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    andrew stilinski
    I think we all grow up
    Thinking life is gonna be like the movies
    But enough's enough, 'cause after all
    You gotta get used to losing
    Hugo lo rendeva triste. Non la tristezza tipica della compassione, quella che stringeva il cuore e spremeva abbracci, e neanche quella che si insinuava fra le ossa ed i muscoli creando cuscinetti fra sé ed il mondo. No: era una tristezza esistenziale, agrodolce, dal fatalista sapore di è questo che ti hanno fatto diventare?. Puzzava di quello specifico tipo di nostalgia di esserci già passati. Guardare il Cox, era come osservare se stesso dall’altra parte di un ponte sapendo di non potere fare nulla per permettergli di arrivare a destinazione, se non trovare i mezzi e gli strumenti perché lui stesso potesse attraversarlo. Non era lavoro, quello, per Stiles. Era personale, forse ancor di più perché qualcuno nel mondo aveva deciso fossero anime gemelle; catartico, potendo passare il termine senza disumanizzare il ragazzo. Il «E comunque aspettarsi il peggio è semplicemente essere realisti» riso senza divertimento, riassumeva efficacemente l’identità dello sgorbietto rannicchiato nella sedia di fronte alla sua, e Stiles non ebbe nulla da aggiungere. Preferì immergere la bocca nella tazza di caffè, piuttosto che sminuire la questione con una delle frasi fatte da biscotto della fortuna. «Scusa. Per tutto.» E quel suo continuo chiedere perdono come se esistere ed avere un’opinione fosse una colpa, era così tipico della loro generazione, che lo Stilinski sollevò le labbra in un sorriso, ed il bicchiere in un brindisi. «grazie» perché dirgli di non scusarsi, l’avrebbe solo fatto sentire peggio, malgrado pensasse non avesse nulla di cui dispiacersi con lui. Con altri, non aveva modo di saperlo. «Non voglio… sfruttarti. Specie in questo posto, dove ti hanno già sfruttato abbastanza» Si guardò attorno, seguendo il gesto dell’altro con un’espressione divertita. Sfruttarlo? Il mestiere dello psicomago, era delicato, in quanto impossibile separare lavoro e persona. Rimaneva incastrato in ogni sguardo, inciampando suo malgrado nelle risposte ricevute per trovare una strada da percorrere insieme. Deformazione professionale. Era necessario mettere dei limiti per sopravviversi, vero, ma Stiles non credeva quello fosse uno di quei momenti. Aveva scelto quella professione per aiutare gli altri, paladino delle cause perse, e non si rimaneva in ferie dai propri principi. «Cioè, ok, lo sto facendo, quindi poi ti pago!! Per cui ecco. Insomma. Grazie. Però scusami comunque.» Quasi sputò (sara core) il caffè ancora in bocca, e dovette coprirsi la mano con il palmo per non inondare tavolo e interlocutore. Non gli capitava spesso di sentirsi una escort di lusso, ma quando colse le occhiate incuriositi degli avventori vicini, non potè fare a meno di sentirsi un po’ Julia Roberts. Assottigliò le palpebre, portando le dita alla gola per schiarirsi la voce. «non sto lavorando?» specificò allora, ad un tono leggermente superiore alla media, guardando clienti e Hugo. «ti ascolto, cerco di capirti, e di darti consigli» aprì il palmo verso di lui, arcuando le sopracciglia in silente attesa che facesse il collegamento. Nel dubbio, lo offrì egli stesso, scandendo lentamente ogni lettera. «come fanno gli amici??» Un po’ violato all’idea di essere pagato per quel tipo di relazione, ma non devastato al pensiero di avere una specie di sugar daddy platonico. Forse poteva renderlo un qualcosa. Invece di mandargli foto di piedi, gli mandava foto di frasi motivazionali…? Thinking. «Il fatto è che… non lo so? Non so chi mi ha fatto del male. O meglio, so che nessuno me ne hai mai fatto. Sono sempre stato un privilegiato. Famiglia amorevole, mezzi e consensi per fare tutto quello che volevo. Eppure…Eh.» Eh. Lo studiò un paio di secondi, annuendo piano per non farlo sentire sotto esame o, peggio ancora, giudicato. Distolse lo sguardo per posarlo sulle proprie dita, conscio di avere quel tipo di faccia che, tendenzialmente, faceva piangere le persone – triste, vero, che bastasse essere interessati agli altri per suscitare commozione? Ah, la vita, che meravigliosa merda. «avere dei privilegi non vuol dire che non ti sia permesso soffrire» piano, delicato. Poteva soffrire dell’avere troppo, come del non avere nulla. Sentirsi soffocato dall’aspettativa di qualcuno che si amava, faceva male quanto la negligenza. Entrare a far parte di una società sapendo di essere trattati in maniera differente, rendeva diverso ogni rapporto con gli altri, perché creava una gerarchia specifica. «cosa ti ha fatto male?» corresse allora, sinceramente curioso.
    La prima parte della presentazione, ebbe senso. Poi, dalle labbra del ragazzo scivolò tutto il resto, e Stiles rimase intrappolato come una mosca nella ragnatela delle ansie dell’ex Tassorosso. Mano compresa, ancora stretta in quella di Hugo. «Sinceramente avrei volute continuare a usare lo studio come modo per sfuggire alle responsabilità e al mondo degli adulti, ma ora come ora frequentare un’università babbana sarebbe come attaccarsi sulla schiena un tiro al bersaglio, quindi… quindi sono disoccupato. E terrorizzato. E inutile. E… stanco. Il che non ha senso, dato che passo le mie giornate senza combinare nulla. Però non credo di essermi mai sentito così stanco.» Una pausa. Lo Stilinski abbassò lo sguardo fra le loro dita, sollevandolo poi sul viso dell’altro. «scusa» Lasciò la presa con un sorriso divertito, abbandonandosi poi nuovamente contro lo schienale della sedia.
    «te ne intendi di videogiochi?» domandò, perché era importante sia nella discussione, che per avere qualsivoglia relazione con lui. Le basi, cazzo. «in pratica, solitamente, sono strutturati in modo che tu possa passare al livello successivo solo quando hai acquisito abilità o conoscenze in quello precedente. C’è chi prova ad affrontare il boss finale anche senza preparazione, chi raccoglie il materiale per superarlo senza doversi allenare prima, e chi, come te, pensa sempre di non essere pronto, ed allora continua ad addestrarsi.» si strinse nelle spalle, puntellando poi l’indice sul tavolo. «sei bloccato di fronte alla lega pokèmon» Un saggio. Un profeta. Anche lui sulla via per i dieci comandamenti: cazzo in culo non fa figli, eccetera eccetera. «hai solo bisogno di… una spinta.» Lo osservò di sottecchi, inspirando ed ergendosi in tutta la sua moderata statura – aka, fingendo di avere una postura eretta, come un essere umano funzionale. «sei stanco perché non hai un obiettivo reale. Ti lasci trascinare dal flusso come un materassino, aspettando che le cose succedano e basta, ma nessuno vince la lega per te. Quindi. Se vuoi continuare a studiare, ci sono diverse accademie magiche pronte ad accoglierti, a seconda del campo di interesse. Funziona solo se non lo usi come metodo per procrastinare, però: ti serve un indirizzo che ti dia, mh, pozioni in più per affrontare pokemon di livello molto più alto del tuo. altrimenti, ha giusto riaperto da poco un centro per l’impiego. Possono aiutarti a trovare un lavoro che sia adatto alle tue necessità. Cosa ti piacerebbe fare?» Una pausa.
    Un’occhiata molto, molto paterna, e non in a daddy way. «morire non vale. Non è divertente come sembra, in ogni caso» finger guns!
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    26 y.o.
    psychowiz
    soulbruh
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    andrew stilinski
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    Hugo Cox era davvero… una persona particolare. Stiles non poteva fare a meno di pensare che qualcuno avesse pensato fosse la sua anima gemella, perché trovava avesse molto senso, e poi si ricordava che l’anno prima fosse stato decretato l’anima gemella del Cavendish, ed allora aveva molto senso il fatto che la relazione del biondo con Nice fosse finita. «Mi fa ridere definirmi speranzoso, anche se a posteriori. Io speranzoso…Un paradosso.» Corrugò le sopracciglia, lo sguardo cioccolato immerso nella tazza di caffè. «addirittura un paradosso?» Al ghigno dell’altro rispose tirando un angolo delle labbra nell’accenno di un sorriso, osservandolo di sottecchi. Hugo parlava un sacco, ma sembrava non dire… nulla, come se fosse stato abituato al fatto che nessuno lo ascoltasse, e di conseguenza non avesse bisogno di dare un contesto a quel che usciva dalla propria bocca. Stringhe di parole ingiustificate, se si voleva avere una conversazione onesta. «puoi aspettarti il peggio ed essere comunque un fiducioso ottimista» Non parlava per esperienza personale, il suo pessimismo derivava solo dalla scaramanzia - e se fingeva di aspettarsi il peggio, poteva incassare meglio qualunque nuova minchiata l’universo avesse per lui – ma non vedeva motivo per cui due ossimori non potessero convivere. Non si parlava di leggi della fisica, acqua ed olio impossibilitati a mescolarsi fra loro dalla loro conformazione chimica: la psiche degli esseri umani era complessa come la narrazione di una stagione di Gossip Girl. Le persone, come le cipolle e gli orchi, erano stratificate, ed era non solo possibile, ma probabile che due opposti convivessero pacificamente fra loro. «chi ti ha fatto del male per lasciarti questo pessimismo leopardiano?» Scherzava, un’occhiata divertita al suo interlocutore, ma non del tutto. C’era sempre un evento, o una serie di eventi, scatenante; magari trovarlo e parlarne ad alta voce, l’avrebbe aiutato. «se vuoi dirmelo. Non importa se non pensi che sia vero. fintanto che lo credi tu, lo è» Si strinse nelle spalle, sorseggiando la bevanda amara. Forse non era stata una buona idea, preferire il caffè alla cioccolata calda. Faceva molto professionale, certo, ed aveva bisogno di caffeina, ma… dov’era la sua dose di diabete giornaliera. La sua cioccolata bollente, con panna, e più bustine di zucchero di quante gliene portassero insieme all’ordinazione? Ah, dannazione. Avrebbe dovuto dare appuntamento all’altro dal Red Velvet.
    E poi, signori e signore: Hugo Cox, al suo meglio.
    «Sì. Sì, non lo sono. Sento che è così, a pelle. Però… però, se ci rifletto, dovrei invece dire che non lo so. Perché forse il fatto è questo… non lo so. Non so niente. Non so…Non so cosa voglio, tanto per dirne una. Non so chi sono.»
    Mh. Mh? Stiles sollevò adagio gli occhi su Hugo, labbra curvate verso il basso ed un’espressione smarrita a studiarne il volto. Lui – cosa. Cercò di ripetersi la frase fra sé e sé, perlomeno quel poco che era riuscito a capirne, ma si trovò ancora con nulla in mano. Lui ne sapeva di confusione, eh. Era sempre il primo a non capire, o non voler capire, un cazzo. Ma quello? Bro dude homie calm down. Battè le palpebre, l’indice a seguire disegni astratti sul legno del tavolo. Wow. Davvero molto da spacchettare. Prese tempo schiarendosi la voce, perché non aveva la più pallida idea di cosa dirgli, ed al contempo non voleva che Hugo usasse quel silenzio per perorare la propria causa di essere un fallito. «beh.» aspirò l’aria fra i denti, allargando le braccia al proprio fianco. «se sai cosa non sei, significa che sai chi vorresti essere? E chi non vorresti essere?» ma, soprattutto, sentiva di essersi perso un passaggio fondamentale di quella amicizia-conoscenza-seduta-animegemelle. Si sporse in avanti, offrendo il palmo al Cox. «andrew stilinski, ma mi chiamano tutti stiles. 26 anni, inglese. Ho due fremelli.» Una volta sono morto! Frugò nelle tasche cercando ancora il proprio penny di plastica, mostrandolo all’altro. Forse gliel’aveva già fatto vedere, ma era sempre un buon momento per ricordargli che nessuno fosse perfetto, e tutti sbagliassero. «ex alcolista, ora una brava ragazza» soffiò sulla moneta come avrebbe fatto un cowboy su una rivoltella fumante, prima di reinfilarla nel taschino. «psicomago al san mungo ed a hogwarts.» con un cenno della mano, lo invitò a presentarsi a sua volta.
    E se mai, se mai - ma perché avreste dovuto. – vi foste chiesti perché Stiles fosse single e non avesse alcun appuntamento, ecco perché.
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    andrew stilinski
    I’m tryna stay sane
    When the world has gone mad
    I’ve been looking down the tunnel at the light at the end
    Usare il telefono durante le ore di lavoro lo faceva sentire in colpa, motivo per cui nell’attesa fra un paziente e l’altro, anziché scorrere tiktok, aveva preso l’abitudine di rispolverare i quaderni da colorare che gli avevano regalato i Losers anni prima.
    (Un periodo oscuro della vita di Stiles; le braccia di Beh e Nicky cariche di album dei Pokèmon e dei Digimon, perché avevano letto che i mandala aiutassero a rilassarsi, ma chi voleva colorare mandala quando si poteva colorare Pikachu?)
    Stava scegliendo con cura la sfumatura di arancione da usare per riempire gli spazi di Raichu, non voleva lo stesso colore usato per le fiamme di Ponyta – a ciascuno il proprio livello di psicosi – quando sentì bussare. La porta aprirsi. Aprì il cassetto lanciandoci dentro album e colori, le braccia incrociate sulla scrivania per fingersi occupato. Fu con posa seria e professionale che alzò lo sguardo sul paz- Mh? Curvò interrogativo le labbra verso il basso, osservando Dominic Cavendish nel proprio ufficio.
    «allora, senti, lo so che non ti sto simpatico, cioè che mi odi – cioè non lo so perché tu mi odi, ma mi odi»
    Strinse le palpebre, arricciando il naso. Un… dato di fatto interessante, anche se discutibile, ma non vedeva perché avessero bisogno di quel confronto in quello specifico momento. Senza neanche un buongiorno, e mentre entrambi erano a lavoro…? Aprì la bocca cercando di interromperlo, gli occhi a guizzare sull’agenda ancora aperta di fronte a sé, e – Aspetta- «cavendish, dominic» bisbigliò in un singhiozzo stupito, poggiando le dita sul mento. Basito. Sconvolto. Dom era il paziente? Rimbalzò gli occhi bruni dal nome al Guaritore di fronte a sé, sopracciglia corrugate ed un palmo sollevato perché rallentasse l’andamento di quella conversazione. Era ancora fermo a so che mi odi, figurarsi se era in grado di elaborare il resto. «non voglio rubarti del tempo, possiamo fare una cosa veloce. possiamo restare in silenzio, puoi compilare le scartoffie, darle alla Derwent e dire che è tutto in ordine, così siamo tutti contenti, mh?» Soffiò un sospiro lento e denso sulle scartoffie, Stiles, scuotendo impercettibilmente il capo. Umettò le labbra, il pollice a premere su una palpebra abbassata. «chiudi la porta e siediti» azzardò un’occhiata al volto tirato del biondo, aggiungendo al tono perentorio un morbido «per favore» senza essere certo di chi, fra i due, avesse più bisogno di quella gentilezza.
    Stiles non odiava Dominic. Perlomeno, non con vera e propria cattiveria. Non gli piaceva, che era diverso, e si rendeva conto che avesse a che fare con tanti fattori che poco c’entravano realmente con il Cavendish. Ai tempi di Hogwarts, Stiles era stato un reietto ed un paria. Sopravvivere da nato babbano era impegnativo normalmente, figurarsi quando avevi l’inclinazione naturale a combinare disastri ad ogni respiro. Dominic, quella sopravvivenza, l’aveva per partito preso. Il posto a Quidditch, ad esempio, non aveva dovuto sudarselo come il Tassorosso, che non era mai stato voluto in squadra perché non all’altezza del loro pedigree. Arrivavano da due mondi troppo diversi perché potessero gravitare l’uno nell’orbita dell’altro, e di certo non aveva aiutato il fatto che fosse amico di Isaac e Niamh. I suoi Isaac e Niamh. Non era territoriale, ma trovava del tutto giustificato il terrore che i suoi migliori amici preferissero il ragazzo cool al finire in Sala delle Torture un giorno sì e l’altro pure – o che, crescendo, trovassero più facile la compagnia di Dom, che non si portava sulle spalle il peso di essere prima alcolista, e poi ex alcolista.
    Insomma. Non conosceva abbastanza Dominic per odiare lui: odiava quel che aveva sempre rappresentato. Negli anni, era solo diventata abitudine, una delle poche certezze a cui aggrapparsi e rimanere su territorio sicuro e conosciuto.
    «non ti odio» chiarì, scandendo le parole con un certo grado di perplessità, incerto se fosse per come era iniziata la conversazione, o perché sapeva di essere sincero. Lo infastidiva, ma di nuovo, senza reale cattiveria: più invidia e gelosia; il capriccio di un bambino. «ma non è quello il punto» Battè le palpebre, osservando Dominic da sotto fitte ciglia castane. Anche se l’avesse odiato, sapeva essere professionale, e scindere la sfera personale dal posto di lavoro. «se non ti senti a tuo agio con me, però, lo capirei» Ed era vero, anche se non perché non si sopportassero: si conoscevano, e non era una base solida su cui basare un percorso di terapia.
    Di solito.
    Stiles pensava ci fossero eccezioni. A volte, conoscere parte dello storico di una persona, aiutava a permettergli di aprirsi su questioni messe sotto chiave. Non erano amici, e non erano sconosciuti – quel qualcosa in mezzo, potevano usarlo. Represse il piccato non chiedermi di non fare il mio lavoro in favore della lingua ad umettare le labbra. Prendere tempo.
    Poteva anche non essere il più grande ammiratore di Dominic Cavendish, ma sapeva non stesse bene. Da un po’. E sapeva che avesse bisogno di aiuto. Da un po’. Dalla menzione della Derwent, dedusse non fosse lì per scelta, il che era già un problema: insomma, non partivano con ottime basi.
    Ma.
    C’era stato anche lui in guerra.
    Ma.
    In Siberia c’erano stati anche i suoi figli!!! avevano ritrovato Jeremy.
    Ma.
    Stiles non era cattivo. E Dom neanche.
    «lo è? Tutto in ordine» Offrì, a parentesi aperta.
    Let the games BEGIN.
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    26 y.o.
    former huff
    psychowiz
  4. .
    andrew stilinski
    most likely to
    "accidentally" unleash
    an evil curse


    25 y.o. ✧ psychowiz ✧ former huff
    I want what’s mine
    I won’t blame bad luck
    Enough is enough
    I’m gonna level up
    Conosceva Dominique Winston da quando non solo era una patata, ma ne aveva anche la forma: un piccolo wurstel beretta strizzato nella divisa Tassorosso, con enormi occhi da cerbiatta e fitte ciglia brune a battere frenetiche su tutto ciò che di nuovo (e terribile, nella maggior parte dei casi. Ma non solo!) offriva Hogwarts. Se la matematica non ci (a me e lui.) ingannava, ed avrebbe tranquillamente potuto, l’anno da matricola di Nicky era anche stato il suo primo anno da Prefetto. Ricordava di aver portato la spilla con orgoglio, e di aver lasciato che i bimbi lo seguissero come una papera con i suoi preziosi anatroccoli; forse quella era stata la fine sociale dei Losers. Forse se avessero seguito un altro Prefetto, si sarebbero chiamati Coolers: citando Kanye West, i guess we’ll never know. Era andata così, ed ormai adulti, non potevano che seminare quel che avevano raccolto, ritrovandosi in un salone di bellezza con crisi esistenziali sfogate sui giochi di ruolo, od i propri capelli.
    Sospiro profondo.
    «non mi dispiacerebbe un colore diverso, ma non tutta la testa. Solo sotto, capito no? Tipo Rosa, o blu. Molto punk. Kyle - il mio pg assistente professore a Princeton - ce li ha con striature di rosso e in role offre un sacco di spunti di conversazione. Alle persone piace. Lo rende meno... anonimo; non sembra un png nella vita di qualcun altro che non sa come seguire i suoi veri desideri, o che pensa non siano abbastanza interessanti. Oh! Ecco! I want something just like this punto mp3» Parlava veloce e senza guardarlo. Non avrebbe potuto rendere più evidente come stesse cercando di apparire distaccata dal discorso, e se fossero stati paziente e terapeuta, gliel’avrebbe permesso. Le avrebbe concesso i propri tempi per elaborare, ed esprimere le proprie insicurezze nel modo che preferiva. Avrebbe finto di non accorgersene, all’inizio, così da non terrorizzarla al punto da farla chiudere in se stessa senza mai avere altro coraggio di aprirsi. Ma era Nicky, e l’aveva vista crescere. Era l’adulto di quella situazione, malgrado il suo nuovo… taglio, potesse trarre in inganno, e la adorava.
    Si allungò verso la ragazza, cercando la sua mano per prenderla nella propria. Se avesse (unclear) ancora indossato gli occhiali da sole, e non li avesse già poggiati sulla fronte, l’avrebbe invitata a sollevarli con un movimento delle dita. «nicky» non era stanco, il tono di Stiles. Era comprensivo, perché capiva da dove arrivasse, e morbido, perché avrebbe voluto che fosse in grado di vedersi come lui vedeva lei. «nicky» ripetè, abbozzando un sorriso, mettendola a tacere prima che potesse dire qualcosa sulla linea di non era quello che intendevo, perché Andrew Stilinski – il loro guru!!! - non era la persona adatta con cui cambiare discorso. «mi sono fatto biondo perché volevo avere il controllo di qualcosa. E provare a me stesso di poter cambiare senza pensarci troppo» arricciò un angolo delle labbra verso l’alto. «e l’ho fatto. Quindi ora posso avere rimpianti. Ma dovevo dimostrare qualcosa a Stiles, quindi. Ne è valsa la pena» e non che fosse stupido, attenzione, quello lo sapeva senza testimonianze platino a far capolino dallo specchio. «magari kyle è davvero un png nella vita di qualcun altro. E quindi? Ci sono quasi 8 miliardi di persone al mondo. Resta il main character della sua vita. Con i suoi tempi, e le sue scelte, che non sono migliori o peggiori rispetto a quelli degli altri – solo diversi» Un sospiro, la schiena contro il muro. «l’hai creato tu, kyle. Lo conoscono – quante persone ci sono nel gdr ora, trenta? Trentatrè?» un bacio alla chaosbringer, ed un occhiolino all’oblivion. «prima non esisteva. Hai già cambiato la storia» Un’occhiata di sottecchi, perché non stavano parlando di Kyle neanche prima, quindi tanto valeva tagliare corto. «magari per te quello che fai non ha valore, ma lo ha per gli altri. Ed i desideri non hanno motivo di essere raggiunti, quelli si chiamano obiettivi: puoi viverli e basta senza sentirti in colpa, ed è abbastanza» Soffiò sulle unghie, strofinandole poi sulla spalla.
    «gli psicomaghi sono come i supereroi: non andiamo mai in vacanza. Justice and mental health – l’ho proposto come motto del team di lavoro al San Mungo, ma non hanno apprezzato. Dici che dak mi fa mettere gli striscioni in infermeria?»
    E comunque: «dovresti farti i ciuffi davanti viola. Solo le tendine, sai? … e mi rendo conto di non essere nella posizione migliore per dare consigli estetici, ma puoi sempre chiedere conferma ad halley se non ti fidi» escludeva i Tryhard, con affetto, ed Hunter, perché era troppo realista e SE LE AVESSE DETTO CHE AL MINISTERO NON AVREBBE Più TROVATO LAVORO?!?”?
    I give it all my oxygen,
    so let the flames begin ©
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    andrew stilinski
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    «Mi dispiace.» Che sembrava del tutto onesto, e fece sfuggire un sorriso allo Stilinski. Sollevò gli occhi su Hugo, scrutandolo in cerca della sua personale origin villain story, e quando l’altro non la offrì di sua spontanea volontà, si limitò a fare spallucce. «Spero che almeno la paga fosse buona.» Quella di uno studente part time? Corrugò le sopracciglia, grattando una bassa risata incredula. «nei locali la paga non è mai buona. I dipendenti arrotondano con le mance» indicò con un cenno il boccale vicino alla cassa dove si potevano infilare monete che a fine servizio camerieri e baristi si sarebbero divisi. Un metodo idealmente simpatico, ma poco funzionale e che creava dinamiche affatto piacevoli. Ai tempi in cui Andrew Stilinski lavorava ai Tre Manici, per quanto il proprietario lo adorasse, non … andava per la maggiore, con i clienti (eufemismo). Troppo impacciato, sempre a rovesciare qualcosa, e spesso su qualcuno. Passava la maggior parte del suo tempo con una mano sul mocio, e l’altra chiusa a mostrare il dito medio, nascondendolo poi nel grembiule prima che qualcuno potesse realmente accorgersene. Questo per dire che non andasse forte con le mance: gli unici che gli volessero bene erano i clienti abituali, quelli che al mattino puzzavano già d’alcool, ma si sapeva che gli eletti avessero il braccino corto. Comunque, come aggiunse con un sospiro pesante, decisamente un’esperienza.
    «Allora sei davvero un po’ masochista.» Che… che. Vi dirò.
    Non era affatto lontano dalla realtà, ed il colpo basso bastò a fargli distogliere lo sguardo, il labbro superiore arricciato in un sorriso sofferente. Non si sarebbe proprio proprio definito un masochista, ma aveva una… peculiare tendenza a farsi piacere anche quanto poco fosse adatto a lui, ecco. Mettiamola così. Talvolta ci insisteva perfino, su quello che più lo faceva stare male, ma non credeva fosse il caso di ammetterlo ad un primo non appuntamento – era lì per fingere di avere una dignità, non per perderla completamente! Tamburellò nervoso le dita sulla gola, tornando lentamente a guardare Hugo, improvvisamente impegnato a pucciare la bustina di tè nella tazza ad un ritmo un po’ troppo sostenuto. «Voglio dire. Con il tempo si tende a… romanticizzare tutto. O almeno. Io lo faccio decisamente un po’ troppo spesso.» Erano insieme da dieci minuti, ed Andrew Stilinski era già depresso.
    Minchia. Si erano proprio trovati (derogatory per entrambi). Rimase in silenzio, passando in lenta rassegna tutti i vassoi posati sul bancone, colto d’improvviso da quella melanconia un po’ canaglia dei tempi più semplici citati poco dopo dal Cox. Grattò piano la superficie del tavolo, percorrendo le nervature del legno con l’unghia. Masticò lento l’interno della guancia, rimbalzando gli occhi caramello dalla tazza al moro, chiedendosi se fosse il caso di elaborare, investigare, o cambiare argomento. Alla fine optò per sospirare un’altra risata asciutta, le braccia alzate ed allungate dietro di sé per stiracchiare la schiena. «tempi più semplici, non so.» all’epoca, Stiles passava più tempo in Sala delle Torture che da qualsiasi altra parte, perfino più dell’infermeria. Non ricordava di aver mai avuto la pelle priva di lividi o cerotti per tutta la sua permanenza da studente, qualcosa con cui nella vita adulta, grazie a Dio, non doveva convivere. «di sicuro più speranzosi» ancora spallucce. Non era mai stato ottimista, ma era difficile, a sedici anni e con più ossa rotte che integre, pensare che potesse andare peggio: il futuro di quello Stilinski era ancora roseo e pieno di possibilità. Poi l’età adulta l’aveva preso a sprangate nei denti riportandolo con i piedi per terra.
    Una breve storia triste.
    Vestiti per bambini… gli volle abbastanza bene da non chiedere se a statistica avessero pianto più loro, o lui. «pensi che questi non lo siano? Tempi più semplici, intendo» mormorò piano, stringendo le mani attorno alla tazza di caffè scuro – alla fine era andato sul sicuro, senza prendere nulla di troppo fancy - poggiata di fronte a sé.
    Gli sfuggì un sorriso; non particolarmente divertito. «guerra di primavera a parte» perché di quella, avrebbe davvero preferito non parlare.
    Mai. Nella vita. Grazie tante.
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    psychowiz
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  6. .
    andrew stilinski
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    Gustav Rogers era un uomo pragmatico e di poche parole.
    Come prevedibile da chiunque conoscesse lo sfortunato ex Tassorosso morto e risorto, Andrew Stilinski ne era terrorizzato. Non aveva mai avuto un buon rapporto con le autorità, pur non avendo mai – o quasi; non per scelta, di solito – infranto la legge. Sedeva sulla sedia di plastica della sala riunione con le mani premute sotto le cosce, costringendosi a non dondolare nervosamente il ginocchio per non suggerire agli strizza cervelli, ovverosia i suoi colleghi, cosa gli stesse passando per la testa. Loro non avrebbero potuto fare a meno di analizzare il suo comportamento, deformazione professionale, e Stiles non voleva pensassero che fosse inadatto a portare il camice.
    Lo era?
    C’erano giorni in cui pensava di no. Non si era mai sentito propriamente a suo agio con il resto degli psicomaghi del San Mungo, forse perché uno dei più giovani, ma il suo lavoro gli piaceva. Sentiva che per quanto fosse complesso, e straziante, e rubasse ogni giorno una parte di ottimismo artificiosamente costruito negli anni, fosse il lavoro adatto a lui. Gli piaceva connettersi con le persone, ed allungare una mano finché loro non sceglievano di stringerla. Aveva bisogno di sentirsi utile, sapere di aver fatto la differenza. Non chiedeva di essere l’eroe di cui non sapevano di aver bisogno, solo il sollievo momentaneo che permetteva di affrontare un’altra giornata.
    C’erano giorni in cui pensava di sì, perché dopo anni nell’ufficio dell’ospedale e di Hogwarts, ancora faticava a scollarsi le parole dei suoi pazienti. Avrebbe dovuto essere più distaccato, lo sapeva. Nel suo mestiere era importante mettere dei limiti e dei paletti invalicabili, se non si voleva rischiare di rimanere incastrati nei troppi drammi altrui, ma se riusciva ad essere quella persona al San Mungo, lo stesso non poteva dire di Hogwarts. Non aveva mai, mai pensato che gli adolescenti – terrificanti, mostruosi adolescenti – avrebbero messo a dura prova la sua risoluzione, ed invece era proprio così. C’era qualcosa di disturbante e crudele nei ragazzini di undici anni che tremavano incapaci di proferire parola, qualcosa che andava contro tutto ciò che la natura umana li addestrava ad essere. In quanto parzialmente animali, avrebbero dovuto proteggere i cuccioli, tutelarli; Stiles ne teneva le parti fra le mani sapendo che unirle fosse impossibile, e dovessero solo imparare a convivere con la consapevolezza che non sarebbero mai più stati quelli che erano. Gli ricordavano se stesso; gli ricordavano che peggiorava sempre, prima di migliorare. E tutta quella rabbia, che di anno in anno avanzava per le file dello studentato come una tossina o una malattia, avvelenando sguardi e mani strette a pugno. Tutto quell’odio. Crescere dava tutta un’altra prospettiva su quello che era avere tra gli undici ed i diciassette anni, un senso concreto al potenziale non sfruttato che infestava i ricordi di chiunque in quell’età. Lo rendevano triste, melanconico. Gli spezzavano il cuore senza neanche saperlo, obbligandolo a rincollarlo ogni sera con un sospiro nel vuoto ed un bicchiere di aranciata.
    Quella era stata la sua vita fino a qualche mese prima.
    Abbadon. La Guerra.
    Ad Hogwarts la situazione era peggiorata, sì, ma nulla di paragonabile al picco astronomico di appuntamenti nell’ufficio del San Mungo. La parte peggiore, era che meno della metà dei nuovi pazienti si presentasse volontariamente ai loro uffici, e perlopiù si trattava di richieste obbligatorie del Ministero che andavano oltre alla prima perizia demandando un percorso di riabilitazione. C’erano anche caldi suggerimenti di altri enti, pubblici e privati, che suggerissero ai propri dipendenti di cercarsi uno psicomago. Tutti reduci di guerra, fossero civili o soldati. Tutti con racconti reali e concreti di sangue, e polvere da sparo, e era vicino a me, e poi non c’era più, ed era lì, ma non c’era più, ed io non ho potuto fare nulla -
    Battè le palpebre tornando presente alla riunione. Gli occhi bruni scivolarono sulle sedie libere, più di quante non fossero qualche settimana prima. I loro numeri non erano mai stati fra i più alti della struttura, ma erano scesi a picco negli ultimi tempi, fra morti e chi avrebbe voluto esserlo, o chi semplicemente – come Sin – aveva approfittato della nuova politica aziendale per cambiare lavoro. Sollevò lo sguardo su Idem, sorridendole a metà quando lei ne ricambiò perplessa l’occhiata. Rogers stava parlando, e non aveva bisogno di ascoltarlo per sapere quale fosse l’argomento del giorno, identico a quello della settimana precedente e quella prima ancora. Se ancora non l’avevano fatto – e l’avevano fatto – dovevano aggiornarsi sui disturbi da stress post traumatico ed il lutto; chiedeva loro gli straordinari, facendoli fermare ben più di quanto il monte ore settimanale chiedesse, promettendo che sarebbero stati retribuiti – raramente lo erano, ma non diventavi psicomago per lo stipendio -; diceva che se avessero avuto problemi, avrebbero potuto rivolgersi a lui, e che li avrebbero affrontati insieme.
    Bla, bla, bla.
    Qualcuno, non Stiles di certo, suggerì che dovessero ampliare la fascia d’orientamento, così che potessero rimpolpare le loro fila. Che dovessero abilitare al lavoro con corsi specializzati offerti gratuitamente agli adulti. Con quali fondi, suggeriva l’occhiata rigida di Rogers, mentre con voce calma e piatta assicurava che ci stessero già lavorando.
    Altri bla, e bla, e bla.
    Quando congedati, non fu il primo a scattare sull’attenti solo per principio. Attese che i colleghi si alzassero, rimanendo fra gli ultimi a lasciare il tavolo. Borbottò un arrivederci ed un buona giornata e buon lavoro al loro responsabile, rallentando poi il passo per trovarsi al fianco della Withpotatoes.
    «sta facendo del suo meglio»
    Il suo meglio avrebbe potuto essere alleggerire il loro carico prendendo alcuni dei loro appuntamenti. Morse l’interno della guancia, studiando la mora da sotto le ciglia. «sicuro», perché che altro avrebbe dovuto dirle? Non aveva voglia di fare polemica, ed in parte pensava avesse ragione.
    In parte. Una piccola, parte.
    Ma dai, chi mai nella storia dei lavoratori dipendenti subordinati pensava che i propri superiori stessero facendo il loro meglio? Giusto Idem, e solo perché era un’inguaribile ottimista. Stiles era più sul lato pragmatico, voce del popolo rispetto all’ideale. Insomma: una basic bitch. «vieni alle macchinette?» aveva smesso di offrirgli il tè, grazie a Dio. Le macchinette significava, nel suo caso, un pacchetto di patatine ed una bevanda gasata e chimica che pur deteriorandolo dall’interno, lo tenevano in piedi quanto bastava ad arrivare alla fine della giornata. Picchiettò il dito sull’orologio digitale da polso, grugnendo all’ora quando lo schermo si illuminò al tatto. «nah, ho un appuntamento» strano, non ne avevano mai. Massaggiò una palpebra, sospirando nella manica del camice, nel dondolare verso il proprio ufficio. Passando superò una testa bionda che avrebbe potuto essere Dominic – o Franklyn Daniels, o Daveth Gallagher, o il fabbro sotto casa tua – a cui rivolse un cenno di saluto solidale. In ospedale funzionava come in alta montagna, o nei pokèmon: salutavi chiunque. Non sempre allegramente, ma lo facevi. Entrò lasciando la porta aperta, sistemandosi dietro la scrivania e prendendo il materiale con cui di solito fingeva di essere professionale: quaderno, penna, ed una variegata raccolta di fidget da offrire ai pazienti di cui andava molto fiero.
    Guardò l’agenda, che compilava – confidiamo tutti – qualcun altro per tutti gli psicomaghi del piano, organizzando i loro appuntamenti. Una receptionist, come quelle dai dentisti.
    Cavendish, D.
    «ma pensa. come dominic»
    Assurdo!
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  7. .
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    But we all got flipped too many times
    Tutto molto (non) interessante, e riassumibile nella presa di coscienza mormorata a bassa voce dal Lovecraft: «no, lo so, è che…forse sono ancora ubriaco.» Stiles convenne stringendo le labbra fra loro, arcuando le sopracciglia, ed aprendo i palmi al soffitto nel fare spallucce. L’aveva detto. Non erano molte altre le risposte che potessero giustificare quel tipo di… disagio. Non fra loro, perlomeno. Il loro imbarazzo si era riconosciuto a vicenda molti anni prima, scontrandosi ed annullandosi, rendendoli ambedue un ammasso informe che solo in pochi casi aveva senso per gli altri, ed ancor meno fra loro: tendevano a capirsi comunque, forza dell’abitudine e disperazione. «hai vomitato?» Ne studiò l’espressione stanca e provata, soffermandosi sul colorito poco sano delle guance. Si avvicinò violandone gli spazi personali, l’indice sotto il mento per sollevargli la testa come un qualunque protagonista k-drama, ed il pollice a strattonare la palpebra per controllare lo stato dell’iride. «avevi anche fumato?» C’era una nota stanca, nel tono di voce dello Stilinski. Più adulta e responsabile di quanto molti gli avrebbero dato credito. «isaac.» sapevano tutti che mescolare non andasse bene! Era il tipo di errore da cui imparare in adolescenza, non da ripetere da giovane adulto (semi) funzionale stipendiato dal Ministero. Inspirò dalle narici, alzò gli occhi al cielo, e posò paterno una mano sulla sua testa. «lo sento galleggiare» gliela scosse, quella capa di minchia che si ritrovava. Sperava che se dovesse vomitare, avrebbe avuto la prontezza di girarsi e non farlo sul piatto. «no, chiedevo perché… mh…se hai adottato uno snorton non me lo hai mai detto, ecco. quindi ho pensato che… quello lì… potevo averlo rubato al carrow’s?» Stiles battè le palpebre, osservandolo come gli fosse spuntata una seconda testa. Si voltò verso la direzione indicata dal ragazzo, sinceramente preoccupato per la sua salute mentale: ma cosa cazzo (DICO NON DICO, VEDO NON VEDO cit grande fibra) stava dice- «PORCA STRONZA» Uno scatto così repentino all’indietro, che finì inevitabilmente per rovesciarsi addosso la tazza di caffè – bollente – ed ustionarsi, facendo seguire al primo strillo un secondo strillo a cui l’animale nell’angolo della stanza rispose spalancando la bocca, e non facendone uscire alcun suono. Come i fuckin film dell’orrore. «mi hai – mi ha – uh» Alzò una mano, prima verso Isaac per assicurargli che stesse bene, e poi verso la creatura che lo guardava con occhi troppo grandi. La notte (mattina.) prima, aveva raccolto Isaac e depositato fisicamente sul letto, avrebbe giurato non ci fosse nessun maledetto animale. E no, Isaac, non ho adottato un bradipo spacciatore, perché minchia avrei dovuto? Ci mancava solo la dipendenza da tossina magica, nella sua vita. «dove… dove… dove lo avevi nascosto» guardò Isaac, battendo languido le palpebre. Forse non la prima domanda che avrebbe dovuto fare, ma certo la più pressante: non aveva neanche un reggiseno dove infilarlo! O… lo aveva. Piegò il capo da una spalla all’altra cercando di chiarire le dinamiche dell’accaduto.
    Poi inspirò secco, entrambe le mani alla bocca come l’omino sticker che tanto piaceva a freme.
    «hai commesso un REATO?» Poteva passare sopra la ribellione ed il lavaggio del cervello, ma rubare un animale allo zoo? «ci sono le telecamere! TI STARANNO Già CERCANDO? ISAAC!» Niente, certe cose non cambiavano proprio mai.
    sooner or later you're gonna tell me a happy story. i just know you are.
  8. .
    andrew stilinski
    I think we all grow up
    Thinking life is gonna be like the movies
    But enough's enough, 'cause after all
    You gotta get used to losing
    Non era il momento storico adatto per essere un ex alcolista. Come avrebbe detto un qualsiasi gen z, Stiles sperava di morire prima - con la postilla, però, di essere morto sul serio, e non aver risolto comunque un cazzo, perché era tornato e la situazione era solo che peggiorata. Mordicchiò il labbro inferiore fra i denti, roteando fra le dita il gettone del quarto anno di sobrietà ricevuto dal gruppo di alcolisti anonimi qualche giorno prima.
    <>Yikes.
    Avrebbe dovuto farlo sentire meglio di così, ma la necessità di dovercisi sempre aggrappare pur di non ricadere nei vecchi errori, non lo aiutava quanto avrebbe dovuto. Lo strinse nel palmo come una promessa, cercando di incastonarselo sulla pelle e crederci un po’ di più.
    Che valesse qualcosa.
    Che bere non fosse la soluzione.
    Come se ogni giorno, ogni maledetto giorno. Andrew Stilinski non avesse avuto qualcosa che avrebbe preferito dimenticare. Almeno per un po’, quanto bastava a cancellare dalle iridi caramello l’ormai costante patina di stanchezza che neanche una settimana di sonno avrebbe potuto placare.
    Una guerra in cui non aveva avuto voce in capitolo, non per davvero.
    Un mondo devastato che aveva cercato di non calpestare, Stiles, trattandolo comunque come aiuole di un parco pubblico, ma che qualcuno aveva schiacciato comunque. Era rimasto a guardare, omertoso; aveva stretto i denti ed abbassato lo sguardo, perché almeno la lingua morsa era la propria e non quella che Abbadon gli aveva infilato in bocca. Metaforicamente, s’intendeva; la loro conoscenza si limitava al rapporto Gesù Lazzaro, nulla di carnale sul fronte #stabby.
    Aveva sentito di Archibald e Arabells, dopo; di Erisha e Neffi, dopo.
    Di Sinclair Hansen.
    Di Hunter e Halley.
    Non aveva ceduto all’alcool. Aveva scelto di respirare, lentamente, e di spingere con cautela le proprie dita prima su una casella e poi sull’altra. Non era mai stato bravo in matematica, ma si era detto che calcolando i movimenti al millimetro, avrebbe potuto gestire tutto, sia le questioni principali che quelle strettamente connesse: Murphy; il resto dei Losers; Heather Morrison.
    “Andrew Stilinski” rientrava in entrambe le categorie, ma aveva volontariamente scelto di ignorarla - di ignorarsi - in favore di tutto il resto. Vedere se stesso all’interno dei contesti rischiava di diventare, come avrebbe detto la figlia quattordicenne della sua collega al San Mungo, un po’ too much, e quindi si era buttato a testa bassa su quello che non era in grado di gestire senza un crollo isterico. Tornare a lavorare ad Hogwarts, era stato terribile come sembrava.
    Ragazzini che erano rimasti.
    Ragazzini che erano tornati.
    Chi aveva perso tutto; chi non aveva perso nulla.
    Tutti a cercare qualcosa, nelle parole di Stiles, che lo psicomago forzava perché fossero in grado di trovare, e fosse quello di cui avevano bisogno. Il solo pensiero di cosa lo aspettasse il giorno dopo al castello, bastò a far indugiare lo sguardo sulle bottiglie ordinatamente riposte dietro il bancone, qualcosa di simile alla malinconia a torturare le labbra sottili dell’ex Tassorosso. Labbra che costrinse verso l’alto, ed occhi che scollò dall’invitante vetro dei super alcolici, per riportarlo sulla persona seduta dall’altra parte del tavolo. Non era un incontro ufficiale, quello, anzi, era tutt’al più la cosa meno professionale che potesse fare. Non c’era la privacy del San Mungo, e Stiles non indossava il cartellino che lo indicava come psicomago: sula carta, quello era un incontro fra amici. Anime gemelle, perfino, se si voleva credere al Fato.
    Nella pratica?
    Hugo Cox non aveva bisogno di un amico, aveva bisogno di terapia. Era Stiles a non potersi permettere un altro cliente, ed aver ripiegato su quell’assolutamente illegale compromesso da cui decise di sentirsi meglio offrendo un «da ragazzo lavoravo qui» perché se dava informazioni su se stesso, era già uscito dalla sfera puramente terapeutica di quell’incontro. «che esperienza. Un po’ mi manca» un sorriso più gentile quello ad aleggiare sulla bocca dello Stilinski, sopracciglia sollevate. esperienza era decisamente l’eufemismo migliore per descrivere il suo oskuro e losko passato da cameriere ai Tre Manici di Scopa; era felice fossero rimasti in pochi a ricordarlo.
    Anche Hugo non sarebbe rimasto ancora a lungo ad averne memoria, ma quello era un problema di Sara VJ: l’aveva voluto lei, e così fosse. Sara SR lo trovava un po' estremo come metodo per sfar smettere di piangere Hugo, un po' definitivo, ma aveva smesso di giudicare le scelte dei suoi compagni di giochi molto tempo prima.
    E poi almeno Hugo poteva tenere al caldo il posto anche per l'altra sua anima gemella, così era derogatory doppio per Dominic.
    Tiè.
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    psychowiz
    soulbruh
  9. .
    andrew stilinski
    most likely to
    "accidentally" unleash
    an evil curse


    25 y.o. ✧ psychowiz ✧ former huff
    I want what’s mine
    I won’t blame bad luck
    Enough is enough
    I’m gonna level up
    Chissà con esattezza quand'era successo che Andrew Stilinski si fosse svegliato un mattino, e avesse pensato di essere adatto alla carriera che svolgeva regolarmente in quel di Hogwarts. Con la schiena poggiata contro il sedile in plastica di Amortentia, cigolando ad ogni minimo rumore e con le labbra strette fra loro nel tentativo di frenare qualunque flusso di coscienza pigiasse sul palato, si rispose che doveva essersi trattato di un primo aprile. Di quale anno, non aveva importanza. Si sentiva un impostore ed un incoerente, perché i problemi degli altri li sminuzzava e li offriva in bocconi più piccoli perché riuscissero a masticarli da soli, ed i propri li ficcava direttamente in gola come le caramelle alla menta piperita di Adriano. Non li scioglieva neanche sulla lingua, lasciando che semplicemente lo soffocassero. In attesa che il proprio corpo comprendesse che non ci entrasse cibo e non ci fosse più un buco per l'ossigeno, fingeva di non chiedersi ogni notte quanto tempo ancora potesse rubare.
    Confidava abbastanza.
    Poteva?
    Cercava di guadagnarne in tutti i modi sbagliati, perché quelli giusti stavano bene agli altri ma su di lui stonavano. Si sentiva stupido ed inadatto, a ... a fare cosa, poi. Funzionare?
    «hai detto...?»
    «bene. ho detto bene. cos'hai capito?» corrugò le sopracciglia e battè le palpebre (ma mi suggeriva palle: ciao baby dara!) ruotando di scatto il capo verso la ex Tassorosso. Aveva sentito pene? No perché c'era un nuovo trend dei giovani di essere unhinged, ma voleva credere che Nicky Winston non rientrasse nella categoria di persone (derogatory) che sentivano solo parole a sfondo sessuale. Non aveva detto pene. PERCHÉ AVREBBE DOVUTO ANDARE TUTTO PENE, POI. Perché andava alla cazzo?
    Oh.
    (in a fanfic voice:) oh.
    In effetti. Thinkin. Sarebbe stato molto freudiano da parte sua.
    «...penso.» confessò alla fine, osservando un punto casuale sul pavimento del locale. E ovviamente, quando meno avrebbe dovuto e non con un certo smarrimento, stava ufficialmente pensando a dei peni. Terribile. Vi dirò di più: pur possedendone uno (proprio suo, nel suo corpo -cit) nei suoi pensieri erano tutti censurati con lo spray bianco. If you know you know (yaoi readers anyone?). Comunque non lo facevano sentire meno a disagio, motivo per cui si corrucciò tutto incrociando con più forza le braccia sul petto.
    Via il dente, via il dolore.
    VIA IL DENTE, VIA IL DOLORE.
    Inspirò, Stiles. Trattenne il fiato sollevando le dita verso il cappuccio, e lo mantenne in gola fino a che non lo abbassò. Improvviso come l'assassino di una soap opera che si rivelasse alla fine dell'episodio essere niente di meno che il padre della figlia nascosta dell'amante del marito del protagonista. (audible gasp dalla folla) «è... interessante» Oh, wow Nicoletta Winston, E ALLORA SPUTAMI COME UNA SARA QUALSIASI AD ALESSANDRO. Strizzò le labbra in una linea, espirando secco per svuotare i polmoni. «forte!!! Un look così giovane, stiles!! brillante, oserei dire! E se ti rispecchia, immagino sia perfetto!!»
    Un guizzo della bocca. Una risata che ci credeva poco, perché stanca e perché sapeva fosse una stronzata, ma onesta. Genuina. L'aveva vista crescere, Nicky. Era sempre stata una «pessima bugiarda» ma le diede una spallata gentile, perché ci aveva provato e perché la preferiva così. Sincera perfino nelle proprie menzogne bianche. «ricresceranno» borbottò quindi, calciando piano la punta della scarpa sul pavimento.
    «siamo qui per te. Non penso sarebbe divertente guardarmi mentre mi fanno i capelli» Si strinse nelle spalle, afflosciandosi sulla sedia. «mica devo guardarti tutto il tempo. posso sfogliare le riviste, e intanto chiacchieriamo» una pausa, breve. Spinse le labbra da un lato della bocca, soffiando piano l'aria. «è un po' che non lo facciamo» chissà per colpa di chi. Giggling! Di gossip era ignaro? Di quanti capitoli era indietro rispetto alle loro FF? Cosa si era perso degli aggiornamenti di trama del gdr di Nicky (lui aveva mollato, richiedeva troppa costanza, ma seguiva le vicende con entusiasmo e dedizione). Quali coppie erano diventate canon mentre fingeva di capire tutti gli [hint] dei tiktok inviati da Murphy? E si, non aveva mai cuore di dirle che non avesse la più pallida idea di chi stesse parlando e di quali fossero le sue visioni ™. Una volta era uno shipper migliori, poi c'erano stati troppi drama, ed aveva deciso che enough was enough, ed era troppo vecchio per quelle stronzate.
    «vuoi essere distratto o vuoi lamentarti? Entrambe le opzioni vanno bene»
    Ci pensò.
    Per poco, ma lo fece. Alzò gli occhi al soffitto, guardandolo e sperando di trovarci la risposta.
    «distratto» mormorò piano, deglutendo appena, fingendo che già quella risposta non fosse un ammissione di colpe. Magari avrebbe finto anche Nicky.


    I give it all my oxygen,
    so let the flames begin ©
  10. .
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    «Buongiorno!» Annuì, perché parlare sembrava impegnativo, e non alzò lo sguardo dal tostapane. Sapeva che il suono avvisasse quando le fette di pane fossero state pronte, ma non si fidava: per qualche incomprensibile legge della fisica, sapeva che se non avesse fissato l’attrezzo fino a completamento della doratura, si sarebbero bruciate e basta. Era sempre così, e poco importava che quel ragionamento avesse poco di logico, e tutto di superstizione.
    Ed aveva bisogno di un attimo per smaltire le proprie emozioni in qualcosa di più sobrio ed accettabile. Stiles non era propriamente arrabbiato con Isaac Lovecraft, gli era mancato troppo perché potesse portargli rancore per qualcosa di così stupido, ma non era neanche felicissimo della situazione. Il suo migliore amico che beveva abbastanza da perdere i sensi su una panchina di Hogsmeade, non era quel che rallegrava una mattina (le 5. le cinque) nel mezzo della settimana di un ex alcolista, fategli causa. Il fatto che lui avesse smesso di bere, non significava che dovessero farlo anche tutti gli altri, certo, ma amico. Amico. Si sentiva anche un po’ in diritto di essere quanto meno indisposto in merito.
    Soprattutto quando l’amico in questione, se n’era andato per anni ed era tornato così… così… diverso. Era ancora Isaac, ma non era più Isaac, e Stiles non sapeva… perchè. Ancora doveva capire come muoversi, in quella nuova parentesi adulta dei lovinski.
    Si erano persi così tanto, negli anni. Erano rimasti in contatto, sempre, ma non era la stessa cosa. Non erano gli stessi ragazzini che ad Hogwarts avevano adottato un bambino a distanza insieme. «Scusa se sono piombato a casa tua stanotte.» L’ex Tassorosso fece una smorfia, un angolo delle labbra a sollevarsi in un sorriso divertito. Avevano vissuto lì insieme per anni, non credeva dovesse chiedergli scusa per… quello. «lo sai bro, mi casa es tu casa» alzò brevemente uno sguardo interrogativo sul Lovecraft, perché dude, poteva piombare a casa sua quando voleva. Che poi non l’avesse fatto, e Stiles fosse andato a cercarlo e recuperarlo, era un dettaglio che non riteneva importante sottolineare. Non era quello ad adombrare il cipiglio dello Stilinski.
    Era andato a bere. Con Dominic. Per consolarsi dalla rottura con Sharyn. Con DOMINIC! Sapeva di non essere stato invitato per rispetto dal suo passato, ma non era comunque bello essere l’amico sobrio che si perdeva il divertimento e si beccava pesi morti da trascinare sulle scale. Sì insomma, non aveva un reale motivo per essere offeso, era solo geloso. «So che - devi andare a lavorare, mi dispiace davvero bro.» Ma – cosa stava dicendo. TIN! Sobbalzò, perché non si era mai pronti al saltello delle fette (forse qualcuno sì; non Stiles) e ne posò una sul proprio piatto (la bocca), ed una in quello per Isaac (un piatto davvero). Minchia, arrivava dall’inferno. Fu rapido a morderla, sputare il resto sul tovagliolo aperto sul tavolo, e masticare arieggiandosi la bocca. Non pianse; un successo.
    Ogni santa mattina così. Non avrebbe mai imparato dai propri errori.
    «sei ancora ubriaco? Ci conosciamo da -» assottigliò le palpebre, iniziando a contare con le dita. Non fu convinto del risultato, e ci riprovò. HHH. «quindici anni no ma davvero? (lele) ISAAC AIUTO, MA DAVVERO? La loro amicizia andava al QUINTO ANNO? Era un BEN10? ISAAC. Isaac. Osservò il vuoto per istanti davvero intensi ed importanti, cercando di comprendere quando fosse successo. Quindici anni erano davvero… wow. Tanto tempo. Che avevano fatto nel mentre? A parte morire ed essere vittima di un lavaggio del cervello, s’intendeva. «ok. Wow. Non ci penseremo. comunque» gli lanciò un cucchiaino, perché era stata davvero un’osservazione stupida da parte sua e se lo meritava. «ho fatto notti molto più insonni, e per molto meno» borbottò, affondando il naso nel caffè latte. «anzi, abbiamo: ti dirò solo due parole» e spero bene che le due parole successive fossero dette a tempo da entrambi: «pokèmon go» avevano girato tutta Londra a piedi fino all’alba. Mai, nella sua vita, aveva fatto così tanto esercizio fisico.
    Sorrise, stringendosi nelle spalle.
    «Giuro che tolgo subito il disturbo.» Insisteva. Battè le palpebre, sopracciglia corrugate. «no davvero isaac, ma che cazzo dici» non avrebbe mai disturbato? Era il suo migliore amico da tutta una vita? Poteva rimanere lì quanto pareva? Anzi, più sarebbe rimasto, meglio sarebbe stato: Connor era in giro per il mondo, e Stiles soffriva (punto) di solitudine. C’erano… un sacco di cose, nel mondo. A cui non voleva pensare.
    Bro aiutami a non pensare.
    «hai borbottato un sacco di cose, ma nulla di inintelligibile» parlò con la bocca piena, masticando lentamente. Ci mise qualche secondo a collegare le sinapsi, e comprendere che non fosse una domanda casuale, ma una sensata. Giustificata. «pensi di aver abbandonato dominic allo zoo?» gli occhi di Stiles si illuminarono.
    Oh. Uno ci sperava sempre.
    sooner or later you're gonna tell me a happy story. i just know you are.
  11. .
    CITAZIONE
    «CAZZO CULO» e DA CHISSA DOVE tirò fuori!! Una motherfucking!!! Motosega!!! No- LA motherfucking motosega!!! «È HOUDINI»

    sei veramente qualcosa arianna
  12. .
    ho aggiornato (anche con i miei) e mi rifiuto di archiviare chi dovrei per chi sono come persona. i pretend i do not see.
    MA LA COSA PIù IMPORTANTE!!!!!!!
    ricordate la regola che si potesse avere solo un pg custode O vigilante? ecco, nvm, ora potete avere un solo vigilante ma quanti custodi volete. besos
  13. .
    andrew stilinski
    «Questi sono amuleti portafortuna.» Aveva già conquistato tutta la sua attenzione, perché se c’era qualcuno che ne aveva bisogno, quello era (lui) Behan. Andrew Stilinski era, a conti fatti, un uomo, ed a quella sua (pessima) qualità, biasimeremo il fatto che non colse nulla fra la negoziante e Niamh. Assolutamente nulla. Forse qualche vibrazione, ma la Barrow tendeva sempre a vibrare in un modo particolare quando circondata da persone – bi icon – e Stiles aveva imparato a sintonizzarsi su altri canali. Quindi? Non aveva un solo pensiero, mezzo, che non fosse l’acquisto dei regali mancanti. Un ragazzo semplice con bisogni semplici, a cui le cose andavano spiegate in separata sede e con un certo preavviso. «Quelli verdi sono per la buona sorte negli investimenti, nei guadagni e più in generale tutto quello che riguarda patrimonio e soldi. Quelli arancioni, la sfera interpersonale. Quelli bianchi sono un po’ per la sfiga in generale, quelli rossi, beh, aiutano con l’amour. Quelli blu per il lavoro, quelli gialli per -» Al terzo colore nominato dalla rossa, lo psicomago aveva smesso di ascoltare, spostando smarrite iridi brune su Niamh. Dovevano - dovevano prendere appunti? Quelle informazioni erano scritte da qualche parte? Avevano un’etichetta? Non li avrebbe mai ricordati, e l’ex Tassorosso era l’eterno indeciso per eccellenza: avrebbe dovuto osservarli ripetutamente, valutare pro e contro, confrontare i colori (ed i prezzi). Credeva davvero avrebbero funzionato? No, ma sperava nell’effetto placebo. Sapeva ci fosse un fondo di verità nel pensare positivo, quindi perché non aiutarsi con ninnoli colorati e carini? «Facciamo così, perché non mi dici che genere di sfortuna? E quanto molto è “molto”.» Oh, sweetie. Cutie pie. Il sorriso che tese le labbra del ragazzo fu condiscendente e divertito, un sospiro a sfiorare il palato. «molto» ripetè solo, perché scendere nei dettagli non sarebbe stato lusinghiero nei confronti di nessuno. Nella sua vita, doveva essere stata una ragazza particolarmente fortunata, perché se avesse avuto un briciolo della sfiga di (Stiles.) Behan Tryhard, avrebbe saputo che non seguiva categorie particolari: non c’era una fascia in cui avesse più o meno successo, era totalitaria come il Regime in cui vivevano. Annuì distrattamente all’offerta del tè, offrendo un tremulo ed imbarazzato sorriso alla negoziante. Da quando i proprietari dei (cinesi) locali offrivano da bere ai loro clienti? Era legale accettare? Normalmente avrebbe detto di no, guidato da un profondo disagio esistenziale, ma gli sembrava egualmente poco rispettoso rifiutare, e quindi tè fosse. Neanche gli piaceva, l’acqua calda saporita a foglie e fiori. Era più tipo da bevande chimiche, gasate e zuccherate, che un giorno l’avrebbero portato all’obesità. Stava ancora soppesando i ciondoli - ma in che senso relazioni interpersonali, quelle gemme stavano cercando di rubare il lavoro ai bravi psicomaghi del mondo? - quando Niamh gli porse la tazza, che strinse con entrambe le mani per timore gli cadesse. I manici erano malvagi ed ingannavano sempre, non si fidava di qualcosa atto ad essere afferrato. Era anche sempre difficile capire come mettere le dita, c’erano troppi modi, e di conseguenza, lo Stilinski non faceva affidamento su nessuno di loro. Per non offendere la padrona di casa, sorseggiò il liquido bollente.
    Come prevedibile, non sapeva di niente. Zero assoluto. Non sentiva manco lo zucchero - ma ce l’aveva messo, lo zucchero?. Si trattenne dall’arricciare il naso perché era un ragazzo educato, ed ingoiò l’acqua calda come un pro. Sapevate che i giapponesi usavano l’acqua calda come rimedio a tutto? Forse sarebbe stata anche la sua strada. Il suo redemption arc nel diventare la miglior versione di se stesso. Perchè attaccarsi all’alcool, quando poteva aprire gratis il rubinetto dalla parte rossa? «com'è il tè?» criminal offensive side eye. L’aveva mai visto bere del tè? No, e per un buon motivo. Prima di risponderle come meritava, ossia un’occhiataccia allusiva, sollevò gli occhi bruni sulla proprietaria per assicurarsi che non lo stesse guardando, e – oh.
    Oh.
    Lo stava guardando.
    Socchiuse le labbra sorpreso, il cuore a sfarfallare nel petto. Prima era così impegnato a cercare cringiate da regalare ai Losers, che non aveva fatto caso a quanto fosse… bella. Quasi eterea, poteva giurare di vedere un alone di luce alle sue spalle a far brillare il turbante a coprirle i capelli. Erano legali, capelli così rossi? Avrebbe giurato che al tatto fossero morbidi quanto sembrassero. «bellissima» mormorò, abbassando la mano con cui reggeva la tazza. «cioè, buonissimo. il tè migliore di sempre. 10/10 stelle. L’hai fatto te?» Idys, un intellettuale, mettendo bustine di tè Sir Winston nell’ebollitore. Sorrise, sincero e leggero come non si sentiva da tempo. «hai un talento.» una pausa, la bocca ad aprirsi e chiudersi. Non gli sembrava affatto strano sentirsi così, anzi, gli pareva surreale non essersene accorto prima. Doveva essere davvero distratto, perché - perchè. Non poteva più fare a meno di distogliere gli occhi dalla venditrice, dimentico perfino di non essersi recato al negozio da solo. «e un sorriso bellissimo» lo era davvero. Illuminava la stanza, ed anche il punto oscuro del suo cuore che credeva non meritasse di essere amato. «sono stiles, l’avevo detto? Andrew. Stiles. Cioè – è uguale» porse la mano libera, già emozionata all’idea che lei l’avrebbe stretta. «mi faresti l’onore di dirmi il tuo nome? Chiamerò il mio prossimo pokèmon come te» Abbassò il tono di voce, perché stava per dire una cosa importante. Fondamentale. Una vera dimostrazione d’amore.
    «lo starter»
    Sometimes you're a candle
    Don't know how you handle
    My highs
    Or my lows

    25 y.o.former huffpsychowiz
  14. .
    OMG! Ho trovato la figurina di niamh e idys!
    link role: stiles


    OMG! Ho trovato la figurina di todd milkobitch!
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    53 SU 106 E SBLOCCO IL BADGE DELLE FIGURINE METà ALBUM COMPLETO FUCK YES
  15. .
    andrew stilinski
    Andrew Stilinski capiva perché Britney Spears cantasse di essere innamorata di un criminale. Da psicomago, avrebbe potuto dire di sé tante cose in merito a quella consapevolezza, ma quale terapeuta applicava i consigli per altri alla propria persona? (Forse qualcuno c’era, ma quel qualcuno non era lui.) Ad essere più specifici, condivideva quel pensiero: nulla era equiparabile alla sensazione di essere amati da un narcotrafficante impiantato in Messico, tornato in patria per farti un salutino perché, checchè ne dicesse, voleva bene ai suoi fremelli.
    Nulla. Stiles poteva, escludendo l’ipotetico e dandolo come certezza, aver pianto anche un po’, quando Xavier Stevens - Stilinski - si era palesato alla sua porta. Così… rude. Insensibile. Distaccato.
    Eppure era tornato, l’espressione impassibile, arrabbiata ed un po’ seccata con la quale era sempre stato semplice distinguerlo dagli altri fremelli, perché se non vengo a trovarvi durante le vacanze di Natale, quando lo faccio? Mai, aveva creduto Stiles.
    Invece era lì. Davvero lì, in carne, ossa e muscoli (qualcosa che certamente mancava al fu Tassorosso: mai conosciuti, era strano vederli su un corpo simile al proprio.) ed una parte dello Stilinski aveva voluto credere che fosse apparso per lui. Non era un segreto, eccetto per Stiles stesso, che stesse affrontando un periodo difficile. Il lato inconscio che ne era consapevole, aveva scelto di aggrapparsi alla possibilità che lo Xavier sul suo zerbino fosse preoccupato per lui. Non era un pensiero cosciente, anche perchè razionalmente sapeva che di rado le azioni del pirocineta fossero legati ad altri eccetto se stesso, ma un pensiero comunque, abbastanza da renderlo, se non allegro, almeno un po’ meno infelice. Aveva cercato di limare il suo entusiasmo, conscio che Xav fosse allergico a qualunque tipo di dimostrazione d’affetto, ma non doveva aver funzionato come previsto, perché quando aveva cercato di cancellare i piani per quel pomeriggio con Niamh in favore di quattro chiacchiere fra fremelli, lui gli aveva gentilmente chiesto di non farlo, davvero, per favore.. Gentilmente, capito? Quindi voleva proprio che si levasse dal cazzo.
    Stiles era stupido, ma non così stupido.
    «sai che penso di aver beccato tuo fratello al captain? penso. però era uguale a te. Xavier, no?» Non si stupì che Niv l’avesse trovato al Cap, sapeva lo Stevens si sentisse più a suo agio con il Matthews che con lui, ma non c’era la scintilla estatica di poco prima nel sorriso interrogativo che rivolse alla Barrow. La consapevolezza di essere la seconda scelta, non lo rendeva più piacevole. «non ho così tanti fratelli da non ricordarti il suo nome» perché Niamh-e-Dakota erano un pacchetto unico, e così li aveva presi Stiles. Ovviamente sapeva tutto della fremellanza. «non ti ha proposto di seguirlo in un vicolo buio, vero? Lo fa, ogni tanto» aveva cercato di mettere dei paletti ricordandogli che potesse vendere al mercato nero un sacco di gente, quindi per favore, poteva almeno evitare i suoi amici?, ma non sapeva quanto della (poco) rinomata memoria fotografica di Xav l’avesse seguito a Londra, e se ancora ricordasse che la ex Grifondoro fosse sua amica. In effetti, da quando se n’era andato, lei era cambiata parecchio (badum tss). Si affacciò su tutte le vetrine dei negozi, perché trovava che il Natale fosse bellissimo. Fare regali? Un po’ meno: per motivi non meglio specificati se non l’intrinseca natura stessa della sua persona, provava un’ingente dose d’ansia all’idea di dover fare i regali. Perchè? Da quando aveva vinto la lotteria con Isaac, aveva un sacco di risparmi, ed i soldi non erano più il problema che da sempre avevano limitato un giovane Stiles a pensieri fatti in casa. Era perfino abbastanza sicuro di conoscere i suoi amici e pargoli vari da sapere cosa acquistare.
    Eppure.
    A pochi giorni dal Natale, ancora gliene mancavano ancora quattro. Come narrava il detto, ancora sperava di morire prima, ed a essere completamente onesti, la possibilità c’era ed era concreta. «cinesi magici!!!» Niamh non ebbe bisogno di trascinarlo all’interno dell’emporio, Stiles era più che entusiasta all’idea. Che ne poteva sapere lui, che lei avesse piani contorti e quello fosse stato il suo obiettivo sin dall’inizio. Sfregò le mani fra loro, premendole poi contro le guance.
    Ad Hunter aveva preso una lampada che creava costellazioni, una rappresentazione fedele di quello che accadeva in diretta (più o meno: c’era pur sempre la differita degli anni luce) nell’universo. A Nicky, un copri microfono carino, perché l’aveva vista adocchiare i sistemi audio e? Boh, che ne sapeva lui della radio, ancora pensava fosse una Asmrtist. A Beh, aveva regalato un cappello con le orecchie che si muovevano a seconda dei suoi stati d’animo.
    Gli mancavano Meh e Halley. Gli mancava Jay.
    Niamh. Sperava davvero in uno di quei commenti poco casuali tipo ah, ke bello questo, urca come lo vorrei, così da poterlo comprare sotto banco e farglielo trovare sotto l’albero.
    «letture della mano ad un prezzo scontato» mormorò alla mora, chiaramente tentato dall’offerta. Credeva fossero tutte baggianate da circo? Sì.
    Eppure. Farsi ingannare da un futuro roseo e promettente, non sembrava troppo male.
    Si chinò per raccogliere le penne rotolate fino a loro, porgendole alla ragazza con il cappello al di là del bancone. «lo facciamo? Eh? Eh niamh? Niamh?» ma niente, Niamh non se lo stava cagando, impegnata com’era a cacciare la sua preda.
    Vi dirò di più: le probabilità che Stiles conoscesse Daphne, erano molto elevate.
    Ma che la riconoscesse pure? Eh. Improbabile.
    Quindi, potè solo cogliere le vibrazioni del qualcosa non va, suggerito dall’espressione di una Niamh Barrow sul piede di guerra.
    Oddio. Era una sua ex? Strinse le palpebre, cercando di domandare a Niamh cosa stesse succedendo, lo sguardo a saettare dall’una all’altra delle fanciulle. «mh, io sì. se...posso» non voleva intromettersi fra il bad blood di due amanti, ma davvero doveva comprare. «consigli: devo fare il regalo a una giornalista impavida, ad un amante degli animali ballerino, e una persona molto sfortunata» elencò, professionale.
    Si umettò le labbra, lo sguardo a scivolare sui tarocchi e la pelliccia. «ti piacciono?» chiedeva; disinteressato.
    Sometimes you're a candle
    Don't know how you handle
    My highs
    Or my lows

    25 y.o.former huffpsychowiz
297 replies since 10/11/2012
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