Posts written by reset me

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    reese e.p. withpotatoes
    (I am a) kamikazee, I am so lonely
    lonelier than a patriarch labeled liar;
    I shouldn't want it, but I want it
    and it's killing my black soul.
    I want money && power
    && champagne && fame
    (my black heart's to blame)
    Reese sentiva gli sguardi invidiosi degli altri clienti del Lilum conficcarsi nella pelle come dardi, malevoli nella loro futilità e nel risentimento per non essere loro gli individui a cui la Turner aveva concesso le proprie attenzione.
    Non gonfiò il petto a quella consapevolezza, lui, perché non gli serviva la conferma visiva, né il loro astio, per sapere che gli fosse superiore in ben più di un modo, e che le carezze meticolose della ballerina erano solo una delle tante, infinite, motivazioni che lo rendeva diverso dagli altri.
    Migliore.
    Tutti quanti loro, con gli sguardi un po' troppo famelici e le mani allungate senza permesso, avevano tracciato da soli il confine fra loro e lui, e non potevano incolpare nessuno se non loro stessi; qualsiasi animosità scivolava addosso allo stratega, decisamente più impegnato a godersi la presenza di Cassandra, per potersi permettere di pensare a dei poveri qualunque che non avrebbero lasciato il segno mai, e in nessuno.
    «le tue priorità invece… puro interesse tecnico e scientifico, immagino»
    Sollevò entrambe le sopracciglia, per farle capire, pur senza proferire parola, che avesse decisamente delle priorità diverse dalla massa — era sempre stato così, non si sarebbe mai uniformato al gregge. Neppure in quel caso. Specialmente in quel caso; perché Reese Withpotatoes sapeva mantenere la mente lucida e il ragionamento affilato anche in momenti come quelli, dove sangue e carne demandavano il controllo più assoluto e totale. Lui non era così debole da cedere, a differenza di (tutti gli) molti altri.
    Si strinse nelle spalle, mani affondate nelle tasche anteriori dei jeans, offrendo volontariamente il proprio corpo affinché fosse perlustrato ed ispezionato dalla danzatrice, senza perdere neppure un battito né sentendosi in soggezione per le accurate attenzioni che l'altra gli stava riservando. Che facesse pure, erano grandi e vaccinati entrambi e, soprattutto, nessuno dei due era così (stupido) ingenuo da non sapere perfettamente cosa volesse l'altro; quindi perché negare, o fingere?
    «non sono solo una professionista, Withpotatoes, sono una specialista»
    Il soffio delicato e provocante di Cassie contro il suo orecchio riverberò nella cassa toracica del biondo, che mantenne comunque la sua compostezza; se non avesse saputo come nascondere le sue emozioni dietro una maschera di impassibile neutralità, d'altronde, non sarebbe andato lontano al ministero. Il fingere di non provare nulla era il suo pane quotidiano.
    «cambia davvero qualcosa?» le chiese a bassa voce, sottolineando come, specialista o meno, fosse lì — esattamente dove altri la desideravano, e dove lei voleva essere. Non si aspettava una risposta a quella provocazione, però, e non si stupì quando la sentì andare oltre, rimarcando qualcosa che, sapeva anche quello, gli avrebbe fatto pesare ancora a lungo.
    Le piaceva anche per quello, Cassandra Turner: perché non mollava mai l'osso, e non lasciava mai cadere una sfida, non fino a che non fossero arrivati entrambi stremati alla fine di ogni loro scambio di intelletto e parole affilate. Due menti troppo sveglie, troppo veloci, per non rendersi conto di star facendo lo stesso identico gioco, e non aver già capito da un pezzo che forse non era vincere l'obiettivo finale: era farlo durare il più a lungo possibile.
    «un consiglio, eh? mi sembrava di aver capito che la mia fosse solo una routine niente male»
    Solo uno stupido avrebbe finto di non sentire la mano di Cassandra salire e stringersi, senza esitazione e senza incontrare opposizione, attorno alle corte ciocche bionde; Reese non era uno stupido. Assaporò ogni secondo di quel gesto, narici dilatate perché era una risposta involontaria e più che dovuta, quasi un'anticipazione di quello che avrebbero potuto avere, se il loro non fosse stato un gioco portato avanti con così tanta maestria e devozione, appunto.
    «tsk, credevo fossi una specialista le ricordò, usando contro di lei la parola pronunciata poco prima, «sono stato sciocco a presumere sapessi fare più di quanto dimostrato sul palco?» era una provocazione, perché Reese Withpotatoes non riusciva ad evitarle nemmeno in momenti come quello; erano, se proprio, il suo stimolo più grande, quello che più di tutti lo definiva.
    Ed era certo che la Turner apprezzasse, più di un qualsiasi complimento bagnato da una bavetta poco dignitosa e uno sguardo affamato di qualcosa che, a quel punto, non gli sarebbe mai stato concesso. Entrambi erano smossi dalla convinzione di poter vincere qualcosa che non avrebbero mai potuto avere, per un motivo o per un altro, e Reese sapeva fosse così.
    Mantenne lo sguardo sul profilo di lei, mentre Cassie continuava a far scivolare la mano lungo il suo corpo, e non fece assolutamente nulla per impedirglielo.
    «cos’è, hai finito le lamentele?»
    Oh, Cassie (derogatory); non sapeva che le lamentele di Reese non avevano fine? Trovava sempre qualcosa capace di non andargli a genio, il pelo nell'uovo, il dettaglio sbagliato, la postilla che nessuno notava. Aveva l'occhio abituato a riconoscere gli errori altrui, una morale fortunatamente grigia e la lingua abbastanza lunga da non trovare ostacoli nel mettere a parole tutto quello che gli passava per la mente, troppo razionale e funzionale per preservare la sensibilità altrui.
    Ricambiò appena il sorriso malizioso di lei, riempiendolo di qualcosa riservato a pochissimi — una sincerità che si poteva leggere solo in certe espressioni di sfida, attente, affilate.
    «mi aspetto una valutazione dettagliata,» le sussurrò, accompagnandola durante la sua ispezione, che si era appena spostata verso l'orlo della maglia, giocandoci come se stesse decidendo se sollevarlo proprio lì, proprio in quel momento, o se trattenersi e riservarlo per un'altra situazione.
    Reese non avrebbe saputo dire, così su due piedi, quale delle opzioni preferisse. Di certo, serviva persino a lui un grande lavoro di autocontrollo per non soffermarsi troppo sulla sensazione dell'unghia curata a contatto con la sua pelle calda; se fosse stato un'altra persona, avrebbe ammesso ad alta voce anche solo una minima parte di ciò che provava in quel momento, di come l'audacia di Cassie fosse così perfettamente bilanciata, tra provocazione e inganno, da farlo impazzire. Ma non era “un'altra persona”; era Reese, e rimase perciò stoico nella sua rigidità, concedendosi solo un sopracciglio leggermente arcuato alla proposta della ballerina, e niente più.
    «pensavo a qualcosa di più simile a quello che indosso io ora»
    Non abbassò lo sguardo perché non ce n'era bisogno, ricordava perfettamente il modo in cui il body fasciava il corpo di Cassie e lasciava ben poco all'immaginazione, e poi non si sarebbe fatto beccare in un'azione così di cattivo gusto come passare lo sguardo vorace sulle sue curve.
    «pensavo che il color carne fosse perfetto per te»
    Un soffio leggero sfuggì dalle sue labbra, una mezza risatina che di divertito non aveva nulla; al massimo, una nota piccata e provocata, esattamente il genere di reazione che non avrebbe voluto mostrare alla bionda. «in effetti sto bene con tutto,» le rispose, voltando appena il viso pur senza arrivare a raggiungere il suo, e poi con lo stesso tono basso e carico di molte più cose che avrebbe mai potuto convogliare a parole, aggiunse: «o con nulla.»
    Era davvero, ma davvero, un gioco che potevano fare in due, quello; il fatto che Reese concedesse sempre la mano più vantaggiosa a Cassandra non significava che fosse meno bravo, o disposto a cedere. «e body trasparente sia.»
    Mantenne le mani nelle tasche, pur sentendo quelle di Cassie giocare con la fibbia della cintura: sapeva fosse solo una sfida, un modo come un altro per testare i suoi limiti e vedere fino a che punto sarebbe stato in grado di trattenersi, e quando, invece, sarebbe crollato dimostrando di essere esattamente come tutti gli altri animali che non ci pensavano due volte prima di accogliere le danzatrici del Lilum con gesti volgari, e parole altrettanto rozze.
    Non lui, mai.
    «ma se preferisci il celeste…»
    La risatina, e il repentino allontanamento di Cassie, però, gli concessero di tornare a respirare in maniera (più o meno) regolare, e socchiuse appena gli occhi, lo stratega, prima di cercare nuovamente la figura della ballerina avvolta dalla vestaglia che copriva solo appena le sue grazie. Sostenne anche la sua espressione fiera, le mani ancora nelle tasche e la schiena dritta, incapace di assumere una posizione più rilassata o gioviale, perché non era nelle sue corde e mai lo sarebbe stato, probabilmente; Reese Withpotatoes viveva come se ce l'avesse personalmente con il mondo intero, come se quest'ultimo gli avesse riservato l'offesa più grande — e forse, per certi versi, era proprio così.
    Non le disse nulla, né la accusò per aver rubato il pacchetto di sigarette, ma semplicemente la osservò decidere verso quale finale condurre la partita di quella sera, già pronto a formulare un piano di contro attacco per smontare i suoi progetti; il fatto che lei avesse di non attaccare, non ancora, e anzi di prendere le distanze, non significava che il gioco fosse finito. Era solo un round che si concludeva, ancora e sempre, in parità.
    «io sono pronta quando lo sei tu»
    Si riprese il pacchetto di sigarette offerto dalla Turner, e dopo un attimo di esitazione ne estrasse una, incastrandola dietro l'orecchio mentre riponeva il resto e cercava nella tasca dei jeans l'accendino.
    Ancora una volta, se fosse stato un'altra persona avrebbe detto qualcosa di cringe come “io sono nato pronto”, o una stronzata simile ma (Idem l'aveva cresciuto meglio di così) per sua fortuna non possedeva la mente banale di chiunque altro. Piegò leggermente il viso da un lato, tenendo gli occhi fissi in quelli di Cass, e dopo qualche istante di silenzio parlò.
    «la mia agenda è fitta di impegni, ma posso trovare il modo di infilarci qualche lezione privata» Tolse la sigaretta da dietro l'orecchio, e la portò alle labbra. «fammi sapere quando sei libera» si sarebbero comunque ritrovati lì, prima o poi, perché il Lilum era lo sfondo perfetto per il loro giochino malsano.
    Con la testa, indicò la porta laterale. «dubito Svetlana sia d'accordo con il lasciaci fumare all'interno del locale,» e non ci teneva ad essere cacciato (e bannato) dal Lilum vita natural durante. «hai tempo per una sigaretta, o devi continuare lungo la passerella?» c'erano ancora quelli che, troppo stupidi (o eccitati) per capire l'antifona, si aspettavano che lei li raggiungesse per posare una mano delicata sulle loro gambe (o peggio, tra le loro gambe), ma sarebbero rimasti molto delusi quella sera.
    gif code
    1995
    strategist
    amnesiac
  2. .
    reese e.p. withpotatoes
    (I am a) kamikazee, I am so lonely
    lonelier than a patriarch labeled liar;
    I shouldn't want it, but I want it
    and it's killing my black soul.
    I want money && power
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    (my black heart's to blame)
    Per quanto gli piacesse dimostrarsi una persona razionale, e molto pragmatica, Reese non poteva negare di avere in sé anche un lato più audace, a tratti quasi sciocco, impulsivo, che lo portava fin troppo spesso a giocare col fuoco, senza pensare alla possibilità di rischiare di bruciarsi.
    Forse perché, nella sua testa, non esistevano scenari in cui Reese E.P. Withpotatoes potesse perdere, perciò il fallimento non veniva mai contemplato dallo stratega.
    O forse, semplicemente, perché quei momenti lo facevano sentire più di ogni altra cosa vivo, e il biondo faticava ad ammetterlo persino a se stesso, ma ne aveva bisogno.
    Fatto sta che quello, al cospetto di Cassandra Turner, era uno di quei momenti.
    Giocare con la ballerina gli piaceva, forse anche più del dovuto, e rischiare quando si trattava della Turner non era mai un problema, per Reese. Voleva farlo. Voleva provocarla, e giocare con lei, e voleva che lei facesse altrettanto; che lo studiasse, che costruisse nella sua mente un'idea di Reese che poi lui si sarebbe divertito a smentire.
    O peggio, a confermare.
    Sembrava una cattiva idea – una pessima idea – ed era esattamente il genere di situazione che risvegliava quella parte troppo spesso ignorata (forse per dei buoni motivi) dallo stratega. E che lui non riusciva ad ignorare, o mettere a tacere.
    Tenne lo sguardo puntato sul corpo di lei mentre si avvicinava, facendolo scivolare sulle forme ammirate fino a poco prima sul palco, senza nascondere alcun tipo di apprezzamento; dopotutto, era lì esattamente per quello, come tutti gli altri. Era tante cose, Reese Withpotatoes, ma non era un ipocrita. Si beò di quel sorriso che, pur cercandolo, non aveva trovato in nessun'altra; quel sorriso che non aveva nulla di morbido, o affettuoso, e che rispondeva perfettamente al suo.
    «prendo tutte le lamentele dei miei clienti molto seriamente,dovresti saperlo ormai»
    Sapeva un sacco di cose, Reese, in generale, ma non lo disse, anche se avrebbe voluto. Piuttosto, scelse di annuire lentamente, in attesa che lei finisse: sapeva anche che c’era dell’altro che stava per dirgli, e non sbagliava.
    «tuttavia» Lo sguardo del ministeriale si fece più furbo, illuminato da una luce strana, che solo quel gioco al gatto e al topo che facevano loro, sapeva donargli; erano anni che nulla più suscitava emozioni in lui, eccetto quei brevi, ma intensi, scambi con la Turner. «mi dispiace deluderti ma non c'è stata nessun'altra critica, a quanto pare la mia routine è apprezzata da tutti» Gente che chiaramente non era lì per l’intrattenimento, ma solo per sbavare dietro le curve morbide della ballerina, quindi.
    (E Reese non rientrava in quella categoria perché era un signore.)
    «o quasi»
    Si strinse nelle spalle, fingendo una modestia che non aveva. «hanno chiaramente altre priorità» la informò, con leggerezza, come se stessero parlando di una cosa banale come il meteo.
    «ma è interessante la tua passione per i miei spettacoli»
    Che poteva farci, era (debole) un fan.
    La lasciò fare quando, con una lentezza quasi sfiancante, prese ad accarezzare il suo viso, incastrando le proprie iridi in quelle altrettanto chiare di lei; che facesse pure, non sarebbe stato di certo lui a chiederle di smettere — o ad allungare le mani, senza il permesso della Turner. Reese sapeva come differenziarsi dagli altri clienti, sapeva essere superiore, e lo dimostrava anche in quel rispetto che, tolto qualche sguardo di troppo che sfuggiva al suo autocontrollo, dimostrava nei confronti di Cassandra.
    Seguì, da bravo, i movimenti che lei lo costrinse a fare, lasciando che studiasse ogni centimetro del suo viso, ogni lineamento, ogni curva e ogni spigolo che lo caratterizzavano; si domandò distrattamente se le piacesse ciò che vedeva, o se in lui ritrovava l’immagine di tanti altri clienti già passati sotto le sue mani.
    Quanti altri visi aveva percorso, con quella lentezza, prima di lui? Forse non voleva saperlo, e anche lo avesse fatto, il suo ego era abbastanza grande da fargli sapere che fosse unico e diverso dal tutto il resto.
    «mh, suppongo che si possa fare»
    Alzò un sopracciglio, senza commentare il modo in cui la mano iniziava a scivolare dal collo alla maglia, e solo quando la perse di vista si permise di socchiudere gli occhi, prendendo un respiro profondo. C’erano un sacco di cose che avrebbe voluto dirle, perché era convinto che, mettendoci il giusto impegno, Reese sarebbe riuscito anche a fare quello, a indossare un body e imparare una coreografia e passare addirittura per convincente sul palco del Lilum — perché erano poche le cose che lo stratega non sapesse fare, e fatte bene. Ma tenne la bocca chiusa, concentrandosi sul resto dell’esplorazione della mano di Cassie.
    Un mezzo sorriso si disegnò sulle sue labbra nel sentirla raggiungere la tasca posteriore e fermarsi lì, ma ancora una volta non disse nulla, né la invitò a fermarsi: in quel posto, gesti del genere, potevano essere comparati malapena ad una carezza.
    Sentì il soffio caldo sul collo ancora prima delle parole, e di nuovo chiuse gli occhi.
    «ma non andrai molto lontano con queste forme»
    «è il tuo parere da professionista?»
    «c'è da lavorare un po', ma scommetto che non sarà un problema per te, mh?»
    Stavolta, una mezza risata provocata sfuggì davvero dalle sue labbra, mentre riapriva gli occhi e voltava appena il viso verso di lei, affinché ne vedesse almeno il profilo. «lavorare sodo non mi ha mai preoccupato» e quello, pur non ricordando molto della sua vita fino ai vent’anni circa, sapeva comunque che fosse vero. Era uno stacanovista, il Withpotatoes, e peggio ancora era un perfezionista: non accettava le cose mediocri, o fatte a metà, e gli piaceva essere sempre pronto, preparato, e il migliore che c’era. «se vuoi darmi qualche consiglio, o aiutarmi a lavorarci su, sono libero» che, come pickup line non era granché, ma immaginava Cassie fosse abituata a sentire molto peggio.
    «ma per cortesia, un body che stia bene con la mia carnagione. azzurro, magari?» non era così tossico (o modesto.) da pensare che fosse degradante indossare un body e ballare, perché era serio quando diceva di essere lì anche perché apprezzava il lavoro della Turner, non solo la sua bellezza. Ogni tanto, pur senza saperlo, gli insegnamenti che Idem gli aveva lasciato tornavano a farsi largo, rendendo Reese un po’ più umano.
    Anche se solo per lo spazio di qualche secondo.
    gif code
    1995
    strategist
    amnesiac
  3. .
    reese e.p. withpotatoes
    salem e.p. hilton-peetzah
    Hey baby, you ok? Still feeling strange?
    I'm starting to think our luck could change.
    Some people fear the end but I carry it,
    it's in my pocket, it keeps me safe
    «cos'hai contro le feste a tema, scusa?»
    Isaac, quanto tempo hai? La lista era molto lunga.
    Ma non lo disse, lo stratega, e fece la buona grazia ad entrambi di limitarsi ad inarcare un sopracciglio che diceva chiaramente: “tutto”, poco più di un banale eufemismo. Suo fratello avrebbe dovuto saperlo che Reese non era tipo da feste — a tema o generali che fossero, non faceva differenza; Reese non era fatto per gli eventi sociali, detestava le attenzioni di gruppi con più di due persone e, più in generale, non sapeva mai cosa dire o cosa fare quando immerso in un mare di gente che a malapena conosceva. Non era estroverso, non era socievole, non era simpatico; tendeva a stare in disparte e osservare tutto e tutti, criticando nella sua testa pressoché qualsiasi cosa, dagli abiti degli invitati agli stralci di conversazione che riusciva a captare, alle decorazioni e persino il cibo.
    L’unica cosa su cui non aveva mai nulla da ridire era l’alcol.
    In quanto al look del fratello, di commenti (poco carini) ce ne sarebbero stati molti ma il Withpotatoes rimase in silenzio, rivolgendo all’orrida collana di fiori solo un’occhiata bieca.
    «potresti smettere di insozzarmi il bar con la tua negatività?»
    Ingrato di un fratello. «Il bar va avanti grazie ai miei soldi.» Rude, ma onesto; checché ne dicessero Isaac o Niamh, Reese era il loro miglior cliente.
    (Lui e qualche altro alcolizzato di paese, ma a differenza loro lo stratega era disposto a pagare fior fiori di galeoni per le bottiglie delle mensole più alte.)
    «invece di lagnarti, mi sostituisci un attimo? grazie bro ti vu bi.»
    Fu lesto ad allontanare la mano del Lovecraft, con un gesto secco e infastidito, e a lanciare via lo straccio sudicio che aveva avuto l’ardore di gettargli sulla spalla fasciata dal completo antracite. «scordatelo.» L’unico bicchiere che Reese avrebbe riempito, sarebbe stato il suo.
    E infatti, si allungò oltre il bancone per afferrare la bottiglie lasciata incustodita da Isaac, e ne approfittò per versarsi da bere mentre sul palco, Kieran Sargent iniziava il suo spettacolo.
    «Buonasera! Benvenuti alla nostra umile festa»
    Mandò giù l'intero contenuto del bicchiere, dando le spalle al palco e alla special, poco interessato a cosa avesse da dire o alle motivazioni di quella festa: lui, un invito, non lo aveva ricevuto eppure nessuno aveva pensato di cacciarlo – o peggio, non farlo entrare – perciò ne deduceva che non fosse così esclusiva come volevano far sembrare.
    «e che festa sarebbe senza una sorpresa?»
    Uhm, una che Reese avrebbe apprezzato leggermente di più? Non gli piacevano neppure le sorprese. O i regali. O le sorprese alle feste. O le feste a sorpresa.
    Non gli piaceva la gente, fine.
    La spiegazione sul film, Reese, la balzò a piè pari, annegando invece i suoi pensieri nel liquido ambrato — molto più interessante di quanto la mimetica avesse da dire. Alzò lo sguardo, suo malgrado, solo quando intravide nella parete specchiata dietro il bancone, la sala del Platinum cambiare sotto i suoi occhi, i contorni farsi meno nitidi e nuove immagini ad occupare lo spazio intorno ai presenti. Con un'occhiata veloce al bicchiere, si domandò se avesse bevuto già così tanto da avere le allucinazioni.
    «malattie senza cura e interminabili guerre hanno devastato il mondo—» la voce della Sargent si perdeva, il tono a farsi più ovattato e le parole pigre, le vocali allungate, evocatrici di altre immagini, che prendevano forma solo dietro le palpebre strette dello stratega. Non si era reso conto di averle serrate, indurendo la mascella e stringendo la presa contro il bicchiere; un dolore sordo alle tempie lo costrinse a scuotere la testa, che Reese prese fra le mani per sopportarne il peso improvvisamente aumentato a dismisura.
    C'era odore di morte, qualcosa di familiare per Reese anche se non sapeva dire perché — forse apparteneva a quella vita che non ricordava più, e che stando agli occhi tristi di Idem e alle sedie vuote intorno al tavolo, i Withpotatoes avevano conosciuto un po' troppo da vicino. Ma c'era anche altro, un sorriso catturato dalla filigrana color seppia di una foto molto vecchia, un sorriso che Reese sentiva di conoscere ma che non riusciva ad associare a nessun volto; non vedeva altro, solo labbra e denti perfetti, e le fossette agli angoli.
    Si costrinse ad aprire gli occhi, combattendo contro quello che, ne era certo, erano memorie che tentavano di affacciarsi e lasciare un segno del proprio passaggio, della propria esistenza. Afferrò la bottiglia e riempì nuovamente il bicchiere, il cui contenuto trangugiò con un solo sorso.
    Kieran stava continuando a parlare, ma le sue parole si confondevano con altre che Reese non ricordava, eppure sapeva di aver letto da qualche parte, qualche tempo prima.
    «e se vi dicessi che un gruppo di maghi e special avessero trovato un modo per tornare nel passato?»

    (“Non per loro, per lei. Può essere ancora salvata.”)

    «hanno radunato dei volontari da mandare indietro– ogni memoria del futuro cancellata– lettere scritte dagli stessi volontari– spedite– passato– insieme a loro»

    (“Cosa vuoi che ti dica, il vero motivo morirà con me. Ti basta sapere che ho scelto di farlo, e sto dando una seconda opportunità ad entrambi.”)

    «…siete voi quei volontari…»

    (“Missione suicida? Sì, quasi certamente; ma le cose facili non mi sono mai piaciute.”)

    «–capisco che non sia un concetto particolarmente facile da digerire»
    Non si era reso conto di aver riempito il bicchiere, di nuovo, o di averlo stretto con così tanta forza fino a che non sentì il liquido pizzicare le ferite generate dal vetro che aveva inciso il palmo serrato. Imprecò, usando lo straccio lasciato indietro da Isaac per asciugare whiskey e sangue, mentre lo sguardo ghiaccio trovava la figura di Halley che consegnava lettere ai presenti.
    Un’altra fitta lo costrinse a piegarsi su di sé, accartocciato come quelle memorie che credeva cancellate e irrimediabilmente perse e che, invece, cercavano con forza estenuante di emergere attraverso la cortina di fumo e oblio in cui l’incidente li aveva gettati.
    La testa minacciava di esplodere.
    Trovò a fatica il profilo dello sgabello su cui era rimasto seduto fino a poco prima – quand’era scivolato giù? – e vi si aggrappò come se fosse un salvagente in mezzo ad un mare di incertezze e confusione.
    Era successo qualcosa, qualcosa che aveva già vissuto, e voleva sapere cosa.
    Allungò la mano per afferrare il braccio di Halley, la più vicina, e pretendere che gli desse spiegazioni; ma la voce era incastrata in gola, insieme a tutte quelle parole che si erano accavallate le une alle altre e che sgomitavano per prevalere. «dov’è–» la mia? Chissà se la Oakes avrebbe erroneamente dedotto che la mancanza di lucidità nello sguardo di Reese, e il sudore ad imperlare la fronte, e l’urgenza nel suo respiro affannato, fossero colpa dell’alcol e non dei ricordi che, triggerati, avevano ripreso forma e colore in maniera inaspettata.
    Voleva la sua lettera; eppure sapeva già, ancora prima di ricevere una risposta dalla bionda, che l’aveva già avuta, e l’aveva persa. Come un sacco di altre cose, in quegli ultimi sette anni.
    23.12.95
    strategist
    amnesiac
    reset me
    nothing but thieves



    mh, in teoria ferma halley per chiedergli dov'è la sua lettera (.) ma non davvero, quindi facile che ad un certo punto sia andato via, barcollando ma pur sempre sulle sue gambe
  4. .
    obliviontober 2023 oblivion ft. mitologia greca
    settimana 2 // poteri elementali (pt 1)

    j. darko,
    elettrocinesi
    s. hansen,
    idrocinesi
    a. nott,
    pirocinesi
    e. byrne,
    geocinesi
    g. reed,
    criocinesi
    h. diaz,
    faunacinesi
    t. commstaj,
    emocinesi

    (clicca sull'immagine per ingrandire)
  5. .
    reese e.p. withpotatoes
    rise up
    imagine dragons
    I was there, but I was always leaving
    && I've been living, but I was never breathing.
    The darkness right in front of me it's calling out,
    && I won't walk away: I would always open up the door
    Reese era sempre stato più il tipo di persona che preferiva l’azione piuttosto che la gestione dietro le quinte con tanto di scacchiera e pedine da muovere; certo, non ne aveva memoria, ma questo non significava che sentisse meno il richiamo del campo di battaglia, che lo invocava a sé come una sirena, pronta a farlo schiantare contro le rocce frastagliate e appuntite della guerra. Sapeva di preferirlo, ma sapeva anche di non avere l’addestramento necessario per sopportarlo e per vestire l'uniforme dei pavor o dei cacciatori; qualsiasi tipo di teoria acquisita negli anni, non era rimasta impressa dopo l’incidente, lasciandolo tutto istinto e memoria muscolare, e niente preparazione mentale, una combo destinata a portarlo alla morte prematura, ne era certo: solo un avventato si gettava in un conflitto senza sapere ciò che stava facendo, o come farlo.
    In un primo momento aveva cercato di recuperare quella forma fisica andata perduta, l’abilità di maneggiare armi di ogni tipo, o quella di saper utilizzare il proprio corpo come fosse una altrettanto micidiale e letale; aveva fatto dei progressi, ma allo stesso tempo si era resoconto di un’altra cosa importante: poteva fare la differenza anche dietro le quinto. Il fatto che non lo preferisse non voleva dire che non fosse comunque bravo.
    In passato – in una vita che non ricordava di aver vissuto ma che sapeva fosse lì, a premere contro il contorni di una realtà resettata al punto di partenza e tutta da riscrivere –, anche sul campo di battaglia la sua mente lucida gli aveva fornito qualcosa in più, ed era sempre stato pronto e attento, in grado di adattare la propria strategia anche al minimo cambio, senza lasciarsi sopraffare dalle situazioni e senza lasciare mai alcun punto scoperto. Ragionava velocemente, in maniera spesso diversa dagli altri, motivo per cui non sempre le sue idee venivano apprezzate — e capite. Quel tipo di mentalità non lo aveva abbandonato, contrariamente alle abilità nel combattimento, e anzi si era fatta più acuta durante i primi mesi di riabilitazione al Ministero: sotto la guida del Capo Stratega del tempo, poi sostituito dal Black, Reese aveva affinato il proprio ragionamento, la propria arguzia e l’ingegno; aveva imparato come vedere la situazione da tutte le angolazioni possibili e come studiarla, strutturarla, setacciarla fino a trovare il dettaglio che avrebbe permesso di leggere il tutto sotto una luce diversa.
    Aveva passato settimane, e poi mesi, ed infine anni, a partecipare ad una strategia ben precisa: quella che avrebbe permesso al ministero di contenere – e annientare – la minaccia ribelle. E più si immischiava nelle questioni teoriche, meno tempo dedicava all’allenamento fisico: lo continuava di pari passo alla nuova carriera, ma per quanto l’idea di sporcarsi le mani fosse allettante, altre infide voci li suggerivano che forse il suo posto, alla fine, fosse lì, al II Livello del Ministero della Magia.
    Aveva fatto suo ogni insegnamento di Leonard Wilkie, una lista di punti fermi e cardini intorno cui far ruotare il suo pensiero, che poi prendeva inevitabilmente forma nelle maniere più discutibili possibili: pensieri che spesso i suoi colleghi trovavano troppo poco ortodossi o troppo fuori dalle righe. Analizzare le cause e le ragioni che c’erano alla base della ribellione, studiarne le fondamenta, informarsi sulla storia e sui fatti e sulle tensioni sociali e politiche che la loro nascita aveva suscitato; aveva definito, insieme ai suoi colleghi, obiettivi e strategie non solo per eliminare la minaccia, ma anche – e soprattutto – per ripristinare l’ordine che i sovversivi avevano minato; aveva collaborato con i vari livelli per creare azioni e piani che coinvolgessero tutti – perché quella battaglia era di tutti, non solo dei pavor e non solo degli strateghi –; aveva contribuito con idee su come sorvegliare i ribelli (o come provarci) e come raccogliere più informazioni possibili; aveva studiato quelle stesse informazioni, spesso estratte con la tortura ai ribelli catturati — quelli che rimanevano in vita, comunque.
    Col passare del tempo, Reese era diventato un abile stratega e un punto di riferimento per i colleghi; gli piaceva credere di essersi guadagnato persino un briciolo di stima da parte del Black, ma sapeva bene di avere ancora molta strada da fare prima di entrare davvero nelle sue grazie, o nella sua cerchia ristretta.
    Gli piaceva la parte di ricerca e informazione; un po’ meno quella di comunicazione pubblica e interazione con i colleghi perché, semplicemente, Reese non era portato per quel genere di attività. Sapeva, però, che specialmente l’opinione pubblica fosse di vitale importanza per la loro missione: fintanto che i cittadini avessero continuato a denunciare presunti ribelli o atti di resistenza, vincevano tutti. Non si faceva problemi ad annuire quando qualche collega suggeriva metodi poco trasparenti per influenzare i cittadini, reputando che ci fossero situazioni in cui il fine giustificava ampiamente i mezzi e, pertanto, forzare un po’ la mano pur di ricordare alla popolazione perché i ribelli fossero da contenere e sterminare, non gli toglieva il sonno la notte.
    Le esecuzioni pubbliche non gli toglievano il sonno la notte.
    Stringere la morsa sui cittadini inglesi, ogni tanto, serviva alla quiete pubblica; serviva anche al ministero stesso per sentirsi un po’ meno inconcludente, specialmente in quei periodi in cui tutto sembrava scivolare alla loro presa; il sospetto che ci fossero delle spie tra loro era ormai radicato nel pensiero comune, ma nessuno aveva avuto prove recenti per incriminare qualche dipendente. Eppure la ribellione, molto spesso, arrivava sempre un passo prima di loro. Maledetti venduti.
    Non era mai stato un lavoro facile, il suo, e dubitava lo sarebbe diventato col tempo; anzi, gli avvenimenti più recenti avevano dimostrato l’esatto contrario. Dopo lo shift politico di Giugno, gli animi al ministero erano in fermento — non in maniera positiva; a nessuno piaceva l’idea di essere controllato (più che governato) da Abbadon e i suoi fedelissimi, ma non c’era molto che potessero fare contro quello. Per questo Reese non aveva perso di vista il suo compito, la sua missione, e aveva deciso di approfittare del periodo storico incerto e instabile per sottoporre al Capo Stratega Black qualche nuova idea su come utilizzare proprio quell’incertezza per minare ancora di più l’opinione che la società aveva della resistenza, e addossare in qualche modo la colpa ai sovversivi. Per lo meno con i babbani, sosteneva Reese, avrebbe funzionato: erano alla ricerca di qualcuno da considerare colpevole e con cui pareggiare i conti, tanto valeva dargli un capo espiatorio e sperare di tenere occupati i ribelli abbastanza da compiere passi falsi che loro avrebbero potuto sfruttare. Al diavolo, aveva persino offerto al Black un piano di reinserimento sociale per coloro i quali si fossero offerti di collaborare e rinnegare la via ribelle; o un modo per lavorare contro il voto di segretezza dietro cui quei maledetti si nascondevano.
    Insomma, di modi e mezzi per combattere la resistenza ce n’erano: dovevano solo pregare che entità mistiche continuassero a mettersi in mezzo ed intralciare i loro piani, rendevano tutto maledettamente più difficile.
    darflores
    my hobbies include knowing and being right

    gifs: xcertifiedgifsx.tumblr.com
    i panic! at (a lot of places besides) the disco
    i see it, i like it, i want it, i got it


    va così, senza un vero contesto, dirottate questa role dove volete tanto reese vi detesta a prescindere
  6. .
    reese e.p. withpotatoes
    salem e.p. hilton-peetzah
    Hey baby, you ok? Still feeling strange?
    I'm starting to think our luck could change.
    Some people fear the end but I carry it,
    it's in my pocket, it keeps me safe
    «e quindi.»
    Non c’era inflessione alcuna nella voce atona dello stratega, né c’era emozione nello sguardo chiaro posato sulla figura di Isaac, dall’altra parte del bancone, che lo osservava di rimando.
    «gli affari vanno così male?»
    Come altro si poteva spiegare quella festa, altrimenti, se non con il vano (e francamente un po’ scialbo) tentativo di tirare su quattrini organizzando una serata a tema nella speranza di vendere più drink possibili a persone con la passione per i gonnellini di paglia e le camice a stampe floreali?
    «ma pensa.»
    E pensare che Reese aveva contribuito così tanto, nel corso degli anni, prendendo molto a cuore il destino economico del Captain Platinum, e svuotando spesso le sue tasche per riempire la cassa del locale, il tutto in cambio degli alcoli più in alto sugli scaffali, perché non beveva le poveracciate, lui.
    «pessima idea.»
    Lasciare l’organizzazione della serata in mano a Oakes e Sargent; Reese non le conosceva così bene, ma avevano entrambe l’aria di due persone che non erano solite mettere mano a preparativi di quella portata; stando al modo in cui si guardavano di sottecchi, preoccupate e giocando con le dita con fare nervoso, sembravano molto poco a loro agio.
    «mah.»
    Forse Isaac e Niamh avrebbero dovuto pensare a qualcosa di diverso, e affidarsi a qualcuno con più esperienza.
    «boh.»
    Quella sera – un po’ come tutte le sere – Reese aveva scelto di non esplicare nemmeno un singolo pensiero, e di lasciare che le frasi amletiche scivolate via dalle labbra inumidite dall’alcol fossero abbastanza per far comprendere il proprio punto di vista agli altri; non valeva la pena spiegare, se non erano in grado di arrivarci da soli non avrebbero comunque capito.
    «un altro. doppio!»
    Fasciato nel completo grigio antracite, con tanto di cravatta e panciotto di qualche sfumatura più scuro, Reese Withpotatoes stava a quella festa come un Alister Black stava alla convention di Sherry Otter: fuori posto, ma pur sempre in maniera elegante.
    In verità, quando era arrivato al locale di suo fratello, non aveva immaginato di trovarlo così pieno; nemmeno a dirlo, poi, non si era aspettato di essere trasportato in una rivisitazione scadente di una spiaggia tropicale, le orecchie violentate dalla musica che si spargeva a volumi disumani dalle casse. Era andato lì, tappa fissa di quasi tutti i post lavoro, per ordinare i suoi due (o tre, o dieci) bicchieri di vino o di amaro, mangiare qualcosa per fingere di essere responsabile abbastanza da lasciare ai carboidrati l’ingrato compito di assorbire e attenuare un po’ il potere stordente dell’alcol, e giudicare silenziosamente le scelte di vita di Isaac Lovecraft, uno dei suoi passatempi preferiti.
    Che ci fosse un doppio fine, a quella festa, Reese non ne aveva la minima idea.
    Che avesse ricevuto la stessa notizia che, di lì a poco, suo fratello e molti altri avrebbe ricevuto, non ne aveva la minima idea. La sua lettera, la lettera di Salem Hilton-Peetzah, era stata recapitata quasi un decennio prima, ad un Reese poco più che diciottenne, ingenuo e certo che da quella vita potesse reclamare molto più di quello che gli era stato dato; che se lo meritasse. E che, allo stesso tempo, potesse dare indietro anche qualcosa di suo.
    Una lettera che Reese aveva letto, compreso e accettato, ma sulla base della quale non aveva mai agito; avvicinare Morley o Penn, praticamente suoi coetanei, era sembrata dapprima una follia e poi, via via, era mancato il motivo giusto o il momento giusto. Si era ripetuto spesso che, se avesse trovato l’occasione perfetta, se davvero fosse stato necessario confrontarli, lo avrebbe fatto; ma fino ad allora, avrebbe tenuto quel segreto solo per sé, senza farne parola a nessuno dei suoi amici o, peggio ancora, a nessuno dei suoi fratelli.
    Quel segreto, alla fine, era andato perduto insieme a tutto il resto dei ricordi che avevano caratterizzato la sua vita fino al giorno dell’incidente che lo aveva lasciato, di fatto, smemorato e vuoto.
    Ora, a quasi sette anni di distanza, Reese non aveva più né la forza per reclamare una vita andata perduta, né il bisogno di volerlo fare: la sua nuova esistenza, gli piaceva. Gli andava a genio. Ci stava bene.
    Sapere che avesse perso non una, ma ben due identità, nello spazio di qualche istante, era solo un dettaglio trascurabile nel grande schema delle cose.
    Le sue priorità erano altre, tipo: «isaac! dov’è il mio scotch?» e dire che lo pagava anche profumatamente, quel bastardo di un fratello; il minimo che potesse fare era assicurarsi che il suo bicchiere fosse sempre pieno.
    23.12.95
    strategist
    amnesiac
    reset me
    nothing but thieves


    in teoria reese già sapeva ma ha dimenticato anche questo insieme a tutto il resto; è qui solo perché mi diverse il drama (e magari triggera qualcosa? lo scopriremo insieme)
  7. .
    reese e.p. withpotatoes
    (I am a) kamikazee, I am so lonely
    lonelier than a patriarch labeled liar;
    I shouldn't want it, but I want it
    and it's killing my black soul.
    I want money && power
    && champagne && fame
    (my black heart's to blame)
    La fottuta terza guerra mondiale.
    Ecco cosa era servito alla sua famiglia per smettere di ossessionarsi con la sua vita, piantarla di farne una questione di stato, e andare finalmente avanti.
    Erano stati mesi strazianti, quelli di ritorno dalla (non) Siberia; mesi di domande, e di sedute con la strizzacervelli di fiducia, di notti insonni e giornate passate in un blur confuso, molto spesso indiscernibili le une dalle altre, durante le quali Reese si era ritrovato spesso ad osservare la parete bianca del suo ufficio, richiamato all’attenzione di soprassalto da qualcuno che bussava alla porta o da un messaggio via gufo che piombava nella stanza all’improvviso. Non ricordava mai a cosa stava pensando, solo che c’era qualcosa in tutto quello che non gli tornava, che non quadrava, nei buchi neri nella sua memoria che non avevano nulla a che vedere con l’amnesia con la quale ormai conviveva da quasi sei anni.
    Non aveva idea di cosa fosse successo di preciso; sapeva di aver in qualche modo lasciato la Siberia, di averlo fatto senza Fray, e senza gli altri pazienti di Novosibirsk, e di aver approfittato di un momento di distrazione delle guardie per tentare il tutto per tutto in un gesto disperato, scappando durante il trasporto in chissà quale altra struttura. Come ci fosse riuscito, non era chiaro nemmeno a Reese; il dove, il perché, il quando: rimanevano anche quelle tutte risposte che, a mesi di distanza, il Withpotatoes non poteva ancora raccogliere. Stacey aveva suggerito che potesse essere dovuto al trauma, ma la Buckley non conosceva tutta la storia, solo le parti che il suo paziente reticente aveva voluto condividere con lei; le parti che, prima o poi, avrebbero fatto sì che la doc rilasciasse un attestato in cui ufficializzava la sua ritrovata sanità mentale. Reese era sempre stato perfettamente normale, grazie tante, checché ne dicessero alcuni dei suoi fratelli; ed era molto più che idoneo a fare il proprio lavoro. Grazie fottutamente tante.
    Ma nemmeno lui poteva negare che qualcosa, in quei vuoti, non aveva fottutamente senso. Era come se la sua mente fosse ormai programmata per rimuovere in totale autonomia i ricordi traumatici; terribile, allo stratega non piaceva sentirsi non in controllo di se stesso, che fossero degli spasmi involontari dei muscoli stanchi, o qualcosa di più serio come dei dannati buchi in una memoria già messa a dura prova. Non poteva tollerarlo; e poi c’era quella dannata foto che Isaac gli aveva mostrato, e sulla quale Resse aveva rimuginato anche troppo, senza riuscire a dargli una spiegazione plausibile, o possibile.
    Almeno per un po’, per quanto terribile e sfiancante anche dal suo lato della barricata, la guerra gli aveva offerto una scusa per scollarsi un po’ i fratelli e respirare. Ad Isaac, in guerra, aveva pensato il minimo indispensabile; di Darden non era nemmeno certo di aver saputo che fosse partita per il fronte nemico; di tutti gli altri, a Reese E.P. Withpotatoes non fregava un beneamato nulla. Si era gettato a capofitto nel lavoro, ancora più del solito, offrendo il suo supporto ovunque servisse: aveva coordinato strategie insieme al resto del suo ufficio, aveva raccolto informazioni dai campi di battaglia, aveva coordinato parzialmente le mosse dei ministeri esteri e affiliati. Aveva gestito una pressione che non ricordava di aver mai avuto addosso, negli anni di servizio al Secondo Livello del ministero inglese. Era stato l’ombra di Alister Black, e ne aveva fatto le veci momentanee quando quest’ultimo era stato richiamato in situazioni che richiedevano la massima urgenza e la presenza del Capo Stratega. Aveva fatto notare perché fosse stupido tentare di conquistare uno stato su cui avevano già controllo, e aveva approvato attacchi mirati a posti decisamente fuori dalla sua giurisdizione, ma ugualmente importanti; in una situazione come quella che stavano vivendo, tutti si facevano andare bene tutto, anche le sue scelte.
    Certo, non era mai stato il fan numero uno di Seth, né avrebbe pensato di avere uno special come sovrano, nel futuro, ma una parte di sé aveva quasi ruggito all’idea — e Reese l’aveva percepito come un sentimento positivo, per qualche ragione, e non sapeva assolutamente spiegare perché: non aveva particolare riserbo per gli special, e anzi era convinto ci fosse uno di loro dietro la sua amnesia, ma non aveva mai potuto dimostrarlo concretamente, ed era rimasto qualcosa di irrisolto e non detto tra Reese e un’intera razza.
    La stessa che ora, dopo quaranta giorni di battaglie e un numero altimissimo di vite perse, da ambo i lati, era destinata a diventare ben più di quanto i maghi l’avessero mai considerata. Vero, non ci voleva poi molto, consideranto come l’avessero considerata fino a quel momento storico, ma eh. Rimaneva una cosa su cui Reese sentiva di provare emozioni contrastanti: da una parte era felice perché (gli special avevano vinto) il Ministero inglese aveva fatto un’ottima figura spalleggiando Abbadon e offrendo tutto il suo supporto militare; l’altra era profondamente delusa per l’esito di quel conflitto.
    Ma di quei tempi, erano molte le cose che Reese non riusciva a spiegarsi, e aveva smesso di cercare risposte nei soliti posti; aveva accettato il fatto che non le avrebbe mai trovate. Poteva quasi convincersi che non gli interessava nemmeno farlo.
    Quasi.
    Altre cose, invece, erano ancora semplici e familiari.
    Come il corpo che osservava in lontananza, mentre felino si aggirava tra i clienti del Lilum e riscuoteva sorrisi, complimenti e qualche mancia extra; un corpo che fino a poco prima aveva visto muoversi sinuosamente sul palco, e che l’aveva ammaliato e stregato. Ogni volta era come la fotttua prima volta. Cassandra Turner, era impossibile starle lontano, nonostante era chiaro che lei non desiderasse altro — e anche Reese. Ma era proprio quell’idea a spingerlo, ancora e ancora, in direzione della ballerina.
    Quello, e l’aria gelida di lei, e lo sguardo impassibile, e il modo in cui sosteneva quello dello stratega; poteva negarlo quanto voleva, ma lo sapevano bene entrambi che la storia da raccontare era tutta un’altra.
    Mandò giù ciò che rimaneva del liquido ambrato contenuto nel bicchiere, e abbandonò il suo posto, avvicinando la ballerina ormai libera dai corteggiatori, alcuni occasionali, altri fedelissimi del posto. L’accenno di sorriso che piegò gli angoli delle labbra verso l’alto non aveva assolutamente nulla di divertito o cordiale, ma Reese immaginava che Cassie questo già lo sapeva. «e quindi l’hai fatto,» lo lasciò scivolare dalle labbra al posto di un saluto, incrociando le braccia al petto e poggiando una spalla alla parete, senza bloccare la strada di Cassandra o senza entrare troppo nel suo spazio personale; aveva bevuto più del necessario, ma era perfettamente in grado di regolare i propri gesti, e le parole. Almeno in quel senso, sapeva sempre come rimanere in controllo di se stesso, «hai finalmente cambiato la tua routine Per un cliente abituale come lui, iniziava a diventare abbastanza ripetitiva la vecchia; e lui non era nulla se non un attentissimo osservatore. «cos’è, hai ricevuto qualche lamentela per caso?» oltre la sua, ovviamente, mossa personalmente e direttamente alla Turner.
    Allargò il sorriso, senza distogliere lo sguardo da quello chiaro di lei, ma abbassandolo solo per un secondo sulle labbra truccate della ragazza. «non era affatto male,» disse, l’esperto di balli sensuali, «ma puoi ancora fare di meglio.» un po’ ci sperava nello schiaffo – fisico o verbale, whatever – della Turner: avrebbe dato un senso nuovo alla serata.
    gif code
    1995
    strategist
    amnesiac
  8. .
    OMG! Ho trovato la figurina di isaac lovecraft!
    link role: i had hope, normal things


    inviata

    Edited by ‚soft boy - 29/4/2023, 01:25
  9. .
    «Ti dispiace se accendo una candela?»
    Sì, gli dispiaceva molto.
    «Fai pure.» Mentire mantenendo un sorriso cordiale sulle labbra non era così difficile; serviva solo un po’ d’esperienza e Reese ne aveva accumulata abbastanza in quegli ultimi anni.
    Si accomodò sulla poltrona blu, sistemando il cuscino dietro la schiena per stare più comodo. «Fragranza nuova?» Purtroppo per lui, aveva imparato a distinguerle a spese delle proprie narici e quella era piuttosto certo di non averla mai provata. «Ha un buon profumo.» La odiava. Cos’era? Lavanda? Rosa? Gelsomino? Impossibile dirlo: puzzavano tutte delle stesse note di chimico misto a stoppino bruciato.
    La Buckley rivolse lo sguardo nella sua direzione, sopracciglio arcuato e fiammifero ancora acceso tra le dita. Non gli rispose, ma si limitò ad osservarlo qualche istante prima di prendere posto sulla propria poltrona. «Un regalo.» Ah, ma pensa: che fortuna.
    «Mh.»
    C’era un limite anche alla finta cordialità del Withpotatoes e il fatto di dover essere lì, lo riduceva di molto: la psicomaga aveva detto più di una volta che fosse necessario, al fine di poter stilare un resoconto delle sessioni che fosse il più accurato possibile, che Reese parlasse con lei; beh, lo stratega non era certo noto per la sua indole chiacchierona. Né faceva sfoggio di una gran espansività, o voglia di condividere le sue cose con degli sconosciuti.
    Non che Stacey lo fosse, dopotutto: la vedeva regolarmente da mesi, ormai. Anni. Avevano una certa routine, delle abitudini: lei faceva domande stupide, Reese le dava risposte volutamente evasive ma oneste abbastanza da non poter trovare appigli per bocciare la sessione. Sapeva di starle simpatico, per qualche strano e inesplicabile motivo, ma non voleva dire che la dottoressa fosse disposta a passare su qualsiasi cosa. Doveva concedere qualcosa, e sperare che prima o poi avrebbero messo un punto a quegli incontri.
    Visti gli ultimi eventi, però, al Withpotatoes quella sembrava una prospettiva quanto mai lontana e irraggiungibile: per motivi che non dipendevano minimamente da lui, si ritrovava costretto a dover continuare con quella farsa ancora per un po’.
    Stacey si schiarì la voce; Reese sollevò un sopracciglio.
    «Dunque,» Reese sospirò.
    «Dunque
    Stacey sorrise, quel sorriso dolce ma che lo stratega non poteva far a meno di sospettare nascondesse molto altro. Una conoscenza profonda, una mente brillante; a modo suo, la trovava simpatica anche lui.
    Se solo non fosse stata una strizzacervelli.
    Spostò le iridi azzurre fuori dalla finestra, preparandosi già alla domanda che, lo sapeva, stava per arrivare.
    «Vuoi parlare di quello che è successo?»
    Eccola lì.
    In quanti glil’avevano chiesto? E quante volte aveva risposto che “no, grazie, non voglio”?
    «Ne abbiamo già parlato: ottobre, rapimento, laboratorio, siberia, trasferimento, fuga.» Contò ognuno di quei punti salienti alzando un dito alla volta, senza battere ciglio. «Sto dimenticando qualcosa?» , i dettagli: ma non li avrebbe forniti. Non di nuovo.
    La Buckley schioccò la lingua contro il palato, prendendo appunti. Poi tornò ad osservarlo. «Nessun nuovo dettaglio? Nessun ricordo degno di nota? Nulla?»
    Si limitò a scuotere la testa, e a stringersi nelle spalle. «Deve essere un vizio, Doc.» Non sarebbe stata la prima amnesia per lui, infondo: era credibile. Il fatto che ricordasse ma non ne volesse parlare era un altro paio di maniche.
    «Reese,» il fatto che fossero ormai passati al nome di battesimo la diceva lunga sul loro rapporto, «parlami. Lo sai che-» «-fa bene? Che aiuta?» Un sorriso morbido, lo stesso che rivolgeva ad Idem ogni tanto quando provava a fargli gli stessi discorsi. «Doc, sto bene.» E quella non era una bugia: non era cambiato, era ancora un mago, e tutto sommato gli incubi legati al laboratorio erano preferibili al vuoto cosmico con cui si era svegliato quasi sei anni prima.
    «Hai contattato qualcuno dei tuoi fratelli? Qualche amico?»
    «Certamente.»
    «I colleghi non contano.»
    «Al Black non piacerà sapere che lo reputi senza valore, Stace....» Lei non battè ciglio. «Dovresti scrivergli. È la tua famiglia.» Valeva lo stesso, pure se aveva la sensazione che gli mentissero da tempo? Ne dubitava. «Lo farò, lo farò.» Certe volte, invece, mentiva sapendo di non convincere proprio nessuno. Ed era perfetto così.

    Ala fine, non lo fece.
    Ma fu Isaac a decidere per lui, con una telefonata che Reese aveva valutato di ignorare. E che invece, alla fine, aveva accettato.
    Una telefonata, e un’appuntamento. Perché non poteva semplicemente aspettare di vederlo al Ministero, il lunedì successivo? Cosa c'era di così urgente da doverne discutere subito? «Spero sia una cosa veloce.» Era un mago impegnato, lui, a differenza del pavor.
    Che quell’incontro avrebbe portato solo guai, Reese lo sentiva, più che saperlo; aveva accettato l'invito di Isaac solo per limitare i danni fin dove possibile. «Di cosa mi devi parlare?» Non era andato al parco solo per fare due chiacchiere tra fratelli e recuperare il tempo perso; gli concedeva al massimo una decina di minuti, prima di andarsene, e immaginava che il Lovecraft lo sapesse.
    reese e.p.
    withpotatoes

    I can't hear what your saying,
    now my ears are ringing out,  
    I won’t stay, I'm not waiting
    for the smoke to settle down.
    27 | dec. 1995 | london (uk)
    strategist | deatheater
    2043 | salem hilton-peetzah
  10. .
    reese e.p. withpotatoes
    Speak in tongues,
    I don't even recognize your face;
    mirror on the wall
    tell me all the ways to stay away


    1995 ✧ former raven ✧ strategist
    I had
    to lose my way
    to know
    which road to pave
    Per rimanere fedele al personaggio non rileggerò i post, e mi lascerò guidare dal flusso della conversazione caotica che stava accadendo tra un Reese decisamente non in forma (per essere gentili) e un Jay(bnin) che non ci stava provando affatto (comprensibile).
    A quel «a volte mi ha detto di recesso del genere» il Withpotatoes annuì con aria solenne, perché aveva intuito si parlasse di roba importante: recessi, genere, era chiaramente una questione di «il mio dio ❤️» beh, si dai, a voler essere pronfondi e filosofici poteva anche starci.
    Se ricordava di aver invitato l’altro a visitare casa sua? No, lo aveva già rimosso. Le iridi chiare di Reese — no, che dico, di Lapo, erano incollate sulle bottiglie alle spalle dell’altro. Che non accennava a versargli da bere.
    «i maneskin hanno plagiato i cugini di campagna»
    Laporeese guardò Jay.
    Sbattè le palpebre un paio di volte.
    «Ho sbagliato. Dicevo:» schioccò la lingua contro il palato e indicò le bottiglie con un dito. «detto QUESTO MOMENTO PIÙ SPECIALE non mi ha chiesto se potevo avere la possibilità di avere una vita» oh mannaggia. «ci riprovo. mi metti da bere? guarda che ti pago. Sono il Linguini ricco. Lo sai che ci sono un sacco di vie intitolate a mio nome?» ma proprio tante.
    «HO ANCHE CHISSÀ SE INVECE LUI NON STOP» «si blanchito beibe ma non urlare» avrebbe roteato gli occhi, Laporeese, se solo farlo non gli avesse fatto provare la stessa identica piacevole sensanzione di tremila aghi conficcati nella calotta cranica. Sguardo vagamente infastidito sia, allora. «però vabbè tanto ti penso sempre con te lo meriti è lunedì abbiamo fatto una bella esperienza» belissima, così bella da rimanere unica e irripetibile. Ma più nella vita.
    Le labbra dello stratega si piegarono involontariamente in un sorriso lercio (perché dire ubriaco non rendeva abbastanza) quando, alla fine, convinto dalle proprietà di linguaggio del ministeriale (.), l’altro gli versò finalmente da bere. «fammi un (mi rifiuto)» Laporeese, clemente come solo Russo sapeva essere (BADM TSSSSSSS), alzò un dito, per fermarlo prima che si potesse incriminare da solo. «se dici possiamo sentirci domani per le vacanze forse è meglio che dormire» Tutto era meglio che dormire. Di solito. Tipo in quella circostanza. Forse dormire avrebbe aiutato la situazione di Reese.
    Di certo, non avrebbe potuto peggiorarla.
    «l'ultimo poi basta che il tuo numero di➡➡ altrimenti mi tocca farti piroettare» ecco, magari le piroette no, che non si sentiva proprio un campione in quel momento. Scosse appena il capo, portando il bicchierino alle labbra e respirando il profumo della bevanda prima di mandarla giù (spoiler: era tè alla pesca #cosa?cosa).
    «Mi hanno detto di non dirlo,» era pensieroso, come se qualunque cosa stesse per dire, gli costasse estrema fatica, «forza torino» scusa elisa te lo meriti per l’altro giorno, dicevamo.
    Alzò appena lo sguardo, osservando Jay da dietro folte ciglia bionde.
    «sull'altro lato Hamilton scia di sangue»
    Chissà se vi ha appena maledetti, immagino lo scopriremo solo vivendo.
    «oddio.»
    Cicchetto mandato giù.
    «ominous»
    Bicchiere sbattuto sul bancone.
    «chissà quando mai l'ho scritto»
    Pausa.
    «detto, stupido correttore»
    Restituì il bicchierino a Jay.
    «hai capito qualcosa di quello che ho detto?»
    «quando vuoi amo»
    Tradotto: stava chiedendo di riempirlo di nuovo.
    I give it all my oxygen,
    so let the flames begin ©
  11. .
    when & where
    halloween 22, labs
    what
    strategia !1!
    who
    pinterest.app
    Le sandi avevano studiato un piano preciso e infallibile per uscire da quel posto, ma nessuna delle due aveva preso appunti quando avrebbero dovuto. Un errore da principianti.
    Quindi, alla fine della fiera, i freese non avevano assolutamente idea di come uscire di lì; solo vaghi ricordi di qualcosa che non era nemmeno lontanamente paragonabile ad un progetto di fuga.
    Erano, di fatto, tornati al punto di partenza.
    Reese si massaggiò le tempie, stanco e messo a dura prova dalla compagna di cella, più che dalla situazione che stava vivendo — il che era tutto dire.
    Non avevano affatto that thing under control, il titolo della role era una menzogna.
    Fray, poi, era lontanissima dalla meta. «quindi la tua alternativa è? Aspettare? Oh, non credo proprio» Strinse le labbra in un'espressione di disappunto, il Withpotatoes, osservando con occhi severi la giornalista. No che non voleva aspettare, ma non vedeva altre soluzioni per il momento, non senza avere una visione più ampia della situazione, o uno stralcio di idea di dove fossero finiti.
    Non avevano nemmeno le loro bacchette, per Merlino!
    O le scarpe!
    Reese non vedeva l'utilità di tentare qualcosa che avevabo già provato — e nella quale avevano miseramente fallito.
    La lasciò fare, però, avvicinandosi a Fray e alla porta solo per affacciarsi finalmente oltre le sbarre della piccola finestrella posta sull'uscio: da lì riusciva a vedere appena una porzione di corridoio e altre stanze sul lato opposto al loro, ma immaginava che ce ne fossero altre anche laddove non arrivava il suo sguardo. Si domandò quante fossero occupate — non abbastanza, forse: non sentiva rumori né lamentele provenire da dietro le altre porte.
    Un'altra cosa che non notava da lì, era una postazione di guardia, o delle guardie e basta se per questo; potevano essere di ronda come non esserci affatto, chiederemo alla palla.
    Okay, le guardie c'erano.
    E non erano di ronda.
    Quindi dove erano?
    «Sus....» ricordate quando dicevo di volere un pg sveglio e intelligente? Beh, a quanto pare non sarà Reese il mio punto di svolta. Chi l'avrebbe mai detto.
    Il Withpotatoes immaginava, comunque, che qualcuno doveva pur esserci, da qualche parte. Si guardò intorno un'ultima volta ma non vide nessuno; prese quindi nota del resto: le pareti di roccia liscia, rovinata; la temperatura abbastanza fresca e umida da suggerire un rifugio probabilmente sotterraneo.
    O forse era solo tenuto terribilmente male.
    Ad ogni modo, posti del genere dovevano avere delle scale da qualche parte, o un portone blindato impossibile da scassinare: la fuga non sarebbe stata semplice e trovare la chiave giusta avrebbe richiesto un miracolo di Natale.
    Anche solo per andare in soccorso di una Fray destinata a fallire nuovamente. Reese rimase attaccato alle sbarre del piccolo oblò, e portò gli occhi verso il cielo. «Ti lamenti davvero ta-» Poi le diede un colpo (abbastanza, dai.) delicato con il piede per richiamare la sua attenzione: dal basso, lei non avrebbe impiegato molto a notare ciò che Reese voleva indicargli.
    «Dimmi che la vedi anche tu,» la guardia sul soffitto.
    Palla burlona.
    Si staccò lentamente dalla porta, portando con sé la rossa: quanto meno, il ninja non sembrava essersi accorto di esser stato sgamato dai due. Reese si fermò solo al centro della stanza, indice alto in direzione di Fray e un piano (folle, assurdo, decisamente non da stratega) a prendere forma nella sua mente. «Ascolta. Il corridoio è vuoto, c'è solo -» indicó verso l'alto, ancora incredulo (ma chi cazzo assumevano da quelle parti...) «quella guardia. Se creiamo abbastanza disordine potrebbe decidere di intervenire,» e la palla ha detto sì, «e una volta dentro, noi la attacchiamo.» l'ho già detto che fosse un piano folle? Beh, lo ripeto.
    Eccola di nuovo lì, quella sensazione di flight or fight di poco prima, che lo implorava di restare e combattere; non voleva ammetterlo nemmeno a se stesso ma il fervore con cui stava riflettendo sui dettagli di quell'idea, lo preoccupavano non poco. Solitamente era più calmo, più meticoloso. Non si riconosceva, ma allo stesso tempo si sentiva come se avesse già vissuto migliaia di momenti simili.
    Decise di non pensarci troppo.
    «Creiamo un diversivo...» si guardò intorno ed indicò il letto. «Ribaltiamo quello,» perché “prendiamoci a schiaffi” era troppo immaturo, «e poi ci nascondiamo. Quando entra, uno dei due gli salta al collo e lo tramortisce.» E perché proprio Fray, cit la palla. «Quando è privo di sensi, lo perquisiamo, gli rubiamo» le scarpe, «la divisa e le chiavi, e lo chiudiamo qui dentro.»
    Picchiettò con due dita sul mento, osservando Friday. «Tu hai un camice, se io mi fingo una guardia abbiamo almeno un'opportunità di tentare di arrivare all'ingresso principale. O uno laterale, mi accontento di tutto.» Proprio così. «Potremmo addirittura aprire le altre celle e creare ancora più caos... per lo meno, quello coprirebbe le nostre tracce. Forse.» Ma voleva davvero liberare chissà chi? Mh.
    Va beh, intanto potevano iniziare dalla fase uno.

    Fase uno: litigare.
    Almeno un punto non l'avrebbero sicuramente cannato.
    «Non ti sopporto più, non ti sta bene niente Guardó Fray in cagnesco, aggirando la struttura del letto. «Allora esponi la tua idea geniale, sentiamo. Adesso sono io ad essere tutto orecchie!» Stava usando un tono di voce troppo alto per i suoi gusti, sentiva già le corde vocali pizzicargli. Ma doveva farsi sentire dalla guardia, no?
    «Stronzate!» e tirò un calcio al letto, riuscendo effettivamente a spostarlo e creare abbastanza casino.

    Fase due: monitorare.
    Dopo aver calciato il letto, Reese azzardò uno sguardo verso la porta con la coda dell'occhio.
    «Bingo.»
    Fece un cenno a Fray, per indicarle l'ombra della guardia oltre le sbarre, nella speranza che ricordasse la sua parte (nascondersi dietro la porta e uscire SOLO al momento opportuno!!) e non mandasse all'aria tutto.

    Fase tre: distrarre.
    Scattò sull'attenti insieme al rumore della serratura che veniva aperta, palmi rivolti verso l'esterno e braccia alzate. «Non è colpa mia.» in effetti, era colpa di Fray che lo triggerava, a prescindere. Rivolse un sorriso sghembo alla guardia, confusa dal baccano ma ugualmente intenzionata a fare il lavoro per cui era pagata (oltre che imitare i ninja). «Le assicuro che non è a me che dovrebbe -» lasciò la frase in sospeso, mentre Fray faceva il suo e lo tramortiva da dietro. Spero. Non lo so, Sara stupiscici.

    Fase quattro: derubare.
    «Cazzo, questo qui ha solo una chiave.» Possibile che fosse così inutile?! Maledetto. La intascò comunque, Reese, prima di prendere anche la giacca dell'uomo. E le sue scarpe.

    Fase cinque: uscire.
    «Andiamo.» Dove? Non lo so, lo scopriremo insieme al prossimo post.
    Reese
    Withpotatoes
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    CITAZIONE
    19) [ON] una chiave che apre qualsiasi porta chiusa (purchè non sia chiusa con un incantesimo di magia superiore; funziona come un alohomora)
  12. .
    OMG! Ho trovato la figurina di jayson matthews!
    link role: it's a hell of a feeling though


    -7!!!
  13. .
    reese e.p. withpotatoes
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    1995 ✧ former raven ✧ strategist
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    to lose my way
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    which road to pave
    Jay non era impressed dai suoi racconti e, anzi!, se il Withpotatoes fosse stato un attimo più presente e meno preso dal proprio monologo, si sarebbe accorto che lil barista non stava prestando abbastanza attenzione a quanto (di importante) lui aveva da dire, pensando invece a cose più banali come quanti clienti ubriachi aveva incrociato in tot anni di lavoro e bla bla bla.
    Noioso — si stava perdendo tutto il succo del discorso!! Le descrizioni dell'azienda, gli elogi a Torino Capitale (scriverlo è stato difficile, una vera fitta al cuore), la magnificenza di una città importante, moderna ma con una ricca storia alle spalle.
    Si stava perdendo tutto.
    E poi, quale persona sana di mente non avrebbe voluto visitare Torino almeno una volta nella vita?! E chi poteva resistere al fascino delle quattro ruote, specialmente se del marchio automobilistico più importante del mondo? CHI?
    Nessuno, secondo (Reese) Lapo Linguini che, imperterrito, continuò a sciorinare fatti e nozioni senza accorgersi che erano parole che cadevano nell’etere baristico, laddove riposavano tutte le conversazioni ubriache di commensali alticci e dalla lingua fin troppo sciolta.
    Solo di tanto in tanto la voce dell’altro giungeva alle orecchie del WP, che a quel punto spostava lo sguardo per osservarlo un secondo di troppo cercando di capire se ce l’avesse con lui e, soprattutto, cosa avesse detto; era difficile stare al passo con la conversazione quando (la tenevi da solo) la tua mente era convinta di parlare l’italiano e un po’ meno bene l’inglese. Strane cose accadevano in quel della psiche di Reese.
    «siamo parenti? chiedo» Quello però l’aveva captato e capito e, con tutta franchezza: minchia amio come sei triste, dai, è un modo di dire. «anzi, guarda, lascia stare» Troppo tardi, Lapo aveva già la risposta pronta.
    (Anche se, rude! “Reese non avrebbe capito comunque.” gne gne gne, Reese forse no, certe piccolezze non rimanevano abbastanza impresse su di lui per poterle davvero assimilare e reagirvi appropriatamente — ma lui era Lapo.)
    Arricciò le labbra, facendosi pensieroso. Dubitava lo fossero davvero, anche se per quel che ne sapeva (Reese) Lapo, tutto poteva essere. «Non lo so — sei italiano?» lo indicò da cima a fondo, o dovunque riuscisse a indicare con i gesti resi più scoordinati dall'alcol. «O, insomma, hai sangue italiano? Noi siamo tanti, quindi non escluderei la parentela.» Come sapeva che lo fossero? Beh, lo sapeva e basta.
    Così come sapeva un sacco di altre cose.
    (Che poi, chi cazzo l'ha stregato 'sto Amaretto, io mi chiedo.) (E, soprattutto, perché.) (Chissà se è uno scherzo malriuscito di Gigio nei confronti di Lollo — non sarebbe troppo assurdo infondo.)
    L'espressione di Jay scivolò addosso al muro di egocentrismo e sbronza che Reese aveva innalzato col passare delle ore e l'aumentare dell'amaretto nel suo sistema, ma sentirsi giudicato non era comunque piacevole — era una sensazione particolarmente sgradevole che sussurrava parole maligne da qualche parte nel suo incoscio; una voce petulante e difficile da zittire che gli ricordava di esser stato giudicato abbastanza nel corso della vita da averne le palle piene.
    Se fosse una voce appartenente a Lapo oppure a Reese stesso, lo stratega non avrebbe saputo dirlo; qualsiasi fosse la verità, comunque, avevano entrambi imparato ad ignorarla, nel tempo, e Reese fece esattamente quello. C’era un tempo e uno spazio per tutto, anche per farsi demolire atomo dopo atomo dalle proprie inadeguatezze, ma non era quello.
    «ho la tendenza a sparire,» big «mood» chi non avrebbe voluto sparire ogni tanto, dico bene. Il resto della frase andò perso nella cacofonia di pensieri che rimbombavano nella sua testa, anche perché “migliorare” era un termine sconosciuto a Lapo (e di conseguenza Reese) poiché era già il migliore. O almeno così voleva credere — e far credere.
    La verità era una storia ben diversa.
    «un viaggio dall'altra parte del mondo è l'ultima cosa che mi serve. te invece dovresti pensare di tornare a casa» Secondo i suoi veloci calcoli (resi possibili solo perché, in qualche modo e maniera, Reese sembrava conoscere ancora la geografia terreste; una piccolissima consolazione in tutto quel disastro, ma avrebbe accettato le vittore in qualsiasi forma e misura avessero deciso di presentarsi) l'Italia era ancora doveva i movimenti tettonici l'avevano piazzata, e non era esattamente “dall'altra parte del mondo” rispetto all’Inghilterra, ma ad un paio di ore di distanza.
    «Solo se prendi i voli su Poracci in Viaggio, amico.» Si sentì quindi in dovere di informare l’altro, perché con quelli, e le loro nove ore di scalo a Francoforte per fare una tratta stupida come Roma-Madrid, allora sì che ci voleva davvero una vita e mezza; altro che giro dall'altra parte del mondo!
    Alzò due dita per chiedere un altro cicchetto di qualsiasi cosa Jay avesse da offrire — un gesto dettato dalla forza dell'abitudine, non aveva davvero voglia di bere ancora.
    Forse.
    «Altrimenti è vicino, poi con la Smaterizzazione ci vuole anche meno.» Strinse le spalle, tamburellando sul legno del bancone con le stesse dita con cui aveva accennato ad un altro giro. Poi sorrise, un po' di sbieco e un po' idiota, un sorriso finto dettato dall'alcol, e aggiunse: «possiamo andare insieme, casa mia è lì!» Due piccioni con una fava, era un piano di viaggio perfetto.
    La compagnia? Mmmeh, mica tanto.
    (Lui, lui era “la compagnia” — non si sarebbe augurato a nessuno in nessuna delle due forme o personalità, ma forse Lapo era l’opzione un po’ meno peggio fra le due.)
    Poco importava che Jay non intendesse la casa in Italia, affermazione che Reese accolse con cenno dismissive della mano. «L'unica casa che conta è la patria.» Quel Lapo doveva essere davvero un tipo strano — ma era una stranezza che Reese aveva accettato senza nemmeno rendersene conto, sposandola e facendola sua nel momento stesso in cui aveva perso la propria.
    (Quella facilità, se fosse stato lucido, avrebbe rischiato di terrorizzarlo: era così banale perdere se stessi e la propria identità. Era davvero questione di un battito di ciglia o uno schiocco di dita. Assurdo. Terribile.)
    «Va amata, e va difesa.» Le iridi chiare andarono a posarsi, pesanti, su Jay. «Ma soprattutto: va tifata Calcisticamente parlando, certo, ma non solo; un vero italiano perdeva sonno e raziocinio ad ogni corsa di Formula Uno. «La Ferrari.» Esalò con un filo di voce — l’ultimo che gli restava, automobilisticamente parlando. Ah, Elisa sarebbe stata fiera di lui — chiunque fosse Elisa per Lapo, comunque; non era certo di saperlo ma sentiva di averci un forte legame.
    «Pensaci, è un’ottima offerta» come se lui ne facesse di pessime, poi. «Nel frattempo non è che mi verseresti del —» boh, qualsiasi cosa andava bene, tant’è che indicò le bottiglie alle spalle di Jay.
    Il “top shelf” era implicito.
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  14. .
    Reese, hai bevuto troppo amaretto, e sei convinto di essere Lapo Linguini. Devi convincere Jay a venire a fare le vacanze a Torino e fare un tour della Fiat.



    reese e.p. withpotatoes
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    C'era una domanda che si riproponeva con insistenza, ormai da ore, in una parte remita della mente di Reese: chi diamine è Lapo Linguini?
    Ma era una domanda, se vogliamo, marginale nel grande schema delle cose di quella serata, poiché la risposta più semplice, l'unica che importasse, era solo una: era lui, Lapo Linguini.
    Duh.
    Non aveva senso cercare ancora, aveva già risposto da un pezzo a quel quesito — e la voce razionale che continuava a suggerire il contrario era troppo debole, un flebile sussurro appena udibile, incapace di far breccia nella parte meno razionale della mente dello stratega, annebbiata, tra l'altro, dall'alcol.
    E da qualsiasi altra cosa avesse mandato giù nel corso della serata — a quel punto non era più così certo di cosa fosse entrato in circolo nel suo corpo, e non se la sentiva di escludere cose ben più forti del semplice whiskey.
    Per qualche ragione, l'idea di aver inconsapevolmente assunto droghe, non lo turbava come avrebbe dovuto; era quasi tranquillizzato da quella possibilità. L'idea di un'esistenza fatta di sobrietà, in quel preciso momento, gli sembrava insostenibile e poco allettante.
    Non ricordava il momento esatto in cui aveva smesso di pensare a se stesso come Reese Withpotatoes, ma tra uno shot e l'altro qualcosa era successo, switchato, e ora riusciva solo a pensare, tra le altre cose, a camicie bianche di lino, risvoltini e mocassini, e alla Juventus.
    (Terribile.)
    Avrebbe voluto essere abbastanza lucido da domandarsi cosa diamine ci fosse in quell'amaretto che gli avevano offerto — ma, appunto, avrebbe dovuto essere in controllo della propria mente almeno lo spazio di un minuto, quello necessario a formulare un pensiero coerente; lusso che purtroppo lo stratega, in quel momento, non aveva.
    Ancora meglio: se avesse potuto riavvolgere il tempo e tornare indietro, avrebbe impedito al se stesso del passato di accettare del tutto quel drink, ed evitare così a priori l'incidente.
    Ma non poteva e, francamente, visto lo stato attuale delle cose, non gli importava: la sua unica preoccupazione era raccontare le bellezze della città italiana, decantare da cima a fondo tutte le sale di Mirafiori, parlate di quante stupendevoli cose in mostra esponesse il complesso, quanto valesse la pena visitarlo.
    Detto (e scritto.) da uno (e una.) che non ne conosceva neppure l'ubicazione geografica, era davvero molto (poco) convincente; a Reese non era mai mancata la sfacciataggine, e era la prima volta che gli capitava di dover portare qualcuno a vedere le cose dal suo (corretto) punto di vista.
    Era lì, preso bene e ubriaco marcio (perché a quanto pare il destino ha deciso questo per lui: alcolismo.), che tentava di convincere il suo interlocutore a visitare la fabbrica del marchio automobilistico italiano — con annessa visita della città perché, che fai, una volta lì non ci vai in Piazza Vitto???? Non vai a vedere la residenza estiva dei Linguini????? E tanti altri luoghi che vorrei ricordare ma evidentemente dovevo prestare più attenzione quando Eli ne parlava perché ora non mi sovvengono MA!! Appunto, vai a Torino e non ci vai a vedere tutti i posti graziati dalla presenza di Vittorio Emanuele Linguini, in arte Lapo?!
    Assurdo.
    Inconcepibile.
    «Non puoi perderti delle cose così importanti.» Perché avesse così a cuore quella questione, era un punto interrogativo enorme anche per lo stesso Withpotatoes che, dal canto suo, ringraziava la beata ignoranza generata da un cocktail di alcolici e molto altro di cui, per sua fortuna, non aveva coscienza: sarebbe stato molto più terribile essere lucido e avere pensieri coerenti, in quei momento; non avrebbe potuto sopportare la consapevolezza di essere abbastanza se stesso da essere spettatore silente e allo stesso tempo non abbastanza in controllo da potersi fermare.
    Odiava ogni singolo aspetto di quella leggerezza che sentiva nelle ossa e che scioglieva parole vuote su una lingua fin troppo avida di condividere pensieri con perfetti sconosciuti; odiava essere qualcuno che non era assolutamente, anche (soprattutto) per colpa di magia sconosciuta, droga o alcol. Odiava ancora di più l'idea di tutti i danni che avrebbe dovuto contenere, e riparare, una volta sobrio. Avrebbe potuto far arrestare chiunque l'avesse visto in quelle condizioni pietose, avrebbe potuto far torturare le loro famiglie o minacciarli di consegnarli al ministero accusandoli di essere terroristi — ma la verità è che avrebbe preferito fingere di non averli mai visti prima in vita sua piuttosto che affrontare le conseguenze di tutto quello.
    Fermare il fiume in piena che sgusciava via dalle labbra era impossibile; una condanna, la sua.
    E per chi lo stava ascoltando, ne era certo.
    Odiava svegliarsi frastornato e senza ricordi su quanto accaduto la notte precedente, riportava sempre alla memoria quel giorno di cinque anni prima quando aveva aperto gli occhi senza ricordare chi fosse né chi fosse stato, e la sensazione di smarrimento post sbronza era sempre destabilizzante e traumatica — ma in quel caso, e lo avrebbe pensato sicuramente se ne fosse stato in grado, la mancanza di memorie sarebbe sembrata un gesto clemente nei suoi confronti, un atto di pietà.
    Per il momento però doveva fare i conti con gli effetti di un amaretto devastante. «Credimi, lo so molto bene.» Dopotutto, era Lapo Linguini, no? Chi conosceva Torino meglio di lui?! Nessuno. «È una città che va assolutamente visitata, e non puoi perderti il tour della Fiat. Ti piacciono le macchine, zio si rese conto di non aver immagazzinato (chiesto?) il nome dell'altro ragazzo, ma non si mostrò titubante o preoccupato dalla cosa, continuando col monologo che andava avanti da svariati minuti, «hai l'aria di uno a cui piacciono le macchine!» o forse voleva solo convincerlo che fosse così, per far sì che accettasse la sua proposta. «Ti piacerebbe molto la visita!» ne era stra-convinto!!
    C'era mai stato? Reese no, ma era Lapo in quel momento e Lapo Linguini (chiunque fosse.) aveva l'aria di uno che la Fiat la possedeva.
    «La consiglio in inverno!» Con la neve, top del top.
    (Perché nevica a Torino, vero? Casta nord, ditemelo voi.)
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  15. .
    when & where
    halloween 22, labs
    what
    strategia !1!
    who
    pinterest.app
    Fray: *parla*
    Reese: 😑🥱😒

    A summary.

    Ma lo stratega era un signore, ed era educato, ed era civile; per tanto, a quel commento secco - e per nulla affatto sarcastico. -, scelse di rispondere con un finto sorriso cordiale che a malapena coinvolgeva le labbra tirate in una linea stretta, figurarsi gli occhi e lo sguardo gelido.
    Certo che se lo meritava lo stipendio, avrebbe dato del filo da torcere a chiunque avesse avuto dubbi in merito — non fosse stato un mio pg, certo. Ma lo è, per sua sfortuna, perciò off game converremo che Fray aveva ragione e che Reese sia il peggiore degli strateghi (vorrei dire che ha margine di miglioramento, ma mi conosco, sarebbe una bugia); on game, invece, daremo la colpa al suo inesistente interesse e all'atteggiamento tutto fuorché collaborativo.
    Con le braccia incrociate al petto, e gli occhi fissi su quanto Fray stava cercando di fare, Reese si limitava ad osservare l'evolversi di quella scena senza muovere un dito per aiutare la giornalista, poiché lo sapeva, come una certezza impossibile da ignorare, che non avrebbe funzionato. Ma la lasciò fare, perché tanto avevano un sacco di tempo da perdere, EH FRIDAY? FAI PURE CON CALMA MI RACCOMANDO.......... Se fosse stato il vecchio se stesso, quel Reese che aveva dimenticato già da tempo, probabilmente avrebbe approfittato di quei momenti di silenzio per mettere a dura prova la concentrazione della de13th, con un fiume di parole più o meno utile e tanti commenti non richiesti borbottati a mezza bocca — ma non lo era, e quella nuova versione di sé preferiva lasciare che fosse il silenzio carico di significato a parlare per lui.
    Poi, il rumore.
    Non sembrava lo scatto di una serratura che veniva magicamente aperta da abili dita di scassinatrice, perché non lo era. Reese aggrottò le sopracciglia, uno sguardo interrogativo rivolto a Fray e, per un attimo, un breve ma intensissimo attimo, sperò di essersi sbagliato e che quel piano avesse davvero, miracolosamente, funzionato.
    Ma no.
    Bastò l'espressione allarmata che lesse sul viso della sua compagna di cella a fargli cambiare idea, e a riportare il pessimismo cronico nelle vane speranze dello stratega. Ovviamente.
    I passi in avvicinamento fecero tutto il resto.
    «fInGiTi mOrTO»
    Reese era una persona pragmatica, che ragionava prima di agire, ma in quel momento si sentì pervadere da un istinto che non credeva potesse appartenergli, uno che gli suggeriva di mantenere la posizione e non cedere terreno, di farsi trovare pronto — di attaccare prima di essere attaccato. Lezioni che il suo corpo aveva preso in un tempo, e in una vita, di cui lui non aveva più memoria, ma che a quanto pareva erano rimasti marchiati a fuoco in qualche parte della sua natura che l'ex corvonero non conosceva.
    Convincere il suo corpo che non fosse una buona idea, costringere i nervi a rilassarsi e fare come suggeriva Fray, fu estremamente difficile: doveva voleva andare senza nemmeno una bacchetta? Non era quel genere di soldato, lui; quello che poteva affrontare i problemi col fisico piuttosto che con la mente, anche se a vederlo in molti avrebbero potuto crederci, vista la sua fisicità.
    Ma no, Reese non era così; nemmeno in un'altra vita, quando quell'istinto primordiale gli aveva salvato la vita in più occasioni di quante potesse ricordare, aveva mai fatto affidamento solo sul suo corpo rinunciando alla magia: non avrebbe iniziato di certo quel giorno, in una situazione di chiaro svantaggio e senza armi per difendersi. E ancora un po' in hangover, non dimentichiamolo.
    Quindi, alla fine, tornò verso il letto nel quale si era svegliato e lasciò che Friday lo ricoprisse con gli strati di stoffa che l'avevano già quasi soffocato una volta.
    Era una posizione ottimale? No, assolutamente no: si sarebbe trovato in difficoltà e avrebbe avuto poco tempo e spazio per liberarsi della stoffa e attaccare, nel caso fosse stato necessario, ma rimase lì, sdraiato e il volto scoperto quel tanto che bastava per tenere un occhio sulla stanza — e su Fray: chi glielo diceva che non fosse tutto un suo piano? Reese non era ancora disposto a crederle ciecamente.
    Annuì lentamente, stando al piano (quale piano?) poi aprì bene le orecchie per ascoltare, per quanto possibile, eventuali conversazioni (o stralci di esse) provenienti da fuori la porta. Avrebbe voluto affacciarsi alle sbarre che davano sul corridoio, ma non era quello il momento (e prima non avevamo ancora parlato di come immaginassimo 'ste porte. Sandi be like.)
    Con un occhio mezzo aperto, e uno chiuso, guardò Fray (solo perché da quella posizione non poteva vedere altro) (e forse perché era anche un po' fissato e sospettoso, ok, avete ragione) mentre al di là della porta succedevano cose.
    Cosa? Non ne era certo.
    Sentì rumore di chiavi (molte, stando alla sinfonia fastidiosa che provocavano sbattendo le une contro le altre — Reese immaginò ci fossero altre stanze lungo quello, e probabilmente altri corridoi; il cigolio di una porta che veniva aperta e un “quello lì” ordinato da una voce maschile, adulta; il rumore di qualcosa che veniva trascinato brevemente, poi di nuovo la porta che si chiudeva. Reese lanciò uno sguardo interrogativo a Friday, occhiata che si fece allerta quando i passi si interruppero di nuovo — proprio davanti la loro porta. Chiuse gli occhi e serrò i pugni, nascosti sotto stoffa e lenzuola, ascoltando le figure parlare.
    «No,» sempre la stessa voce di prima — doveva essere qualcuno con una certa autorità, fosse anche solo il più anziano del gruppo sconosciuto, «non ancora. Verrà organizzato un altro trasferimento.» una riposta a voce più bassa, che Reese non colse; poi i passi ripresero e la prima voce commentò qualcosa su “ordini e sistemazioni e posti e organizzazione e mal di testa" che si fecero sempre più lontani, fino a che Reese smise del tutto di sentirli.
    Solo dopo qualche secondo di totale silenzio, rotto solo dai respiri dei due inquilini della cella, lo stratega si decise ad emergere dalla tomba di stoffa e sedere sul letto.
    «Spero tu sappia che non funzionerà di nuovo.» quel genere di piani avevano la stessa vita si fiammiferi e farfalle. «Non dovevano essere più di due o tre,» stando alle voci e ai passi che aveva udito, «ma non sappiamo quanti saranno quando torneranno.» Puntellò la lingua contro il palato, riflettendo. «Pensare di coglierli di sorpresa è una follia» e, chissà perché, temeva fosse proprio il piano di (sara) Fray, «saremmo in svantaggio, e disarmati» era bene sottolinearlo, lui non avrebbe preso a testate nessuno, non era una bestia.
    (Forse non l'avrebbe fatto; quel momento di esitazione di poco prima lo aveva lasciato perplesso, preoccupandolo in una maniera che non riusciva a spiegare.)
    «E poi, anche se riuscissimo a scappare» ed era un grande “se”, «...cosa? Dove andremmo? Non conosciamo il posto, i corridoi; non sappiamo se ci sono altre... guardie» per qualche ragione, non credeva fossero dottori, quelli appena sentiti: gli parevano più guardie carcerarie. «rischieremmo solo di finire in qualche altro vicolo cieco, e bruciare il nostro unico vantaggio» la squadrò intensamente, cercando al contempo di formulare un piano.
    Uno diverso.
    Che forse arriverà in un altro momento, quando pandi non sarà divisa tra call, bug di progetto e sonno.
    Reese
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34 replies since 17/9/2022
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