Posts written by r a n t i p o l e

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    OMG! Ho trovato la figurina di elias raikkonen!
    link role: i wonder if your therapist knows everything about me
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    franklyn daniels
    jekyll orwell crane-winston
    I've been tossed like a bag of trash
    Life hates my guts, yeah, it kicks my ass
    But I don't let shit get to me
    'Cause I'm not some sob story
    «mh, non sono d'accordo. ci sei andato davvero vicino.» sebbene la bottiglia vuota – forse anche più di una: non le aveva davvero contate da quando era arrivato al motel, né gli interessava più di tanto; a dire il vero aveva smesso di farlo quando aveva compiuto il diciassettesimo anno di vita, e la scusa del non essere un asso in matematica giocava sempre a suo favore – avrebbe potuto testimoniare il contrario, aveva bevuto troppo poco per sopportare la presenza di altre persone all'interno della fragile bolla di sapone nella quale si era rinchiuso, precario spazio liminale dai confini trasparenti nel quale voleva esistere da solo con il proprio non particolarmente ottimo umore. Aveva accettato l'incursione forzata del Raikkonen perché era abituato alla sua esile figura che si intrufolava, senza invito o avvertimento alcuno, laddove non aveva controllo né potere decisionale – ma anche perché non aveva creduto fino all'ultimo secondo che ci fosse realmente, o che esistesse realmente: se si trattava soltanto del frutto della sua fervida immaginazione, prima o poi sarebbe svanito come al solito. Il biondo che si ritrovava di fronte aveva visto il Jekyll più vulnerabile senza che quest'ultimo potesse opporsi più di tanto, i posti nei quali si rifugiava e quelli a cui dava fuoco per sentirsi meglio: avesse saputo interpretare i sogni nei quali errava senza ritegno, avrebbe potuto dire di conoscerlo meglio di quanto non facesse lui stesso. Per questo, farsi vedere in una condizione particolarmente lontana dall'immagine che di sé il pirocineta aveva costruito, in quel preciso istante, non lo turbava: fosse stato qualcun altro – la sua famiglia, i suoi amici –, avrebbe fatto carte false per trasformare lo scoppio di quella bolla in un'esplosione nel cui caos reinventarsi di punto in bianco.
    Se fosse rimasto in silenzio, sarebbe stato perfetto: che se di voglia di vedere altre persone ne aveva poca, di parlare ancor meno; figurarsi poi di aprire una conversazione in quel modo.
    La piega sulle labbra del Crane-Winston era morbida, calda di un tepore che non sentiva ribollire all'interno, quando si avvicinò appena all'altro per ripetersi, con il tono più quieto del mondo: «non abbastanza.»
    Liquidò in fretta la questione, ispezionandolo per accertarsi di non avere le allucinazioni: non vedeva alcuna necessità di approfondire l'argomento con qualcuno che, in fin dei conti, era poco più di un perfetto sconosciuto. Non l'avrebbe fatto con chi si fidava (Hyde: il fratellino era l'unica persona nelle cui mani avrebbe messo la propria vita; non che non avesse fiducia nella sua famiglia, nei suoi amici, ma non erano le stesse persone che aveva perso e lasciato andare sette anni prima e venti anni dopo), figurarsi con Elias. Strinse con un po' più di forza la presa sul viso del fu Linguini, mostrando quanto fosse divertito da quel suo «in carne ed ossa» mostrando i denti nel sorriso sardonico. Albano – il serpente albino che teneva con sé dagli Emirati Arabi – aveva sicuramente più carne di quanta non stesse toccando in quel momento: sentiva che se avesse fatto un po' più di pressione, avrebbe rischiato di spezzargli qualche dente.
    «sono un sogno, è una reazione normale.» si lasciò guidare, abbandonando la tenaglia dal volto e abbassando la mano per portarla a cercare le chiavi della camera. , quella era una festa, e , sapeva che bere in compagnia fosse più bello: che non fosse stato invitato però all'altro pareva non tangere più di tanto, quindi ritenne superfluo farglielo notare. Poteva fare uno sforzo, e magari sperare che avendo qualcuno lì la capacità di scrivere tornasse ad affacciarsi – chissà, magari anche solo insulti.
    «e poi, qualcuno deve assicurarsi che tu non sia sopravvissuto alla guerra solo per essere ucciso da benzina sottomarca. sarebbe un peccato.» prì la porta in silenzio, senza invitarlo ad entrare ma nemmeno impedendogli di seguirlo. «perché?» lo aveva mandato sua madre, per caso? Ma la domanda era rivolta più che altro alle ultime parole del maggiore. Sarebbe un peccato: ma cristo, era il suo sponsor? Perché non ricordava di aver partecipato ad alcuna seduta degli alcolisti anonimi. E se l'aveva presa come missione personale, per qualche assurdo motivo, almeno che glielo spiegasse. Stappò il whiskey, ma non si premurò di prendere i bicchieri prima di attaccarsi al collo della bottiglia. Arricciò il naso assaporando il chiaro gusto di benzina torbata, e con uno schiocco di dita si accese una sigaretta. «sarebbe un peccato perché hai avuto qualche illuminante visione sul mio futuro?» che senso aveva fingere di non sapere di cosa fosse in grado, o che non fosse a conoscenza del mondo dal quale entrambi provenivano. «l'ultima volta non è stata così entusiasmante, quindi insomma...» si strinse nelle spalle, prima di lanciargli un tramezzino appena comprato. «e mangia qualcosa, cristo santo.»
    29 | 1993
    pyrokinesis
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    arrested youth


    Edited by r a n t i p o l e - 12/1/2024, 14:06
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    franklyn daniels
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    «posso?» sorrise genuino, Franklyn Daniels, ma sapeva già che dietro le labbra stirate la coetanea avrebbe visto molto di più. Era il suo lavoro, tutto sommato – chissà solo quel giorno quante volte gli fosse già toccato decifrare le mani sfregate convulsamente tra di loro, o gli sguardi sfuggenti; quante volte avesse dovuto ascoltare oltre un silenzio protratto per l’intera durata di una seduta, e quante invece non si era fatta scalfire dall’aggressività, cercando di comprenderla nonostante tutto. Lui non ci capiva nulla di psicologia, assolutamente zero, ed in quasi trent’anni di vita aveva sempre evitato gli strizzacervelli come la peste: era una mente troppo oscura, la loro, e si sentiva del tutto legittimato ad esserne terrorizzato; nei suoi turni al San Mungo, tuttavia, tra una chiacchierata che aveva sempre cercato di rendere più leggera e stupida di quanto non fosse stata in principio e tutti i suoi interventi per riportare gli studi degli psicomaghi ad uno status quo più consono all’ambiente ospedaliero, aveva iniziato a comprendere come funzionassero. Continuavano a non piacergli, forse ancor di più che quando poteva credere d’essere completamente ignorante in materia.
    Per questo non attese la risposta di Idem – sapeva già che non gli avrebbe detto di no, e che avesse quei pochi minuti di pausa che il periodo post guerra raramente concedeva a lei e i suoi colleghi: invadente lo era da quando poteva farsi tranquillamente chiamare Jekyll dal mondo intero, ed il “rispettare i paletti altrui” non era mai stato uno dei suoi punti forti; avrebbe alzato i tacchi immediatamente se solo gli avesse dato il minimo segno di voler rimanere da sola, ma non era geneticamente programmato per non rompere il cazzo alla gente –, gettandosi sulla sedia e trasformando la piega gioviale in un’espressione di dolore misto a sollievo, la mano a massaggiare la coscia. La penultima delle sue intenzioni era quella di venire psicanalizzato, gratuitamente e senza alcun appuntamento, dalla ragazza – veniva superata soltanto dall’idea di pagare volontariamente per sdraiarsi su un lettino e parlare dei suoi problemi.
    Non c’era alcun problema che avesse il desiderio di celare dietro al solco impreciso e tremulo dipinto sul viso, in fondo; perché avrebbe dovuto essere il contrario? Esternare le proprie emozioni non era mai stato difficile per il pirocineta; anzi, in molti gli avevano detto che fosse fin troppo esplosivo nell’esprimerle. Il quesito non poteva porsi in partenza.
    Allora smetti di portelo, no?
    «stavo per chiederti della gamba, ma...» liquidò la questione con un vago cenno della mano che aveva appena liberato, dopo aver lasciato sulla scrivania della Withpotatoes il solito che sapeva avrebbe preso se avesse avuto il modo di andare al bar dell'ospedale – aveva indubbiamente più tempo libero di loro: gli piaceva approfittarne alternando quei piccoli pensierini tra lei, Stiles e Lupe, o Dominic e Sinclair; completamente disinteressato e cercando di fare meno preferenze possibile, ma senza poter negare di fermarsi dagli ultimi due più a lungo di quanto non facesse con gli altri. «va meglio!» quello era poco ma sicuro, considerando che almeno la muoveva ed era ancora attaccata al resto del corpo; quanto andasse meglio era un altro paio di maniche. Aveva stupidamente (se ne rendeva conto persino lui) ritardato l'operazione della coxo... qualcosa perché era certo ci fosse chi era messo peggio di lui e riteneva che qualcosa di rotto con un nome così assurdo non dovesse essere qualcosa di tanto grave; impegnarsi nell’ignorare il danno non aveva sortito gli effetti desiderati, ed aveva reso il recupero solo più lungo e doloroso. Quantomeno, non aveva più bisogno di usare le stampelle – checché ne dicesse un Dominic urlante ed al limite della rassegnazione che voleva costringerlo ad un’altra settimana di riposo e minimo altre due con le canadesi.
    «avevo solo bisogno di sedermi un attimo, è tutto il giorno che sto in piedi.» asserì in tutta onestà, senza alzare lo sguardo: non voleva sentirsi giudicato per... qualcosa, men che meno da un’amica – aveva già Nice per quello.
    «magari dovresti davvero stare a riposo, sai...» uh, o magari no. «nah, mi annoio a casa! sto bene.» nemmeno si rese conto del fatto che si fosse seduta dall'altra parte della scrivania, braccia poggiate sul legno e mani congiunte.
    «sicuro?»
    Alzò il capo, sorridendo agli occhi blu che sembravano volergli scavare nel cervello – peggio per lei: rischiava di perdersi nel vuoto cosmico o rimanere tanto confusa da quel trambusto quanto lo era lui ventiquattro ore al giorno, sette giorni su sette. «ma sì, sto bene, non fa così male.» ed aveva degli antidolorifici miracolosi sempre a portata di mano. Era consapevole, in cuor suo, che la medium non si riferisse al suo stato di salute fisico; con altrettanta certezza, sapeva di non voler fare il suo gioco.
    Non aveva niente da dire, Jekyll.
    Sbuffò una risata morbida, eppure acida sul palato e pesante nel petto. «davvero, sto bene!» non l'aveva detto abbastanza volte da poter risultare convincente? Assurdo. «qui è tutto apposto, invece? qualche schizzato ha esagerato?» prese nota della microespressione della ragazza, del naso arricciato per un millesimo di secondo: era cosciente del fatto che ci fossero parole tabù da non usare in presenza degli strizzacervelli, e si era morso la lingua prima di aprire bocca – eppure non si era frenato, e sentiva che poco avesse a che fare con quel filtro cervello-bocca che ogni tanto andava ripulito.
    «tutto ok, tranquillo.» il sorriso che gli rivolse suggerì al biondo che qualsiasi tattica avesse avuto in mente, non aveva funzionato come previsto: dopotutto era Hyde lo stratega in famiglia, ed essendo stati un pacchetto unico da che avesse memoria non aveva mai avuto bisogno di sviluppare particolari abilità in quel senso. Deglutì, annuendo ed accennando una piega forzatamente simile a quella della psicologa. «lo sai, vero?, che se –» lo sapeva, e non era interessato. Grazie al cielo il cercapersone magico iniziò a suonare prima ancora che potesse fingere qualcuno lo stesse cercando. «scusa, devo andare, il mondo ha bisogno di me.» si alzò, non senza difficoltà, liquidando la questione in sospeso con un ultimo sorriso a trentadue denti. Non riusciva perché continuava a sedersi sulla sua poltrona, o su quella dello Stilinski, pensando ogni volta che non avrebbero cercato di prendergli la testa tra le mani e scuoterla come una maraca. «davvero, tutto ok – e poi ho un paio di giorni di riposo!» una considerazione che poteva servire a rafforzare quella convinzione, quanto a volerle dire che fosse solo stanco e che avrebbe approfittato di quello smonto dal lavoro per dedicarsi al relax.

    Era esattamente quello che aveva fatto.
    Che poi il suo staccare la spina si riducesse all’accartocciare l’ennesimo foglio di carta scarabocchiato, tentare di farci canestro nel cestino all’angolo della stanza fallendo miseramente, e constatare che un’altra bottiglia di whiskey fosse quasi finita senza che potesse accorgersene, era un discorso che non doveva affrontare con nessuno se non che con sé stesso.
    Sospirò, palpebre pesanti a coprire gran parte del verde acqua delle iridi, picchiettando il cappuccio della penna a sfera sul quaderno. Lo stesso che aveva aperto non appena aveva messo piede in quel motel la sera precedente, e sul quale in una ventina d’ore non aveva scritto alcunché che gli fosse sembrato necessario tenere. Sapeva di avere talento, Jekyll, di saper scrivere; non aveva nemmeno mai dovuto faticare per tirare fuori un pezzo, da quelli privi di senso a quelli che l’avevano costretto a rintanarsi in camera sua per giorni prima di riuscire a metabolizzare cosa avesse messo per iscritto.
    Ma ormai era un po’ di tempo (se così poteva definire qualche anno) che portare a termine qualcosa gli costava giorni, quando non settimane, e nell’ultimo periodo non aveva fatto altro che riempire i secchi dei luoghi più disparati in cui si andava ad isolare alla ricerca di – di cosa? Voglia ne aveva, ispirazione non era mai mancata.
    Mandò giù l’ultimo sorso, consapevole di doversi alzare ed andare a comprarne altro allo squallido minimarket sotto la sua camera – ma per fortuna, quella merda sottomarca era abbastanza scadente da colpire con la forza di mille soli e rendere il dolore alla gamba un lontano ricordo: lo aveva detto (lo aveva detto?) ad Idem che avesse degli antidolorifici da far paura, e che erano in grado di lenire sofferenze provenienti da ogni singolo fronte.
    «e quindi non sei morto: sconvolgente.» sollevò la testa di scatto, sbattendo le palpebre un paio di volte per mettere a fuoco la figura davanti a sé. Ancorò la presa sulla busta che non ricordava di aver riempito già, ma non si stupì di aver rimosso il viaggio fino al negozio e l’indifferenza del commesso nel trovarselo di nuovo lì, nel tardo pomeriggio, a fare rifornimento di alcolici e cibo spazzatura. «ma scommetto che ci sei andato molto vicino.» sorrise, per quanto il pigro angolo destro della bocca a scattare verso l’alto potesse valere come tale. «non abbastanza, a quanto pare.» divertito, Jekyll, dalla barzelletta che era la sua esistenza. Umettò le labbra, allungando la mano libera per afferrare il viso del biondo davanti a sé senza pensarci due volte; spinse appena pollice e indice sulle guance irsute del maggiore, piegandogli il capo da una parte all’altra. «ma pensa,» sbuffò una tiepida risata. «sei vero
    Conosceva Elias Raikkonen, così come in un’altra vita aveva conosciuto Kimi Linguini: casualmente, superficialmente, come uno scherzo del fato a sferrargli un calcio nelle palle senza che avesse fatto nulla per meritarselo. Non ne comprendeva il perché, né tantomeno il come; era solo apparso nella sua vita, di punto in bianco, ed il vigilante non aveva mai fatto alcunché per tenerlo fuori dai suoi sogni.
    E poi aveva semplicemente smesso di esserci, senza nemmeno degnarsi di avvisarlo – dopo che aveva osato dargli un punto di riferimento in mezzo a quel caos.
    Figlio di puttana.
    «iniziavo a credere non esistessi davvero.» ed avrebbe implicato che avesse iniziato a pensare a lui in maniera del tutto spontanea e non richiesta, il che era tutto fuorché normale.
    29 | 1993
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    nickname: zugzwang.
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    PE accumulati sulla carta fidelity: 20
    scheda livelli:
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    isaac | twat | kiel | jekyll


    aggiornato

    Edited by ‚soft boy - 17/8/2023, 11:30
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    nickname: r a n t i p o l e
    gruppo: special born
    link in firma? patata


    e abilito
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    nome personaggio:
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    [URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/?t=62283727]Franklyn Daniels[/URL]

    dichiarato?


    e aggiorno
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    [URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/m/?t=62283727]Franklyn Daniels[/URL]

    - security dove capita

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    [URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/m/?t=62283727]Franklyn Daniels[/URL] - <b>pirocinesi </b>

    razza: nato special
    abilità innata (max 1): ---
    abilità appresa (max 2, o 1+1): ---

    e aggiorno
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    </li><li>[URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/m/?t=62283727] Franklyn Daniels[/URL]

    MANGIAMORTE

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    grey damon Franklyn Daniels scheda pg

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    <span class="pv-m">grey damon</span> Franklyn Daniels [URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/m/?t=62283727][color=#A33213] scheda pg[/color][/URL]


    e aggiorno
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    jekyll crane-winston
    I got rage every day, on the inside
    The only thing I do is sit around and kill time
    I'm trying to blow out the pilot light
    I'm trying to blow out the light
    Avrebbe preferito non svegliarsi affatto, Franklyn Daniels; restare disteso sulla stessa radura nella quale era stato gettato, ferito e stordito, con una quantità di sangue a bagnare l'erba di Stonehenge maggiore di quanto avesse mai creduto di averne in corpo.
    Gli sarebbe piaciuto – più di quanto non avrebbe mai ammesso davanti a quei bicchieri di whiskey, o davanti al proprio riflesso allo specchio – godersi quel riposo ed accettare una fine del genere: un’uscita di scena poco spettacolare ed affatto gloriosa, completamente opposta rispetto a come sin da bambino aveva immaginato se ne sarebbe andato, ma dalle sfumature così ironiche da far ridere davvero in pochi – lui di certo. Non avrebbe trovato poi troppo assurdo se il fato avesse deciso di mantenere fede ad una parola data alcuni anni prima, e molti anni dopo, proprio quel giorno e proprio in quella città: la storia tendeva a ripetersi all'nfinito, d’altronde, senza mai suonare ridondante; se ci fosse morto, nell’esplosione di Brecon, avrebbe soltanto adempiuto a quel dovere vergato in lettere scarlatte sul contratto di nascita di una stirpe maledetta. Gli sarebbe andato bene; avrebbe accolto quell’epilogo senza opporsi nemmeno con un dito – conscio, in quel singolo istante di lucidità tra i colpi finali ricevuti nella cattedrale e la perdita totale dei sensi, che sarebbe stato meglio se fosse andata così: avrebbe smesso di fare male. Non un pensiero sul quale si fosse mai soffermato più del necessario, o che avesse mai preso più seriamente del dovuto, ma si era presentato – subdolo, a strisciare sotto la pelle come l’inchiostro a macchiare braccia e gambe; voleva morire, Jekyll?. Un sibilo messo sempre a tacere, nascosto tra le righe di una nuova canzone o affogato nel fondo di una bottiglia, sopito dal solito sorriso e l’ennesima cazzata detta o compiuta prima che potesse concretizzarsi in una domanda di fatto: se non fosse esistito davvero, non avrebbe avuto alcun motivo di riflettere su una risposta. Ma si era ripresentato, e forse il trauma cranico era stato provvidenziale – perché non aveva abbastanza alcol tra le mani, né un pezzo di carta dietro cui rifugiarsi; niente che potesse impedirgli di pensarci davvero.
    Ma avrebbe comunque preferito non sentire la voce di Dominic, né percepire l’effetto dei suoi incantesimi; se lo avesse semplicemente trascinato via, lasciandolo dormire cullato da sogni in cui gli veniva ripetuto con insistenza che fosse un coglione – niente di nuovo sul fronte occidentale – e che glielo avesse detto, di non andare nel Galles. Avrebbe gradito non aprire gli occhi su una Stonehenge in rovina; sarebbe stato grandioso non essere cosciente – se così poteva essere definito lo stato soporoso nel quale si era ritrovato ad osservare il mondo –, quando la nube scura lo raggiunse.
    O quando raggiunse l'Hansen. Quando lo uccise, davanti ai suoi occhi e senza che potesse fare niente. Nemmeno riderne, come se ci fosse qualcosa di divertente, esilarante, nel dover vedere quel ciclo ripetersi – nel non essere altro che mero spettatore mentre la sua famiglia non smetteva d'essere fagocitata dalla narrazione, alla stregua di un tumore incurabile e che continuava a recidivare. Poco poteva importare, al Crane-Winston, che quello fosse un altro Sin: lo guardava, assente a sé stesso ed al mondo, e non vedeva altro che lo zio che gli era stato vicino mentre iniziava a scoprire i propri poteri, che gli sorrideva mentre spegneva i piccoli incendi che andava appiccando ovunque ci fosse qualcosa che poteva prendere fuoco, che lo aveva preso per le spalle e gli aveva detto che ne aveva visti tanti, davvero tanti, e che lo avrebbe aiutato sempre; uno dei pochi che fosse sempre rimasto.

    Non sapeva cosa l’avesse spinto a trascinarsi fino al pub – letteralmente: se la vegetazione di Brecon non gli aveva direttamente amputato una gamba, era solo per miracolo; o per sfortuna, dal momento che gli sarebbe toccato sopportare quel foro alla coscia per Dio solo sapeva quanto tempo. Probabilmente l’aver visto Run, sana e salva, portare via Turo; magari assistere al ritorno dell'idrocineta, e degli altri con lui, ed essere sicuro che, in un modo o nell'altro, fossero ancora tutti vivi. Forse la voce del Cavendish, i suoi occhi, la necessità di fargli l'unica promessa che era sicuro al cento percento di poter mantenere – che l'avrebbe fatto uscire da quel posto sui gomiti, senza nemmeno ricordarsi il suo nome.
    Di certo, il bisogno di un reset di fabbrica prima di tornare a casa da Hyde: voleva solo raccontare delle cose belle, al capo del consiglio – che un cecchino gli avesse sparato più volte, che lo avevano accoltellato al petto, che era esploso (la sua parte preferita), che anche Jericho Fucking Lowell lo aveva pugnalato perché le aveva rubato una kill; tutte cose che era certo suo fratello avrebbe apprezzato, che l'avrebbero fatto sorridere.
    «sei sicuro di potertelo permettere?» sollevò un sopracciglio, mascherando il dolore nel sedersi sullo sgabello dietro ad un sorriso sghembo. Non aveva modo di dubitare delle disponibilità economiche del minore, ma del fatto che non avesse compreso quante bottiglie sarebbero venute a mancare dal runner del barman . Prima tra tutte quella con cui aveva riempito i bicchieri, che con un eloquente cenno della mano invitò il ragazzo dall'altra parte del bancone a lasciare davanti a loro. Incendiò entrambi i whiskey, senza farsi pregare due volte da Dominic dopo quella che forse avrebbe voluto fosse una battuta – oh beh, il pirocineta era molto serio quando si parlava di alcol. «alla tua, allora.» incrociò lo sguardo ed il bicchiere del biondo, prima di mandare giù il liquido ambrato ancora in fiamme – e di riempirli nuovamenoete, ed ingollare come se nulla fosse, e rinzepparli ancora. Lasciò che il distillato scivolasse lungo tutte le pareti interne del suo organismo, come miele a lenire le ferite ancora aperte; occhi chiusi e palpebre serrate, mentre ogni singola goccia s'imprimeva come l'ago di un'enorme siringa su un cervello già provato da un'importante botta alla testa – avrebbe potuto chiedere al dottore al suo fianco quanto fosse opportuno bere dopo un trauma cranico del genere, ma aveva scelto di vivere il rischio.
    «se vuoi, puoi stare da me.» accennò, iridi verdi e azzurre fisse sulle onde nel vetro, ripensando a quanto gli aveva detto in precedenza. «cioè, non da me da me la politica sugli ospiti in casa Crane-Winston era molto severa, non voleva che Hyde uccidesse il Cavendish. «da me.» chiaro. «ho un posto.» in cui andava a rifugiarsi, ma era disposto a condividerlo con Heathcliff.
    Non Heathcliff, Dominic.
    Lui, insomma.
    Si strinse nelle spalle, schioccando la lingua sul palato. «insomma, se non sai cosa fare.» ed alzò di nuovo il bicchiere, attendendo l’amico facesse lo stesso prima di portarlo alle labbra.
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    - security dove capita
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    arms crossed with the attitude, lips pouted
    «ce l’ho già un lavoro»
    «come fai a chiamare quello lavoro…»
    In quella torrida mattinata d’agosto, Jekyll Crane Winston non aveva le forze necessarie a (vivere) sollevare il capo dalla sua tazza di Cheerios per volgere a Nice un sopracciglio inarcato e lo sguardo più offeso che potesse mettere su. Avrebbe voluto, ed avrebbe dovuto, ma aveva dormito troppo poco – e troppo male – per concentrarsi su altro, persino sulla Hillcox che parlava male della sua carriera da rapper. Versò due dita di whisky nel mix di latte e cereali, spingendo quest’ultimi più a fondo: la colazione dei campioni, un metodo efficacissimo per fare pace con il troppo alcol della sera (e della notte, e delle prime luci dell’alba) precedente e per iniziare al massimo la giornata; aveva bisogno di carburante, il pirocineta, per essere così… così.
    «mi stai ignorando?»
    «mi sono appena svegliato»
    «ma è mezzogiorno…»
    «non giudicarmi, sono rientrato in mattinata.»
    Attese qualche minuto, godendosi il silenzio interrotto unicamente dal proprio masticare anellini di miele croccanti, per poi ritenere insopportabile tutta quella quiete che s’era andata a creare. Non era in grado, il Daniels, di esistere senza avere un costante rumore a ronzare nelle orecchie impedendogli di pensare troppo; aveva i suoi metodi per tenere la mente occupata, ma si rendeva conto di non poter passare ventiquattro ore al giorno sotto i fumi dell’alcol o le lenzuola di qualcuno. «e poi, cosa vuoi che faccia?» si strinse nelle spalle, ancora senza cercare gli occhi chiari dell’amica – che, lo sapeva, per interessarsi così spassionatamente alla sua vita lavorativa doveva o avere un proprio fine, o tenerci davvero tanto. Cosa che non avrebbe mai ammesso, e che forse nemmeno era così vero: sosteneva di capire le persone, Jek, ma raramente sapeva davvero cosa dicesse loro la testa; l’unico che poteva dire di conoscere davvero, era suo fratello. «insomma…» guardami: sono un buono a nulla, no? «il mio punto forte è la musica -» «ma non sta andando bene.» «non sei d’aiuto -, e rompere le palle a Hyde.» sottinteso, ancora, ma che non aveva bisogno di dire alla ragazza: non sono bravo in altro. Aiutava Ethan con i draghi, sì, ma quella era una passione: non avrebbe mai pensato di chiedere soldi all’Huxley per parlare con i rettili quando capitava di lì.
    Al San Mungo avrebbe fatto solo danni, così in qualsiasi livello del Ministero. Aprire un’attività sarebbe stato anche peggio, avrebbe fatto fallire non solo quella ma probabilmente l’intera economia del mondo magico inglese – come, non ne aveva idea; sapeva solo di esserne in grado. Era un portento. «se conosci un lavoro in cui potrei applicare queste mie qualità, dimmelo.»
    «…»
    «…»
    «…»
    «…»
    «…»
    «oh mio dio, ho un’idea.»
    «oh no.»

    Oh sì.
    O almeno, idealmente.
    Perché se si era deciso, mesi prima, a fare un colloquio come addetto alla security, era nell’ottica di passare il tempo con sua sorella e sua cugina perlopiù nel secondo livello del Ministero, a spiare Jack e ad assillarlo con la sua presenza non solo a casa, ma anche in ufficio.
    E a controllare stesse bene, che non si esponesse troppo, che non rischiasse nulla.
    Non aveva idea del fatto che avrebbe dovuto fare la spola tra gli uffici governativi, l’ospedale magico ed Hogwarts.
    Non erano quelli gli accordi.
    Erano esattamente quelli, gli accordi.
    «eddai, mabe.»
    Zittì la voce della sorella nella sua testa – che era sempre stata un po’ la voce della propria, inesistente, coscienza, insieme a quella di River –, scansando un paio di studenti del primo anno lungo il corridoio del terzo piano del castello.
    Ma nonostante non fossero quelli gli accordi, checché ne dicesse la voce di sua sorella, aveva imparato in fretta e furia a adattarsi a quell’imprevisto. Insomma, stare nella scuola magica aveva i suoi vantaggi: aveva già trovato a chi rompere le palle tra gli adulti, con chi fare comunella, gli studenti preferiti con cui andare a farsi le canne di nascosto (ma anche professori, docenti, altri colleghi di security, gente che passava lì per caso… vabbè dai, chiunque…).
    Soprattutto, volete mettere l’opportunità di fare stalking alla sua famiglia? Probabilmente Maeve già si stava pentendo di averlo messo al mondo, non avendolo nemmeno ancora programmato («non sei stato programmato, papà dice sempre che sei uscito per errore» cit. qualsiasi figlio dei Crane-Winston, ad un certo punto della propria esistenza), dopo tutte le volte che aveva fatto irruzione nella sua aula per portargli qualche studente che aveva rotto le palle in giro per la scuola, o per controllare che nessuno stesse facendo danni lì dentro. Amalie ok, ormai si era abituata alla sua invadenza anche in quella vita, immaginava non si accorgesse nemmeno della sua presenza quasi costante nella stanza degli psicomaghi. Flow e River – o Oscar e Arturo, come preferivano – prima o poi sarebbero scappati da quella scuola senza diploma, per fuggire dai suoi pedinamenti.
    Era tutto bellissimo.
    Peccato che dovesse anche lavorare, una vera rottura di coglioni.
    «ehi, coglioncelli» se mamma Maeve lo avesse sentito, gli avrebbe dato uno scappellotto tra capo e collo: quasi poteva sentire la sua voce (minchia, ma quante voci sentiva) (tante) (magari prima o poi si sarebbe fatto controllare) (nella prossima vita) dirgli di scusarsi con quegli studenti.
    Prese per la collottola uno dei due ragazzi, quello che aveva trovato in una posizione di supremazia, sollevandolo con fin troppa facilità per appenderlo al muro – ma con delicatezza: vabbè che vabbè, ma mica voleva correre il rischio di fargli male –, e con un cenno del capo invitò l’altro – col naso evidentemente rotto e sanguinante – ad andarsene via da lì. «corri in infermeria, prima vai e meno farà male rimetterlo a posto» suggerì, quando notò un’iniziale reticenza del ragazzo a muoversi. Da una prima occhiata alle divise dei due, era facile intuire che quello col sangue sulla camicia voleva assicurarsi l’altro venisse punito nell’immediato. Peccato che Jekyll non volesse.
    Mise giù lo studente solo quando fu sicuro che il Grifondoro fosse uscito dal corridoio del piano infestato, sistemandogli con delle poderose pacche le pieghe che gli aveva procurato sui ricami violacei. «non ho iniziato io…» «ma hai finito tu, no?» gli prese la faccia tra le dita, e avvicinandosi col viso prese a studiarlo smuovendolo tutto. «e non hai neanche un boh… un graffio, un livido… che tristezza, martin» perché sì, il pirocineta conosceva il coglioncello in questione: era un ragazzo un po’ esuberante ma non un attaccabrighe, fumantino ma tutto sommato un bravo ragazzo. «possiamo parlarne un’altra volta di quello che è successo, mh?, ma la prossima che ti becco sopra un mago ti porto in sala torture» sollevò un sopracciglio, smorzando subito le parole a fiorire sulle labbra dischiuse. «oh, lo sai che non voglio, ma meglio che ti ci porti io che non la queen. a meno che tu non abbia kink strani, non ti giudico – anzi» alzò le mani. «ci sta di brutto, zio. ora sparisci e vai dalla winston a spiegarle quello che è successo.»
    Attese di vedere il fumo sotto i piedi del ragazzo, prima di buttare fuori l’aria e rilassarsi. Non gli piaceva fare la persona seria, non ci credeva nessuno: poteva farlo per una volta al giorno e basta. Con gli studenti poteva ancora un po’ funzionare, non lo conoscevano, ma prima o poi avrebbe perso di credibilità anche con loro. Fortuna che o si diplomavano, o morivano; c’era un continuo riciclo lì dentro.
    Troppo bello.
    Mio dio aiuto è orribile.
    «ah, credo di meritarmi una pausa» chissà quando aveva iniziato a parlare da solo, assecondando le voci nella sua testa. Si sentiva un po’ il personaggio di un anime che deve commentare qualsiasi cosa stia facendo ad alta voce. Nemmeno si guardò attorno, assicurandosi non ci fosse più nessuno, prima di recuperare dal taschino della giacca una sigaretta poco legale ed intrufolarsi in un’aula aperta: chi poteva mai esserci a zonzo alle undici del mattino per il piano infestato?
    Nessuno.
    «julian???»
    Julian Bolton non era nessuno.
    «bello, ti sei perso?» domande lecite. Spinello tra i denti, impunito a pendere dalle labbra carnose del ventottenne, fece vagare lo sguardo chiaro e confuso per tutta l’aula, prima di concentrarsi sul portiere dei rosso-oro. Indicò prima lui, poi il mucchio di abiti, poi di nuovo lui, infine si grattò la radice del naso. «e sei… nudo… ok…» e, laddove una persona normale avrebbe lasciato la stanza e concesso al giovane spazio per ricomporsi, il Crane-Winston, chiuse la porta alle sue spalle. «aspetta… aspetta!» aveva capito tutto. «è un appuntamento segreto con joni, non è vero?» perché certo, sapeva tutto di tutte le ship di Hogwarts: fategli causa. «eh???»
    Non aveva capito un cazzo.
    rise against
    satellite
    You can't feel the heat
    until you hold your hand over the flame
    You have to cross the line
    just to remember where it lays
    You won't know your worth until you take a hit
    franklyn d.gifs cr.playlistaesthetic
  14. .
    A lot to unpack here. Very poco tempo per farlo.
    Il riassunto di Franklyn Daniels era: «AAAAAAAAAA» molto esplicativo. «COME SONO FIERO DI TE HEAT- no, DOM!!!!!» era andato a parare proprio dove voleva portarlo il pirocineta. Un piano ben congeniato, il suo.
    Hyde, somewhere over the rainbow: «ma se tu nemmeno sai pensare.»
    Doveva spingere il Cavendish a fare quello che aveva fatto, tifava per Nice e Dom da una vita o due, era proprio a dream comes true, voleva piangere di gioia per quel bacio strappato alla Hillcox così audacemente, già stava mentalmente scrivendo una canzone al riguardo, e -
    E. «Nice ma sei proprio una frigida, cosa fai. COSA FAI!!! LUI TI AMA!!!» che gli significava quella mano in faccia MA ERA SCEMA??? «RICKENBACH NON È IL MOMENTO DI MORIRE ORA L'INFERMIERE HA DELLE COSE DA RISOLVERE SE TI FAI MALE TI DO IL RESTO» cosa.
  15. .
    «SÌ RICKENBACH NON MORIRE, È IMPEGNATISSIMO!» cioè ma stiamo scherzan- aspè: «ma è il Mathews che rischia di morire MATHEWS VALE ANCHE PER TE!» ok, dicevo: ma stiamo scherzando? «ci starebbe benissimo un bacio, ma magari evitiamo dai» accettò di buon grado le braccia del Cavendish attorno al collo e strinse, a sua volta, le proprie alle sue spalle - ma aveva delle priorità di merda. «ma come “magari evitiamo”, Dommy!» Dommy. Terribile. «C'è la pioggia! C'è il goal! C'è» Nice che guarda, che giudica e che deve solo che imparare dal migliore. «l'atmosfera!!! Pensaci.» non voleva forzarlo, ci sarebbe mancato. Era una persona a modo, Jekyll.

    tifo serpeverde
65 replies since 9/8/2015
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