Votes taken by vainglory

  1. .
    I think I'll pace my apartment a few times
    && fall asleep on the couch
    26 y.o.
    british
    death eater
    sawyer river meddows / sword
    L’aveva guardata, Sawyer. Un cocktail complicato di curiosità e diffidenza a scurirgli gli occhi mentre posava il palmo contro il suo polso, stavolta con tutta l’intenzione d’interrompere quel contatto. Non perché non fosse gradito; l’aveva baciata per primo, e poteva apprezzare una distrazione quando glie ne veniva così gentilmente offerta una. Il gioco, semplicemente, era divertente fino a un certo punto. Erano ancora nella stanza di un hotel che non aveva mai visto prima, legati da manette che non aveva indossato di sua spontanea volontà, drogati e spogliati dei loro averi. E lui possedeva ancora la stessa mente fredda che non gli aveva mai concesso di approfondire un rapporto oltre il suo limito prestabilito – quello che s’imponeva lui, quando ne aveva la lucidità necessaria per farlo.
    Non le disse che non era quello il momento perché avrebbe aperto la conversazione a promesse vuote. Era certo, in ogni caso, che Adaline non ne avesse il bisogno.
    Piuttosto lasciò la presa, ristabilendo la distanza necessaria per permettere al suo cervello di elaborare l’area circostante senza l’intrusione del suo profumo; era bella, certo, ma era attratto ancor di più dal desiderio di uscire di lì. Per ripicca, se non altro. La sopravvivenza era un valore aggiunto.
    «niente da fare, immagino.» eh, beh. C’era ben poco da ricordare. Poteva quantomeno dire che il tentativo fosse stato apprezzato da entrambi i lati, se le mani che gli avevano sfiorato le ciocche erano un giusto indizio.
    E qualunque cosa avrebbe voluto fare a quel punto, d’improvviso, morì sul nascere. Non ebbe il tempo di passare il volto sotto il getto d’acqua fredda, o di aprire gli sportelli in cerca di qualcosa che gli permettesse di formalizzare la sua teoria in qualcosa di meno, cit, filosofico.
    Sentì lo scatto. Per niente gentile nello strattonare Adaline contro di sé e trascinare entrambi contro la parete; poteva pensare alle buone maniere in un momento in cui ogni suo nervo non era teso come le corde di un violino. E quando finalmente il suo sguardo trovò la fonte di quel rumore strinse il guanto contro le vie respiratorie, battendo furiosamente le palpebre per spingere via l’appannamento.
    Troppo tardi.
    E troppo debole, Sawyer, per fare qualcosa che non fosse spingere lo stivale contro quella che forse era una delle figure sfocate; o che forse era solo aria, i sensi troppo annebbiati per reagire con la giusta rapidità.
    Uno sguardo alla sua compagna di sventura, però, lo riservò. Difficile capire se la stesse accusando di qualcosa, o se stesse cercando risposte nel suo, di linguaggio del corpo. Pensieri che potevano attendere, perché porca, virgola, lo stavano trascinando via.

    E forse «ma che cazzo» avrebbe preferito rimanere nella sua stanza d’albergo, tutto sommato. «ma che cazzo
    Non si domandò cosa ci facesse lì Hamish. Come lui fosse finito nei suoi casini – perché giunti a quel punto non c’era ombra di dubbio che si trattassero di casini di Hamish, nella quale Sawyer era scivolato di faccia in qualità di complice accidentale –, invece, se lo chiese eccome.
    Stavolta il suo stivale la colpì davvero, una caviglia. Una a caso. Abbastanza forte da far male, si spera. «ti faccio pagare netflix per i prossimi ventiquattro mesi.»
    Testa di minchia.
    E prendo a pugni lo specchio, io non ci riesco a cambiare chi vedo riflesso
    Il tuo cuore è di plastica e starti vicino è autodistruttivo
    E sono solo uno dei tanti
    Col sorriso triste e con gli occhi stanchi
    Che non riesce più a fidarsi degli altri


    bullizza hamish e basta

    info utile: se qualcuno vuole parlargli a caso saw lavora al ministero, ed era arruolato dal lato di abby durante la scorsa guerra. chi lo conosce, lo conosce probabilmente per quello. do what you want with that information etc etc
  2. .
    #017 (saw, ada)
    hi barbie!!!!%%%%

    CITAZIONE
    Premette un indice contro le labbra, e si concentrò sul tonfo preciso. Il quantitativo spropositato, di tonfi precisi. Ma cristo iddio.
    Nessuno:
    Proprio nessuno:
    Barbie: S-T-A-I—S-C-O-P-A-N-D-O
    Ok.
    «…no.» anche abbastanza letteralmente.
    Poggiò il pugno contro la parete, momentaneamente privato della sacrosanta facoltà di agire. Ma dov’era finito.
    Barbie: PUNTO-DI-DOMANDA
    Sospirò, e stese i polpastrelli contro le sopracciglia. Poi picchiettò nuovamente con le nocche sulle mattonelle, stavolta con un messaggio chiaro da spedire al destinatario:
    P-E-R-C-H-É
    «ma possiamo fare una prova.» schioccò la lingua contro il palato, gli occhi ancora fissi sulla sua stessa mano.
    T-I—V-U-O-I—U-N-I-R-E
    P-U-N-T-O—D-I—D-O-M-A-N-D-A
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    «che poetico, quasi filosofico, cerchi di far colpo? »
    «poetico» batté le palpebre, sinceramente divertito. «sei sicuramente la prima a pensare una cosa simile di me.» eh, diciamo che di solito veniva definito con altri appellativi, Sawyer. Alcuni più carini di altri, ma tendevano a seguire una linea prevedibile; alternandosi tra sinonimi di pazzo e masochista. Quella era di sicuro nuova.
    Premette l’incisivo contro il labbro inferiore, e scosse la testa. «solo una sensazione.» e visto che era tante cose, ma di certo non stupido, voltò comunque la testa nella sua direzione. «ha funzionato, in ogni caso?»
    Così. Per scienza.
    Poggiò la tempia contro la parente, una scrollata di spalle come unica forma di scusa per averle arruffato le piume. Delicatuccia. Almeno era carina, quando si arrabbiava.
    «ti dimentichi così facilmente delle persone che baci, adaline?» e lui che pensava di essere degno un paio di attenzioni in più, mannaggia. Ormai erano praticamente amici. Nel modo tutto speciale di Sawyer, sottinteso: l’amicizia di chi neanche ti passa un numero da rintracciare nel caso di bisogno.
    Intanto, dall’altro lato, nessun segno di vita. Aggrottò la fronte, e si scostò abbastanza da poter fissare offeso la parete. O erano totalmente isolati, o chiunque ci fosse dall’altro lato li stava beatamente ignorando. Quei muri non erano abbastanza spessi da poter essere insonorizzati, d’altronde.
    «perché io–» e poi.
    Dal nulla.
    Colpetto.
    Colpetto. Colpetto. Colpetto.
    Premette l'indice contro le labbra, e si concentrò sul tonfo preciso. Il quantitativo spropositato, di tonfi precisi. Ma cristo iddio.
    Nessuno:
    Proprio nessuno:
    Barbie: S-T-A-I—S-C-O-P-A-N-D-O
    Ok.
    «…no.» anche abbastanza letteralmente.
    Poggiò il pugno contro la parete, momentaneamente privato della sacrosanta facoltà di agire. Ma dov’era finito.
    Barbie: PUNTO-DI-DOMANDA
    Sospirò, e stese i polpastrelli contro le sopracciglia. Poi picchiettò nuovamente con le nocche sulle mattonelle, stavolta con un messaggio chiaro da spedire al destinatario:
    P-E-R-C-H-É
    «ma possiamo fare una prova.» schioccò la lingua contro il palato, gli occhi ancora fissi sulla sua stessa mano.
    T-I—V-U-O-I—U-N-I-R-E
    P-U-N-T-O—D-I—D-O-M-A-N-D-A
    «sai, vedere se riaffiora qualche memoria.»
    Le diede anche il tempo di reagire, casomai avesse ritenuto necessario ritirarsi; più una conseguenza della strana posizione in cui si ritrovavano, meno per un desiderio suo di offrirle spazio. Ridusse nuovamente la distanza tra di loro, il braccio legato a spingere delicatamente con sé quello di Adaline fino a cingerle i fianchi; e le sorrise di nuovo, una scintilla poco raccomandabile a illuminargli lo sguardo. Dire che quella leggera sopraffazione non fosse voluta sarebbe troppo – la sua presa rimase leggera, facile da sciogliere. Non attese comunque un cenno di assenso prima di appropriarsi della sua bocca in un bacio tutto sommato casto; per sondare il terreno, se vogliamo. Rapido nell’agire, lento nel mettere qualche centimetro di distanza tra di loro.
    «allora?» umettò le labbra, sinceramente curioso. «tornato qualcosa?»
    E prendo a pugni lo specchio, io non ci riesco a cambiare chi vedo riflesso
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    Col sorriso triste e con gli occhi stanchi
    Che non riesce più a fidarsi degli altri
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    #017: saw batte il pugno contro la parete di styx e barbie! SEGNALI DI VITA ANYONE
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    Che dire.
    Doveva proprio aver portato pace, libertà, giustizia e sicurezza in imperi di galassie lontane, Saw. Altrimenti non si spiegava quel dono che gli era appena calato davanti. Premette l’indice contro un angolo della bocca, e distolse accuratamente lo sguardo dalle pieghe della gonna di Adaline. Se la situazione aveva del ridicolo prima, figuriamoci in quel momento: davvero non riusciva a immaginare un universo in cui aveva passato le mani su quelle gambe e se ne era dimenticato. Non era manco abbastanza vicino alla stanza di Moka per condividere telepaticamente un po’ di preghiere e bestemmie, quindi si limitò alla parte del sospiro.
    Lungo.
    «non perdiamo altro tempo, che dici?»
    Strinse la lingua tra i denti, e annuì. Che dire, in effetti.
    «adaline.» Tese il palmo verso di lei con l’intenzione di aiutarla ad alzarsi – del tutto impreparato ad accogliere l’immagine di quel guanto che si stringeva attorno al polso esile della ragazza. Ah. Ma da quando. Studiò meglio il tessuto che univa l’armatura pesante del braccio al resto della tunica; e ancora, lasciò saettare gli occhi lungo tutto il proprio corpo. Eppure era certo di aver sollevato i lembi di una camicia solo pochi attimi prima; una che aveva riconosciuto come sua, e non… il costume di Halloween che aveva addosso in quel momento. Possibile che qualunque cosa gli avessero iniettato stesse alterando la sua percezione delle cose?
    «sei mai stata in questo posto?» posta come una domanda, anche se privatamente era giunto già alla conclusione che in certe situazioni ci fosse già capitata. Lo chiameremo istinto.
    «potrebbe aiutarci a capire qualcosa in più.» la guidò verso il bagno, a quel punto; guardarsi attorno senza sapere cosa cercare, però, era inutile. «forse non siamo dove pensiamo di essere.»
    Detto con tutta la casualità del mondo, nonostante la tensione evidente nelle spalle. Lo sguardo gli cadde in automatico sulla vasca, ma a malincuore lo trascinò invece nella direzione del lavandino. Toccava fare sacrifici in extremis; eh, quanto potenziale sprecato.
    Si cercò nello specchio, ispezionando la pelle esposta millimetro per millimetro. Era effettivamente il suo riflesso a incontrarlo a metà, ma la paranoia crescente non gli permise di considerarla una prova concreta. Sciolse la presa ferrea della mandibola, e incontrò lo sguardo di Adaline. Riusciva a sentire il suo calore attraverso il punto di contatto, abbastanza reale da tenerlo ancorato al filo sottile della ragione.
    Curvò le labbra in un sorriso indolente, spingendo delicatamente il gomito mancino contro il suo. «potrei baciarti.» e se l’altra avesse risposto con un broncio di disapprovazione, di certo non si sarebbe scosso. «a volte funziona, in questi casi.» sensazioni forti and all. Le esperienze nel Cremlino insegnavano; ciao Law.
    …e basta, ciao Law. Al Tryhard preferiva non pensarci. Carne ancora un po’ troppo tenera.
    Ma invece di posizionare un palmo lungo la curva del viso di Adaline come gesù avrebbe voluto 🙏, si sporse verso la parete più vicina; quella che, illusioni escluse, avrebbe dovuto collegarli alla stanza adiacente. Chiuse il pugno contro la superficie e la colpì una, due volte.
    E prendo a pugni lo specchio, io non ci riesco a cambiare chi vedo riflesso
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    koYglit

    solo quello più fedele


    (c)
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    «hai chiesto il consenso anche quando mi hai ammanettata?»
    Ah, com’era difficile.
    Sospirò, lasciando scivolare un braccio inerme contro lo stomaco. Non sapeva bene come navigare la situazione, a dado ormai tratto. Aveva i suoi metodi per ristabilire un equilibrio, Sawyer, ma non era certo che avrebbero avuto alcun tipo di effetto su di lei. Soprattutto, battere le ciglia era una tattica vincente solo a basi già create – e lui neanche sapeva come si chiamasse.
    In effetti.
    «facciamo così: riniziamo da capo.» accavallò una gamba sull’altra, e si sistemò meglio tra i cuscini così da potersi voltare meglio verso di lei. Ora aveva le sue piene attenzioni. «io» puntò l’indice contro la sua gola: punto tenero, come una bestia che si sottomette al felino più letale. «mi chiamo saw.»
    E già era qualcosa. Poi: «non ho idea di come io sia finito in questo hotel.» Schioccò la lingua contro il palato, e osservò la macchia sul braccio di Adaline. Poi sollevò il suo e strinse il palmo ammanettato a quello dell’altra, guidando entrambi fino a toccare la pelle. E trascinando ancora, delicatamente, fino a rivelare un livido gemello. Curioso.
    «e neanche te. ma posso dirti con certezza che non è a causa mia, se siamo qui.» La prova schiacciante, d’altronde, ce l’avevano davanti. Quello era un punto a suo favore, che Adaline volesse ammetterlo a se stessa o meno. «nessuno è abbastanza stupido da drogare la sua vittima e poi se stesso prima ancora di riuscire a scappare dalla scena del crimine.»
    Alzò nuovamente le iridi ceruleo su di lei, volto piegato lateralmente. «e questo lo so perché fa parte del mio lavoro.» All’incirca, ma non era un dettaglio importante; si trattava solo di una specifica necessaria casomai Adaline lo additasse in automatico come serial killer.
    «non mi offendo, ma ti rispondo che farai la doccia con me nei tuoi sogni, forse»
    Quella era una notizia infelice, però.
    Sotto svariati punti di vista. Molti dei quali non si curò di nascondere; tanto, ormai. «ho bisogno di schiarire la mente.» si strinse nelle spalle, casuale. «e non penso tu abbia bisogno di sentirti dire che sei bella, ma se vuoi sottolineo l’ovvio.»
    Pareva proprio il genere di individuo che certe cose ormai le scansava. A forza di ripetere la stessa liturgia, la forma smetteva di avere senso.
    «devo trascinarti con me in ogni caso.» e di nuovo, le mostrò il motivo. Un semplice cenno nella direzione delle loro mani legate. «sempre se non hai qualcosa con cui aprire queste manette.»
    Lui era stato privato anche del coltellino svizzero che teneva nascosto negli stivali; non ne avvertiva il peso, o il freddo del metallo contro la caviglia. Quello era il dettaglio sulla quale preferiva soffermarsi meno. Il pensiero che qualcuno lo avesse osservato abbastanza bene da conoscere informazioni simili sulle sue abitudini non lo allettava particolarmente.
    «possiamo rimanere su questo letto – ma se questo è ciò che vuoi, credo che stiamo perdendo un po’ di tempo. tu no?» il doppio senso era lì, in attesa che lei lo cogliesse. Quelle mani congiunte erano un po’ troppo intime per del sesso occasionale, ma chi era lui per voltare le spalle a un’occasione. Non era mai particolarmente stato interessato alle cose vanilla.
    «o possiamo cercare una via d’uscita.»
    A partire dal bagno.
    Perché almeno un po’ d’acqua fresca in faccia la voleva. Mica no.
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    Non poté far altro che battere le palpebre di nuovo. Incolperemo il riposo prolungato, e la confusione momentanea che era solito trascinarsi dietro quando superava la soglia delle sei ore. Sotto alcuni aspetti, Sawyer era un ragazzo semplice. Sotto tanti, un debole. E poche cose premevano contro i suoi nervi recettori tanto quanto le Adaline del mondo.
    Le persone non gli piacevano. Quando poteva, le racchiudeva in un cassetto del suo cervello: quello dedito alla memoria brevissima, così da poterle semplicemente buttare via nel momento in cui smettevano di esistergli a distanza ravvicinata. Ai casi particolari preferiva non pensarci; un errore umano, contro la sua volontà.
    Certe facce rimanevano incastonate al centro dei suoi pensieri per più tempo di quanto gli piacesse ammettere – una tortura tutta speciale che non portava mai a nulla di buono. La ragazza davanti a lui ricadeva indubbiamente in quella categoria; e si conosceva abbastanza bene da sapere che un carattere come quello non faceva che amplificare il suo interesse. Vizi strani, i suoi: se non poteva un po’ patirla, si divertiva a metà.
    I conti non tornavano. Era troppo bella per scivolargli dal radar, anche da intossicato – qualcosa che in ogni caso non era stato, la sera prima. Aveva chiuso gli occhi nel suo letto, tristemente sobrio. E solo, forse. Le lenzuola, poco ma sicuro, erano fredde e vuote.
    Collezionò i pensieri abbastanza da aprire bocca e chiedere finalmente se si conoscessero, e allora. Allora registrò davvero le parole dell’altra.
    «perverito?» fronte corrugata, e stavolta la scrutò senza il velo dell’attrazione a offuscargli la mente. Ma scusa. «ammetto di non essere il principe azzurro,» anche se forse, di primo acchito, poteva pure passare per tale: occhi ceruleo, morbide onde dorate distribuite in un’aureola attorno al volto. Ci fosse stata meno rabbia nel suo sguardo, magari. «ma di solito chiedo il consenso.»
    Mah. Un po’ per dimostrare il punto, un po’ perché di spazio personale ne aveva bisogno anche lui, tentò di mettere quanta più distanza possibile. Poi appoggiò la schiena contro la spalliera del letto, socchiudendo gli occhi nel sentire il freddo della parete colpirgli la nuca. Quando lì riaprì, puntò lo sguardo sui suoi vestiti: forse se l’era immaginato di essere andato a dormire, dopotutto, perché erano quelli del giorno precedente.
    «ad esempio, se ti chiedessi di buttarci in doccia ti offenderesti?» e completò la richiesta con il volto piegato verso di lei e un sorriso serafico, pronto a scacciare via mani in occasione di uno schiaffo. Scusa Adaline, non sei tu ma sono io. «mozzarti il braccio mi sembra poco carino.»
    A proposito di Saw il film.
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    First reaction: «porca» virgola.
    Non che avesse avuto piani in mente per quel giorno, Sawyer, ma c’era comunque una sana differenza tra l’essere disposto a farsi trascinare in un pub qualunque con la mano di qualcuno a pesargli contro la spalla, e qualunque cosa fosse quella cazzo di situazione.
    Il risveglio era pure stato gentile; sedotto e abbandonato da quella sensazione di post letargo, col volto schiacciato contro un lenzuolo così morbido da non poter logicamente appartenere alla sua collezione di cotone svedese – santa Ikea. Cosa, esattamente, sia scattato prima non ci è dato davvero saperlo: se un istinto di sopravvivenza che a volte sceglieva persino di rendersi noto, o la sensazione perturbante e inevitabile di fronte a tutto quel comfort.
    Nessuna traccia del suo scarafaggio da passeggio (Hamish) che mugugnava da qualche parte del suo appartamento. Probabilmente macchiando l’ennesimo tappeto di sangue, già che c’era.
    Nessun filo di luce a rompere la sua rêverie momentanea, causa tapparelle bruciate della sua stanza che doveva cambiare da mesi senza mai trovare il tempo (o la voglia, in effetti) di farlo.
    Niente sveglia a perforare i timpani dal lato opposto della camera da letto. Mossa strategica, perché in passato aveva provato a tenerla sul comodino come un qualunque essere normale, e poi aveva finito per spaccarla – accidentalmente, a detta sua.
    Solo un invitante silenzio. Una strana sensazione di indolenzimento a percorrergli i muscoli del braccio, ma non così evidente da risultare fastidiosa. Poi aveva strofinato la guancia contro il tessuto, sbattuto le palpebre.
    E a quel punto porca, virgola.
    Non aveva idea di dove fosse. Non aveva idea di come ci fosse finito, in quel posto. Non aveva idea di come uscirne.
    Non sapeva chi cazzo ci fosse incatenato a lui.
    Inspirò a lungo, Sawyer. Poi azzardò uno sguardo nella direzione del* dirett* interessat*. «come tentativo di abbordaggio mi pare un po’ estremo.»
    Così, per dire.
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    lee wonyoungvi annotifoseria grifi
    «chi tiene le scommesse?»
    Schioccò la lingua contro il palato, e riservò la più breve delle occhiate al Jacksson prima di sistemarsi nuovamente i binocoli sul volto.
    «chiunque abbia più tempo da perdere di me.»
    Disse quello che era lì per perdere tempo. Potremmo fingere e dire che fosse così interessato al Quidditch da volersi fare l’intero campionato tra gli spalti, ma insomma. C’era un motivo se giunto al suo sesto anno di studi, nonché quarto anno tra le fila di Hogwarts, non si fosse mai degnato anche solamente di partecipare alle partite della sua stessa casata. Per tifare Grifondoro, poi, di tante cose?
    «ma se lo scopri» picchiettò con l’indice contro l’aggeggio tra le mani. «potrei essere interessato.»
    Lui, d’altronde, era lì con un obiettivo molto specifico.
    E quell’obiettivo era
    CITAZIONE
    @djarins rolled:
    (4) =
    4

    Breccan fucking McCarthy.
    Era un ragazzo che si faceva scuotere difficilmente, Won. Che in normali circostanze pensava allegro ai cazzi suoi, senza degnare troppi secondi a chiunque non fosse abbastanza interessante da spingerlo a cercare un contatto.
    E poi McCarthy gli aveva fatto cadere un grammo in più di verbena nella pozione – proprio davanti alla Queen. E si era dovuto subire un paio di giri di troppo nei sotterranei per pentirsi dell’errore di altri, proprio vicino agli esami.
    E il suo voto in pozioni ne aveva risentito. E aveva dovuto guardare mentre suo padre stringeva le labbra di fronte a quella A, e Breccan McCarthy ancora non gli aveva manco fottutamente chiesto scusa, come gli animali. Certe cose o te le leghi al dito, o te le leghi al dito.
    Abbastanza da voler rischiare la carriera con una maledizione che l’avrebbe fatta catapultare a terra? (ci aveva pensato, ma) no.
    Abbastanza da farlo stringere tra quei sedili scomodi, sospirare scocciato nel vedere il primo bolide che cercava di far fuori il portiere Grifondoro?
    «ah, cristo.»
    Evidentemente.
    gloom
    djo
    living in the middle between the two extremes
    (eliandi's version)
  10. .
    sawyer meddows
    You told me think about it, well I did
    Now I don't wanna feel a thing anymore
    I'm tired of begging for the things that I want
    I'm over sleeping like a dog on the floor
    «cerchi sempre di soddisfare i desideri degli altri senza bisogno che te lo chiedano?»
    Premette il polpastrello contro il filtro della sigaretta, lasciando vagare lo sguardo alle spalle di Hamish. Che domanda complessa – e che individuo particolare. Uno che, indubbiamente, non aveva bisogno di sentire la versione sciacquata, morbida della sua risposta. Avrebbe potuto mostrargli un sorriso pregno di promesse vuote; simulare quel genere di compostezza che aveva ingranato nel suo sistema per rappresentarsi al meglio, un ottimo acquisto per il tuo business!
    «no.» si strinse nelle spalle, e spostò di nuovo lo sguardo sul ragazzo. Divertito da quella mezza gentilezza, indubbiamente inconscia, che gli era stata mostrata: aveva quasi la medesima domanda sulla punta della lingua. «solo quando ne ho voglia.»
    Che era generalmente sinonimo di problema – uno serio, pensieri che non amava intrattenere oltre lo stretto necessario –, o in situazioni più felici di scopo. Ne aveva voglia quando agire colmava una mancanza, e quando gli permetteva di puntare a qualcosa. Ottenere diventava già più complesso: la triste realtà di chi era figlio di nessuno.
    «tu vai sempre a chiedere favori simili a gente che non conosci?»
    Un po’ ammirava il coraggio; riconosceva l’avventatezza, soprattutto. In Sawyer si manifestava in modi diversi, ma d’altronde non era mai stato un individuo estroverso. Il suo approccio alle persone doveva per forza di cose passare attraverso meccanismi culturalmente intrinsechi; poi, forse, a spalle rilassate subentrava anche il resto.
    «potrei essere la peggior persona che tu abbia mai avuto lo spiacere d’incontrare.» sicuro di pessima compagnia: sopracciglio inarcato, e lasciò ondulare la mano nello spazio circostante prima di riavvicinarla alla bocca, tirare altro fumo nei polmoni. «forse ci sono facce più familiari a cui potresti rivolgerti.»
    Anche se sospettava non fosse quello il caso, o non si sarebbe rivolto a un perfetto sconosciuto. Tentar non nuoce.
    «non so se la fatica ne valga la pena.» detto con un tono stranamente delicato, considerando come non ci fosse traccia di sorriso sul suo volto teso. Nemmeno l’ombra del divertimento che aveva acceso il suo sguardo poco prima. A dirla tutta, la nube che gli si stava depositando attorno era una semplice difesa: così come le unghie che grattavano lo zigomo, la necessità di coprire quanta più pelle possibile per evitare che la testimonianza del suo imbarazzo si palesasse anche agli occhi di Hamish. Riusciva a sentirla nel profondo dello stomaco, una rosa di vergogna a stringerlo, e sulle guance accese di un rosso che gli faceva poco onore. Tanto quanto le sue azioni in quel di Cremlino, quindi era quantomeno una reazione sensata. C’era una differenza tra il ricordarle, riconoscere che potessero sostare nei pensieri di altre persone, e affrontare le conseguenze. Impreparato e con un cervello non più offuscato dall’adrenalina, poi.
    Grande classico.
    Schioccò la lingua contro il palato, e batté le palpebre una, due volte per tentare di riprendere le redini della situazione.
    «gli headcanon lasciò che le labbra si curvassero in una piega amara, e tiro in su il mento in un chiaro tentativo di provocazione; i suoi metodi sapevano essere vagamente infantili, se preso col piede sbagliato. «mi pensi così tanto?»
    gif code
    est. 1996
    lana del rey coded
  11. .
    sawyer meddows
    You told me think about it, well I did
    Now I don't wanna feel a thing anymore
    I'm tired of begging for the things that I want
    I'm over sleeping like a dog on the floor
    Si era illuso di tante cose, Sawyer. Di avere la situazione sotto controllo, nonostante le certezze gli scivolassero tra le dita come granelli di sabbia; di conoscere il suo posto nel mondo, o quantomeno di avercelo. Dopotutto non aveva mai preteso una sedia al tavolo: sarebbe stato a suo agio con un braccio stretto attorno ai fianchi, l’altro posto dietro la schiena. Un corvo accovacciato sulla spalla dei padroni del futuro. Nessuna delusione di grandeur, da parte sua. Necessitava – o, più correttamente, ci sperava in – un mero premio per la sua fedeltà, anche quando questa veniva al costo dei suoi stessi interessi. La realtà che stavano costruendo era una che lo voleva a un livello impossibilmente più basso della classe sociale; mezzosangue, ora inferiore non solo ai maghi ma anche ai reietti contronatura. Grande affare.
    Non era così nuova, quella sensazione – un peculiare cocktail di pieni e vuoti nello stomaco. Aveva svolto il suo lavoro; considerando la mancanza di arti amputati e l’aria che ancora scorreva nei suoi polmoni, anche egregiamente. Avevano vinto la guerra. Uscivano da quel fronte in qualità di eroi della patria. Eccetera, eccetera.
    Eppure, soddisfatto, non lo era affatto. Felice, men che meno. In quel momento, con gli occhi fissi sulla ciliegia della sigaretta, riusciva solo a sentire i nervi ingarbugliati nelle meningi; il battito irregolare nel torace. Il tono elato delle voci che lo circondavano, rese distanti dall’ovatta che gli abbassava i sensi, rendendolo vulnerabile. Tutto e troppo insieme, e mai abbastanza al contempo.
    Voleva spaccare i pugni contro qualcosa. Forse il bruciore misto al calore del sangue lo avrebbe di nuovo cementato a terra.
    «ehi!»
    Hm.
    Evidentemente qualcuno aveva accolto la sua preghiera silenziosa.
    Batté le ciglia, pigro come un felino, e portò la sigaretta alle labbra. Roteando il volto nella direzione del quasi-sconosciuto per offrirgli un’occhiata impassibile che valeva già come risposta. Le parole di circostanza non facevano al caso suo; le chiacchiere gioviali per passare il tempo, invece, lo irritavano oltre ogni limite. Cose che era in grado di sopportare a malincuore solo con un obiettivo preciso in mente, e in mancanza di strade più dirette da percorrere. Lo studiò per qualche secondo, lasciando scorrere gli occhi ceruleo sulla sua figura, e cercò di ricordare il motivo per cui gli stesse rivolgendo la parola. In mancanza di una risposta soddisfacente (che non c’era e basta), fece un debole cenno col capo nella sua direzione ed esalò il fumo. Lo sguardo ora di nuovo perso nel vuoto, oltre il ragazzo; già disinteressato in partenza. Non gli offrì nessuna mano da stringere.
    Era Hamish.
    Punto.
    «ciao.» il tono piatto, velatamente infastidito. Un sottinteso e addio.
    Che forse Hamish non aveva recepito, a giudicare dall’insistenza. Al ti offrirei da bere, non reagì neanche. Preferiva non illudere le persone quando non ce n’era bisogno: poi non poteva più lamentarsi di dover sopportare l’ennesima palla al piede, perché significava essersela autoimposta. Non erano fratelli d’arma, loro due, ma due estranei portati nello stesso posto dalle circostanze; fosse dipeso da lui, non gli avrebbe mai rivolto la parola. E se non fosse stato per ciò che aveva seguito quell’incipit, si sarebbe assicurato di mantenere le cose come prestabilite – e invece. Cercava un passaggio. Da lui? Lì, scoccò la lingua contro il palato. Pronto a rispondergli di vedersela per cazzi suoi. Ma cos’era, un taxi?
    «Da quel che ho sentito, te la cavi con la bacchetta, giusto?»
    Quello, però, difficile da ignorare. Inarcò un sopracciglio e lo guardò un’altra volta.
    Ah.
    Ah.
    «hamish.» tastò il nome nel palato, cercando con palpebre appena serrate le vere intenzioni sul suo volto. Non era abbastanza stupido da non riuscire a unire i puntini e interpretare quell’affermazione nella maniera che riteneva giusta; difficile credere che a trapelare dalle avventure del cremino fossero stati i combattimenti all’ultimo sangue, piuttosto che, beh.
    Tutto il resto.
    In quegli accampamenti ci si annoiava facilmente, insomma.
    «vuoi che ti porti a casa» e inclinò la testa, la curiosità resa palese dalla curvatura delle labbra. Forse troppo di circostanza non erano, quelle parole. Potevano lavorarci sopra. «o vuoi che ti ospiti?»
    Differenza sottile seppur importante: la prima era un secco no. Sulla seconda, aleggiava nel forse. Il tempo di una notte, ovvio. Non era il genere di persona che si concedeva oltre lo stretto necessario, e l’amicizia era un’altra delle cose che nel suo schema non potevano davvero esistere. Scusa ma no, grazie.
    Una gentilezza, però, poteva offrirgliela; portò le mani a coppa attorno alla sua bocca, e si avvicinò con la sigaretta posta tra le labbra per premerla contro la sua. Sostò abbastanza da sentire lo sfrigolio della carta bruciata, e quel secondo di troppo che lasciava spazio alle possibilità – unendo i loro sguardi oltre il fumo, prima di lasciare la presa.
    «mi chiedo cosa tu abbia sentito.»
    gif code
    est. 1996
    lana del rey coded
  12. .
    Gemette, la testa troppo dolorante per il brusco contatto con il pavimento anche solo per pensare di nascondere quanto, effettivamente, stesse a) soffrendo e b) in piena fase di pentimento per le sue scelte di vita e circa ogni sua azione che l’aveva portato a fracassarsi il cranio pochi attimi prima. Ovviamente lo slam down non poteva mancare; e lui che s’era convinto di poter sopravvivere almeno un’ora in quel posto pieno di vecchi e Uomini Duri™, aka: di certo non il genere di pubblico che credeva potesse interessarsi alla star di un reality show, prima di venire assalito da fan impazziti. Rotolò su se stesso così da potersi districare dagli arti della ragazza, poi si tirò su di un gomito. Spalancò gli occhi, battendo le palpebre come per schiarire la vista, infine li ridusse a fessure: guardando la situazione da un punto di vista positivo, si era misticamente risparmiato un trauma cranico. Victoire! Finalmente le sue attenzioni ricaddero sulla povera anima priva di sensi stesa al suo fianco; esitò qualche attimo, incerto su come muoversi in una situazione simile, e alla fine optò per puntare l’indice contro la sua spalla e spingere una, due volte – niente segni di vita. Ora, era pur vero che il campo scientifico prediletto dall’Hilton non fosse la medicina, ma era comunque abbastanza certo che quello non fosse un buon segnale. Strinse le labbra in una linea retta, e provò un’altra volta, fronte aggrottata in un misto di concentrazione e disperazione crescente; e ancora silenzio. In…te…ressante. Neanche fece caso alle sostanze (varie e indescrivibili: avrebbe dovuto bruciare quella maglietta una volta tornato a casa) appiccicose che gl’infestavano i vestiti, troppo occupato a pensare a come uscire illeso da un’accusa di omicidio con così tanti testimoni. Si guardò attorno spaesato; infine, debole come una foglia in autunno, mormorò: «sei… sei viva?» alla sconosciuta che, in un cambio d’eventi affatto scontato, lo colpì in piena faccia con un braccio, gli occhi rigorosamente chiusi. Eh, beh; forse, dai.
    Felice quantomeno di aver evitato il carcere, si alzò da terra, barcollante e con il palmo della mancina fisso sul punto in cui, ne era certo, di lì a poche ore sarebbe spuntato un bernoccolo davvero poco attraente. Alzò la mano libera in aria, sorriso debole a dimostrare che non fosse accaduto qualcosa di grave – eeee nessuno se lo stava filando. Apposto così. Fece per chiedere a Bunny se stesse bene, ma la domanda venne troncata sul nascere: la stessa Bunny, di fatti, strillò un «era tutto sotto controllo!» che lo fece dapprima sussultare, preso alla sprovvista da tanta rabbia, poi indietreggiare. Rimase fermo ad osservarla per più tempo del necessario, Darth, braccia abbandonate ai fianchi e sguardo vacuo. Spostò nuovamente gli occhi sulla super fan che aveva cercato di staccarle la testa, e: «nulla, assolutamente nulla era sotto controllo.» Scandì parola per parola, sopracciglia arcuate mentre, inutilmente, cercava di comprendere se fosse stupida o solo eccessivamente ottimista. Volle convincersi della seconda opzione. «Scusa. Non sono fatta per tutta quest'azione, mi dà alla testa!» e ridacchiò anche Darth, divertitissimo!, prima di replicare con un «non l’avrei mai detto» a bassa voce, senza vera acidità nel tono; infondo ai casi umani voleva sempre bene. Passò una mano sui pantaloni, stirandoli con le dita per darsi un minimo di contegno e, soprattutto, nascondere il disagio che stava provando in quel momento: gli sembrava terribilmente scortese buttare una banconota sul bancone e andarsene per primo, ma era al contempo conscio del fatto che più tempo passava, più la voce si spargeva. Tempo venti minuti e il locale si sarebbe riempito di adolescenti iPhone muniti con altri bellissimi cocktail da buttare sulla testa della bella Bunny; grazie, non ci teneva troppo. Un bene, dunque, che la ragazza sembrasse della sua stessa opinione: «qui la situazione si è fatta un po’… strana. Ti dispiace se…?» Annuì vivacemente, mai stato felice di tornarsene a casa quanto quella sera. «uh–» «dovrei cambiarmi.» «certo, certo. Lascia che– aspetta un attimo.» E si avvicinò al cappotto, ancora illeso per volere divino, probabilmente, e tirò fuori dalle tasche portafoglio e cellulare; quindi mandò rapido un messaggio all’autista che, fedele come un cane (leggi: pagato), lo attendeva all’angolo della strada così da poterlo recuperare rapidamente qualora le cose si fossero messe male. Infine lasciò una somma generosa sul bancone, lo sguardo ad alzarsi di tanto in tanto per poter incontrare quello imbarazzato del barista. «lo so che sei stato tu.» Si riferiva alla soffiata, ovvio; stronzetto. «ma farò finta di nulla: chiama un ospedale per la tipa–» e inclinò la testa di lato per indicare la ragazza stesa a terra, del tutto ignorata dalla clientela: praticamente un oggetto di scena. «…e accertati che stia bene.» E prese le sue cose, andando poi a sfiorare la spalla di Bunny per attirare la sua attenzione e guidarla verso la porta, ma non prima essersi premurato di spiegare: «ti accompagno a casa.» E sorrise cordiale, salvo disguidi; di certo non si sarebbe lanciato su di lei in un momento simile. Aveva una reputazione, insomma. E un codice morale, ma dettagli.
    darth + heather
    chronokinetic
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    pisces
    mercurial
    la scienza (e gli esperimenti umani) (cosa? cosa) + i suoi granchi da combattimento clandestino + il trash puro
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    hate
    paris hilton + le persone che gli fanno stalking per un selfie su instagram + tnz + perez hilton, the original obsessive fan
    Together we'll sail across the sea reminiscing every night
    in the Meantime, baby, I ask you to be my Valentine
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco


    cinque bicchieri di vino dopo
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