Posts written by mokaccino©

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    I think I'll pace my apartment a few times
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    breccán mccarthy | fun(3r4l)

    «non mi è mai successo ma suppongo che se mai mi piacesse qualcuno non esiterei a dirglielo» per qualche motivo breccán quella risposta se l'era aspettata.
    come ogni adolescente che si rispetti, nemmeno la sedicenne era del tutto immune al vizio di giudicare le persone dalla loro copertina. e Iris aveva quell'aspetto lì: senza peli sulla lingua, un po persa nel suo mondo, poco incline a farsi influenzare dal giudizio altrui. ma poteva benissimo sbagliarsi — l'essere umano tendeva a costruirsi facciate dietro le quali ripararsi e mantenere se stessi al sicuro. era un meccanismo di sopravvivenza come un altro, e la mccarthy non giudicava.
    «siamo.. siamo amiche» con la mano ancora appoggiata alla parete, break sollevò lo sguardo per incontrare quello della Grifondoro, osservarla da sotto le ciglia. non aveva mai fatto mistero a piacerle fossero le ragazze, ma non era comunque un'informazione che sbandierava in giro per fare conversazione. per quanto l'opinione altrui in merito fosse sempre stata volutamente ignorata, non significava che i giudizi di alcune persone in merito alla faccenda avessero mancato di toccarla un po troppo nel profondo. batté comunque le palpebre, affrettandosi a proseguire, sobbalzando quando Iris parve leggerle nella mente «cosa ti spaventa?» eh. EH.
    si strinse nelle spalle, battendo un altro colpo sul muro «ho paura che non mi veda più come adesso. non voglio le cose siano strane, tra noi» perché sapeva che potevano diventarlo, e parecchio «e devo concentrarmi sullo studio, sai.. il quidditch. »
    questa volta nel ruotare il capo in direzione di Iris le regalò un sorrisetto divertito: argomento interessante, quello. se si fosse ritrovata in camera con Theo Kaine probabilmente la conversazione sarebbe finita in modo diverso, e la testata se la sarebbe presa lui per primo. si fece da parte, così da permettere alla Grifondoro di urlare il suo messaggio di amore al mondo (e sfondarle i timpani, cosa alla quale breccán si era già rapidamente abituata), rimanendo in attesa di una risposta. forse qualcuno le aveva sentite (ciao Hans ciao Avery!!), ma la pazienza non era proprio il punto forte dell'irlandese: scalpitando, con un ultimo pugno tirato alla parete, girò su se stessa trascinandosi dietro anche Iris, il rimbombo degli stivali sul parquet come la cavalcata delle Valchirie «ma possibile signore santo che ci siamo solo noi qui dentro?» e nel giungere di fronte alla finestra ancora chiusa break registrò due cose.
    qualcuno aveva scritto (al contrario, canon) una frase sul vetro, spezzata in tre righe, qualche stanza oltre la loro — con il palazzo che curvava leggermente nella sua forma a semicerchio, la Serpeverde riuscì a leggere solo poche parole, affacciandosi alla propria «emoc.. omaicsu??? ma che vuol dire» lanciò a Iris un'occhiata perplessa, ritirando dentro la testa «dici che è latino?»
    nessuno:
    proprio nessuno:
    tiktok:
    parlo latino e dico sic cum cum cum
    l'accusativo fa così -um -um -um
    audio audis audivi audi- tum tum tum
    tu quoque brute fili mi tu tu tu.

    il secondo dettaglio, non del tutto trascurabile, fu il foglio piegato in quattro che attirò l'attenzione della McCarthy quando fece posto ad Iris per guardare fuori dalla finestra, incastrato nel telaio della stessa. lo prese e lo dispiegò, osservando il volto della sconosciuta con la testa piegata verso la spalla «e adesso questa chi è?» bella donna eh, senza dubbio, ma era certa di non averla mai vista «scomparsa il giorno quattordici—» e li si interruppe, confusa. scomparsa il quattordici febbraio 2024? si, e suo nonno era un carretto.

    con te però c’è un non so che di magico
    C’è un non so che, c’è un non so che bellissimo
    Dimmi quando arrivi così ti tengo il posto
    Prendo già da bere, i tuoi gusti li conosco


    vede parte della scritta sulla finestra di mira e Diaz, ma non riesce a leggerla 🙏 trova il volantino e rimane confusa dalla vita
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    #021: break si affaccia alla finestra per leggere la scritta di mira, magari qualcuno la vede 👋
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    moka telly | vodkatonic!

    «quindi sbatti spesso la gente contro la parete?» aveva dovuto prendere una piccola pausa di riflessione, moka.
    guardando il proprio riflesso nello specchio, iridi chiare incapaci di distogliere in tempo l'attenzione dalla cicatrice che gli solcava la pelle del fianco destro; irregolare, contorta nel modo unico in cui si accartocciava su se stessa. alle volte, quando era da solo e non riusciva a chiudere gli occhi per dormire, avvertiva ancora la presenza della roccia a perforare uno strato dopo l'altro. farsi strada tra i muscoli, attraverso la carne. sotto le palpebre, insieme a milioni di puntini colorati, poteva vedere Cherry e le mani della ragazza che grondavano sangue.
    si chiese — un pensiero fugace, rapido a sparire quanto l'ennesimo battito di ciglia: era quello il genere di informazioni personali che la gente condivideva on a daily basis (no, moka. bubi.)? piccoli ricordi traumatici della guerra, incubi ricorrenti nei quali dava ragione alla pazza di turno, sguardi impassibili su lenzuola macchiate di sangue, seicentodiciassettemila morti.
    «no» sapeva anche essere sincero, se la verità gli permetteva di rimanere a galleggiare in superficie «preferisco quando mi ci sbattono» chiuse l'acqua, voltandosi verso Hamish per appoggiarsi al lavandino con il fondoschiena «ma mi adatto bene alle situazioni. e a chi ho di fronte» quando reclinò la testa verso la spalla, portando le mani dietro la schiena per tenersi al bordo di ceramica, le iridi verdi cercarono di proposito quelle del ragazzo, un sopracciglio appena arcuato verso l'alto.
    non si conoscevano, moka e Hamish, eppure gli sembrava di aver già capito il tipo; un'immagine così stravolta di se stesso, ai lati opposti di uno spettro tutto special(e), che forse in un'altra vita avrebbe anche potuto funzionare. fuori di li e con la possibilità di prendere in mano una pistola, era probabile il contrario.
    ma si illuminò comunque, il volto pallido del ventiquattrenne, nel ricordare quanto il compagno aveva confessato poco prima — funzionava così, il telly. sembrava sempre che non stesse ascoltando un cazzo (e a volte succedeva davvero), ma intanto immagazzinava ogni informazione. non si poteva mai sapere quando un dettaglio in apparenza insignificante sarebbe potuto tornare utile. per esempio: «e così fabbrichi armi, eh» il tono di voce volutamente calmo e controllato non poteva contenere del tutto il il ritrovato entusiasmo che traspariva dal linguaggio del corpo — he's totally normal about that.
    gli si era persino avvicinato di un passo, dimenticando momentaneamente cosa volesse dire spazio personale. cosa facesse inginocchiato nei confessionali durante la messa era certamente un argomento di conversazione interessante - un'esperienza in comune, se vogliamo -, ma quello era tutto un altro paio di maniche «ti dirò, mi piacciono le pistole. non ho abbastanza pazienza per le armi bianche» e no, non aveva alcuna intenzione di elaborare. il Jones poteva interpretare quell'informazione come meglio credeva, compreso convincersi moka stesse parlando di qualche videogioco stile sparatutto. a parte i morti reali, quelli a cui aveva ficcato una pallottola in fronte (ciao Alexei un bacio ❤), era proprio la stessa cosa.
    uguale.
    «riguardo quello che mi hai chiesto prima—» moka telly, l'esperto del gioco di San Valentino. come fottutamente no «la mia anima gemella voleva tirarmi un pugno, e l'ho accontentata.» per il resto: rimozione dei traumi «ma il gruppo dei vecchi ha dato spettacolo» gli venne da ridere, nel ricordare quel magnifico numero di polgy girl, rent free nella sua memoria. ogni tanto, mentre osservava (con assoluta serietà e concentrazione e nessuno uno di pensiero sconcio nemmeno mezzo) la schiena di un javi intento a montargli l'ennesima scrivania, le parole dell'articolo tornavano a stuzzicargli la memoria.
    ovviamente non aveva mai chiesto — strano a dirsi ma preferiva non farsi ammazzare.
    «forse dovremmo prendere spunto da loro» ancora un passo e gli fu sotto, mantenendo però abbastanza spazio tra di loro da evitare di toccarsi; che lo facesse più per se stesso che per Hamish aveva poca importanza «se hai un pennarello..» portò la mano libera sul torace, i polpastrelli a premere sui tatuaggi (brutti) a marchiare le costole «unire i puntini secondo me vale come bonus»
    puntini, nei, linee colorate a bruciare la pelle, cicatrici: libera scelta.
    e se per caso fosse passato il messaggio che avesse ignorato volutamente la battuta sul suo nome, era proprio così.

    CITAZIONE
    ❖ Questo è stato davvero unexpected. sembra proprio che il professor Nathaniel sia appassionato di enigmistica — sapete no? parole crociate, rebus.. unire i puntini per formare una figura. soprattutto in quest'ultimo gioco pare sia diventato un esperto! il suo invito a nientepopòdimeno che Yale Hilton di fare lo stesso sul suo corpo (a suon di baci? furbone) non è passata inosservata, peccato poi non siano risultati anime gemelle. sappiamo comunque che girano dei video, non vediamo l'ora che diventino pubblici! (cit. euge)

    sto ridendo di nuovo, cristosanto.


    Anche se cadiamo vado ovunque vai
    Andiamo lontano in un posto che non abbiamo visto mai
    In mezzo al temporale abbiamo unito i nostri lividi
    come due oceani indivisibili


    palla ha detto che moka deve fare il bravo ragazzo 🙏 io eseguo.
    e no, ancora non comunica con l'esterno THEY'RE MINDING THEIR OWN BUSINESS
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    moka telly | vodkatonic!

    «okay, now that was hot»
    e lì, con l'avambraccio a premere contro la trachea dell'altro e il suo corpo caldo inchiodato sotto il proprio peso, moka visse un momento di dissociazione dal mondo esterno. guardandosi dentro, mentre il tempo pareva fermarsi concedendo al ventiquattrenne di mettere insieme i pensieri e fare un piano, non poté fare a meno di rivedere se stesso.
    sbattuto contro il muro umido di un laboratorio nel bel mezzo della tundra siberiana.
    una mano a stringergli la gola e la canna della Glock puntata contro la testa.
    ricordava di aver pensato le stesse parole, condannandosi ad una vita di stenti «non so se mi piace» il cambio di prospettiva, trovarsi al posto del daddy di turno; aveva provato la stessa frustrazione, il signor ptolemy (bello, come avessero lo stesso nome. divertente), quando in cambio della sua minaccia aveva ricevuto indietro frammenti flashati di un porno mentale nascosto dietro pupille improvvisamente dilatate? magari avrebbe potuto chiederglielo.
    così, per puro interesse scientifico.
    «sei. così. Carino» sapete cosa? vero, reale. moka telly is nothing but an angel ed era anche ora che qualcuno avesse il coraggio di dirlo ad alta voce (un vampiro); tant'è che un accenno di sorriso decise fosse il caso di regalarglielo ad Hamish, accogliendo quel suo movimento appena accennato della testa per imprimere con maggiore forza sulla gola. una fortuna che non fosse vestito da caffettiera come nei sogni di freme — passare da kinky a killing era un attimo.
    e no, giulia, non era nemmeno nudo con solo un asciugamano avvolto intorno alla vita.
    perché era nudo con solo una bandiera americana avvolta attorno alla vita e alle spalle come una tunica romana; oltre all'immancabile cappellino da baseball indossato rigorosamente con la visiera rivolta al contrario. make (oblivion) america great again, recitava una scritta ormai leggendaria.
    classic fratm, uomo bianco etero (soprattutto), eccetera eccetera.
    nel dubbio, ammesso qualcuno se lo stesse chiedendo — hamish — indossava anche i boxer.
    «giusto mia madre mi chiama tesoro» il tono, leggermente meno divertito, suggeriva di non rifarlo, ma non era il tipo che si imponeva per qualcosa, moka; i paletti, di solito, servivano a lui. obbediva, perché si era scoperto bravo a farlo, prima ancora di capire quanto ne avesse bisogno. alleggerí la pressione del proprio corpo, riguadagnando posto accanto allo special «l'anno scorso, ma non qui. e non ammanettato a qualcuno» a pensarci, sembrava successo la settimana prima; e dieci fottuti anni insieme. tempi più semplici, per il telly: doveva solo fingere che la morte di Michael fosse stata inevitabile, già scritta nelle stelle. proprio come la sua.
    non aveva occhi scuri e profondi ai quali pensare costantemente, domande su se stesso da farsi, amici ai quali rivolgere la schiena per permettere loro di conficcargli un coltello tra le scapole.
    quel moka, che aveva conquistato il cuore di Joey e trovato in Maddy la sua anima gemella, lo stesso che "e poi non vedeva chi aveva intorno, praticamente erano tutti uguali e papabili per un limone", forse con un Hamish a fargli gli occhi dolci in vestaglia (da ricca desperate housewife) avrebbe colto la palla al balzo. fuck it we ball, recita un antico proverbio. ma il treno che lo aveva preso in faccia, piu di una volta, aveva cambiato anche le regole del suo solito gioco.
    l'unico a cui sapeva giocare, tra l'altro.
    «gente strana convinta di poter accoppiare sconosciuti su basi inesistenti» raccolse il biglietto dal pavimento e dovette resistere alla tentazione di sputarci sopra. in effetti, sentiva la bocca asciutta come se non bevesse da giorni: rob core «ho sete» e già mentre lo diceva stava scendendo dal letto, con Hamish appresso, un brivido involontario nel poggiare i piedi nudi sul pavimento «dovremmo provare a prenderci a pugni. l'altra volta ha funzionato» first base.


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    ad essere del tutto onesti, niente di quello che stava succedendo era nella bingo card di moka.
    a partire dall'età del suo interlocutore, per finire con quel vuoto di memoria che era come una nebbia attraverso la quale non riusciva a farsi strada. raro, per lo special, perdere la cognizione dello spazio e del tempo in quel modo: persino quando beveva — e gli capitava di bere parecchio. rimaneva sempre una lucidità di fondo, a volte necessaria e altre decisamente scomoda.
    forse, se avesse intimato ad Hamish di chiudere la bocca concedendo ai suoi neuroni di riorganizzarsi, sarebbe riuscito a trarre qualche conclusione sensata; ma anche priva di senso andava bene, per cominciare. strano a dirsi, non fu costretto a farlo «ah, così proprio» al primo movimento improvviso del coetaneo moka aveva istintivamente irrigidito i muscoli, stretto le dita della mano libera in un pugno chiuso — certe abitudini erano dure a morire. solo perché non aveva con sé la Glock non significava che in caso di necessità si sarebbe tirato indietro dal difendersi a mani nude. o attaccare per primo, spinto da un desiderio di fare (e farsi) del male al quale proprio sembrava non poter rinunciare. prima o poi Cherry avrebbe smesso di rattopparlo e rimettere a nuovo quel naso perfetto che continuava imperterrito a farsi rompere, ma fino ad allora stava in una botte di ferro.
    solo nel ritrovarsi il Jones a cavalcioni, le ginocchia ancora debitamente separate dalle proprie gambe e mani ancora indecise se toccare o meno, moka rilassò la tensione delle dita; non del tutto, però. non sapere come fossero arrivati a quel punto, tra le lenzuola pulite di una stanza d'albergo decisamente fuori dalla sua portata (e, a giudicare dall'aspetto complessivo di Hamish, anche da quella del ragazzo) non aiutava ad abbassare la guardia. cosa che già il telly faceva raramente, deformazione professionale «ti succede spesso?» non tanto le manette, adattabili a molte situazioni diverse — e non tutte piacevoli.
    sinceramente curioso, moka.
    era pov sempre interessante, quello; probabilmente perché capitava di rado: preferiva scegliere, piuttosto che venire scelto. dava una maggiore libertà di manovra, oltre alla possibilità di ritirarsi per primo una volta ottenuto quello che voleva «ti dirò, di solito è il contrario» un pensiero detto ad alta voce che concludeva l'ennesimo ragionamento mentale, ma il ventiquattrenne non sentì comunque la necessità di elaborare. già che gli era stata offerta una possibilità sul famoso piatto d'argento, non aveva alcun motivo per privarsene «allora lo prendo come. un invito» posò entrambe le mani sulla schiena del ragazzo, spingendoselo un po' più vicino.
    con movimenti esperti che tradivano il non essere nuovo a certi rituali, premette le dita sui fianchi dell'altro, risalendo centimetro dopo centimetro fino a raggiungere le costole; parve quasi contarle, un polpastrello alla volta, per poi passare oltre. o, meglio, tornando indietro: entrambi i palmi a posarsi sulle cosce del maggiore, la testa leggermente reclinata da una parte — non aveva mai distolto lo sguardo da quello di hamish, moka, mentre cercava sul suo corpo la presenza di un'arma, senza trovarla. in fondo, la differenza tra palpeggiamento e perquisizione stava solo nella diretta conseguenza (warflashback della Siberia come se piovesse).
    il primo prevedeva pelle contro pelle, respiri a mescolarsi tra loro, imprecazioni trattenute a stento tra un sospiro e l'altro.
    la seconda richiedeva una presa di posizione più decisa, e una chiara distinzione dei ruoli.
    al Jones moka telly sorrise, perché in fondo era un bravo ragazzo, tutto fossette e denti dritti che quand'era bambino ci avevano messo una vita a crescere; già nel momento in cui afferrò hamish per il collo della maglia, stringendo la stoffa tra le dita, sorriso e fossette nelle guance erano spariti. lo spinse all'indietro, con forza, puntando all'effetto sorpresa più che alla pur evidente differenza di stazza; ribaltata la situazione, e approfittando della passività dell'altro, lo tenne schiacciato sul materasso con il peso del proprio corpo, l'avambraccio a premere contro la gola. non abbastanza da togliere il respiro (unless???), ma sufficiente a fargli capire che avrebbe potuto farlo «hai la chiave, o non ce l'hai? potendo, vorrei evitare di spezzarti le dita» ne bastava uno solo, ma perché limitarsi.
    fu in quel momento, sovrastando lo special, che moka si rese conto di due cose: la prima era il livido che gli colorava di viola l'interno del gomito, nascondendo il minuscolo forellino nella pelle, ormai richiuso — ne aveva uno molto simile anche il Jones, a pigmentare il braccio opposto; la seconda, e forse peggiore per tutta una serie di motivi, era il fottutissimo biglietto abbandonato sul pavimento. «ma ancora» buon San Valentino, ma anche un po sto cazzo e sto cazzone.

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    [sospiro]
    «non ho memoria di questo posto.»
    [sospiro]
    «Se avessi un penny per ogni volta che mi sono svegliato legato a qualcuno senza ricordarmi come sia successo, avrei due-... uh... no, tre... quattro... quella volta in prigione conta di sicuro... valgono solo le manette o...?»
    [bestemmia]
    neanche il cazzo di tempo per aprire gli occhi, gli aveva dato.
    tralasciando il fatto che non ricordava assolutamente di essersi addormentato — stava chattando con Lawrence su Grinder fingendosi un daddy, ma il resto era tutto molto nebuloso — avrebbe affrontato la novità con maggiore compostezza se solo hamish gli avesse fatto il sacrosanto favore di tacere. cioè ma dico, di prima mattina? (ammesso fosse mattina)
    senza nemmeno aver preso ancora il caffè?
    comportamenti vergognosi e inaccettabili.
    decise che non era ancora arrivato il momento di aprire gli occhi, moka. dopotutto, poteva trattarsi di un incubo incredibilmente vivido, e stringere forte forte le palpebre lo avrebbe fatto dissolvere senza lasciare tracce. «-cazzo, ho rovinato il meme. Merda, vabbè. Non sarei ricco, ma potrei permettermi un happy meal con la sorpresina di spiderman, looks into the camera... forse. Quanto è un penny per voi?» o magari no, insomma. istintivamente, l'elettrocineta fece scivolare la mano libera lungo il fianco, spostando leggermente il bacino per raggiungere con le dita l'elastico dei pantaloni: niente pistola «madonna.» ecco quello che stava dicendo.
    e lo fece presente al suo interlocutore, del quale, una volta accettato di dover aprire gli occhi per valutare la situazione, moka non riconobbe il volto; niente di sconvolgente: a parte i membri della resistenza, la found family siberiana e quei tre cagacazzi dei suoi amici, il telly tendeva a rimuovere rapidamente dalla propria memoria chiunque gli si presentasse davanti. senza un motivo specifico, solo non gliene fregava abbastanza da immagazzinare informazioni inutili su persone con le quali non aveva alcuna intenzione di stabilire un rapporto. Hamish non rientrava nemmeno nella lista di personaggi che il ventiquattrenne si era ritrovato a seguire passo passo quando era ancora un ribelle — prima di morire, friendly reminder.
    rimaneva una terza opzione, che solo la teoria del multiverso poteva spiegare «mi hai rimorchiato tu o ti ho rimorchiato io?» la domanda era lecita, considerato il posto in cui si erano risvegliati e la presenza delle manette: non staremo qui a fingere non fosse mai successo prima. due o tre cose, però, non tornavano, ed era su quelle che si concentrò mentre tentava di mettersi seduto con la schiena contro il cuscino sollevato. tanto per cominciare il Jones doveva avere più o meno la sua età — non proprio nel range d'azione dello special; parlava fottutamente troppo; il terzo fattore moka non era ancora pronto ad affrontarlo. after (sette mesi. cristoddio) all this time? il tempo per negare a se stessi di trovarsi in una relazione, evidentemente, non era mai troppo.
    «comunque è meglio il burger king» spostò le iridi verde acqua da Hamish ai mobili che occupavano le pareti della stanza, terminando il rapido giro di controllo sulle manette strette attorno al polso destro «immagino tu non abbia la chiave per queste.» mah, al massimo gli rompeva l'osso del pollice (google, an intellectual: metacarpo) e via.

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    credo che stasera tornerò a casa molto provata, ma voglio dire una 🙏
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    era sempre stato bravo a mentire, moka.
    un ragazzino che aveva fatto di necessità virtù, e un giovane uomo capace di plasmare un'abilità naturale trasformandola in una skill di tutti rispetto. dopotutto, non bastava dire una balla per renderla credibile — questo il telly lo aveva imparato a sue spese nei primi, acerbi tentativi: aveva la faccia giusta, ma sbagliava il metodo.
    intanto, prima regola del Fight Club, era necessario rimanere sul semplice. pochi dettagli, ma facili da ricordare, per evitare di cadere in un classico errore da principiante: cambiare versione. una storia troppo complicata portava inevitabilmente a farsi sfuggire qualcosa, e moka ancora ricordava lo sguardo penetrante della madre quando, come un falco in attesa di piombare sulla preda, individuava il più piccolo cambiamento e lo trasformava nel punto debole in cui colpire.
    involontariamente, lo aveva spinto a migliorarsi, diventare quasi infallibile.
    quasi.
    c'erano ancora occhi dai quali faticava a nascondersi, sguardi capaci di farlo sentire nudo e indifeso in un modo che era insieme tortura e sollievo.
    mantenere la propria versione, dicevamo — no matter what. per questo, alla trentesima volta in cui Nathan gli chiedeva se l'hockey fosse uno sport pericoloso, moka aveva inspirato profondamente, poggiando entrambe le mani sulle spalle del ragazzo; non un'ombra di sorriso a sfiorare le labbra, come recitava la seconda regola: raccontare balle richiedeva una serietà imprescindibile. quanto intensa, dipendeva dal livello della bugia.
    no, il trentesimo, la stretta delle dita sul corpo dell'altro a farsi più salda. un sostegno, l'equivalente tacito del ci sono io con te, bro — una menzogna nella menzogna. nemmeno lo conosceva, Nathan Shine-Clythorne (ragazzo semplice con un cognome impegnativo che metteva moka a dura prova ogni volta); e se non fosse stato per cherry, che glie l'aveva presentato in modo molto (sospetto) vago con la scusa del 'bah, c'è questo tizio, vorrebbe imparare a giocare a hockey', il telly si sarebbe tenuto alla larga. niente di personale: iniziavano a gravitargli attorno troppe persone, e non aveva mai imparato a gestirne più di due alla volta.
    stava ancora pensando a quel no, così serio e carico di sentimento da convincere i muscoli dell'assistente a rilassarsi, quando una spallata lo mandò dritto contro la parete di plexiglass — un ritorno alla realtà brutale, ma necessario. da quanto era iniziata quella partita di merda, quindici minuti? e moka a sbattere ci era già andato almeno cinque volte; veniva quasi il sospetto che gli avversari si fossero accaniti su di lui «faresti meglio a rimanere a terra, telly» non lo so, sensazioni. ma magari si sbagliava, eh. facendo leva sul bastone, la schiena appoggiata contro la parete, lo special non ebbe tempo di rispondere a tono — non che ne avesse l'intenzione.
    lo avevano addestrato a farsi scivolare addosso le provocazioni; ingoiare il rospo e andare avanti. non esistevano soluzioni alternative, strade differenti, quando ogni passo falso rischiava di mandare a puttane la vita di molti. ma moka era morto.
    tornato in vita.
    abaddon gli aveva strappato una parte di sé che il ragazzo non si era mai preoccupato di avere.
    e tutta la rabbia, il rancore, la frustrazione compresse per anni, una goccia velenosa alla volta, avevano semplicemente trovato una via di fuga; uno sfogo, più distruttivo che liberatorio.
    le mani con cui strinse il bastone nel rimettersi in movimento erano ferme; si sentiva tranquillo, moka, in pace con il mondo. continuò ad esserlo una volta raggiunto l'avversario, spalla contro spalla. gli sorrise, persino, fossette nelle guance e tutta la sincera gratitudine di questo mondo: dopotutto, era chiaro che stesse solo attendendo una scusa. la scarica di elettricità fu rapida, ma non indolore — la sentì sfrigolare sulla propria pelle, ribollire nelle vene, prima di insinuarsi nel corpo dell'altro, la testa a scattare all'indietro come una molla. lo guardò tremare e dibattersi, il battito del proprio cuore scandito dai colpi del casco sulla superficie ghiacciata; affascinato, perché no, dal bianco degli occhi rovesciati all'indietro, un filo di saliva tra le labbra aperte.
    sembrava un pesce lasciato ad annaspare sulla riva.
    avrebbe dovuto sentirsi in colpa.
    «forse è meglio se ci rimani tu, a terra»
    non lo fece.
    avrebbe dovuto, quanto meno, sentire il fischietto dell'arbitro, le urla dei compagni; il ghiaccio vibrare leggermente sotto la lama dei pattini, mentre gli si stringevano tutti addosso.
    non lo fece.
    aveva occhi solo per il ragazzo a terra, nelle orecchie esclusivamente il suono del proprio cuore che tentava di spaccare le costole e guadagnare la libertà — tenuto in gabbia, come si sentiva moka. costretto, premuto, tirato e schiacciato da tutti i lati, un vorace buco nero alla bocca dello stomaco capace di divorare tutto: esigeva sempre di più. più rabbia, più violenza, più javi, più rischi; più qualunque cosa fosse in grado di tenerlo occupato, perché era soffermarsi a pensare, il vero problema. cosa che stava facendo proprio in quel momento, quindi bless la paletta del bastone in fibra di vetro che lo colpì in piena faccia, quell'inequivocabile rumore di rametto spezzato che moka sentì solo nella testa, ma che era un segnale più che sufficiente del destino toccato al suo setto nasale.
    più dolore, evidentemente.


    «ditemi che almeno avete ripreso la scena» non sembrava divertito, il tono del telly, la voce bassa e ovattata dal sangue che gli riempiva le narici; avrebbero potuto facilmente cogliere l'ironia, cherry e law, nel ritrovarselo davanti ancora imbrattato, la divisa blu macchiata come un dipinto di Pollack, abbandonato a gambe larghe sulla panca degli spogliatoi. non l'infermeria, attenzione: nessuno, arbitro compreso, aveva ritenuto che a moka servisse l'intervento di un medico.
    l'espulsione diretta dal campo, quella si. non aveva nemmeno fatto un tentativo di protesta, l'elettrocineta, troppo impegnato a dipingere il ghiaccio immacolato della pista con le sue piastrine — avrebbe meritato di peggio.
    il movimento di cherry, quel singolo sopracciglio biondo a sollevarsi verso l'alto nel muto riconoscimento (l'ennesimo) della sua stupidità, lo spinse a sollevare il mento: istintivo, perché quello era il loro solito copione — moka faceva una cazzata, cherry lo giudicava in silenzio, lui insisteva per avere ragione; a quel punto poteva arrivargli un ceffone, o un bacio. qualcosa suggeriva che i tempi della seconda opzione fossero finiti «meno male che vi avevo detto di non venire» pensare che gli sembrava di esser stato particolarmente chiaro. il bello di avere come migliori amici due teste di cazzo «con voi vale la psicologia inversa, dimenticavo» mantenne le iridi verde acqua sulla ragazza, finché Lawrence non lasciò cadere sulla panca la scatola di cartone che aveva tenuto tra le mani fino a quel momento.
    era senza coperchio.
    non dovette nemmeno sporgersi per guardare dentro, e il ghigno che non riuscì a trattenere gli spillò altro sangue ad imbrattare le labbra; se lo pulí distrattamente con la manica della divisa, chiudendo gli occhi — strano a dirsi, ma i cerchi violacei attorno alle palpebre erano dovuti solo al colpo ricevuto. moka non l'avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, perché c'era un chiaro limite nella sua testa che ancora non sapeva come superare, ma la mancanza di sonno negli ultimi tempi era scivolata tra gli ultimi posti di una lunga lista di problemi. non aveva ancora raggiunto livelli umani, ma quasi — e che il calore del corpo di qualcun altro a premere sulla pelle lo aiutasse a rallentare i battiti quando un incubo minacciava di strappargli il cuore dal petto, non c'entrava ASSOLUTAMENTE NULLA OK?
    riaprì gli occhi.
    nella scatola c'era una fottuta torta.
    go to therapy, recitava la scritta sulla glassa.
    di sicuro erano divertenti.
    «non lo so, ragazzi. forse preferivo una sega.» tra amici..

    moka telly jr.
    clench my teeth i need
    to end this conversation
    strick a match cause now
    it's time to hit reset
    25 oct. bday boy
    elettrokinesis
    rebel, mechanic
  9. .
    Elisa ma la smetti sto soffocando le risate nella sacra ora del Signore 7 AM
  10. .
    moka telly jr.
    I shoulda died at least a million times
    How am I still alive?
    Every night I'm fighting gravity
    And other things that could be
    When we kiss it tastes like razor blades
    When we touch, it's the same
    era così prevedibile, moka.
    Così fottutamente immerso in quella routine che da sola lo teneva con la testa un pelo fuori dall'acqua, da coprire una ferita ancora da infliggere; allontanandosi, offrendo al maggiore una via di fuga, la consegnava inconsciamente a se stesso.
    «va bene.» e il sollievo provato, cazzo, fu così genuino da costringerlo ad affondare i denti nella guancia per non lasciarlo scappare: era una cosa tra lui e dio — a javi aveva già evidentemente detto troppo. Un altro buon motivo per lasciare che una parte di sé, quella più familiare e gestibile, dilaniasse l'altra impedendole di prendere il sopravvento; che a sperare in qualcosa di diverso, di essere diverso, non ci guadagnava nulla.
    Immobile, il telly si limitò ad annuire.
    la stanchezza a comprimere il costato e i capelli di javi a solleticare la gola.
    'dovresti cancellare il mio numero'.
    Il respiro a farsi un po' più corto e il sapore sbagliato sotto la lingua.

    «ok» poteva davvero essere il loro per sempre «non—» ha importanza, probabilmente. Anche se ne aveva, molta; troppa: non gli sarebbe dovuto importare, se il mendoza decideva di chiudere lì la questione e imbroccare una porta che era stato lui stesso ad indicargli. Aveva passato una quantità oscena (per i suoi standard) di tempo a chiedersi dove stesse sbagliando, quale fosse il bug che gli impediva di ragionare, usare la fottuta logica ogni volta che il pensiero delle sue mani e dei suoi sguardi tornava con prepotenza ad invadergli la mente.
    Si era lasciato prendere, e spingere, in così tante occasioni da avere il mal di mare come un naufrago alla deriva.
    Eppure nel momento esatto in cui sentì il calore del suo palmo attraverso la maglietta, quando ogni cellula del corpo era già pronta ad accogliere l'accomodante sensazione di avere ancora uno spazio personale e inviolabile, gli parve di non essersi lasciato prendere abbastanza; o spingere, se poteva fare una qualche differenza.
    «chiaro?» lo sarebbe stato se avesse smesso di respirargli addosso.
    Se la solidità del corpo di javi non si fosse scontrata con la sua, diventando quasi un tutt'uno.
    Non sarebbe dovuto essere così strano — si erano già trovati : sapendo esattamente dove toccare, dove premere. Quasi sempre per fare male, però; per farsi male. Mai che si fossero trovati a metà strada, senza il bisogno impellente di mettere l'altro spalle al muro - metaforico, ma non solo - per salvaguardare se stessi.
    Accolse le carezze del maggiore con una scintilla di diffidenza, l'impercettibile guizzare dei muscoli sotto la pelle. Soprattutto, lo fece in silenzio. Non per mancanza di cose da dire, semmai dell'ossigeno necessario a trasformarle in qualcosa di reale, comprensibile, che non fosse solo un gemito a riempire la gola; se lo sarebbe fatto bastare, moka, in qualunque altra circostanza. Evidentemente non in quella «no» non vado da nessuna parte, aveva detto, lasciando cadere quella frase tra di loro come se fosse la cosa più scontata del mondo: non lo, fottutamente, era.
    Nello spiraglio rimasto tra i loro volti, dove l'unico rumore che il telly riusciva a sentire era il martellare del proprio muscolo cardiaco tra le costole, le parole di javi avevano un peso nuovo, una consistenza tremendamente reale. non aveva mai dato a nessuno la possibilità di rimanere, moka. persino Cherry se l'era dovuta prendere con la forza. più facile, certo, distare a guardare mentre gli altri se ne andavano: giocare d'anticipo era sempre sembrata una strategia vincente — finché il signor Ptolemy non aveva pensato bene di metterlo spalle al muro, e moka aveva iniziato a perdere.
    il sonno, la calma, un battito dopo l'altro.
    «niente è chiaro in questo momento» sollevò piano le palpebre, incastrando le iridi acqua marina in quelle scure dell'altro «ma puoi sempre spiegarmelo» che era un po un teach me, ma in font diverso. e con un tono, diverso: si capivano meglio a sussurri; a tocchi che sembravano lievi e poi non lo erano per niente. come graffiargli il polpastrello con i denti, affondando un po più del necessario. non è che non se le cercasse, javi. strinse il polso con le dita, e invece che offrire al maggiore un'anteprima di quello che certo avrebbe voluto fargli, allontanò la mano dalla propria bocca — la tentazione di chiedere se avesse un'alternativa per tenerla occupata era forte, ma si trattenne.
    bravo ragazzo cristiano, moka telly.
    o forse era semplicemente stanco (punto) di giocare: una delle due somigliava alla verità un po più dell'altra
    «ammesso che tu riesca a fare due cose contemporaneamente» con quella voce, mannaggialaputtana avrebbe potuto dirgli quello che voleva e parlare finché gli fosse avanzato ossigeno nei polmoni: consumarlo, d'altronde, era compito del ventitreenne. ma se proprio doveva scegliere, preferiva ascoltarlo dopo.
    la presa sul polso del maggiore si fece più salda, il palmo aperto trattenuto contro il proprio petto; per condividere un battito accelerato, e il respiro a farsi così denso da rimanere incastrato in gola.
    spinse fino a trovare le costole.
    i muscoli addominali ancora più sotto.
    avrebbe potuto allentare la stretta e lasciare che javi trovasse la strada da solo. invece lo accompagnò oltre, superando l'orlo della maglietta, e l'elastico dei pantaloni — già di troppo: colpa della solita impazienza giovanile, sicuramente. aveva pensato così tante volte a quel momento, moka, assaporando ricordi e sensazioni sulla punta della lingua, che ad un'eventuale richiesta di calmarsi la reazione sarebbe stata l'esatto contrario.
    dovette tendere il collo, moka, per eliminare i centimetri che javi si prendeva in altezza, labbra dischiuse a cercare la sua bocca con un'urgenza quasi famelica che non si era reso conto di provare finché non l'aveva avuto davanti. lui e quella stupida maglietta, gli occhi da cucciolo di labrador, il sapore della birra che si mescolava a quello della tequila ogni volta che la lingua del maggiore si intrecciava con la sua.
    hhh fucking javi.
    letterale, a quel punto.
    e come disse una volta un poeta:
    'posso odiarti e farmelo comunque venire duro' — cit.


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    1999
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  11. .
    nickname: l a t i b u l e '
    gruppo: hufflepuff
    link in firma? credo.
  12. .
    nome pg: benjamin ficus millepied
    scheda:
    CODICE
    https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/m/?t=62866218

    ruolo: portiere (titolare????)
    altro: ha fatto i provini a settembre di quest'anno (2023); anche se non gli piace molto volare sulla scopa, ha deciso di entrare in squadra perché non gli piaceva vedere la sua anima gemella tutta sola a capitanare la squadra 🥺🥺🥺
  13. .
    moka telly jr.
    danette-pewpew
    We're losing all the reasons for our hate. Have we gone too far to find escape? Lay your weapons down We can't fight anymore

    «stessa cosa. è proprio vero: le grandi menti pensano uguali» nonostante le spalle contratte, i muscoli tesi nell'attesa di uno scatto che poteva diventare inevitabile da un momento all'altro, moka si concesse il lusso di assorbire quell'unica frase come fosse una battuta di spirito, sottotesto ironico compreso.
    sembrava il tipo di insulto sarcastico che Cherry avrebbe rivolto a lui e Lawrence, vedendoli uno accanto all'altro, e inevitabilmente gli venne da sorridere: una piega leggera, l'accenno di canini a imprimersi nella carne «in questo caso non siamo messi così bene» era in vena di autocritica, il telly — sapeva di essere sveglio e intelligente, abbastanza da rimanere vivo nonostante le discutibili scelte di vita, ma molti di quei neuroni avevano evidentemente scelto di suicidarsi. come lemmings giù da una scogliera.
    un meccanismo di difesa, l'estremo tentativo di proteggere se stesso da qualunque cazzo di orrore stesse accadendo nel mondo.
    la conseguenza, inevitabile, erano certe idee insensate che moka non si frenava più dal mettere in pratica: recarsi a Kyoto per toccare con mano il male che lui stesso aveva contribuito a fare era solo uno dei tanti, recenti, esempi.
    si prese il suo tempo per osservare meglio la ragazza, mantenendo una distanza di sicurezza che era insieme frutto dell'esperienza sul campo e favore nei confronti di cloud — conosceva i suoi limiti, moka, e alcuni erano diventati maledettamente difficili da non superare «affascinante, con quel tono un po’ inquietante da fine del mondo, non trovi?» quando claudia rivolse lo sguardo alle rovine che li circondavano, il telly non la imitò; mantenne le iridi acquamarina sulla giornalista, il respiro a farsi un po più lento e profondo. doveva solo calmarsi.
    ignorare tutta quell'elettricità a risalire dal terreno.
    la sentiva grattare la pelle e avvilupparsi come un viticcio lungo le gambe, mille spilli a pungere i muscoli facendoli guizzare in un misto di tensione e sovraccarico.
    tutto sommato, cherry aveva ragione: proprio una bella idea di merda «soprattutto la trovo rilassante, come atmosfera» questa volta non sorrise, moka, niente fossette a spuntare agli angoli della bocca. era chiaro l'intento di voler comunicare l'esatto contrario rispetto a quanto detto, poi comprendere o meno diventava un problema esclusivo della Moore. più che avvisarla — perché era un signore — della rapidità con cui le cose rischiavano di mettersi male, non poteva fare «probabilmente perché non te l'ho detto» ignorando la prima domanda, si concentrò su quel tentativo molto poco smooth di trarlo in inganno, una ruga sottile a formarsi proprio tra gli occhi.
    ora, di base, a moka le persone non piacevano.
    non c'era (quasi mai) niente di personale, quanto più una sua propensione caratteriale a eludere qualunque rapporto che comprendesse chiacchiere, condivisione e responsabilità; le rare volte in cui aveva fallito, cascando nella trappola delle relazioni sentimentali con altri esseri umani, ne aveva sempre pagato le conseguenze — e ne era sempre valsa la pena (questo non diciamolo troppo in giro)(javi infame, mortacci tua), ma non voleva dire che ci tenesse a provare la terribile esperienza all over again.
    Claudia Moore era una sconosciuta.
    una che si trovava nel posto sbagliato, al momento sbagliato.
    se gli avesse detto subito di cherry, forse sarebbe stato più semplice; o magari no. non è che a tal proposito l'elettrocineta si fosse mai fatto molti problemi, e certo di moka si poteva dire tutto (solo cose belle!!!) tranne che tenesse in considerazione gli amici degli amici — semmai il fottuto contrario, e non perché fosse geloso come una merda, cit.
    «non è più il posto adatto per pregare, questo. qui la gente ci muore e basta» mentre la ragazza si muoveva, seguendo una linea che la teneva ancora fuori dallo spazio personale di moka, il ventitreenne non mosse un muscolo. avrebbe potuto estrarre la Glock e spararle nel giro di pochi secondi, l'ennesimo corpo a fecondare un terreno nutrito da sangue e orrore «forse dovremmo fare la nostra passeggiata di salute altrove» cloud, soprattutto — una richiesta gentile, quella dell'elettrocineta, e sinceramente altruista.
    avvertì l'ennesimo formicolio alle braccia, e quando finalmente distolse lo sguardo dalla bionda per portarlo su si sé, non si sorprese nel riconoscere le brevi scariche elettriche a guizzare sotto pelle, una danza tribale nel palmo della mano «non è davvero il posto ideale. per nessuno dei due» però, insomma, moka la buttava lì: stava a Claudia decidere se e come lasciarci le penne.


    25.10.99
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    ciao socc, scusa l'attesa interminabile e pure il post brutto ❤
  14. .
    moka telly jr.
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    We're losing all the reasons for our hate. Have we gone too far to find escape? Lay your weapons down We can't fight anymore

    «ma tu idee intelligenti ogni tanto no?»
    una domanda lecita, quella di Cherry.
    alla quale moka aveva risposto con l'ennesima alzata di spalle, un movimento universale che andava interpretato a piacimento. non aveva niente in mano che potesse usare per difendere se stesso e le proprie scelte, semmai il contrario; a lei, in ogni caso, non riusciva a mentire.
    non ne aveva mai avuto bisogno, finché la morte sulla quale scherzavano sin da adolescenti non li aveva effettivamente guardati entrambi negli occhi — con moka era andata un po oltre, aveva preso qualcosa in più, ma non cambiava il risultato finale «se mai dovesse succedere, uccidimi» avevano siglato il loro accordo di pace con i trenta galeoni pattuiti, ma lo sapeva il telly che qualcosa in sospeso era rimasto; una spada di Damocle a pendere sulle teste di entrambi, quel non detto che caratterizzava la vita di moka dall'alba dei tempi.
    per una volta, però, la questione non era che non volesse parlarne, ma che non sapesse come fare.
    non esistevano parole sufficienti per descrivere la sensazione di impotenza annidata nello stomaco, la consapevolezza di non appartenere più solo a se stesso; ed era forse quello, il torto peggiore che abbadon gli avesse fatto: non la sconfitta, la morte e il genocidio, non la distruzione, la perdita della propria casa e dello scopo che lo aveva tenuto insieme negli ultimi cinque anni.
    ma il controllo.
    quello che il ventitreenne era davvero convinto di aver ottenuto, nonostante fosse solo un'illusione. perché la verità era che non aveva mai controllato un cazzo, solo finto di poterlo fare — rabbia, impulsività, istinto e desiderio, tutte accartocciate e accantonate in un angolo come polvere sotto il tappeto.
    «ucciditi da solo, così ci guadagno qualcosa» un'altra cosa che aveva preferito tenere per sé, moka: quanto cristo ci fosse andato vicino; che il peso della glock nel palmo della mano lo avesse confortato al punto da diventare un'attrazione quasi irresistibile. e se aveva scelto la tequila, alla fine, era stato anche lei.
    per quel coglione di Lawrence.
    per [fucking] javi, anche se qui non ne parliamo perché potrebbe benissimo aver preso un altro che di picche nel mentre «touchè» le regalò un sorriso, e il pensiero della canna che premeva contro la tempia destra lo costrinse ad inghiottire aria e parole, iridi verdi a puntare decisamente più lontano.
    non che fosse rimasto molto da guardare, in ogni caso.
    Era stata distrutta, kyoto.
    Una città accartocciata su se stessa, solo l'ombra di ciò che sarebbe potuta essere se quella guerra l'avessero vinta loro.
    Non ne avevano mai avuto la possibilità, e questo moka lo sapeva. Dal momento in cui abbadon era apparso su quel parco in high street (due mesi prima? cristoiddio) e i piedi di cherry erano rimasti incollati al cemento della strada.
    «faccio l'ultimo giro. poi possiamo tornarcene a casa» non dovette esprimere ad alta voce il desiderio di rimanere da solo, perché nel cenno con il capo della bionda era già insita una risposta anche per quello: vai, fai le tue cose, se non torni me ne vado senza di te. amica amici... poi ti buttano giù la porta di casa con la bici.
    non letteralmente, ma quasi.
    le diede le spalle e si allontanò nella direzione opposta rispetto a quella dalla quale erano arrivati, passi lenti a calpestare il cemento finché non sentì la pietra grezza sotto le suole. al primo gradino, moka ebbe un'esitazione: l'aria era troppo pesante. sarebbe dovuto essere un luogo di pace, quello — non valeva più nemmeno come ricordo. della serenità che le persone vi avevano trovato, giorno dopo giorno, non ne rimaneva che il sentore.
    certo sotto la pelle del telly scorreva tutto tranne che pace e serenità. e poi qualcosa, a scavare un po' più a fondo.
    non un sentimento specifico, ma una forza impalpabile che conosceva fin troppo bene; non aveva scelto Kyoto per niente. qualunque punizione avesse deciso di infliggersi il ventitreenne, non era casuale — non lo era mai stata.
    premette una mano sul terreno, le ginocchia raccolte al petto e il mento a poggiarsi sulle stesse. non si stupì nel percepire la scarica elettrica prima ancora di vederla, le dita a fare da tramite; così tanta energia in eccesso da essere rimasta latente nel sottosuolo per due mesi, impedendo all'erba di crescere.
    «cosa ci fai qui?» prima ancora di sollevare lo sguardo sua ragazza, la mano libera di moka si mosse verso la schiena, le dita a stringere il calcio della glock incastrata nella cintura dei jeans. un bene, tutto sommato, che istintivamente agisse ancora come da addestramento; se si fosse fatto prendere dal panico, non avrebbe avuto la prontezza di scaricare a terra l'energia accumulata.
    cosa che fece, al contrario, avvertendola mentre gli scorreva lungo il braccio e giù fino ai polpastrelli.
    quando si rimise dritto, il braccio sinistro ancora piegato dietro la schiena, posò finalmente le iridi verde acqua sulla ragazza, senza riconoscerla «cosa ci fai qui?» un tono abbastanza confidenziale da fargli sollevare entrambe le sopracciglia; dubitava che potesse collegare la sua figura a quella descritta sui giornali — era passato troppo tempo, e nessuno sembrava aver visto più di quello che era: un'ombra.
    «una passeggiata di salute. tu?» lasciò andare la presa sull'arma, moka, e come un prestigiatore fece sfoggio di entrambi i palmi vuoti. pronto a puntarle la canna in faccia, se si fosse dimostrato necessario. almeno per certi versi, nella vita del telly non era cambiato un cazzo.

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    «se non fosse che mi stai dicendo solo quello che pensi io voglia sentirmi dire.»
    quando javi sorrise, moka gli andò dietro.
    fu automatico, rispondere alla evidente presa per il culo con la stessa dose di sarcasmo a tingere le labbra, incisivi e canini a spuntare e premere nella carne. era ad un sorso di tequila dal fargli pure l'applauso, meritatissimo, ma si trattenne: stringendo più forte la bottiglia tra le dita e contro il petto.
    un fottuto salvagente.
    avrebbe potuto replicare che il vaffanculo gli arrivava dal cuore, ma ancora una volta moka preferì il silenzio.
    perché tutto il resto era vero — mi passerà? ah, cristoddio.
    sentiva l'alcol bruciare in gola, risalire pigramente lungo le vene cercando la strada più rapida per raggiungere il terreno di caccia preferito; qualche neurone da bruciare, un paio di interruttori da spegnere. tutto considerato, forse non era stata una grande idea. che se già così non riusciva a staccargli gli occhi di dosso, dubitava di poterlo fare con il cervello in shout down.
    problemi per il moka del (l'immediato) futuro.
    una lancia a suo favore però lo special doveva proprio spezzarla: nel momento del bisogno, poteva sempre contare su Javier,
    «non ti piace parlare.»
    e sulla sua peculiare capacità di toccare i tasti giusti per farlo incazzare.
    con tutto il lavoro che aveva fatto su se stesso, moka, smussando gli angoli e spegnendo fuochi che sapeva avrebbero finito per consumarlo — un autocontrollo quasi totale, definitivo, perfetto quando ci si deve limitare a ricevere ordini ed eseguirli.
    finché javi non si era affacciato di prepotenza nella sua vita, il telly aveva sempre seguito lo stesso copione: pochi step da seguire, il solito status quo da raggiungere e conservare. non gli serviva fare altro che mandare giù e lasciarsi scivolare addosso il resto; ci guadagnava in salute.
    sentì il sorriso scemare, i muscoli delle spalle improvvisamente tesi. e un groviglio, filo spinato e cocci di vetro, a spingere e graffiare dall'interno, lacerando la bocca dello stomaco. finalmente le iridi verde acqua si spostarono altrove, cercarono altro che non fosse lui, mentre le parole del telepate penetravano sotto pelle ed entravano in circolo insieme alla tequila.
    una cazzata che già sapeva, moka.
    e allora perché, cristo, doveva dargli così fastidio.
    probabilmente conosceva anche la risposta a quella domanda, il ventitreenne: nessuno si era mai dato pena di farglielo notare. andava bene a tutti un moka passivo e accondiscendente, che dicesse solo cose superficiali con un sorriso sulle labbra che quasi mai raggiungeva gli occhi verdi;lui compreso — otteneva quello che voleva e portava a casa. niente di più fottutamente facile.
    non poteva fare altrettanto, javi?
    accontentarsi di chiudergli la bocca con la propria, invece che chiedere chiedere chiedere? evidentemente no.
    «quindi sei anche psicologo?» era affondato un altro po' nel divano, mentre il maggiore parlava, ma a raddrizzargli la schiena fu il mero desiderio di stringere la bottiglia tra le mani e spaccargliela sul cranio «e senza nemmeno leggermi nella mente, guru.» si pentì di averlo detto nell'istante stesso in cui le parole presero forma, ed era comunque troppo tardi per rimangiarsele; con dodici milioni di morti alle spalle, quello era probabilmente l'ultimo argomento su cui il maggiore avrebbe voluto soffermarsi.
    piegò la testa, il braccio sinistro a sfregare sugli occhi.
    ecco perché non parlava, moka telly.
    bastava una parola sbagliata per rovinare tutto, e una per concedere una breccia di troppo — non era big fan né dell'una né dell'altra cosa.
    si concesse un altro sorso, lasciando alla tequila l'ingrato compito di sciogliere il peso che sentiva sul petto. fosse stato chiunque altro, avrebbe permesso a se stesso di rigirare il coltello nella piaga; essere crudele, e trarne un beneficio esclusivamente personale — nonché effimero. ma con (fucking) javi sapeva che non poteva funzionare.
    ci aveva già provato, il ventitreenne, durante quella guerra che avevano perso nel modo peggiore, guadagnandoci un ulteriore fallimento.
    se aveva paura di lui?
    era riuscito a farlo sentire al contempo patetico, eccitato e desiderato, rifiutato e cercato; gli aveva reso impossibile respirare quando più gli sarebbe servito, incapace di muoversi e pensare: certo, cazzo, che gli faceva paura.
    ma, almeno quello, se lo tenne per sé.
    di nuovo in piedi, l'ennesimo errore di valutazione; non riusciva proprio a mantenere le distanze moka, se era il maggiore a farlo per primo.
    «e quindi cosa vuoi?»
    gli occhi chiari del ragazzo tornarono a sfiorare la bottiglia, e il liquido ambrato rimasto all'interno; poco. avrebbe potuto tenersela stretta e finire quello che aveva cominciato, trasformando quel lieve torpore nel nulla più assoluto.
    la lasciò invece sul tavolino, accanto alla pistola. prendendo una scelta della quale sapeva si sarebbe presto pentito «ah» per citare un saggio: «più facile partire da cosa non voglio, forse» cercò di nuovo il suo sguardo, entrambe le sopracciglia inarcate — era un gioco che potevano fare in due, quello.
    ammesso di voler ancora giocare.
    era stato divertente per i primi cinque minuti, con la schiena a premere contro un muro e la mano del telepate a stringergli la gola, in quel buco di merda in Siberia; prima dei bambini morti. quando ancora le regole erano chiare e moka non aveva dovuto fare altro che seguirle.
    incredibile la rapidità con cui era andato tutto a puttane: le regole e il mondo stesso.
    «sentirmi così quando ti guardo, per esempio» la tequila non era riuscita a sciogliere del tutto il nodo che sentiva ancora nella trachea, ma la tensione nei muscoli, quella sì; contro ogni istinto di sopravvivenza, la voce della coscienza ad urlargli di fare dietrofront, moka gli si fece più vicino. con un sospiro a sfuggire dalle labbra che era solo in parte frustrazione, e troppo cedimento «sempre ad un passo dal perdere il controllo» su quale emozione, preferì tenerlo per sé. perché erano tutte, e tutte insieme: in presenza di javier il limite tra rabbia e desiderio si faceva troppo sottile, sfilacciato.
    diventava complicato, per moka, riuscire a distinguerle quando finivano per sovrapporsi.
    «lo capisci cosa voglio dire, javi?» una muta richiesta, quella negli occhi chiari del ragazzo, una cauta disperazione che avrebbe preferito risparmiarsi. stava offrendo al maggiore la propria debolezza su un piatto d'argento, rischiando qualcosa più di una giocata. proprio vero: c'è una prima volta per tutto «non è per il sesso» si rese conto prima ancora di finire la frase, che detta così non era credibile; non con le dita a scivolare sotto l'orlo della sua maglietta, i polpastrelli ad imprimersi contro la pelle calda del fianco «non è solo per il sesso» quello sì, faceva una paura fottuta: rendersi conto di volere altro, desiderare un tutto da sempre considerato superfluo.
    pericoloso, persino.
    un istante, e valutò l'idea di allontanarsi.
    quello dopo stava già sfiorando l'incavo della sua gola con le labbra dischiuse, il respiro ad infrangersi in soffi caldi e irregolari «non voglio che tu esca dalla mia testa» risalì con le dita verso l'alto, contando muscoli e cicatrici, soffermandosi su ciascuna costola; voleva esplorare senza fretta, moka, affondando le unghie dove poteva «e non voglio che tu te ne vada» concetto che sottolineò spingendo il proprio corpo contro il suo, la mano libera aggrappata al bordo della cucina — quasi un dejavu.
    glielo disse di nuovo, ancora e ancora, senza bisogno di parole. più nel suo habitat naturale, il telly, quando invece di dare voce ad un pensiero poteva tradurlo direttamente sulla pelle dell'altro, la punta della lingua a marcare ogni centimetro disponibile con alcol e saliva. seguendo la linea netta della mandibola fino a raggiungere la bocca dell'altro; sulla quale non si soffermò, moka.
    se non il tempo necessario a raccogliere un sapore che non aveva bisogno di saggiare sulla lingua per poterlo riconoscere.
    familiare [derogatory]
    poi si fece da parte.
    letteralmente, sfilando la mano da sotto la maglietta (quella dannata maglietta.) di javier, spingendo entrambi i palmi contro il torace del maggiore per costringere se stesso ad allontanarsi. un passo indietro, l'ennesima offerta di una rapida via d'uscita «ma se non vuoi rimanere, javi, questo è il momento giusto per andartene» prima che qualcuno osasse pensare fosse nothing but an angel, disposto a concedergli un'altra — l'ultima — occasione di ripensamento.
    una scelta che lasciava a lui, perché la sua, il telly, l'aveva già fatta esponendo se stesso all'ennesima mazzata sui denti.
    m(asochista)oka core.


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