Votes taken by [a]telès

  1. .
    isaac lovecraft
    It's not worth it, it's not working
    You wanted it to be picture-perfect
    It's not over
    You don't have to throw it away
    «ma come hai fatto a ridurti così.»
    Deglutì impercettibilmente, chinando il capo fino ad osservare il braccio rotto attaccato al collo dalla fascia – più per fuggire lo sguardo di Sharyn, che non per constatare le condizioni dei traumi fisici della guerra. Serrò l'interno delle labbra nella morsa dei suoi stessi denti, dopo essersi reso conto di aver aperto bocca per rispondere, ma senza avere alcuna idea di cosa dire.
    Non aveva problemi a sostenere il contatto visivo della ragazza, anzi: nonostante tutto, e nonostante lui, avrebbe potuto restare a guardare gli occhi azzurri di lei senza mai distogliere l'attenzione per ore intere – perdersi nell'acqua limpida di quel lago, farsi trascinare nelle sue profondità dal mulinello di sfumature più torbide, e non dire assolutamente una parola. Non il dolore, né il senso di colpa o tantomeno la consapevolezza di averlo fatto per lei, riuscivano ad impedirgli di volerla cercare e rimanere vincolato a quel punto fisso. Poteva sopportarlo, ma non era giusto lo facesse anche lei; il disagio doveva essere tutto del Lovecraft, era un maestro in materia, non voleva che ci si sentisse lei.
    «io... uh...» soprattutto, non aveva intenzione di farle vedere quanto quel quesito fosse difficile da reggere. Da analizzare, razionalizzare, e scindere il contesto dal contenuto.
    Come aveva fatto a ridursi così era una domanda che si poneva ogni fottuto giorno che il karma decideva di porlo ancora davanti allo specchio, ma nulla riguardava gli scontri e tutto le iridi castane – e il viso pallido e scavato, i capelli scompigliati e le occhiaie pronunciate di chi la notte aveva smesso di dormire più di un'ora senza svegliarsi madido di sudore e panico – che ricambiavano il suo sguardo. Ma non lo sapeva, Isaac, come avesse fatto a ridursi così; non sapeva, come avesse fatto a ridursi così come, esattamente. Cos'era cambiato, cosa aveva fatto – perché.
    «mi è caduta addosso un po' di stonehenge.» aveva ponderato l'idea di rispondere altro, ma la sardonica (e spesso falsa) battuta del "avresti dovuto vedere l'altro" gli era morta in gola ancora prima che potesse prendere forma: non desiderava che Sharyn vedesse com'era ridotta Bells, e se avesse potuto se lo sarebbe risparmiato anche lui. «c'è a chi è andata peggio.» faceva male, certo, ma (aveva un Dominic crocerossina come amico) era stato decisamente fortunato a cavarsela solo con un paio di fratture: bastava guardarsi intorno, in quella tenda.
    Più che altro, l'ex corvonero avrebbe voluto stendersi ed approfittare di stanchezza e lievi traumi cranici per farsi una bella dormita (poco sana, ma probabilmente duratura).
    «davvero, ma che diavolo è successo» accennò una mezza risata, andandosi a sedere sul bordo del primo lettino libero: non aveva idea di quanto la Winston sapesse, ma la scelta delle parole era davvero ironica. «un casino.» breve e sintetico, ma quanto più efficace possibile: spiegare quanto visto e vissuto nella radura britannica, dopotutto, gli sembrava abbastanza complicato.
    Da dove poteva partire? Dalla gente catapultata dal nulla? Dalla voragine? Dai loro conoscenti uccisi e posseduti, o da quelli trasformati in special con uno schiocco di dita?
    Si passò la mano sana sul viso, le dita a premere sulle palpebre chiuse per cercare invano di cancellare molte delle immagini ancora fresche dalla memoria. «sono felice tu non ci fossi.» sospirò soltanto, incapace di trovare le parole giuste in quel momento. «tu stai...» deglutì, iridi scure a cercare – ancora, e per sempre – quelle chiare di Sharyn. «sì insomma... come stai?»
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    26 y.o.
    pavor
    tryhard
  2. .
    isaac lovecraft
    mahyem teddiursa tryhard
    I won't just survive
    Oh, you will see me thrive
    Can't write my story
    I'm beyond the archetype
    «e quindi. gli affari vanno così male?» sollevò un sopracciglio, spostando lo sguardo dalla sala del Captain Platinum che andava pian piano riempiendosi al viso di suo fratello, incontrandone gli occhi chiari. «no?» non nascose la punta di fastidio ed offesa nella voce, ed anche un pizzico di inattesa incertezza, il solito che in fondo era da sempre abitudine provare confrontandosi con Reese: lo adorava nonostante fosse un infame di prima categoria, ed era avvezzo ai suoi modi ruvidi e grezzi, ma ogni volta che ci parlava si sentiva in torto di qualcosa – ed a ragione, se soltanto pensandoci bene avesse potuto comprenderne il perché anziché ricevere soltanto immagini sfocate e suoni distorti; senso di colpa, disagio, ma per cosa?
    Il maggiore era un cliente abituale, sapeva che le cose lì andassero bene: come osava insinuare che fossero ridotti tanto male da aver bisogno di quello per ritirare su il locale. Ma, soprattutto: «cos'hai contro le feste a tema, scusa?» enfatizzò la domanda sistemando la collana di fiori colorati sopra la maglietta bianca, le rughe tra le sopracciglia a farsi più pronunciate.
    Una domanda abbastanza retorica, in realtà: sapeva bene cosa avesse da ridire – le persone, i colori, la gioia, la musica, la vita, tutto. Era un po' come avere un Dissennatore a chiedere (anzi, a pretendere: quanto avrebbe voluto non essere il proprietario del locale e potergli liberamente lanciare quel doppio whiskey in faccia) da bere al bancone, ma non poteva certo pretendere che tutti gli avventori fossero simpatici e con un briciolo di voglia di esistere su quel pianeta.
    Al contrario suo, sebbene non avesse messo mano all'organizzazione se non sistemando il locale e maledicendo Niamh per essersi presa i giorni di ferie proprio in quel periodo, Isaac era entusiasta: ammetteva che fosse una scelta bizzarra quella di fare un party hawaiano nel bel mezzo della grigia Londra magica, ma ne aveva visti di più assurdi; dopo la guerra, poi, forse quella era la cosa meno strana che si potesse decidere di fare.
    «potresti smettere di insozzarmi il bar con la tua negatività?» ci mettevano tanto impegno, lui e la Barrow, a mantenere le giuste vibes lì dentro. Versò il whiskey al ballerino del Lilum, sorridendogli prima di tornare sul Withpotatoes. «abbiamo già jay per quello.» un innegabile dato di fatto: chissà dov'era il Matthews, tra l'altro. Avevano tutti deciso di lasciarlo da solo ad affrontare una festa? Ok, poteva accettarlo. Non era più giovane come ai tempi dei festini clandestini ad Hogwarts, ma poteva comunque farcela.
    Schioccò la lingua sul palato, servendo sia Reese che l'altro ragazzo – che... aveva una faccia conosciuta, forse, chi poteva dirlo –, prima di rendersi conto del nuovo ingresso.
    «invece di lagnarti, mi sostituisci un attimo?» e prima che potesse rifiutarsi, saltò oltre il bancone posandogli il canovaccio sulla spalla e lasciandogli un buffetto sulla guancia. «grazie bro ti vu bi.»
    Tra le tante persone che aveva pensato di vedere varcare la soglia del Cap, non si era aspettato di vedere proprio Elwyn Huxley. Non poté negare, avvicinandosi a lui e distanziandosi dalla folla, di esserne felice – sorriso a trentadue denti, volto rilassato, un bicchiere di vino perché non era certo di cosa piacesse all'allenatore ma era abbastanza sicuro che tra queste non rientrasse lo stare in mezzo a un sacco di gente.
    «che ci fai da queste parti?» domandò, porgendogli il calice. «prima che tu me lo chieda: no, non ho mandato io gli inviti.» il che non era nemmeno troppo strano: era una festa immaginava pseudo-privata, era normale che fossero le organizzatrici a mandarli. Quel che suscitava interesse era quanto poco sembravano conoscersi tutti fra di loro, o il fatto che anche allo stesso Isaac fosse stato formalmente chiesto di restare. «mi fa piacere tu ci sia.» gli diede una pacca sulla spalla, cercando di nascondere l'imbarazzo di quel gesto nella piega delle labbra. Che fosse felice, era vero: era pur sempre suo fratello; era contento andasse a trovarlo spesso e volentieri quella merdina secca di un Reese, come poteva non esserlo se ad entrare nel bar era Elwyn?
    Il fatto era che fosse proprio Elwyn fucking Huxley. Aveva bisogno di un manuale per sapere come approcciarsi correttamente, come legare con lui, e dubitava che in quel momento della vita potesse andare a chiedere a Bells un aiuto.
    15.03.1997
    bartender
    deatheater
    rise
    katy perry
  3. .
    gifs25 y.o.ravenisaac lovecraft
    currently playing
    Stand up
    The cab
    So, tell me I'm outta my mind, give me a sign
    Take it one step at a time
    I know it's gonna be fine, open your eyes
    Shut up and give it a try
    «lo sai bro, mi casa es tu casa» seduto al tavolo della cucina Isaac annuì, colpevole e leggero al tempo stesso, sollevando un timido angolo della bocca nel cercare lo sguardo dello Stilinski.
    Aveva passato tanto, troppo tempo senza vederlo praticamente ogni giorno, anche soltanto per una mera cazzata da condividere con lui, che aveva avuto il terrore di averlo perso. Non letteralmente, quello era già successo: il mese di giugno di quattro anni prima era stato indubbiamente tra i periodi più duri della sua vita, se non direttamente il peggiore – insieme al funerale di April e Nathan, alla scomparsa di Gemes e Darden –; scoprire che il suo migliore amico fosse stato ucciso, e che non aveva nemmeno potuto dirgli addio come avrebbe voluto e dovuto, superava ogni rottura e litigio con Sharyn, ogni sopruso che aveva reso la sua infanzia un vero inferno in terra. Ma emotivamente? In maniera del tutto logica, sapeva che il suo fosse un pensiero stupido: niente avrebbe mai potuto cambiare ciò che provava per lo psicomago, tutto quello che avevano passato insieme, nemmeno quelle continue emicranie e scatti su cui non aveva alcun controllo; e avrebbe potuto tranquillamente mettere la mano sul fuoco riguardo al fatto che lo stesso si potesse dire del ragazzo preso a convincere telepaticamente il tostapane a non fargli prendere un accidente, malgrado quanto stesse passando da quattro anni a quella parte.
    Irrazionalmente, era tutto un altro paio di maniche – perché si rendeva conto ci fosse qualcosa di rotto in sé, e che anche gli occhi ambrati dell’altro riflettevano una spaccatura nel profondo della sua anima, e non poteva non temere che il tempo passato distanti avesse smussato quei bordi frastagliati che si erano ritrovati. Erano sempre riusciti ad incastrarsi perfettamente, premendo i pezzi di un puzzle dai tasselli già rovinati con una naturalezza che mai aveva creduto, o anche solo sperato, di trovare in un’altra persona: la sola idea di non poter avere più il suo migliore amico bastava ad annebbiare ogni lume della ragione fino a farlo diventare un pesante dubbio a spingere sulle spalle ogni giorno un poco di più.
    Ma guardandolo, in quel momento, si rese conto che il problema più grande che avevano fosse l’essere cresciuti: orribile, sconsigliato, avrebbe obbligato i suoi figli a non farlo mai; ma oltre a quello che comportava il divenire adulti, tutti i cambiamenti che quel fiume in piena apportava rompendo e levigando argini che si pensava (stupidamente) non avrebbero mai ceduto all’azione corrosiva del tempo, fu felice di constatare che – che fosse tutto normale, no?
    Laddove di normale non c’era assolutamente un cazzo, certo.
    Si sentiva come ogni volta che aveva raggiunto la cucina dopo Stiles, o tutte quelle in cui lo aveva aspettato fuori dal dormitorio dei Tassorosso, o quando si erano tenuti il posto a vicenda per le lezioni: che se ci fosse stato qualcosa che non andava, avrebbero trovato un modo per risolverla – anche senza fare assolutamente nulla in merito.
    Lo lesse in ogni movimento, in ogni piega del volto o sopracciglio arcuato, nel tono della voce, che non ci fosse motivo di scusarsi per essere lì quella mattina: il problema era sentire comunque la necessità di farlo, pur rendendosi conto di quanto fosse stupido da parte sua.
    Istintivamente (mollò la fetta di pane ancor prima di prenderla, vedendolo bruciare dall’interno) si alzò in piedi, invitandolo ad avvicinarsi così che potesse aiutarlo a soffiare e rendere meno incandescente quel buongiorno dei campioni.
    «sei ancora ubriaco? ci conosciamo da – quindici anni?» il Lovecraft impallidì, lo sguardo castano a perdersi in un punto dell’orizzonte imperscrutabile ed irraggiungibile. Dopo aver ragionato brevemente sull’atrocità della vita e dello scorrere del tempo, riportò gli occhi sull’altro. «scusa se te lo dico, ma tu sei quello ubriaco se pensi sia stata una buona idea dirlo ad alta voce.» no, davvero. Isaac era effettivamente ancora (parecchio) succube dei fumi dell’alcol della sera precedente, e non pensava ci fosse alcun bisogno di rispondere a quella domanda; ma pure lui. Pure lui. Forse la sobrietà faceva male come sostenevano tutti – tutti: gli alcolisti.
    Convennero sul non pensarci.
    «ho fatto notti molto più insonni, e per molto meno. anzi, abbiamo: ti dirò solo due parole.» «pokemon go.» rispose all’unisono, allargando la piega delle labbra mentre provava nuovamente ad avvicinare le dita al toast nella vaga speranza di non bruciarsi.
    Non si bruciò, e tanto gli bastò ad allungarsi (piano, la testa girava un po’ troppo per fare scatti improvvisi) per afferrare la confettura sul tavolo e spalmarcela sopra. «no davvero isaac, ma che cazzo dici.» si strinse nelle spalle, addentando la colazione e concentrando tutto il proprio interesse sulla stessa. «no, lo so, è che…» un sacco di cose, alle quali non sapeva dare una forma: le stesse per cui aveva lasciato Sharyn, in fin dei conti – ragioni che non avevano un senso al di fuori della testa del Lovecraft, ma che lì dentro si aggrovigliavano come un gomitolo di lana. «forse sono ancora ubriaco.» avrebbe di certo spiegato una marea di cose.
    Tra cui il motivo per cui aveva posto la domanda successiva.
    «pensi di aver dimenticato dominic allo zoo?» «cosa? no, l’ho riportato a –» alzò lo sguardo appena in tempo per notare il bagliore in quello dello Stilinski, e non poté evitare la smorfia al limite del divertito a premere sul naso arricciato e le labbra incurvate. «oh, andiamo!» ancora con quella storia. Non sarebbe stato lui a scendere di più nel discorso: sapeva che tra i due non corresse buon sangue, e volendo bene ad entrambi non riusciva ancora a capire perché non riuscissero a lasciarsi qualsiasi cosa fosse successa alle spalle. «no, chiedevo perché… mh…» come dirlo senza sembrare pazzo a vedere un fottuto animale magico appollaiato nella loro stessa stanza? «se hai adottato uno snorton non me lo hai mai detto, ecco. quindi ho pensato che… quello lì… potevo averlo rubato al carrow’s?» e come se nulla fosse, glielo indicò.
    E non sapeva se sperare di avere le allucinazioni, o che anche Stiles lo vedesse.
    sooner or later you're gonna tell me a happy story. i just know you are.
  4. .
    CITAZIONE
    Kieran viveva la vita alla giornata.
    Beh, viveva.
    Lei prendeva tutti sul letto.
    Era imbarazzata? Si. Ma l’avrebbe superato, ckme aveva superato molte ckseZx x. Beh certo he voleva vedere Hold quando voleva, anche in più modi di uno, se glielo avesse permesso. Vabbè più aveva i suoi pensieri, uno si chiede quali? Pensiero. Normali. Assolutamente normali da persona. xhE pensava. E si, le aveva rubar una maglia. Cos’ era di male? Niente.

    grazie blondi delle perle ubriache
  5. .
    isaac lovecraft
    Like a sledgehammer to a disco ball
    Crushing all my low Ache it 'til you make it
    I think I've been going through it
    And I've been putting your name to it
    Non pensarci troppo.
    Indugiò davanti alla tenda medica dell’accampamento – uno, due, dieci minuti. Sguardo fisso sulla struttura di fortuna, apatico e distante nello studiarne ciascun dettaglio in maniera analitica: il colore verde militare; le pieghe del poliestere e del cotone, smosse da un vento placido o dal continuo andirivieni di soldati e personale medico; le chiazze di sangue, secco o fresco che fosse, che davano un tocco personale all’erba e alla terra sotto i suoi piedi; i fili di fumo sullo sfondo di un Inghilterra, di un mondo, deturpata dalla guerra cui non aveva voluto opporsi – a cui non avrebbe dovuto opporsi, a cui non aveva saputo opporsi –; il cielo ormai terso, pulito dalla coltre di pece e cenere che aveva minacciato tempesta, ed aveva portato devastazione; le poco rade barelle portate fuori dall’uscio, coperte di teli di fortuna laddove da vedere non ci fosse più niente per nessuno, se non per chi le persone ivi nascoste – forse – le stesse aspettando a casa.
    Il silenzio assordante. Quel fischio placido e continuo a ronzare da un orecchio all’altro, ovattando qualsiasi suono che non provenisse dalla sua testa; e rimbombava, più del cuore placido a colpire lo sterno o della pressione sul braccio che rischiava di farlo svenire da un momento all’altro.
    Non pensarci troppo: lo aveva detto a Dominic in tempi meno sospetti di una battaglia che, il Lovecraft, non aveva mai potuto lontanamente immaginare sarebbe finita in quella maniera; continuava a ripeterselo da solo, respiro lento e denti stretti, mentre testarda la memoria andava a rimbalzare sui corpi piovuti dal cielo, sulla scossa, sulla faglia – e sulla nube oscura a possedere gli special, sulle piante a germogliare sulle gambe dei maghi, sulla mano che aveva inutilmente teso verso Bells, e verso Arci, e verso un po’ tutti quanti perché non gliene era fregato un cazzo di vincere la battaglia: non così, non in quel momento.
    Era impraticabile, quel mantra, e più persisteva nel canticchiarlo come una nenia e meno sembrava voler attecchire. Perché che avessero mandato a puttane tutto quanto era ovvio, innegabile, ed Isaac lo aveva capito – troppo tardi, ma lo aveva capito. Non sarebbe cambiato comunque nulla: le ragioni che lo avevano spinto a stare da quella parte del conflitto surclassavano quelle che lo avrebbero portato a schierarsi nel battaglione degli sconfitti, e solo l’idea di potersi dover scontrare contro Stiles, il suo migliore amico, così come aveva fatto con la Dallaire era una di queste.
    Ma lo aveva capito, e sapeva fosse giusto facesse male – ma non riusciva a comprendere il perché facesse così male.
    Perché lo aveva fatto quando il cuore di Wren, Moka, Sinclair e Justin si era fermato – un dolore alla bocca dello stomaco, immagini confuse e sfocate ed insignificanti a susseguirsi come un carosello di notte; ricordi che non dovevano essere incastrati nei meandri della mente, ma che erano perdurati tra i battiti del cuore, e che non avevano forma ma solo – insieme a quello degli altri; quando la terra aveva reclamato la magia degli altri – ed aveva sentito che avrebbe dovuto essere lì anche lui, che una parte di lui era pronta a fare il salto su quel buco nero al centro di Stonehenge per dire ci fosse anche lui tra chi si ribellava.
    Si era detto che fosse perché, in ventisei anni di vita, non aveva mai vinto un bel niente. Mai un successo, mai una conquista; soltanto sconfitte e perdite, una dopo l’altra, e lui a riderne sopra come se gli avessero appena raccontato la più divertente delle barzellette. Che non si aspettava la vittoria lasciasse quel sapore ramato sul palato.
    Quando entrò nel tendone, lo fece continuando quella litania – non pensarci troppo. Doveva ripeterselo passando davanti ai corpi svenuti, a quelli che i macchinari magici suggerivano non ce l’avrebbero fatta, a chi aveva da curare solo graffio; doveva ripeterselo, perché era fottutamente vivo.
    Lo era Isaac, Dominic; Hamish, Roxie e Finn; Bells, Arci; lo erano tutti – a quale prezzo, era qualcosa cui avrebbero pensato poi.
    La era «sharyn.»
    Rimase immobile lì, dove gli occhi castani avevano incontrato quelli chiari della Winston; lì, il braccio rotto stretto al busto e tenuto insieme da una fasciatura improvvisata negli ultimi istanti prima della fine.
    Lì, dove aveva capito – aveva sempre saputo – che avrebbe potuto vincere qualsiasi cosa, e sarebbe sempre stata una sconfitta se non poteva avere lei.
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    26 y.o.
    pavor
    tryhard
  6. .
    Aveva chiuso gli occhi, Isaac Lovecraft, ed inspirato molto profondamente; quindi contato fino a dieci, venti, sarebbe anche arrivato a cento se ne avesse avuto il tempo materiale, prima di espirare quanto più silenziosamente possibile. Quando riaprì gli occhi, però, voleva ancora spaccare la testa al ragazzo che aveva davanti; cercò di nascondere il sentimento dietro un sorriso tirato, ma non era certo della sua riuscita.
    Non che gli interessasse poi più di tanto.
    Odiare le persone era un qualcosa che all’ex corvonero era sempre risultata difficile: aveva bisogno di un torto importante anche soltanto per guardare in cagnesco un altro essere umano, di base. Forse era vero che negli ultimi tempi tendesse ad ingigantire un po’ le situazioni e le proprie reazioni in merito, ma non così tanto da detestare qualcuno a prima vista.
    Osmond Abney era l’eccezione alla sua regola, evidentemente – che già soltanto per il nome meritava di essere preso a sberle in faccia ripetutamente.
    Non aveva problemi con gente di rango più alto del suo, per quanto avesse sempre prediletto essere il capo di sé stesso; aveva problemi con gli spacconi che già avevano avuto una promozione e che si credevano più in gamba di lui. Il segugio che gli aveva appena dato una pacca sul sedere e che gli aveva detto «i grandi hanno finito, raccogliete pure le briciole» rientrava tranquillamente nella categoria. Era uscito da Hogwarts a malapena da un paio di anni, e già si permetteva di fare il gradasso con così tanta facilità.
    In quei venti secondi di meditazione profonda, e dato che il Ministero non lo avrebbe ufficialmente approvato, immaginò come sarebbe stato bello trasfigurarlo in un burattino di legno ed usarlo come ornamento in ufficio: immaginava che molti altri colleghi avrebbero apprezzato l’iniziativa. Un’immagine che lo aiutò a mantenere la calma fino a quando non fu uscito dalla casa.
    Non disse ad alta voce quanto morisse dalla voglia di picchiarlo, ma la sua collega doveva averlo percepito perché gli posò una mano sulla spalla e la strinse molto forte. C’era anche da ammettere che colpire qualcosa che non fosse un sacco da boxe sarebbe stato molto terapeutico in quel periodo della sua vita: non poteva continuare a bere per non pensare a Sharyn, già aveva ecceduto i limiti del suo fegato più volte.
    Certo, non aveva pensato che perlustrare la casa del ribelle alla ricerca di ultimi indizi – letteralmente le briciole lasciate loro dai segugi – avrebbe aiutato in quel senso. «lovecraft, io ho finito. andiamo?» digrignò i denti, già dimentico dell’Abney probabilmente già a chilometri di distanza, le nocche a farsi bianche per la forza con cui stava stringendo la spalliera della poltrona. «lovecraft?» alzò lo sguardo, celere a nascondere la fotografia nella tasca della giacca. «ancora a pensare a come uccidere osmond?» che, in realtà… Sbuffò una risata, massaggiandosi le tempie nel vano tentativo di far rientrare l’emicrania a premere contro le pareti della scatola cranica. «sempre.»

    Continuò a rigirarsi la fotografia tra le dita – confuso, intorpidito, arrabbiato. Non riusciva a capire perché una persona di cui non sapeva nulla, un ribelle perlopiù, dovesse avere quella stampa tra decine di altre in un cassetto della scrivania; non riusciva a capire cosa significasse.
    Chiamare suo fratello non era stata la prima cosa che aveva fatto una volta finito il proprio turno – si era preso tutto il tempo del mondo per valutare quanto potesse essere utile quell’immagine, o se sarebbe stato meglio buttarla nel fuoco ed ignorare la sua esistenza; era stato male, gettato sul divano come un sacco dell’immondizia e con le mani tra i capelli, che stupidamente cercavano di contenere pressanti martellate e fastidiosi giramenti di testa; aveva camminato, e camminato, e camminato. Di certo, però, era stata l’unica cosa sensata che avrebbe potuto fare.
    Chiuse gli occhi, gettando la testa all’indietro e respirando l’aria pulita del boschetto. Non si aspettava di veder arrivare Reese. Lo sperava, e non solo per chiedergli se sapesse dare delucidazioni; tutto sommato, quella era l’ultima delle sue preoccupazioni. Era sparito per mesi interi senza che nessuno sapesse che fine avesse fatto, e quando era tornato – dopo essere finito in un cazzo di laboratorio – lo aveva fatto senza un fiato; aveva dovuto scoprirlo per caso, il Lovecraft, che era sano e salvo. Maledetto infame, ma gli voleva bene così.
    La tentazione di piombargli in casa, o di placcarlo al ministero chiudendolo in una stanza per sapere come stesse, era comunque una valida opzione casomai non si fosse presentato.
    isaac
    lovecraft

    A psych ward napkin
    changed the life I tried to kill
    With three words
    let it burn
    26 | 1997 | salem, ma
    2043's | deatheater
    pavor && bartender
  7. .
    gifs25 y.o.ravenisaac lovecraft
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    «... e questo è quanto.» concluse con assoluta convinzione la propria arringa, battendo il bicchierino ormai vuoto sul bancone come fosse il martelletto di un giudice. Invitò con l'indice il ragazzo dall'altra parte del bancone a non lasciarlo così nemmeno per un altro secondo, e nessuno dei due parve curarsi delle palpebre pesanti del Lovecraft, o delle goti visibilmente arrossate nonostante le luci basse del locale: l'uno perché era troppo ubriaco per rendersi conto di dover porre un freno a quella nottata, l'altro per... qualche motivo che all'ex corvonero non andava affatto di approfondire. Di sicuro gli era capitato il peggior barman che quel pub avesse da offrirgli - di quelli che non avrebbero mai detto ad un cliente “magari è il caso di smetterla per stasera” pur di potergli spillare qualche galeone in più, e che per ogni cicchetto venduto ne versava uno anche per sé -, ma era esattamente ciò di cui aveva bisogno.
    «Cavolo, bro. Pesante gli sarebbe bastato avere un naso funzionante, a quel punto, per avere la certezza che il bro gli avesse fatto compagnia per buona parte della sbronza, ma i fumi della tequila avevano temporaneamente bruciato tutti i recettori del suo corpo, non solo quelli olfattivi; rimase con gli occhi cioccolato sul bicchierino, osservando il liquido ambrato che lento andava a riempirlo fino all'orlo, temendo che alzarli per incrociare qualsiasi sguardo lo avrebbe portato a svuotare buona parte di ciò che aveva nello stomaco su Dominic. O per terra, certo, ma quello avrebbe richiesto una prontezza di riflessi che non sentiva di possedere in quel momento; preferiva evitare e basta. Anche perché il Cavendish non gli sembrava molto nelle condizioni di sopportare una cosa del genere, o la vita in generale: non era certo si fosse spento, ma che avesse raggiunto quel livello di sbronza per cui si va in standby? Quello sì. Guardava fisso davanti a sé, gli occhi azzurri persi nel vuoto cosmico tra una bottiglia di Grey Goose e una di Fernet Branca, dondolando tutto il tronco con movimenti brevi ma non così lenti. Se non lo avesse accompagnato al bagno pochi secondi prima – suggerendo come ispirazione, nella propria personale ebrezza, metodi eccellenti per espellere tutto l’espellibile e recuperandogli un delizioso caffè salato –, avrebbe pensato che stesse per vomitare lì davanti a tutto il pub.
    Posò dunque il palmo della mano sullo shottino del biondo, troppo tardi per impedire a Nicolai (che sicuramente aveva un nome vero, ma per quella sera andava bene così) di mandarlo ancora più in tilt ma in tempo per impedirgli di berlo. Era un buon amico, Isaac Lovecraft, ed era felice che il nuovo responsabile di chirurgia al San Mungo avesse deciso di accompagnarlo – ufficialmente, per festeggiare l’imminente promozione dell'ex compagno di casata, dal momento che non era ancora riuscito a congratularsi con lui; ufficiosamente, perché necessitava di qualcuno che stesse con lui a bere fino a non ricordarsi il proprio nome senza doversi sentire una merda per i problemi d’alcolismo dell’altro: se avesse chiamato Stiles, gli avrebbe fatto solo del male –, ma non per questo avrebbe permesso che si riducesse ad un mocio con cui pulire i pavimenti del locale. Si strinse nelle spalle quando, indolente e sonnacchioso, si voltò per lanciargli un’occhiata confusa e offesa, dopo ch’ebbe trangugiato lo shot, ma non si dissero nient’altro. Troppo difficile articolare un discorso.
    Per questo motivo, quando Nicolai prese di nuovo la parola, evitò di rispondergli.
    «E perché non hai provato a perdonare il tradimento?»
    Piegò la testa con estrema calma, sorridendo ebbro e stanco, e trovando sul volto di Dom lo stesso cipiglio divertito. Se non che, di divertente, non ci fosse nulla. Nella piega sulle labbra del Lovecraft c’era un non detto che era impossibile da esprimere, senza dare spiegazioni che non avrebbero comunque chiarito la questione a nessuno dei tre: “non ci hai capito un cazzo”. Non poteva fargliene una colpa, chiaramente: né al barman, né a un Dominic al quale aveva provato a spiegare in altre parole, e con più lucidità, un discorso indecifrabile. Una storia assurda – così tanto che era difficile crederla vera, e forse era meglio che pensassero tutti fossero vaneggiamenti del corvonero.
    Perché ovviamente Sharyn non lo aveva tradito con Kovu, ma così aveva raccontato lui. A lei, ai suoi amici, alla sua famiglia; era stato l’unico modo che aveva trovato per non farle vivere quella vita di merda, e che pensassero tutti fosse impazzito.
    Non c’era nulla di più vero.
    O che pensassero quelle risate stessero a significare che aveva reputato il tradimento ingiustificabile ed imperdonabile: la convinzione di Isaac che fosse meglio così non sarebbe comunque cambiata.
    Ingurgitò il proprio shottino, sentendolo bruciare fin dentro l’anima, ed in uno sprint di ottimismo e vitalità si alzò, incoraggiando Dominic a fare lo stesso. Lasciò diversi galeoni – non troppi in più di quanto avrebbe dovuto pagare: poteva essere lercio, ma aveva comunque contato tutto ciò che l’aveva reso così e calcolato la mancia; una volta bartender, non si torna indietro – sul bancone, liquidando la questione con un «grazie della serata.» molto poco sentito prima di prendere a braccetto l’amico e trascinarselo via dal pub.
    Che pianse un po’ (tanto) non appena messo piede fuori dal locale, sentendo gravare sul petto tutto il peso di quell’eccessiva condivisione – che per uno stupido istante doveva aver creduto sarebbe stata terapeutica: non lo era stata –, sarebbe rimasto un segreto tra lui e Dio. E forse Dominic, al quale si era aggrappato prima di riportarlo a casa, ma viveva bene nella convinzione che la mattina seguente non si sarebbe nemmeno ricordato di essere uscito.

    Isaac Lovecraft, cadendo dal divano, qualche memoria ce l’aveva. Non tutte, ma era certo di aver accompagnato il Cavendish fino alla propria camera da letto prima di dileguarsi: dopo aver aspettato dieci minuti che infilasse la chiave nella toppa di casa, non poteva lasciarlo a sé stesso e sperare che non si addormentasse sui fornelli accesi.
    Poi, un’ora intera di vuoto. Poteva aver ucciso qualcuno, essersi fatto un bagno alle Maldive, aver perso tutti i propri averi in un casinò o scommettendo su lotte clandestine allo SpacoBot: non l’avrebbe mai scoperto. L’unica certezza era la chiamata alle quattro e mezza del mattino allo Stilinski, e non aveva nemmeno bisogno di sapere cosa gli avesse detto. Il sofà dal quale si era appena ammazzato sbattendo la testa a terra, d’altronde, era quello di casa del suo migliore amico.
    «Buongiorno!» cercò di sembrare meno in hangover di quanto non fosse, ma raggiungendo Stiles in cucina si accorse di essere sicuramente ancora ubriaco marcio e che fosse impossibile nasconderglielo: non solo per il passato del suo migliore amico, quanto per il loro. «Scusa se sono piombato a casa tua stanotte.» insomma, credeva di essere piombato lì. Era altrettanto probabile che fosse andato a raccattarlo da qualche parte. Si sedette al tavolo, premendo le mani sulla faccia. «So che -» hai già troppi cazzi per la testa di tuo, stai una merda, e sono il peggior migliore amico del mondo a romperti le palle con i miei drammi. «devi andare a lavorare, mi dispiace davvero bro.» cosa che avrebbe dovuto fare anche il Lovecraft, ma di certo non quel giorno. «Giuro che tolgo subito il disturbo.»
    Ma doveva togliersi un dubbio, prima.
    Un dubbio atroce, che aveva iniziato a farsi largo nella sua testa dal momento in cui era entrato in quella stanza, e con la coda dell’occhio aveva visto qualcosa. Sì che era diventato abbastanza paranoico negli ultimi anni, se ne rendeva conto, ma: «ti ho per caso detto qualcosa ieri sera? Tipo… mh… se sono stato al Carrow’s?» chiedeva.
    Perché gli era sembrato di aver visto uno Snorton appollaiato all’angolo della cucina, ma poteva tranquillamente sbagliarsi.
    sooner or later you're gonna tell me a happy story. i just know you are.


    Edited by [a]telès - 9/3/2023, 21:04
  8. .
    We do our best vampire routines
    As we suck the dying hours dry
    ex ravenclawpavor
    isaac
    lovecraft
    «Scusatemi,» aveva detto semplicemente, lanciando un'occhiata di confusione al Crawford prima di sfiorare con un morbido bacio la testa dorata della sua ragazza. «torno subito, ok?» appena un sussurro quello del Lovecraft, bisbigliato alla pavor con un cipiglio vagamente allusivo ad inarcare le sopracciglia scure, per poi lasciare i due a loro stessi e dirigersi verso luoghi a lui più consoni per quel momento.
    Non aveva bisogno di dire altro a Sharyn, consapevole che avrebbe perfettamente compreso il velato “non agitarti” nascosto a fior di labbra, in bella vista. Perché lo sapeva, senza il bisogno che lei dicesse alcunché, che fosse alquanto indispettita dalla presenza dell'ex leader dei segugi ministeriali lì, in casa loro - l'aveva sentita vibrare tra le proprie braccia nel momento in cui si erano Materializzati in soggiorno, così forte che una bottiglia di spumante shakerato per dieci minuti buoni sarebbe esplosa meno clamorosamente della corvonero una volta stappata -, e sinceramente avrebbe preferito evitare qualsiasi tipo di inconveniente tra Kovu e la propria fidanzata. Avrebbe mentito ad entrambi, prima ancora che a se stesso, nel caso avesse detto che quell'incursione imprevista non aveva disturbato anche lui. Voleva bene ad Urijah, e per quanto fosse burbero, anaffettivo, borderline tra psicopatia e sociopatia, gli piaceva; ma c'erano dei paletti, delle linee spesse tracciate a differenziare gli spazi entro i quali uno come lui poteva muoversi, e quelli per i quali aveva bisogno di, quantomeno, chiedere. Di certo non si sarebbe messo a discutere con l'uomo - e non soltanto perché provasse un pizzico di timore reverenziale, ma anche per il fatto che non amasse avere alterchi davanti alla Winston -, ma non poteva pretendere lei non si alterasse al suo posto. In fin dei conti non era uno Stiles: lui si che poteva infilarsi ovunque e quando ne aveva voglia, senza permesso e senza preavviso - ma era il suo migliore amico, avevano un figlio insieme ed avevano vinto alla lotteria; avevano dei trascorsi insieme, loro due. Così come non avrebbe fatto scalpore trovarsi un Marcus depresso sdraiato sul loro divano a guardarsi le repliche della terza stagione di Masterchef USA e commuoversi per la vittoria della prima chef cieca della competizione.
    E se glielo avesse chiesto, Kovu, di passare un po' di tempo con loro dopo il blitz alla libreria appena portato a termine, non era nemmeno certo gli avrebbe detto di sì. Okay, quasi sicuramente lo avrebbe fatto: gli faceva tenerezza, che poteva farci?, sempre solo e con quel muso lungo, e magari mettere sul tavolo ciò che avevano o non avevano trovato alla Lanterna Dorata sarebbe potuta essere una strategia per stare un passo avanti rispetto al nemico - ma non se la sentiva, era stanco. Le sue prospettive per quel pomeriggio erano di buttarsi sul letto con Sharyn e restare lì, fare qualcosa magari, e spegnere il cervello fino al giorno successivo.
    In quel momento però, anziché iniziare a fare gli aggiornamenti prima dell'arresto, aveva iniziato ad impallarsi, ad aprire pagine a caso, ad oscurarsi - ed era per quello che non aveva avuto tempo da perdere a chiedere perché si fosse agganciato a loro, prima di correre in bagno e chiudere la porta a chiave dietro di sé.

    La testa gli andava a fuoco - e sentiva come se il cervello volesse uscire dalla calotta cranica, premendo con forza sulle ossa e sbattendo violentemente per crearsi una via d'uscita; moriva dalla voglia di prendersela tra le mani e farle avere un incontro ravvicinato del primo tipo con le maioliche della toilette.
    Quando riaprì gli occhi, però, dolenti come se li avesse strizzati per minuti interi, era tutto passato. Quantomeno, se non considerava il fatto che l'orologio a parete suggeriva fosse passato più tempo di quanto pensava - o che fosse seduto affianco alla tazza, il gomito destro sulla tavoletta abbassata e la fronte poggiata sull'avambraccio, con in bocca il sapore aspro della propria bile, mentre fino a quelli che pensava fossero pochi secondi prima si trovava con le spalle contro il legno dell'entrata. O se isolava, cosa nella quale stava diventando sempre più bravo, quel metronomo che gli ticchettava metodico e preciso dentro le orecchie.
    Un mantra privo di vocaboli intellegibili. Una litania che non aveva memoria di aver mai appreso, ma che sembrava sempre funzionare - che, in una qualche mistica maniera, rendeva l'aria meno rarefatta ed i battiti nella cassa toracica meno spasmodici. Si prese qualche secondo, prima di tirare lo sciacquone ed alzarsi, dirigendosi poi al lavandino per darsi una rinfrescata. Degnò solo di uno sguardo rapido il proprio riflesso - ignorando il volto provato da quella sessione ravvicinata con il gabinetto, le ombre scure appena più marcate sotto gli occhi -, prima di aprire l'armadietto e lanciare due compresse sotto la lingua, nella speranza che potessero dargli una parvenza di vita una volta che ebbe messo nuovamente piede in soggiorno.

    «Cosa mi sono perso?» certamente, non un omicidio. Già era qualcosa vederli ancora entrambi vivi, senza bacchette sguainate o sangue a macchiare la moquette. Fece una piccola sosta nell'angolo della cucina, gli occhi chiari ad indugiare davanti al ripiano più in basso del frigo: mannaggia a Kovu e al suo alcolismo, non poteva nemmeno offrirgli una birra! Prese al volo il telefono, e fece per chiedere a Stiles se quella sera stessa gli andasse di andare in qualche pub con lui - ma anche lì, dovette fermarsi e proporre altro. Se con il Crawford aveva evitato di bere davanti a lui solo per la propria salute (non era certo che gli facesse benissimo, in quel momento), davanti allo Stilinski proprio non voleva: aveva fatto tanto, non sarebbe stato il Lovecraft a fargli venire nemmeno l'ombra di una minima voglia; sapeva fosse bravissimo, ma era anche consapevole che quella fosse una brutta bestia, e amava troppo lo psicomago per tentarlo così.
    Lanciò un succo di frutta al segugio, e dopo averne preso uno per sé andò a buttarsi sul divano, fin troppo esausto dalla vita per restare in piedi come gli altri due. «Di che chance parli, Shar?» l'unica cosa che aveva sentito tornando dal bagno, era quella: non che avresti una chance, ovvio. «Perché se parla di bowling sai che sono una schiappa, di chance ne avrebbe eccome.» sì, era la prima cosa che gli era venuta in mente. «Come in qualsiasi altro sport - tranne ping pong, lì sono una bestia!» o forse era semplicemente Darden ad essere più scarso di lui, l'unica persona con cui avesse mai giocato.
    Ad ogni modo: «Ma come mai sei qui?» ancora non l'aveva capito.
    Chissà se doveva davvero essere geloso.
    Hide your mind
    mystery and apprehension
    You will fade
    if you're falling for the bait
    Caught up in the fever
    now you're stuck in place
    thomston
    burning out
    argonaut ep
  9. .
    isaac lovecraft - pavor segugio - ZONA 2 - 30 min.
    Piegò gli angoli della bocca verso il basso, le sopracciglia sollevate di fronte all'interno dell'armadietto del bagno. Non è che si aspettasse poi molto, però insomma: un completo fiasco; non gli piaceva che mentre nell'altra stanza Sharyn e Kovu trovavano cose, il massimo che avesse individuato lui fosse un kit di medicazioni e prodotti di cura del corpo. Si sentiva inutile, e lo odiava.
    «lo tiro o non lo tiro, lo sciacquone...»
    «in ogni caso, direi che qui abbiamo finito»
    «ok, non lo tiro.» seguì l'ex capo dei segugi fuori dalla stanza, oltre la porta esplosa e verso gli altri colleghi - ma non prima di essersi intascato qualche souvenir. Non per sé, chiaro.
    «horner!» lo individuò mentre si avvicinava al bancone, e gli lanciò il deodorante con delicatezza e accompagnato da un bacio a distanza: si sapeva che le spie puzzavano - come gli ospiti dopo un giorno.
    E dunque: «avete trovato libri di magia rituale antica? figo.» si trascinò dietro Kovu (come la bestia che era) (smack) fino al bancone, studiandoselo attentamente e sperando che almeno quello gli desse qualche gioia.


    ZONA 3 > BAGNO > ARMADIETTO MEDICINALI > KIT PRONTO SOCCORSO > LAVANDINO > SPORTELLI
    ZONA 1 > BANCONE
  10. .
    isaac lovecraft - pavor segugio - ZONA 3 (staff) - 50 min.
    A quanto pareva, la sua performance aveva suscitato un gran bello scalpore. E no, non la lavata di capo della Ritvk - decisamente non necessaria, a parer del Lovecraft, ma era comunque un suo superiore quindi si trovò a promettere di non far esplodere nient'altro lungo la strada -, bensì gli occhi puntati addosso ed i commenti dai propri colleghi. Quando Samuel si fu allontanata, per giusta misura porse un inchino al suo pubblico.
    «lovecraft, se vuoi deliziarci ancora con le tue doti da artificiere.» puntò lo sguardo sul maggiore, piegando l'angolo della bocca in un sorriso. «urijah... non tentarmi...» tentazione estrema spericolata davvero. «no dai, pensateci voi alle cose noiose. io vado al bagno!» cit. Lele, in qualsiasi momento della propria vita.
    Si sporse giusto un attimo oltre la soglia, dopo aver già messo piede nell'ambiente, per rivolgersi a Sharyn. «oh, tante volte volessi venire qui...» occhiolino emoji. «dai, scherzo!» no. Però eh, già immaginava i commenti del Crawford.
    Ok niente, tempo di lavorare. Sperava di trovare qualcosa lì ma ci contava davvero poco.


    ZONA 3 > BAGNO
  11. .
    isaac lovecraft - pavor segugio - ZONA 3 (staff) - 60 min.
    Rilassò le spalle non appena la Ritvk - che nome di merda e impronunciabile, tra l'altro; si domandava più spesso di quanto servisse realmente se qualcuno la chiamasse per cognome, o se tutti si limitassero come lui a chiamarla boss (o padrona: aveva quel je ne sais quoi da mistress dominatrice, e Sharyn anche concordava) - ruppe le righe, posando lo sguardo sulla propria ragazza. «certo, tutto ok.» soffiò un bacio tra i suoi capelli biondi. «perché non dovrebbe?» per moltissimi motivi, ma non voleva che nessuno di questi la preoccupasse. Né in quel momento, perché dovevano rimanere concentrati sulla missione, né mai, perché la amava e non voleva che stesse male per lui. In fin dei conti la pozione per i mal di testa sembrava funzionare abbastanza da non torturarlo ventiquattro ore su ventiquattro, e non aveva blackout da così tanto tempo da sentirsi abbastanza tranquillo non sarebbe successo quel giorno - e da temere che sarebbe comunque successo di nuovo nei prossimi giorni, dato che sembravano essere tarati per comportarsi come un ciclo mestruale.
    «con me.» e, simultaneamente alla risposta della Winston - cosa se ne faceva di Kovu come scudo umano, ISAAC ERA IL SUO SCUDO UMANO non doveva preoccuparsi certo di queste cose -, piegò le labbra in un mezzo sorriso. «ok daddy.» cosa? Cosa. Dai, si sapeva che il Crawford avesse più problemi nell'ultimo periodo che nel resto della sua vita (probabilmente: mica lo conosceva davvero, pensare ancora era deluso dal fatto che HardVard non avesse voluto autografargli le tette), e in qualità di suo amico - checché ne dicesse il maggiore - aveva l'obbligo morale di farlo sentire meglio.
    Ma era anche abbastanza sicuro che non l'avrebbe fatto ridere.
    Precedette i dos amigos lungo la strada verso l'area riservata al personale, e continuando a camminare con le mani in tasca si voltò verso di loro. «comunque c'è fin troppa tensione tra di voi, devo preoccuparmi di qualcosa?» scherzò, prima di arrivare ad una porta chiusa a chiave. Oddio, sperava di scherzare: avrebbe capito Sharyn, per carità divina, ma sperava davvero quella non fosse sexual tension.
    Ma torniamo al blitz.
    «ok, fate qualche passo indietro...» perché una porta chiusa a chiave demandava chiaramente un Alohomora, era ovvio e scontato.
    Ma Isaac Lovecraft non avrebbe optato per quell'incantesimo: la serratura avrebbe potuto essere stregata, e non rispondere a quell'incanto come avrebbe dovuto. E poi Zia Sam aveva detto che potevano distruggere tutto, no? Quindi, solo dopo che si fosse accertato che tutti e tre fossero a distanza di sicurezza - era pur sempre stato uno studente eccellente, conosceva bene le aree di azione degli incantesimi - puntò la bacchetta sulla maniglia, e in parte sul muro che sorreggeva lo stipite. «bombarda» moderato, perché non voleva di certo far saltare in aria quella topaia con tutti i suoi colleghi là dentro: voleva solo che la serratura cedesse.


    zona 3 con Sharyn e Kovu, apre la porta
  12. .
    restless
    No, we can't help it We're always restless




    isaac tryhard lovecraft // try again?
    «è un suicidio.» aveva perso il conto di tutte le volte in cui aveva ribadito quelle uniche tre parole, sfilando avanti e indietro senza sosta lungo la diagonale della Sala Addestramenti del Quartier Generale. Se lo ripeteva, ancora ed ancora, nella vana speranza che trasmutarlo in un mantra potesse infondergli, in qualche modo che sinceramente non poteva comprendere, coraggio: com’era naturale che fosse, dopo mezz’ora di nevrotica litania, era semplicemente riuscito a mettersi ancora più ansia addosso. «se continui così, lo sarà senza dubbio!» alzò le iridi nocciola verso la fonte del suono, Isaac Lovecraft, scrutando torvo e spaventato la figura del rebel scout fare stretching. “Tu quoque, Phobos, professore mi” sarebbe stata una risposta pseudo intelligente da dare all’uomo, ironica tanto quanto seriamente offesa: doveva supportarlo, non dirgli certe cose in un momento tanto teso. Invece abbassò lo sguardo verso il pavimento, annuendo solenne – più a se stesso, che non al Campbell. «sei stato tu a proporti, ma se non te la senti nessuno te ne vorrà.» «mh» che, preso nel contesto, poteva sia significare che lo sapeva fosse così, che non gli credesse affatto: dopo tre anni e mezzo, la Resistenza per il ventiduenne rimaneva ancora un terreno troppo inesplorato: una famiglia acquisita, che ancora non aveva ben imparato a conoscere. Gli aveva dato un posto nel mondo, uno scopo e degli ideali che aveva sempre condiviso ma mai praticato – troppo ignavo, il non più giovane corvonero, per uscire da quel limbo di terribile quiete. Imperfetto in un mondo già di per sé imperfetto, era come se sentisse che qualsiasi cosa faceva non andava bene: buone intenzioni, scarse applicazioni. O qualcosa del genere, insomma.
    «non mi tiro indietro, è un’occasione troppo preziosa…» sospirò, il tachicardico palpitare nel petto incapace di comprendere che quel respiro sommesso chiedesse calma e sangue freddo. «ma è pericoloso.» le labbra morse tra i denti, non ebbe bisogno di rivolgere nuovamente l’attenzione all’altro; sapeva l’avrebbe trovato, pacato ed esuberante – quasi un ossimoro, ma aveva imparato che Phobos Campbell fosse in grado di demolire qualsiasi paradosso emotivo –, a sistemarsi le bende sulle nocche con i guantoni appesi al collo. Non era altro che un’osservazione neutra, la sua: non perché voleva che ci arrivasse da solo a snocciolarla in un consiglio, ma perché non poteva essere altro che quello. A metà tra il “è pericoloso, lascia perdere”, ed il “è pericoloso, ma come la nostra stessa esistenza in quanto ribelli”.
    Ma perché non si era fatto i cazzi suoi, tanto tempo fa?
    «beh, non ho scelto la guerriglia per non affrontare il pericolo, dopotutto!» in fin dei conti, anche prima che Will consigliasse caldamente di mettere in secondo piano lavori di laboratorio e ricerca, era stato lui a scegliere quel percorso: gli sembrava la scelta più ovvia, nonché una delle poche realmente istintive della sua vita. Si era lasciato guidare dal cuore, ma fino ad allora non se ne era mai pentito. «ma questo è un lavoro da spie, isaac.»
    Ottima osservazione, quella del professore. Nulla a cui l’altro si fosse preparato, a dire il vero: sperava nessuno se ne accorgesse. Perché?
    Chi poteva dirlo – spoiler: non Isaac Lovecraft.
    «adapt. improvise. overcome.»

    Deemer Haywood, segretario del Ministro della Magia.
    Alister Black, Capo degli Strateghi del Governo.
    Godric Osborne, Pavor nonché suo ex concasato.
    Due… due tizi che non aveva idea di chi fossero, ma era abbastanza certo di due cose: che fossero inquietanti, e che fossero visibilmente eccitati.
    Aaron Felix Icesprite, neo eletto Capo dei Torturatori ministeriali e nipote nientepopodimeno che di Anjelika Queen e Damian Icesprite – due delle persone che più lo avevano terrorizzato nel corso degli anni, e che inconsapevolmente riaffioravano nei suoi incubi più assurdi. Il ragazzo di suo fratello.
    Tutti riuniti nella stessa stanza, e con gli occhi puntati su di lui.
    “Adapt. Improvise. Overcome.” sto grandissimo pezzo di minchia.
    Quando aveva pensato di andare in missione a Villa Black, sotto copertura come addetto al catering per raccogliere informazioni d’ogni genere possibile e, perché no!, cercare qualche artefatto di magia antica di cui sicuramente quella dimora abbondava – nella speranza che fosse, in qualche modo, utile a qualcosa (cosa? boh) –, aveva pensato fosse un suicidio e che qualcosa potesse andare male, ma mai a tal punto. Si sentiva come la famosa bionda del meme, fotografata con cinque omoni alle sue spalle che di certo non si trovavano lì per ricevere ripetizioni scolastiche da lei: accerchiato.
    “Adapt”, Isaac. Un passo alla volta.
    Deglutì, morendo un po’ dentro. Chissà che cosa voleva adattarsi, lì dentro. Beh, oh!, magari non era come pensava – non che pensasse qualcosa di intelligente, al momento: era ancora abbastanza frastornato dallo stordimento e dalla trasfigurazione. Si guardò attorno, circospetto, fissandosi su ogni profilo – e, un po’ di più, su quello di Aaron: chissà se avrebbe sentito quel suo telepatico “dai compà, siamo quasi fratelli più o meno help a brotha” -, fino a quando non lo vide. «ma…» buonasera, egregi signori e signorina. la serata è di vostro gradimento? «ma…» no, nemmeno un saluto: era troppo shockato per ricordarsi le buone maniere. «t-tu…» come aveva potuto non accorgersene prima? COME AVEVA POTUTO!?!?!? «tu sei… cioè, lei è…»
    Deemer Haywood, segretario del Ministro della Magia.
    Alister Black, Capo degli Strateghi del Governo.
    Godric Osborne, Pavor nonché suo ex concasato.
    Aaron Felix Icesprite, neo eletto Capo dei Torturatori ministeriali.
    Tizia a caso.
    Tutta gente potente, okay, ma sticazzi.
    «harvard hilton
    Improvise - ma fino ad un certo punto: sembrava un po’ più incazzoso e brutale fuori dallo schermo del suo pc, ma era comunque emozionatissimo. «posso… posso chiederle un autografo??? un mio amico sarebbe così contento!!!» già si immaginava la faccia di (Sharyn, fan numero uno di Hardvard) Stiles quando gli avrebbe portato la refurtiva.
    Se, gli avrebbe portato la refurtiva.
    Vabbè dai sì, c’era un Hilton!!! Quella era brava gente!!!
    «e… comunque… salve.» overcome.
    Ma in che senso? Chi lo sa: Isaac, con un sorriso isterico a trentadue denti, si era fermato all’improvvisazione. «credo di essermi perso, cercavo il bagno…» dai, credibile.
    rebel (guerrilla)
    15.03.1997
    ex ravenclaw
    bartender
    2043: mahyem teddiursa tryhard
    sheet
    pensieve
    aesthetic
    headphones
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
  13. .
    Yeah
    this mountain gonna rumble
    restless
    cool war kids
    friction
    imagine dragons
    all stars
    smash mouth
    isaac
    lovecraft
    sheet
    pensieve
    aesthetic
    headphones
    «oh meo deo.» Isaac avvicinò l’ennesima briciola, minuziosamente spezzata dalla brioche, alle labbra, rivolgendo quel flebile sospiro solo all’udito di Niamh – avrebbe preferito ci fossero dei popcorn, data l’intensità con cui la riunione tendeva ad evolversi in una guerra civile (dalla quale si sarebbe dileguato, prodigandosi nel miglior panic moonwalk della propria vita), ma si accontentava di ciò che la colazione poteva riservare.
    Pur avendo da poco tempo festeggiato il suo terzo compleanno ribelle, momenti come quello lo facevano temere per la propria incolumità più di quanto non facessero le missioni sul campo: era un guerrigliere, non uno che prendeva parte a decisioni del genere. Aveva perso tale capacità, prima fidanzandosi con Sharyn e poi mettendosi in società con la Barrow: ogni tanto ci provava, eh!, ma sapevano essere terrificanti quando ci si mettevano di punta. Rimaneva silente, sia con le due ragazze che in simili meeting, ad osservare con accademico interesse ed assoluta confusione.
    In quell’istante, per la precisione, si trovava nella zona grigia che divideva il Sommo Domenico Bini, perché che cosa sta succedendo?? non ci capisco più niente???, da John Travolta in Pulp Fiction e da Tina Cipollari, che quando Gemma inizia a dire stronzate in studio prende ed se ne va nel backstage. Avrebbe anche voluto essere più sveglio e reattivo per fingere, quantomeno, di partecipare con più animo ed idee – tuttavia, si dava il caso che qualcuno (lui.) avesse avuto la brillante idea di fare il turno di chiusura il giorno addietro, per cui le otto di mattina coincidevano ancora con la notte che non aveva trascorso a dormire. «ma dai, stiles si è già svegliato» e invece, pensate un po’, passava più tempo a controllare il baby monitor che aveva installato in camera dello Stilinski (sì, lo controllava ventiquattro ore su ventiquattro: sia mai che al padre di suo figlio venisse in mente di morire un’altra volta di nascosto) che a pensare ad interventi intelligenti con cui fare conversazione – o iniziare un conflitto interno alla Resistenza, insomma. Non che non stesse seguendo, sia chiaro, ma… si sentiva a disagio. «tu stai prendendo appunti, vero?» «no» si era anche un po’ perso, ma quello era normale all’alba.
    Alzò il capo, solo quando le proprie convinzioni vennero meno. Era certo che gli Adulti Responsabili™ avrebbero risolto la situazione facilmente e in fretta, dicendogli che “vbb tutt’appò, tornate a dormire e grz di essere venuti : ) ”, e invece pareva si stessero scannando tra di loro. Molto educatamente e con quelle frecciatine che potevano tranquillamente uccidere un Vasilov qualunque, ma comunque. «mh, posso?» si schiarì la voce, rendendosi troppo tardi conto di aver effettivamente aperto la bocca: non credeva l’avrebbe fatto davvero. «ok sì, posso» ??? «io non… capisco» così, giusto per mettere in chiaro da subito come funzionava un Isaac Lovecraft qualsiasi di venerdì mattina (male, per inciso). «will ha parlato di provvedimenti sulla memoria per le informazioni sensibili, ossia noi: la ribellione che va dal duemilaventi in poi è praticamente la loro storia, per quanto capaci dubito che riusciremmo a cancellare o modificare cent’anni di avvenimenti» cercò una conferma – o un “ma che cazzo dici, isaac”: andava bene di tutto – negli occhi di William, poi di Maeve e Dakota; si voltò anche verso Niamh, ma questa sembrava più presa a fulminare con lo sguardo la Winston che altro. Istintivo e doloroso, fu cercare anche un cenno da parte di suo cugino: era passato un anno e mezzo, ma ancora non riusciva a realizzare che Donnie non si sarebbe mai più seduto su una di quelle sedie. «vengono dal futuro» nerd!isaac: triggered. «potrebbero… non so… conoscere dei metodi??, per raggirare prove di fiducia e quant’altro, però con il resto delle memorie intatte potrebbero comunque inseguire la nostra causa senza… conoscere a menadito nome e cognome di chi c’è dentro. tentare di portarli dalla nostra parte» posò brevemente gli occhi nocciola su Jade, per poi decidere gli facesse troppa paura per continuare a guardarla. «così, è troppo un’arma a doppio taglio – e hanno aiutato i viaggiatori, certo, ma soprattutto contro il drago. non hanno aiutato la resistenza, e molti di coloro a cui hanno dato una mano non ne fanno nemmeno parte.» ma un senso, quel che aveva detto, ce lo aveva? Chi lo sa: troppo caldo per ragionare. Si strinse nelle spalle. «non so, secondo me agire su quella parte di memoria, è la cosa migliore da fare: non dobbiamo togliere tutto, no?» magari sì, e non ci aveva capito un cazzo.
    Assolutamente probabile.
    Piegò poi il capo verso Nicole, poi su Sylvester; poi, confuso, alla telecamera per uno zoom strategico. «no dai, fate i seri.» amava la Rivera, e l’avrebbe fatto anche se non fosse stata la sorella del suo migliore amico – bellissima, intelligente, adorabilmente imbarazzante quando ci si metteva; aveva anche adottato un praticamente coetaneo, così come avevano fatto lui e Stiles tanti anni addietro – ma. «non possiamo usarli come cavie, dai: potremmo ucciderli al primo tentativo, o far sì che sia seth a farli fuori mentre fate esperimenti.» ed ancora, spostò lo sguardo sulla bionda: avrebbe permesso, se suo fratello o Marcus fossero stati lì e avessero dato il proprio consenso, che rischiassero così tanto? Lui no. «non… non possiamo – e ci abbasseremmo al livello degli estremisti» per il cui operato, tra l’altro, stavano cercando quella cura – argomento che il Lovecraft scavalcò con le sue migliori doti di parkour: era nella guerriglia, non doveva cambiare ruolo lui.
    Credeva? Sperava?
    «e non mi piace l’idea di allontanare jess, erin e jason dalla resistenza, per niente.» si girò verso la Goodwin, in particolar modo: era stato lui a trovarla quando senza memoria non sapeva dove andare; lui, a portarla al Quartier Generale. Sentiva che quello, sarebbe stato un tradimento bello e buono. «ma magari sarebbero davvero più al sicuro – almeno finché non… capiamo come sistemare la cosa
    Che vita di merda.
    «ah già: ma noi dove andiamo?» semicit.
    22 y.o. (15.03.1997)
    ex ravenclaw
    rebel guerrilla
    bartender
    2043: messanger
    teddy tryhard
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco


    sono alquanto certo non abbia un briciolo di senso, ma ho anche troppo caldo per sperare di dargliene un briciolo - i tried (ma nemmeno troppo)
  14. .
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    Affannato da una corsa che non aveva mai fatto – in quel momento, certo, ma anche in generale nella propria vita: scoordinato come un paguro su di una ruota per criceti nemmeno riusciva a prendere con successo una O in Corpo a Corpo; dove voleva correre? -, inclinò la testa sulla spalla, osservando confuso e preoccupato il migliore amico. Troppo preso dal fatto che avessero, finalmente e senza averci mai realmente sperato, la fottutissima lotteria, ci mise più del dovuto ad elaborare le immagini che gli occhi nocciola mandavano al cervello. «sono la tua ULTIMA scelta, lovecraft? l’ultima?» cosa stava succedendo. Perché gli stava puntando contro l’indice con fare così minaccioso e definitivo? «stiles, che-» «siete tutti uguali.» corrugò la fronte, seguendo i movimenti dello Stilinski mentre cercava di scalare il sofà. «stiles – oh, no che cosa hai capITO!!!» rotolò a terra prono, scivolando come un concorrente qualunque della Sfida Implacabile di Steve Austin sotto il tritacarne – eh, si era chiuso con i programmi a premi trash della domenica mattina; cosa poteva farci. molto più semplice paragonarsi a quello, piuttosto che ad un militare in un campo d’addestramento sotto la rete spinata – fino a raggiungere lo psicomago, aggrappandosi alle gambe di quest’ultimo. «non sarai mai la mia ultima scelta!!! come puoi pensare questo!!!» no, davvero, erano insieme da metà della loro vita: non aveva senso !!! quello che stava dicendo !!! ma se ne rendeva conto? (no.) «staremo insieme per sempre, finché morte non ci separi» hahaha SPOILER! xD «anche senza doverci sposare!! e poi sai come funziona: le relazioni finiscono, le amicizie no!! più tardi ci sposiamo e meglio è!!!» chissà dove volesse arrivare, il barman. Il suo cuore seguiva le esigenze di Stiles, ma la sua mente già si proiettava al momento in cui sarebbero andati a ritirare il montepremi in tabaccheria; era difficile conciliare il tutto, quando si era in fibrillazione.
    Non che avessero davvero bisogno di sposarsi, i due, ma «BRO SEI IL PRIMO E L’UNICO!!» cosa? cosa. «cosa…» oh, ma ancora l’infermiere senza un cazzo da fare. Non lo vedeva che erano impegnati? «tutto apposto!» alzò il pollice in direzione del medimago, per poi arrampicarsi sul divano e sedersi al fianco di Stiles. «e per inciso, non sei neanche il mio tipo ed avrebbe voluto sentirsi offeso – sì va bene, un po’ lo era -, perché quando mai non era stato il suo tipo?, ma gli uscì più naturale quel «oh, lo so bene» dalle labbra incurvate. Lo sapevano bene, sia lui che Sharyn, quale che fosse il tipo del tassorosso – e la bionda glielo aveva anche più volte fatto notare, senza troppe cerimonie. «non che abbia un tipo in particolare, cioè nel senso, un tipo era detto gENERICOH» «mhmh» annuì, decisamente poco convinto dalle parole del ragazzo, e continuò a farlo ogni volta che cercava di riprendersi – fallendo miseramente, ma gli voleva bene per quello. «tranquillo, bello» gli posò una mano sulla spalla, stringendola appena, rassicurante. «non tirerò fuori l’argomento, rilassati»
    «BEH NON TRYHARD COMUNQUE SIAMO RIKKI, BRO!!!!!!! MILIONARI!!!!»
    «SIAMO RICCHI DA FARE SCHIFO!!!»


    … ok, erano ricchi. «e ora kome funziona» «ah, boh» ascoltò i grilli cantare per più tempo di quanto non fosse necessario, lo sguardo perso nel vuoto di un punto imprecisato dall’altra parte della stanza. Isaac aveva sempre voluto essere ricco a prescindere, per principio. Non aveva mai pensato a cosa farci davvero; il massimo a cui aveva ambito, era un regalo per Sharyn – ed uno soltanto perché la sua fantasia scarseggiava, e temeva che più doni le avesse comprato più sarebbe cambiato da ciò che era Isaac. Annuì alle proposte di Stiles, biascicando distratto un «lovinski si merita una ruota bellissima, ed una gabbia più grande» e già qualcosa la avevano. «facciamo una festa?» così, per ricordare un po’ i bei vecchi tempi ad Hogwarts in cui organizzava festini abusivi a caso. «non… so cosa voglio. dovremmo mandare dei soldi a stich in burundi però» avrebbe voluto dire di darli in beneficenza ai poveri, però insomma - non era un falzo, il Lovecraft: un po’ voleva goderseli, quei soldi.
    Chissà se si poteva ricomprare Sharyn – no okay, non erano nel medioevo, non poteva comprare la gente. «io voglio uno gnu» perché? così. «ma forse dovremmo stilare una lista PRENDI CARTA E PENNA – e segna subito gabbia e ruota per lovinski, ed uno gnu»
    I swear the world better prepare For when I'm a
    billionaire
    isaac
    lovecraft
    21 y.o.
    ravenclaw
    bartender
    2043: teddy
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    «pensi davvero sia una buona idea» «un’ottima, idea» le labbra strette tra loro, Isaac Lovecraft sollevò lo sguardo nocciola sull’ex concasato comodamente seduto dall’altra parte del bancone, i gomiti poggiati sul mogano levigato ed il mento sul palmo aperto; oramai, al Captain Platinium, ci viveva più di quanto non facesse a casa propria – il ribelle, non Connor Walsh. Il quale, per inciso, non aveva davvero idea del perché stesse facendo tutto quello. «davvero, connor, non… so, non mi convince» portò, nuovamente e per poco, gli occhi sullo schermo del cellulare, costretto a sollevare la propria attenzione dai social nel momento in cui un cliente pagante - voleva bene al più giovane, senza dubbio, nonostante quest’altro fosse il migliore amico di Sharyn ed avrebbe dovuto temere un certo conflitto di interessi, ma stava di fatto che sedeva al suo bar senza ordinare nulla e senza così aumentargli le entrate: bellissime le chiacchierate frivole e tutto quanto, ma aveva davvero bisogno di quel lavoro – entrò nel locale. Non essere più povero in canna non significava certamente che potesse riposarsi sugli allori, ecco; d’altronde Stiles continuava a lavorare, e non voleva passare per quello della coppia che si fa mantenere dalle fatiche altrui.
    Comunque, abbandonò il proprio telefono dietro il bar top, scivolando con un sorriso verso il signore appena arrivato; ignorando, con grande classe e rassegnazione, Connor a sporgersi oltre i limiti che erano imposti agli avventori per prendere l’apparecchio elettronico. Ingenuo, Isaac, a credere di poter servire l’uomo in pace. «dai isaac PENSACI!!!» «vuole altro oltre al cappuccino?» «è davvero il caso!!» «una brioche?» «non ignorarmi, è importante!!!» «perfetto, allora fanno tre galeoni e -» «guarda che se l’è scaricato anche sharyn» «cosa?» «cosa?» «cosa?» ma che voleva quello. Si voltò verso il Walsh, poi verso il cliente, la bocca socchiusa e la mano aperta ad accogliere le monete altrui. «chi è sharyn?» piegò la testa sulla spalla, le sopracciglia corrucciate. Chissà se era realmente interessato, o se si annoiava a tal punto da andare in giro per i bar ad aspettare che qualcuno parlasse a gran voce dei – propri problemi? No, figurarsi!, per il ventiduenne la storia Sharyn, a meno che non fosse affrontata all’interno del proprio appartamento con il proprio team di psicologi (leggasi Idem, Stiles, Nicole e Sin; leggasi ancora praticamente la sua famiglia – ovvio che essendo il tassorosso come un fratello, si beccava per osmosi anche la futura #sincope -, non era certo contasse come gruppo terapeutico), era ancora un tabù che non era disposto ad affrontare a voce alta. Dopo quasi un anno? Naturale.
    Chiaramente, il gentiluomo attendeva paziente che qualcuno mettesse sulla piazza il drama di terzi, per piazzarci poco galantemente il proprio naso. «non…» sono cazzi tuoi; non è così che funziona: solitamente è il barista a chiedere al cliente domande sulla propria vita – nemmeno ti stai ubriacando, ti sei preso un fottuto cappuccino NON ROMPERMI!!! Ebbene, per più ed evidenti ragioni, non poteva di certo insultare qualcuno sul posto di lavoro; schioccò la lingua sul palato, sollevando allusivo le sopracciglia. «la mia ragazza.» se sentì il peso dello sguardo di Connor? Sì, assolutamente: troppo suggestivo per essere ignorato. «cioè, ex immaginava che il discorso fosse chiuso.
    «ooooooh» sbagliava. «e vuoi parlarne?» si morse le labbra, le iridi nocciola a saettare sul legionario in un muto “cosa hai creato.” prima di tornare sull’altro. «direi di no» «secondo me sì» «lo penso anche io»
    Davvero. Davvero.
    Strinse le braccia al petto, un respiro melodrammatico a gonfiare il torace. Per nessuna ragione al mondo, Isaac Lovecraft avrebbe voluto parlare della Winston con il migliore amico di lei ed uno sconosciuto, uno sconosciuto!; a malapena riusciva a parlarne con sé stesso, ed ogni volta doveva smettere prima di sentirsi fisicamente dolere il petto – perché non ne valeva la pena. Per lei sempre la sarebbe valsa, ma a che pro continuare a rammentarsi di quanto avesse consapevolmente rovinato tutto? Aveva voluto dirle la verità, e ne aveva sempre conosciuto il rischio; aveva sempre saputo quale sarebbe stato il prezzo da pagare con Sharyn. Che non lo avesse ancora accettato, che ancora non riuscisse a togliersela dalla testa, di certo non significava che potesse parlarne con la qualunque.
    Anche perché avrebbe significato ammettere di essere un ribelle – certo: go big or go home. «sapete che vi dico?» probabilmente , lo sapevano; anche il tipo del cappuccino – perché ne era certo, che fosse un complotto. Qualcosa che avrebbe potuto combattere con perseveranza e pazienza, ma sinceramente alle dieci del mattino non era così volenteroso di iniziare una crociata simile. Strappò dalle mani di Connor il suo stesso telefono, e senza nemmeno indugiare sulla schermata dell’app di incontri accettò un… che cos’era?, un invito ad uscire? Forse: avrebbe lasciato fosse Niamh ad occuparsene, che su quelle cose ci si chiudeva anche troppo. «contenti ora?»
    #spoiler: sì.
    Perché quella del Walsh, una cospirazione la era davvero.

    «mmmmmm potresti ……… ???» no, non poteva. Mani in alto come se gli avessero puntato una pistola in faccia, il Lovecraft tentò, tanto disperatamente quanto inutilmente, di evitare contatti non richiesti con la gente sulla pista da ballo; le missioni di Tom Cruise erano meno impossibili di quella. «scusa ??? dovrei passare ???» eh, ma quanto poteva fottergliene a quello là? Naturalmente poco: lo perdonava solo perché la musica era alta. «no che ??? cosa fai» ah ochei, si stava strusciando – ed aveva pensato che le mani in alto fossero per toccarlo! Ah ochei intensifies; mica era colpa sua se non era alto come tutte le persone di Londra e a mani alzate arrivava alle spalle altrui. «dovrei… davvero… ??? cosa stai face- oh capisco… no, senti, mh» batté le mani sul petto (nudo) (ma perché la gente girava nuda) (era fuori dal giro da troppo) del ragazzo, laddove questo aveva ritenuto opportuno premergliele. «sei molto bello, sicuramente simpatico, fai palestra – ma ho altri interessi» chissà se poteva dirlo ad alta voce, d’essere etero. Qualcuno ci avrebbe creduto? Alzò, senza chiedersi da dove fosse riuscito a tirarlo fuori, il telefono. «un appuntamento!» bastava così poco: a saperlo prima avrebbe evitato d’essere palpato ovunque – sempre piacevole, però insomma. «buona serata! divertiti! bevi responsabilmente!!» chissà cosa successe in seguito: Isaac, che dal basso del suo metro e settanta si sentiva un Hobbit alla corte degli Uomini, non lo capì.
    La gente lo spingeva, la gente urlava, la gente. In qualche modo, comunque, uscì dalla zona grigia del Lilum, riuscendo a riprendere fiato; non baciò terra solo perché probabilmente si sarebbe preso tante di quelle malattie magiche che il San Mungo lo avrebbe mandato a Malattie Imbarazzanti. «ok, bancone.» sospirò, individuando il fatidico luogo d’incontro suggerito su Tinder. «ma perché lo sto facendo» domande interessanti, alle quali non aveva alcun tipo di risposta: sarebbe dovuto rimanere a casa, Netflix ‘n’ chill con Stiles e a dormire presto. E invece no. «un cuba libre – con l’ombrellino» le priorità erano chiare.
    Chissà, probabilmente avrebbe dovuto tenere lo sguardo fisso sulla bottigliera, tamburellare le dita sul legno sgualcito per tutto il tempo dell’attesa, e poi – poi boh, fuggire.
    Probabilmente non avrebbe dovuto alzare lo sguardo. «shaRYN?» sì, emozione nel vederla – ma cristo santo, che cosa dovevano farci con la musica pompata così forte nelle casse. Deglutì, pentendosi l’istante seguente di aver aperto bocca: chissà da quanto ella s’era accorta fosse lì, e cercasse d’evitarlo. Da un sacco.
    E se Marcus avesse scoperto che aveva parlato!!!!!! con la sorella? Avrebbe rovinato la loro amicizia? Lo avrebbe ucciso? Entrambe. «che – che ci fai qui?» giustamente, uno pensa di non continuare a rischiare la propria vita, e poi fa l’esatto opposto, scivolando sullo sgabello più vicino alla ragazza. Perché con lei non ce la faceva, ad essere razionale. «cioè, non perché… ???» gesticolò vago nell’aria, colpendo per sbaglio qualcuno. «oddio scusa – dicevo, puoi stare qui» e ringrazia della gentile concessione, Winston. «??? QUAL BUON VENTO!» quello africano, presumibilmente: solo Isaac stava iniziando a sudare così tanto? Sì?
    Ok, bene.
    never wnough
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    2043 trash • bartender • ex ravenclaw • 1997's • rebel

    isaac
    lovecraft
    you know that it's you
    that I need around

104 replies since 22/2/2015
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