close my eyes, will you stay (stay-stay, stay) for me?

@ pp, fake ft claudia

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    madein cheena
    31.05.2001
    shanghai, china
    Aveva più cicatrici che pelle, Madein Cheena. Linee rosa ad intrecciarsi all’inchiostro, ruvide sotto i polpastrelli come ghiaccio sui finestrini di un auto. Eppure, non ricordava come si fosse fatto nessuna di quelle ferite, neanche quella che tagliava il viso dalla fronte a metà della guancia. La sofferenza fisica non aveva nulla di memorabile, tanto che spesso, il cervello, sceglieva di spegnersi e cancellarlo come non fosse mai esistito. Non era quella, la condanna e tortura di Fake.
    Perchè per equilibrio cosmico, aveva sempre sentito tutto il resto. Quel che non si vedeva sulla carne, nascosto in ogni filo legato al dito e nascosto in tasca.
    «dovresti valutare di sospendere il lavoro ad hogwarts. Per un po’» La voce era stata gentile, ma risoluta. Ferma. Fake aveva guardato Stiles stringere i pugni sulla scrivania, come se quelle mani avesse voluto invece premerle sulle sue spalle, offrendo un conforto intimo ed al contempo distaccato. Non c’era preoccupazione per lui, nel volto tirato dello psicomago del castello. Non si sentiva neanche di biasimarlo. Aveva umettato le labbra, sentendo sulla lingua il sapore ramato del sangue. Non suo, ovviamente. Aveva lasciato impronte scarlatte dalla Sala delle Torture all’infermeria; qualcuno avrebbe pulito.
    «no» Lampeggiò denti bianchi ed un po’ storti allo Stilinski, lasciandoli in bella mostra come avviso e minaccia. Non gliene fregava assolutamente un cazzo di quel che pensavano dovesse fare, nè che avessero ragione: non c’era un quarto di motivo al mondo che l’avrebbe spinto a lasciare il castello.
    (Sin. Murphy. Kieran)
    A lasciare Ficus o Mini. Il fatto che i due neanche lo conoscessero, non avrebbe cambiato le cose. Dannazione, avrebbe perfino compreso se non l’avessero voluto. Nelle ultime settimane, Fake era stato molto… zelante, nei suoi servizi. Lo considerava comunque un trionfo di auto controllo, considerando che non aveva ancora staccato neanche un dito né a Breccan né a Iris, ma non era stato… piacevole fare un passo falso, per gli studenti. Dire che Fake fosse arrabbiato sarebbe stato un eufemismo, ed anche, parzialmente, una menzogna. Provava così tante emozioni tutte insieme, che riuscire a capire dove finisse una e iniziasse quella successiva, era diventato impossibile. Un flusso costante e continuo di qualcosa che l’aveva forzatamente obbligato a scegliere.
    Era un masochista, Fake, ma un masochista funzionale, e per una volta, aveva scelto se stesso, sopprimendo tutto quello che l’avrebbe reso troppo umano. Troppo superfluo alla società. Soldato era, e soldato sarebbe rimasto, perfino con tre quarti di cuore sbriciolati ed una a perdere sangue su ogni pietra ed infisso. Sapeva riconoscere il ferroso sapore della furia, e quello amaro dell’abbandono. Era triste, certo – come buon Dio avrebbe potuto non esserlo – ma quello che più lo atterriva, da che poco ne fosse avvezzo, era il senso di colpa. Quello sì, che lo rendeva vulnerabile ed intollerabile. Odiarsi così tanto da non sapere cosa farsene delle proprie mani, ridicole nel tremare a secondi alterni. Stabili solo se strette a coltelli, ed a schiacciare. La sensazione del sangue, ed i mormorii pregni di lacrime, erano perlomeno familiari. Non era poi così diverso dall’usuale Fake, mi direte, ma aver spento le proprie emozioni aveva spinto oltre anche il suo senso della misura. In uno scenario normale, si affezionava. Si inteneriva di fronte agli occhi lucidi delle matricole, scegliendo di smettere le torture per tenerseli al proprio fianco mentre lucidava manette e fruste, o faceva loro asciugare le loro stesse pozze rubino sul pavimento. Si vendeva, come la puttana emotiva che era sempre stata, al primo languido battito di ciglia, lasciando che le proprie dita fossero impegnate a reggere il mento piuttosto che la bacchetta, arrossendo nell’ascoltare complimenti e lusinghe. Se gli spedivano qualcuno che gli piaceva, ci giocava a carte o a scacchi. Insegnava loro come tirare coltellini, e dove mirare perché facesse più male. Gli parlava. Perdeva ore ed ore a confidarsi con adolescenti sconosciuti, immune al loro terrore mentre elencava i dieci motivi per cui secondo lui il suo essere delulu fosse giustificato. Con alcuni di loro, andava d’accordo.
    Prima.
    Dopo?
    Ma dopo cosa.
    Non riusciva neanche a pensarci, Fake. Non con mente lucida, e decisamente non in quel contesto, quando una pressione un poco più forte avrebbe rischiato di mandare tutto a puttane. Obbligava i pensieri a non mettere vicine neanche le lettere del suo nome. Poteva tornarci più tardi, quando fosse stato a casa ed avesse potuto assicurarci che Ty non fosse andato da nessuna parte, che Claudia stesse ancora cercando ispirazione fissando la mattonella scheggiata della cucina, che Kiel avrebbe sbattuto la porta della sua camera facendo sentire a tutti che fosse arrivato. Quando fosse stato libero di occupare i loro spazi, ed immergersi nell’odore di casa come un gatto particolarmente territoriale, allora poteva pensarci. Dare un nome, un volto. Attaccarci migliaia di fili, legarli al petto e tirare per costringere il cuore a battere un giorno in più.
    «madein»
    «andrew?»
    Nessuno lì dentro era abbastanza stupido da credere che il personale scolastico avesse abbastanza potere da sovrastare quello del Ministero. Fake era stato mandato a lavorare lì per un motivo ben specifico, e quel motivo era stato dare rigore a regole che non venivano più rispettate; dare un senso alla formazione superficiale di tanti ragazzini che, usciti da lì, finivano per crepare con un diploma in mano ad attestare che la loro educazione non fosse stata sufficiente. Giovani adulti che mandavano tutto a farsi fottere. Inadeguati.
    «l’hai quasi ucciso»
    Ma non l’aveva fatto. Non contava niente? «e quindi?»
    «fake»
    Fu improvviso nello sbattere il pugnale sulla scrivania, Fake. Lo conficcò nel legno, facendo sussultare lo psicomago e trattenere il fiato al resto dell’Infermeria. «stiles» soffiò fra i denti, perché trovava quell’atteggiamento alquanto irrispettoso nei confronti della sua istituzione d’origine. Non stava forse facendo esattamente quello che gli avevano chiesto? Dieci giorni non erano tanti per cambiare un intero impero, ma chiunque avrebbe potuto testimoniare che il tasso di criminalità fosse diminuito.
    Drasticamente. Immaginava aiutasse che metà di quel tasso fosse ancora fra le mura di quella stanza, incapace di creare altro disordine.
    L’altro lo guardò. Severo, ma anche consapevole di quali fossero gli equilibri in quella scuola. In quel mondo. «mancano anche a me» Le occhiaie pronunciate. Gli occhi arrossati. La pelle pallida, e le spalle curve. Lo guardò respirando dal naso per un tempo incredibilmente, e drasticamente, lungo, prima di alzarsi e decretare concluso quel colloquio ufficioso.
    «fake – fake!» Eh sì, sto cazzo. Sto gran cazzo. Afferrò uno studente fra i presenti, qualcuno in piedi e dall’aria abbastanza concreta, premendogli fra le mani le lame di un pugnale ancora incrostato di sangue. Sempre non suo, chiaro. «per oggi fallo te, il mio» cazzo di «lavoro, ti va?» sorrise ancora, sempre sul piede di guerra. Non avrebbe ricordato il suo nome, ma avrebbe ricordato la sua faccia, e Fake sapeva di avergli appena affidato le chiavi di un regno che non voleva nessuno. La corona dell’inferno non era per tutti, ma il Cheena gliela piazzò forzatamente sulla testa, metallo e spine tutto insieme. Anche quella, era una tortura.
    Continuò a passo spedito verso l’esterno di Hogwarts, passando nella marea di studenti come una formica nel divario del Mar Rosso. Si spostavano, per lui; così lusinghiero, da farlo ridacchiare nervosamente.
    Voleva fare una cazzo di strage e lasciare che restassero solo organi a cielo aperto.
    Quindi continuò a camminare, mani ficcate in tasca e lontano da ogni arma contundente. Sguardo basso, perché una sola occhiata avrebbe potuto spingerlo da una parte o dall’altra. Si sentiva sempre in un circo, ma mai nel posto da trapezista – gli si addiceva poco.
    Superò il cortile. Il sentiero. I cancelli.
    Si smaterializzò non appena ne ebbe la possibilità. Tornò a respirare accasciandosi sul divanetto arancione del PP, e solo dopo aver sentito la voce sorpresa della Moore al suo arrivo improvviso. Un paio di gatti miagolarono infastiditi. Allungò distratto un dito per accarezzarne uno dietro le orecchie, fermandosi nel rendersi conto di avere ancora i polpastrelli sporchi. Ritrasse il pugno.
    «clod?» un suono disperato e liquido, strappato direttamente dalle corde vocali. Sapeva di star tremando. Serrò le palpebre per non guardare il mondo scuotersi. Incoerente, il «non voglio più» mormorato contro il tessuto della propria maglia.
    che cosa, Fake?
    Tutto quanto.
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    g. claudia moor
    09.04.01
    perth, aus
    Il PussyPower era ormai un luogo familiare per Claudia. Come avrebbe potuto essere diversamente, dopotutto: ci era tornata ogni singolo giorno da quando Melvin Diesel, mesi prima, era entrata nella sua vita.
    Una persona che Clod non sapeva di aver perso fino a quando nin l'aveva trovata; che non sapeva di aver necessitato fino a che non aveva sentito qualcosa dentro di lei tornare al posto giusto dopo averla incontrata, in un pomeriggio qualsiasi che già dal principio non era parso esattamente come tutti gli altri.
    Ci era tornata tutti i giorni, anche dopo San Valentino.
    Per dieci, lunghissimi, giorni, era tornata al PP per giocare con i gattini, mangiare le torte deliziose di Grey, e chiacchierare con Vin. E, per dieci giorni, non l'aveva trovata; aveva trovato solo l'umore dello chef che andava via via peggiorando, e insieme ai volantini di gente scomparsa che all'improvviso avevano tappezzamento le vie e le piazze, era stato un campanello di allarme sufficiente a far preoccupare Clod: Grey non le aveva mai dato l'impressione di essere uno che si preoccupasse (punto, fine.) — perciò se anche lui era impensierito dall'ingiustificata assenza di Vin, doveva esserci per forza qualcosa sotto.
    La situazione era poi peggiorata quando, all'improvviso, il luogo dove erano stati rintracciati gli ostaggi, era svanito nel nulla insieme a sequestratori e soccorsi.
    Aveva indagato a modo suo, Clod, affidandosi a fonti che all'inizio erano sembrate perlopiù inutili, fino a che inutili non lo erano più state: perché era il fottuto resort di Montrose ad essere sparito, quel dannato 24 febbraio, e i fan della squadra sembravano quuantomeno vagamente sorpresi dalla cosa.
    In che senso non c'era mai stato?! Impossibile, loro avevano soggiornato lì per la partita Magpies - Bats dell'anno precedente. Avevano le ciabatte griffate con il simbolo del fiore di loto e una collezione di saponette e mini bagnoschiuma rubati dalla struttura a testimonianza del loro passaggio nelle stanze del resort.
    E così i mystery-senses di Cloud si erano attivati, perché nulla di quella sparizione le piaceva o le sembrava sensato. Avrebbe indagato lo stesso, anche se, nello sparire nell'etere, quel vecchio Lotus non avesse portato con sé una nuova amica (una sorella?) e strappato via una parte della giornalista che non aveva saputo di possedere fino all'estate precedente. Avrebbe indagato perché era quello che faceva lei in quanto paranormal investigator a tempo part-time e giornalista a tempo pieno; cercava le risposte che a nessun altro interessavano, o quelle che spaventavano troppo per potersi mettere sulle loro tracce.
    Che fosse su sparizioni misteriose o sulla nuova stagione di quidditch, il fine era sempre lo stesso. La verità, la chiarezza. L'informazione.
    A vederla così, G. Claudia Moor sembrava non aver paura di nulla; ma quella volta le cose stavano in maniera diversa perché ad essere risucchiati via come polvere nel sacchetto dell'aspirapolvere, non erano stati perfetti sconosciuti.
    Erano stati amici, parenti, genitori, figli.
    Melvin.
    E Ryu.
    E tutta una serie di persone che, pur non capendo come o perché, erano importanti nella vita di Fake e tanto bastava all'australiana per decidere fossero importanti anche per lei, a prescindere dalle motivazioni. Non servivano delle motivazioni, per quel genere di cose.
    Sfortunatamente le sue indagini avevano incontrato un vicolo cieco dopo l'altro, una censura dopo l'altra, e a distanza di giorni non aveva nulla di concreto in mano se non le teorie complottiste di Twizard e un account palesemente fake che cercava di baitarli in tutti i modi, suggerendo di avere informazioni utili riguardo la sparizione del Lotus (e, a quanto pareva, non solo quella) ma senza mai dare risposte vere ed esaustiva. Si reputava una persona abbastanza matura, Claudia, ma non così tanto da non provare l'ardente desiderio di arrivare alle mani con una foto pixellata e delle stupide emoji, se fosse servito a strappare qualche risposta.
    Con frustrazione, chiuse l'applicazione (dopo aver alzato gli occhi al cielo all'ennesimo flame, e all'ennesimo thread inutile; ma quali erano, di grazia, le fottute priorità della gente se non quella di fare luce sulla questione Lotus?!?) e infilò i guanti protettivi per tirare fuori l'ennesima teglia di cupcakes.
    Piccolo chiarimento dovuto: nessuno le aveva dato il permesso di fare del PP il suo laboratorio, o la sua nuova attività commerciale, ma in assenza di Vin e di Grey, all'australiana era sembrato più che normale prendere le redini della situazione e mandare avanti la baracca: mica poteva lasciare che i micettini morissero di fame, no?! O che i clienti non avessero un posto in cui andare. Qualcuno doveva pur tenere il locale in ordine fino al ritorno dei legittimi proprietari!! Perché sì: sarebbero tornati, e Clod ne era certa. A costo di andarsi a riprendere ciascuno di loro fin sulla luna, o in un altra dimensione, o un'altra epoca temporale — le possibilità erano davvero infinite, e così anche la fantasia (e la pazienza) della giornalista. Era pronta a tutto.
    Perciò, di fatto, aveva reso la cucina di Grey il suo regno, con l'intenzione di nascondere ogni sua traccia prima del ritorno dello special per evitare di essere brutalmente accoltellata e lasciata a dissanguarsi in uno dei vicoli bui di Dark Street; era troppo giovane, bella e simpatica per morire prima dei 30 anni, e non era (ancora.) nemmeno una rockstar per giustificare una morte giovane, seppur drammatica quanto piaceva a lei.
    Cosa poteva dire a sua discolpa, poi? Cucinare dolci le piaceva, e quella cucina aveva tutti gli utensili e le carte in regola per essere considerata un fucking sogno; quasi capiva perché il coreano passava tutto il suo tempo lì dentro.
    Sfilò i cupcakes dagli stampini, uno alla volta, con estrema cura, e li lasciò raffreddare qualche minuto prima di passarci sopra la glassa zuccherata; l'apertura del locale non era prevista prima di un paio di ore ancora, ma a Clod servivano quei momenti di solitudine e riflessione per rimettere insieme i pezzi di un'indagine che non stava andando affatto come aveva sperato.
    Il bello, inoltre, di essere una freelance: da quando aveva lasciato il lavoro al Boccino d'Argento, era diventata il capo di se stessa e molto indipendente, cosa che le lasciava tutto il tempo necessario per dedicarsi alla nuova attività rilevata a causa di forze maggiori.
    Stava giusto completando il frosting dell'ultimo dolcetto, quando sentì qualcuno atterrare nella sala esterna e, considerando che le barriere anti intrusione non avessero inziato a suonare (o i mici a miagolare per l'arrivo improvviso di un estraneo) Clod non si preoccupò eccessivamente: lasciò comunque cadere la sac a poche in fretta e furia, e si trascinò nella sala, non senza aver prima afferra un paio di cupcakes da portare con sé.
    E se fossero Melvin e Grey?
    Un pensiero che ebbe, sfortunatamente, vita breve nel cuore e nella mente della giornalista, perché quando attraversò le porte che separavano la cucina dal resro del locale, di fronte a sé non trovò i due special, ma un'altra creatura speciale di sua conoscenza.
    Con un «oh, baby» strappato direttamente da un cuore in grado di immagazzinare abbastanza affetto da farla risultare quasi empatica a sua volta, posò il dolce sul tavolo più vicino e raggiunse Fake, per inglobarlo in un abbraccio che minacciava di non lasciargli mai più scampo.
    Nonostante l'immagine tutta spigoli e le cicatrici e il sorriso affilato e gli abiti costantemente macchiati di sangue dell'ex grifondoro, Claudia sapeva della fragilità (non così nascosta) di Fake e, in una maniera tutta loro, l'amava e la rispettava. Voleva custodirla e proteggerla come meglio poteva.
    (Istinto da sorella maggiore?)
    «lo so, lo so» non c'era un momento in cui anche il muscolo cardiaco della stessa giornalista non perdesse un battito (o dieci) al pensiero di non rivedere mai più le persone scomparse, ma non era un finale a cui era disposta a cedere. Voleva scriverlo lei il finale di quella storia, cambiarlo e stravolgerlo se ce ne fosse stato bisogno. Accarezzo i capelli scuri di Fake, e poi vi lasciò sopra un bacio alla ciliegia, stringendolo al suo petto.
    «non voglio più nemmeno io» un altro bacio sui capelli, un gesto pieno di affetto e privo di malizia, fraterno e più reale di qualsiasi cosa ci fosse stata tra loro in passato, «ma qualcuno deve pur farlo, no?» Gli passò due dita sotto al mento, invitandolo con delicatezza a guardarla mentre gli sorrideva, triste e vulnerabile come solo con i Golden riusciva a mostrarsi (e nemmeno con tutti). «per quando torneranno» e non c'erano spazi per i sé, o per i ma, nelle sue parole.
    Sarebbero tornati, in qualche modo.
    Claudia doveva crederci.
    Per se stessa, e per Fake. E per tutti gli altri.
    temporary
    pp-owner
    halfbloodbloggeraustralian2099: zip martens
    Tu portami via,
    quando torna la paura
    e non so più reagire;
    dai rimorsi degli errori
    che continuo a fare
    ,
    mentre lotto a denti stretti nascondendo l'amarezza
    dentro a una bugia.
     
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    madein cheena
    31.05.2001
    shanghai, china
    Tenne gli occhi chiusi, tremando visibilmente. Smise solo quando il profumo familiare di Clod gli invase le narici, le braccia di lei pesanti sulle spalle ad ancorarlo a terra. Solo allora si concesse respiri più profondi degli altri, sempre affondati nei palmi. Il viso lo coprì anche nel lasciarsi cadere sulla ragazza, la testa sulla sua spalla e le labbra di lei fra i propri capelli. Rassicurante, e vibrante di vita, abbastanza da portare il cinese a rilassarsi. Poco a poco, come mani fredde sotto un getto d’acqua tiepido. Sentiva il cuore in gola, ed il sapore del sangue a mescolarsi a quello della bile. «non voglio più nemmeno io» Annuì sul suo petto, allontanando le dita dal volto per avvolgerle ai fianchi della Moore. Non sapeva come avrebbe fatto se la ragazza, qualche mese prima, non fosse entrata nella loro vita come parte effettiva della gang, e non solo come la giovane bionda di cui avrebbe potuto perdutamente e follemente innamorarsi, se solo non fosse stato così babbeo da aver messo un fiocco alla propria anima una vita prima. L’aveva lasciata fuori dalla porta di quello che ancora neanche si chiamava Ryu, e non aveva mai suonato il campanello per consegnarlo, lasciando prendesse pioggia e sole. Anche quando ancora non erano amici, ma solo platonici amanti, le avrebbe regalato tutto se stesso, se fosse ancora stato suo. Se in quel mese non ci fosse stata Clod, avrebbe sempre avuto Ty, certo, ma non avrebbe mai permesso al Lìmore di vederlo così, e l’altro non sarebbe stato in grado di dargli il conforto di cui aveva bisogno. Non per malizia, sapeva che Taichi lo adorasse quasi quanto lo adorava Fake, ma non era nelle… corde di quello smilzo del cugino, l’affetto fisico di cui necessitava il Cheena. E ci sarebbe stato Kiel, probabilmente, ma anche lì sapeva che il ragazzo gli avrebbe offerto un conforto diverso. Li apprezzava tutti, Fake. Aveva bisogno di tutto quanto, ogni briciola raccattata per strada, ma in quell’istante non poteva che essere grato della stretta della giornalista. «ma qualcuno deve pur farlo, no?» Infantile, nel guardare Claudia con liquidi occhi blu e domandarle «e perché io?» pur sapendo che non esistesse una vera risposta a quella domanda. Perchè non lui? Meritava di tollerare quello ed altro, Fake. Da cane fedele qual era, avrebbe dovuto seguire Ryu al Lotus, e non perderlo di vista. Non avrebbe mai dovuto lasciarlo solo, non dopo i mesi nella cazzo di Siberia, ma … si fidava ciecamente di lui, delle sue capacità. Del suo tornare sempre, alla fine.
    Ma aveva sbagliato, e l’aveva perso di nuovo. Non sapeva cosa farsene di se stesso, senza il suo migliore amico. Gli aveva lasciato tutto quanto di buono che fosse rimasto. E non se ne faceva nulla, niente, di ogni cosa in quel maledetto mondo che gli ricordava Ryu, perché il suo stesso riflesso lo faceva. Una fottuta e costante fitta intercostale che non passava mai.
    «per quando torneranno»
    Deglutì, e lo fece ancora. Ingoiò saliva fino a quando respirare fu possibile, asciugando lacrime e sangue sulle maniche della felpa. Non provava alcuna vergogna a piangere – in generale, come regola di vita – ma certamente non la provava in compagnia di Claudia. Sporse il labbro all’infuori, lasciando che le dita sotto il mento lo guidassero verso il suo sguardo. Guardandola, pensò di esserne comunque ancora un po’ innamorato, Fake. Comunque non abbastanza, ma quello ormai era il punto fisso ed indelebile della sua esistenza.
    Come fai a essere certa che lo faranno?, e la ingoiò tutta d’un fiato. Voleva aggrapparsi alla speranza di Clod come fosse stata la propria.
    Posso baciarti? e strinse le labbra fra loro, perché l’avrebbe fatto sentire meglio, ma sarebbe stato per il motivo sbagliato. Claudia meritava qualcuno che la baciasse per se stessa, e non perché confortante, e familiare. Scosse il capo, quindi. Annuì e basta, passando un indice sotto il naso. Le indicò con un cenno della testa il telefono abbandonato sul tavolino, uno strumento dal quale molto raramente la Moore si separava.
    «hai scoperto qualcosa?»
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    g. claudia moor
    09.04.01
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    Legarsi alle persone non era mai stato difficile per Claudia, da sempre portata a concedere fin troppo di sé senza mai chiedere in cambio la stessa quantità, o qualità, di affetto, perché convinta di potersi far bastare ciò che riceveva, se mischiato a ciò che donava. E ne era ancora convinta, anche dopo tutti quegli anni e dopo tutti quegli sbagli; le piaceva essere così (imprevedibile, testarda, romantica, sciocca, problematica, folle, banale, impossibile) e se avesse iniziato a concedere meno se stessa in ogni relazione, si sarebbe piaciuta un po' meno. Di tutte le cose che poteva trattenere per sé, sulle quali essere avara, l'amore non rientrava nella categoria. Non l'aveva mai fatto.
    Quindi no, affezionarsi non era mai stato un problema per lei e, per assurdo e per quella strana regola di paradigmi e contrari che la contraddistingueva da sempre, non lo era nemmeno lasciare indietro senza un battito in più di ciglia del necessario coloro che non la meritavano.
    Era bravissima ad amare in modo incondizionato, Claudia, ma sapeva anche come privare qualcuno di quel devastante e assoluto amore, se immeritevoli.
    Per chi la amava – e continuava a farlo – con anche solo un decimo del trasporto ma uguale ferocia e rispetto, invece, era un altro paio di maniche. Avrebbe dato la vita per ognuno di loro, senza pretendere che facessero altrettanto.
    Fake era uno dei primi nomi sulla lista, e la devozione con cui il cinese si aggrappava a Clod, veniva ripagata dalla giornalista con una altrettanto incondizionata adorazione difficile da spiegare a voce, ma che la bionda non falliva mai di convogliare nei gesti. Per quanto assurdo potesse sembrare, essendo lei una che con le parole ci si era guadagnata da vivere per anni, trovava che sapessero dire molto meno di quanto poteva fare un abbraccio, o un bacio premuto contro i capelli offerto nel momento giusto.
    Tenne Fake stretto al suo petto il più a lungo possibile, desiderando di poterlo custodire lì dove il muscolo cardiaco batteva seguendo un tempo tutto suo, per amarlo e proteggerlo come in pochi altri avrebbero saputo fare; pochi capivano il tipo di fragilità che caratterizzava il Cheena, e fin troppi di loro se n'erano andati via portando quella conoscenza con sé, e facendo più danni di quanto una banale lama conficcata nel petto avrebbe potuto mai.
    Clod non avrebbe fatto lo stesso errore, non sarebbe stata altrettanto egoista, e, al contrario, avrebbe mosso mare e cielo per ritrovare Ryu e chiunque altro il Lotus avesse portato con sé.
    Premette le labbra un po' più forte contro i capelli del ragazzo, nel sentirlo chiedere con voce bassa e rotta quel «e perché io?» che andò a stringere lo stomaco di Clod — che chiaramente una risposta non l'aveva, se non quella più banale di tutte: perché non tu? Perché non loro? Se non avessero stretto i pugni e lottato contro la censura e la disinformazione, chi lo avrebbe fatto? Se non loro, che avevano perso qualcuno di fin troppo vicino al cuore per poterlo sentire battere ancora ad un ritmo normale, chi? Chi? Di certo non il ministero, che non aveva mosso un dito nemmeno per cercare i Dispersi di San Valentino; non loro, che continuavano a oscurate notizie, tag e siti che osavano anche solo avvicinarsi all'argomento Lotus.
    «perché puoi. perché sei forte. perché puoi resistere.» Glielo disse guardandolo negli occhi, costringendolo con delicatezza a fare altrettanto, prima di asciugare le lacrime e il sangue anche con le maniche della propria felpa, le mani a premere contro le guance e le orecchie del moro ora che non lo stringeva più in un abbraccio stritolatore. «perché non potresti mai semplicemente smettere di farlo» spegnendo un interruttore e decidendo non gli importasse più di nulla; non era fatto così, Madein Cheena. Era fatto, come lei, per amare incondizionatamente, e stupidamente.
    Nell'espressione triste, e in quel labbro premuto all'infuori, Clod lesse le mille domande che il pavor non si azzardava a fare, e desiderò ancora una volta poter avere le risposte per almeno una minuscola parte di esse.
    Gli accarezzò le gote con i pollici ancora nascosti nella felpa, e gli disse l'unica verità che sentiva bruciare nel petto, più della certezza che avrebbe messo in mezzo dalla prima all'ultima delle sue innumerevoli fonti pur di andare a capo di quella storia: «lo so e basta. Torneranno. lo so.» e non avrebbe mai potuto accettare un esito diverso, né i magari volevano solo andare via sussurrati da JSF, come bisbigli malefici affidati al social magico.
    Se doveva crederci – e sperarci – anche a nome di Fake, l'avrebbe fatto.
    «hai scoperto qualcosa?»
    Gettò un'occhiata al telefono indicato dal ragazzo, mettendosi comoda sul divanetto e lasciando che anche lui trovasse la posizione migliore, pur senza abbandonarlo mai; aveva bisogno anche lei di quel contatto fisico, forse tanto quanto ne necessitava Fake. «non molto, in verità.» meno di quanto avrebbe sperato, comunque. «quel cazzone continua a sparare teorie vaghe e c'è chi pensa solo a parlare di ship e di cose che non interessano letteralmente a nessuno» tipico di un qualsiasi social, insomma, «nessuno che si concentra sulle cose importanti.» si portò un'unghia alle labbra, iniziando a mordicchiare lo smalto acquamarina già scheggiato. «a quanto pare, sono stati avvistati in giro per il mondo dei gruppi di persone date per disperse, ma nessuno sa perché non siano tornate a casa in quei frangenti.» si strinse nelle spalle, lo sguardo fisso sul telefono come se contenesse tutti i segreti dell'universo, e le risposte di cui aveva bisogno, ma le mancasse la chiave di lettura per decifrare il tutto. «JSF dice che magari non volevano… io dico che non potevano» il Ryuzaki che conoscevano entrambi non si sarebbe mai separato da loro senza lasciare un biglietto, e di sicuro non per sua volontà.
    (E, di certo, non dopo la Siberia.)
    Sospirò, posando una guancia sulla spalla di Fake, e repsirandone il profumo familiare. «hai sentito che è successo di nuovo? un'altra morte random e inspiegabile apoarsa dal nulla, l'ennesima.» rimase in silenzio per un po', riflettendo. «non riesco a non pensare che siano collegate, le cose. non credo alla teoria dei nuovi laboratori, tanto per cominciare, e i cacciatori intervengono un po' troppo in fretta quando succede per non trovare la cosa quantomeno sospetta» Fake non era fatto per quel genere di rambling, e un po' le mancava non poter parlare con Noah o Idem di quelle cose, ma voleva rendere il Cheena quanto più partecipe delle sue teorie perché c'erano dentro insieme, e non lo avrebbe mai lasciato indietro, o all'oscuro. «ughh se solo potessi avvivinarmi abbastanza ad uno di loro per… capire.» c'era frustrazione nel modo in cui agitava le mani a mezz'aria, stringendo le dita per afferrare qualcosa che rimaneva troppo distante e sfuggiva alla sua presa. «sto seriamente pensando di pagare un veggente per farmi dire quando e dove avverrà la prossima morte, così da poter intervenire prima dei cacciatori» suonava come una follia? Beh, non lo era. non per Claudia.
    «a parte scoprire che sono avvenute altre sparizioni prima del Lotus, di cui nessuno comunque parla, nulla di nuovo. È impossibile anche tirare le somme approssimative dei dispersi, con tutte queste censure e e vaghe notizie. Sto ancora aspettando qualche risposta dalle mie fonti, per quanto possano essere utili dei patiti di quidditch preoccupati solo che le loro stelle preferite possano andare incontro alla stessa sorte, buh uh.»
    temporary
    pp-owner
    halfbloodbloggeraustralian2099: zip martens
    Tu portami via,
    quando torna la paura
    e non so più reagire;
    dai rimorsi degli errori
    che continuo a fare
    ,
    mentre lotto a denti stretti nascondendo l'amarezza
    dentro a una bugia.
     
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3 replies since 3/3/2024, 02:36   112 views
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