the way you move has got me stuck

@ lilum | ft. cassie

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    La fottuta terza guerra mondiale.
    Ecco cosa era servito alla sua famiglia per smettere di ossessionarsi con la sua vita, piantarla di farne una questione di stato, e andare finalmente avanti.
    Erano stati mesi strazianti, quelli di ritorno dalla (non) Siberia; mesi di domande, e di sedute con la strizzacervelli di fiducia, di notti insonni e giornate passate in un blur confuso, molto spesso indiscernibili le une dalle altre, durante le quali Reese si era ritrovato spesso ad osservare la parete bianca del suo ufficio, richiamato all’attenzione di soprassalto da qualcuno che bussava alla porta o da un messaggio via gufo che piombava nella stanza all’improvviso. Non ricordava mai a cosa stava pensando, solo che c’era qualcosa in tutto quello che non gli tornava, che non quadrava, nei buchi neri nella sua memoria che non avevano nulla a che vedere con l’amnesia con la quale ormai conviveva da quasi sei anni.
    Non aveva idea di cosa fosse successo di preciso; sapeva di aver in qualche modo lasciato la Siberia, di averlo fatto senza Fray, e senza gli altri pazienti di Novosibirsk, e di aver approfittato di un momento di distrazione delle guardie per tentare il tutto per tutto in un gesto disperato, scappando durante il trasporto in chissà quale altra struttura. Come ci fosse riuscito, non era chiaro nemmeno a Reese; il dove, il perché, il quando: rimanevano anche quelle tutte risposte che, a mesi di distanza, il Withpotatoes non poteva ancora raccogliere. Stacey aveva suggerito che potesse essere dovuto al trauma, ma la Buckley non conosceva tutta la storia, solo le parti che il suo paziente reticente aveva voluto condividere con lei; le parti che, prima o poi, avrebbero fatto sì che la doc rilasciasse un attestato in cui ufficializzava la sua ritrovata sanità mentale. Reese era sempre stato perfettamente normale, grazie tante, checché ne dicessero alcuni dei suoi fratelli; ed era molto più che idoneo a fare il proprio lavoro. Grazie fottutamente tante.
    Ma nemmeno lui poteva negare che qualcosa, in quei vuoti, non aveva fottutamente senso. Era come se la sua mente fosse ormai programmata per rimuovere in totale autonomia i ricordi traumatici; terribile, allo stratega non piaceva sentirsi non in controllo di se stesso, che fossero degli spasmi involontari dei muscoli stanchi, o qualcosa di più serio come dei dannati buchi in una memoria già messa a dura prova. Non poteva tollerarlo; e poi c’era quella dannata foto che Isaac gli aveva mostrato, e sulla quale Resse aveva rimuginato anche troppo, senza riuscire a dargli una spiegazione plausibile, o possibile.
    Almeno per un po’, per quanto terribile e sfiancante anche dal suo lato della barricata, la guerra gli aveva offerto una scusa per scollarsi un po’ i fratelli e respirare. Ad Isaac, in guerra, aveva pensato il minimo indispensabile; di Darden non era nemmeno certo di aver saputo che fosse partita per il fronte nemico; di tutti gli altri, a Reese E.P. Withpotatoes non fregava un beneamato nulla. Si era gettato a capofitto nel lavoro, ancora più del solito, offrendo il suo supporto ovunque servisse: aveva coordinato strategie insieme al resto del suo ufficio, aveva raccolto informazioni dai campi di battaglia, aveva coordinato parzialmente le mosse dei ministeri esteri e affiliati. Aveva gestito una pressione che non ricordava di aver mai avuto addosso, negli anni di servizio al Secondo Livello del ministero inglese. Era stato l’ombra di Alister Black, e ne aveva fatto le veci momentanee quando quest’ultimo era stato richiamato in situazioni che richiedevano la massima urgenza e la presenza del Capo Stratega. Aveva fatto notare perché fosse stupido tentare di conquistare uno stato su cui avevano già controllo, e aveva approvato attacchi mirati a posti decisamente fuori dalla sua giurisdizione, ma ugualmente importanti; in una situazione come quella che stavano vivendo, tutti si facevano andare bene tutto, anche le sue scelte.
    Certo, non era mai stato il fan numero uno di Seth, né avrebbe pensato di avere uno special come sovrano, nel futuro, ma una parte di sé aveva quasi ruggito all’idea — e Reese l’aveva percepito come un sentimento positivo, per qualche ragione, e non sapeva assolutamente spiegare perché: non aveva particolare riserbo per gli special, e anzi era convinto ci fosse uno di loro dietro la sua amnesia, ma non aveva mai potuto dimostrarlo concretamente, ed era rimasto qualcosa di irrisolto e non detto tra Reese e un’intera razza.
    La stessa che ora, dopo quaranta giorni di battaglie e un numero altimissimo di vite perse, da ambo i lati, era destinata a diventare ben più di quanto i maghi l’avessero mai considerata. Vero, non ci voleva poi molto, consideranto come l’avessero considerata fino a quel momento storico, ma eh. Rimaneva una cosa su cui Reese sentiva di provare emozioni contrastanti: da una parte era felice perché (gli special avevano vinto) il Ministero inglese aveva fatto un’ottima figura spalleggiando Abbadon e offrendo tutto il suo supporto militare; l’altra era profondamente delusa per l’esito di quel conflitto.
    Ma di quei tempi, erano molte le cose che Reese non riusciva a spiegarsi, e aveva smesso di cercare risposte nei soliti posti; aveva accettato il fatto che non le avrebbe mai trovate. Poteva quasi convincersi che non gli interessava nemmeno farlo.
    Quasi.
    Altre cose, invece, erano ancora semplici e familiari.
    Come il corpo che osservava in lontananza, mentre felino si aggirava tra i clienti del Lilum e riscuoteva sorrisi, complimenti e qualche mancia extra; un corpo che fino a poco prima aveva visto muoversi sinuosamente sul palco, e che l’aveva ammaliato e stregato. Ogni volta era come la fotttua prima volta. Cassandra Turner, era impossibile starle lontano, nonostante era chiaro che lei non desiderasse altro — e anche Reese. Ma era proprio quell’idea a spingerlo, ancora e ancora, in direzione della ballerina.
    Quello, e l’aria gelida di lei, e lo sguardo impassibile, e il modo in cui sosteneva quello dello stratega; poteva negarlo quanto voleva, ma lo sapevano bene entrambi che la storia da raccontare era tutta un’altra.
    Mandò giù ciò che rimaneva del liquido ambrato contenuto nel bicchiere, e abbandonò il suo posto, avvicinando la ballerina ormai libera dai corteggiatori, alcuni occasionali, altri fedelissimi del posto. L’accenno di sorriso che piegò gli angoli delle labbra verso l’alto non aveva assolutamente nulla di divertito o cordiale, ma Reese immaginava che Cassie questo già lo sapeva. «e quindi l’hai fatto,» lo lasciò scivolare dalle labbra al posto di un saluto, incrociando le braccia al petto e poggiando una spalla alla parete, senza bloccare la strada di Cassandra o senza entrare troppo nel suo spazio personale; aveva bevuto più del necessario, ma era perfettamente in grado di regolare i propri gesti, e le parole. Almeno in quel senso, sapeva sempre come rimanere in controllo di se stesso, «hai finalmente cambiato la tua routine Per un cliente abituale come lui, iniziava a diventare abbastanza ripetitiva la vecchia; e lui non era nulla se non un attentissimo osservatore. «cos’è, hai ricevuto qualche lamentela per caso?» oltre la sua, ovviamente, mossa personalmente e direttamente alla Turner.
    Allargò il sorriso, senza distogliere lo sguardo da quello chiaro di lei, ma abbassandolo solo per un secondo sulle labbra truccate della ragazza. «non era affatto male,» disse, l’esperto di balli sensuali, «ma puoi ancora fare di meglio.» un po’ ci sperava nello schiaffo – fisico o verbale, whatever – della Turner: avrebbe dato un senso nuovo alla serata.
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    A Cassandra piaceva il suo lavoro; quante altre persone avevano la fortuna di poter dire la stessa cosa? E soprattutto, quanti avrebbero detto lo stesso del suo lavoro?
    Non molti, ecco la verità.
    Tutti tendevano perlopiù a minimizzare la sua professione: spogliarellista, stripper, e molto molto peggio, con epiteti che di solito non si ripetono davanti ai bambini, e con descrizioni fantasiose che scavavano nelle profondità della storia per provare a nascondere un certo disgusto per quella mansione. La sua preferita era “il mestiere più antico del mondo”, ma di solito la gente se ne inventava di tutti i colori ed era quasi divertente cercare di immaginare la loro prossima trovata; le avrebbero dato della “meretrice” o della “concubina” la volta successiva? Tutto da scoprire. Nel migliore dei casi, in realtà, la gente si limitava a definirla una ballerina – e mai una danzatrice, perché, a quanto pare, la danza era qualcosa di più raffinato dei suoi balli –, che non era poi così male se paragonato agli altri, ma il punto era che mai nessuno sembrava cogliere il nocciolo della questione.
    Quello che Cassie faceva ogni sera sul palco del Lilum era puro intrattenimento. Il suo lavoro, a conti fatti, non era poi così diverso da quello di un attore, di un comico o di un cantante, con l’unica differenza che Cassie lo faceva in modo sensuale e mostrando qualche centimetro di pelle in più – e non era neanche detto, visto che le cantanti pop ormai indossavano vestiti e tutine quasi più rivelatori dei suoi.
    E oltretutto, non era affatto facile; richiedeva molto impegno e molta dedizione. La maggior parte delle persone pensava che bastasse stringere il body sul seno, mettere un rossetto abbinato, presentarsi sul palco la sera per fare due mosse qualsiasi, e la giornata di lavoro finiva lì; la verità era che anche dietro le coreografie più semplici c’erano giorni di lavoro, di prove, e di accorgimenti. I clienti del Lilum pagavano tanto per quel servizio ed erano esigenti, ma Svetlana lo era addirittura più di loro, e richiedeva da tutti i suoi dipendenti nient’altro che la perfezione – e Cassie ricercava proprio quella ogni volta che saliva sul palco e puntavano i riflettori sulla sua figura.
    Le piaceva. Le dava la sensazione di avere il controllo della situazione sapere che ad ogni sua azione, ad ogni suo movimento, sarebbe corrisposta una reazione da parte del pubblico, e che di solito quella reazione era di approvazione – di eccitazione, nel migliore dei casi.
    Il rovescio della medaglia era che spesso quelle reazioni superavano il limite, diventavano incontrollate ed eccessive, e benché a Cassie di solito non dispiacesse avere gli occhi dei clienti addosso – e spesso anche le mani –, non amava troppo il momento in cui lo spettacolo finiva e il pubblico si sentiva padrone del suo corpo. Era quello che temeva di più, a dire la verità. Quando la musica si fermava e sentiva improvvisamente il potere scivolare via dalla sua persona per essere assorbito dagli uomini nel pubblico: lo vedeva nelle loro dita che tremavano con le banconote in mano, vogliosi di toccare il suo corpo; lo percepiva nel loro sguardo vuoto e famelico che saltellava da un lembo di pelle scoperta a un altro; lo sentiva nelle loro parole volgari, nelle loro voci improvvisamente rauche.
    Per la Turner, una volta finito lo spettacolo la magia semplicemente, puff, spariva.
    C’erano delle eccezioni, fortunatamente – lo strano ragazzo biondo seduto sempre in prima fila ma che era apparentemente solo un grande estimatore dei muri del Lilum, i pochi fedelissimi clienti che sapevano come comportarsi per non rischiare di essere sbattuti fuori dal locale dalla Piper, e qualche gruppo di ragazzini che in qualche modo miracoloso era riuscito a sgattaiolare all’interno e non aveva mai visto il corpo di una donna e che quindi restava solo a guardare sconvolto. Per il resto, le mance extra facevano sempre comodo, soprattutto quando erano generose come quelle delle prime file, quindi la Turner assorbiva in silenzio gli sguardi viscidi dei clienti e faceva la sua passerella, dispensando sorrisi carnosi e occhiate volutamente (e fintamente) maliziose, ancheggiando sensualmente in un body semi-trasparente.
    Non sapeva esattamente se Reese Withpotatoes figurasse o meno nel quadro delle eccezioni; era abbastanza sicura che tra le sue colleghe e tra i suoi colleghi si fossero formati due schieramenti opposti, quelli che sostenevano che il biondo fosse esattamente come tutti gli altri clienti, e quelli che sostenevano che fosse esattamente come tutti gli altri clienti, ma carino. Cassandra non si era mai espressa sulla questione, e comunque non avrebbe saputo da che parte schierarsi.
    Il Withpotatoes non era propriamente un’eccezione, ma non era nemmeno come gli altri clienti, poco ma sicuro: Cassie non trovava il suo sguardo ripugnante, lo bramava; le piaceva sentire la pelle bruciare sotto i suoi occhi chiari, voleva che lui la guardasse, lo pretendeva, desiderava che la sua presenza sul palco fosse il suo pensiero fisso e che nient’altro catturasse la sua attenzione.
    Era una sfida, ormai — con se stessa e con il ragazzo; chi avrebbe ceduto prima? La Turner era convinta di sapere già la risposta, e aveva scommesso tutto su se stessa.
    D’altra parte, lui era Reese Withpotatoes, e questo era abbastanza da costituire di per sé un problema.
    L'aveva notato con la coda dell'occhio farsi largo silenziosamente tra la folla, ma non fece una piega e fermò il suo incedere verso i camerini con naturalezza e senza prestarci troppa attenzione, come se avesse saputo già da tempo che si sarebbe fermata lì. Chiuse la corta vestaglia in seta con un morbido nodo alla cintura, e solo allora alzò lo sguardo verso l'ex corvonero davanti a sé. Il sorriso che gli rivolse era tutt'altro che cortese o affettuoso, ma faceva perfettamente il paio con quello altrettanto smaliziato e ironico — e fastidioso — di lui.
    Lo lasciò parlare, e solo alla fine fece schioccare le labbra ancora perfettamente rosate dal rossetto, accentuando un sospiro un po' esasperato. «prendo tutte le lamentele dei miei clienti molto seriamente» sempre ammesso che le ricevesse, ed era molto raro che capitasse «dovresti saperlo ormai» inarcò il sopracciglio destro con fare furbo e un po' malizioso. «tuttavia» annunciò con fierezza alzando di poco il mento e allargando le labbra carnose in un sorriso soddisfatto «mi dispiace deluderti ma non c'è stata nessun'altra critica, a quanto pare la mia routine soffocò una risatina scettica per quella descrizione — è apprezzata da tutti» fece vagare solo per un attimo lo sguardo sul resto della sala, per poi lasciare gli occhi chiari posarsi di nuovo sul ministeriale «o quasi» sottolineò, non nascondendo il divertimento di quella precisazione. Si fece più attenta e studiò il viso del Withpotatoes di fronte a sé, muovendo lentamente un passo in avanti. «ma è interessante la tua passione per i miei spettacoli» allungò una mano per posarla sul viso del ragazzo — no, non in uno schiaffo, ma quasi peggio.
    Indugiò con le dita tra le ciocche di capelli biondi dietro l’orecchio, poi fece scivolare lentamente l'indice lungo la sua guancia, e infine percorse con l'unghia smaltata i lineamenti della mascella per prendere il suo mento tra l'indice e il pollice e fargli voltare il viso prima da un lato e poi dall'altro, studiandolo con aria incuriosita e divertita. «mh, suppongo che si possa fare» considerò tra sé e sé, mentre feceva scorrere lo stesso dito, con lentezza, sul collo del maggiore e poi giocò un po’ distrattamente con il colletto della sua maglia «se vuoi posso prestarti uno dei miei body così la prossima volta puoi mostrarmi direttamente tu come posso fare meglio» si spinse in avanti e mosse qualche passo verso di lui, girandogli attorno mentre continuava lo studiava attentamente con lo sguardo, come una predatore che analizza la sua vittima; si posizionò alle sue spalle e prima si aggrappò alla sua spalla, poi fece scorrere il palmo della mano lungo tutta la sua schiena, e scelse come ultima tappa la tasca posteriore dei suoi jeans, infilando la mano proprio lì — un modo velato, e nemmeno troppo, di puntare alla sua natica. «ma non andrai molto lontano con queste forme» ci tenne a informarlo con un sorriso soddisfatto mentre posava il mento sulla spalla di lui e avvicinava le labbra al suo orecchio «c'è da lavorare un po', ma scommetto che non sarà un problema per te, mh?» soffiò con fare divertivo al suo orecchio, esercitando ora un po’ di pressione con la mano sul tessuto dei suoi jeans, perché il Withpotatoes poteva stuzzicarla quanto voleva, ma Cassandra avrebbe sempre trovato il modo per fargliela pagare.
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    Per quanto gli piacesse dimostrarsi una persona razionale, e molto pragmatica, Reese non poteva negare di avere in sé anche un lato più audace, a tratti quasi sciocco, impulsivo, che lo portava fin troppo spesso a giocare col fuoco, senza pensare alla possibilità di rischiare di bruciarsi.
    Forse perché, nella sua testa, non esistevano scenari in cui Reese E.P. Withpotatoes potesse perdere, perciò il fallimento non veniva mai contemplato dallo stratega.
    O forse, semplicemente, perché quei momenti lo facevano sentire più di ogni altra cosa vivo, e il biondo faticava ad ammetterlo persino a se stesso, ma ne aveva bisogno.
    Fatto sta che quello, al cospetto di Cassandra Turner, era uno di quei momenti.
    Giocare con la ballerina gli piaceva, forse anche più del dovuto, e rischiare quando si trattava della Turner non era mai un problema, per Reese. Voleva farlo. Voleva provocarla, e giocare con lei, e voleva che lei facesse altrettanto; che lo studiasse, che costruisse nella sua mente un'idea di Reese che poi lui si sarebbe divertito a smentire.
    O peggio, a confermare.
    Sembrava una cattiva idea – una pessima idea – ed era esattamente il genere di situazione che risvegliava quella parte troppo spesso ignorata (forse per dei buoni motivi) dallo stratega. E che lui non riusciva ad ignorare, o mettere a tacere.
    Tenne lo sguardo puntato sul corpo di lei mentre si avvicinava, facendolo scivolare sulle forme ammirate fino a poco prima sul palco, senza nascondere alcun tipo di apprezzamento; dopotutto, era lì esattamente per quello, come tutti gli altri. Era tante cose, Reese Withpotatoes, ma non era un ipocrita. Si beò di quel sorriso che, pur cercandolo, non aveva trovato in nessun'altra; quel sorriso che non aveva nulla di morbido, o affettuoso, e che rispondeva perfettamente al suo.
    «prendo tutte le lamentele dei miei clienti molto seriamente,dovresti saperlo ormai»
    Sapeva un sacco di cose, Reese, in generale, ma non lo disse, anche se avrebbe voluto. Piuttosto, scelse di annuire lentamente, in attesa che lei finisse: sapeva anche che c’era dell’altro che stava per dirgli, e non sbagliava.
    «tuttavia» Lo sguardo del ministeriale si fece più furbo, illuminato da una luce strana, che solo quel gioco al gatto e al topo che facevano loro, sapeva donargli; erano anni che nulla più suscitava emozioni in lui, eccetto quei brevi, ma intensi, scambi con la Turner. «mi dispiace deluderti ma non c'è stata nessun'altra critica, a quanto pare la mia routine è apprezzata da tutti» Gente che chiaramente non era lì per l’intrattenimento, ma solo per sbavare dietro le curve morbide della ballerina, quindi.
    (E Reese non rientrava in quella categoria perché era un signore.)
    «o quasi»
    Si strinse nelle spalle, fingendo una modestia che non aveva. «hanno chiaramente altre priorità» la informò, con leggerezza, come se stessero parlando di una cosa banale come il meteo.
    «ma è interessante la tua passione per i miei spettacoli»
    Che poteva farci, era (debole) un fan.
    La lasciò fare quando, con una lentezza quasi sfiancante, prese ad accarezzare il suo viso, incastrando le proprie iridi in quelle altrettanto chiare di lei; che facesse pure, non sarebbe stato di certo lui a chiederle di smettere — o ad allungare le mani, senza il permesso della Turner. Reese sapeva come differenziarsi dagli altri clienti, sapeva essere superiore, e lo dimostrava anche in quel rispetto che, tolto qualche sguardo di troppo che sfuggiva al suo autocontrollo, dimostrava nei confronti di Cassandra.
    Seguì, da bravo, i movimenti che lei lo costrinse a fare, lasciando che studiasse ogni centimetro del suo viso, ogni lineamento, ogni curva e ogni spigolo che lo caratterizzavano; si domandò distrattamente se le piacesse ciò che vedeva, o se in lui ritrovava l’immagine di tanti altri clienti già passati sotto le sue mani.
    Quanti altri visi aveva percorso, con quella lentezza, prima di lui? Forse non voleva saperlo, e anche lo avesse fatto, il suo ego era abbastanza grande da fargli sapere che fosse unico e diverso dal tutto il resto.
    «mh, suppongo che si possa fare»
    Alzò un sopracciglio, senza commentare il modo in cui la mano iniziava a scivolare dal collo alla maglia, e solo quando la perse di vista si permise di socchiudere gli occhi, prendendo un respiro profondo. C’erano un sacco di cose che avrebbe voluto dirle, perché era convinto che, mettendoci il giusto impegno, Reese sarebbe riuscito anche a fare quello, a indossare un body e imparare una coreografia e passare addirittura per convincente sul palco del Lilum — perché erano poche le cose che lo stratega non sapesse fare, e fatte bene. Ma tenne la bocca chiusa, concentrandosi sul resto dell’esplorazione della mano di Cassie.
    Un mezzo sorriso si disegnò sulle sue labbra nel sentirla raggiungere la tasca posteriore e fermarsi lì, ma ancora una volta non disse nulla, né la invitò a fermarsi: in quel posto, gesti del genere, potevano essere comparati malapena ad una carezza.
    Sentì il soffio caldo sul collo ancora prima delle parole, e di nuovo chiuse gli occhi.
    «ma non andrai molto lontano con queste forme»
    «è il tuo parere da professionista?»
    «c'è da lavorare un po', ma scommetto che non sarà un problema per te, mh?»
    Stavolta, una mezza risata provocata sfuggì davvero dalle sue labbra, mentre riapriva gli occhi e voltava appena il viso verso di lei, affinché ne vedesse almeno il profilo. «lavorare sodo non mi ha mai preoccupato» e quello, pur non ricordando molto della sua vita fino ai vent’anni circa, sapeva comunque che fosse vero. Era uno stacanovista, il Withpotatoes, e peggio ancora era un perfezionista: non accettava le cose mediocri, o fatte a metà, e gli piaceva essere sempre pronto, preparato, e il migliore che c’era. «se vuoi darmi qualche consiglio, o aiutarmi a lavorarci su, sono libero» che, come pickup line non era granché, ma immaginava Cassie fosse abituata a sentire molto peggio.
    «ma per cortesia, un body che stia bene con la mia carnagione. azzurro, magari?» non era così tossico (o modesto.) da pensare che fosse degradante indossare un body e ballare, perché era serio quando diceva di essere lì anche perché apprezzava il lavoro della Turner, non solo la sua bellezza. Ogni tanto, pur senza saperlo, gli insegnamenti che Idem gli aveva lasciato tornavano a farsi largo, rendendo Reese un po’ più umano.
    Anche se solo per lo spazio di qualche secondo.
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    Cassandra avrebbe trovato piacevole sedurre e provocare chiunque. Errata corrige, lei trovava effettivamente piacevole sedurre e provocare chiunque. Deformazione professionale, le piaceva dire, e forse un po’ era vero, ma la realtà era che alla Turner quel gioco piaceva a prescindere dal suo lavoro; le era sempre piaciuto, e oramai era diventato quasi un vizio. Attirare gli occhi della vittima su di sé, guidarne il loro percorso con i suoi movimenti, stordirla fino all’intontimento, e poi attaccare, e sentire i muscoli irrigidirsi sotto le sue dita mentre il proprio petto si gonfia di potere – quella era la sua cosa preferita.
    Il palco del Lilum le permetteva di provare quella sensazione ogni sera – ma solo a metà.
    Gli spettacoli erano come il canto delle sirene, e quando la musica finiva la sensazione di potere svaniva quasi subito, l’intontimento degli uomini diventava rozza e violenta lucidità, i loro occhi si accendevano di fame, e lei diventava improvvisamente un pezzo di carne pregiata – non più predatore ma preda indifesa. In quei momenti sentiva solo la necessità di doversi nascondere, e la paura che, se si fosse avvicinata un po’ troppo alla schiera di fameliche bocche agognanti davanti al palco, se solo li avesse sfiorati o guardati un istante di troppo, si sarebbe ritrovata le loro mani ovunque. Il Lilum era un locale sofisticato, ma gli uomini erano tutti uguali, e quando si scendeva del palco e ci si addentrava tra la folla, che si trattasse del locale della Piper o di uno dei peggiori bar di Caracas poco contava. Le dita viscide e grasse di uno sconosciuto a stringerle la natica tra i fischi di approvazione dei vicini di tavolo, l’uomo grosso e adulto che aveva tentato di afferrarle il collo e avvicinarla al suo viso, il giovane ubriaco che si era infilato la mano nei pantaloni al suo passaggio – erano stati tutti prontamente cacciati a calci in culo dal locale – più che trionfanti agli occhi dei compagni di bevute – ma purtroppo non si poteva fare lo stesso con i ricordi che avevano lasciato nella mente dell’ex corvonero.
    Ma la Turner era, tra le altre cose, testarda e ostinata, e non poteva accettare che dei deficienti che non avevano mai imparato come essere uomini veri credessero di essere proprietari del suo corpo, e allora dopo ogni spettacolo faceva ancora la passerella tra la folla, mostrando sempre più centimetri di carne, indossando tacchi sempre più alti, e sfoggiando un sorriso sempre più ammiccante, ma senza mai provocare o sedurre nessuno perché quella era una scelta che lei e solo lei poteva fare.
    Tra quelli c’era chi le lasciava laute mance e chi le dedicava calorosi complimenti, e scommetteva che molti di loro avrebbero venduto anche la moglie (la prima o la seconda, poco importava) per farsi lasciare una sola carezza sulla guancia, eppure quell’indice stava percorrendo i lineamenti del viso del Withpotatoes, che non lasciava mance e di certo non faceva complimenti.
    «hanno chiaramente altre priorità»
    Ecco l’unica cosa che poteva offrirle lo stratega. Ma quella risposta non l’aveva stupita, e non l’aveva neppure delusa; era esattamente quello che si aspettava dal biondo, per questo non si mosse, le labbra non si piegarono in un sorriso più provocatorio né in uno più morbido, ma strinse leggermente gli occhi per studiarlo con fare vagamente più divertito «le tue priorità invece…» fece schioccare tra loro le labbra rosate e poi soffocò una risatina quasi derisoria «puro interesse tecnico e scientifico, immagino» suonò caustica, inarcando appena un sopracciglio, mentre con la mano percorreva il profilo del suo viso e scendeva lentamente sul collo e poi sulla schiena.
    Quella era la sua scelta – provocare e sedurre Reese Withpotatoes era la scelta sbagliata che prendeva ogni sera, la sigaretta che si fuma pur dopo averne saggiata una particolarmente amarognola, il vero vizio di cui purtroppo non voleva privarsi. Perché per quanto continuasse a ripetersi che fosse solo un modo per riempire il tempo tra uno spettacolo e l’altro, un passatempo bello e buono, sapeva che la realtà fosse ben diversa: lei ricercava quei momenti, li alimentava, voleva giocare a quel gioco e voleva trionfare, e allo stesso tempo voleva perdere per riprovarci ancora e ancora.
    Provava sentimenti contrastanti: sapeva che se avesse voluto avrebbe potuto vincere senza muovere nemmeno un dito, si rendeva conto del potere che esercitava sull’ex corvonero, e lo riscopriva ogni volta che saliva sul palco e sentiva i suoi occhi sulla sua figura, ma allo stesso tempo le sembrava impossibile portare a casa quella vittoria – e forse preferiva così.
    Era quella stoicità, quella impassibilità, e quella quasi indifferenza che il biondo dimostrava di fronte a lei, quei commenti provocatori che però non sorpassavano mai la linea del buon senso, ed era il suo sguardo che guardava interessato il suo corpo, ma mai vorace o volgare; ogni volta che si incontravano era una sfida, e ogni volta che le sembrava aver sferrato il colpo deciso lui si rialzava con la stessa espressione di sfida, e non soccombeva mai.
    Certe volte avrebbe davvero voluto che lui cedesse, che la guardasse con la bava alla bocca e che le dicesse qualcosa di grottesco, che allungasse le mani verso il suo corpo e la toccasse come se non fosse nient’altro che uno straccio da usare e da buttare, così da potergli sorridere disgustata e rinfacciargli che poteva smettere di fingere di essere tanto diverso perché era esattamente uguale a tutti gli altri uomini; la maggior parte delle volte, tuttavia, era grata di poter tornare a casa con un’altra disfatta, perché se quella era la sua vittoria, allora preferiva continuare a giocare.
    «è il tuo parere da professionista?»
    Sbuffò una risata divertita, studiando solo per un attimo il profilo del biondo nella penombra del locale «non sono solo una professionista, Withpotatoes» alzò appena il mento dalla sua spalla per sfiorare il suo orecchio con le labbra «sono una specialista» soffiò infine a bassa voce come fosse un gran segreto e non l’avesse appena dimostrato sul palco – la Turner sapeva come giocare le sue carte, e anche se forse neanche quella sera non avrebbe vinto, poteva comunque togliersi qualche soddisfazione.
    «se vuoi darmi qualche consiglio, o aiutarmi a lavorarci su, sono libero»
    Questa volta non rise, ma piegò le labbra all’insù con malizia «un consiglio, eh?» ripeté divertita, e mentre una mano era ancora piazzata nella tasca posteriore dei jeans del ragazzo, avvicinò quella libera alla sua nuca e affondò le dita tra le ciocche bionde «mi sembrava di aver capito che la mia fosse solo una routine niente male» scandì bene quelle che erano state le sue parole, e con le dita scese di nuovo a percorrere i lineamenti del suo collo, della sua spalla e molto lentamente, poi, tutta la schiena «cos’è, hai finito le lamentele?» più che ricevere una risposta, quello che si aspettava da quella domanda era che rendesse chiaro che lei fosse più che consapevole di avere in mano le chiavi di quel gioco e punzecchiarlo lì dove l’orgoglio era più spesso e certe incongruenze non erano accettate.
    Con lo stesso sorriso pieno di malizia alzò di nuovo lo sguardo verso il suo profilo, per studiarne la reazione mentre con il palmo della mano si spingeva verso la sua zona lombare, per poi spostarsi verso il fianco e infine sul petto, in un’esplorazione lenta e quasi esasperante.
    «mh, azzurro dici» si finse pensierosa e attenta alla questione, solo il sorriso furbo tradiva un certo divertimento dietro quelle parole, ma era quasi certa che Reese non avrebbe notato le sue labbra piegate all’insù, troppo impegnato, invece, a seguire (almeno mentalmente) il percorso della sua mano che attraversava a rilento tutto il suo petto fino a fermarsi e indugiare a giocare con l’orlo inferiore della maglia. «eppure,» continuò con estrema naturalezza «avevo in mente qualcosa di… mh, diverso» superò l’orlo della maglia solo per sfiorare con l’unghia perfettamente arrotondata il bordo dei suoi jeans «pensavo a qualcosa di più simile a quello che indosso io ora» sfiorò di nuovo il suo orecchio, prima con la punta del naso, poi con le labbra, che andò a umettare leggermente con la lingua prima di continuare «pensavo che il color carne fosse perfetto per te» spinse la mano appena più giù, a giocare con le dita sulla fibbia della cintura «e che potessi esprimere al meglio le tue potenzialità con un body trasparente» percorse con le dita metà lunghezza della cintura, poi fermò il suo incedere e affondò le dita nella tasca anteriore dei jeans; alla fine, fece schioccare la lingua sotto il palato «ma se preferisci il celeste…» concluse con una risatina bassa e una scrollata di spalle, mentre afferrava il pacchetto di sigarette nella sua tasca e poi allontanava entrambe le mani dal suo corpo, solo per potergli poi gravitare intorno e tornare di fronte a lui.
    Non nascose il sorriso soddisfatto e appagato, ma lo sfoggiò fiera e anche un po’ beffarda; avrebbe potuto vincere, e gliel’aveva ricordato, ma anche quel giorno aveva deciso di accettare la sconfitta. Quindi raccolse una sigaretta dal pacchetto tra l’indice e il medio della mano destra, per poi alzare di nuovo lo sguardo verso quello del biondo e con aria provocatoria sollevare ancora un po’ l’angolo delle labbra.
    «io sono pronta quando lo sei tu» perché le sfide tra di loro non finivano mai, e lei era prontissima a perderne ingaggiarne un’altra. Chiuse il pacchetto di sigarette con una mano, poi la allungò per poggiarla sul suo petto e per restituirgli la gentile offerta che gli aveva fatto, senza mai distogliere gli occhi da quelli di lui.
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    Reese sentiva gli sguardi invidiosi degli altri clienti del Lilum conficcarsi nella pelle come dardi, malevoli nella loro futilità e nel risentimento per non essere loro gli individui a cui la Turner aveva concesso le proprie attenzione.
    Non gonfiò il petto a quella consapevolezza, lui, perché non gli serviva la conferma visiva, né il loro astio, per sapere che gli fosse superiore in ben più di un modo, e che le carezze meticolose della ballerina erano solo una delle tante, infinite, motivazioni che lo rendeva diverso dagli altri.
    Migliore.
    Tutti quanti loro, con gli sguardi un po' troppo famelici e le mani allungate senza permesso, avevano tracciato da soli il confine fra loro e lui, e non potevano incolpare nessuno se non loro stessi; qualsiasi animosità scivolava addosso allo stratega, decisamente più impegnato a godersi la presenza di Cassandra, per potersi permettere di pensare a dei poveri qualunque che non avrebbero lasciato il segno mai, e in nessuno.
    «le tue priorità invece… puro interesse tecnico e scientifico, immagino»
    Sollevò entrambe le sopracciglia, per farle capire, pur senza proferire parola, che avesse decisamente delle priorità diverse dalla massa — era sempre stato così, non si sarebbe mai uniformato al gregge. Neppure in quel caso. Specialmente in quel caso; perché Reese Withpotatoes sapeva mantenere la mente lucida e il ragionamento affilato anche in momenti come quelli, dove sangue e carne demandavano il controllo più assoluto e totale. Lui non era così debole da cedere, a differenza di (tutti gli) molti altri.
    Si strinse nelle spalle, mani affondate nelle tasche anteriori dei jeans, offrendo volontariamente il proprio corpo affinché fosse perlustrato ed ispezionato dalla danzatrice, senza perdere neppure un battito né sentendosi in soggezione per le accurate attenzioni che l'altra gli stava riservando. Che facesse pure, erano grandi e vaccinati entrambi e, soprattutto, nessuno dei due era così (stupido) ingenuo da non sapere perfettamente cosa volesse l'altro; quindi perché negare, o fingere?
    «non sono solo una professionista, Withpotatoes, sono una specialista»
    Il soffio delicato e provocante di Cassie contro il suo orecchio riverberò nella cassa toracica del biondo, che mantenne comunque la sua compostezza; se non avesse saputo come nascondere le sue emozioni dietro una maschera di impassibile neutralità, d'altronde, non sarebbe andato lontano al ministero. Il fingere di non provare nulla era il suo pane quotidiano.
    «cambia davvero qualcosa?» le chiese a bassa voce, sottolineando come, specialista o meno, fosse lì — esattamente dove altri la desideravano, e dove lei voleva essere. Non si aspettava una risposta a quella provocazione, però, e non si stupì quando la sentì andare oltre, rimarcando qualcosa che, sapeva anche quello, gli avrebbe fatto pesare ancora a lungo.
    Le piaceva anche per quello, Cassandra Turner: perché non mollava mai l'osso, e non lasciava mai cadere una sfida, non fino a che non fossero arrivati entrambi stremati alla fine di ogni loro scambio di intelletto e parole affilate. Due menti troppo sveglie, troppo veloci, per non rendersi conto di star facendo lo stesso identico gioco, e non aver già capito da un pezzo che forse non era vincere l'obiettivo finale: era farlo durare il più a lungo possibile.
    «un consiglio, eh? mi sembrava di aver capito che la mia fosse solo una routine niente male»
    Solo uno stupido avrebbe finto di non sentire la mano di Cassandra salire e stringersi, senza esitazione e senza incontrare opposizione, attorno alle corte ciocche bionde; Reese non era uno stupido. Assaporò ogni secondo di quel gesto, narici dilatate perché era una risposta involontaria e più che dovuta, quasi un'anticipazione di quello che avrebbero potuto avere, se il loro non fosse stato un gioco portato avanti con così tanta maestria e devozione, appunto.
    «tsk, credevo fossi una specialista le ricordò, usando contro di lei la parola pronunciata poco prima, «sono stato sciocco a presumere sapessi fare più di quanto dimostrato sul palco?» era una provocazione, perché Reese Withpotatoes non riusciva ad evitarle nemmeno in momenti come quello; erano, se proprio, il suo stimolo più grande, quello che più di tutti lo definiva.
    Ed era certo che la Turner apprezzasse, più di un qualsiasi complimento bagnato da una bavetta poco dignitosa e uno sguardo affamato di qualcosa che, a quel punto, non gli sarebbe mai stato concesso. Entrambi erano smossi dalla convinzione di poter vincere qualcosa che non avrebbero mai potuto avere, per un motivo o per un altro, e Reese sapeva fosse così.
    Mantenne lo sguardo sul profilo di lei, mentre Cassie continuava a far scivolare la mano lungo il suo corpo, e non fece assolutamente nulla per impedirglielo.
    «cos’è, hai finito le lamentele?»
    Oh, Cassie (derogatory); non sapeva che le lamentele di Reese non avevano fine? Trovava sempre qualcosa capace di non andargli a genio, il pelo nell'uovo, il dettaglio sbagliato, la postilla che nessuno notava. Aveva l'occhio abituato a riconoscere gli errori altrui, una morale fortunatamente grigia e la lingua abbastanza lunga da non trovare ostacoli nel mettere a parole tutto quello che gli passava per la mente, troppo razionale e funzionale per preservare la sensibilità altrui.
    Ricambiò appena il sorriso malizioso di lei, riempiendolo di qualcosa riservato a pochissimi — una sincerità che si poteva leggere solo in certe espressioni di sfida, attente, affilate.
    «mi aspetto una valutazione dettagliata,» le sussurrò, accompagnandola durante la sua ispezione, che si era appena spostata verso l'orlo della maglia, giocandoci come se stesse decidendo se sollevarlo proprio lì, proprio in quel momento, o se trattenersi e riservarlo per un'altra situazione.
    Reese non avrebbe saputo dire, così su due piedi, quale delle opzioni preferisse. Di certo, serviva persino a lui un grande lavoro di autocontrollo per non soffermarsi troppo sulla sensazione dell'unghia curata a contatto con la sua pelle calda; se fosse stato un'altra persona, avrebbe ammesso ad alta voce anche solo una minima parte di ciò che provava in quel momento, di come l'audacia di Cassie fosse così perfettamente bilanciata, tra provocazione e inganno, da farlo impazzire. Ma non era “un'altra persona”; era Reese, e rimase perciò stoico nella sua rigidità, concedendosi solo un sopracciglio leggermente arcuato alla proposta della ballerina, e niente più.
    «pensavo a qualcosa di più simile a quello che indosso io ora»
    Non abbassò lo sguardo perché non ce n'era bisogno, ricordava perfettamente il modo in cui il body fasciava il corpo di Cassie e lasciava ben poco all'immaginazione, e poi non si sarebbe fatto beccare in un'azione così di cattivo gusto come passare lo sguardo vorace sulle sue curve.
    «pensavo che il color carne fosse perfetto per te»
    Un soffio leggero sfuggì dalle sue labbra, una mezza risatina che di divertito non aveva nulla; al massimo, una nota piccata e provocata, esattamente il genere di reazione che non avrebbe voluto mostrare alla bionda. «in effetti sto bene con tutto,» le rispose, voltando appena il viso pur senza arrivare a raggiungere il suo, e poi con lo stesso tono basso e carico di molte più cose che avrebbe mai potuto convogliare a parole, aggiunse: «o con nulla.»
    Era davvero, ma davvero, un gioco che potevano fare in due, quello; il fatto che Reese concedesse sempre la mano più vantaggiosa a Cassandra non significava che fosse meno bravo, o disposto a cedere. «e body trasparente sia.»
    Mantenne le mani nelle tasche, pur sentendo quelle di Cassie giocare con la fibbia della cintura: sapeva fosse solo una sfida, un modo come un altro per testare i suoi limiti e vedere fino a che punto sarebbe stato in grado di trattenersi, e quando, invece, sarebbe crollato dimostrando di essere esattamente come tutti gli altri animali che non ci pensavano due volte prima di accogliere le danzatrici del Lilum con gesti volgari, e parole altrettanto rozze.
    Non lui, mai.
    «ma se preferisci il celeste…»
    La risatina, e il repentino allontanamento di Cassie, però, gli concessero di tornare a respirare in maniera (più o meno) regolare, e socchiuse appena gli occhi, lo stratega, prima di cercare nuovamente la figura della ballerina avvolta dalla vestaglia che copriva solo appena le sue grazie. Sostenne anche la sua espressione fiera, le mani ancora nelle tasche e la schiena dritta, incapace di assumere una posizione più rilassata o gioviale, perché non era nelle sue corde e mai lo sarebbe stato, probabilmente; Reese Withpotatoes viveva come se ce l'avesse personalmente con il mondo intero, come se quest'ultimo gli avesse riservato l'offesa più grande — e forse, per certi versi, era proprio così.
    Non le disse nulla, né la accusò per aver rubato il pacchetto di sigarette, ma semplicemente la osservò decidere verso quale finale condurre la partita di quella sera, già pronto a formulare un piano di contro attacco per smontare i suoi progetti; il fatto che lei avesse di non attaccare, non ancora, e anzi di prendere le distanze, non significava che il gioco fosse finito. Era solo un round che si concludeva, ancora e sempre, in parità.
    «io sono pronta quando lo sei tu»
    Si riprese il pacchetto di sigarette offerto dalla Turner, e dopo un attimo di esitazione ne estrasse una, incastrandola dietro l'orecchio mentre riponeva il resto e cercava nella tasca dei jeans l'accendino.
    Ancora una volta, se fosse stato un'altra persona avrebbe detto qualcosa di cringe come “io sono nato pronto”, o una stronzata simile ma (Idem l'aveva cresciuto meglio di così) per sua fortuna non possedeva la mente banale di chiunque altro. Piegò leggermente il viso da un lato, tenendo gli occhi fissi in quelli di Cass, e dopo qualche istante di silenzio parlò.
    «la mia agenda è fitta di impegni, ma posso trovare il modo di infilarci qualche lezione privata» Tolse la sigaretta da dietro l'orecchio, e la portò alle labbra. «fammi sapere quando sei libera» si sarebbero comunque ritrovati lì, prima o poi, perché il Lilum era lo sfondo perfetto per il loro giochino malsano.
    Con la testa, indicò la porta laterale. «dubito Svetlana sia d'accordo con il lasciaci fumare all'interno del locale,» e non ci teneva ad essere cacciato (e bannato) dal Lilum vita natural durante. «hai tempo per una sigaretta, o devi continuare lungo la passerella?» c'erano ancora quelli che, troppo stupidi (o eccitati) per capire l'antifona, si aspettavano che lei li raggiungesse per posare una mano delicata sulle loro gambe (o peggio, tra le loro gambe), ma sarebbero rimasti molto delusi quella sera.
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