Votes taken by melodia di giugno.

  1. .
    gli anatemi hanno la resistenza e la capacità adatti per attutire l'offensiva avversaria, dando una possibilità in più per sferrare attacchi decisivi contro i nemici.
    «è proprio quello che vuole, è terribile»
    Claudia non poteva giudicare proprio nessuno riguardo nulla, dal momento che era la prima a fare, dire, indossare o comportarsi in maniera controversa, e di certo non era estranea alle compagnie particolari — ma doveva ammettere che Cherry andava molto vicina a raggiungere gli standard discutibili dell'australiana, con le proprie amicizie.
    Le rivolse quindi un'occhiata solo in parte giudicante, ma perlopiù comprensiva, quando si strinse nelle spalle al commento dell'altra bionda. Certe persone, Clod, non le avrebbe mai capite, pur volendo tantissimo farlo; per natura, non le piaceva non indagare e non avere risposte, e più in generale, non provare a capire. Un misto tra testardaggine e curiosità, il suo; un mix spesso letale. Ma che, appunto, non le permetteva di essere troppo severa riguardo alle scelte discutibili di Cherry in fatto di amici.
    «oh no, non vuoi. è meglio che certi segreti restino nella tomba»
    Anche su quello avrebbe avuto da ridire, quantomeno per la dubbia natura di quella risposta; se solo non avesse saputo, proprio dalla stessa Benshaw, di (quasi) tutte le (dis)avventure di Law, e se non avesse visso il ragazzo con i propri occhi, avrebbe potuto persino finire col pensare male. Non lo avrebbe fatto, anche perché conosceva abbastanza bene Cherry e voleva credere nel suo buonsenso *manine*
    Piuttosto, invece, lasciò perdere le mutande orribili del Matheson e si rimise in piedi, passeggiando senza meta nella camera da letto di Cherry; non era la prima volta che aveva il piacere di trovarcisi, e aveva una passione peculiare, Clod, per le camere altrui: le piaceva vagare senza meta e posare lo sguardo curioso su ogni foto e cianfrusaglia possibile, ancora di più se accompagnata da aneddoti più o meno recenti riguardo ciascuna cosa che sfiorava dolcemente sotto le punte dei polpastrelli. Cosa poteva farci, dopotutto era una ragazza che da sempre, persino in una vita che non ricordava, aveva macinato parole e raccontato storie, e non c'era cosa al mondo che le piacesse di più (o le venisse meglio) di mettere insieme racconti, o immagini evocate dai racconti di qualcun altro.
    A Cherry rivolse uno sguardo solo dopo qualche istante, poggiandosi distrattamente con la schiena contro la poltroncina della toeletta, le mani posate sullo schienale soffice.
    «non la mia prima volta, lo sai. sicuramente nemmeno l’ultima» Piegò leggermente gli angoli delle labbra verso il basso, a quelle parole, consapevole tanto quanto la Benshy che era proprio così: sicuramente non sarebbe stato quello il suo ultimo rodeo. Sospirò, ma non interruppe il discorso dell'amica. «ma non è la missione che mi preoccupa»
    Faceva male sentire quella minuscola, ma inconfondibile, nota di preoccupazione nel tono di voce di Cherry, e riconoscere nel suo sguardo un'emozione messa a nudo, quasi una paura che raramente si palesava negli occhi verdi e fieri della pavor. A Claudia si stringeva il cuore nel saperla così.
    «è ipocrita da parte mia dirle di non partecipare, ma mona ha– cosa? diciassette anni? non ha idea di cosa la aspetta» avendo già compreso dove sarebbe finito il discorso, Clod si avvicinò al letto della ragazza e vi prese posto, sedendosi a gambe incrociate a pochi centesimi da lei; voleva darle il suo supporto, non solo morale, e minacciare di incastrarla in un abbraccio se avesse reputato necessario farlo. Been there, done that, eccetera eccetera. «ho già perso un amico, perché tentare la sorte due volte?» Non ribadì che, se proprio volevano essere precise, tale amico era poi tornato (per poi sparire di nuovo, ok, notava persino lei un certo pattern…), e si limitò a posare i gomiti sulle ginocchia, e a sostenere il mento con le mani unite. Anche lei avrebbe preferito incatenare Taichi al letto piuttosto che saperlo da qualche parte chissà dove in quella missione potenzialmente suicida, ma capiva anche il cosa muovesse loro, tutti loro, a partire senza guardarsi indietro.
    L'amore.
    Se per quelli spariti che speravano di ritrovare, o nei confronti di chi aveva deciso di rischiare la propria vita e partire alla ricerca, non faceva differenza; era quello il sentimento che mandava avanti il mondo, ancora più dell'odio.
    «è vero, ha diciassette anni.» annuì con convinzione, senza distogliere lo sguardo dal viso di Cherry, «ma per come la vedo io, ha avuto anche un esempio di vita impossibile da rinnegare» aggiunse, sollevando entrambe le sopracciglia con fare allusivo: sapevano benissimo entrambe a chi si riferiva, «e credo che abbia fatto tesoro di tutti gli insegnamenti, anche quelli che non sai di averle impartito. Certe cose, le sorelle minori le imparano e basta.» e lo sapeva bene anche lei, in qualche modo; non aveva mai avuto sorelle, o perlomeno non ricordava di averne avute, ma quando aveva conosciuto Melvin qualcosa era tornato come al proprio posto, e tutte quelle convinzioni, pur non essendole ormai appartenute, ormai erano diventate parte di lei. «non puoi fermarla, ma puoi darle il tuo supporto e qualche consiglio last minute» accarezzò una gamba della bionda con la mano, sorridendole in maniera dolce, «visto che non è la tua prima volta, cit.»
    g. claudia
    Moor

    e mentre il tempo scade, e il mondo si sta armando,
    In un monolocale, noi, ci stiamo amando.
    difensore anatema
    [rimuove 5-10 pa da attacco avversario]
    strega
    Lvl mago
    2001 — australiana — bloggerma che rivoluzione che tutti qui vorrebbero,
    ma nessuno ha mai il coraggio di prendere il bastone
    E darlo in bocca a chi ci vende le illusioni.
    il peggio è passato
    fabrizio moro
    Mother of Night, darken my step
  2. .
    gli anatemi hanno la resistenza e la capacità adatti per attutire l'offensiva avversaria, dando una possibilità in più per sferrare attacchi decisivi contro i nemici.
    Claudia l’aveva saputo sin dal primo momento che avrebbe aderito. Non era nemmeno in discussione, la cosa; l’aveva saputo ancora prima che il ministero ufficializzasse la cosa, ancora prima che le sue fonti la informassero sulla possibilità che quell’idea di concretizzasse. L’aveva saputo perché, citando Ligabue, “le donne lo sanno, le donne l’han sempre saputo” eccetera eccetera.
    Inutile dire che avesse anche braccato e interrogato i superstiti, facendo domande spesso scomode senza mai lasciarsi scoraggiare dai loro silenzi o dalle risposte vaghe: era brava a mettere insieme i pezzi e leggere tra le righe di quello che gli altri non dicevano, fosse anche solo per disegnare un quadro che piaceva a lei e che titillava i suoi sensi da detective in erba.
    (Di quel passo, avrebbe dovuto davvero pensare ad una carriera come PI e farci i soldi sopra. Se fosse andata bene la missione, l’avrebbe messa nel CV!)
    Un po’ meno le era piaciuta l’idea di dover attendere ulteriormente: aveva atteso due mesi, in una casa sempre più in agitazione e con un Fake sempre più disperato, che nel caso del torturatore non era necessariamente sinonimo di depresso, ma quanto più di imprevedibile. In casa Golden non si parlava di altro, e l’unico che se ne teneva fuori era Kiel, perché in quella casa ci viveva solo a giorni alterni BADUM TSS. Tutti gli altri avevano già fatto la loro scelta.
    (Clod era ancora dell’idea che avrebbero dovuto legare Taitai e chiuderlo nello stanzino per evitare che li seguisse ma, eh!!, era un bimbo grande e poteva sopportare le conseguenze delle proprie scelte, certo. Ciò non toglieva che Clod sarebbe stata in pensiero tipo tutto il tempo perché… era Taichi. Si spiegava da sola, la cosa.)
    La rassicurava il fatto che c’erano anche persone *stelline* competenti *stelline* su cui far affidamento, e perché proprio la pavor che aveva di fronte, e dalla quale si era rifugiata quel giorno per avere un attimo di respiro.
    Non aveva immaginato di finire invischiata nel cambio stagione di Cherry (.), non quando lei stessa evitava il proprio come la peste (e funzionava avere tutti i panni nell’armadio, così non doveva mai cambiarli *smart guy meme*) ma… eh, per la Benshaw, questo ed altro.
    «secondo me se le tocco mi prendo qualche malattia»
    Sollevò entrambe le sopracciglia con un’espressione che sottolineava chiaramente il suo essere d’accordo, ma non annuì: Cherry non aveva bisogno della sua conferma, in quel frangente, e lei non era così superficiale da darla. Però la fece sorridere il commento successivo, e il fatto che Cherry avesse una daga dentro casa a portata di mano, come chiunque altro avrebbe avuto, boh, delle candele profumate. C’era un motivo se, inizialmente, aveva crashato forte per la pavor, e glielo ricordava ogni singola volta che passavano del tempo insieme.
    «possiamo bruciarle,» suggerì, chinandosi sulle mutande in questione e osservandole con un cipiglio disgustato, «nessuno ne sentirà la mancanza» di certo non il Matheson che (probabilmente, ugh, ne aveva altre dieci molto simili ordinatamente piegate nei cassetti) le aveva dimenticate a casa di Cherry chissà quanto tempo prima. «sono orribili, non riesco a smettere di guardarle» aggiunse infine, occhi bosco incollati sulla stoffa animalier accartocciata sul pavimento. «e non chiederò come sono finite nella tua camera.» c’erano domande a cui persino G. Claudia Moor non voleva dare risposte. Lo faceva per la proprio sanità mentale.
    E poi, c’era un elefante ben più grande da affrontare, in quella stanza.
    Si mise seduta sui talloni, distogliendo finalmente le attenzioni dalle mutande, e portandole sulla Benshaw sdraiata sul letto. «sei pronta?» ad andarsi a riprendere quel pirla del suo migliore amico e prenderlo a schiaffi, andava detto. Claudia, dal canto suo, lo era; ma era sempre stata una persona profondamente contraddittoria, smossa spesso da sentimenti ambivalenti e chiari solo ed esclusivamente a lei, quindi se da una parte c’era la certezza matematica che la missione sarebbe riuscita, dall’altra non poteva non pensare ai possibili risvolti negativi e a tutte le cose che avrebbero potuto andare male. Perciò sì, era pronta — al meglio, e soprattutto al peggio, ma non si sentiva di condividerlo ad alta voce.
    g. claudia
    Moor

    e mentre il tempo scade, e il mondo si sta armando,
    In un monolocale, noi, ci stiamo amando.
    difensore anatema
    [rimuove 5-10 pa da attacco avversario]
    strega
    Lvl mago
    2001 — australiana — bloggerma che rivoluzione che tutti qui vorrebbero,
    ma nessuno ha mai il coraggio di prendere il bastone
    E darlo in bocca a chi ci vende le illusioni.
    il peggio è passato
    fabrizio moro
    Mother of Night, darken my step
  3. .
    We do our best vampire routines
    As we suck the dying hours dry
    2001 | journalist2099 | zip martens
    g. claudia
    moor
    Claudia sostenne lo sguardo di Doc fintanto che l'altra ragazza lo tenne su di lei, e poi continuò a guardarla anche una volta che l'empatica ebbe distolto le iridi verdi, rivolgendo la propria attenzione altrove. Clod non avrebbe mai potuto, incollata a quel profilo sconosciuto e al contempo familiare, da una magia diversa da qualsiasi forma avesse mai conosciuto in vita sua.
    Sentiva il bisogno di riempire quei silenzi che si andavano a creare tra loro più di tutti gli altri, con la terrificante e inspiegabile paura che, se non avesse detto nulla, l'altra sarebbe sparita come la protagonista illusoria e intangibile di un sogno tanto ben definito da sembrare reale, pur non essendolo.
    Lo sentiva come un bisogno fisico, a premere sul cuore e contro la cassa toracica, come se tenere Doc lì usando le sue parole fosse di vitale importanza, un compito da dover completare a qualsiasi costo, da assolvere per una questione più grande, che prescindeva spazio e tempo, e che Claudia non riusciva ad afferrare nel proprio pugno.
    L'importanza e la gravità di quel momento, però, sembravano giocare a suo sfavore, rendendo le sue parole meno precise di quanto avrebbero saputo essere in altre circostanze, e rendendo le domande meno pertinenti.
    Ma non per questo meno importanti.
    «davvero?»
    Davvero cosa, in effetti? Non avrebbe saputo dirlo. Si strinse perciò nelle spalle, rivolgendole un'occhiata taciturna e un silenzio, il primo fino a quel momento, che più che dare risposte sembrava contenere altre cento, mille, domande.
    Era davvero interessante, forse.
    O davvero curioso.
    O magari, ancora, davvero allarmante il fatto che Doc fosse una special col dono dell'empatia, quando Clod ci si era sentita per tutta la vita pur non essendolo affatto.
    Sorrise appena, al pensiero che il destino sembrasse aver calcolato ogni mossa e ogni pedina di quell'incontro, sistemandole con ordine all'interno della grande scacchiera che era la vita.
    Alla fine fece la domanda più banale possibile, e proprio per quello, anche la più difficile a cui trovare una risposta.
    «non so come sia non esserlo»
    Onesto, molto onesto. Questo significava che ci fosse nata, Doc, con quel dono? Non aveva mai vissuto una vita che non fosse quella di un'empatica? O il suo dono (la sua condanna?) era arrivato così presto nella vita, da non avere memorie di un “prima”? Tutte domande che l'animo investigativo di Claudia non poteva trattenersi dal formulare, ma che lei tenne comunque per sé, reputando poco empatico da parte sua bombardare la bionda di quesiti, solo per soddisfare una curiosità senza fondo, e senza tappo.
    Si accontentò invece di assimilare ogni risposta che le veniva data, ascoltandole con serietà e attenzione, facendole sue e imprimendole a fuoco nella memoria, e nella conoscenza.
    «non è così… netta, la differenza. Non c’è il tuo ed il mio. c’è e basta, sai? E ciascuno ne fa quel che vuole»
    Annuì, sentendo di capire a fondo pur non condividendo davvero la stessa magia che scorreva nel sangue di Doc.
    Un tempo, forse.
    Ma non più.
    «posso forzare un emozione su di te? Certo. Puoi provarla, ma non vuol dire necessariamente sentirla. posso provare quello che provi tu, ma non è lo… stesso»
    Allargò il sorriso sulle labbra che rivolse alla special, tentando di coinvolgerla in quella che era la versione personale di Clod di un abbraccio senza davvero allargare le braccia. Un abbraccio emotivo, perfetto per un'empatica, no?
    «a me capita solo di sentirmi molto, molto in sintonia con qualcuno» scherzò, lasciando poi che il silenzio subito a seguire sottolineasse quanto quelle parole sposassero bene quell'incontro imprevisto. «ti capita mai di volerle… tenere fuori?» le emozioni, ma anche le persone; a Claudia sì, eppure era un caso così particolare di contraddizioni e opposti uguali e contrari a convivere in uno stesso organismo, che comunque non lo faceva mai.
    Non avrebbe mai potuto.
    Quando Doc esitò, poi, Claudia temette di aver azzardato un po' troppo, e aver chiesto più di quanto fosse lecito, o quanto fosse giusto per lei sapere. Nella titubanza dell'altra, Clod ci lesse ciò che voleva leggerci, e si stupì di essere contraddetta quando poi, alla fine, Doc parlò.
    A quel punto, Claudia non aveva problemi a sostenere lo sguardo chiaro della sua nuova amica, e a cercare inconsciamente tutto quello che non veniva detto a parole, per disegnare un quadro ancora più grande di quello che Doc illustrava per lei.
    «mi adorava»
    Non riuscì a non ricambiare il sorriso — non volle non ricambiare il sorriso; la conosceva da una manciata di minuti, Doc, eppure sentiva che non potesse essere diversamente. Che non la si potesse adorare completamente, e follemente.
    «ed io lei. Era la mia persona preferita»
    Si rese conto che la nota di tristezza a macchiare il modo in cui la giornalista percepiva quel racconto, fosse dovuta al fatto che Doc ne stesse parlando al passato, e non poté non domandarsi cosa fosse successo, se la persona che tanto adorava, e tanto la adorava, fosse morta. Nella guerra, magari? Chi poteva dirlo.
    Poi si ricordò che Doc le aveva detto “una vita fa”, e pensò che il destino era tanto benevolo quanto bastardo, nello strappare via persone care prima del tempo. Il sorriso morbido si fece appena più timido, e Clod sperò che l'altra non percepisse la sua tristezza — non ne aveva alcun diritto, quella perdita non era la sua. Eppure faceva maledettamente male.
    «aveva un modo di vedere il mondo… diverso da chiunque altro. Non perché fosse ottimista e ne vedesse il bello, ma perché ogni cosa rappresentava un’opportunità, sai? Una sfida, un’avventura. Una storia»
    Claudia sperava che, se un giorno qualcuno avesse parlato di lei ad altri, avrebbe usato esattamente quelle parole per descriverla: le piaceva avere una visione del mondo diversa da chiunque altro, e sapeva fosse così, e le piaceva anche credersi ottimista quando in realtà c'era una nota pessimista nel modo in cui ragionava, che la portava inevitabilmente ad essere realista, per quanto la sua attività preferita fosse quella di perdersi nelle proprie fantasie e creare mondi e situazioni impossibili dove vincere altrettanto impossibili discussioni.
    Adorava persino credere di saper cogliere ogni sfida che il destino le proponeva, o di saperne creare quando la monotonia della vita minacciava di farla annoiare.
    «mi raccontava sempre storie»
    «sono bravissima a raccontare storie» e a sognare ad occhi aperti; e solo lo fosse stata anche a mettere nero su bianco tutte quelle idee, e dare una forma concreta ai suoi racconti, non solo avrebbe pubblicato quel romanzo che teneva fermo da anni, ma avrebbe persino avuto l'ardore di pubblicare il seguito. E i seguiti del seguito.
    «i buoni vincevano sempre»
    «la mia parte preferita» perché se non potevano vincere nel mondo reale, allora Clod li avrebbe fatti trionfare laddove aveva pieno controllo, e la possibilità di fare ciò che voleva.
    «vivace. Intraprendente. testarda»
    Distolse lo sguardo solo per un attimo, per osservare le nuvole nel cielo sopra le loro teste, e si permise di sognare anche solo per un attimo, un mondo in cui la persona descritta da Deirde Osborn Charisma, fosse lei. Sarebbe stato un momento emozionante, il ritrovarsi dopo chissà quanto tempo e chissà quante avventure — ma non poteva essere. Claudia non aveva mai conosciuto una Doc, in vita sua, o se ne sarebbe ricordata; non avrebbe mai permesso a nulla e nessuno di rimuovere certi ricordi dalla sua esistenza, non quando avevano la stessa intensità del sole, e la stessa dolcezza di un pomeriggio di calda primavera.
    «giurava che il mondo fosse un gioco, e lei lo avrebbe vinto»
    Qualcosa le diceva, dal tono usato dalla bionda, che temeva non fosse così; che l'altra avesse perso, pur sostenendo fermamente il contrario.
    Forse non era un gioco, si ritrovò a pensare, prima di scuotere la testa e ricordarsi che non fosse un bene immedesimarsi (ancora una volta) nelle parole di qualcun altro — non era lei, la persona di cui Doc sentiva la mancanza.
    Ma se lo fossi, Claudia?
    Non avrebbe potuto.
    «ti manca molto»
    E non era una domanda, la sua.
    «è molto tempo che non la vedi?» se pensava ai suoi genitori, lasciati volontariamente indietro senza guardarsi mai oltre le spalle, Clod non sentiva nulla; di certo non la mancanza, né la nostalgia. Ma in qualche modo, e per una ragione che non sapeva spiegare, le parole di Doc avevano aperto una ferita che la Moor non sapeva nemmeno di aver avuto, fino a quel momento.
    E ora, la sensazione di aver perso qualcosa e non poterlo più avere indietro, le attanagliava lo stomaco e stringeva una morsa sul petto che minacciava di soffocarla.
    Abbiamo ancora l'un l'altra, Didi. Non ti lascerò mai.
    A mantenere le promesse, Claudia, era sempre stata la migliore. Finché non lo era stata più.
    I've got all my life to live
    && I've got all my love to give
    && I'll survive.
    I will survive.
    gloria gaynor
    i will survive
    love tracks
  4. .
    g. claudia moor
    09.04.01
    perth, aus
    Legarsi alle persone non era mai stato difficile per Claudia, da sempre portata a concedere fin troppo di sé senza mai chiedere in cambio la stessa quantità, o qualità, di affetto, perché convinta di potersi far bastare ciò che riceveva, se mischiato a ciò che donava. E ne era ancora convinta, anche dopo tutti quegli anni e dopo tutti quegli sbagli; le piaceva essere così (imprevedibile, testarda, romantica, sciocca, problematica, folle, banale, impossibile) e se avesse iniziato a concedere meno se stessa in ogni relazione, si sarebbe piaciuta un po' meno. Di tutte le cose che poteva trattenere per sé, sulle quali essere avara, l'amore non rientrava nella categoria. Non l'aveva mai fatto.
    Quindi no, affezionarsi non era mai stato un problema per lei e, per assurdo e per quella strana regola di paradigmi e contrari che la contraddistingueva da sempre, non lo era nemmeno lasciare indietro senza un battito in più di ciglia del necessario coloro che non la meritavano.
    Era bravissima ad amare in modo incondizionato, Claudia, ma sapeva anche come privare qualcuno di quel devastante e assoluto amore, se immeritevoli.
    Per chi la amava – e continuava a farlo – con anche solo un decimo del trasporto ma uguale ferocia e rispetto, invece, era un altro paio di maniche. Avrebbe dato la vita per ognuno di loro, senza pretendere che facessero altrettanto.
    Fake era uno dei primi nomi sulla lista, e la devozione con cui il cinese si aggrappava a Clod, veniva ripagata dalla giornalista con una altrettanto incondizionata adorazione difficile da spiegare a voce, ma che la bionda non falliva mai di convogliare nei gesti. Per quanto assurdo potesse sembrare, essendo lei una che con le parole ci si era guadagnata da vivere per anni, trovava che sapessero dire molto meno di quanto poteva fare un abbraccio, o un bacio premuto contro i capelli offerto nel momento giusto.
    Tenne Fake stretto al suo petto il più a lungo possibile, desiderando di poterlo custodire lì dove il muscolo cardiaco batteva seguendo un tempo tutto suo, per amarlo e proteggerlo come in pochi altri avrebbero saputo fare; pochi capivano il tipo di fragilità che caratterizzava il Cheena, e fin troppi di loro se n'erano andati via portando quella conoscenza con sé, e facendo più danni di quanto una banale lama conficcata nel petto avrebbe potuto mai.
    Clod non avrebbe fatto lo stesso errore, non sarebbe stata altrettanto egoista, e, al contrario, avrebbe mosso mare e cielo per ritrovare Ryu e chiunque altro il Lotus avesse portato con sé.
    Premette le labbra un po' più forte contro i capelli del ragazzo, nel sentirlo chiedere con voce bassa e rotta quel «e perché io?» che andò a stringere lo stomaco di Clod — che chiaramente una risposta non l'aveva, se non quella più banale di tutte: perché non tu? Perché non loro? Se non avessero stretto i pugni e lottato contro la censura e la disinformazione, chi lo avrebbe fatto? Se non loro, che avevano perso qualcuno di fin troppo vicino al cuore per poterlo sentire battere ancora ad un ritmo normale, chi? Chi? Di certo non il ministero, che non aveva mosso un dito nemmeno per cercare i Dispersi di San Valentino; non loro, che continuavano a oscurate notizie, tag e siti che osavano anche solo avvicinarsi all'argomento Lotus.
    «perché puoi. perché sei forte. perché puoi resistere.» Glielo disse guardandolo negli occhi, costringendolo con delicatezza a fare altrettanto, prima di asciugare le lacrime e il sangue anche con le maniche della propria felpa, le mani a premere contro le guance e le orecchie del moro ora che non lo stringeva più in un abbraccio stritolatore. «perché non potresti mai semplicemente smettere di farlo» spegnendo un interruttore e decidendo non gli importasse più di nulla; non era fatto così, Madein Cheena. Era fatto, come lei, per amare incondizionatamente, e stupidamente.
    Nell'espressione triste, e in quel labbro premuto all'infuori, Clod lesse le mille domande che il pavor non si azzardava a fare, e desiderò ancora una volta poter avere le risposte per almeno una minuscola parte di esse.
    Gli accarezzò le gote con i pollici ancora nascosti nella felpa, e gli disse l'unica verità che sentiva bruciare nel petto, più della certezza che avrebbe messo in mezzo dalla prima all'ultima delle sue innumerevoli fonti pur di andare a capo di quella storia: «lo so e basta. Torneranno. lo so.» e non avrebbe mai potuto accettare un esito diverso, né i magari volevano solo andare via sussurrati da JSF, come bisbigli malefici affidati al social magico.
    Se doveva crederci – e sperarci – anche a nome di Fake, l'avrebbe fatto.
    «hai scoperto qualcosa?»
    Gettò un'occhiata al telefono indicato dal ragazzo, mettendosi comoda sul divanetto e lasciando che anche lui trovasse la posizione migliore, pur senza abbandonarlo mai; aveva bisogno anche lei di quel contatto fisico, forse tanto quanto ne necessitava Fake. «non molto, in verità.» meno di quanto avrebbe sperato, comunque. «quel cazzone continua a sparare teorie vaghe e c'è chi pensa solo a parlare di ship e di cose che non interessano letteralmente a nessuno» tipico di un qualsiasi social, insomma, «nessuno che si concentra sulle cose importanti.» si portò un'unghia alle labbra, iniziando a mordicchiare lo smalto acquamarina già scheggiato. «a quanto pare, sono stati avvistati in giro per il mondo dei gruppi di persone date per disperse, ma nessuno sa perché non siano tornate a casa in quei frangenti.» si strinse nelle spalle, lo sguardo fisso sul telefono come se contenesse tutti i segreti dell'universo, e le risposte di cui aveva bisogno, ma le mancasse la chiave di lettura per decifrare il tutto. «JSF dice che magari non volevano… io dico che non potevano» il Ryuzaki che conoscevano entrambi non si sarebbe mai separato da loro senza lasciare un biglietto, e di sicuro non per sua volontà.
    (E, di certo, non dopo la Siberia.)
    Sospirò, posando una guancia sulla spalla di Fake, e repsirandone il profumo familiare. «hai sentito che è successo di nuovo? un'altra morte random e inspiegabile apoarsa dal nulla, l'ennesima.» rimase in silenzio per un po', riflettendo. «non riesco a non pensare che siano collegate, le cose. non credo alla teoria dei nuovi laboratori, tanto per cominciare, e i cacciatori intervengono un po' troppo in fretta quando succede per non trovare la cosa quantomeno sospetta» Fake non era fatto per quel genere di rambling, e un po' le mancava non poter parlare con Noah o Idem di quelle cose, ma voleva rendere il Cheena quanto più partecipe delle sue teorie perché c'erano dentro insieme, e non lo avrebbe mai lasciato indietro, o all'oscuro. «ughh se solo potessi avvivinarmi abbastanza ad uno di loro per… capire.» c'era frustrazione nel modo in cui agitava le mani a mezz'aria, stringendo le dita per afferrare qualcosa che rimaneva troppo distante e sfuggiva alla sua presa. «sto seriamente pensando di pagare un veggente per farmi dire quando e dove avverrà la prossima morte, così da poter intervenire prima dei cacciatori» suonava come una follia? Beh, non lo era. non per Claudia.
    «a parte scoprire che sono avvenute altre sparizioni prima del Lotus, di cui nessuno comunque parla, nulla di nuovo. È impossibile anche tirare le somme approssimative dei dispersi, con tutte queste censure e e vaghe notizie. Sto ancora aspettando qualche risposta dalle mie fonti, per quanto possano essere utili dei patiti di quidditch preoccupati solo che le loro stelle preferite possano andare incontro alla stessa sorte, buh uh.»
    temporary
    pp-owner
    halfbloodbloggeraustralian2099: zip martens
    Tu portami via,
    quando torna la paura
    e non so più reagire;
    dai rimorsi degli errori
    che continuo a fare
    ,
    mentre lotto a denti stretti nascondendo l'amarezza
    dentro a una bugia.
  5. .
    barba_barabba
    @9096rola
    @justStatingFacts alcune delle persone che erano al #l0tus non se ne sarebbero mai andate di loro spontanea volontà, non senza avvisare... e rimane il fatto che sia sparito un intero edificio, insieme a loro.
    hh.mm - gg/mm/aaaa - powered by twizard



    barba_barabba
    @9096rola
    @justStatingFacts magari ti sbagli, e non è una questione di non voler fare ritorno a casa, ma di non poterlo fare. questa teoria del "nuovo mondo" suona un po' come una bufala. dovremmo concentrarci sul cercare risposte concrete, non teorizzare plot da romanzi scifi
    hh.mm - gg/mm/aaaa - powered by twizard



    barba_barabba
    @9096rola
    @justStatingFacts ma visto che ti piace condividere le tue teorie, ne hai anche riguardo le misteriosi morte che stanno avvenendo in giro da settimane? perché qui i misteri si sovrappongono come tessere di una torre jenga in precario equilibrio e nessuno fa niente per evitare che crolli
    hh.mm - gg/mm/aaaa - powered by twizard
  6. .
    g. claudia moor
    09.04.01
    perth, aus
    Il PussyPower era ormai un luogo familiare per Claudia. Come avrebbe potuto essere diversamente, dopotutto: ci era tornata ogni singolo giorno da quando Melvin Diesel, mesi prima, era entrata nella sua vita.
    Una persona che Clod non sapeva di aver perso fino a quando nin l'aveva trovata; che non sapeva di aver necessitato fino a che non aveva sentito qualcosa dentro di lei tornare al posto giusto dopo averla incontrata, in un pomeriggio qualsiasi che già dal principio non era parso esattamente come tutti gli altri.
    Ci era tornata tutti i giorni, anche dopo San Valentino.
    Per dieci, lunghissimi, giorni, era tornata al PP per giocare con i gattini, mangiare le torte deliziose di Grey, e chiacchierare con Vin. E, per dieci giorni, non l'aveva trovata; aveva trovato solo l'umore dello chef che andava via via peggiorando, e insieme ai volantini di gente scomparsa che all'improvviso avevano tappezzamento le vie e le piazze, era stato un campanello di allarme sufficiente a far preoccupare Clod: Grey non le aveva mai dato l'impressione di essere uno che si preoccupasse (punto, fine.) — perciò se anche lui era impensierito dall'ingiustificata assenza di Vin, doveva esserci per forza qualcosa sotto.
    La situazione era poi peggiorata quando, all'improvviso, il luogo dove erano stati rintracciati gli ostaggi, era svanito nel nulla insieme a sequestratori e soccorsi.
    Aveva indagato a modo suo, Clod, affidandosi a fonti che all'inizio erano sembrate perlopiù inutili, fino a che inutili non lo erano più state: perché era il fottuto resort di Montrose ad essere sparito, quel dannato 24 febbraio, e i fan della squadra sembravano quuantomeno vagamente sorpresi dalla cosa.
    In che senso non c'era mai stato?! Impossibile, loro avevano soggiornato lì per la partita Magpies - Bats dell'anno precedente. Avevano le ciabatte griffate con il simbolo del fiore di loto e una collezione di saponette e mini bagnoschiuma rubati dalla struttura a testimonianza del loro passaggio nelle stanze del resort.
    E così i mystery-senses di Cloud si erano attivati, perché nulla di quella sparizione le piaceva o le sembrava sensato. Avrebbe indagato lo stesso, anche se, nello sparire nell'etere, quel vecchio Lotus non avesse portato con sé una nuova amica (una sorella?) e strappato via una parte della giornalista che non aveva saputo di possedere fino all'estate precedente. Avrebbe indagato perché era quello che faceva lei in quanto paranormal investigator a tempo part-time e giornalista a tempo pieno; cercava le risposte che a nessun altro interessavano, o quelle che spaventavano troppo per potersi mettere sulle loro tracce.
    Che fosse su sparizioni misteriose o sulla nuova stagione di quidditch, il fine era sempre lo stesso. La verità, la chiarezza. L'informazione.
    A vederla così, G. Claudia Moor sembrava non aver paura di nulla; ma quella volta le cose stavano in maniera diversa perché ad essere risucchiati via come polvere nel sacchetto dell'aspirapolvere, non erano stati perfetti sconosciuti.
    Erano stati amici, parenti, genitori, figli.
    Melvin.
    E Ryu.
    E tutta una serie di persone che, pur non capendo come o perché, erano importanti nella vita di Fake e tanto bastava all'australiana per decidere fossero importanti anche per lei, a prescindere dalle motivazioni. Non servivano delle motivazioni, per quel genere di cose.
    Sfortunatamente le sue indagini avevano incontrato un vicolo cieco dopo l'altro, una censura dopo l'altra, e a distanza di giorni non aveva nulla di concreto in mano se non le teorie complottiste di Twizard e un account palesemente fake che cercava di baitarli in tutti i modi, suggerendo di avere informazioni utili riguardo la sparizione del Lotus (e, a quanto pareva, non solo quella) ma senza mai dare risposte vere ed esaustiva. Si reputava una persona abbastanza matura, Claudia, ma non così tanto da non provare l'ardente desiderio di arrivare alle mani con una foto pixellata e delle stupide emoji, se fosse servito a strappare qualche risposta.
    Con frustrazione, chiuse l'applicazione (dopo aver alzato gli occhi al cielo all'ennesimo flame, e all'ennesimo thread inutile; ma quali erano, di grazia, le fottute priorità della gente se non quella di fare luce sulla questione Lotus?!?) e infilò i guanti protettivi per tirare fuori l'ennesima teglia di cupcakes.
    Piccolo chiarimento dovuto: nessuno le aveva dato il permesso di fare del PP il suo laboratorio, o la sua nuova attività commerciale, ma in assenza di Vin e di Grey, all'australiana era sembrato più che normale prendere le redini della situazione e mandare avanti la baracca: mica poteva lasciare che i micettini morissero di fame, no?! O che i clienti non avessero un posto in cui andare. Qualcuno doveva pur tenere il locale in ordine fino al ritorno dei legittimi proprietari!! Perché sì: sarebbero tornati, e Clod ne era certa. A costo di andarsi a riprendere ciascuno di loro fin sulla luna, o in un altra dimensione, o un'altra epoca temporale — le possibilità erano davvero infinite, e così anche la fantasia (e la pazienza) della giornalista. Era pronta a tutto.
    Perciò, di fatto, aveva reso la cucina di Grey il suo regno, con l'intenzione di nascondere ogni sua traccia prima del ritorno dello special per evitare di essere brutalmente accoltellata e lasciata a dissanguarsi in uno dei vicoli bui di Dark Street; era troppo giovane, bella e simpatica per morire prima dei 30 anni, e non era (ancora.) nemmeno una rockstar per giustificare una morte giovane, seppur drammatica quanto piaceva a lei.
    Cosa poteva dire a sua discolpa, poi? Cucinare dolci le piaceva, e quella cucina aveva tutti gli utensili e le carte in regola per essere considerata un fucking sogno; quasi capiva perché il coreano passava tutto il suo tempo lì dentro.
    Sfilò i cupcakes dagli stampini, uno alla volta, con estrema cura, e li lasciò raffreddare qualche minuto prima di passarci sopra la glassa zuccherata; l'apertura del locale non era prevista prima di un paio di ore ancora, ma a Clod servivano quei momenti di solitudine e riflessione per rimettere insieme i pezzi di un'indagine che non stava andando affatto come aveva sperato.
    Il bello, inoltre, di essere una freelance: da quando aveva lasciato il lavoro al Boccino d'Argento, era diventata il capo di se stessa e molto indipendente, cosa che le lasciava tutto il tempo necessario per dedicarsi alla nuova attività rilevata a causa di forze maggiori.
    Stava giusto completando il frosting dell'ultimo dolcetto, quando sentì qualcuno atterrare nella sala esterna e, considerando che le barriere anti intrusione non avessero inziato a suonare (o i mici a miagolare per l'arrivo improvviso di un estraneo) Clod non si preoccupò eccessivamente: lasciò comunque cadere la sac a poche in fretta e furia, e si trascinò nella sala, non senza aver prima afferra un paio di cupcakes da portare con sé.
    E se fossero Melvin e Grey?
    Un pensiero che ebbe, sfortunatamente, vita breve nel cuore e nella mente della giornalista, perché quando attraversò le porte che separavano la cucina dal resro del locale, di fronte a sé non trovò i due special, ma un'altra creatura speciale di sua conoscenza.
    Con un «oh, baby» strappato direttamente da un cuore in grado di immagazzinare abbastanza affetto da farla risultare quasi empatica a sua volta, posò il dolce sul tavolo più vicino e raggiunse Fake, per inglobarlo in un abbraccio che minacciava di non lasciargli mai più scampo.
    Nonostante l'immagine tutta spigoli e le cicatrici e il sorriso affilato e gli abiti costantemente macchiati di sangue dell'ex grifondoro, Claudia sapeva della fragilità (non così nascosta) di Fake e, in una maniera tutta loro, l'amava e la rispettava. Voleva custodirla e proteggerla come meglio poteva.
    (Istinto da sorella maggiore?)
    «lo so, lo so» non c'era un momento in cui anche il muscolo cardiaco della stessa giornalista non perdesse un battito (o dieci) al pensiero di non rivedere mai più le persone scomparse, ma non era un finale a cui era disposta a cedere. Voleva scriverlo lei il finale di quella storia, cambiarlo e stravolgerlo se ce ne fosse stato bisogno. Accarezzo i capelli scuri di Fake, e poi vi lasciò sopra un bacio alla ciliegia, stringendolo al suo petto.
    «non voglio più nemmeno io» un altro bacio sui capelli, un gesto pieno di affetto e privo di malizia, fraterno e più reale di qualsiasi cosa ci fosse stata tra loro in passato, «ma qualcuno deve pur farlo, no?» Gli passò due dita sotto al mento, invitandolo con delicatezza a guardarla mentre gli sorrideva, triste e vulnerabile come solo con i Golden riusciva a mostrarsi (e nemmeno con tutti). «per quando torneranno» e non c'erano spazi per i sé, o per i ma, nelle sue parole.
    Sarebbero tornati, in qualche modo.
    Claudia doveva crederci.
    Per se stessa, e per Fake. E per tutti gli altri.
    temporary
    pp-owner
    halfbloodbloggeraustralian2099: zip martens
    Tu portami via,
    quando torna la paura
    e non so più reagire;
    dai rimorsi degli errori
    che continuo a fare
    ,
    mentre lotto a denti stretti nascondendo l'amarezza
    dentro a una bugia.
  7. .
    barba_barabba
    @9096rola
    @hiken in questo caso, preferisco prendere tutte le teorie (anche quelle più assurde) e avere qualcosa di cui parlare, piuttosto che il silenzio stampa. Cosa ci stanno nascondendo?!
    hh.mm - gg/mm/aaaa - powered by twizard



    barba_barabba
    @9096rola
    @justStatingFacts quali sono le tue teorie? Perché dici che non sarebbe il primo? Qui si parla di qualsiasi cosa, dal rapimento alieno ad una nuova colonia scomparsa, ma nulla di concreto
    hh.mm - gg/mm/aaaa - powered by twizard


    barba_barabba
    @9096rola
    @justStatingFacts ci stai dicendo che ci sono altre persone scomparse di cui non si sa nulla, oltre quelle presente al #l0tus, e perché non si parla nemmeno di questo? Stanno censurando l'informazione pubblica?!
    hh.mm - gg/mm/aaaa - powered by twizard
  8. .
    barba_barabba
    @9096rola
    @alfa_aurigae non hai saputo? Il 24 febbraio, a Montrose (in Scozia) un intero resort è sparito nel nulla, portando con sé un sacco di persone
    hh.mm - gg/mm/aaaa - powered by twizard


    barba_barabba
    @9096rola
    @alfa_aurigae al suo interno c'erano le persone che risultavano sparite da san valentino, e coloro che erano andati a cercarli... e nessuno ne parla!!!!!
    hh.mm - gg/mm/aaaa - powered by twizard



    in situazioni meno estreme modificherò foto e ora addio
  9. .

    2001

    aussie

    journalist
    banale spiegazione
    fabrizio moro
    Claudia era una ragazza semplice: fiutava odore di casi umani e si lasciava guidare come un cane da tartufo, senza nemmeno preoccuparsi di (o anche solo pensare a) cosa avrebbe trovato dall’altra parte. Se l’avesse fatto, avrebbe perso metà del divertimento, no?
    Quel giorno poi, in mancanza di altro da fare (ah, bella la vita del freelance, essere capo di se stessi, non dover chiedere permessi né rispettare scadenze imposte da altri, eccetera eccetera) aveva deciso che quale miglior modo per coltivare un po’ i rapporti con i suoi coinquilini, se non quello di rispondere alla chiamata di Ruru e seguirlo da Madama Piediburro per l’asta del FantaQuidditch?! Che poi fosse, appunto, l’asta del FantaQuidditch era solo un fattore in più che aveva influito sulla decisione (già presa a prescindere) della giornalista, e che aveva reso la prospettiva di quel pomeriggio più interessante: chi meglio di lei, che masticava Quidditch da anni, avrebbe potuto guidare Ryuzaki nella scelta perfetta per creare la sua rosa di giocatori?! Magari, se si fosse sentita particolarmente competitiva, avrebbe persino lanciato il proprio nome nella mischia — ma prima voleva vedere gli avversari: non aveva senso sprecare il suo potenziale contro giocatori che ne sapevano a malapena, non ci sarebbe stato gusto. E sì, d’accordo, il FantaQuidditch era anche questione di culo e bisognava pregare forte affinché le prestazioni dei giocatori scelti fossero ottime (o che questi non finissero disarcionati giù dalla scopa alla prima giornata per poi passare metà campionato in riabilitazione) ma partire con una conoscenza come quella della Moor, e una predisposizione particolare a conoscere ogni statistica e ogni condizione più o meno plausibile, l’avrebbe sicuramente avvantaggiata anche nella banale composizione di una squadra da schierare poi ogni fine settimana. Non voleva farsi odiare solo perché bravissima (oltre che bella e simpatica!).
    Perciò no, non era andata da Madama con l’intento di iscriversi alla Lega — ma magari. Dipendeva; lo diceva anche i Jarabe de Palo.
    Il motivo principale però rimaneva Ruru! E la volontà, da parte dell’australiana, di entrare nelle grazie del giapponese (non letteralmente — aveva capito l’antifona.) perché aveva il non così vago sospetto di non stare particolarmente simpatica al Kageyama: che le tenesse ancora il muso per quella volta quando, anni prima!!, in tempi non sospetti, era andata a letto con Fake?! Ugh, e allora? Clod andava a letto con tutti, non era stata mica una cosa speciale! Cioè, lo era stata perché Fake era un ragazzo speciale e lei lo adorava, ma non voleva dire che fosse diventata più di quello che non era stato; tant’è che ora erano amici (i migliori!) e coinquilini e non c’era il minimo imbarazzo tra loro (difficile per Clod provare, in generale). Ed era anche la primissima fan di Ryu e Fake!! Figuriamoci se pensasse ancora all’altro come una possibile conquista, mpf!! Non lo capiva, il Kage, che Claudia era perfettamente innocua?! Beh, lei era decisa a dimostrarglielo, e a fargli capire che la sua unica volontà fosse quella di dimostrarsi per ciò che era: la miglior coinquilina al mondo. La Penny del loro Big Bang Gang.
    Circa.
    Più o meno.
    Non aveva davvero visto la serie, non sapeva se il paragone reggesse o meno.
    Tornando alla questione centrale: «dude, bro. nessuno ti tocca hallsy, ma nemmeno con un palo»
    La ninfomania spigliatezza di Clod. Cosa? Cosa. «beh, io lo toccherei» trovò posto su una sedia libera accanto al Kageyama, e gli rivolse il più splendente dei sorrisi. «che c’è? è vero a quanto pareva, i gusti dei due avevano come unico punto in comune Madein Cheena, il che diceva molto di Clod e Ryu come persone (che avessero gusti bellissimi!!); quel pensiero fece sorridere ancora di più la giornalista. «hai visto, Ruru? sono venuta a farti compagnia.» il pensiero che l’invito fosse stato esteso Fake e Taichi e non a lei non l’aveva nemmeno sfiorata. Nemmeno un po’.
    Portò lo sguardo verso l’interlocutore di Ryu, mano sotto il meno e gomito poggiato sul tavolino di Madama. «e il tuo attaccamento ai giocatori non può essere sano. è una cosa italiana, per caso? del tipo che piangete quando vincono le partite» Duh? «Sì.» le iridi verdi cercarono con confusione il coinquilino, uno sguardo di sbieco che aveva un che di disapprovazione. «non lo sai?» come poteva non saperlo. «lo diceva anche Churchill: “gli italiani perdono le guerre come se fossero partite di calcio, e le partite di calcio come se fossero guerre”.» che donna colta, non a caso era un giornalista. «e vale anche per il quidditch» puntellò le iridi bosco sull’italiano, giudicandolo fortemente: se lo odiava per quella partita del 2018 quando la nazionale azzurra aveva sbattuto fuori dagli ottavi quella australiana? Certo che sì. Il loro cercatore non si era ancora ripreso dalla bolidata ricevuta e quello era stato chiaramente un fallo intenzionale.
    «benvenuti amici alla terza edizione del nostro ritrovo annuale.»
    Bla bla bla.
    Eppure era abbastanza educata (e lavorava in quel settore maschilista da così tanto tempo – ben tre anni. –) da sapere quando era il momento di prendere parola e quando, invece, lasciare agli uomini il tempo per pavoneggiarsi e farsi belli con termini gonfi e statistiche sbagliate. Si avvicinò invece a Ryu, e sussurrò: «buffo, avrei detto che fossimo già a metà campionato, non è un po' tardi per iniziare l'asta? Dovremmo essere a quella invernale» come funzionava, in quella parte di emisfero?!
    «visto che ci sono nei novellini, fatemi spiegare di nuovo le regole per tutti»
    Roteò gli occhi al cielo, ma lo lasciò finire. Solo una volta spiegato il tutto (approssimativamente, e male; dubitava che “i novellini” avessero compreso qualcosa) prese parola.
    «in realtà ti sbagli.» primo schiaffo all’ego maschile. «e sì, ti ho sentito parlare dei tornados.» chi non l’aveva fatto? non aveva di certo mantenuto un tono di voce basso, era chiaro che volesse essere ascoltato. «l’allentatore non è stato esonerato per scarse prestazioni, ma perché la società cercava una scusa per mandarlo via già da un po’; il contratto lo impediva, ma era chiaro che ai vertici non piacesse il modulo di gioco di Hart e il modo in cui sfruttava i battitori. lo incolpavano di avere un gioco troppo statico, e pesante, e che dovesse alzare di più i due liberi per aiutare i cercatori in fase di non possesso della pluffa.» chiaramente lei era stata d’accordo. «le scarse prestazioni, come dici tu, avrebbe potuto evitarle se solo avesse dato retta a chi ne capiva chiaramente più di lui.» non era mai stata fan di Hart — così come di molti altri allenatori che attualmente sedevano sulle panchine delle prime squadre di mezza europa. «hanno scelto di proposito di puntare ad una posizione in classifica irraggiungibile, rendendo così impossibile il lavoro per Hart. diabolico, ma efficace.» aveva scritto almeno due post sul suo blog a riguardo — e nessuno a favore del coach. «e la stagione di maekawa è stata migliore di quella di serin, ma nessuno prende mai in considerazione i portieri. dovrebbero non serviva a nulla prendere il boccino se poi la differenza anelli era già di 160 punti. «sai che percentuale di parate ha ottentuo? novantacinque percento. e se conti che in una partita con una durata media di tre ore, i tiri verso gli anni si aggirano intorno al centinaio (se le squadre hanno dei moduli di gioco decenti e dei giocatori che sanno tenere in mano la pluffa per più di due passaggi), fatti il calcolo» perché io questi numeri me li sto inventando. Allargò le braccia, e si strinse nelle spalle. «ma sì, bravo serin per la sua media di tiro, immagino.»
    Sperava almeno fossero tutti d’accordo sul fatto che «le Vespe sono le migliori!» questione chiusa.
    All'inizio mi hai colpito
    per la tua instabilità:
    dicevi "pago l'analista
    perché la burocrazia non va".
    E dicevi "amo il calcio,
    Zeman è il migliore"
    Io capivo che eri pazza,
    ma eri bella come il sole
    cloud nine


    potrebbe potenzialmente diventare una eliandiception.
  10. .
    We do our best vampire routines
    As we suck the dying hours dry
    2001 | journalist2099 | zip martens
    g. claudia
    moor
    Nel suo essere sempre quella particolare e diversa, incostante e imprevedibile, banale e allo stesso tempo incomprensibile per i più, Clod si era rassegnata a passare una vita nei panni di quella che non sarebbe mai stata capita fino in fondo da nessuno; non le dispiaceva, c’era comunque qualcosa di bello e di particolare nell’essere la nota stonata di una sinfonia tutto fuorché perfetta, nell’essere l’incognita all’interno di un’equazione in cui nessuno sapeva bene dove collocarla.
    Non rientrare in nessuno schema, non appartenere – a persone, luoghi, carriere, nulla – non le era mai pesato; le dava, al contrario, la libertà di poter essere esattamente tutto quello che voleva, e niente allo stesso tempo. La sua contraddittorietà era sempre stata, e sempre sarebbe rimasta, la sua arma migliore e il suo pregio più grande, a detta sua: in pochi potevano dire di avere il suo stesso spirito di adattamento, perché in pochi le leggi – sociali, della natura, della mera esistenza umana – non si applicavano quasi alla lettera.
    Si era sempre circondata, Clod, di poche persone — ma quelle giuste per il suo animo: persone che, come lei, seppur in maniera diversa, non appartenevano a nulla eppure riuscivano a stare in ogni dove. L’aver trovato Fake, Ryu e Tai come coinquilini era stata la dimostrazione, ancora una volta, che non c’era posto al mondo dove una fuoriposto come lei non potesse comunque incastrarsi, prendendo esattamente la forma e riempiendo gli spazi che le venivano concessi.
    La bionda seduta al suo fianco, emanava le stesse sensazioni.
    Sapeva assolutamente di qualcuno che, nel mondo, sapeva starci pur non trovando mai il posto perfetto per se stessa: ciò non significava che non sapesse crearselo, o accettare quello che gli altri le offrivano in cambio. Non aveva idea del come lo sapesse, la Moor, erano semplicemente le impressioni che averla vicino stava lasciando sulla sua pelle; quelle, certo, e il fatto di essersi sempre sentita abbastanza brava nel saper leggere le persone.
    Doc le piaceva; c’era qualcosa, in lei, che rimetteva a posto il caos che Clod aveva dentro; qualcosa, nello sguardo verde e vulnerabile dell’altra, che le suggeriva di stringerla fra le sue braccia e prendersene cura, come la sorellina che non aveva mai avuto. Fu difficile, per un momento, ricordarsi che Doc fosse di fatto una sconosciuta e non qualcuno che aveva avuto al suo fianco per tutta la vita, e fermare così il braccio che, di sua spontanea volontà, sembrava volersi allargare per cercare le spalle della bionda e stringerle in una presa morbida ma feroce, protettiva e solida.
    Qualcosa, nella risata leggera, a sollevare l’umore di Clod e allo stesso tempo stringere il muscolo cardiaco in una presa così serrata da fare quasi male.
    Al sorriso di Doc rispose con una piega molto simile (troppo simile) delle labbra, e un piccolo cenno di assenso con il capo. «melvin è un bel nome», dichiarò, pur continuando a preferire Claudia; era, dopotutto, l’identità che si era scelta quando quella di Gwendolyn Martha Brown aveva smesso di calzarle — ammesso, poi, che l’avesse fatto. Quando ripensava alla vita a Perth, tutto le sembrava così distante e inafferrabile da avere quasi il sapore di un sogno, i contorni sfuocati e i ricordi volutamente rimossi dalla giornalista. Le sembrava quasi di aver iniziato a vivere solo dopo aver fatto di G. Claudia Moor una persona vera.
    Quando Doc le confermò i suoi sospetti, affermando di non conoscerla, Clod reclinò la testa all’indietro, puntando le iridi bosco verso il cielo, e fece schioccare la lingua contro il palato.
    «“questo posto… è come il ricordo di un sogno”» la citazione sfuggì dalle sue labbra senza controllo, ma fu lieta di averle lasciato via libera: Anastasia era sempre stato il suo cartone preferito, da quel che ricordava, e aveva sempre sentito una certa affinità con Anya; il suo viaggio attorno al mondo per ritrovare una famiglia che temeva di aver perso per sempre, aveva sempre risuonato un po’ troppo forte sotto la pelle di Claudia.
    Abbassò lo sguardo su Doc, e spiegò.
    «è una citazione, dal mio cartone preferito.» non si era mai troppo grandi, o realizzati, per smettere di avere un cartone preferito; o così credeva fermamente la Moor. «ma in questo caso, il posto è più “una persona”» ci sarebbero stati così tanti modi per spiegarsi, ma la verità era che non sapeva da che punto partire, né tantomeno dove volesse arrivare con quel discorso. Perciò, semplicemente, si strinse nelle spalle e gettò di nuovo la testa all’indietro, serena e certa che, in qualche modo, fosse scritto nel destino che quel giorno avesse deciso di sedersi proprio su quella panchina.
    «tu assomigli a qualcuno che conoscevo. una vita fa»
    Quella confessione, poi, non fece che sottolineare quella sensazione di fatalità che Clod sentiva nel petto. E la fece sorridere, la curva delle labbra a farsi più ampia, più contenta. «vedi? siamo già in sintonia, sulla stessa lunghezza d’onda.» non le capitava molto spesso. «ma ti avverto, potrebbe non essere un complimento per te,» e rise, di se stessa, perché era la sua fan e la sua hater numero uno, Clod; e rise anche perché, infondo, era bello condividere qualcosa con qualcuno.
    Sentiva ci fosse di più in quella storia, glielo suggeriva la giornalista che era in lei, ma non premette sulla questione. Piuttosto, invece, ricambiò lo sguardo di sottecchi di Doc pur senza abbassare la testa.
    «doveva succedere»
    Per un attimo Clod pensò si riferisse al loro incontro, ma poi si rese conto che parlasse invece di tutto quello che succede — o, per meglio dire, di tutto quello che fosse già successo.
    E si incupì, la Moor, pensando che ci sarebbero stati altri mille modi per raggiungere quel risultato, e almeno novecentonovantotto di essi non prevedevano lo sterminio dei babbani o una guerra mondiale. Ma non lo disse, rimanendo in silenzio ed arricciando le labbra carnose in una smorfia di disappunto nei confronti di quel mondo in cui, volente o nolente, si erano ritrovate costretta a vivere.
    «triste? non credo, no. melanconica, ogni tanto.»
    Annuì, sentendo di potercisi rispecchiare a pieno: non era mai triste, Claudia, se non quando, suo malgrado, si ritrovava ad esserlo. Non le piaceva, ma lo accettava perché era sempre stata un po’ empatica nei confronti delle persone, e le loro emozioni erano un po’ anche le sue emozioni.
    «mi manca tutto quello che non posso avere» «già» appena un sussurro, per non disturbare il filo delle confessioni di Doc.
    «invidiosa, qualche volta» accennò un sorriso, come a volerle suggerire che non lo siamo un po’ tutti?, e decisamente più di solo “qualche volta”. Faceva parte dell’essere umani e, per tanto, imperfetti.
    «a volte, sentendo le emozioni degli altri, vorrei rubarle. non per sempre, solo per un po'. sono un'empatica»
    A quel punto, la testa di Clod tornò a drizzarsi e l’espressione sul viso a mutare nuovamente, veloce come veloci e repentini erano i cambi di umore dell’australiana. «sul serio?» la sorpresa nello sguardo spalancato di Clod non era dovuto all’essere una special di Doc, ma al suo essere, nello specifico, un’empatica. «è davvero…» lasciò la frase a metà, persa come spesso le succedeva nel flusso mai lineare dei propri pensieri.
    una coincidenza troppo strana, una possibilità su un milione, qualcosa che si andava ad aggiungere a quella sensazione di familiarità e destino che Claudia sentiva già fin dentro le ossa.
    «e com’è?» le chiese, incrociando le gambe sulla panchina e poggiando i gomiti sulle ginocchia, «essere un’empatica. esserlo davvero che ne poteva sapere Doc del filo ingarbugliato che stavano seguendo i pensieri di Clod, «ti capita mai invece di non volerle... di temere di star scambiando le loro con le tue?» Per Clod, che aveva sempre vissuto di testa sua e a modo suo, l’idea di poter scambiare le proprie esperienze con quelle di qualcun altro sembrava terribile e terrificante; eppure, certe volte, non poteva evitare di domandarsi se non lo avesse fatto lo stesso, se non avesse confuso il suo desiderio di libertà e la sua implacabile intraprendenza con l’istinto di fare cose che non appartenevano a lei, ma a tutto il resto del mondo.
    Che la sua identità, dopotutto, fosse stata costruita sulle spalle e sulle esperienze di altri; che avesse fatto tutto quello che aveva fatto solo perché non aveva niente di suo da voler provare.
    «avete anche gli stessi colori»
    Quel repentino cambio di rotta, la colse di sorpresa. Inclinò legegrmente la testa verso Doc, e la studiò un attimo prima di informarla che «anche io te abbiamo gli stessi colori. ci somigliamo anche, non pensi?» sorrise, e poi agitò la mano a mezz’aria. «stesse persone in font diversi, o così dicono quelli della nostra generazione, no?» che ne sapeva lei, che gli unici trends che seguiva erano quelli riguardanti il quidditch.
    «ma dimmi di più di questa persona, se vuoi. sembra una persona interessante» e gongolò, orgogliosa e conscia di esserlo, prendendosi ogni tanto i complimenti della sua parte fa che le ricordava di aver resistito – e di essere sopravvissuta – fino a quel giorno senza l’aiuto di nessuno. Se li meritava.
    I've got all my life to live
    && I've got all my love to give
    && I'll survive.
    I will survive.
    gloria gaynor
    i will survive
    love tracks
  11. .
    We do our best vampire routines
    As we suck the dying hours dry
    2001 | journalist2099 | zip martens
    g. claudia
    moor
    Un vero contatto con la realtà, la Moor, non ce lo aveva mai avuto; l’aveva sempre vista attraverso il suo personalissimo filtro, uno fatto di contraddizioni, astrattismo e fantasia, un filtro che la realtà l’aveva sempre distorta e maneggiata un po’ a suo piacere e divertimento.
    Come poteva mai essere giornalista, una come lei?
    Semplice: ciò di cui scriveva Claudia era reale e concreto, un gioco aggressivo e fatto di fatti pratici, di risultati, di schemi e di statistiche. Non c’era nulla che Clod potesse inventare, o manipolare, parlando di Quidditch. E, nella sua perenne contraddittorietà, era proprio quello che apprezzava di più del gioco: il suo essere inconfutabile. Di pareri riguardo la bravura di quello o quell’altro giocatore potevano essercene mille, e tutti diversi gli uni dagli altri, ma il risultato del gioco e l’esito della partita non cambiava.
    Il resto, invece, era incostante e mutevole, e Claudia lo apprezzava lo stesso, proprio per quella sua imprevedibilità. Ma ciò non toglieva che la sua percezione della realtà – del mondo, degli eventi, delle persone – rimaneva inafferrabile, peculiare, inspiegabile agli occhi di molti.
    In pochi la capivano, e Clod non lo reputava necessariamente un difetto: anche lei capiva poche persone. Alcuni dicevano non si impegnasse abbastanza, che non ci provasse nemmeno — lei sosteneva che le piaceva di più essere sorpresa, anziché capire fino al punto da arrivare persino a prevedere. Parole, gesti, azioni: che gusto c’era a sapere già cosa avrebbero fatto gli altri? Claudia si fermava a cogliere lo stretto indispensabile, le apparenze, perché erano in qualche modo una verità che la giornalista potesse apprezzare e concedere: erano la verità che essi s’erano scelti.
    Un ragionamento complesso da capire per chi non stava direttamente nella testa dell’australiana.
    Un ragionamento che, quindi, non le permise subito di dare una spiegazione alle lacrime improvvise a rigare le guance della sconosciuta; si limitò a battere le ciglia una, due, tre volte, lentamente e senza disturbare le emozioni altrui con qualcosa di così banale come un respiro di troppo.
    Non era abituata, Claudia Moor, a camminare su pezzi di coccio senza fare rumore; lei amava tagliarsi, sentire la pelle pizzicare sotto la pianta nuda e bearsi di quelle piccole difficoltà condivise; ma in quelle lacrime c’era qualcosa di troppo personale che persino lei, nella sua bolla che distorceva ogni cosa come gli specchi magici di un parco divertimenti, riuscì a percepire.
    Non aveva idea del motivo di quelle lacrime – o che fossero opera sua – ma offrì comunque un sorriso alla ragazza, e tutte le razioni dolci che riuscì a trovare nella propria borsetta.
    Quando la vide prendere posto accanto a sé, inspiegabilmente, sentì anche qualcosa prendere posto all’interno della propria gabbia toracica: una sensazione di familiarità, qualcosa di giusto, e di agognato fin troppo a lungo. Una sensazione che la colpì senza preavviso, lasciandola per un attimo confusa — e senza fiato.
    Negli occhi della bionda al suo fianco non leggeva assolutamente nulla di più di quanto non volesse leggere, nulla più di pochi istanti prima, eppure c’era qualcosa che il pizzicore sulla pelle cercava di comunicarle.
    Claudia non aveva mai avuto problemi a farsi degli amici; mantenerli, al contrario, era stato sempre arduo e messo a dura prova dal carattere incostante della ragazza. Claudia non aveva un traduttore emozioni-parole a portata di mano; sarebbe dovuta andare a braccio, e fidarsi delle sensazioni.
    Di persone che potesse sentire vicine, cuore a cuore, ne aveva avute pochissime — così poche che, andando a stringere, sarebbero state larghe nel palmo serrato di una mano.
    Claudia non era abituata a stringere.
    Lasciava sempre le dita aperte, e le persone libere di andarsene e tornare e riandarsene di nuovo; la ragazza accanto a lei, aveva il sapore di qualcuno che era andato via, e che ora stava tornando.
    E Claudia non aveva la benché minima idea del perché.
    «non hai la faccia da claudia»
    Le piacque, quella risposta. Sapeva di qualcosa che lei avrebbe detto, e sapeva anche di verità.
    «ah no?» arricciò le labbra, senza distogliere lo sguardo da quello altrettanto verde della ragazza al suo fianco, «però mi piace, l’ho scelto io.» Strinse le spalle, come se quella fosse una motivazione sufficiente a spiegare come, perché e quando. «che faccia ho?» C’era una curiosità genuina, nella sua domanda, una che non aveva nulla a che fare con il giornalismo o la deformazione professionale: voleva sapere il parere di quella ragazza, le interessava davvero.
    Avrebbe potuto liberarsi dalla presa dell’altra in qualsiasi momento, ma decise di tenerla lì, stretta in quella delicata della bionda, ancora per un po’.

    (“vivi ogni avventura,
    come se ci fossi anche io —
    perché sarà così; dove conta, ci sarò.
    ”)

    «deirdre osborne charisma. ma puoi chiamarmi doc»
    «doc.» scivolò sulla lingua con familiarità, rotolando via tra denti e un sospiro che non aveva saputo di aver trattenuto fino a quel momento. «ci conosciamo un’altra domanda spontanea, che pose prima ancora di rendersene conto. E quando lo fece, accompagnò con un cenno vago della mano, «hai un’aria familiare.» Risuoni nella gabbia toracica e nello stomaco come casa. «forse ci siamo viste da qualche parte…» Forse in un’altra vita. «hai dei nomi molto particolari, doc.» e le sorrise, «ti si addicono.» Didi? Ti chiama mai nessuno, così?
    «sembravi triste. la sei?»
    A quel punto, e solo a quel punto, Claudia allontanò la mano, solo per giocare con un filo della maglia. Era triste? Bella domanda: no, non aveva motivo per esserlo. I suoi cari erano tutti vivi, e se i Brown non rispondevano al telefono, si ripeteva, non era un suo problema.
    Eppure lo era, perché sentiva di aver perso qualcosa che non ricordava neppure.
    «non lo siamo tutti? e siamo anche felici. ci sono momenti, e ci sono momenti come risposta non era granché, ma sperava che Doc la percepisse, più che capire. «credo di essere triste per esposizione, sai, con tutto quello che succede.» Allargò il braccio per indicare il parco intorno a loro, senza dargli davvero importanza. «ma sono già più serena, adesso.»
    Sai di casa.
    «alle volte basta un sorriso ricevuto al momento giusto.» e, nel dirlo, ne rivolse uno a Doc, alzando appena l’angolo destro in una smorfia più divertita che solidale, «o un cioccolatino.» Che, per inciso, si affrettò a scartare e mordere, attenta a lasciarne un po’ più della metà, che poi offrì con un gesto istintivo alla ragazza. «dividiamo?» Come tante altre volte? Quel che è mio, è anche tuo. «e tu, sei triste?» indicò la scia umida che avevano lasciato le lacrime su quel viso dai tratti così simili ai suoi che faceva quasi male guardarlo. «non c’è nulla di male ad esserlo, ogni tanto. rende i momenti felici ancora più speciali.»
    I've got all my life to live
    && I've got all my love to give
    && I'll survive.
    I will survive.
    gloria gaynor
    i will survive
    love tracks
  12. .
    We do our best vampire routines
    As we suck the dying hours dry
    2001 | journalist2099 | zip martens
    g. claudia
    moor
    Per natura, Claudia non era né ottimista né pessimista; non era nessuna delle due cose, ed entrambe allo stesso tempo. Non vedeva il proverbiale bicchiere come mezzo pieno, o mezzo vuoto; non lo vedeva neppure completamente pieno, di acqua e di aria. Lo vedeva in tutti e tre i modi, e allo stesso tempo lo vedeva per ciò che era: solo un bicchiere. Allo stesso modo, era difficile dare una descrizione precisa di come l'australiana vedesse il mondo, poiché raramente condivideva la stessa visione di tutti gli altri, o una che fosse facile da comprendere, accettare, o non trovare assurdamente esilarante.
    Forse perché in un altro tempo, e in un'altra vita, con quegli stessi fili che tessevano le trame della realtà, lei ci aveva giocato fino a rimodellarne ogni aspetto, ogni contorno, ogni impressione; una percezione della realtà candida e pulita, libera da qualsiasi tipo di manomissione o storpiatura, Clod – o chi per lei – non l'aveva mai avuta; aveva sempre camminato in punta di piedi sul confine sottile tra ciò che era, e ciò che lei voleva che fosse. Un'illusione, uno scenario immaginario e frutto di una fantasia un po' troppo vivace.
    Quel potere lo aveva perso – quel potere non sapeva di averlo mai avuto – ma la capacità di percepire la realtà in maniera diversa, anche solo come sensazione a solleticare la pelle e renderla pazza (“ma bella come il sole”, cit.), quella era rimasta.
    E quindi anche così, anche come Claudia, in dei contorni definiti e stigmatizzati, ci stava stretta. Forse perché non apparteneva, ancora una volta, a quel disegno: messa lì come una nota a piè di pagina, o come un personaggio inserito nella narrativa troppo tardi, e quasi distrattamente, che non aveva alcun ruolo se non quello che la trama richiedeva in quel preciso momento, e che sentiva comunque di essere il main character – non lo desideravano forse tutti? – in un romanzo fermo da un po' troppo tempo nella parte centrale; un inizio, Clod, l'aveva vissuto già da tempo, e anche l'innesco delle vicende era già stato introdotto, con la partenza dall'Australia, e ora era incastrata a metà, proprio come il romanzo che lei stessa cercava di scrivere da più o meno tutta la vita, e non sembrava poter andare né avanti, né indietro.
    Anche se, ad essere onesti, non sarebbe mai tornata sui suoi passi. Mai. Poteva non sentirsi completa, avere la sensazione che in quel momento fosse bloccata in un limbo i cui contorni scivolavano via tra le sue dita come aria, o granelli di sabbia, ma non significava che potesse accettarlo.
    Non aveva una visione ordinaria delle cose, e questo le permetteva di avere un'opinione imparziale su pressoché tutto; non voleva dire che la rendesse meno legata ad ogni questione, e ad ogni risvolto possibile, però.
    E anche se era fiera del suo essere, da sempre, una voce fuori dal coro, non poteva negare che quella guerra avesse accartocciato un po' persino la stessa Clod, stringendola in un pugno deciso e gettandola via come si fa con una pergamena sprecata, coperta di parole sbagliate e poco in armonia tra loro. Si sentiva sola più che mai, lei che sembrava stare bene ovunque, con chiunque, e sentiva sul petto il peso di un lutto che era abbastanza certa non le appartenesse: perché non aveva nessuno di caro che mancasse all'appello, a parte quei genitori che non sentiva da anni, e allora perché il cuore le faceva male come se avesse perso tutto? Perché la notte riscopriva le guance umide, al pensiero di visi sconosciuti che non avrebbero più sorriso, occhi spalancati sul vuoto che non avrebbero più visto l'alba? Perché si sentiva come se l'avessero squarciato il petto, preso il muscolo pulsante, e stretto una morsa fino a farle mancare il fiato?
    Perché?
    Non poteva essere semplice suggestione, un'empatia nei confronti del mondo che Cloud non aveva mai saputo di possedere; a lei piaceva credere di amarlo e al contempo non capirlo, quel mondo. E sapeva di non essere compresa — e allora perché soffriva insieme a loro? Perché non riusciva a mantenere la mente lucida, e una visione imparziale come la sua professione avrebbe voluto?
    Non aveva risposte; e per una giornalista come lei, era la peggiore delle punizioni.
    Lasciò che un sospiro sfuggisse alle sue labbra, alzando appena il mente per osservare la persona che le aveva picchiettato contro la spalla: nonostante tutto, era ancora lì, ed era ancora Claudia. Certo, era anche confusa dallo sguardo chiaro posato con semplicità nel suo, e dal sorriso sereno della bionda arrivata all'improvviso, ma quel genere di domande, la Moor, aveva smesso di farsele da un pezzo.
    Senza proferire parola, riconoscendo e rispettando la sacralità di un momento tanto singolare, sfiorò piano il pugno dell'altra con i polpastrelli, sollevandoli appena solo per darle modo di ruotare il polso e aprire il palmo.
    «è… per me?» Il cioccolato risolveva sempre tutto, quello era uno dei cardini dell'intera esistenza di Claudia, ma vederselo offrire proprio nel momento in cui ne aveva avuto più bisogno raggiungeva dei livelli di misticità karmica elevati. Sorrise alla bionda, apprezzandone finalmente il viso giovane e così curiosamente simile al suo, stessi occhi grandi e vicini, stessa fronte spaziosa, stesse labbra carnose. I Brown non avevano avuto altre figlie, oltre alla fu Gwendolynn, ma Clod era certa che se avesse avuto una sorella, questa avrebbe condiviso lo stesso sorriso che ora vedeva sulle labbra della ragazza.
    Le indicò il posto accanto a lei, e pescò dalla borsa un pacchetto di gomme e uno di caramelle (she's a “both. definitely both” kinda girl) e li offrì in cambio, come conio di scambio per il cioccolatino.
    Solitamente era più chiacchierona di così — anzi, solitamente era difficile farla stare zitta. Ma in quel periodo le parole avevano iniziato a venire meno persino a lei, perciò rimase in silenzio, osservando la ragazza (prendere posto? chissà) e poi si presentò, una mano allungata per cortesia e perché il contatto fisico rimaneva uno dei suoi più grandi bisogni, quello da cui traeva il maggior vigore. «sono Claudia, piacere.»
    I've got all my life to live
    && I've got all my love to give
    && I'll survive.
    I will survive.
    gloria gaynor
    i will survive
    love tracks
  13. .
    g. claudia moor
    vaso#101
    scivola il tempo e tu resti sempre con un piede a Cuba e un altro a Setteville,
    sei indeciso tra il dire e il fare, tra il prendere e lasciare; hai perso troppi treni,
    ma continui ad aspettare, ami stare in bilico ma continui a programmare.
    Arricciò le labbra rosee in una smorfia di disappunto, Cloud, nel notare come lo sguardo verde del Telly fosse rimasto impassibile, senza dare alcun segno di averla riconosciuta; cosa che, onestamente, avrebbe dovuto aspettarsi.
    Il fatto che Claudia sapesse chi fosse Moka non presupponeva che valesse anche a senso inverso, ma era sicuramente noioso dover far finta di non sapere chi fosse lo special, nonostante di lui avesse ricevuto solo qualche stralcio di racconto ogni tanto, da una Cherry restia a parlare di famiglia e amici, argomenti che Cloud aveva capito essere tabù ben presto, sin dagli albori di quella loro “fake relationship” che non serviva più a nessuna delle due, ma che continuava ad essere divertente da portare avanti; il fatto che la Benshaw non non volesse parlarne, però, non aveva impedito alla giornalista, inquisitiva per natura, di informarsi e strappare qualche informazione random e del tutto casuale qua e là nelle conversazioni.
    Dire che conoscesse Moka sarebbe stata un’esagerazione, poco ma sicuro Clod sapeva più cose su Mona (il cane, non la studentessa) che non sul Telly, ma sapeva quanto bastava per farsi un’idea generale del tipo: arrabbiato, con forti daddy issues, e chiaramente un problematic fave, se Cherrina continuava a tenerselo accanto.
    A Cloud, Moka piaceva.
    «una passeggiata di salute. tu?»
    Aw, era anche spiritoso! Sarebbero andati sicuramente d’accordo, assurdo che Cherry non li avesse ancora presentati; l’australiana era quasi tentata di mandare un messaggio all’altra bionda, informandola di aver trovato uno dei suoi casi umani e che era disposta a riportarglielo a casa sano e salvo — solo che poi, rifletté in un miracoloso e improvviso momento di lucidità, avrebbe dovuto spiegare come mai fosse a Kyoto pure lei e… beh, diciamo che la Benshaw non era la sola tra le due a non dire proprio tutto tutto alla rispettiva finta-fidanzata.
    «stessa cosa,» esclamò con un po’ troppa vivacità, battendo le mani tra loro, «è proprio vero: le grandi menti pensano uguali» e non era chiaro se avesse appena insultato se stessa o fatto un complimento al Telly Jr, perciò avrebbe lasciato che fosse l’altro a prenderla come preferiva.
    Inclinò leggermente il capo sulla spalla, abbassando lo sguardo sulle mani, ora entrambe in bella mostra, laddove un attimo prima un braccio era corso alla schiena, gesto istintivo di chi nascondeva qualcosa incastrato nella cintura dei jeans; e considerando il fatto che Mokaccino, qui, non aveva bisogno di una bacchetta, la Moor poteva pensare a una o due alternative sul cosa avesse afferrato il ragazzo. Non era mica il primo rodeo della giornalista, era finita in posti ben peggiori di una città distrutta dalla mano di uno special senza controllo che aveva raso al suolo l’intera Kyoto in soli sette minuti, duhhh.
    Allargò un braccio per indicare le rovine tutte intorno a loro.
    «affascinante, con quel tono un po’ inquietante da fine del mondo, non trovi?» Non era mai stata a Kyoto, prima di allora, ma Claudia aveva il sospetto che anche all'apice del suo splendore non le sarebbe piaciuta tanto quanto le piaceva in quelle condizioni; non perché fosse la tomba a cielo aperto di milioni di persone, non era una brutta persona, ma perché era un covo di domande, avvolto in un mistero così fitto che era a tratti impossibile da penetrare, e scenario di qualcosa di inspiegabile.
    Tutte cose che la Moor divorava per colazione!
    Che poi ci fosse morta anche un sacco di gente era terribile, tremendo, tristissimo ecc ecc. Ma poteva passarci sopra.
    Infondo, i morti erano morti, non li avrebbe di certo riportati in vita lei; però Claudia poteva dargli qualcosa che nessuno sembrava intenzionato a fare: risposte.
    E voi chiederete: che se ne facevano, delle risposte, se erano morti?
    Beh, Claudia le avrebbe volute, anche da morta. DUH.
    Avanzò lentamente nel cortile, muovendo passi leggeri ma controllati, osservando quel che rimaneva del tempio senza mai perdere di vista, almeno con la coda dell’occhio, Moka; un peccato che, di sereno, in quel posto, non fosse rimasto nulla — nemmeno il meteo.
    Conseguenza della tempesta di fulmini che si era abbattuta sulla città, immaginava Clod. «oh. mh.» Intellegibile, appena un sussurro, mentre con un’occhiata di sbieco Clod tornava ad osservare attentamente l’altro ragazzo: curioso trovare in quel di Kyoto proprio un elettrocineta, non trovate.
    (Come sapeva che fosse un elettrocineta?
    Beh, Claudia sapeva un sacco di cose; e un sacco di nuove skills le aveva apprese “frequentando” la spia ribelle. Ecco, quello era qualcosa che Clod (ancora) non sapeva, ma aveva imparato comunque tanto rubando con gli occhi, e Cherry era una (inconsapevole) ottima insegnante. )
    Poteva essere un caso, certo, o il responsabile del genocidio in preda ai sensi di colpa che faceva ritorno sulla scena del crimine.
    Just kidding!
    Unless.
    «vieni spesso a fare passeggiate di salute in Giappone…? uhm, scusa, non ho capito il tuo nome», mica poteva rischiare di esordire con un “oh, Cappuccino” (mokaccino, ma ha deciso il correttore e quindi lo lascio), sarebbe sembrato strano e sospetto, no?
    09.04.01
    journalist
    australian
    il momento giusto
    fabrizio moro
  14. .
    g. claudia moor
    vaso#101
    scivola il tempo e tu resti sempre con un piede a Cuba e un altro a Setteville,
    sei indeciso tra il dire e il fare, tra il prendere e lasciare; hai perso troppi treni,
    ma continui ad aspettare, ami stare in bilico ma continui a programmare.
    Curiosità.
    «uh» ma chi, lei? G. Claudia Moor, curiosa? AH!
    …Ma certo che sì, ovvio. Era scritto nella sua carta d’identità, proprio accanto a “professione”: gionalista, un termine che racchiudeva in sé non solo curiosità (morbosa e non) ma molto altro. E Clod, i requisiti minimi per rientrare nella categoria, li raggiungeva tutti: era curiosa (appunto), era spigliata, era inquisitiva, era dedita, aveva una gran faccia tosta e una scusa sempre pronta da fornire a chiunque avesse domande scomode in serbo per lei - che, tra l’altro: rude, quella era il suo lavoro, duh!! - e, soprattutto, non aveva paura di fare qualcosa di poco consono (che altro non era se un termine meno esagerato per dire “qualcosa di illegale”) pur di raggiungere certe informazioni che, in quanto voce del popolo, non poteva lasciare nascoste o segrete.
    Ma principalmente, sì, era la curiosità a spingere ogni suo passo, uno dopo l’altro.
    E se non era quella, era il bisogno di trovare ispirazione per il suo romanzo in perenne fase beta – aveva ormai accettato il fatto che non l’avrebbe completato mai, ma perché limitarsi o smettere di cercare quella scintilla e quell’idea speciale nata dalla situazione meno probabile, no?
    Kyoto… beh, Kyoto non era esattamente il posto dove Clod era andata a cercare il canto di una musa ispiratrice, doveva essere sincera; e non poteva nemmeno attribuire quel viaggio fuori porta alla sua carriera perché non c’era molto da scrivere sul quidditch, in quel posto. Perciò: cosa ci faceva lì, un’australiana che viveva a Londra, che per guadagnarsi da vivere scriveva di pluffe e boccini, e che nel tempo libero fingeva di avere una relazione con una bella bionda solo per divertirsi e coprirsi le spalle a vicenda? Eh. EH. La risposta, quel giorno, era più complicata e meno rapida del solito: avrebbe mentito, poco ma sicuro, se avesse incontrato qualcuno e le fosse stato posto quel quesito – ma fino a quel momento non aveva idea di cosa avrebbe detto.
    Che era lì per investigare? Che la mandava il Morsmorde? No, poi le avrebbero chiesto referenze.
    Che stava studiando il posto, il fatto che non ci fosse assolutamente più l’accenno di particelle subatomiche magiche, che la realtà spazio-tempo si fosse piegata in modo inspiegabile su se stessa, squarciando il quanta e rendendo la stratosfera instabile? Ma figuriamoci, non sapeva nemmeno se tutte quelle parole avessero senso, messe una dietro l’altra.
    La verità… la verità, pura e semplice, era che Clod fosse profondamente annoiata scossa dai recenti avvenimenti; terribile che la piramide sociale fosse stata ribaltata, eccetera eccetera eccetera, certo, i maghi non si meritavano di essere trattati come delle mezze cartucce scariche, né di essere calpestati, e blablabla – ma la vera questione era tutto il resto.
    Il fottuto cielo si era squarciato, all’alba del primo giugno.
    Entità demoniache erano strusciate via dalle loro gabbie infernali e avevano creato disordine morte e distruzione qua e là nel mondo.
    Il terreno si era aperto sotto i piedi di coloro che avevano partecipato allo scontro nello Wiltshire.
    Abbadon aveva schioccato le dita e maghi e streghe avevano perso la loro magia – AVEVANO PERSO LA MAGIA, ripeto. Nel caso non fosse chiaro, nel caso qualcuno ancora non lo avesse capito: come stramaledizione aveva fatto? Quanto potere aveva, di preciso, e quanto poco ne sapevano loro a riguardo? C’erano anche quelle domande sul taccuino della Moor.
    A dir la verità, c’erano un sacco di domande nell’agenda di Cloud. Ma proprio: tante.
    Solo un dieci percento scarso di essere, però, avevano una risposta. O un abbozzo di risposta, diciamo.
    A Kyoto c’era finita per quel motivo: per avere risposte.
    Aveva estratto a sorte la città, doveva iniziare da qualche parte prima o poi, e si era armata di santa pazienza e buona volontà; sapeva che sarebbe stato impossibile farsi un quadro preciso e dettagliato già alla prima botta (di culo, quella che le sarebbe servita per riuscire nell’impresa) ma poteva raccogliere dati empirici e metterli poi insieme un po’ alla volta.
    Dove portavano le faglie?
    Da dove nascevano le faglie?
    Erano demoni, quelli emersi, o altre entità? Escludeva fossero uguali a Seth, ma magari laddove contava (nell’intento) si assomigliavano quanto bastava; ma se non erano corporei, se avevano bisogno di tramiti, cos’erano?
    Quanti ce n’erano in giro?
    Quanti sacrifici sarebbero serviti per risvegliarne (richiamarne?) altri?
    E perché la distruzione delle sette città aveva lasciato dietro zone morte dove la magia non era più praticabile? E se era vero, per la legge della conservazione della massa , che “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”, in cosa si era trasformata la magia svanita? Dov’era finita?
    Insomma, di quesiti Cloud ne aveva abbastanza che sarebbero bastati per una vita e mezza; eppure, il più importante, adesso era un altro. «cosa ci fai qui?» e poi, magari, avrebbe chiesto anche “chi sei”, alla figura apparsa dal nulla sulla sua strada. Un po’ le ricordava del suo incontro con Lydia; chissà come stava la storiografa, e chissà che faceva di bello in quel momento!
    AH!!! Non doveva distrarsi.
    Puntò le iridi verdi verso l’altra persona (ciao amico, chissà se ti conosco!) e, alzando appena il mento, la esortò a rispondere.
    Il tutto mentre pensava velocemente ad una scusa plausibile che giustificasse la sua presenza lì a Kyoto.
    *loading…………*
    09.04.01
    journalist
    australian
    il momento giusto
    fabrizio moro


    l'una e dieci di notte non è fatta per (scrivere) rileggere post scusa sarò una player migliore al prossimo giro (disse, mentendo)
  15. .
    We do our best vampire routines
    As we suck the dying hours dry
    2001 | journalist2099 | zip martens
    g. claudia
    moor
    Claudia alzò gli occhi verso il cielo, trattenendo le lacrime che minacciavano di rovinare il trucco e rigare le guance; nella testa, le stesse parole a susseguirsi le une alle altre, ancora e ancora, in un vortice di sensi di colpa, paura e angoscia.
    Era la prima volta che componeva quel numero in anni; aveva chiuso con i Brown molto prima di arrivare in Inghilterra, e mai avrebbe pensato che un giorno si sarebbe ritrovata quasi a piangere per colpa di una voce registrata che la informava che il numero fosse ormai scollegato. Mai. Cloud non parlava con i suoi genitori da anni, al punto da averne quasi dimenticato la voce; e non li vedeva da altrettanto tempo, tanto che i loro visi erano solo un pallido ricordo nella memoria della giornalista. Ma con la guerra appena finita, persino Cloud aveva sentito il bisogno di comporre quel maledetto numero e fare un tentativo; voleva assicurarsi che fossero vivi, le sarebbe bastato che qualcuno dall'altra parte del telefono, e del mondo, rispondesse — non doveva necessariamente farlo anche lei.
    Forse, col senno di poi, avrebbe fatto meglio a non digitare mai quelle poche cifre: della speranza si diceva che fosse l'ultima a morire, ma che portasse con sé solo eterna miseria. Ed ora che Claudia aveva riaperto quella ferita, fermare l'emorragia di sentimenti sembrava praticamente impossibile.
    Mai, mai!, avrebbe pensato che si sarebbe trovata, un giorno, a piangere per una famiglia dalla quale si era emancipata non appena maggiorenne... Eppure era lì, seduta su una panchina del parco, a tamburellare sulle ginocchia con l'inutile telefono, nella speranza che un numero ormai fuori uso la ricontattasse il prima possibile. C'erano altri modi per raggiungere Cyrus e Nelly Brown, e la strega lo sapeva bene, ma non era certa di volerlo fare sul serio: almeno, così, poteva fingere che andasse tutto bene e che fosse solo colpa delle stupide compagnie telefoniche. Poteva fingere, e convincersi che stessero bene, vivendo la loro miglior vita in quel di Perth, Australia. Non le mancavano, non le erano mai mancati, ma il pensiero che potessero essere due delle numerosissime vittime del conflitto non faceva che pizzicare continuamente nervi troppo scoperti, spingendo tasti che Clod non sapeva neppure di avere, figurarsi fare così tanto rumore.
    Il pensiero di perdere una famiglia già persa era al contempo ironico e terrificante: non sapeva da dove nascesse quel bisogno di accertarsi che stessero bene, quella paura ad attanagliare lo stomaco al pensiero di aver perso qualcuno di caro (di nuovo?), una madre e un padre che non erano mai stati veramente tali — non c'era mai stato affetto nella loro casa, mai l'amore necessario per renderli una vera famiglia, e per questo motivo Clod non si spiegava quel bisogno improvviso che aveva di raggiungerli, di accertarsi che stessero bene. Aveva resistito per giorni, cedendo poi al culmine di una giornata particolarmente difficile e carica di tensione e preoccupazioni.
    Se ne pentiva amaramente.
    Con un sospiro pesante, mise via il telefono e asciugò gli occhi, piantando i palmi delle mani sul viso e premendo fino a vedere macchioline colorate esplodere dietro le palpebre abbassate; non aveva senso, non aveva fottutamente senso. Era stata sua la scelta di lasciarli indietro, Cyrus e Nelly Brown non erano nulla di più se non due persone che si erano accoppiate, una notte, per concepirla. Fine. Basta. Non erano mai stati dei genitori; non nel senso più intimo e profondo di quella parola.
    Quindi da dove nasceva quella inspiegabile sensazione di aver già perso tutto che l'aveva spinta a cercare nell'impossibile una verità che la contraddicesse? Quel terrore di perdere qualcosa che non aveva — che aveva già perso?
    (In quella vita; in un altra. Le linee temporali si accavallavano le une sulle altre, si accartocciavano e creavano fenomeni privi di senso logico, paradossi temporali e nuove identità. Ma cosa poteva saperne mai, Claudia?)
    Abbassò le mani, e le guardò per qualche istante senza vederle. C'era qualcosa di sbagliato — e non solo perché il mondo era andato a puttane, oramai. A dir la verità, Clod era felice per gli special: non le avevano mai dato particolarmente fastidio, né l'avevano impensierita, ma al contrario, si era sempre sentita un po' affascinata e attratta da quella magia così diversa dalla loro, al punto da sentire il proprio sangue pizzicare sottopelle e rispondere ad un richiamo che lei, dal canto suo, aveva sempre attribuito all'innata curiosità che la governava sin da quando aveva aperto gli occhi al mondo per la prima volta; cosa ne poteva sapere, invece, che fosse l'eco di una vita precedente, a chiamarla a sé? Quindi sì, era contenta per loro e bla bla bla; ed era anche contenta non ci fossero più barriere di genere o gene, tra loro e i babbani. Ma un po' meno lo era per tutte quelle vite spazzate via da un conflitto che, secondo la sua modesta e spesso poco popolare opinione, poteva essere evitato.
    C'era qualcosa di sbagliato.
    Perché l'ansia che spesso le toglieva il sonno la notte, non era la sua; perché quegli incubi in cui sorrisi così simili al suo venivano spezzati, e occhi in cui si rispecchiava senza riconoscerli perdevano colore, non erano i suoi; perché quel lutto che portava già nel cuore, non era il suo.
    E allo stesso tempo sapeva che lo fosse — e non riusciva a spiegarsi il perché di quelle emozioni contrastanti e sconosciute, troppo reali per essere frutto del subconscio o proiezioni di quanto accadeva nel mondo, e allo stesso tempo troppo reali per poter essere davvero lì, davvero sue.
    Tirò indietro la testa, lasciando vagare lo sguardo sul cielo stranamente sgombro dalle nuvole, e studiando le stelle che riusciva ad intravedere (e a riconoscere) tra le fronde degli alberi: sarebbe stato bello avere tutte le risposte, le domande le piacevano solo fintantoché potesse trovare le risposte — e in quel caso, non le aveva. E non sapeva da dove (o come) iniziare per trovarle.
    Se solo le avessero lanciato un segnale, qualcosa! Qualsiasi cosa!
    I've got all my life to live
    && I've got all my love to give
    && I'll survive.
    I will survive.
    gloria gaynor
    i will survive
    love tracks
30 replies since 10/2/2022
.
Top