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    Idem era abituata a vedere ogni tipo di persona vagare per quel corridoio. Chi era stato mandato dai propri superiori, fosse per una perizia in seguito ad un incidente o per protocollo post bellico, chi costretto dalle famiglie, chi caldamente spinto dagli amici. Avevano tutti lo stesso sguardo addosso, il medesimo che il ragazzo le rivolse quando attirò la sua attenzione: mancanza di fiducia. Idem la trovava del tutto legittima, considerando che non la conoscevano; non prendeva sul personale l’essere sulla difensiva, quando tutto al mondo sembrava progettato per attaccare. Sembrava molto giovane. Sembrava molto indurito ai bordi, come carta macchiata di caffè lasciata ad asciugare; friabile e delicata, nella sua rigidità. «forse sei tu che hai bisogno dei miei soldi» Il sorriso sulle labbra della Withpotatoes tremò appena agli angoli, minacciando di sciogliersi in una risata. Tenne il divertimento stretto fra i denti, lasciandolo danzare negli occhi azzurri a cercare quelli scuri dell’altro. Non stava ridendo di lui, né a lui, ma trovò quell’uscita comunque fuori dalle righe ed a suo modo esilarante. Tenero. «forse» concesse allegra, muovendosi cauta in direzione dell’ufficio davanti al quale si fermò. Passò i polpastrelli su invisibili pieghe della gonna, intrecciando poi le dita di fronte a sé. Non c’era traccia di accondiscendenza nell’espressione della medium, solo paziente attesa. Se pensava di provocarla con il tono polemico ed aggressivo, evidentemente o era figlio unico, o il minore della famiglia. «ma il mio stipendio è pagato dal san mungo, che tu decida di entrare o meno» Replicò in tono tranquillo e gentile, privo di accusa ed al contempo senza lasciare margine perché il ragazzo potesse persistere nella propria controversia a senso unico. Sapeva, più per esperienza personale che per professione, che la soluzione migliore nell’incontrare personalità oppositive, fosse farle proseguire senza erigere muri, finché l’accelerazione dell’impulso non scemava in naturale frenata. Dare tempo al tempo, si diceva. «ethan lynx, sono qui per una seduta. non c'è nemmeno bisogno di ricordare il mio nome. è probabile che questa sarà la prima e ultima» Lo invitò ad entrare, sorridendo gentile anche del suo non sei tu, sono io su cui immaginava avrebbero avuto modo di lavorare – insieme, o individualmente. Malgrado il pronunciato broncio, Idem ebbe l’impressione che Ethan Lynx, a quella sua prima ed ultima seduta, fosse più smarrito che arrabbiato. Il nome fece suonare una campanella ben precisa nella memoria della ribelle, una a cui non permise di trillare troppo a lungo. Già sentito, mormorato in stanze ovattate da cui non avrebbe dovuto uscire alcuna parola. Nomi destinati ad essere lasciati dove venivano ascoltati la prima volta, costretti a spazi angusti ed irrequieti. «idem withpotatoes» offrì la mano nel farlo avanzare, senza alcun obbligo perché lui la stringesse. Gli indicò la sedia di fronte alla scrivania, ignorando il lettino poco distante, perché il primo incontro meritava un approccio più diretto ed intimo, dove l’altro potesse sfuggire più difficilmente al suo sguardo. Si accomodò al proprio posto, spingendo verso di lui una ciotola di vimini con dolcetti di ogni forma e dimensione. «caramella?» Era un ufficio impersonale, quello degli psicomaghi. Con il loro lavoro, non potevano permettersi di essere troppo umani, lasciando segni del proprio storico sulle pareti: non c’erano foto, non c’erano modellini. Potevano solo prendere ciò che lo spazio offriva, e renderlo un po’ più confortevole, senza però violare le libertà altrui – l’ufficio veniva equamente diviso con altri colleghi. I vasi delle piantine posti vicino alla finestra erano decorati a mano, variopinti e caldi; le tende erano bianche e leggere, i mobili eleganti ed asettici. La libreria conteneva volumi scientifici e medici, senza i titoli che Idem avrebbe amato avere. L’unico posto dove avessero libertà di manovra, era il cassetto della scrivania, dove ogni psicomago stipava una piccola parte di sé: i dolcetti, erano stati un qualcosa su cui si erano mostrati tutti d’accordo.
    «il percorso lo scegli tu, ed unicamente tu. Se pensi che una sola sessione sia abbastanza» lo osservò con mezzo sorriso morbido e liquido, senza specificare che quell’abbastanza avesse mille ed una sfumatura. «lo sarà. Il fatto che tu sia venuto qui, significa già qualcosa» Non prese pergamena su cui prendere appunti, allacciando piuttosto le dita fra loro, e lasciandovi cadere il mento. Lo guardò e basta, studiandolo gentile per una manciata di secondi, permettendogli di rompere il ghiaccio per primo.
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    Gustav Rogers era un uomo pragmatico e di poche parole.
    Idem apprezzava che non girasse attorno alle problematiche in corso, andando dritto al punto e senza farcirle con contorno che non stava nello stomaco di nessuno. Apprezzava anche quelle riunioni settimanali, convinta che il confronto fosse importante, e vedeva lo sforzo dietro quegli incontri. Il messaggio subliminale di stringere i denti, ancora per un po’: era solo questione di abituarsi all’ennesimo orrore. L’essere umano era fondamentalmente adattivo; necessitava una tregua ed una spinta, ma trovava sempre il modo per andare avanti e sopravvivere a se stesso. Incrociò gli occhi di Stiles, le spalle di lui accartocciate su se stesso e la punta delle scarpe a premere sul pavimento come quelle di un corridore sulla linea di partenza. Immaginava non fosse neanche conscio della posa fuga con cui sedeva a quelle assemblee; gli rivolse un sorriso gentile ed uno sguardo incerto, perché finché Andrew Stilinski non avesse saputo da cosa stava scappando, Idem Withpotatoes non avrebbe potuto aiutarlo. Nessuno poteva. Credeva lo sapesse, in qualche parte sepolta e dimenticata del suo subconscio; credeva anche ci stesse provando, a non scappare.
    Tornò a guardare il loro responsabile, annuendo alle sue parole.
    Avrebbe letto altri manuali sulla gestione dei disturbi post traumatici. Sì, si sarebbe fermata oltre l’orario di lavoro. Certo, in caso di difficoltà avrebbe cercato supporto nel suo superiore.
    E la questione ancora venne ignorata, lasciando Idem a battere le ciglia su una stanza ormai quasi vuota, congedata da tutti i presenti. Cercò gli occhi del Rogers, perché pur non avendo ella fatto esplicitamente parola di quanto la situazione fosse problematica, aveva immaginato che il suo accennarne fosse già di per sé un sintomo di quanto intollerabile fosse. Non aveva appena detto che per qualsiasi problema, potevano rivolgersi a lui? Aprì la bocca per intervenire, rubare altri cinque minuti del tempo del dottore, ma si risolse nello stringere le labbra ed abbassare gli occhi sulle proprie mani in grembo.
    Non era colpa sua. Avevano già abbastanza problemi senza farsi carico di questioni di nicchia che riguardavano una percentuale di lavoratori davvero minima. Non poteva biasimare né Gustav Rogers, nè i suoi pazienti: le loro reazioni erano normali, e ciò che ci si poteva aspettare da loro. Si alzò, alla fine. Fece scivolare le mani sulle pieghe della gonna per raddrizzarla, sorridendo all’uomo a capo del tavolo prima di lasciare la sala.
    Se pensavano che essere uno psicomago fosse difficile in quel periodo storico e sociale, era evidente non avessero idea di cosa volesse dire essere uno psicomago medium di quei tempi. Tenne il capo chino, procedendo nel corridoio del San Mungo per mera memoria muscolare.
    «la prego, solo una volta -»
    «non la aiuterebbe»
    «devo dirgli che -»
    «lo sapeva, signora»
    «il mio bambino, la supplico -»
    «deve imparare ad andare avanti -»
    «ME LO FACCIA VEDERE»
    «signora, mi sta facendo male»
    «mio figlio...»
    «lo so»
    «mi dispiace, non volevo -»
    «lo so, signora»

    Il lutto tendeva a fare quello alle persone, renderle estranee a loro stesse. La paziente aveva allentato la presa sul braccio di Idem, gli occhi colmi di lacrime, la bocca spalancata in un grido muto - e Idem aveva guardato, e capito, e detto che lo sapeva, mentre i segni delle dita iniziavano ad imprimersi come lividi sulla pelle candida del braccio. Quello era solo uno dei tanti casi recenti che avevano visto protagonista la medium, alcuni dei quali avevano richiesto l’intervento della security. Non c’era stato alcun ordine ufficiale dai piani alti, ma la Withpotatoes sapeva che alcuni di loro passassero più di frequente di altri alla sua porta per assicurarsi che stesse andando tutto bene, così come sapeva che altri non lo facessero affatto, e di proposito. Non la preoccupava, riteneva fossero situazioni che fosse in grado di gestire, ma lo trovava comunque… triste.
    Trovava molte cose tristi, Idem Withpotatoes.
    A partire dall’espressione distante del più giovane psicomago rimasto sul piano.
    «sta facendo del suo meglio» suggerì, quando Stiles arrivò al suo passo, camminandole pesante al fianco. Rogers, lei, il resto dei loro colleghi rimanenti, lui stesso, stavano tutti facendo del loro meglio per sopperire alla mancanza di personale, ed alla frequenza di richieste da cittadini e ministero. Il moro la guardò di sottecchi, forse assicurandosi che fosse seria. «sicuro» Roteò gli occhi al cielo al sarcasmo spesso e trasparente quanto il vetro di una finestra, sistemando le pieghe del colletto. Non era suo compito convincerlo, a suo tempo l’avrebbe capito. Provò un altro approccio, allora, cercando di toglierlo dalla sua testa invitandolo ad una pausa alle macchinette. Sapeva che Andrew Stilinski avesse bisogno di tempo per elaborare cosa pensasse in merito alle situazioni. Di rispondere con ironia e scrollate di spalle a caldo, ma poi rifletterci ed avere modo di dire la sua con i suoi tempi, i suoi spazi – i bisbigli che pensava nessuno volesse sentire. «nah, ho un appuntamento» notò come massaggiasse le palpebre, le occhiaie violacee e la pelle smunta delle guance. Che fosse stanco, era un eufemismo, ma chi non lo era? Facevano più ore dell’orologio, ed i sessanta minuti che dedicavano ai pazienti valevano almeno il doppio di quel che la clessidra misurasse. Li svuotavano, indipendentemente da quanto preparati fossero nel loro lavoro. Idem era brava a mettere confini fra sé stessa e gli altri, professionale nella propria comprensione ed ascolto, ma avrebbe dovuto essere un automa per rimanere impassibile di fronte a quelle storie. Quel dolore. Quel nulla, che era forse la parte peggiore del loro mestiere. Le emozioni forti erano più semplici da gestire del piatto grigiore di chi aveva perso la voglia di vivere.
    E ce n’erano così tanti. Così troppi.
    Decise di bypassare anche lei la pausa alle macchinette, dirigendosi direttamente verso il suo ufficio. Di certo non le mancava lavoro in arretrato, anzi, ed anche lei aveva appuntamenti ad attenderla quel pomeriggio. Salutò con un cenno Franklyn Daniels, un sorriso ed un paio di convenevoli - come stai, io tutto bene, solo un po’ stanca, oggi è stata una lunga giornata, domani se riesco ti porti un po’ di brownies, li vuoi? -; lui faceva parte della categoria di security che trovava sempre un momento libero per passare dal suo ufficio, ma conoscendosi, si sarebbe fermata a chiacchierare in ogni caso. Aveva sempre l’aria di essere un po’ triste, pur sorridendo spesso e genuinamente. Aveva qualcosa di familiare, melanconico nella curva delle labbra, che l’aveva spinta a volergli un po’ bene da subito. Sapeva che avesse partecipato alla guerra per Lamovsky; sapeva anche che fosse una brava persona. Le due cose, non si annullavano.
    Si arrestò di fronte alla porta del proprio ufficio, curiosi occhi blu su un ragazzo lì vicino. Era il suo prossimo appuntamento…? Si era perso…? Aveva bisogno di informazioni…? Cercava qualcuno? «buongiorno. Hai bisogno…?»
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    si con il fatto che la palla ha deciso due role di psicomaghi, ho fatto i due pov della stessa giornata. WHATSUPPPPPPPPPP
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    Teneva un orecchio poggiato contro la porta, il palmo aperto su di essa per tenersi in equilibrio. Era difficile sentire con l’udito, sopraffatta com’era da tutto il resto. Le sembrava di ascoltare le voci all’esterno con un paio di cuffie spente nelle orecchie; contorni ovattati e gonfi. L’adrenalina, certo, non aiutava, ma a minare la sua concentrazione c’era soprattutto il basso vibrare delle bolle nell’archivio della DUSP. Non li percepiva come il resto dei fantasmi, non poteva comunicare con loro e certamente non controllarli, ma li avvertiva comunque. Un ronzio sotto pelle a disturbare le frequenze. Il principio di un emicrania che non si evolveva mai in un vero e proprio mal di testa, quanto più in un cerchio a stringere la fronte.
    (Di lì a qualche mese, la situazione non sarebbe migliorata neanche per le tranquille strade di Brighton, la morte a permeare ogni granello d’ossigeno; un’altra storia, per un altro momento.)
    Premette la mano libera contro una palpebra abbassata, schiacciando per alleviare la sensazione di stanchezza. Ecco, forse era quello il problema: sapeva non fosse possibile, ma si sentiva comunque drenata della propria energia come se qualcosa lì dentro si stesse alimentando del suo potere. Magari le voci che non riuscivano a raggiungerla. Le richieste e le preghiere.
    Non si arrabbiava spesso, Idem Withpotatoes, ma sapere che una società come la DUSP esistesse, la faceva innervosire. Aver scoperto che fossero andati ad Hogwarts, ed avessero usato le vite di persone reali come lezione per degli adolescenti, la infastidiva, perché non era storia. Non di tutti, almeno: era la loro, di storia. Intima. Non erano – tutti – personaggi che avevano in qualche modo contribuito a creare la società così come la conoscevano, ma gente normale. Qualunque. Imprigionata solo perché in vita non avevano avuto qualcosa - il coraggio, il tempo – ed erano stati visti in seguito come fonte di disturbo dagli esseri ancora viventi. Persone che avevano amato, ma non l’avevano fatta abbastanza; combattuto, senza vincere; perdersi, senza avere la possibilità di ritrovarsi.
    «vorrei restare da solo con te, Idem»
    Posò interrogativi occhi azzurri su Noah Parrish, la bozza di un sorriso divertito sulle labbra. Certo, anche lei avrebbe voluto restare da sola con lui, e che il resto dei dipendenti lasciasse l’edificio – non era quello il punto della loro missione? Sconclusionata, caotica. Poco stile Parrish, a voler essere del tutto onesti. Sapeva - sapeva - l’avesse fatto per lei, e come si poteva non amare qualcuno che spingesse i propri limiti un po’ più in là pur di renderla felice? Non aveva mai fatto pressioni in merito, Idem, perché sapeva ci fossero altre priorità - strani avvenimenti stavano capitando in tutto il mondo, e nessuno sembrava avere idea di quale fosse il motivo: era su quello che avevano indirizzato i loro studi, pur con pochi risultati – ma era importante per lei. Non capiva perché a quei fantasmi non fosse permesso di andare oltre, e fossero invece rinchiusi eternamente nel malessere che li aveva costretti in quella situazione in primo luogo. Che lei sapesse, la DUSP non aveva contattato alcun medium per facilitare il trapasso: nulla, della loro associazione, lasciava intendere che lavorassero per i fantasmi – offrivano un servizio ai vivi, e tanto bastava alla maggior parte della popolazione.
    «Se c'è qualcun altro con noi, vi pregherei di farmi questa premura e andarvene- perchè io sono pronto» Ah… mh. Quel soli. Fu istintivo e naturale offrirgli il palmo, lasciare che intrecciasse le dita fra loro. Non aveva bisogno di un motivo o di una spiegazione per farlo, ma - pronto? A che… cosa. Faceva parte del piano? Cercò di fare mente locale, ma non trovò una risposta. Alzò lo sguardo su Sarah, che osservava Noah con un cipiglio confuso ed offeso, le braccia incrociate sul petto.
    «digli che me ne sono andata. Tanto mica lo sa»
    «sarah» rimproverò a bassa voce, battendo le ciglia. Capiva quando esitava a lasciarla da sola in presenza di sconosciuti, gli Withpotatoes non erano propriamente una famiglia affidabile, ma Noah…? Noah Parrish non era un pericolo per Idem. Non avrebbe mai potuto essere un pericolo, neanche con quell’espressione seria ed il suo essere pronto. Provò a pensare se avesse dimenticato qualche conversazione in sospeso; se negli ultimi tempi fosse stata troppo bisognosa di attenzioni, appiccicosa come afa d’estate. Se quello fosse il suo modo – rispettoso, sempre; galante, ed educato – di farle notare che fosse il momento di prendere le distanze, costruirsi ciascuno la propria vita. Non potè fare a meno di notare come il solo pensiero bastasse a rendere scostante il battito nello sterno, un salto verso il basso e rapido poi a stringere la gola. Morse nervosamente il labbro inferiore, allentando la stretta sul suo palmo.
    «se mi vuoi, rimango» insistette il fantasma, e Idem riconobbe nel tono delicato che fosse un’offerta: le avrebbe tenuto l’altra mano, se la ex Tassorosso ne avesse avuto bisogno – e poi avrebbe posseduto Noah, costringendolo a prendere una testata contro la parete, ad afferrare un paio di forbici dagli uffici a fianco, e radersi a zero. Se fosse stato necessario, diceva l’espressione serafica di Sarah. Le rivolse un sorriso morbido ed affettuoso, sollevando un angolo della bocca. Le indicò poi l’esterno della stanza, senza però imprimere alcun controllo su di lei. Non avevano quel genere di rapporto. Avrebbe potuto, ma non voleva. «siamo soli» confermò in un mormorio, pochi secondi dopo l’uscita di scena del suo fantasma di fiducia, azzardandosi a ricambiare l’occhiata dell’altro. Qualunque cosa avesse voluto dirle, andava bene: non voleva pensasse che non volesse sentirla, anche se in parte era così. Aveva tutto il diritto di esprimersi. Spezzare un cuore che neanche sapeva di tenere fra le dita, ma tenuto così gentilmente, in quegli anni, che Idem non aveva potuto far altro se non cederglielo. Non sarebbe stata colpa sua. La Withpotatoes non voleva niente in cambio, perché non era così che funzionavano i regali.
    «Da mesi sto cercando di... affrontare discorsi difficili, senza mai trovare il momento - o rovinandolo da solo per paura. Ho bisogno di parlarti di me, perchè voglio che tu mi conosca sul serio. Le cose belle e le cose brutte.» Di nuovo, non quello che si era aspettata. Piegò il capo sulla spalla, allontanandosi dalla porta per avvicinarsi a lui. «Sei d'accordo? Spero che se dopo quello che devo dirti non mi vorrai più nella tua vita, avrai la bontà di spezzarmi il cuore con la tua solita gentilezza» Rispettava le scelte altrui abbastanza da costringersi a non pensare di aver fatto il passo più lungo della gamba, a concedere a Noah quel momento di solitudine, ma aveva davvero bisogno di un traduttore, in quel momento. Sopracciglia corrugate, ed anche l’altra mano a posarsi sul dorso del Parrish. «noah» battè le palpebre, ed esitò. Il primo istinto nelle situazioni di tensione, era sempre quello di diventare professionale, offrendo il consiglio che avrebbe dato ad un proprio cliente – che fosse un posto sicuro, che potesse condividere solo quello che si sentiva di condividere, che non era lì per giudicarlo, il suo compito era ascoltare – ma era Noah, ed era Idem: quelle cose già le sapeva. «non è il passato a definire chi sei. Ti conosco» sottolineò, perché le sembrava necessario. Aveva… paura….potesse non volerlo più nella sua vita? Lei? Trattenne una risata in favore di un sorriso. «se vuoi dirmelo, mi fa piacere, ma non sentirti in dovere. Mi interessa perché riguarda te, ma non mi importa» le sembrava così ovvio, che si sentì stupida a dirlo ad alta voce. Poteva avere una vita senza Noah, ma non la voleva: le pareva una differenza importante.
    E scontata. Non la era? Strinse un po’ di più la mano del ragazzo nelle proprie, il pollice sulle nocche. Un sorriso un po’ esitante, quello della Withpotatoes. Pieno di cose che pensava di non aver bisogno di dire. «grazie, però»
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    «me lo diresti se fosse successo qualcosa di grave, vero? non sono un bambino» a quella frase, Idem si fermò interdetta. Lo osservò da sotto fitte ciglia scure con un’espressione di monito bonaria, perché chiunque avesse bisogno di sottolineare di non essere un bambino, implicava qualcuno a priori che l’avesse accusato d’esserlo troppe volte. O l’avesse usata come giustificazione per non dare spiegazioni. Una mentalità pressochè sconosciuta a qualunque Withpotatoes: neanche quando erano stati bambini, Seti e Lena li avevano trattati in modo diverso. Più morbido e guidato, forse, ma senza cambiare i concetti. «non è una questione di età» scandì, in tono dolce ma fermo, cercando con un cipiglio confuso gli occhi di JD. In quanto membri della Resistenza, avevano ritmi diversi rispetto al resto dei cittadini, vero. Non potevano permettersi percorsi lunghi e tortuosi di terapia, non gli era concesso perderci testa o sonno per più di qualche minuto, se non volevano che la situazione peggiorasse. La loro sanità mentale risiedeva quasi unicamente sul motivo per cui lo stessero facendo. Il fatto che non potessero migliorare l’elaborazione delle informazioni, non significava che dovessero peggiorarlo; se calibrava le informazioni, era perché avessero modo e tempo di farlo, e Idem sapeva che JD ne fosse a conoscenza. Così come doveva essere consapevole che più forzava il sorriso sulle labbra e accelerava i tempi per venire a sapere tutto e subito, meno avrebbe avuto.
    Era procedura standard.
    «ottima scusa per saltare i pranzi di famiglia»
    Non avrebbe forzato un meccanismo di difesa differente neanche se non fosse stato un suo amico, ed un paziente qualsiasi incontrato al San Mungo. Se in quel momento aveva bisogno di quello, quello avrebbe ottenuto: avevano tempo per il resto, quando – e non se – ne avesse avuto necessità. «carboidrati in meno» perché dargli corda con battute riguardanti come avesse potuto liberarsi facilmente delle domande sul fidanzatino, in quel frangente, non le sembrava particolarmente opportuno. Abbozzò un sorriso gentile, celando la tristezza nostalgica di quella smorfia. Quella di Idem non era pietà, ma non voleva l’altro la interpretasse come tale.
    «il mio cellulare-»
    «ehi...»
    «saranno tutti offesi...»
    «ehi...»
    «devo avvisare- dio, anche Jericho. L'unboxing di lunedì. questa volta mi ucciderà di sicuro» Schioccò le dita della mano libera di fronte al viso del coreano, strappandolo dalla linea distratta ed incoerente di quei pensieri. Non solo non avevano finito (…) ma non era su quello che avrebbe dovuto concentrarsi in quel momento. Soprattutto non la possibilità che fossero offesi con lui, quand’era stato così vicino a morire. «priorità, JD. Piccoli passi» Arcuò entrambe le sopracciglia, tenendo salda la mano fra le proprie.
    Forse perfino un po’ di più. Annuì piano, invitandolo a fare lo stesso per assicurarsi fosse ancora lì con lei, e quando fu certa di avere la sua attenzione, ricominciò a parlare.
    «la cosa più importante è che al momento tu sia sveglio.
    Il primo passo, è la tua forma fisica: come ti senti?»
    gli rivolse un’occhiata dal sapore di rimprovero. «sinceramente» una menzogna non avrebbe fatto bene né a lui, né al Guaritore che si sarebbe occupato della sua ripresa. Avrebbe solo allungato i tempi per tutti. «è normale sentirsi deboli, e ancora stanchi. non è stato un lungo sonnellino. Anzi, dopo la visita, ti converrebbe dormire un po’» sapeva non l’avrebbe fatto, ma doveva comunque provarci.
    «il secondo passo, è ricordarti che sei vivo. E non esiste nulla che non si possa sistemare. Ok? nulla» Poteva non sembrargli, e poteva crederlo impossibile, ma non era così: finché avesse avuto un cuore funzionante ed una testa sulle spalle, potevano trovare una soluzione a tutto. Magari difficile; magari a lungo termine.
    «il terzo, che non sei da solo.» Non parlava solo di Ken, o banalmente di se stessa: aveva l’intera resistenza alle spalle, che piacesse o meno. Ricordava la sera stessa dell’incidente all’Anoobi, quando i feriti erano stati portati al QG ed al San Mungo. Quando i capi si erano guardati in faccia, e la notizia di North e JD aveva già viaggiato l’intera contea. Il «se li uccidessimo, non avremmo problemi» mormorato da William, gli occhi blu sulla foto segnaletica di North.
    Idem si rendeva conto, perchè non era stupida, fosse vero.
    E Idem sapeva, non l’avrebbero fatto. Non quando avevano altre possibilità. Loro non facevano scelte facili: erano la Resistenza, qualunque fosse il prezzo da pagare. I problemi, li affrontavano insieme. Potevano anche sbranarsi l’un l’altro, tollerarsi nei giorni pari e non farlo affatto in quelli dispari, ma erano comunque una squadra. Si coprivano le spalle a vicenda, anche con il rischio di prendersi il colpo a posto d’altri. Lo facevi, perché volevi qualcun altro lo facesse per te.
    «durante l’incidente...la tua identità è stata compromessa. Così come quella di north. I vostri nomi sono di pubblico dominio; le vostre facce, sui muri della comunità magica» Strinse la presa per sentirlo presente, e per tenerlo ancorato a sé, perché non aveva finito. «magari è vero che per ora ti odiano, JD, ma sono tutti vivi. Le indagini si sono già concluse. Né tu né North siete più una priorità.
    Non è facile. Cambierà tutto. E mi dispiace, JD. Sono rischi che abbiamo scelto di correre ogni giorno, e che continuiamo a scegliere per quello successivo. Non sei peggiore di noi. Non hai messo nessuno in pericolo solo perché ti sei concesso di vivere: che loro lo sappiano o meno, che ti odino o meno, è anche per loro, che l’hai fatto.
    E non è una colpa
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    Era come assistere ad un incidente e non poter fare nulla per fermarlo. Abbandonò la Idem amica e collega di JD, ricadendo negli abiti mai in disuso della Withpotatoes psicomaga, perché in quel momento aveva bisogno di essere quella persona. Per se stessa, forse, più che per il ragazzo. Attese paziente che le dicesse cosa ricordasse, senza mostrare nulla di quanto quelle memorie – così vicine per lui, quasi storia vecchia per lei – influissero sul suo stato d’animo.
    Oh, baby. Sapeva anche cosa sarebbe arrivata dopo la notizia: la negazione, la rabbia verso se stesso per aver perso tempo ed aver messo in pericolo le persone a lui care, l’impotenza, il peso sullo stomaco ed il petto che gli avrebbe impedito di respirare come avrebbe dovuto e potuto. A livello clinico, Idem Withpotatoes era consapevole delle conseguenze, e di come affrontarle.
    Era sempre diverso, quando dall’altra parte non c’era uno sconosciuto. Fingere che non la toccasse, che non sentisse il cuore spezzarsi per tutto quel che ancora non sapeva. Non era morto nessuno, e quella avrebbe dovuto essere una conquista, ma come erano arrivati al punto in cui il trionfo erano vite risparmiate, e non tutto il resto? Avevano perso un luogo sicuro. Avevano soldati ancora feriti, che avrebbero dovuto convivere con le loro mancanze. C’erano i traumi; c’erano le libertà strappate da sotto i piedi di North e JD. Il loro mondo – presente, futuro; passato – non sarebbe mai più stato lo stesso.
    Si sistemò più comodamente sulla brandina dell’infermeria improvvisata, cauta nel muoversi per non infierire ulteriormente sulla già precaria salute del Kim. Aprì il palmo, offrendoglielo perché potesse darle una mano da tenere nelle proprie, e non fu solo un gesto di vicinanza ed empatia: aveva bisogno smettesse di cercare di alzarsi, perlomeno finché non fosse arrivato un guaritore in suo soccorso. Dopo tutti quei mesi passati in un lettino, i muscoli non erano più abituati a funzionare come avrebbero dovuto, e Idem non era abbastanza competente per poterlo aiutare a livello fisico. Già su quello psichico, iniziava ad avere dei dubbi. «oltre alla vostra presenza, c’è stato un… diversivo. L’edificio in cui vi trovavate, è esploso. Abbiamo perso la safe house, ma almeno non hanno tracce che possano ricondurli a noi. Siete riusciti a scappare tutti» un sorriso delicato, quello della medium.
    «alcuni sono rimasti gravemente feriti. Permanentemente.» perché doveva essere onesta: non era un bambino, era un soldato, ed aveva messo in gioco tutto per essere all’Anoobi quel giorno. Meritava, perfino nelle sue condizioni, di sapere che non fosse stato tutto rosa e fiori. «ma non abbiamo avuto nessuna perdita» non abbassò lo sguardo: lo tenne fisso in quello confuso, e spaventato, del coreano, cercando di tranquillizzarlo con quelle poche parole - nessuna perdita - e con una stretta più vigorosa sulla mano. «l’incidente all’anoobi risale a luglio» scandì, lentamente, sapendo avesse bisogno di tempo per processare. «è normale che tu ne abbia ricordi confusi e sfocati. hai battuto la testa» e perso la maschera. «forte. sei rimasto in coma quattro mesi, JD» dolce, morbida, comprensiva. Gli sorrise, perché a conti fatti, il suo risveglio restava una cosa bella. «l’importante è svegliarsi, ok? Non abbiamo mai dubitato che sarebbe arrivato questo momento. Avevi bisogno di… tempo per riprenderti, tutto qui» non gli promise che avrebbe potuto riavere la sua vita così come l’aveva lasciata. Non faceva mai promesse che sapeva di non poter mantenere.
    … Magari che il mondo sapeva la sua identità, gliel’avrebbe detto al prossimo post più tardi. Come si soleva dire, a lot to unpack.
    idem
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    Era difficile trovare Idem Withpotatoes impreparata - con la schiera di fratelli disagiati complessi che si ritrovava, era cresciuta sapendo sempre esattamente cosa dovesse fare -, ma in quel momento, non sapeva affatto come muoversi. Cosa fare delle proprie mani, ancora allungate verso JD nel tentativo di aiutarlo a rialzarsi, o cosa fare dello sguardo azzurro posato confuso, e spaventato, e sollevato, sul ragazzo, indeciso su quale emozione planare per prima.
    Decise di non scegliere.
    Quando fu nuovamente assicurato nel lettino, tornò a recuperare la tazza di tè – che aveva già iniziato a bere, e per quanto educazione e norme igieniche imponessero che trovasse altro, doveva accontentarsi di quel che passava il convento: era un’emergenza - su cui, for good measure, soffiò ancora un paio di secondi, prima di porgerla al Kim. «sei sveglio» realizzò in tono morbido, dopo i primi secondi di panico, facendo sciogliere quell’affermazione sulla lingua come uno dei cristalli di zucchero lasciati nel tè. Battè le palpebre, allungando le dita per togliere i capelli sudati dalla fronte del ragazzo, ed approfittarne per osservarne il viso sotto la luce – non era un medico, ma lavorando nell’ambiente, almeno le procedure di primo soccorso le conosceva. (Lele, se stai leggendo, fatti i cazzi tuoi: non le so davvero, e non ho voglia di informarmi .) Senza contare che il trauma rientrasse nelle sue competenze, quindi. Gli sorrise, tornando a posare le proprie mani in grembo, allontanandosi quanto bastava per non farlo sentire (sticker di cidi) in trappola. «come ti senti?» Mano a mano che i secondi passavano, il risveglio diventava più reale, e con esso, l’entusiasmo della Withpotatoes. JD SI ERA SVEGLIATO! Sapevano che prima o poi sarebbe accaduto – almeno, così avevano detto i guaritori – ma il quando era sempre stato nebuloso, tanto da far temere a molti che potesse essere più vicino al poi, ed al mai, che al prima. «hai dormito... per un po’» lo rassicurò, e prima che precipitasse in una spirale di terrore, aggiunse «gli altri stanno bene» per quanto bene potessero stare quand’erano un po’ mutilati e ricercati, ma insomma, avrebbe aspettato almeno un quarto d’ora prima di scendere nei dettagli. «qual è l’ultima cosa che ricordi? Non sforzarti troppo. Datti un po’ di tempo»
    idem
    withpotatoes
    I give it all my oxygen,
    so let the flames begin ©


    chissà se posso tenerti compagnia finchè non arriva beltè. e soprattutto se posso collezionare la figurina
  7. .
    I know too well
    how it feels when you fall
    when & where
    qg, post comacose
    what
    psychowhat
    how
    medium
    Plof. Idem guardò la bustina di tè galleggiare nella tazza per qualche secondo, prima di impregnarsi d’acqua e galleggiare fino al fondo. La sua cosa preferita del tè non era berlo, ma prepararlo: c’era qualcosa di confortante e terapeutico nel guardare l’acqua colorarsi d’arancio, nello stringere le dita attorno ad una ceramica calda ma non bollente, e l’inspirare i profumo che raramente poi rispecchiava il sapore della bevanda. Aprì l’armadietto della cucina cercando fra i tipi di zucchero, quello in cristalli che aveva portato la settimana precedente. Era diverso da quello sciolto, o dalle zollette? No, ma era :sparks: self care :sparks: ed il rito del tè girava tutto attorno a quello. La vera pausa per eccellenza, una parentesi di tempo strappata all’ordinario. Sgranocchiò lo zucchero prima di lasciarlo cadere nella tazza, occhi azzurri distratti ad osservare l’ambiente deserto.
    Ricordava un tempo in cui il Quartier Generale era sempre pieno di gente. Che fossero rifugiati politici, ragazzini che l’avevano resa casa propria, o semplici ribelli che preferissero quella bolla piuttosto che il mondo all’esterno, non faceva alcuna differenza. Si respirava un’aria diversa, cameratismo e solidarietà; erano stati un fronte unito contro il nemico comune, pronti a sorreggersi e coprirsi le spalle a vicenda. Non sapeva con esattezza quando fosse successo quello; non sapeva neanche se fosse un lato positivo o negativo, che ci fossero sempre meno ribelli. Forse positivo; forse il mondo stava già cambiando grazie anche a loro. Aveva bisogno di crederci, per giustificare le continue faide interne che vedevano i ribelli divisi da ideologie o morale; per dare un senso all’assenza di parole tutte schiacciate fra mure provvisorie.
    Per non rendersi conto di dove fossero, quelli mancanti.
    Non biasimava William Barrow per quella situazione. Avrebbe preferito fosse possibile prendere strade diverse, fare scelte differenti, ma sapeva che non avessero il lusso di scegliere, e che i danni andassero contenuti perché prevenirli fosse impossibile. Idem Withpotatoes aveva fatto parte della Resistenza per tutta la sua vita, l’ingenuità con cui guardava il mondo era destinata a smussarsi. Aveva visto cambiare il potere politico dei ribelli e del governo indifferentemente, aveva assistito a tragedie e vacue vittorie, e sapeva che quella fosse una battaglia destinata a durare. Che avrebbero perso colleghi, amici, ed avrebbero trovato altri soldati da addestrare e buttare in campo – loro, gli altri.
    Era un ciclo che nessuno sembrava in grado di rompere.
    Da Ricercatrice, non poteva fare a meno di notarlo sempre più, come la storia tornasse sempre a fare il suo giro. Malgrado le informazioni fossero sempre spezzettate, e mancasse qualcosa a legare il tutto, i format ed i pattern si susseguivano nei secoli. Voleva persistere nell’essere ottimista, era pur sempre Idem Withpotatoes, ma perfino le sue certezze talvolta vacillavano. Trovava quello stato di stallo più pericoloso delle guerriglie e le missioni, perché incerto; quando il pericolo era in nessun luogo, era potenzialmente ovunque.
    E quella di Luglio, lo sapevano tutti, non era stata una vittoria sotto alcun punti di vista: avevano perso fisicamente, moralmente, e agli occhi dell’opinione pubblica. Ne pagavano il prezzo ogni giorno, un fallimento rimembrato in ogni sguardo amico e nemico, nel sorriso forzato di una North che leggeva i giornali con il suo nome e nei respiri artificiali di un JD sul lettino in infermeria. Andava così male, che i biscotti glassati che aveva portato la Withpotatoes quella mattina, erano ancora tutti lì. Ne prese un paio da portare a Bertie nel loro archivio slash biblioteca slash :shrug emoji: si fa quel che si può, e l’altro lo addentò, masticandolo lentamente mentre tornava al lavoro. Biscotti e tazza in mano, riflettendo fra sé e sé sulla vita e la morte ed i gechi che sembravano foglie, Idem rivolse un sorriso ai visi stanchi incrociati fra i corridoi, o intravisti nelle stanze lasciate aperte. «ehi holden - ciao hunter ci sono dei biscotti in cucina se vuoi, buondì wren belli gli occhiali nuovi – jd ti sei fatto male» Pausa.
    Pausa.
    Aggrottò le sopracciglia, ferma all’uscio della stanza dove il bello addormentato aveva fatto un lunghissimo power nap di mesi, ed ora la osservava metà per terra e metà sul lettino. Si guardò attorno. «jd……….» tentò, uscendo dalla stanza per controllare quale porta fosse.
    JD CONFIRMED.
    «!!!! JD!!!!!» Posò tè e biscotti sul tavolino, piroettò verso il PULSANTE (certo che c’era un pulsante!!! così il primo che trovava JD sveglio avvisava boh. Gli infermieri? Qualcuno. Dak send help) e quindi si affrettò al capezzale del coreano, aiutandolo a rimettersi in sesto.
    Cosa si diceva a qualcuno che si era svegliato da un coma? «non sei un fantasma vero? Haha joking» she was, in fact, not joking.
    idem
    withpotatoes
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    ha premuto un magico pulsante per avvisare??? qualcuno che jd è sveglio!!
  8. .
    arms crossed with the attitude, lips pouted
    «poteva andare molto peggio» Idem represse un brivido, l’indice a testare delicato la carta da parati presente nella stanza. Noah aveva ragione, poteva – ed era successo. Diverse volte – andare decisamente molto peggio, ma non le sarebbe dispiaciuto se ogni tanto il fantasma arrabbiato di turno avesse deciso di sprigionare calore, anziché gelo artico. Ritrasse il dito quando le parve di sentire qualcosa di umido sul polpastrello, nascondendolo nel pugno chiuso. «ricordate il castello di Edimburgo?» il tono di voce era sottile e delicato quanto il sorriso a curvare le labbra. Spostò la luce tremula della propria torcia sul viso di Noah, a cui rivolse un’occhiata allusiva. Avevano giurato di non parlarne mai con nessuno, ed anche se non credeva che Jess o Darth facessero parte di quei nessuno, non sarebbe stata lei la prima a condividere quel Segreto TM. Non spettava a lei rivelare il racconto di come avessero dovuto uscire dalle segrete passando dalle fogne, magicamente tornate al loro antico splendore; sinceramente, neanche lei era troppo felice nel ricordarlo. «potevamo essere bloccati in un campeggio» Trattenne una risata premendo entrambe le labbra fra loro, sguardo basso sui propri piedi. Non c’era alcuna traccia scherzosa nel tono mortalmente solenne del Parrish, e Idem sapeva – lo ripeteva ogni santo giorno, come se bastasse a esorcizzare la possibilità che potesse ricapitare – quanto fosse serio; riderne avrebbe solamente finito per ferire i suoi sentimenti. «È stata una vacanza carina ??» Si avvicinò alla Goodwin, bisbigliandole all’orecchio «è noah» che bastava, dopo mesi passati a lavorare fianco a fianco ai casi più disparati, a spiegare che invero fosse stata un’esperienza piacevole, ma non una nelle corde del metamorfo. Fece spallucce, continuando ad esplorare cauta la stanza in cui erano stati sigillati in attesa di una morte che non sembrava affatto gradevole. Sapeva che quello fosse il suo campo, il suo momento da medium di elevarsi e brillare, ma poter vedere i fantasmi e comunicare con loro anche quando non erano potenti quanto la Sanguinaria, non rendeva quel compito più semplice. La sua affinità con la morte la portava solamente a scorgere sagome di chi era già passato fra le grinfie del Poltergeist, e non era sopravvissuto per raccontarlo.
    Non le sembrava il caso di condividere quella specifica informazione con i suoi compagni. Un morale a terra portava il corpo sotto terra, lo sapevano tutti (chi? Tutti.). Senza contare che, per quanto ne sapeva, poteva trattarsi di morti del tutto accidentali: troppi erano i curiosi che si avventuravano nei castelli infestati senza tenere conto delle minacce terrene quali crolli improvvisi e cedimenti delle pareti. Non era colpa dei fantasmi, se il destino aveva voluto relegarli al ruolo di spettatori.
    «dunque. qualcuno ha idee?» Sempre. Ma che potessero funzionare? Eh. Schioccò la lingua sul palato rivolgendo lo sguardo al soffitto, forse con del feng shui potevano aggraziarsi Sissi? Per i fantasmi era difficile spostare mobili, interrompendo il proprio flusso creativo per indirizzare gli occhi blu sul suo coinquilino. Era sempre… ossequioso, nel trattare con i non morti, una dote che tornava decisamente utile, ma «magari potremmo non darle suggerimenti…?» soffiò appena, avvicinandosi al moro, strizzando la domanda in un sorriso forzato che non attirasse troppo l’attenzione. Fortuna che Jess, con la sua domanda sui bagni, avesse deviato la concentrazione di Sissi su un problema più pressante; ci mancavano solo le allucinazioni su tutte le persone morte che La Sanguinaria avrebbe potuto aizzarle contro. Era un bagaglio di notevole dimensioni. «nOoOoooOo TAnTo QuAnDo DiVeNtErAi FaNtAsMa CoMe I TuOi CoMpAgNi NoN aVrAi PiÙ bIsOgNo DeL bAgNo, Io nOn Ci VaDo Dal 1812!!1!!» Arricciò il naso. Cappero, era stata davvero un’idea geniale. Offrì a Jess un pollice alzato ed un sorriso di supporto, in altre occasioni quella strategia avrebbe funzionato alla grande!, e si schiarì la voce avanzando di un passo verso il centro della stanza. «mh, Sua Terrificenza» Spaventosità? Ugh. «potremmo fare un… gioco» Funzionava in tutti i film horror – Saw, Shining; andava anche un sacco di moda su Netflix oriente! - e dopo aver passato secoli ad infestare lo stesso posto, doveva annoiarsi parecchio.
    Una pausa. «CHE TIPO DI GIOCO?» Chissà perché gridava così tanto, riuscivano tutti a sentirla benissimo. Idem dondolò sui talloni, uno sguardo interrogativo a rimbalzare fra i compagni. Nascondino? Campana? Obbligo o verità? (“obbligo o verità?” “OBBLIGO” “facci uscire” “DANG”) «un… gioco… che… ora ti diremo subito… com’è che si chiamava….?» prese tempo, offrendo la patata bollente a qualcun altro.
    Simple plan
    What's new Scooby doo Dick Gansey
    What's new Dick Gansey?
    We're coming after you
    You're gonna solve that mystery
    I see you Dick Gansey
    The trail leads back to you
    What's new Dick Gansey?
    idem w.gifs cr.playlistaesthetic



    ormai la quote e la canzone sono di gruppo .
  9. .
    kalopsia
    (n.) the delusion of things being more beautiful than they really are
    «Sto per caso subendo una famosa adozione tiemme Withpotatoes?» Idem roteò sui pattini, un’occhiata stupita verso Noah ed un leggero sorriso sulle labbra. La domanda non avrebbe dovuto coglierla di sorpresa, le adozioni tiemme Withpotatoes erano effettivamente una cosa a sé: era la loro prerogativa da anni, da tutta una vita, quella di essere una famiglia aperta. C’era chi aveva relazioni aperte e chi, come loro, accoglieva nella propria cerchia chiunque non avesse altro a cui aggrapparsi, felici di allungare una mano nell’oceano e tirarli a galla sul proprio materassino gonfiabile. Non erano molto, non avevano molto, ma erano la condivisione nella sua essenza più pura: quello che avevano, apparteneva a chiunque lo volesse. Offrivano una casa; offrivano una famiglia, un posto e persone a cui tornare quando tutto andava male. Offrivano se stessi, e mai Idem aveva rimpianto quelle scelte – non quando Isaac era quasi morto, non quando credeva Gemes lo fosse, non quando Mabel era sparito, ed aveva dimenticato l’esistenza di Poor. Più che un adozione, era un trovarsi, un aver bisogno vicendevole di essere una famiglia.
    Ma non aveva pensato a Gemes, Isaac, Poor e Mabel, o a sua nonna e sua madre. Non aveva pensato a Darden, nell’offerta a cuore aperto sul palmo della mano esposto al Parrish.
    Aveva pensato, per una volta, a se stessa. Che le sarebbe piaciuto averlo al proprio fianco a quei picnic, o alla spasmodica ricerca di uno dei suoi fratelli; che avrebbe voluto sentirlo ridere per la nuova, assurda, trovata di Poor che li avrebbe resi ricchi, o per le litigate a denti stretti fra Gemes e Darden su chi fosse il ballerino più bravo di High School Musical - conversazioni cui solo loro erano stati testimoni, e che i due non avrebbero mai riconosciuto all’infuori della famiglia. Che, allungando una mano, potesse stringere la sua, e sentirsi un po’ più a casa. «Sei tu la mia famiglia» e quelle parole, regalate con un sorriso ed una mano a spostarle i capelli dal volto, non avrebbero dovuto farle perdere mezzo battito, o dipingerle le guance di rosa. Non avrebbero dovuto ammorbidire un’espressione già dolce, sciogliendo lo zucchero in morbido e malleabile caramello. Non avrebbero dovuto essere le parole che che avrebbe voluto sentirsi dire.
    Ma lo erano. «E Tupp e Cash, ovunque vivano» un sorriso, liquido e felice, curvò le labbra della Withpotatoes. «Non ho bisogno di altro. Loro sono tuoi tanto quanto tu sei loro, e a volte penso sia giusto che tu ti tenga qualcosa anche per te» Lo osservò da sotto le fitte ciglia scure, soppesando le sue parole. Penso sia giusto che tu ti tenga qualcosa anche per te. Se lo ripetè, mentre annuiva brevemente. Continuò a ripeterselo nel sorriso brillante rivolto al metamorfo, e mentre gli porgeva una mano per guidarlo verso l’uscita, ed al sospiro di sollievo quando le scarpe di Noah Parrish sfiorarono il suolo.
    E quando giunsero a casa, e quando la serata continuò come le cento precedenti e quelle successive. Se lo ripetè ogni volta che lo guardava senza che lui sapesse, ed ogni volta che invece se ne accorgeva ne incrociava lo sguardo.
    Aveva ragione.
    Per quanto egoista fosse, magari Noah se lo sarebbe tenuto per sè.
    rebel
    deatheater
    26 y.o
    27 y.o.
    idem-withpotatoes
    be the reason someone believes in the goodness of people.
  10. .
    oggi voglio strafarissimo e dico due (oltre a quella che ho già!!! postato!!!!)
  11. .
    b-day: 21.03.1993
    house: hufflepuff
    job: psychowat
    power: medium
    be-kind-be-gentle
    idem wp
    «SI, SONO IO!»» per un istante, effimero quanto mezzo battito di cuore, Idem si sentì sollevata: Wednesday De Thirteenth sembrava sicura, determinata - certa di quanto stesse accadendo, come se avesse atteso Idem sino a quel momento per sistemare la questione. Le bastò una seconda occhiata al sorriso entusiasta della bionda, per capire che la replica fosse stata spontanea, e non intenzionale come aveva voluto intenderlo la Withpotatoes. Sospirò e massaggió le palpebre abbassate, ingobbando le spalle con un arrendevolezza che le si addiceva assai poco. La ex Tassorosso non accettava la resa facilmente: trovava sempre il lato positivo di ogni situazione, e se non esisteva una soluzione, la creava; le veniva istintivo, specialmente quando qualcuno oltre alla sua persona era coinvolto, togliersi ogni dubbio e sventolare ottimismo (malgrado ne avesse), eppure quella situazione specifica, sfidava anche la sua leggendaria pazienza. «Uh è vero. Quindi ci sta capitando la stessa cosa» Anziché preoccupazione, o lecito terrore, sul viso della bionda si dipinse un'espressione risoluta. Seguì il suo sguardo al circondario - deserto - e dubbiosa tornò a ricambiare il suo sguardo, abbozzando un sorriso gentile e solo in parte - voleva evitare di ferire i sentimenti della docente o demoralizzarla - confuso. « anche tu stai rivivendo in continuazione lo stesso giorno? » c'era una nota ironica, solo vagamente isterica, nel tono leggero della Withpotatoes. Voleva credere che la risposta fosse positiva, che non stesse impazzendo, ma temeva che sperandoci troppo e ricevendo una risposta negativa, perfino la sua naturale e apparentemente infinita speranza l'avrebbe abbandonata. Non...non voleva esserci dentro da sola. E sapeva, sapeva quanto fosse egoista desiderare che Wendy avesse il suo stesso problema, ma non poteva fare a meno di...non esattamente sperarci, ma neanche augurarle il contrario. Non poteva sopportare l'idea che anche Wendy, il giorno dopo, non avrebbe avuto memoria di quanto successo, lasciandola nuovamente in balia degli eventi. Abbassò imbarazzata lo sguardo, il senso di colpa a stringerle la gola. Cosa dici, Idem; non vuoi che anche lei ci sia dentro: puoi farcela benissimo da sola, non devi essere un problema degli altri.
    Non di nuovo, e non più.
    «Dici che il colpevole ci sta spiando?» Aggrottò le sopracciglia, uno sguardo di sottecchi alla donna. « il... colpevole? » umettò le labbra, un mezzo sorriso sulle labbra. « pensi che sia stato qualcuno a farci questo? » la Withpotatoes non aveva molte teorie in merito, ma che potesse essere colpa di una persona, era qualcosa che non poteva né voleva credere. « perché avrebbe dovuto » domandò, a se stessa ed a Wendy, alzando gli occhi cerulei su quest'ultima. « e come? » continuó conciliante, arcuando le sopracciglia corvine: erano (state, per quanto la riguardava) streghe, la magia non era una novità per loro, ma quello le sembrava un po' estremo per chiunque. Chi poteva avere il potere di manipolare il tempo in quel modo? Non credeva fosse una capacità dei cronocineti (......non la era, giusto? ) E non conosceva incantesimi che potessero giocare un tale tiro mancino. Un illusione, forse? Effetti collaterali dell'esposizione a qualcosa di allucinogeno? Non comprendeva però perché lei e Wendy: eccetto Phobos Campbell, non avevano molto in comune, e dubitava (...) Che Phobos centrasse qualcosa. « magari siamo...uh, inciampate in qualche...sai » deglutì e, nonostante fossero le uniche due anime in circolazione, abbassó il tono di un'ottava. « piega spazio temporale? » c'era anche lei, quando avevano visto il passato ed il futuro in uno specchio, ed anche lei aveva conosciuto quelli del sottosopra. « onestamente... » per quanto le costasse ammetterlo, decise di essere del tutto sincera con la De Thirteenth: in quelle circostanze, fingere non sarebbe servito a nulla. « non lo so. Né so come uscirne » una pausa. Speranzosa, cercò gli occhi verdi della fotografa. « idee? »
    [bridge]
    Hold on to
    something good
    Something's
    gotta change
    gifs
    i panic! at (a lot of places besides) the disco
    i see it, i like it, i want it, i got it
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    kalopsia
    (n.) the delusion of things being more beautiful than they really are
    «È un mio segreto. Ma è come se appartenesse ad un'altra persona, a un'altra vita; capisci quello che intendo?» Un debole sorriso apparì sulle labbra della Withpotatoes, scivolando prima ancora di poter essere notato. Idem era stata la segretaria della Resistenza, ed era - come sempre era stata - una ribelle: dire che potesse capire quello che intendesse, sarebbe stato un eufemismo. Ciascun membro della Ribellione era il mattone di un castello, e senza di loro l’intero edificio sarebbe crollato; ognuno di loro era un segreto, nel singolo quanto insieme. Non che fosse l’unico scheletro nell’armadio della ex Tassorosso, ma a quello che ghignava ironico in un angolo remoto della sua mente, preferiva non pensare. «non sei obbligato a dirmi nulla, noah» bisbigliò, preferendo essere diretta piuttosto che ammettere fin troppo bene di comprendere dove volesse andare a parare implicando così di avere anch’ella un segreto. Alzò gli occhi azzurri su di lui perché potesse leggervi quanto sincera fosse, quanto lo intendesse sul serio: c’erano segreti destinati a rimanere tali, e non li considerava un ostacolo alla loro amicizia. Se non se la sentiva di rivelarlo, doveva avere degli ottimi motivi, e Idem Withpotatoes si fidava del senso del giudizio del Parrish – se poi l’interpol avesse deciso di far saltare in aria l’appartamento con loro dentro perché il suo segreto era l’essere un most wanted, nei pochi secondi prima di morire sarebbe stata molto triste. «Dicono tutti che sei un angelo, ma è ovvio che non ti conoscano bene» Liquidò la questione con una risata cristallina ed un vago cenno nell’aria; sapeva scherzasse, non era il caso di aggiungere quanto invero fosse lontana dall’essere un angelo: era solo un essere umano che ci provava un po’ di più, ed altrettanto un po’ di più, tendeva a fallire – ed a riprovarci, ancora ed ancora. «Se ci sono altri posti mortali dove andavi con la tua famiglia, ti accompagnerò volentieri» Sorrise ed arcuò le sopracciglia, abbastanza certa che non ci fosse nulla di letale nel passatempi dei Withpotatoes (il fatto che poi continuassero comunque a morire, era un dettaglio a cui Idem preferiva non pensare, e che faceva ridacchiare istericamente solo Sara) ma altrettanto sicura che Noah non l’avrebbe pensata allo stesso modo. «escursioni, recupero di fratelli smarriti nei boschi» tratto da storie vere. c’era chi perdeva i propri figli al supermercato e chi, come Lena, doveva cercarli sopra la cima di ogni albero (#eh darden, #eh poor). «ti divertirai da morire» concluse, spingendosi un poco più avanti e voltandosi per sorridergli sorniona. «questo tipo di ricordi nostalgici familiari mi... mancano. Non ho mai avuto un gran rapporto con la mia» Non era la prima volta che Idem si sentiva dire una cosa simile, ma come ogni volta non poteva fare a meno di trovarlo un concetto alieno. Era una psicomaga, conosceva perfettamente qualsivoglia genere di problema famigliare, eppure non riusciva mai a...comprenderlo, perché si trattava di questioni troppo estranee alla sua sfera conoscitiva. Nel bene e nel male, e di male ce n’era stato tanto, la sua era sempre stata una famiglia unita, dai fratelli ai vicini cugini Peetzah, fino a giungere ai più algidi Icesprite. Pensare che potesse esserci qualcuno come Noah che fosse privo dei ricordi felici di pranzi e rumorosi picnic, la rendeva abbastanza triste da farle stringere un po’ di più la mano del Parrish nella propria. Tacque, e quel silenzio fu riempito dal suono morbido e distante delle parole di Noah, una confessione spontanea che diede maggior definizione al conosciuto sconosciuto con cui stava pattinando. «mia madre mi voleva bene, so che era così, e pensavo questo fosse sufficiente per fare di lei una buona genitrice, ma- sorpresa. Ho scoperto che non è così. con mio padre non avevo un rapporto e basta, immagino. Non approvava le mie passioni» Arricciò il naso, sguardo a guizzare dai piedi di Noah – a cui ogni tanto, sottovoce, correggeva la postura – al viso del ragazzo. «a volte i genitori scelgono per i figli la vita che avrebbero voluto fare loro, senza rendersi conto che non è quello che loro vorrebbero» non lo disse per giustificare suo padre, ma per fargli capire che non fosse il solo ad aver avuto quelle difficoltà; non era stato il solo a fuggire dal suo fantasma, ed a sopravvivere. I fantasmi cessavano d’esistere quando smettevi di ascoltarli – e se a dirlo era una medium, c’era solo che da fidarsi. «mi dispiace» concluse sincera mordendo il labbro inferiore, fermandosi per fronteggiare ancora l’altro. «sei riuscito a scappare?» sorrise ancora, portando la mano libera al petto. «se vuoi gli do una lezione io. me ne intendo di fantasmi» metafisici e concreti; ah, che bella la vita di Idem Withpotatoes. «puoi venire ai nostri picnic ed alle nostre cene a tema» aggiunse dopo un paio di secondi di silenzio, reclinando il capo per incrociare lo sguardo del Parrish. «ai nostri funerali, ormai sono più numerosi compleanni ed ai pomeriggi di tè caldo e biscotti» battè le ciglia, allargando il sorriso all’idea di mostrare («IDEM, BASTA, LE HAI Già FATTE VEDERE A TUTTI E NON INTERESSANO A NESSUNO») le foto imbarazzanti dei suoi fratelli a Noah. «è troppo tardi per il Noah bambino, ma non è mai troppo tardi per avere una famiglia»

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    27 y.o.
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    MA BUONGIORNISSIMOOOOOO KAFFFEEEE :perv kaffè:
    ciao maddalena, io sono sara, benvenutissima! sono più vecchia di te ma solo all'anagrafe, nel mio cuore avrò per sempre 19 anni (perchè proprio 19? non lo so, ma il mio orologio biologico si è fermato a quell'età). In questo periodo sono morta dentro e fuori perchè il centro estivo, con le sue undici ore giornaliere, mi succhia tutta la voglia di esistere, ma per qualunque cosa non esitare a chiedere che troverò sempre un grammo di vita per l'oblivion ç__ç TRIGGER MAGIZOOLOGI, daje! la mia collega ti ha già linkato le cose utili quindi niente, io ti lascio solo bacini ed il mio account di riferimento
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    b-day: 21.03.1993
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    job: psychowat
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    «idem» Si rigirò nel letto, la testa nascosta sotto il cuscino. «idem» malgrado la temperatura fosse mite, Idem Withpotatoes era ancora arrotolata nella coperta invernale, e non aveva alcuna intenzione di abbandonarla – non in quel momento, né per l’intera estate. «idemidemidemidemidem» Eppure, aprì gli occhi comunque.
    Si alzò a sedere di scatto, palpebre spalancate e batticuore a far tremare le spalle, mentre lo sguardo celeste saettava per la stanza. «no» bisbigliò semplicemente con voce roca prima ancora di mettere a fuoco la stanza, bocca asciutta e capelli corvini sparati in ogni direzione.
    Si è svegliata, dobbiamo dirglielo?
    Mi dispiace tanto.

    Non poteva neanche incolpare panico irrazionale, Idem, mentre cercava di placare respiro e cuore. C’era un limite a quante tragedie potessero capitare, prima che psiche e salute mentale ne risentissero; nessuno poteva biasimarla per il terrore dipinto nelle iridi turchesi, quando queste atterrarono infine sul sorriso di suo fratello. «buongiornissimo» a cui la Withpotatoes, con i secondi necessari a metabolizzare cosa stesse capitando, rispose: «come hai fatto a entrare?» che fece corrugare le sopracciglia corvine di Poor. «dalla porta» ovvio e scontato; non insistette ricordandogli che la porta fosse stata chiusa, perché nessuna serratura aveva mai fermato l’houdini dei Withpotatoes.
    Eccetto quella dei laboratori, ma si trattava di una storia per un altro momento.
    «bngrn» mugugnò allora, stropicciandosi gli occhi e rotolando giù dal letto. Infilò la vestaglia sopra al pigiama, trascinandosi a rilento verso il bagno seguita poco distante dall’Ombra. «ho finito i cereali. mi sentivo in colpa a prenderli senza chiedere il permesso» gli occhi ancora gonfi di sonno della Withpotatoes, che finse di non accorgersi del fatto che fossero le sei del mattino, poor perché mi fai questo, ma almeno sei andato a dormire, calarono sul cucchiaio di metallo stretto nel pugno del metamorfo, una galeotta goccia di latte a scivolare sul manico. «ti sentivi in colpa, uh?» osservò, e lui si limitò a offrirle un sorriso tutto fossette e innocenza. Poor picchiettò il pugno sul petto fino a che un ruttino, delicato quanto quello di un infante ma fortunatamente privo di vomiticcio, non fuoriuscì dalle morbide labbra a cuore. «sì, e infatti non riuscivo a digerire senza avertelo detto. il karma» enfatizzò l’ultima parola, e Idem dedusse che le credenze di Poor si fossero (di nuovo.) spostate dal New Age alle religioni indiane; sempre meglio di quando aveva cercato di convincere Mabel a venerare Chuck Norris. «grazie per avermi svegliato alle sei del mattino per farmelo sapere» sussurrò, una pacca sulla spalla. «apprezzo» ed il sorriso sulle labbra di Idem, per quanto stanco e leggermente ironico, era sincero: sapeva che Poor aveva sempre bisogno di validazione, e di linee guida che non lo facessero smarrire nel caos della sua testa. «ma la prossima volta potresti...non so, bussare?» tentò, cercando di ricordare a suo fratello che non vivesse da sola, e se proprio non poteva rispettare la sua privacy, poteva almeno cercare di provarci per Noah. Dall’espressione di Poor, pareva l’avesse appena incitato a prendere a calci un cucciolo di foca, e non ad evitare di entrare di soppiatto come un ladro nelle abitazioni altrui. «ma sono tuo fRaTeLlo» chissà se faceva lo stesso con Gemes, con Mabel sapendo che il coinquilino fosse Aaron; dubitava «L’HAI DIMENTICATO DI NUOVO?» al sibilo di Poor, rispose con una smorfia sofferente e colpevole. «sono io, poor!!!! POOR EDMUND!!! il bambino che avete adottato quando avevo tipo sette anni!!! ora sono cresciuto e molto più bello, ma-» «lo so chi sei» sussurrò. «ora» Idem deglutì, occhi azzurri a scivolare verso i propri piedi. «ora.» concesse.
    Perchè lei si era, dimenticata di Poor. Le avevano fatto dimenticare Poor, a lei come a tutti i Withpotatoes – ma anche qui, storia per un altro momento.
    Corrugò le sopracciglia, un’intensa occhiata ad Edmund. «stai cercando di cambiare discorso» Lui le sorrise ancora, beffardo e divertito, portando ingenuo una mano al cuore. «io non provo, io riesco. ciao sis smak» così com’era arrivato, se ne andò.
    Idem sospirò all’appartamento addormentato, scivolando silenziosa in bagno per una doccia prima d’iniziare la giornata (oramai era sveglia, tanto valeva essere produttivi), e fu guardando il proprio riflesso allo specchio, che se ne accorse.
    «questa non è la mia vestaglia» quella non era la sua vestaglia. E non era il suo pigiama. E gli oggetti che appesantivano le tasche, non erano suoi. Prese un documento e lo osservò curiosa sotto la flebile luce delle lampadine, studiandolo a palpebre dischiuse.
    Tornò in camera sua. Non c’era nulla di… nulla fuori posto.
    Si disse di essere ancora addormentata, Idem; di star sognando, forse. Allora visse il resto della giornata come avrebbe fatto qualsiasi altro giorno, presto dimentica di possedere oggetti che non le appartenevano e di non avere assolutamente idea di come ne fosse giunta in possesso. Solo alla sera, affacciandosi in camera di Noah, si ricordò della questione: «noah...» aprì la bocca, e quando incrociò lo sguardo del metamorfo, la richiuse. «hai invitato qualcuno a casa di recente?» domandò infine, pur sapendo non fosse quella la domanda che aveva intenzione di porre. Come poteva dirgli che si era ritrovata con cianfrusaglie e documenti, e vestiti, di qualcun altro senza avere la più pallida idea di come fosse successo. «no, perché?» Si strinse nelle spalle, un «così, chiedevo» liquidando la questione al giorno successivo, che ormai era tardi e non aveva senso starci a rimuginare. Doveva essere stato uno stupido scherzo di Poor: amava suo fratello, ma non sempre (leggasi: mai) comprendeva il suo senso dell’umorismo. «buonanotte» si congedò con un sorriso.

    «idem» grugnì piano, più stanca che seccata. «idem» roteò supina e spalancò gli occhi sul soffitto. «idemidemidemidemidem» «sono sveglia» fece notare, roteando gli occhi azzurri sul fratello. «non ti avevo detto di bussare?» Lui le sorrise, adorabile e apogeo della purezza di spirito, stringendosi mite nelle spalle. «ho finito i cereali. mi sentivo in colpa a prenderli senza chiedere il permesso» Corrugò le sopracciglia, alzandosi (dolentemente) a sedere con la schiena poggiata alla testata del letto. «di nuovo?» l’altro parve oltraggiato dall’insinuazione. Portò una mano al cuore, sguardo teatralmente offeso ad inchiodarla sul materasso. «non sono mai venuto a chiederti cereali. Latte? si. Zucchero e caffè? Sempre. Succo di frutta e dentifricio? Ovvio. Ma cereali? Duh.» grugnì. «è la prima volta. Tagliami un po’ di corda, sis» Inarcò un sopracciglio verso di lui. «poor, sei venuto letteralmente ieri» il Withpotatoes la osservò a palpebre socchiuse, un’espressione pensosa che era assai raro vedere sul volto di Edmund. «title of your sextape?» concluse soddisfatto, ghignando sornione, prima di riflettere su quanto appena detto, ed arricciare il naso. «oh, ew, no, agghiacciante, sis che fai, lo dico a nonna, e lo sai che poi ti tocca il racconto di quando da giovane hanno cercato di assumerla per lavorare come “signorina da strada”, e lei ha sovvertito il patriarcato -» «- diventando la pappona di quartiere, e liberando tutte le ragazze impegnate in un “lavoro rispettabile solo se per scelta”, ricordo» massaggiò stanca una guancia, sospirando sul palmo. «ho fatto un sogno strano» bofonchiò, gli occhi a seguire il cucchiaio stretto nel pugno del fratello.
    Molto strano. E, di nuovo: «hai cercato di cambiare discorso» rendendosi conto che il fratello avesse già un piede oltre l’appartamento, il pancino pieno dei loro cereali ed un sorriso felice sulle labbra. «io non cerco. Io riesco, sis»
    Quella mattina a colazione, Idem fece scivolare gli oggetti non suoi ritrovati nelle tasche della vestaglia, ed i documenti non suoi che ivi aveva scovato accartocciati, in direzione di Noah. Alla sua espressione interrogativa, rispose con un amabile sorriso: «potrei star impazzendo» Domandò ai vicini; domandò a chiaroveggenti e telepati. Domandò ai fantasmi.
    è un sogno molto lungo, si disse, andando a dormire.

    «idem»
    Uh.
    «idem» Un sogno davvero, davvero - «idemidemidemidemidem» «hai mangiato i cereali e ti senti in colpa.» scattò, rotolando verso il fratello che la osservò ad occhi spalancati. «come – in che – non è che mi sento proprio in colpa, uh -COME? c’erano cimici nei cereali? Non gli insetti – spero – quelle delle spie russe.» «hai davvero...» saltò in piedi facendo ribaltare a terra il Withpotatoes, le dita a scavare nelle tasche della vestaglia.
    Si bloccò d’improvviso quando i polpastrelli sfiorarono della carta plastificata. Devo svegliare Noah. Devo chiamare Phobos. Devo andare in fattoria a rintracciare Amos.
    Perchè sembrava a tutti gli effetti un mistero da risolvere, ma a trattenerla c’era la possibilità che stesse effettivamente, e sul serio, perdendo la testa. Se dovevano giudicarla pazza, preferiva non farlo con un intero comitato di testimoni alle spalle. «mi serve una mano.»
    E questa è la breve storia di come Idem Withpotatoes, per la prima volta in tre primi giorni, si ritrovò a dondolare nervosamente davanti all’Amortentia in attesa che il locale aprisse. Doveva capire, doveva indagare, e doveva – «SEI TU!» spalancò la bocca indicando qualcuno (chi? TU!!&&) che passeggiava lì affianco, lo stesso qualcuno a cui appartenevano i documenti che s’era ritrovata in tasca. «i tuoi – le tue – anche a te sta succedendo qualcosa di strano?» domandò infine, grandi ed esasperati occhi blu ad implorare risposte.
    [bridge]
    Hold on to
    something good
    Something's
    gotta change
    gifs
    i panic! at (a lot of places besides) the disco
    i see it, i like it, i want it, i got it
  15. .
    kalopsia
    (n.) the delusion of things being more beautiful than they really are
    Narrator: there’s only one thing worse than falling
    Idem: *gasps* «NOAH!»
    Narrator: nO
    Idem osservò impotente il Parrish aggrapparsi all’aria cercando appigli inesistenti, i piedi incapaci di trovare una posizione stabile che lo tenessero in equilibrio. Le venne in mente quando Sarah le aveva raccontato di un antico vino che non erano riusciti a portare in salvo: aveva allungato le dita – come Idem in quel momento – aperto la bocca senza che ne uscisse alcun suono – come Idem – ed alla fine era rimasta semplicemente a guardare la tragedia svolgersi fino a che non era stato troppo tardi per porvi rimedio. Memorie così vivide che si ritrovò a pensare ti prego non romperti quando Noah infine, con l’usuale poca grazia dei non pattinatori, rantolava a terra. Fu all’incirca a quel punto che Idem dovette premere le mani sulla bocca: perchè shockbasita, avrebbe raccontato a chi gliel’avesse domandato, ma la verità era che non le pareva carino nei confronti del Parrish lasciar sgusciare la risata a premere sul palato. Era una brava persona, Idem Withpotatoes; una brava persona che rideva della gente che scivolava, okay, ma il secondo successivo si affrettava a domandare se stessero bene. E infatti: «ti sei fatto male? Ci fermiamo? Possiamo andarcene» e lo guidò nella complessa vita del rialzarsi da una superficie scivolosa (Sarah: «rimani a terra e salvati. Striscia fino allo scalino – ASCOLTA ME NOAH, è UNA TRAPPOLA») pronta ad afferrarlo se avesse dato altri segni di cedimento. Gli offrì nuovamente la mano, i preoccupati occhi fiordaliso a studiarlo per assicurarsi che stesse bene. Decretò che non stesse bene, accompagnandolo più vicino all’appoggio così che potesse ritrovare il suo equilibrio zen interiore. «direi che sono già progressi, davvero, possiamo -» «io... potrei...avere un segreto» Non la risposta che si era aspettata. Battè le ciglia, pattinando fino a trovarsi di fronte a Noah (non perché volesse guardare a 360 gradi che la sua testa non avesse subito danni….). Lo studiò un paio di secondi ponderando la sua replica. potrei avere un segreto; il condizionale era perché poteva averne più di uno, non perché non ne avesse. Era buona, non stupida. Accennò un sorriso comprensivo, quelli un po’ tristi perché consci di non sapere qualcosa, e leggeri perché non aveva importanza. Tutti avevano i propri segreti. E come poteva giudicare, lei che era, un segreto. Non che la medium ne fosse a conoscenza, ma una parte di Idem...lo sapeva; quella stessa parte che comunicava con gli spiriti dei morti, lo sapeva. E «lo so» perché sapeva anche quello, Idem; non cosa, ma che Noah Parrish potesse avere un segreto? Sarebbe stata sciocca a pensare il contrario. Un segreto che si sentisse di condividere con lei? Quello era un altro paio di maniche, ma non avrebbe mai forzato la mano. «prima tu» Lei? In che sensoH. Trasparente come acqua in vetro, il dubbio dovette essere palese sul volto della Withpotatoes, un sopracciglio sollevato ed il palmo portato oltraggiato al cuore. Avrebbe potuto dire di non avere segreti, ma sarebbe stata una menzogna; avrebbe potuto dire di non poterne parlare, e sarebbe suonata come tale. Principalmente però, come Sarah di fronte a qualsivoglia autorità, malgrado avesse una fedina penale quasi impeccabile, si sentì punta nel vivo. Coda di paglia? , e senza un reale motivo. «mi hai portato qui perchè hai qualcosa da confidare?» aveva qualcosa da confidargli? «forse» rispose, perché magari era vero e se n’era dimenticata – capitava più spesso di quanto non le piacesse ammettere. «...dipende?» si corresse, spingendosi avanti di un altro metro e cercando di portare il metamorfo con sé, cauta a non compiere movimenti affrettati. Umettò le labbra e ci pensò, ci pensò sul serio, voltandosi poi per cercare gli occhi blu dell’altro. «no» ammise onesta, abbozzando un sorriso. «ti ho portato qui perché volevo farlo» guardò la pista da pattinaggio, accecata ed affascinata da tutto quel bianco, soffermandosi poi ad osservare i movimenti eleganti – ed impacciati, ma non quanto Noah - degli altri pattinatori. «ci venivo spesso, con la mia famiglia» poi sono morti, o se ne sono andati. «volevo fare...qualcosa di normale, con te» mise una ciocca corvina dietro l’orecchio, indicando vaga attorno a sé. «di carino, sai, che non riguardasse viaggi nel tempo o universi alternativi» ancora un mezzo sorriso. «senza contare che non potevo perdermi la possibilità di vederti cadere» cosa? «imparare qualcosa di nuovo*, dannato auto correttore»
    rebel
    deatheater
    26 y.o
    27 y.o.
    idem-withpotatoes
    be the reason someone believes in the goodness of people.
119 replies since 21/1/2015
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