Posts written by cherrybomb

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    i berserker hanno la violenza nel sangue. scatenano la loro furia sul nemico con efferatezza, incuranti della propria salvaguardia
    Sapeva di avere poco tempo, la Benshaw, prima della missione. Questioni logistiche da sistemare, discutere con il resto dei ribelli quale sarebbe stato il suo obiettivo, e altre mille faccende che stava rimandando da giorni. Di certo, il modo migliore di sprecare quei cruciali minuti non era facendo quello. «possiamo bruciarle, nessuno ne sentirà la mancanza» uno sguardo di comprensione passò tra le due bionde, un tanto ne ha altre dieci non detto ad esitare per qualche attimo nella distanza a separarle. Era un orribile pensiero da avere, ma ormai aveva perso il conto da quando frequentava il Matheson. «sono orribili, non riesco a smettere di guardarle» una frase che avrebbe potuto applicare a molti contesti della vita ultimamente, se era onesta. Scosse la chioma bionda, una smorfia ad increspare momentaneamente le labbra «è proprio quello che vuole, è terribile» tutto, nel dubbio. «e non chiederò come sono finite nella tua camera» a quello, si lasciò scappare una risata divertita, un breve affare che raramente si concedeva in compagnia di altri. Aveva un’immagine da mantenere, non importava con chi si trovasse– ma c’erano delle eccezioni. «oh no, non vuoi. è meglio che certi segreti restino nella tomba» no, Cherry non stava insinuando niente, perché era palese ad entrambe il rapporto che l’ex serpeverde avesse con Lawrence. Ma non voleva rivivere ad alta voce la scena di un Lawrence che decideva di andare commando per la sua serata di caccia, lanciando i vestiti dove capitava. L’atmosfera nella stanza divenne più sobria il tempo che Cherry ci mise a battere le ciglia, un cambio netto all’ilarità di qualche momento prima «sei pronta?» esalò un respiro dalla bocca che assomigliava sospettosamente a un pff, e portò le braccia a sostenere il capo nel perfetto ritratto dell’ozio «non la mia prima volta, lo sai. sicuramente nemmeno l’ultima» era il più vicino che poteva andare senza dire la verità, non tutta, una linea che calpestava da anni quando si trattava della Moor «ma non è la missione che mi preoccupa» lasciò quelle parole sospese nell’aria, il labbro inferiore prigioniero dei propri incisivi e gli occhi chiari nudi di una preoccupazione che raramente mostrava. «è ipocrita da parte mia dirle di non partecipare, ma mona ha– cosa? diciassette anni? non ha idea di cosa la aspetta» chiuse per un battito le palpebre, le memorie sanguinolente della guerra a farsi strada tra i ricordi, le ossa rotte e le grida strazianti che avevano lacerato l’aria. Nessuna idea. Ma quella era la guerra, e questa era una missione di soccorso. Doveva credere che sarebbe stato diverso, che non aveva tutti i segni di essere una trappola. «ho già perso un amico, perché tentare la sorte due volte?» non poteva impedirle di partecipare alla missione, non quando lei e i suoi amici tendevano a muoversi insieme come un branco, ma non poteva negare che la sola idea la riempiva di un sentimento che poche volte nella vita aveva provato. Ansia, timore, un bisogno feroce nel petto di legarla da qualche parte con quei deficienti dei Ben. Non era un posto per bambini, non era niente a cui Hogwarts potesse prepararli. Eppure, doveva convivere con quella realtà.
    charlyse
    benshaw

    Wish I could bottle the taste
    'Cause I'd drink up the look on your face
    guerriero berserker
    (un tiro pa bonus)
    MAGO
    MAGO
    1999 — rebel spy — ministrySo you, so you wanna fight me, are you big enough?
    Kick the back of my knee, are you serious?
    You keep on trying but i like
    your blood on my teeth just a little too much
    little girl gone
    chinchilla
    moonmaiden, guide us
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    i berserker hanno la violenza nel sangue. scatenano la loro furia sul nemico con efferatezza, incuranti della propria salvaguardia
    Cherry non si era mai interrogata sulle intricate meccaniche che dominavano luoghi oscuri come i mercatini dell’usato. Non ne aveva mai avuto bisogno, per carità, e non era così incline a prendersi le pulci. Vi era già un alto rischio date le compagnie che intratteneva, ci mancavano solo i capi di seconda mano. Sollevò con la punta di una daga (sì, le teneva in giro per l’appartamento in caso) una canotta ascellare dal dubbio gusto estetico, una smorfia ad arricciare le labbra. Era davvero Qualcosa. Non capiva cosa ci azzeccasse la fantasia camo con colori sgargianti come l’arancione e il giallo— anche perché l’unico camuffamento che avrebbe potuto fare sarebbe stato tra le vetrine Zara [derogatory]. Lo avrebbe chiesto a Moka, ma al momento era MIA e Charlyse aveva deciso che fosse cosa buona e giusta liberarsi degli ultimi rimasugli della roba che il Telly le aveva disseminato per casa. Nemmeno venderla, perché dubitava esistesse anima con tanto dubbio gusto, ma donarla a qualche senzatetto. E magari anche gli slip leopardati di Lawrence, se non avesse deciso di bruciarli prima. «dio» [bestemmia] «secondo me se le tocco mi prendo qualche malattia» indicò con un cenno del capo il paio di mutande abbandonate per terra, le sopracciglia bionde corrucciate e il labbro catturato tra i denti come a dover risolvere un grande enigma «no, nemmeno con la daga ma scherzi» che poi le toccava buttare pure quella. Si buttò sul letto a peso morto, dopo aver risposto la daga sul comodino, cadendo sul suo piumone immacolato. Ovviamente, la spazzatura era per terra dove meritava di stare. Preferiva pensare alle malattie veneree –sì, davvero, aveva toccato un punto basso nella sua vita– di Law piuttosto che alla missione ormai imminente. Aveva un limite mentale, e al momento l’aveva ampiamente superato. Doveva ringraziare che Cloud la conoscesse da anni, e con lei non ci fosse bisogno di fingere. Non più del solito, almeno. Niente ho sentito che Lollo Pelle si è tolto i pantaloncini e sono rimasta interdetta per un attimo, ma direi che le mie 300 parole le ho.
    charlyse
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    1999 — rebel spy — ministrySo you, so you wanna fight me, are you big enough?
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    1999

    rebel

    spy
    punisher
    phoebe bridgers
    Freme mi ha ispirato a scrivere di mattina, ma mi sento più sotto cocaina che mai. Innanzitutto, sia ben chiaro ai posteri, la scelta di Cherry di trovarsi in quel maledetto freezer era stata ben ponderata. Una lista di pro e di contro era stata stilata e discussa, e alla fine aveva vinto la parte di lei che preferiva la sana violenza. Sangue, uomini che tenevano in mano una mazza con cui non sapevano che farci, una giornata tipica nella vita della Benshaw. E poi, così vicini alle feste, si sentiva in dovere di fare un po’ di sana beneficenza: concedere a Moka l’onore della sua presenza. Per il resto, Cherry era indifferente a quello sport, niente più che un modo come un altro per passare il tempo. L’unica eccezione lo faceva il Quidditch, l’unico sport degno di essere considerato tale. Il fatto che sua sorella non avesse seguito le sue orme e diventata una giocatrice per la squadra ad Hogwarts era sempre un duro colpo, ma la Benshaw non aveva ancora riposto le armi speranze. «il masochismo è arrivato a livelli estremi» non fu la voce di Lawrence, seduto accanto a lei, a farla irrigidire quanto più la scena che si ripeteva sugli schermi. Il tessuto del cappotto si stropicciò sotto alle sue dita, le labbra dipinte a premere in una linea sottile ed esasperata «quando mai. sempre la solita testa di cazzo» anche se, alla fine, ragionò che fosse parte dello sport. Non a caso aveva sentito che ai giocatori mancassero un paio di denti, chissà che fosse l’occasione di battezzare il Telly. Cherry distolse l’attenzione dal campo per qualche attimo, lo sguardo a cadere sul cellulare del Matheson (scemo1 + scemo2). «potrebbe essere tuo padre» deadpan, ma non sorpreso, il suo tono nello studiare l’uomo semi nudo che Lawrence aveva swipato. Ormai aveva smesso di farsi domande e aveva accettato i gusti del ragazzo, ma era sempre divertente stuzzicarlo. Un po’ come lui si faceva i cazzi suoi. Charlyse non aveva idea di cosa pensasse di sapere il Matheson sulla propria vita sentimentale, ma si sbagliava di grosso. Lui e l’altro scemo2.
    A proposito di scemo2.
    «moka telly che fa partire una rissa, sono sconvolto.» sì, davvero sconvolgente. Nessuno avrebbe mai potuto prevederlo. «dammi un attimo la torta» così, per controllare che fosse in buone condizioni, di certo non per sputarci sopra. Le sembrava il minimo, visto il teatrino che la aspettava.

    Cherry avrebbe preferito essere in qualsiasi altro luogo su quel pianeta. Persino lo spogliatoio della sua palestra non era comparabile a quello in cui si trovava, tanto che dovette fermarsi dal portare una mano sul volto per coprirsi il naso. Ecco perché disprezzava gli uomini: non avevano idea di cosa fosse il sapone e gli indumenti puliti. «ditemi che almeno avete ripreso la scena» non si degnò a rispondere, troppo occupata ad osservare con palese disprezzo i vestiti sporchi di sangue e la faccia tumefatta del Telly. Fosse stata una persona peggiore, l’avrebbe lasciato cuocere nel proprio brodo. Invece era magnanima, e avrebbe riscosso i suoi debiti prima o poi. «meno male che vi avevo detto di non venire» a quello, il sopracciglio biondo si sollevò fino all’attaccatura dei capelli, e fu istintivo tirare una gomitata nelle costole del Telly. Più sulla scapola vista l’altezza, ma dettagli. «ma se mi hai supplicato per settimane» procedette a una fedele imitazione della voce dello special, perché era il genere di dettagli che era importante ricordare. «ma la smetti di sederti così.» diede un colpo col ginocchio alle sue gambe per fargliele chiudere, così da potersi avvicinare con la bacchetta. «dobbiamo per forza stare qui? puzza» ah ecco, allora non era l’unica. Sospirò affranta, rivolgendo un’occhiata veloce al Matheson, che come lei faticava ad esistere in tali ambienti primitivi «prenditela con lui, non con me» riportò la propria attenzione sul colpevole in questione, puntando la bacchetta sul suo volto e mormorando un epismendo per risanare le ferite riportate. Ormai era diventata la badante di quel demente. Ma dopotutto, chi si sarebbe preso cura di lui se non lei. Le occhiaie sotto agli occhi parlavano di una storia che non era pronto a raccontare, non del tutto, così come gli spigoli che una volta erano stati coperti da muscoli. Ed ecco perché: go to therapy.
    «hai visto, chers? non gli piace, te lo avevo detto. ora si mette a piangere»
    «ma come» fece un passo indietro e battè le ciglia innocente, un sorriso del tutto innocuo a piegare le labbra «l’abbiamo presa per lui. dovrebbe come minimo assaggiarla» o il prossimo sputo gli arrivava nel occhio, ma era sottinteso. «non lo so, ragazzi. forse preferivo una sega» Lawrence le tolse le parole di bocca, perché col cazzo. «e invece ti becchi la torta. e questa che potrebbe essere una intervention o meno, chissà.»
    Ok ho tre minuti per postare bene.
    «è tutto davvero molto toccante, e non vedevo proprio l’ora di passare il pomeriggio in uno spogliatoio puzzolente, ma possiamo muoverci? qui qualcuno ha di meglio da fare.»
    Al che Cherry, an intellectual «hai ragione io ho di meglio da fare, eppure sono qui. perché è mio dovere in quanto unica con i neuroni tenervi in check» pausa
    aiuto
    si voltò verso entrambi, braccia incrociate
    «questo è il vostro momento di parlare. ma che cazzo vi succede»
    I like your blood on my
    teeth just a little too much
    so bite me, slap me round
    the face Now I'm twisting your
    arm 'til I hear it break
    cherrybomb


    Edited by ambitchous - 19/1/2024, 23:48
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    Cherry aveva molti pensieri sul cosiddetto matrimonio dell’anno. Alcuni positivi, altri decisamente meno. Charlyse Benshaw faceva parte di una delle più antiche ed importanti famiglia purosangue inglesi, era cresciuta in quell’ambiente ed era perfettamente conscia di cosa significasse quel matrimonio per l'élite inglese. Un messaggio politico, una dichiarazione cristallina a chi ormai proclamava che il tempo dei mangiamorte fosse finito. Una nuova era, una nella quale non era il sangue puro a dettare legge. Quello era ciò che il mondo avrebbe visto, o almeno, quelli del suo mondo. La realtà era ben lontana dai fatti, e Charlyse avrebbe voluto che fosse tutto così semplice. Banale, scontato, una storia che si scriveva da sola da secoli. Ma la Benshaw voleva fidarsi di William, era il capo che aveva scelto di seguire, e confidava che sapesse quello in cui si stava cacciando. Anche perché, per una volta nella sua vita, l’ex serpeverde non aveva alcun diritto di giudicare, nessun piedistallo da cui stabilire il buon esempio. Voleva qualcosa del genere, i rischi che comportava quel genere di relazione? Non poteva permettersi di essere compromessa, nessun attaccamento che potesse scostare il velo oltre cui si celava una verità scomoda, ma pur sempre reale. In un momento sovrappensiero, le iridi pallide a posarsi sulle chiome dorate di sua sorella e di Lawrence, Cherry concluse che forse avrebbe dovuto tirare fuori il suo asso nella manica. Approfittare di quell’evento di alto profilo per sfoggiare la sua (falsa) relazione, ridicolizzare il nome dei Benshaw con la sua devianza. Oh, un peccato che Claudia avesse altri impegni. «Mona mi sta fissando» attese in silenzio, conscia che stesse per arrivare, l’ombra di un ghigno a sfarfallare nello sguardo «tua sorella, non il cane» perché il suo cane non era altro che un angelo, ovvio. «e quindi? salutala, non morde» falso sia per Mona animale che umana, se doveva essere sincera. Era conscia che Law non andasse particolarmente a genio a sua sorella, eppure Cherry insisteva nel metterli nella stessa stanza, un esperimento sociale per vedere chi ne sarebbe uscito vivo. «non sono venuto qui per fare da babysitter» sbuffò divertita, la Benshaw, la punta dei canini ad incastrarsi sulle labbra pitturate mentre intrecciava il braccio a quello del ragazzo. «hai ragione, sei qui per farti perdonare» la stessa malizia di prima danzava ancora nelle pieghe delle guance, ma solo uno stolto si sarebbe lasciato ingannare dall’espressione saccarina della ministeriale «mi hai ignorato per tre mesi da un giorno all’altro, senza uno straccio di spiegazione. te e l’altro coglione di moka» si avvicinò appena così che sua sorella, o chiunque altro, non sentissero. Allungò l’altra mano per poggiarla sull’avambraccio del Matheson, la presa a stringersi appena «quello che abbiamo vissuto? non è stato facile per nessuno» nemmeno per me, implicito, una parentesi che avrebbe potuto prontamente celare alla minima crepa. Charlyse Benshaw non aveva bisogno di nessuno, ma non sopportava l’idea che potesse essere lo stesso per qualcun altro «ma ci sarei stata per te» una confessione sussurrata e persa nella brezza di fine estate, dal sapore amaro e dal profumo di lavanda. Non era il luogo o il momento adatto, ma c’era ben poco che avrebbe potuto fermare Charlyse da impartire un’importante perla di saggezza all’amico. Ritornò alla distanza originaria, la mano posta sul braccio di Lawrence a cadere al suo fianco «ma non porto rancore, lawrence, stai sereno» le ultime parole famose.
    La cerimonia iniziò e finì, e l’unico pensiero che la Benshaw riuscì ad evocare, era che fosse un peccato che l’universo avesse perso una donna come Akelei Beaumont. Che spreco, davvero. Per un uomo, poi, quando c’erano tante alternative migliori. Nulla contro il Barrow, era un problema radicato nel suo sesso. Cherry portò un pezzo di macaron alle labbra, assaporando la confettura e l’elaborato profilo di sapore del dolce, qualcosa che era stato chiaramente creato da mani esperte. E poi, perché era la migliore sorella maggiore del mondo, allungò le dita per prenderne uno anche per Mona e adagiarlo su un piattino «hai visto qualche tuo amico?» non avrebbe mai capito la co-dipendenza che sua sorella aveva con quegli altri nove ragazzini, ma era felice che avesse qualcuno. Desdemona non era la persona più facile con cui andare d’accordo, e sapeva essere spigolosa, sapeva dove e come colpire per fare male. Ora che ci pensava, aveva diverse cose in comune con lei. Cristo, di tutte le cose che poteva passare a sua sorella, aveva scelto i tratti peggiori. Se solo avesse saputo dei suoi figli. «Ora che ci penso, potrebbe esserci anche Bennett da qualche parte» osservò curiosa la reazione della sorella, giusto per vedere fin dove si spingeva la cotta che aveva per la Meisner. Certo che l’aveva notato, non era di certo cieca. Era il suo lavoro cogliere ogni dettaglio, catalogarlo e poi capire come sfruttarlo a suo vantaggio. In quanto a Lawrence: «penso che tu abbia attirato l’attenzione di qualcuno» affondò il gomito nelle sue costole per far sì che si voltasse verso di lei, un gesto d’affetto che non aveva nulla a che fare con la sua vendetta personale. Non c’era alcun pudore nel modo in cui stava passando gli occhi sulla figura di un uomo poco lontano, sebbene non fosse il suo tipo. «proprio come piace a te: decrepito» andava detto, era la verità e nulla che non avessero già affrontato. Chissà, forse il suo piano era liberarsi dei suoi accompagnatori così che lei potesse assicurarsi di non tornare a casa da sola. O che nessuno oltre a lei potesse favorire della torre di macarons.
    In your heart, I see the star
    of every night and every day
    In your eyes, I get lost, I get washed away
    Just as long as I'm here in your arms
    I could be in no better place
    when3 september 2023
    avignon, provencewhere
    board'till death do us part
    the best
    tina turner
    whocharlyse benshawroleguest (bride's side)outfitfront & back dress
    infotwenty-fourinforebel spyinfoex slytherin


    Parla con Law e Mona. Sentitevi liberi di molestarla, morde ma non troppo :perv2:
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    «Hai un appuntamento?»
    Le spalle di Cherry si irrigidirono, e la mano che reggeva il pennello si fermò a mezz’aria. Incontrò lo sguardo inquisitore di Mona nello specchio, e fu in quel momento che si ricordò il perché della presenza della sorella nel suo appartamento. Le aveva lasciato una copia delle chiavi poco prima di partire per la guerra, nel caso- nel caso avesse voluto avere un posto dove stare. L’unica ragione. Non si era mai preoccupata di riprendersele, perché sperava che la sorella potesse usarle davvero un giorno. Non era spesso che gli astri si allineavano e le concedevano di vederla, ma avrebbe preso al volo qualsiasi occasione le fosse stata concessa. Il fatto era che non aveva messo in conto che sarebbe piombata a casa sua senza preavviso. Dio, doveva ringraziare di non essere stata sorpresa in posizioni più compromettenti. «No, nessun appuntamento» fu sicura e decisa nella sua risposta, non un briciolo di dubbio che macchiasse le sue parole. Era la verità, non una di quelle mezze bugie che era abituata a rifilare alla sorella a causa del suo ruolo nella Resistenza. Riprese ad applicare l’illuminante sullo zigomo, all’apparenza incurante della presenza dietro di lei. Nel suo privato, stava scandagliando il ventaglio di scuse da cui pescare per evitare di confessare che avrebbe passato le prossime ore in compagnia di un uomo. Era ben conscia dell’opinione della Benshaw minore sul sesso maschile, poteva già vedere le sopracciglia fini a incresparsi in un’espressione di disappunto e una smorfia a piegare le labbra rosee. Nemmeno Charlyse aveva un’alta opinione degli uomini, ma ciò non le precludeva di insinuarsi nelle loro vite e di rovinarli dall’interno. Così, per passatempo, perché poteva permetterselo. Non era quello il caso di Nathan Shine, ma Mona non aveva bisogno di saperlo. «Ma sto uscendo, e non so-» se tornerò, probabilmente no. O peggio, se avesse finito per trascinare anche lo Shine con lei oltre l’uscio della porta. «-quando tornerò, ma se vuoi puoi restare qui a dormire» ripose il pennello dentro la trusse, voltandosi finalmente verso la sorella. Cherry non era solita indossare le proprie emozioni sul volto, ma aveva sempre fatto un’eccezione per Mona. Almeno con lei, voleva ricordare come essere una persona reale, tangibile. «E domani mi farò perdonare con una colazione alla Sainte Anne» una piega morbida nel sorriso che le rivolse, il mignolo che si stringeva attorno a quello della minore. Non poteva prometterle molte cose, ma almeno quello poteva concederglielo.

    Cherry aggiustò un boccolo dietro l’orecchio, sbuffando infastidita quando le sfuggì per l’ennesima volta a causa del vento. Era certa che ci fosse un incantesimo per evitare quel supplizio. Nonostante quello non fosse un appuntamento, la Benshaw non era un animale. Era ben conscia del ruolo che l’aspetto giocava nei rapporti sociali, e lei avrebbe fatto la sua parte. Il trucco non era esagerato, ma si era assicurata di affilare l’eyeliner come la lama di un pugnale, il rossetto cremisi a macchiare le labbra in una pallida imitazione di quello che aveva versato negli ultimi tempi. Ogni tanto le piaceva macchiarsi le mani, lo trovava terapeutico per sfogare la rabbia. Si guardò attorno guardinga, sempre all’erta di qualcosa, un cane da guardia che non distingueva più tra nemico e padrone. Odiava i luoghi aperti, imprevedibili nella loro conformazione e fin troppo vasti per poter scandagliare il perimetro. Charlyse riconosceva di essere paranoica, ma in quanto spia era insito in ogni nervo e osso del corpo- non sarebbe stata lì, in caso contrario. Eppure, aveva fatto un’eccezione per Nathan. Il perché le era sconosciuto, niente di profondo su cui indagare e tormentarsi, ma credeva avesse a che fare con il fatto che non disprezzasse la sua compagnia- cosa che non si poteva dire per il resto del genere maschile. Dopo quella che parve un’eternità (quella che ci ha impiegato Elisa per scrivere sto post) giunse sul luogo che le aveva indicato lo Shine, un luogo del tutto anonimo se non fosse stata per la struttura davanti a lei. Un ristorante? Più un chiosco a dire la verità. Era sollevata di non essersi vestita troppo elegante, almeno secondo i suoi standard. Una jumpsuit nera e attillata il giusto per mettere in risalto le sue forme, con una cintura stretta in vita e un pendente che si perdeva in mezzo alla sua pelle. «Sei qui da tanto?» esordì anzi di un saluto, che sarebbe parso fin troppo banale e rigido. Odiava i convenevoli, la Benshaw. Si sporse verso il ragazzo per lasciare il fantasma di un bacio su una guancia, e poi sull’altra, perfettamente conscia di quello che stava facendo. Non aveva scuse, se non che amasse mettere a disagio il prossimo- o forse avrebbe apprezzato, una situazione vincente in entrambi i casi. «Quella è per me?» piegò la testa in direzione della rosa, un sopracciglio fino inarcato mentre un’espressione divertita (ma non unkind) ammorbidì i lineamenti severi. Era la prima volta che qualcuno le regalava dei fiori senza nessun motivo, e fu costretta ad ammettere che il gesto l'aveva presa più in contro piede di quello che pensava. Ma non lo mostrò sul volto, preferendo prendere in mano la situazione -controllo, almeno in qualcosa- e dirigersi verso l’entrata. «Non sapevo fossi un fan della cucina italiana?» si dai cherry fai convo adieu è tardi.
    charlyse "cherry"
    benshaw

    Skinned her alive, ripped her apart
    Scattered her ashes, buried her heart
    Rise up above it, high above it and see
    Pray to your God, open your heart
    1999 / former slytherin
    ministry / rebel spy
    chaotic good
  6. .
    charlyse benshaw
    Can't not think of all the cost
    And the things that will be lost
    Oh, can we just get a pause?
    To be certain we'll be tall again
    In fine dei conti, Charlyse era stata fortunata. A malapena sfiorata dal fantasma della guerra, non mostrava nessuna lesione esteriore, e gli spettri che si portava dentro erano attentamente celati al pubblico. Un normale giorno nella vita della Benshaw, nulla di nuovo e di cui sorprendersi. Ormai era diventata così brava a giostrare quelle dimensioni che poteva farlo ad occhi chiusi, lasciare che le spine si conficcassero fino in fondo e la facessero sanguinare come un martire, nutrendosi della sua stessa miseria. Alla fine, la vita non era che un grande palcoscenico, e c’era chi sapeva come brillare sotto i riflettori e chi rimaneva inchiodato sugli spalti. Peccato che in quel momento non stava recitando nessuna parte, nessun martire, solo Cherry nella sua forma più nuda. Lineamenti fragili come cristallo, un guizzo divertito ma sfuggevole sulle labbra pitturate di rosso, un fottuto miraggio nel deserto. Un miraggio che si frammentò non appena qualcuno urtò la spalla della bionda, e la riportò a quella che era la realtà. Bella merda. Il suo sguardo scattò in alto a cercare il colpevole, curiosa di chi fosse così nel suo mondo da non notarla ferma in mezzo al corridoio- certo che non era colpa sua, che domande. Ma la Benshaw aveva una reputazione immacolata da mantenere, uno dei mille ruoli che era abituata a vestire come una seconda pelle. Riconobbe nel colpevole la figura di Madelaine Hopper, una nuova recluta nelle file della Resistenza, un numero in più di cui avevano disperatamente bisogno. Cherry poggiò la mano sulla spalla della ragazza per evitare che urtasse qualcun altro, un sorriso morbido ad accompagnare quel gesto «scusa, colpa mia, ero distratta» sollevò il telefono ormai bloccato, uno schermo nero a giustificare la sua gaffe. Notò poi i punti sul sopracciglio della Hopper, e Charlyse non poté fare a meno di domandare «ti ho fatto male?» no, non le interessava davvero, ma era una questione di educazione. «Anche te qui in visita?» genuina, quella volta, del rivolgersi a Madelaine- Cherry era la prima a riconoscere che tutti avessero dei cari tra quei corridoi, e sperava vivamente che non fossero dei bastardi ingrati come Lawrence.
    gif code
    1999
    rebel
    spy
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    charlyse benshaw
    Can't not think of all the cost
    And the things that will be lost
    Oh, can we just get a pause?
    To be certain we'll be tall again
    Il mondo era andato a puttane, e Charlyse Benshaw aveva avuto un posto in prima fila per la discesa verso l’Inferno. Schierata dalla parte giusta, l’ennesimo giudice, giuria e boia a muoversi allo schiocco di un dito. Sapeva di aver perso la guerra non appena Abaddon si era palesato vicino al cerchio di monoliti, una convinzione così viscerale che aveva dovuto stringere la mano di Lawrence- nessuna spiegazione, nessuno sguardo, solo le loro dita ad intrecciarsi e a cercare un supporto che sapeva avrebbe sempre trovato. Quel legame, nemmeno una, dieci, cento vite avrebbe potuto spezzarlo. Osservò le radici a stringersi attorno alle loro caviglie, i loro volti a contorcersi in smorfie di dolore e urle, accartocciarsi a terra, inutili suppliche a scivolare dalle loro labbra. Quella disperazione, le lacrime a bagnare il volto, nemmeno uno studente universitario con la mora di Unito dopo i 30 giorni limite. E in tutto ciò, Cherry non aveva potuto far altro che rimanere impassibile a guardare, il respiro ancora mozzato in gola e la testa svuotata da qualsiasi pensiero. Sarei potuta essere io. Un momento di incertezza, un singolo cedimento alle parole di Moka, e quella a contorcersi a terra sarebbe stata lei.
    E poi.
    E poi venne la nebbia.
    Un momento congelato nel tempo. Un battito di troppo, rapido e incontrollato a fuggire dalla cassa toracica. Non voleva guardare, Charlyse, ma si costrinse a farlo. Glielo doveva, a tutti loro, a Moka. Non sapeva cosa sarebbe successo, fino a che non fu troppo tardi.
    Il più grande pregio di Charlyse Benshaw era il perfetto controllo delle emozioni nella maggior parte delle situazioni, una macchina destinata a non mostrare il più remoto accenno di un sorriso, smorfia, qualsiasi cosa potesse mettere a repentaglio la sua posizione. Era una spia, sapeva modellarsi alle diverse interazioni e persone, non custodiva sentimenti propri.
    Quel giorno, tuttavia, non era Charlyse.
    Era una ragazzina di dodici anni in una stanza piena di sconosciuti.
    Confusa, arrabbiata -oh, sempre così arrabbiata- e terribilmente smarrita.
    Fino a che un ragazzino altrettanto smarrito non aveva allungato la mano e aveva deciso di non lasciarla più, trascinandola in qualsiasi cazzata gli passasse tra la testa. Ed erano cresciuti, ed avevano prese le loro decisioni, le loro strade. E queste strade si erano inevitabilmente separate.
    E li avevano portati lì.
    Faccia a faccia a combattere per uno stesso ideale, ma ognuno a modo suo.
    E l’aveva portata lì, a soffocare un urlo nella spalla di Lawrence, le unghie ad aggrapparsi al tessuto della divisa del ragazzo e a scavare nella carne. Aveva guardato fino alla fine, Cherry, dicendosi che glielo doveva. Ripetendosi che voleva imprimere nelle retine quell’ultimo momento, memento di non aver fatto abbastanza per non vincere quella guerra. A cosa erano serviti tutti i loro sacrifici, della resistenza, di chi aveva deciso di ribellarsi, se niente era servito a un cazzo. Batteva il pugno contro il petto di Lawrence, sorda alle sue parole e al mondo che la circondava, immersa nel suo personale incubo, il respiro spezzato e il petto ad annaspare.
    Aveva di nuovo dodici anni, Cherry: confusa, arrabbiata -oh, sempre così arrabbiata- e terribilmente smarrita.

    Non sarebbe dovuta essere lì.
    Non ne aveva il tempo, tra Ministero e Ribellione, cercare di tappare i buchi di quella guerra e prendere una boccata d’aria.
    Eppure, aveva comunque scelto di varcare le porte del San Mungo.
    Le persone che Cherry teneva vicino al petto potevano essere contate sulle dita di una mano, e Lawrence avrebbe sempre fatto parte di quella rosa. Anche se non voleva vederla per qualche assurdo motivo, e giorno dopo giorno trovava una scusa per sbatterle la porta in faccia. Un perfetto specchio di quello che si ripeteva anche a New Hovel, dove non era più ben accetta.
    Charlyse avrebbe voluto sapere cosa aveva fatto di sbagliato, per porvi rimedio. Non sopportava quel silenzio da ambo i lati, uno che giorno dopo giorno divorava e distruggeva fino a lasciare terra bruciata tutto intorno a sé. Aveva promesso di buttare giù entrambe le loro porte, e aveva tutta l’intenzione di farlo. Non gliene poteva importare di meno di quale peso pensassero di dover portare sulle spalle, sul perché pensassero di essere le uniche vittime di quella guerra, ma che non la ignorassero.
    Eppure, l’avevano fatto di nuovo.
    Charlyse era ferma lì, immobile all’entrata del reparto, con il sacchetto di plastica ancora stretto tra le dita. Tremava, la Benshaw, eccome se tremava. Di rabbia repressa, di urla che non trovavano uscita, di tutte le parole che voleva dire a Lawrence ma non poteva. Sfilò il telefono dalla tasca con tutta l’intenzione di insultarlo, quando un messaggio tra le ultime notifiche catturò la sua attenzione. Alzò lenta, guardinga, lo sguardo controllando che nessuno le stesse prestando attenzione. Solo allora si concesse di premere sullo schermo, una debole piega delle labbra a sostituire la smorfia che vi aveva regnato fino a quel momento. Se non altro, qualcuno si degnava di accertarsi che fosse ancora viva.
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  8. .
    cherry benshaw
    The jokes weren't funny, I took the money
    My friends from home don't know what to say
    I looked around in a blood-soaked gown
    And I saw something they can't take away
    «Hai ragione» in circostanze normali, sarebbero bastate quelle due parole a placare marginalmente la Benshaw. Sapeva di aver ragione, ma sentir ammettere dal proprio interlocutore la sua superiorità intellettuale faceva sempre piacere. Eppure, quella volta non bastò nemmeno quello, fin troppo consumata dalla propria fiamma per porgere un orecchio a Moka. «e forse non ho le palle per fare quello che stai per fare tu» uomini [derogatory] e forse le scivolò anche dalle labbra, difficile dirlo quando quel pensiero era un disco rotto che girava ininterrottamente nella sua testa. Per quanto gli volesse bene, al momento aveva solo insulti per il Telly. E si rifiutava di avvelenarsi la mente anche solo pensandoci, quindi si impose di pensare ad altro. Alla sua prossima mossa, ai piani tattici del Ministero, a quale base militare avrebbero fatto riferimento.
    «Possiamo fare quello che vogliamo, giusto?»
    Quello che vogliamo.
    Ancora pensava di avere una scelta, il Telly. Lo invidiava, invidiava che ancora mantenesse l’illusione del libero arbitrio, come se le loro vite non fossero state segnate nel momento in cui avevano deciso di alzare le bacchette contro la loro famiglia, amici, compagni. Erano figli di un sistema malato, un cancro che divorava le parti migliori di loro e sputava fuori soldati. Ma qualcuno doveva pur offrirsi in sacrificio, no? E se poteva risparmiare a Moka di essere marchiato come traditore, di indossare una corona di spine e sanguinare per la Patria, si sarebbe accollata quell’ingrato compito. E sarebbe sopravvissuta per redimersi, con i denti e con le unghie, a costo di usare corpi inermi come stepping stones, perché Charlyse Benshaw poteva essere tante cose, ma non era un voltagabbana. «E lasciare il divertimento agli altri? non penso proprio»
    Le grida, la calca.
    L’odore acre del panico a dilagarsi tra le folle.
    Le prime vittime mietute.
    Era in quegli ambienti ostili che Cherry prosperava, un parassita della società che trovava consolazione nel caos.
    Quella volta, fu lei ad affondare contro al muro. Una parete stabile alle spalle, qualcosa che la ancorasse al presente. Non sarebbe dovuta essere lì con il Telly, non quando ogni momento passato con lui era un momento rubato ad assicurarsi la propria sopravvivenza. Eppure, glielo doveva. Almeno quello. «Honolulu? Facciamo così, ti ci porto se sopravvivi» difficile dire se fosse seria, la Benshaw, il taglio delle labbra meschino e ingannevole come il volto a cui apparteneva. Forse lo era, forse lo stava prendendo per il culo- avrebbe fatto bene a sopravvivere per scoprirlo, no? «Se no mi tocca portare Law, vedi che fare» le minacce, quelle vere. O li stava gaslightando entrambi e avrebbe portato Mona, il cane, l'unica che se lo meritava davvero.
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    cherry benshaw
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    I looked around in a blood-soaked gown
    And I saw something they can't take away
    Se Cherry fosse stata una Kaegan, avrebbe preso Moka per i capelli e gli avrebbe sbattuto ripetutamente la fronte sui mattoni, fino a che non avesse riacquistato la lucidità. Ma Charlyse non aveva nessuna intenzione di rovinarsi la manicure, quindi si limitò ad osservarlo bieca, le braccia incrociate al petto a stringere il vestito e Mona. Sì, il suo personale emotional support in quella situazione. «cherry, ma mi stai prendendo per il culo?» oh boi, che domanda difficile Mokarota. Di solito la risposta sarebbe stata affermativa, ma al momento era un sonoro no. Piegò il capo, gli incisivi a fare capolino oltre le labbra in una curva ferale, che prometteva violenza «potrei farti la stessa domanda» perché, se proprio doveva essere onesta, quello che stava andando fuori copione era proprio il Telly. Si era già dimenticato della sua posizione all’interno del Ministero? Il fatto che fosse una risorsa preziosa per la Resistenza? Cosa sarebbe successo, nel momento in cui avesse deciso di mandare a puttane tutto mostrando il suo volto sul campo di battaglia. Dalla fottuta parte sbagliata. E continuò, Moka, a dare aria alla bocca, per il semplice motivo che Charlyse non gli avesse ancora lanciato un silencio. Ancora being the keyword. «come pensi che andrà a finire, cherry? credi che se ne staranno tutti buoni a guardare noi che diventiamo padroni del mondo senza battere ciglio?» inspirò, piano, un inutile monito a mantenere il sangue freddo e l’imparzialità che quella situazione necessitava. Eppure, eppure, Moka sapeva bene quali tasti premere affinché sbottasse, una furia cieca che aspettava solo di essere libera per poter dilaniare la carne tenera di chi si intralciasse il suo cammino. E ancora, il Telly continuava a parlare, ad andare avanti con le sue frasi fatte e una melodrammaticità che avrebbe attribuito solo a una primadonna. «non guardarmi così» come se fosse una sconosciuta, come se non si conoscessero da tredici anni. La verità era che Moka Telly aveva sempre saputo il genere di persona che era, ma aveva deciso di chiudere un occhio. O anche due. Poggiò a terra mona, per poi avvicinarsi al Telly. Un passo, due passi, fino a che non fu abbastanza vicino da farlo rinsavire con una testata, se avesse voluto «pensi che voglia un nuovo dittatore al potere? pensi che mi diverta l’idea di andare lì fuori a sterminare chiunque mi trovi davanti? babbani, maghi, amici» gli puntò un dito al petto, scandendo ogni parola con un tocco sempre più aggressivo. Andò a cercare il suo sguardo, una muta richiesta di calarsi nei suoi panni, per una volta. Credeva vi fosse un’intesa, tra loro due, non solo fatta di un desiderio carnale ma di momenti condivisi davanti a una bottiglia di vodka, di una presenza che vi era stata quando Michael era venuto a mancare. «allora non hai capito proprio un cazzo» e fu a quel punto, che dovette allontanarsi e voltargli le spalle. Perché stava diventando tutto troppo personale, vulnerabile in una maniera che non le piaceva essere percepita. Forse, Charlyse Benshaw, era stata così brava a nascondersi tutta la vita che nemmeno chi poteva dire di conoscerla da un decennio aveva imparato a leggerne il libretto d’istruzioni. Si passò una mano tra le ciocche bionde, frustrata e incapace di trovare sfogo al sentimento di violenza che le stava corrodendo lo stomaco- il mondo stava andando a puttane, erano sull’orlo di un genocidio, e l’unica cosa che poteva pensare era non sarebbe dovuta andare così. «è proprio perché persone come te non possono farlo, che devo» e non era quella, l’amara verità? Quella difficile da masticare, che rimaneva indigesta anche quando finalmente si riusciva ad inglobare. Qualcuno doveva pur dipingersi un bersaglio dietro la schiena e lasciare che i coltelli affondassero, perché aveva le spalle abbastanza larghe da sopportarlo. «nessuno ha mai detto che essere una spia fosse facile, non quando si tratta di sacrificare i propri ideali» e non era quella una lezione che il Telly avrebbe fatto bene ad imparare? C'era un prezzo da pagare, un sacrificio in sangue per chiunque decidesse di perseguire quella strada solitaria. Solo allora si voltò, le spalle a perdere la tensione che avevano portato fino a quel momento, e il sorriso a farsi più morbido, le note melanconiche a mostrare una vulnerabilità che raramente si permetteva.
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    Charlyse Benshaw odiava essere interrotta sul più bello. Odiava che qualcuno si mettesse in mezzo a lei e al vestito che aveva puntato sin da quando era passata per la prima volta davanti a quella bancarella. Tanto più se il motivo di quell’interruzione veniva da un uomo stempiato, chiaramente animato da manie di grandezza, le quali non erano state stemperate fin dalla giovante età come sarebbe dovuto essere. Uomini, sempre a rovinare tutto. Cherry si scambiò un lungo sguardo con Mona, quest’ultima impegnata a divorare gli ultimi brandelli del salsicciotto di Moka. Decise di prendere il cane in braccio, certa che di lì a poco qualcuno avrebbe provato a schiacciarla- cosa che non poteva accadere, perché poi le sarebbe toccato accoltellarli. Capite, troppo lavoro per qualcuno che voleva solo prendere il suo vestito e sottrarsi alla folla. «amici! amici. vi sono mancato?» non per essere eccessivamente critica, but he looks like every other bitch. Davvero, non avrebbe saputo distinguerlo da un qualsiasi altro uomo incontrato sul mariciapiede. Era più facile concentrarsi sul suo mediocre status da daddy, che su quello che comportava la sua apparizione. «avete concesso a delle formiche di occupare tutto il posto che ci spetta? siamo più evoluti. siamo più forti. costretti a nasconderci come – come - come scherzi della natura?» prima di tutto, scherzo della natura a tua madre. Cosa che doveva essere, per aver dato alla luce un fenomeno da baraccone del genere. Scommetteva che si era appuntato tutte le frasi da boomer che aveva trovato sulle bacheche di Casa Pound e poi le aveva manipolate a modo suo. Si guardò attorno per discernere la reazione della folla, e la Benshaw non fu sorpresa dal leggere approvazione sulla maggior parte dei loro volti. Al suo fianco, Moka stava per avere un’embolia polmonare. Non conosceva bene la famiglia del Telly, ma sapeva abbastanza dal poter dedurre quello che stava passando per la sua mente. Per quanto simili come persone, lei e Moka vivevano in mondi paralleli, e questo comportava ovvie divergenze sulle loro scuole di pensiero. Cherry era una persona analitica, che difficilmente perdeva la testa nei momenti critici, mentre Moka- beh, aveva avuto un resoconto di quanto successo in Siberia e tanto le era bastato per trarre le sue conclusioni. La Benshaw non aveva nessuna famiglia a cui pensare, non quando si trovava nella posizione privilegiata che solo una lunga discendenza purosangue garantiva, piuttosto si preoccupava di come salvaguardare la sua posizione. Come bilanciare la sua identità da spia e l’ovvia course of action tracciata per lei dal Ministero. «bella merda» si rivolse a Mona, ma anche al Telly, dato che in fondo erano entrambe bestie. Fece scivolare le iridi chiare sul suo polso, la mano di Moka a invitarla a indietreggiare, a tirarsene fuori. «oh, cherry?» bastò un gesto, quelle poche parole a tracciare una linea immaginare tra loro. Non si illudeva che gli avrebbe fatto cambiare idea, ma poteva sempre ascoltare cosa aveva da dirle il fu grifondoro. Almeno quello glielo avrebbe concesso. Charlyse Benshaw non era arrivata dov’era senza giocare d’astuzia, e mandare tutto in fiamme per dei sentimentalismi non rientrava nella sua filosofia. «dammi un momento» consegnò Mona nelle braccia del Telly, il tono di voce a non tradire nulla se non una calma zen. Eh, a forza di avere a che fare con megalomani teste di cazzo. Prese il bastone di ferro appoggiato sulla bancarella, e si alzò sulle punte dei piedi per potersi aiutare con i bastone ad agganciare l'attaccapanni. In fondo, erano tutti troppo distratti da Abbadon per prestare attenzione a lei. Persino il proprietario si era dato alla macchia. «mio» rimosse l'attaccapanni dal vestito, per poi portare il fagotto di stoffa al petto. «magari ci troviamo un posto più adatto» dopo anni che conosceva Moka e Lawrence, volete che non fosse ferrata sui vicoli dove imbucarsi per lasciarsi andare a dubbie attività? Per favore, aveva visto cose a che nessun umano avrebbe dovuto assistere. Una volta che si trovarono in un luogo dove nessuno poteva sentirli, la Benshaw fece un gesto con la mano come ad invitare Moka a parlare «lo sai cosa dovremmo fare, vero?» o no, non poteva pretendere troppo da un qualcuno che apparteneva alla specie maschile.
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    cherrybomb.mp3
    cherry bomb
    - julianna joy
    colorado
    - renée rapp
    money power glory
    - lana del rey
    charlyse
    benshaw
    sheet
    power
    aesthetic
    headphones
    QUA SCRIVERE LE ROLE

    I want money and all your power, all your glory I'm gonna take them for all that they got You should run, boy, run
    info
    desdemona: sister
    lawrence: best friend
    claudia: partner in crime
    moka: friends with benefits
    cassie + al + heather + arci: friends
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
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    nickname: cherrybomb
    gruppo: ribelle
    link in firma? avoja


    abilitooo

    Edited by ambitchous - 11/3/2023, 22:58
  13. .
    HTML
    <span class="pv-f">camille razat</span> charlyse benshaw [URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/?t=62735015&st=0#entry460677610][color=#567C13] scheda pg[/color][/URL]


    aggiorno !!
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    nome personaggio + scheda:
    HTML
    [URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/?t=62735015&st=0#entry460677610]charlyse benshaw[/URL]

    risultato del test: 95
    ruolo nella resistenza: spia


    e aggiorno anche daje
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    personaggio:
    HTML
    [URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/?t=62735015&st=0#entry460677610]charlyse benshaw[/URL]

    scuola: hogwarts + salem
    casata: serpeverde + beeakloose
    ripetente? no
    anno di nascita: 1999
    nato dopo settembre?



    aggiorno
19 replies since 2/2/2023
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