò un sopracciglio perfettamente curato, Nice, lasciando intendere che ci fosse solo un modo di risolverla: «scopate, e facciamola finita, siete insopportabili» perché non ci credeva nemmeno un po' che il cugino non ci avesse fatto almeno uno (o dieci) pensieri sconci: purtroppo per lui – e purtroppo anche per lei – il sangue Cox era difficile da tenere a bada, e la natura libertina aveva sempre il suo modo di venire a galla. «La tua ossessione nei suoi riguardi non è salutare,» ma una bella scopata in inimicizia sì, lo dicevano un sacco di media babbani e non. Persino zia Dee ci avrebbe girato un film a riguardo, di lì a qualche anno.
    23 yo | ex slythcensor
    Though time is ruthless itt showed us kindness
    in the end, a second chance to make amends
    fasion iconw. w. taylor swift do?
  13. .
    1 2censor#darkhillnice hillcox
    currently playing
    empire
    beth crowley
    I'm gonna build me an empire
    and it's lonely at the top
    (nobody will ever convince me to stop)
    «siamo qualcosa»
    Nice portò le iridi cerulee di Jane su Lydia, lentamente, trattenendo a fatica un commento sarcastico. Ah beh, che perspicacia: quello avrebbe potuto dirlo anche lei, che di morte ed entità non se ne intendeva minimamente. A quel proposito, cercò la figura di Fitz, sopracciglio arcuato. «So che non siamo propriamente fantasmi normali, questa non è la nostra anima che ha lasciato un corpo morto. Se siamo morte-» lo erano? Nice sperava di no, e scambiò un'occhiata un po' turbata con la Hadaway. «non l'abbiamo fatto nel modo canonico. ma qui finisce il mio agire e inizia il mio silenzio» «ci sono modi non canonici per morire? Anzi,» strinse il ponte nasale con le dita, occhi socchiusi, «non credo di volerlo sapere in questo momento, troppe informazioni. Ma non mi sento morta si strinse nelle spalle, fornendo l’unico contributo che riuscisse: lontana da bozzetti e matite, e in una conversazione che toccava i contorni metafisici, non era affatto nella sua comfort zone.
    «ha aperto qualche negozio di scherzi ultimamente? O… incidenti da magie sinister. Non escluderei una… perdita» di magia? Ci mancava giusto quello.
    Le osservò entrambe con attenzione. «l'unico ambiente che frequentiamo tutte e tre, è il ministero, no?» detto con una nota inconfondibile nella voce: se c'era stata una perdita – di magia? – al ministero, non poteva essere un buon segno.
    (O l'ho solo immaginato che Fitz lavora al ministero? Chissà.)
    Poi scosse la testa, i riccioli scuri di Jane a solleticare il viso. «non saprei, comunque, non mi sembra?» guardò prima l'una, poi l'altra, sperando che almeno una di loro avesse una risposta alle domande della maggiore: Nice, che tutto vedeva e tutto sentiva, non aveva saputo di alcuna nuova apertura, né di incidenti — e lavorava alla censura: si presupponeva che se ci fosse qualcosa da insabbiare, almeno loro ne dovessero essere a conoscenza. Ma non poteva escludere che fosse qualche locale che voleva rimanere nell'ombra, e in segreto.
    «di recente, ho comprato un mazzo di tarocchi in uno dei mercatini di natale di hogsmeade» Fece per rispondere alla Hadaway, chiedendole come fosse possibile, però, che anche lei fosse finita col fare la stessa fine pur non avendo giocato con tarocchi più o meno contraffatti, quando l’appartamento di New Hovel si fece ancora più affollato.
    «C-ciao, scusate… La porta era aperta e… pensavo…» Oddio, chi era? Nice era quasi certa di non conoscerlo, ma d’altronde era brava a rimuovere i visi delle persone che non le interessavano abbastanza. Niente di personale, Benedetto. «Va tutto bene?» Chiaramente no, ma ebbe almeno la compiacenza di non dire nulla, lasciando che fossero Lydia e Fitz a parlare al posto suo — beh, più o meno. «tutto benissimo» «non esageriamo...» sussurrato, a denti stretti, mentre incrociava le braccia al petto e osservava il nuovo arrivato. «Forse siamo morte, ma non c'è traccia dei nostri cadaveri. Tu?»
    Tu?
    Roteò gli occhi al cielo, la Hillcox, sciogliendo le braccia. «sta meglio di noi sicuramente.» almeno lui era ancora tangibile. Spostò l'attenzione su Lydia, a quel «benedictus, stavo giusto pensando a te» ma pensa? «puoi vederci tutte e tre? Senti di poterci controllare?» quante belle chiacchiere, tutto molto interessante, non c'è che dire. Nice inizio a passeggiare per la stanza, ascoltando la conversazione che non andava assolutamente da nessuna parte. Non aveva la minima voglia di essere controllata dal ragazzino; nemmeno per testare una teoria!
    «Mi piace di più la teoria dei tarocchi col malocchio» Ma Fitz stava parlando da sola, o Nice e Lydia potevano vedere Ari, in quello stato? Chissà. A Nice non interessava abbastanza: si limitò a lanciare un’occhiata confusa in direzione della bionda e poi fece come un Perses Sinclair qualunque: andò avanti. «Forza, prova a farti possedere, o a renderci più fisiche. Se è possibile farlo, sono sicura che ce la farai»
    Sì sì, una bellissima scena da “se io lo posso fare, tu lo potrai fare”, non c'erano dubbi, ma Nice rivolse le sue attenzioni al bambino, per la prima volta da quando era entrato nella stanza: «puoi farlo davvero? Renderci più fisiche,» La strega non aveva intenzione di possedere proprio nessuno, men che meno un ragazzino di tredici anni, questo comunque andava precisato. «puoi aiutarci a tornare tangibili?» magari in quel modo avrebbero dato una risposta al cosa fossero, rendendo più semplice lavorare per capire il come lo fossero divenute.
    Magari.
    Poi, un commento e una precisazione più che doverose, quasi un monito: «ma non pullare una Beetlejuice con noi, o te ne pentirai.» non era una Delia dei poveri, lei.
    sooner or later you're gonna tell me a happy story. i just know you are.
  14. .
    Non aveva intenzione di cedere terreno.
    Nemmeno alla supplica appena sussurrata di Dominic, mostrò di volersi frenare; parlava con l'intento di colpire le zone dove la carne era più morbida, dove una ferita avrebbe fatto più male, perché le parole, quelle che fanno male, erano l'unica arma di difesa che avesse mai imparato a padroneggiare; non dovevano per forza essere dure, alle volte bastava semplicemente parlare di qualcosa di sbagliato al momento sbagliato, o evitare di dire la cosa giusta al momento giusto. Era questione di (abilità) punti di vista.
    Aveva visto suo zio farlo innumerevoli volte, e la verità era che non sapeva come altro proteggere il suo cuore, Nice Hillcox, dopo averlo esposto così tanto e reso vulnerabile, se non ferendo a sua volta. Non voleva, ma lo faceva comunque. Era un atteggiamento meschino, senza dubbio, ma era fatta così; perciò no, non aveva “aspettato un attimo”, né aveva fermato il resoconto delle inutili cose trovate durante la breve, ma importante, assenza del biondo.
    «che cazzo Nice, sì – sì, ti sfugge»
    Fu quello, infine, a farle serrare le labbra in una linea dura. No, non la parolaccia, non il fatto che Dominic Cavendish avesse appena sbottato, no.
    La decisione, nello sguardo e nel tono, fu ciò che colpì la ministeriale. Le fece assottigliare le palpebre, scrutare l'espressione sul viso del compagno, staccare i fianchi dal mobile della cucina. La mise in allerta. Non era la prima volta che Nice si comportava in quel modo, decidendo deliberatamente di ignorare qualcosa solo per portare il Cavendish ad una confessione onesta — ma il suo giochino non aveva mai sortito quell'effetto. Certo, Dominic non era mia stato in missione in Siberia, prima di quel giorno, era vero. Chissà cosa aveva visto, cosa aveva vissuto; chissà cosa aveva trovato. Di certo, Nice non lo sapeva perché rimanevano dettagli non ancora discussi con lei. Poteva solo immaginare — e non le piaceva ciò che suggeriva la sua fantasia. Rimase allora in silenzio, braccia lungo i fianchi, lo sguardo ancora fermo e deciso a specchiarsi in quello dell'ex corvonero. «come puoi fare finta di niente, come puoi-» Come poteva cosa, di preciso? Strinse impercettibilmente le palpebre, ma non fece un fiato. Gli diede il tempo di ricomporsi, nel senso più letterale del termine: Dominic era a pezzi, rotto, e la cosa che faceva più male era non sapere perché.
    Né, di conseguenza, cosa poter fare per aiutare.
    Peggio ancora: la rabbia per essere stata tenuta fuori da quella decisione che avrebbe potuto coinvolgere entrambi, se le cose fossero andate male, superava il bisogno di correre ad abbracciarlo e sussurrare piano che sarebbe passato tutto, che sarebbe andato tutto bene.
    Una brava fidanzata avrebbe allungato la mano per stringere quella del biondo — al diamine, una brava fidanzata gli sarebbe corsa incontro non appena sentita la chiave girare nella serratura.
    Lei no.
    Lei era rimasta stoica al suo posto, fredda e inamovibile. Terrorizzata e sconfitta.
    In parte, delusa.
    In parte, rotta a sua volta.
    Quanto cuore, quanto amore, si poteva dare ad una persona prima di raggiungere il punto di non ritorno? Perché lei sentiva di aver superato quel limite già da un pezzo, e non poteva crederci.
    Non voleva crederci.
    Sapeva essere meglio di così.
    Ma Dominic non era più solo una cotta passeggera, un flirt momentaneo.
    Era il suo presente.
    E, come aveva avuto modo di realizzare in quei giorni di forzata solitudine, sperava anche il suo futuro.
    Non odiava Dominic; odiava se stessa. Perché, dopotutto, non poteva fare a meno di amarlo a sua volta.
    Eppure nessuno avrebbe potuto biasimarla per la reazione avuta; era rimasta anche troppo posata seppur troppo fredda, forse, nella sua posizione. Potevano criticarle una mancanza di empatia, un briciolo di cuore, ma nessuno, nessuno!, avrebbe mai potuto dirle di non avere il sacrosanto diritto di offendersi per il modo in cui Dominic aveva gestito le cose.
    Non era così ipocrita da mettersi a sindacare sulla scelta egoista fatta dal Cavendish – ma avrebbe voluto esserne messa a conoscenza. Non chiedeva nient’altro. Avrebbe voluto che Dominic l'avesse condivisa con lei quando era ancora solo un'idea, prima che diventasse una concreta possibilità, come si supponeva facessero le coppie...
    Certo, il guaritore aveva ragione: lei lo avrebbe preso per folle, gli avrebbe detto di non andare, avrebbero discusso, ma quantomeno non si sarebbe svegliata, una mattina, con un misero biglietto laddove era abituata, oramai, a trovare il viso addormentato del proprio fidanzato.
    Non voleva i “mi dispiace” di Dominic, né voleva la ragione; avrebbe voluto altro, ma non l’aveva ottenuto. Probabilmente, non l’avrebbe ottenuto mai. Dominic avrebbe fatto sempre la scelta che riteneva giusta senza prima parlarne con lei; era quello che succedeva quando spaventavi le persone. Finivano con il non confidarsi più con te, preoccupati da una possibile reazione negativa.
    Preoccupati di essere giudicati. Di non essere capiti. Ecco cosa vedeva Dominic quando guardava Nice, adesso era chiaro.
    «avresti avuto ragione su ogni cosa ma sarei partito comunque»
    Distolse lo sguardo, portandolo su Belladonna. Lo sapeva. E per quanto potesse sforzarsi di convincere se stessa che non le importava, che Dominic era libero di fare le sue scelte come l’uomo adulto e responsabile che era, non poteva essere così.
    Nice non lo avrebbe lasciato andare senza fare una scelta a sua volta.
    Perché? Beh, per i motivi che entrambi sapevano; gli stessi motivi per cui aveva deciso di chiudere il suo cuore tanti anni prima. Lo stesso motivo che ora rimpiangeva di aver perso lungo la strada.
    Se solo non si fosse lasciata coinvolgere.
    «ti amo tanto, Nice»
    Eccole li, quelle due parole che Nice aveva letto, e riletto, sul bigliettino lasciato da Dom.
    L’avevano tormentata per giorni, le avevano rubato il sonno e l’avevano distratta dal lavoro; la Lovecraft l’aveva redarguita per la poca concentrazione riservata agli articoli di giornale che stava esaminando in quei giorni.
    Ti amo.
    Aveva odiato non sentirselo dire in faccia.
    Aveva odiato non poterlo dire a sua volta, se non agli stupidi gatti e ad un appartamento vuoto.
    «non so se potrai perdonarmi o se riuscirai a fidarti ancora di me, e se vorrai lasciarmi lo capirò» No che non l’avrebbe capito. Sarebbe stata lei la stronza che lo lasciava quando lui ne aveva più bisogno. Lei la stronza che non riusciva a capire, o mettersi nei suoi panni, o a lasciarlo in pace a prendere le proprie decisioni. «però ti amo un sacco, e questo dovevi saperlo» Abbassò le palpebre sugli occhi lucidi, e lasciò che ciocche castane nascondessero appena il viso. Quando ebbe la certezza di poter parlare con una voce più ferma e meno tremula, allora tornò a guardarlo. «Lo sapevo già, Dominic.»Ma volevo sentirtelo dire.”.
    Non serviva una confessione in pompa magna, non quando vedeva l’amore del Cavendish riflesso in ogni gesto quotidiano, in ogni sorriso ed in ogni premura. «Lo so
    Eppure, pur sapendolo, non riusciva a muovere un solo passo verso di lui.
    Era pietrificata dalla paura, perché nonostante tutto, ricambiava quel sentimento.
    «Ma non puoi fare– non puoi lasciarmi così La sera prima addormentarsi tra le sue braccia, e la mattina dopo non trovarlo più. Riapriva ferite ancora troppo recenti, e che Nice dubitava si sarebbero cicatrizzate mai. «Senza una spiegazione. Senza un motivo.» Scosse la testa, piano. Sconsolata. «Non puoi. Non puoi, perch閻 alzò lo sguardo per incontrare quello di Dom: gli doveva almeno quello. «Perché ti amo anche io. Okay?» Ammetterlo faceva quasi più male che tenerselo dentro. «E non puoi– non–» puoi farmi questo. Strinse le labbra, e socchiuse gli occhi. Non avrebbe pianto.
    Quando tornò a parlare, lo fece con un tono di voce molto basso, quasi un sussurro. «Non sapevo dove fossi. All’inizio ho pensato fossi sceso a comprare dei croissant. Cinque minuti; e non tornavi. Dieci. Un’ora. Due, tre. Ho temuto il peggio.» Non era arrivata nemmeno lontanamente vicino alla realtà. «Non voglio la ragione, Dom. Avrei voluto un dialogo E se poi fossero finiti in un litigio andava bene lo stesso: ma almeno lo avrebbero affrontato insieme. «Era tutto ciò che chiedevo. È tutto ciò che chiedo.» Non aveva più le braccia incrociate al petto, ma non era comunque pronta a muoversi per andargli incontro — perlomeno, non fisicamente. «Non hai idea di cosa ho passato. Così come io non posso sapere cosa hai passato tu.» Perché, ricordiamolo: non sapeva nulla di quanto successo in Siberia. Zero. «Ma non voglio più sentirmi così. Non... non di nuovo.» Non serviva specificasse a cosa faceva riferimento. Le sue difese si stavano incrinando. «Ti amo, ma non so come evitare che ogni respiro diventi una pugnalata dritta al petto, Dominic.» Portò le mani a coprire il viso, poi le passò tra i capelli, scoprendo i lineamenti made in Cox e uno sguardo stanco, provato. «Non lo so perché non aveva mai amato qualcuno nello stesso modo in cui amava Dominic. E se il pensiero di perdere Albie, o Hyde e Jek, o Chelsey, era isostenibile, l'idea di perdere Dominic la distruggeva. Perché non sapeva come affrontare sentimenti così forti, non ci aveva mai provato prima di incontrare lui.
    Era egoista, Nice Hillcox.
    Era piena zeppa di difetti che nascondeva dietro un look impeccabile e l'aria da perfezionista.
    Era egoista, bugiarda, imperfetta. Era tutto quello che Dominic non si meritava, ma non voleva lasciarlo andare.
    Era incapace di dimostrare tutto il suo amore se non in quella maniera: essendo brutalmente onesta. Ed egoista.
    Aveva già perso tanto — non poteva perdere altro. Non sarebbe sopravvissuta. E non le interessava del resto del mondo; poteva bruciare, per quanto la concerneva, del lutto altrui non si curava. Pensava solo a se stessa, Nice. Aveva dovuto imparare a farlo da giovanissima; in un mondo che Dominic non poteva nemmeno pensare di comprendere. Un mondo che lui stesso aveva lasciato volontariamente indietro, pur di aggiustare qualcosa nella linea temporale.
    Nice era figlia di quel futuro, e si portava dietro tutti i danni subiti.
    Quello era ciò che poteva offrire al guaritore: un ti amo che sapeva di sconfitta perché, era chiaro, che non avrebbe mai potuto competere contro il senso di dovere del Cavendish.
    Non era un ribelle, ma era un uomo buono e giusto e avrebbe sempre fatto la cosa giusta se ne avesse sentito la necessità.
    E Nice era fottutamente egoista. Non voleva. Lo voleva per sé, lo voleva lì con lei. Lo voleva vivo.
    Fatele causa.
    Ma lo amava, e quello rendeva tutto più difficile.
    berenice
    hillcox

    my pain fits in the palm of your freezing hand,
    I can't stop you putting roots in my dreamland;
    my house of stone, your ivy grows
    && now I'm covered in you
    23 | 21.11.22 | london, uk
    censor | fashion designer
    heartbroken | angry
  15. .
    se non faccio così non ne esco più


    turo
    hot
    mago - paladino (devoto)
    turo hendrickson: pistola semiautomatica
    heidi 'hot"' saus: mazza da baseball
    TEAM PRO ABBY
    accetto le conseguenze delle mie azioni
    qui finisce il mio agire e inizia il mio silenzio
    sono nel pieno delle mie facoltà mentali
    prendo i pe per: gruppo I & gruppo IA

    java
    lawrence
    matricola - rogue (sanguinario)
    java c. sharp: balestra
    lawrence matheson: nunchaku
    TEAM PRO ABBY
    accetto le conseguenze delle mie azioni
    qui finisce il mio agire e inizia il mio silenzio
    sono nel pieno delle mie facoltà mentali
    prendo i pe per: gruppo II & gruppo IIA

    hold
    willa
    apprendista - guerriero (berserker)
    hold may beer: acidocinesi - pugnale
    willa matthews: spada a due mani
    TEAM CONTRO ABBY
    accetto le conseguenze delle mie azioni
    qui finisce il mio agire e inizia il mio silenzio
    sono nel pieno delle mie facoltà mentali
    prendo i pe per: gruppo IV

    kyle
    wren
    mago - difensore (anatema)
    kang haeil (kyle): arco e frecce
    wren hastings: geocinesi - bo
    TEAM CONTRO ABBY
    accetto le conseguenze delle mie azioni
    qui finisce il mio agire e inizia il mio silenzio
    sono nel pieno delle mie facoltà mentali
    prendo i pe per: gruppo III

    SETTIMANA FINALE: turo - law - willa - wren


    Edited by ad[is]agio - 28/4/2023, 16:24
260 replies since 1/6/2020
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