Votes given by daisy.

  1. .
    adam cox
    hufflepuff | 16 y.o. | little shit
    chaotic dumbass energy
    Breathe me in, breathe me out.
    I don’t know if I could ever go without…
    I'm just thinking out loud.
    Adam amava giocare. Con gli altri, con il mondo, con la vita. Per lui, ogni cosa era un grande, immenso gioco. Un gioco molto speciale, dove non c’erano vincitori né vinti, ma solo divertimento. Un gioco infinito, in cui anche i sentimenti e le emozioni negative, come dolore o tristezza, erano in realtà volti a un fine più grande, a quel senso di appagamento e di gioia che tutti meritavano, dalle piante, agli animali, agli esseri umani.
    Anche Tyler faceva parte di quel gioco.
    Anzi, ne componeva la parte più bella e divertente. Era il tassello in grado di fargli provare più piacere, più felicità.
    Sapeva che, se gli avesse detto che quello tra loro era un gioco, l’avrebbe schernito e, assurdamente, forse gli avrebbe persino dato ragione. Avrebbe detto che sì, era un gioco e nulla più, un gioco che portavano avanti da troppo tempo e a cui si era stancato di giocare. Una serie di menzogne, naturalmente, una dopo l’altra. Dopotutto, il Wood era un maestro in quel genere di gioco. Vinceva sempre, nel gioco delle bugie.
    Ma non comprendeva che, nel gioco di Adam, non poteva esserci un perdente. Vincevano tutti, e dunque non vinceva nessuno. Il concetto di sconfitta non aveva senso, per lui, anche perché, altrimenti, avrebbe significato rinunciare alla vita. il suo gioco, al contrario, era bello perché tutti erano sempre allo stesso livello e potevano andare più in alto, ancora e ancora, verso l’infinito, solo tenendosi la mano, solo insieme.
    Adam non voleva cambiare Tyler. Voleva accoglierlo. Ci provava, ogni giorno, tra un insulto e l’altro, tra una battuta e un’occhiataccia, tra un bacio dato di nascosto e l’ennesimo commento tagliente e sprezzante. Eppure non bastava, non bastava mai. Perché il Wood era il primo a non volersi accogliere. Il tassorosso non credeva in quelle cazzate dell’amare prima sé stessi per poter amare ed essere amati dagli altri, semplicemente perché gli risultavano incomprensibili. Come si poteva non amare ogni cosa? La vita, il mondo, gli altri… e sé stessi, appunto?
    Ogni giorno, però, il serpeverde sembrava determinato a dimostrargli il contrario. Certo, apparentemente non c’era nulla che amasse più della sua stessa persona, tanto nella mente quanto nel corpo. Tuttavia, quella era solo la stronzata che raccontava non solo al resto del mondo, ma anche a sé stesso, aggiungendo ogni istante un nuovo strato a quell’armatura apparentemente inscalfibile.
    Avrebbe voluto affondare le dita in quel cervello tanto intelligente da essere così stupido per costringerlo a vedere davvero il mondo. Non necessariamente come lo vedeva lui, anzi, sarebbe stato strano, sbagliato persino; a vederlo e basta, per quello che era. E a vedere, in questo modo, anche sé stesso. Il ragazzo meraviglioso che aveva il terrore di amare, che preferiva nascondersi dietro tutto il resto, lo stronzo egoista cinico insopportabile odioso dito nel culo.
    Certo che Tyler era prevedibile.
    Ma non per questo non sussultò, sorpreso e soddisfatto, quando, questa volta, fu lui a baciarlo. A baciarlo per davvero. Rise nella sua bocca, non volendo neanche accidentalmente interrompere quel contatto tanto sospirato per qualcosa che sì, amava fare, ridere, ma mai quanto quello che stava già facendo, e con Ty. E non perché avesse paura che, facendolo, l’incanto si sarebbe interrotto… Ad ogni modo non aveva né voglia né modo di concentrarsi su altro, adesso che le sue labbra e la sua lingua e le sue mani e la sua tensione lo sfioravano, lo toccavano, lo reclamavano. Partiva già svantaggiato, visto quello che stava facendo ancora prima che Tyler arrivasse, e i movimenti decisi ed esperti della mano di lui acceleravano solo l’inevitabile. Be’, poco male. Sapevano entrambi che i suoi tempi di ripresa erano eccezionali persino per un sedicenne. Evidentemente il suo corpo la sapeva lunga, proprio come Adam stesso. Mentre con una mano continuava a saggiare la tonica morbidezza del suo fondoschiena, quella che solo ore e ore di allenamento, e non solo in palestra, potevano dare, con l’altra scivolò nella scanalatura, carezzandolo sempre più giù, fino a provocarlo nella parte più sensibile. Sì, non vedeva decisamente l’ora di tornare a marcare il territorio con la lingua e i denti e…
    Boccheggiò, strabuzzando confuso gli occhi come se si fosse appena svegliato da un bel sogno, o come faceva ogni volta che riusciva a mettere il naso fuori dal castello, trovandovi stranamente la luce del sole. Odiava avere così poca resistenza alla luce, anche perché, al contrario, avrebbe dovuto esserci abituato, visto che, se fosse stato per lui, avrebbe passato ogni secondo all’aria aperta.
    Ma ora il problema era un altro.
    Tyler non lo stava più baciando.
    Invece di toccarlo, gli sorrideva con quella faccia da schiaffi che avrebbe voluto demolire con le labbra.
    «Io posso smettere quando voglio, Cox.»
    Sbatté le palpebre una, due volte. E rise.
    «Puoi, sì.» Perché, perché, perché doveva fare così? Perché dovevano fare così, entrambi? Tyler con il suo allontanarsi, Adam con il suo schernirlo e schernirsi, come se tutto fosse un gioco. E sì, lo era, per lui, un gioco, ma era il gioco più importante, e più bello, di tutti. Quante volte Daisy aveva minacciato di legarli schiena contro schiena e chiuderli in una stanza dove potessero sentirsi ma non vedersi e, ancora di più, non toccarsi? Dove, privati dell’aspetto fisico, sarebbero stati costretti a parlare davvero, una volta per tutte?
    «Ma lo vuoi Perché il punto era sempre quello, e la sua era una domanda retorica. Adam sentiva che era così, ma non lo sapeva. Non lo sapeva perché Tyler non gliel’aveva mai detto. Perché in quella bellissima e intelligente e stupida e durissima testa non voleva entrare il più semplice dei concetti: nell’amore non c’era controllo, né debolezza. Nell’amore c’era solo, semplice, puro amore.
    Si morse la lingua per non ripetere quella domanda, i pugni stretti lungo ai fianchi per impedirsi di scattare nella direzione del serpeverde. Adam era in attesa. Sentiva, e in questo caso sapeva anche, che sarebbe stata un’attesa vana. Ma era stupido, o forse era solo un inguaribile romantico che riusciva a vedere solo il bello e il buono nelle cose e nelle persone, e soprattutto in Tyler Wood, per cui ci sperava.
    E, a proposito di morsi, il suo era ancora lì, ben evidente sulla natica sinistra del moro. Ora poteva vederlo chiaramente. Un sorrisino impertinente gli si dipinse sulle labbra e non se ne andò neanche quando Tyler si voltò per gelarlo con quell’ennesima, e inutile, richiesta: «dovresti andare via».
    Incosciente e menefreghista non prese nemmeno in considerazione l’idea che, scattando, sarebbe potuto scivolare per via dei piedi ancora bagnati. L’unica cosa che voleva era raggiungerlo. E così fece, afferrandolo per i fianchi fino a sfiorargli prima una spalla, poi un orecchio, con le labbra. «No», vi soffiò contro, a voce bassa ma decisa. «Lo sai che sono troppo idiota e… com’è che era? Sprovveduto Ridacchiò facendogli il verso, mentre respirava beato il suo odore. Era inevitabile, data la posizione, che i loro corpi si sfiorassero, ma cercò stranamente di darsi un contegno e di non fargli sentire troppo la propria presenza, anche se il calore emanato dalla sua pelle era irresistibile. Si schiarì la voce e tornò a imitarlo: «Sono troppo idiota e sprovveduto per rispettare le regole, giusto? Anzi, anche solo per capirle…» Gli strinse maggiormente i fianchi, con fare protettivo, quasi avesse paura di vederlo fuggire di nuovo. E ce l’aveva, in effetti. Così come temeva che gli avrebbe piantato un gomito nello stomaco, o peggio. Ma era disposto a rischiare, se la posta in gioco era quella. Gli avvolse il bacino con un braccio, o almeno, ci provò, perché non poteva resistere ancora senza andare a circondargli con le dita l’erezione che, per quanto Tyler fingesse il contrario, aveva visto e soprattutto sentito benissimo crescere contro di sé, solo pochi istanti prima.
    Voleva solo farlo stare bene… Si mosse contro di lui, a un soffio dal perdere il controllo. No. Adam Cox non era di certo un gentleman, e non desiderava nemmeno esserlo, ma doveva finire di esprimere un concetto, adesso. O almeno, doveva provarci. «Non vado da nessuna parte. Sono qui. Con te
    E così dicendo molleggiò le ginocchia e fece cadere entrambi in acqua, senza lasciar andare Tyler.
  2. .
    aggiorno mugièèèèè
  3. .
    dmitrij
    ramshorn
    1898ghostemokinetic
    NOME & COGNOME
    All'anagrafe James Dimitar Mulciber Jr — ma per chiunque, fatta eccezione per suo padre, è sempre stato solo JD, in alcuni (rari) casi JJ oppure Junior. Non che abbia importanza, oramai; non dopo che quel James Mulciber Jr è morto, e un altro James è risorto al posto suo. Nella sua seconda vita ha scelto di farsi chiamare Dmitrij Ramshorn, un'identità che si porta dietro solo un vago accenno a quelle che erano le origini bulgare di JD; per qualche assurdo, inspiegabile ed infantile motivo, non è riuscito a staccare completamente se stesso da quel legame. Per coloro con cui è più in confidenza, è Dima; le stesse persone, per la maggioranza membri del Syn, è Silver – un gioco di parole tra il colore delle monete (dimes) e il suo nome.

    DATA DI NASCITA
    14 aprile 1989, trentacinque anni.

    SANGUE
    È nato purosangue, ma non ci ha messo molto a diventare, perlomeno agli occhi di suo padre, un traditore del sangue; James Sr non ha mai creduto che suo figlio potesse davvero giurare fedeltà al governo mangiamorte, perché infondo lo conosceva meglio di chiunque altro. Ed, infatti, neppure il reset massivo provocato dall'Oblivion del 1998 è riuscito a cambiare l'indole di un JD destinato a ribellarsi, in ogni forma e maniera, alla propria discendenza. Solo la morte e il PTSD congiunto di quell'evento e dei laboratori, sono infine riusciti a spezzarlo – ma tutte queste cose, James Sr non è mai riuscito a dimostrarle.

    FAMIGLIA
    Portava sulle sue spalle il peso di due cognomi importanti, in Inghilterra e in Bulgaria, quali Mulciber e Rostov.
    Primogenito di James Mulciber Sr (✝ 1962-2011), e Antoinette Thèrese Duchamps (1966), ha una sorella minore, Evelyn (1994), che vive e lavora in Francia, sotto la protezione dello zio materno Thèodore Duchamps.
    E se il ramo oltremanica è quello che ha, da sempre, formato e cullato la mente ambiziosa di Lyney, non si può certamente dire la stessa cosa per il fratello maggiore, in contrasto con - e, per questo motivo, suo malgrado modellato da - quello anglo-bulgaro: una famiglia con non pochi scheletri nell'armadio, quella dei Mulciber, e fiera del suo nome.
    Nedelja Rostova, moglie del defunto Boderick Mulciber, scelse di tornare nella sua madrepatria dopo la morte del marito, intorno alla fine degli anni settanta, e di crescere lì i suoi figli; James ha poi fatto ritorno in Inghilterra per lavoro, e nella capitale inglese scelse di mettere le fondamenta per la sua nuova famiglia.

    ISTRUZIONE
    Durmstrang, per scelta e per necessità di mettere quanta più distanza possibile tra lui e suo padre: ad undici anni, James aveva le idee molto chiare su chi voleva e non voleva essere — ce le aveva avute già prima, quando il mondo post Oblivion non esisteva ancora e famiglie come la sua sceglievano il potere, nella forma e negli ideali del Signore Oscuro, a discapito di tutto il resto. Persino molto piccolo, James l'aveva sempre considerato sbagliato, contro natura; se l'Oblivion non avesse spazzato via tutto, sarebbe diventato un Auror. Ed invece ha dedicato, ciononostante, la sua intera esistenza ad una causa più grande, quella della resistenza.

    RAZZA
    Wizard, con il dono dell'emocinesi. Non gli è piaciuto particolarmente perdere quel pezzo di se stesso che, da sempre, lo aveva caratterizzato; ma ancor meno ha digerito le torture subite dai dottori, in un periodo in cui la scienza dietro la creazione degli special era ancora primitiva e grezza, e qualsiasi mezzo serviva per giustificare un fine più grande. La cosa che lo ha colpito più di tutte - e non in maniera positiva; mai in maniera positiva - è stato l'aver subito quelle sperimentazioni da mani che conosceva, colleghi ribelli che James pensava di poter considerare amici, e che invece non hanno perso neppure un attimo prima di usare il suo corpo martoriato, e ormai ad un respiro dalla morte, per portare avanti i loro studi.

    ALLINEAMENTO
    Cresciuto a pane e ribellione, JD è stato tra i primi (ex) studenti di Durmstrang a rivolgere un bel dito medio alla forte impronta mangiamorte dell'istruzione nordica, per allearsi con la resistenza. Dapprima in un piccolo - e poco organizzato - nucleo tedesco, e poi promettendo cieca lealtà a quella di Barrow, dove ha servito per un paio di anni come spia. Una volta nei laboratori, però, pur avendo scelto di sacrificare la sua vita per non compromettere la propria posizione ribelle, è stato obliviato in quanto ritenuto una minaccia per la resistenza stessa, visto lo scarso autocontrollo di cui ha iniziato a soffrire, a causa del PTSD congiunto di (quasi) morte e torture subite per mano amiche. Ad oggi è neutrale a tutta la questione, avendo giurato fedeltà solo a se stesso e al gruppo di mercenari e assassini a cui si è affiliato, l’Iron Syndacate.

    RUOLO
    Per dimostrare qualcosa a suo padre – in primis, che avesse fottutamente ragione a dubitare di lui – Junior ha scelto di arruolarsi presso la milizia magica subito dopo il diploma, perché quale miglior modo di ribaltare il governo se non facendo dall’interno? È sempre stato un soldato, che fosse nello schieramento tedesco, o in quello bulgaro, o ancora dopo in quello inglese (come Pavor) — James Dimitar Mulciber era nato per combattere, e sapeva che sarebbe morto imbracciando le armi, e lottando per la causa che aveva sposato.
    Post permanenza nei laboratori, invece, privato della sua magia e considerato pericoloso e ricercato per il modo in cui era fuggito dai laboratori, è stato costretto a reinventarsi e a sfruttare le sue capacità e skills in un’altra maniera, diventando un mercenario (sicario) — con una predilezione per i casi ad alto rischio, quelli che richiedono un intervento silenzioso e capace di non lasciare traccia.

    BACCHETTA
    Stupido da parte sua, ma perdere la sua bacchetta gli è dispiaciuto molto; era perfetta per lui, e insieme ne hanno combinate così tante che sentirla, all'improvviso, non rispondere più alla sua magia ha fatto più male del rendersi conto di non avercela più una magia a cui farla rispondere. Era in legno di sicomoro, a quanto pare particolarmente adatto a maghi e streghe con una sempre continua voglia di imparare e, soprattutto, di vivere avventure; un legno assolutamente non pigro, in grado di legarsi solo con coloro con uno spiccato senso dell'avventura e dell'adattamento, e James ci rivedeva quasi se stesso, in quel ramoscello rigido di appena nove centimetri che portava sempre con sé. Ora la conserva su una mensola, in bella mostra, giusto perché adora farsi del male.

    INFORANDOM
    — Mancino.
    — Ha una voglia vicino al gomito sinistro, e una serie di nei che scendono sul fianco, quasi a formare una linea dritta.
    — Varie cicatrici sparse sul corpo, e una moltitudine di tatuaggi, spesso disegni senza un vero senso o significato, fatti solo per il gusto di fali.
    — Parla inglese, francese e bulgaro per via della sua nazionalità; il tedesco e il russo per via della scuola; un po' di cinese per diletto.
    — Ha sempre avuto una certa fascinazione per le armi babbane, persino quando era un mago, e ora che non ha più la magia dalla sua, ne è diventato quasi ossessionato. Nonché un maestro.
    — Ha sempre odia il freddo, come diretta conseguenza di otto anni passati a Durmstrang a gelarsi le chiappe, ed è proprio perché nessuno avrebbe mai pensato di cercarlo nella fottuta e gelida Russia che l’ha scelta come meta dopo esser fuggito dai laboratori.
    — Londra non gli è mai piaciuta come città, ci si è sempre trovato stretto, e dopo esserci tornato a distanza di anni, sostiene ancora la stessa cosa; è pronto a fare le valigie e lasciarla da un momento all’altro.
    — È stato ovviamente preso in giro dai suoi fratelli d’armi in diverse occasioni, ma Dima ama la campagna: è stato uno dei primi ambienti in cui ha vissuto, per questo sente un legame speciale con le ampie distese di verde; ama andare a cavallo e andare a caccia.
    — Odia gli ospedali, frequentati già in passato più di quanto avrebbe voluto; ma post laboratori giura che potrebbe dare fuoco all’intero edificio se qualcuno cercasse anche solo di farlo avvicinare ad una clinica qualsiasi.
    — Ama il Quidditch e ha sempre detestato i Cannoni di Chudley.
    blood is spilt
    while holding keys to the throne;
    born again
    but it's too late to atone.
    No mercy
    from the edge of the blade.
    royal flames will carve a path in chaos, bringing daylight to the night; death is riding into town.

    If you cannot get rid of the family skeleton, you may as well make it dance.
    - George Bernard Shaw







    paint it, black
    rolling stones
    hail to the king
    avenged sevenfold
    uprising
    muse
    smells like teen spirits
    nirvana
    lonely day
    system of a down
    dare escape
    && learn the price to be paid.
    Let the water flow
    with shades of red now
    darling,
    dearest,
    James ha sempre avuto dalla sua parte i bei geni di entrambe le famiglie, che l’hanno aiutato a costruirsi senza problemi un’immagine notevole – per la serie: massima resa, minimo sforzo. Dai Duchamps ha ripreso il metabolismo veloce e i muscoli ben definiti; dai Mulciber, i tratti marcati del viso, un perfetto rimando alle sue origini slave, e i colori autunnali.
    Non è mai stato troppo difficile per lui passare per bello, qualsiasi capigliatura decidesse di sfoggiare: dal taglio corto, quasi militare, a uno più lungo accompagnato da barba folta. L’unica cosa a cui si è sempre opposto – per dignità, di certo non per paura di rovinare la sua chioma, checché ne dicesse la sua carissima amica Marion – è la decolorazione: non ha bisogno di fingersi biondo, quando con la giusta esposizione al sole può raggiungere naturalmente un colore castano tendente al biondo miele, grazie mille. Nessuno tocca le sue ciocche. Quella dei capelli, poi, è una questione particolare: gli era proibito, ai tempi della scuola, farli crescere oltre una certa lunghezza — eppure lui ci ha sempre provato, perché sì; nell’esercito, poi, nemmeno a parlarne. Ha avuto la possibilità di farli crescere come e quanto voleva lui solo durante la permanenza nei laboratori, e pur ricordandogli quegli anni (o forse, proprio per quel motivo), ha deciso di tenerli, finalmente lunghi e liberi. Ovviamente quando è a lavoro li tiene legati, o nascosti sotto cappelli e berretti.
    Mai troppo vanesio, a Junior non è mai interessato troppo apparire — e il suo carattere, comunque, ha sempre distorto, per un motivo o per l’altro, la percezione che gli altri avevano di lui: se appariva bello e dannato per qualcuno, aprendo bocca rischiava di rovinare qualsiasi cosa dicendo esattamente la cosa sbagliata al momento esatto; se, al contrario, qualcuno lo reputava poco affascinante e degno di nota, con i suoi modi provocatori era in grado di far desistere anche la persona più sicura di sé. Il fascino, dopotutto, è una questione che va oltre la mera bellezza esteriore. James, suo malgrado, ha ripreso questo particolare dono dal padre, e ha saputo sempre utilizzarlo pur senza doversi sforzare.
    È molto alto, una caratteristica comune a tutti i membri della sua famiglia, per via delle alte stature di entrambi i genitori, ma il fisico è asciutto grazie alla quasi perenne attività fisica; non ama mangiare in quantità eccessive, cosa che ha aiutato a mantenere un certo stile di vita e un fisico allenato, ma ha il vizio del bere e quello, se possibile, è aumentato negli ultimi anni.
    Come già detto, il viso rimanda molto a quello dei Rostov, il suo lato bulgaro, con zigomi pieni e labbra carnose, al momento contornate da una folta barba che Dima cura con eccessiva ossessione; gli è stato spesso detto che senza sembra un bambino, e non ci tiene a perderla. Il naso diritto è quello di sua madre Antoinette, mentre gli occhi sono esattamente dello stesso colore di James Sr, un bel verde scuro tendente al cioccolato, tratto distintivo dei Mulciber.
    Sebbene non abbia mai suonato alcuno strumento musicale, né pianoforte né violino – nonostante l’insistenza dei genitori, e di nonna Nedelja –, ha delle belle mani caratterizzate da lunghe dita affusolate, alle volte ornate di anelli di metallo che Dima ama portare, per dare al suo look ‘qualcosa in più’.







    dead.
    james dimitar
    mulciber jr.
    ©bulnoriya | taylor kitsch as dmitrij ramshorn
  4. .
    gifsmagizoologist
    rebel
    former
    hufflepuff
    ADAM COX
    currently playing
    Canzone del maggio
    Fabrizio De André
    Verremo ancora alle vostre porte
    e grideremo ancora più forte.
    Per quanto voi vi crediate assolti,
    siete per sempre coinvolti.
    Per essere uno che viveva solo nel presente, Adam aveva sempre avuto la tendenza a occuparsi un po’ troppo del futuro. Non che ci pensasse, naturalmente; pensare, come amava fargli notare Tyler, non era una delle sue (poche, un’altra massima del Wood) qualità. E, in fondo, non era l’unico a sostenerlo, ma semplicemente uno dei pochi ad avere il coraggio di dirlo chiaro e tondo, e ad alta voce. Non era mai stato un caso di è intelligente ma non si applica, il Cox di mezzo. Forse anche per questo, o proprio per questo, non ne aveva mai sofferto particolarmente. Anche perché, andare in paranoia per ogni singola cosa come faceva suo fratello? Nascondersi da sé stesso al pari di Ty? Sforzarsi sempre e comunque di fare buon viso a cattivo gioco sulla scia di Daisy?
    No grazie.
    Eppure, guardando un po’ più attentamente, nel carpe diem di Adam Cox si nascondevano delle crepe. I suoi ideali. Da una parte la convinzione che, un giorno o l’altro, Tyler avrebbe smesso di avere paura di amare e di essere amato e si sarebbe rassegnato all’intrecciarsi, comunque inevitabile, delle loro vite. E quella che Daisy accettasse, una volta per tutte, che non sarebbe stata meno forte, agli occhi del mondo, se avesse permesso a qualcuno, se avesse permesso a lui, a loro, di starle accanto, di sorreggerla, e sorreggersi, da lì in avanti, nel percorso dell’esistenza. Dall’altra la profonda convinzione che il mondo era sì bellissimo, ma che poteva diventarlo ancora di più. Tutti, nel proprio piccolo, potevano fare qualcosa per migliorarlo, che fosse sorridere a un estraneo per strada o scendere in guerra per la libertà e l’uguaglianza.
    Adam, che viveva nel presente, si era però sempre speso perché queste idee prendessero forma, trasformandosi giorno dopo giorno in realtà. Non l’aveva fatto con le crisi di pianto e gli attacchi di panico di Hugo, né con l’attenta pianificazione di Tyler o il pugno di ferro di Daisy e la mazza di Zoe. Come tutto, nella sua vita, aveva proceduto nel caos più totale, con la sua serafica (e proprio per questo altamente irritante, almeno stando alle sue dolci metà) tranquillità. Si diceva di non aver mai premeditato niente, ma la prima cosa che vedeva ogni mattina, aprendo gli occhi, dimostrava il contrario.
    Che fosse in realtà un mastermind, e che tutta la sua vita dipendesse da un suo grande, enorme, imperfetto design?
    Tuttavia, Tyler aveva sempre avuto ragione. Non era intelligente. Il suo piano, sempre che ce ne fosse davvero stato uno, si stava sgretolando, un frammento alla volta, come una scogliera che, dapprima lentamente, poi, all’improvviso, tutta insieme, scivola nel mare. Ma non era un naturale processo di erosione, quello. Era stato lui stesso a posizionare una bomba, su quella scogliera, e a innescarla. L’aveva fatto nel momento stesso in cui, invece di vivere alla giornata, lasciandosi trasportare dalla corrente, aveva cominciato a scegliere.
    Aveva scelto di non nascondere la testa nella sabbia, come gli struzzi, ignorando quello che succedeva fuori. Aveva scelto di non scendere in guerra, di non combattere, perché aveva scelto la sua famiglia e, ancora prima, aveva scelto di averne una.
    «… Bau?» Gli occhi in quelli così scuri da sembrare quasi neri del Wood, Adam fu ricatapultato in quel presente che, almeno secondo le sue convinzioni, i suoi ideali, non abbandonava mai. E quale miglior modo per rispondere ai rimproveri del moro se non comportarsi da perfetto idiota immaturo quale era?
    «Stiamo crescendo una figlia, non delle bestie. Il minimo che tu possa fare è dare il buon esempio.» Strinse le labbra, ma non soffocò il sorriso che vi sentì spuntare nel pensare a Minerva. Poi si guardò intorno e, con fare plateale, aprì le braccia. «Ora come ora non c’è nessuno qui. A parte te. Credevo non fossi così influenzabile, specie dal sottoscritto.» C’erano tante, troppe cose che non andavano, tra di loro, come d’altronde era da sempre, ma, altrettanto da sempre, Adam non poteva esimersi dal punzecchiare il Wood, specie davanti a un tale sfoggio di diticità.
    E forse rompergli i coglioni così, gratuitamente, di prima mattina, era anche un modo implicito per fargli sapere quanto gli mancasse.
    «Comunque ciao, eh.» Non era lui quello petty, tra i due, e si sarebbe ucciso piuttosto che diventarlo, ma a forza di stare con lo zoppo… Eppure, nonostante tutto, Adam lo capiva. Non del tutto e, anzi, quasi di sicuro solo in modo superficiale, ma non poteva ignorare le occhiaie sempre più pronunciate di Tyler, la mascella tirata, i denti perfetti che, presto o tardi, avrebbero ceduto a quell’ormai costante digrignare. Era sempre stato così, questo lo sapeva bene, ma negli ultimi mesi le cose erano peggiorate. Persino il primissimo periodo senza l’alcol era stato meglio, per certi versi. Aveva crisi diverse, certo, ma non l’aveva allontanato così. O meglio, quando l’aveva fatto, era stato in modo esplicito, nulla a che vedere con quel subdolo allontanamento a cui lo stava sottoponendo ora.
    Ma poteva davvero biasimarlo? Lui che, invece di rincorrerlo, come dopotutto aveva sempre fatto, gli aveva sì e no teso una mano, perso com’era in quell’oceano quasi totalmente estraneo di senso di colpa in cui stava annegando?
    «Sì, è uscito.» Le parole e la voce di Tyler dicevano una cosa, ma la sua espressione e la sua prossemica un’altra. Tutto nella norma: voleva ma non voleva che lui chiedesse, indagasse, che cercasse di insinuarsi negli spiragli, adesso nuovamente strettissimi, del suo inscalfibile guscio. Sebbene fosse Daisy quella con cui il Wood parlava in modo approfondito e tecnico del suo lavoro, dal momento che, più o meno tacitamente, ogni punta del loro strano triangolo aveva la propria sfera di competenza, Adam sapeva bene quanto anche la più piccola modifica di ciò che scriveva pesasse al perfezionismo di Tyler. L’aveva e l’avrebbe sfottuto ancora e ancora sull’argomento, ma sapeva anche che non erano solo manie della sua saccenteria. Se fosse sceso in guerra, avrebbe combattuto anche contro la censura che imbavagliava chi, come il Wood, aveva fatto della diffusione della verità, reale o presunta che fosse, il proprio mestiere. «Posso vederlo? Posso leggerlo
    Voleva torchiarlo, lo voleva davvero, ma mentalmente tirò un piccolo sospiro di sollievo quando la domanda di Daisy sull’averli interrotti, in effetti, fece proprio questo. Sbuffò e alzò gli occhi al cielo per il commento telefonatissimo di Tyler, ma rivolgendo lo sguardo verso la figura imbacuccata in avvicinamento si sciolse in un sorriso. «Buongiorno!», la salutò con dolcezza, per poi aggiungere, alludendo al commento del moro di poco prima: «Visto che conosco le buone maniere, a differenza tua?». Continuò a seguire Daisy con lo sguardo, il sorriso che si allargava man mano che la vedeva farsi più vicina, per culminare in uno pieno di tenerezza quando vide emergere non solo la figura esile di lei da sotto la felpa, ma anche quella di Albie. Annuì, cogliendo al volo la sua richiesta, e le slacciò delicatamente il marsupio, sbirciando il bambino che vi dormiva dentro. Ogni volta che lo guardava non riusciva davvero a spiegarsi come avessero fatto a creare qualcosa, anzi, qualcuno di così perfetto, invece del suo, del loro solito caos, e sentiva il cuore esplodergli nel petto.
    Non era fatto per quel miscuglio di sensazioni ed emozioni. O meglio, lo era, ma solo quando queste erano per lo più positive. Adesso che in lui ribollivano anche elementi spiacevoli, e decisamente troppi, per i suoi gusti, si sentiva quasi sopraffatto. Lui. Sopraffatto da ciò che provava.
    Non era solo assurdo.
    Faceva male, troppo male.
    Tuttavia, sentendo Tyler ringhiare un rimprovero a Margarita, non poté fare a meno di sogghignare. «Attenta, stamattina è di cattivo umore», la avvisò con finto fare cospiratorio, scivolando di nuovo con lo sguardo sorridente in direzione della culla dove aveva posato Albert. «Sai che novità», lo parafrasò anche, imitando il suo tono borbottante. Ora che Daisy era nuovamente vicina, tornò a notare, con una fitta al petto, l’arrossato gonfiore dei suoi dolci occhi scuri. Dal momento che aveva scelto di rimanere lì e di non fare niente per la collettività, perché non poteva schermare del tutto le persone che amava dal dolore? Perché non poteva avvolgerli in un abbraccio, Daisy e Tyler e Minerva e Albert, e convincere loro, e sé stesso, che sarebbe andato tutto bene, che sarebbero stati al sicuro, e felici?
    «Ciao», tornò a sussurrarle sulle labbra, prima di baciarla piano. Ecco quello che doveva fare, invece di sentirsi in colpa. Proteggerli. Farli stare bene. Ridacchiò con un ghigno sentendo Daisy punzecchiare a sua volta Tyler e, osservandoli, si concesse un istante di dolce oblio per bearsi di quella vista, una delle sue preferite. Loro due insieme, in atteggiamenti così intimi che il confine tra il compiacimento, per non dire altro, e la gelosia, si faceva terribilmente e piacevolmente labile. Sarebbe rimasto a guardarli scambiarsi confessioni, ed effusioni, per sempre, sentendosi al contempo intrigato ed escluso. Sapeva che entrambe quelle affermazioni erano vere. Erano loro tre, anzi, ora loro cinque, nel loro piccolo mondo, ma c’erano cose in cui non era ancora riuscito a infilarsi, e in cui forse non ci sarebbe riuscito mai.
    Non si sarebbe mai stancato di certe fantasie, quelle che lo vedevano appunto lì, in mezzo al Wood e alla Bulgakov, ora finalmente alimentate da una solida base reale, come gli dimostrò il fremito che lo attraversò vedendoli entrambi fissarlo, intenti a sussurrarsi qualcosa che non poteva sentire.
    «Tutto bene?», finì per farle eco senza saperlo, mentre, ancora affascinato, la guardava rendere magicamente perfetti i pancake. «Grazie! Non ci avevo… pensato.» Rise della propria sbadataggine, o forse stupidità, passandosi una mano tra i capelli. «E dire che in magia domestica non facevo schifo.» E quei mesi, ormai anni, da casalingo, nonostante qualche incidente di percorso, tipo la felpa sformata che Daisy si era sfilata poco prima, lo dimostravano. Per ribadire il concetto stavolta fu lui a tirare fuori la bacchetta, incastrata su un fianco nei pantaloni del pigiama, e rivolgerla in giro finché il caffè non fu sul fuoco. «Caffè bulgaro in arrivo!», annunciò, facendo l’occhiolino a Margarita mentre, dopo aver agguantato il piatto con i pancake, la raggiungeva, avvicinandoglieli perché ne prendesse uno.
    Impegnato a masticare in prima persona il dolce, annuì tanto alla domanda quanto alla risposta su Minnie addormentata, alzando inconsciamente gli occhi verso il soffitto come se, così facendo, potesse vederla. «Stanotte è stata bravissima, si è svegliata solo una volta!», le comunicò orgoglioso, leccandosi via dalle labbra lo zucchero a velo. «E Albie? Non vi abbiamo sentito, ma sai che in qualsiasi momento ci siamo e… devi dormire.» Sapeva che gli occhi gonfi di lei non erano dovuti a questo, o meglio, non solo a questo, ma, più che le parole, fu il suo sguardo a porle quella implicita domanda e, ancora di più, quello che aveva detto anche ad alta voce: loro c’erano.
    Erano una famiglia.
    «Dove sei andata?» Per una (1) volta, Adam si trovò costretto a dare ragione a Tyler. E si sentì terribilmente in colpa, ancora, perché fino a quel momento non ci aveva pensato, non davvero. Non aveva realizzato che, nel bel mezzo di quello che stava succedendo, nel bel mezzo di una guerra, Margarita si era avventurata fuori casa. E con Albie, oltretutto! «Non c’è scritto nulla, lì sopra.» E due.
    Il pezzo di pancake gli andò quasi di traverso, facendolo tossire proprio mentre il caffè cominciava a salire. «Lavoro, e tu più di tutti dovresti saperlo…» Daisy non aveva bisogno che rispondesse per lei, né tanto meno che la proteggesse, ma gli venne spontaneo fare da cuscinetto, sebbene fosse il primo a non conoscere la risposta e a volerne sapere di più. «Però…» Tossì ancora, e si staccò dal bancone per andare a spegnere il caffè a mano sul fornello. «… era proprio necessario?» Li guardò entrambi, gli occhi chiari appena velati da un luccichio, sentendo montare dentro la preoccupazione, il dispiacere… e la rabbia.
    Là fuori avrebbe dovuto esserci lui, non loro.
    Fu un attimo, ma prima che potesse farci qualcosa, la sua lingua prese a muoversi, più veloce dei suoi pensieri. Era un problema che aveva da sempre, in effetti. Non voleva ferirli, o forse sì, ma quando si girò, la caffettiera in mano, l’impotenza che lo corrodeva dentro, mescolata alla paura, al dolore, all’ira, gli risalì in gola. «Tu cerchi di far emergere la verità con le parole, nonostante tutto. Tu ci provi calandoti nelle vite degli altri, mentre però ti esponi in prima persona, fisicamente. Io…»
    sooner or later you're gonna tell me a happy story. i just know you are.


    Scusate, ciccine, ma questo Adam complessato è così inedito che mi fa sudare (e non in positivo ihihihi), aiut.
    Chissà se ha senso questo post.
  5. .
    tyler n. wood
    slytherin ✦ 17 yo ✦ insufferable
    the road to love leads back to you
    you got me swimmin' in your ocean
    && in your eyes I see devotion
    but I will always take my time with u
    Continuava ad essere un ballo infinito, ripetuto mille e mille volte, quello tra loro.
    Una solfa continua che non portava mai da nessuna parte, nel bene o nel male.
    Una storia vissuta così tante volte, che Tyler avrebbe saputo descriverne ogni possibile finale — perché li aveva già vissuti tutti; e non importava le sfumature diverse in ciascuno di loro, l’esito era sempre lo stesso.
    Lui se ne andava, Adam restava indietro; qualche volta era il tassorosso ad andarsene, per il suo bene, ma comunque allontanato dallo stesso Tyler.
    Non riusciva a vedere come – né perché – quella volta avrebbe dovuto essere diversa.
    Non lo era.
    E prima il Cox se ne sarebbe reso conto, prima avrebbero potuto tornare entrambi a vivere la propria giornata (la propria vita) come se nulla fosse. Fino al prossimo litigio, ovviamente.
    «Non capisco perché tu non vuoi che io capisca. E non vuoi capire nemmeno te stesso. Perché non lasci entrare nessuno… perché non lasci entrare me.»
    Ebbe l’impulso di rispondere perché dovei, puntandogli un dito contro il petto e domandandogli cosa avesse lui di diverso da tutti gli altri — perché lasciar entrare Adam Cox nella sua vita fosse la soluzione a tutti i problemi.
    Non lo era.
    Stava per farlo, stava per riversare sul minore tutti i suoi pensieri più maligni, ma la risata maliziosa e infantile di Adam rovinò il momento. Come al solito. Bastò quella consapevolezza a fargli riprendere il controllo di se stesso, la presa allentata in un singolare e passeggero momento di poca lucidità e debolezza, e farlo sospira in maniera pesante.
    A che pro, combattere contro quella testa dura di un Cox?
    Non sarebbe mai cambiato, così come non sarebbe cambiato nemmeno Tyler; ecco perché tra loro le cose non avrebbero mai funzionato.
    «Ma vorrei solo che smettessi di farti questo.»
    Non gli rispose nemmeno quella volta, ma alzò il mento con aria fiera (fin troppo) dimostrando che non avesse rimpianti di alcun tipo, e che non si trovava affatto d’accordo con Adam: non si stava facendo nulla, perché continuare ad insistere? Piuttosto, sembrava essere il tassorosso quello intenzionato a continuare, a battere a pugni chiusi contro un muro di cemento con la speranza di farlo crollare, e ricevendo solo in cambio silenzio e nocche spaccate. Un masochista.
    «Tyler»
    Almeno quanto lui che, pur professando di essere inscalfibile e distaccato dalla cosa, continuava ad essere lì; continuava a stuzzicare il Cox, a giocare un gioco pericoloso che portavano avanti da troppi anni. Non faceva bene a nessuno dei due, e Tyler odiava ogni cosa.
    Più di tutto, odiava il modo in cui il suo nome suonava quando pronunciato dal tassorosso — come se indicasse una persona completamente diversa, che solo Adam conosceva; che solo Adam poteva amare. Lo odiava, perché sapeva benissimo che non sarebbe mai stato in grado di diventare quella persona lì. Neppure per il Cox. Neppure volendolo.
    Continuò a fissarlo con lo sguardo più scuro e cupo, nulla a che vedere con la tensione ormai palpabile nella stanza che scuriva invece lo sguardo di un eccitato Adam Cox; Tyler era furibondo, perché quella situazione non gli piaceva più, e forse gli piaceva un po’ troppo — e perché i suoi abiti erano fottutamente spariti nel nulla. Quando pronunciò il nome di Adam, lo fece senza la nota calda piena di passione dell’altro; c’era piuttosto una quieta minaccia in quel nome pronunciato con tanta calma.
    Rivoleva i suoi abiti.
    Ma il bacio di Adam bastò a sconvolgere tutti i piani del giornalista in erba. Non lo ricambiò, e rimase impassibile anche dopo aver allontanato il compagno, accusandolo di soffrire di una forma acuta e grave di satiriasi. «Mi sembra di non averne mai fatto segreto. Il sesso non mi basta mai.»
    Oh, lo sapevano bene entrambi.
    «Sicuro di non essere tu a esserlo?»
    «cosa, prevedibile?» un verso di scherno sfuggì alle sua labbra arrossate, mentre la mano scendeva con lentezza lungo i corpi di entrambi, «dubito.» Anche se c’erano cose peggiori al mondo, tipo il non avere il minimo senso estetico o non sapere mettere due parole sensate una di fila all’altra. Eh Adam.
    Ma esortò comunque l’altro studente a dire di più, aumentando solo per un istante il ritmo con cui massaggiava l'intimità del tassorosso. «Perché ora come ora sei esattamente dove volevo che fossi.»
    Provò l’istintivo bisogno di alzare gli occhi al cielo, ma non lo fece: nonostante tutto, era incantato dalle microespressioni che vedeva apparire sul viso di Adam, le labbra dischiuse dal piacere e le palpebre che di tanto in tanto mascheravano l’eccitazione visibile nello sguardo dell’altro.
    Gli conferì persino il permesso di accarezzare il proprio corpo, beandosi di quelle attenzioni che sapeva di meritare; era un narcisista, dopotutto, ed era ben più che felice di essere oggetto di quelle meticolose cure.
    «E stai anche facendo quasi tutto quello che volevo che facessi»
    Che impertinente, che faccia tosta.
    Non lo aveva ancora capito? Era davvero così stupido?
    «O magari sto facendo quello che volevo fare io
    Quella volta ricambiò il bacio, e inseguì la lingua di Adam in una danza familiare e nella quale entrambi erano avvezzi, mordendo le labbra e continuando a far lavorare la mano esperta nella maniera che sapeva avrebbe fatto impazzire il Cox entro breve, suo malgrado influenzato egli stesso dagli effetti di quei gesti impudici.
    Poi, d'improvviso, si staccò da Adam e liberò l'erezione del tassorosso dalla presa, lasciandolo annaspare in cerca di aria mentre si divincolava dal suo lascivo abbraccio, e gli sorrideva beffardo. «Io posso smettere quando voglio, Cox.»
    Sapeva di poterlo fare.
    Ma la vera domanda era: voleva farlo?
    Cercò di convincersi che la risposta fosse sì, che volesse, che volesse avere il controllo di quella situazione e accendere o spegnere la propria eccitazione come fosse un interruttore — eppure non funzionava così. Perché Adam aveva il brutto vizio di prendersi qualsiasi libertà con Tyler, e Tyler quello di lasciarlo fare, al punto da scollegare persino il proprio cervello per qualche minuto e bearsi di quel silenzio immacolato di cui si beavano tutti quelli con un QI inferiore al suo; quando era tra le braccia del tassorosso, Tyler Wood diventava argilla pronta ad essere modellata con cura ed esperienza da mani che sapevano esattamente ciò che stavano facendo.
    Odiava sentirsi così.
    Dare tutto quel potere a qualcuno, persino ad Adam, lo faceva sentire debole, una nullità, inaffidabile. Se amare voleva dire dare agli altri la possibilità di esercitare su di lui un tale potere, Tyler non era sicuro di essere disposto a farlo. Neppure con Adam Cox. Non gli piaceva sentirsi privato del controllo su se stesso, sentirsi manipolabile e vano.
    Ma sapeva anche di non avere più possibilità di decidere, non quando si trattava di Adam.
    Era troppo tardi.
    E l'unica cosa che poteva fare era prendere le distanze dal minore — emotivamente, e fisicamente. In quel momento più che mai.
    Raggiunse dunque il bordo della vasca, senza guardare mai neppure per un secondo il tassorosso, e prima di tuffarsi (e sperare così che il silenzio e la calma dell'acqua calda mettessero a tacere tutte le altre voci) ricordò al Cox: «dovresti andare via» per il benessere psicologico di entrambi.
    Di Tyler sicuramente.
  6. .
    adam cox
    hufflepuff | 16 y.o. | little shit
    chaotic dumbass energy
    Breathe me in, breathe me out.
    I don’t know if I could ever go without…
    I'm just thinking out loud.
    «No. Sei tu a non capire.»
    Gli insulti di Tyler andavano bene, per non dire che lo eccitavano. Ma questa era un’altra storia. Questa non era una ferita nel suo orgoglio – orgoglio che, tra l’altro, non aveva neppure, trovandolo un retaggio patriarcale e un modo solo un po’ più sottile, e proprio per questo vagamente subdolo, di altri per sottolineare la propria superiorità rispetto al resto del mondo. Eppure Adam era abituato a sentirsi dire che non capiva. O almeno, lo era fin dalla prima volta che aveva messo piede in un’aula scolastica. Sebbene molti insegnanti continuassero a ripetere la solita vecchia storia del suo essere brillante ma incapace di applicarsi, avrebbe preferito sentir loro dire le cose come stavano. Era stupido? Bene! Che problema c’era, in fondo? Essere stupidi era solo una caratteristica come molte altre. Come essere alti, o avere un carattere giocoso. Entrambe caratteristiche, ad esempio, che di certo non facevano di Tyler Wood quello che era. Ad ogni modo, insieme al bravo ma non si applica, Adam si era sentito e si sentiva ancora ripetere allo sfinimento che non capiva.
    Finché si trattava di un’aula scolastica andava bene. Ma con le persone? Con Tyler?
    Proprio come l’orgoglio, anche la falsa modestia era un costrutto inutile di una società fin troppo rigida, almeno per i suoi gusti. Adam sapeva benissimo di essere bravo: non a scuola, ma con le persone. Lui, gli altri, li capiva. Gli bastava una parola, o a volte anche solo uno sguardo, per cogliere ciò che passava loro per la testa e, ancora di più, per il cuore.
    Sentirsi dire dal serpeverde di non capire, di non capirlo, fu una pugnalata in pieno petto.
    «Sì.» Lo fissò, con una serietà che sapeva non appartenergli, senza nemmeno rendersene conto. «Non capisco perché tu non vuoi che io capisca. E non vuoi capire nemmeno te stesso. Perché non lasci entrare nessuno… perché non lasci entrare me
    Ma era pur sempre Adam Cox, e dopo qualche istante, con le proprie parole a rimbombargli nelle orecchie, finì per soffocare una risatina. Non era esattamente vero, anzi, non lo era per niente, il fatto che Tyler non lo lasciasse entrare. Glielo lasciava fare eccome. Ancora e ancora. Esattamente come avrebbe desiderato fare in quel momento. E in qualsiasi altro momento della giornata, in effetti.
    Tuttavia, né le sue riflessioni sentimentali né quelle maniache potevano nulla contro l’enorme fastidiosità del Wood. La definizione ideata da Daisy per rappresentarlo gli calzava in tutto e per tutto a pennello: era un dito in culo. Era lì, perennemente, piccolo ma duro, a ricordare in ogni istante la sua irritante presenza. Inflessibile. Incapace di scivolare in una direzione o nell’altra. Un corpo estraneo che impediva il regolare flusso delle cose.
    Lo lasciò quindi lì, il dito, a rigirarsi in quel pertugio stretto, ma non così stretto, mentre, più che sulle parole, si concentrava sui movimenti del suo corpo. La mascella tirata, i muscoli del collo a guizzare sotto la pelle ambrata, la curva morbida eppure tagliente delle labbra che accompagnava l’arrotolarsi della lingua e…
    «E non hai chiaramente colto il punto, nemmeno stavolta
    Un’altra pugnalata. L’ennesima.
    Anche la mascella di Adam si tese, per un istante, mentre senza poterci fare nulla finiva per digrignare i denti, infastidito ma soprattutto ferito da quelle parole. Su di lui, all’opposto di Tyler, quell’espressione risultava aliena. Il tono freddo del Wood non avrebbe dovuto stupirlo, e in effetti non lo fece, ma non riuscì a non pensare che, sotto a tutti quegli strati di calcolato gelo, si nascondesse una corazza di vero e inscalfibile ghiaccio.
    «Forse.» Sospirò, chiudendo gli occhi per un istante per riprendere fiato e allentare la stretta dei denti. «Ma vorrei solo che smettessi di farti questo.» Sapevano entrambi che in quel semplice pronome si nascondeva un mondo. Questo era tutto ciò che Tyler faceva ogni giorno, ma anche ciò che non faceva. Questo era quello che Adam cercava di tirargli fuori da anni, profondamente convinto com’era che ci fosse molto altro dietro a quella spessa facciata di indifferenza e freddezza.
    Ma era davvero così?
    O era Adam che, da anni, stava forzando Tyler a essere qualcosa che non era e che non sarebbe mai stato? Lui che, quasi ancora prima di iniziare a parlare, già si batteva perché nessuno venisse forzato a fare ciò che non voleva e, ancora peggio, a essere ciò che non era.
    Un brivido lo attraversò, riportandolo al presente e al suo corpo. Quello stesso corpo che pulsava e bruciava, che chiedeva di essere toccato e di toccare. Quel corpo che desiderava solo riempire la poca distanza che lo divideva dal Wood e fare quello che, modestamente, gli veniva meglio.
    Dare e ricevere piacere.
    Forse era stupido, forse aveva un disturbo dell’attenzione o addirittura della personalità, ma i pensieri terribili di poco prima andarono a nascondersi in un angolo della sua mente. O meglio, probabilmente scorrazzavano in libertà, visto l’immenso spazio vuoto, anche e soprattutto perché, ora che Tyler si stava spogliando, nonostante fissasse apposta il soffitto pur di ostentare indifferenza, tutto ciò a cui riusciva a pensare era lui, lui e ancora lui. E tutto il sangue del suo corpo pompava lì, rendendo ancora più dolorosamente piacevole la tensione tra le sue gambe.
    «Sei un dito in culo. E un montato di merda. E uno stronzo», elencò con altrettanta semplicità, stringendosi nelle spalle. Non solo i suoi insulti non erano sofisticati come quelli del serpeverde, ma non erano neanche veri insulti. Erano solo una perfetta descrizione della realtà. «Tyler», si premurò infine di aggiungere, con tono volutamente pomposo, stavolta. In realtà, gli piaceva quel suono. No, non la sua stessa voce, non era un megalomane (e poi non riteneva di avere chissà quale voce, anche se un po’ sperava di avere ancora qualche anno di bonus di pubertà). Il suono, anzi, la musica del nome di lui.
    Tyler.
    «Adam.»
    Il lungo brivido che dai lombi gli risalì fino alle scapole, per poi scavallare le spalle e ridiscendere fin nelle viscere e ancora più giù, fino a diventare un pulsare sordo nella sua erezione, non era dovuto al tono gelido usato dal serpeverde. O meglio, era dovuto anche a quello. Ma se gli piaceva dire il nome dell’altro, impazziva quando sentiva lui pronunciare il proprio. Voleva che Tyler lo chiamasse.
    E voleva che si arrabbiasse davvero, non come aveva fatto fino a quel momento, cosa che di certo, ora che aveva fatto sparire i suoi vestiti di alta sartoria chissà dove – letteralmente – sarebbe successa.
    Ma soprattutto voleva baciarlo.
    E infatti non resistette più. Erano ore, anzi, giorni, troppi, che lo faceva.
    Nessuno era fatto per resistere e di certo non lo era lui, abituato com’era a non mettere mai nessun filtro non solo tra il suo corpo e il mondo, ma anche tra la sua mente e ciò che lo circondava. Adam non era trasparente, bensì cristallino. Si lasciava attraversare e attraversava di buon grado, senza però mai annullarsi. Semplicemente, era parte del mondo, così come il mondo era parte di lui.
    E lo stesso discorso poteva essere applicato al Wood.
    Quel Wood che, per la cronaca, non stava rispondendo al suo bacio. Certo, non lo allontanò, ma non lo baciò neanche di rimando, non davvero. La cosa avrebbe dovuto indispettirlo o addirittura ferirlo, ma Adam scelse di leggerla solo come una spinta a fare di più e di meglio. E sentendo la mano di Tyler tra i capelli pensò di avercela fatta, salvo poi ritrovarsi di nuovo a troppi centimetri di troppo dalle sue labbra, il fiato corto e gli occhi scuri del serpeverde a fissarlo con un’intensità che gli faceva girare la testa.
    «Credevo fossi in sciopero. Che ce l’avessi con me e blablabla
    «Infatti ce l’ho con te.» Mettere una parola dietro l’altra era difficile, quando poteva sentire il respiro del moro sulle labbra, a sua volta ritmato da un che di altezzoso e pieno di sé. Le persone così andavano contro ogni suo principio, ma Tyler… «Specie poi se osi darmi del crumiro di merda.» Arricciò le labbra in una smorfia, per un istante quasi superiore alla vicinanza intossicante del serpeverde in nome dei suoi ideali.
    «Dunque avevo ragione, il sesso con gli altri non ti basta.»
    Non nascose la sorpresa, l’ammirazione e persino la contentezza, però, nel sentirlo aggiungere quel pezzetto. Sapeva che lo stava sfottendo, eppure era comunque emozionante vederlo abbattere almeno una delle sue infinite barriere. «Mi sembra di non averne mai fatto segreto», gli fece notare, cercando di non scivolare con lo sguardo sulle sue labbra. Se quelle non si toccavano, lo stesso non poteva dirsi di altre parti dei loro corpi. Un po’ per necessità, un po’ per provocazione, ruotò il bacino, facendogli percepire ancora di più la propria presenza. «Il sesso non mi basta mai Il che era vero, naturalmente. Aveva appena ignorato il resto della sua provocazione, però?
    Forse.
    Ma non era un fatto di non volergliela dare vinta. Al contrario, era semplicemente un dato di fatto.
    Ad Adam piaceva fare sesso, sempre e comunque, e con chiunque. Tuttavia, se avesse dovuto scegliere una sola e unica persona con cui farlo per tutto il resto della vita, e forse anche oltre, sempre che la reincarnazione non fosse una bufala, questa era Tyler.
    Anche se gli aveva appena riservato l’insulto peggiore di tutti.
    Anche e soprattutto per questo.
    Gli aveva dato del prevedibile. A lui!
    Avrebbe ribattuto, certo, ma non ora. Non subito. Non quando finalmente, finalmente!, le dita del Wood si erano appena chiuse intorno alla sua tensione, e avevano cominciato a muoversi tanto, troppo lente. Socchiuse gli occhi e si morse le labbra, non provando davvero a reprimere un gemito tanto di sollievo quanto di insoddisfazione. Sapevano benissimo entrambi che quello era troppo poco.
    Voleva di più.
    Ne aveva bisogno.
    «Sicuro di non essere tu a esserlo?», gli domandò, dopo essersi leccato le labbra, spiandolo tra le ciglia biondo scuro, gli occhi ancora socchiusi. «Prevedibile, intendo.» Lasciò scivolare le mani lungo il suo corpo, saggiando i muscoli del petto e dell’addome, e quando fu all’ombelico virò bruscamente, correndo prima sui fianchi e poi sul fondoschiena. Qui lo strinse con forza, affondando con ben poca gentilezza le dita nella carne morbida, domandandosi per un istante se avesse ancora il segno dell’ultima volta in cui l’aveva morso.
    Be’, tra poco avrebbe potuto controllare direttamente.
    «Perché ora come ora sei esattamente dove volevo che fossi.» Ghignò, sornione, continuando a saggiargli il fondoschiena mentre i brividi si irradiavano da dove lui lo stava toccando a tutto il resto del corpo. «E stai anche facendo quasi tutto quello che volevo che facessi», aggiunse, il viso nuovamente così vicino al suo da far sfiorare le punte dei loro nasi, entrambi così imperfetti da essere bellissimi. Con una spinta del bacino schiacciò la propria erezione e la sua mano contro quella crescente di lui e tornò a impossessarsi delle sue labbra, schiudendole con decisione.
    Se essere prevedibili significava starsene così con Tyler, forse avrebbe potuto accettarlo.


    Non odiarmi ihihihihi.
    Ci sto solo allenando per quando scriveremo il nostro romantasy spicy di super successo!!!!!!!!!!!!!
  7. .
    CITAZIONE
    forse andava messo prima ma eh TW per contenuti espliciti SMACK

    tyler n. wood
    slytherin ✦ 17 yo ✦ insufferable
    the road to love leads back to you
    you got me swimmin' in your ocean
    && in your eyes I see devotion
    but I will always take my time with u
    Ancora una volta, rimase impassibile alle osservazioni ovvie (e inutili) del tassorosso, che dimostravano solo quanto avesse ragione Tyler nei suoi riguardi; avrebbe potuto infierire e costringere entrambi a rimanere lì a fare quel gioco infantile per tutto il pomeriggio, ma i programmi del giornalista in erba prevedevano tutt'altro, per quel giorno, e non li avrebbe di certo fatti deragliare per colpa del Cox.
    «Tu con me non parli mai chiaro» avrebbe potuto fargli presente che non fosse lui a non parlare chiaro, ma Adam a non capire mai nulla — però, davvero, non voleva incastrarsi in una discussione senza fine con quel testardo di un tassorosso. C'erano già passati fin troppe volte, e sempre riguardo gli stessi discorsi, al punto che Tyler era stanco, svuotato, stufo di ripercorrere sempre gli stessi tracciati senza mai arrivare a nulla.
    Per questo motivo, perché era una storia vecchia quasi quanto la loro non relazione, le successive parole di Adam contribuirono ad alimentare il cattivo umore di Tyler, indispettendolo più del dovuto e procurando al prefetto un fastidio che avrebbe spiegato poi, più a se stesso che agli altri, come disappunto per l'ostinazione del Cox a voler rimarcare ancora e ancora su argomenti già affrontati a ripetizione.
    «Non lo so, infatti. Semplicemente lo sento. Lo vivo. Non è qualcosa che si può studiare o imparare. Lo si deve vivere e basta.»
    Mah, facile aprire la bocca e dargli fiato: erano parole incomprensibili per Tyler, non nella forma ma nel significato — perché parlavano di qualcosa di intangibile, di emotivo, qualcosa a lui (volontariamente) precluso. E Adam lo sapeva. «Lo sapresti, se la smettessi di avere un cuore così stitico» Adam lo sapeva e ogni volta tornava a spingere lì, fastidioso come sabbia dentro le scarpe o un dito puntato contro le costole.
    Forse, dopotutto, non se lo meritava il suo silenzio — non se lo meritava affatto. Nemmeno il rischio di finire a parlare per ore della stessa cosa ma in font diversi poteva fermarlo, ora, dal rispondere a tono al tassorosso, braccia incrociate al petto e sguardo duro.
    «Non hai appena detto che con me bisogna parlare chiaro? Forse sei tu che non sai spiegarti, invece di essere io a non capire.»
    «no,» c'era una punta di veleno già percettibile in quella singola sillaba, «sei tu a non capire.» annunciato come se fosse un dato di fatto, una banalità, una cosa così ovvia per cui non valeva la pena neppure sprecare più di quelle semplici parole o un tono che fosse meno smunto e incolore.
    «Sai qual è il problema?»
    «immagino che stai per dirmelo?» gli parlò sopra, fregandosene delle buone maniere e del rispetto: Adam Cox lo stava mettendo alla prova (come ogni dannata volta) e lui era stanco.
    «Ti concentri sempre sulle cose sbagliate. Vuoi spiegarmi le cose sbagliate. Inutili, persino.»
    Ah sì? E quali erano queste cose “inutili”? A Tyler non risultava. Lo esortò, con uno sguardo allusivo, ad andare avanti e illuminarlo con la sua saggezza.
    «Come i vestiti. Sono inutili. Certo, a parte per ripararsi dal troppo freddo o troppo caldo, ma perché civile dovrebbe essere uguale a vestito? Non ha senso.»
    «non sta a me spiegarti le basi della convivenza civile, Cox, hai due genitori per quello.» come avevano fatto a fallire così tanto, con lui e con quell'altra bestia di sua sorella? Era un quesito che spesso metteva alla prova la mente sveglia del serpeverde — e che cementava sempre di più la sua convinzione sul non voler avere figli suoi, in futuro; sembrava un lavoro troppo faticoso che lasciava volentieri a persone con ambizioni diverse dalle sue. «e non hai chiaramente colto il punto, nemmeno stavolta» una cosa che non avrebbe dovuto stupire Tyler, e infatti non c'era stupore nella sua voce, ma solo la stessa freddezza riservata all'altro fin dal primo momento.
    «Ma te l’ho già detto: mi piace soffrire»
    A quel punto rivolse lo sguardo scuro al soffitto incantato, allontanandosi dal biondo per iniziare a spogliarsi: ne aveva sentite veramente troppe, c'era un limite a tutto.
    Non poté comunque trattenere quel minimo di soddisfazione che lo costrinse ad alzare appena l'angolo delle labbra, quando sentì il verso poco umano che sfuggì da quelle di Adam quando la camicia venne via — non lo stava facendo apposta, e non era di certo colpa sua se l'eccitazione veniva trasmessa nel corredo genetico di Cox in Cox come la pelle chiarissima e gli occhi chiari, ma non poteva non sentirsi un minimo fiero del modo in cui, nonostante tutto, riusciva ancora a premere i giusti bottoni nell'altro, pur senza fare assolutamente nulla se non una cosa semplice e banale come sbottonarsi la camicia e prepararsi per un bagno.
    La piega delle labbra del serpeverde aveva un che di presuntuoso che non poteva – né voleva – nascondere. Non ad Adam, comunque.
    «Cristo santo»
    «puoi chiamarmi Tyler, ne abbiamo già parlato» gli ricordò con semplicità, facendo lo spiritoso, solo per creare maggior disagio in un Adam Cox già visibilmente provato, destabilizzandolo con vani tentativi di fare il simpatico.
    A giudicare dal nuovo verso gutturale (e animale) che suscitò nel minore, doveva star funzionando.
    «Sai cosa?»
    No, non sapeva cosa, ma aveva come l'impressione che, qualsiasi cosa fosse, lo avrebbe scoperto a breve.
    E non gli sarebbe piaciuto.
    E infatti: «Evanesco.» Ebbe appena tempo di notare la bacchetta del Cox puntata contro di lui (quella magica; l'altro era sull'attenti già da un pezzo e a Tyler non era sfuggito quel particolare) che improvvisamente la sua divisa immacolata era sparita, lasciandolo nudo come il giorno che era venuto al mondo.
    «adam.»
    Il tono gelido parlava da sé, e in quel nome c'erano tutti gli ammonimenti che non serviva ripetere ad alta voce: se c'era una cosa che Tyler non sopportava (beh, una delle tante cose che Tyler non sopportava) era che qualcuno rovinasse i suoi abiti, per errore o di proposito.
    Era pronto ad insultare il Cox e rammentargli quanto caro avrebbe pagato quel gesto, ma l'altro fu più veloce ad avvicinarsi e sussurrare quel «Vaffanculo» a fior di labbra, costringendolo a ricambiare quel bacio disperato che fece suo, rubandolo ad un Tyler immobile ed esasperato al cento percento.
    Queste le motivazioni che il serpeverde diede a se stesso come giustificazione del fatto che, alla fine della fiera, non oppose resistenza e lasciò che il Cox si prendesse quello che, era evidente dal modo in cui la sua erezione premeva conto quella ancora acerba di Tyler, desiderava disperatamente — era una persona magnanima, quando voleva, Tyler Wood.
    Sollevò una mano per posarla sui riccioli biondi del minore, incastrando le dita esili tra ciocche color grano, per poi tirare leggermente e costringere Adam ad interrompere il bacio. «credevo fossi in sciopero,» gli ricordò, «che ce l'avessi con me e blablabla» non si allontanò da lui, parlando a pochi centimetri dalle labbra arrossate e dischiuse dell'altro, presuntuoso e sicuro di sé e del potere che aveva sul tassorosso. «dunque avevo ragione, il sesso–» lo schernì, usando le sue stesse parole, «con gli altri non ti basta.» Sarebbe tornato sempre da Tyler; così come Tyler, suo malgrado, sarebbe sempre tornato da Adam. «sei davvero troppo prevedibile, Cox» e, così dicendo, portò la mano libera a scivolare tra i loro corpi, posandola maliziosa sull'erezione di Adam, massaggiando con movimenti lenti e calcolati, deciso a farlo soffrire più del dovuto. Se era quello il gioco che Adam voleva fare, Tyler era disposto a dimostrare che sapesse giocare — e che intendesse vincere.


    stai zitta non dire nulla non guardarmi non percepirmi non rileggo nemmeno e getto il telefono oltre l'oceano qui finisce la mia zona di comfort e inizia il disagio SOLO PER TE
  8. .
    adam cox
    hufflepuff | 16 y.o. | little shit
    chaotic dumbass energy
    Breathe me in, breathe me out.
    I don’t know if I could ever go without…
    I'm just thinking out loud.
    Ah, gli insulti di Tyler.
    Chiunque, nel castello, gli diceva che era delulu. I suoi amici, gli elfi domestici e le altre creature, i quadri… i muri, persino. E anche i professori l’avrebbero fatto, se non fossero stati troppo impegnati a sbattere lui e gli altri malcapitati in sala torture.
    Persino Daisy alle volte glielo faceva notare, sebbene fosse la prima sostenitrice del fatto che, in fondo, molto in fondo, suo cugino non fosse poi così disinteressato come si sforzava di apparire. Stronzo per davvero sì, ma del tutto indifferente al Cox, e non solo per quello che facevano, no.
    Ma Adam sapeva che il vero delulu, lì, era il Wood.
    E che i suoi insulti, che avrebbero dovuto irritarlo, per non dire offenderlo, erano solo un modo distorto per mostrare interessamento. Lungi da lui sostenere l’orribile e patriarcale e, soprattutto, pericolosa retorica che gli adulti inculcavano nelle femmine sin da piccole, per cui se un maschio le trattava male era perché si sentiva attratto da loro. A parte il sessualizzare i bambini, già di per sé vomitevole e da brividi, quella stupida generalizzazione portava alla lunga a romanticizzare situazioni, e relazioni, tossiche, per non dire violente. Certo, anche sostenere che nel loro caso le cose fossero diverse ricadeva totalmente nel cliché, ma era più forte di lui.
    Gli insulti di Tyler, invece di sventolare red flag grandi come una casa, facevano fluttuare nel vento tutt’altro tipo di bandiera rossa (sì, quella che piace ad Alessia. E a Sara. E a Roberta. D’accordo, la lista è infinita), una che non poteva che attirarlo come una mosca viene attirata da… Vabbè, insomma, anche se il serpeverde era, a tutti gli effetti, uno stronzo di prima categoria.
    Non voleva dire che gli insulti fossero la loro love language, non quando lui avrebbe voluto dirgli parole di tutt’altro genere. Né era inconsapevole del reale disprezzo che spesso riempiva i discorsi del Wood. Tuttavia i suoi occhi parlavano chiaro, in quei momenti. E c’erano volte in cui, spazzato via l’astio, e soprattutto la paura, Tyler si mostrava per quello che era: un giovane uomo che voleva solo essere amato dagli altri, e da sé stesso.
    Lo lasciò quindi blaterale sul suo non capire i concetti più semplici e sulla necessità di parlare chiaro, che, però, gli fece sfuggire una risata. «Tu con me non parli mai chiaro», gli fece notare con la voce ancora impastata dal divertimento, sebbene nel suo tono ci fosse una leggerissima punta di accusa. Ovviamente Tyler l’avrebbe contraddetto, lo sapevano benissimo entrambi, ma sapevano anche a cosa si riferiva Adam. Il serpeverde faceva di tutto per allontanarlo, eppure finiva sempre per ricascarci e, cosa ancora più grave, almeno agli occhi del Wood, alle volte si lasciava persino sfuggire confidenze che nessuno aveva mai avuto l’onore di ascoltare, fatta forse eccezione per Margarita.
    «La ami davvero?»
    Dopo tutte quelle parole che gli erano entrate in un orecchio e uscite dall’altro, lasciando dietro di sé solo qualche piacevole brivido, a quella domanda Adam si riscosse e istintivamente sorrise. «Sì», rispose senza il minimo di esitazione. Era vero. Amava Daisy. Amava tutto di lei, dal modo sguaiato in cui rideva, che la madre le aveva inculcato di trattenere perché non da brava signorina, all’espressione concentrata che assumeva quando cercava di fargli entrare in testa un concetto astruso di pozioni. La amava per quello che era, e per tutto ciò che sapeva sarebbe diventata.
    «Hai sedici anni, come puoi sapere cosa sia l’amore?»
    Con un sonoro sbuffo, puntò gli occhi in quelli scuri del Wood. Quello era uno degli infiniti argomenti al centro delle loro confessioni in solitaria, quelle che, Adam lo sapeva, Tyler avrebbe negato fino alla morte di aver avuto. Entrambi sapevano che l’altro la pensava in modo diametralmente opposto, ed entrambi avrebbero provato all’infinito a farlo cambiare idea. O almeno, di certo Adam lo avrebbe fatto. «Non lo so, infatti. Semplicemente lo sento. Lo vivo. Non è qualcosa che si può studiare o imparare. Lo si deve vivere e basta.» Non voleva fargli una lezioncina, quella era una cosa da dito in culo quale era Tyler, ma non riuscì a trattenersi: «Lo sapresti, se la smettessi di avere un cuore così stitico».
    Ma Adam non era fatto per rimanere serio troppo a lungo, motivo per cui, un attimo dopo, sentì il bisogno di tornare a fare il coglione come suo solito. A differenza di Tyler, lui non aveva problemi ad ammettere di essere stupido. Lo erano entrambi, solo su piani molto diversi. E poi, in fondo, cosa c’era di male a esserlo? Così, invece di vestirsi, fece della scena, almeno finché il serpeverde non lo accusò di non aver mai voluto ascoltarlo. E di essere rimasto insoddisfatto, certo, ma non era quello il punto – anche se si sentì pungere nell’orgoglio: nessuno gli aveva mai detto di essere rimasto insoddisfatto dalle sue performance.
    Davvero Tyler credeva che non lo avesse mai ascoltato sul serio?
    «Non hai appena detto che con me bisogna parlare chiaro? Forse sei tu che non sai spiegarti, invece di essere io a non capire.»
    Forse quel nuovo e improvviso discorso serio avrebbe dovuto fargli tornare a circolare il sangue verso il cervello, ma il tassorosso era pur sempre un sedicenne in preda agli ormoni e a pochi passi dalla persona che, più di tutte, occupava i suoi pensieri e le sue fantasie ogni singolo momento dei suoi giorni (e delle sue notti). Le sue parole l’avevano ferito, ma rimaneva il fatto che Tyler continuava a riempirlo di insulti – che non era un modo per dirgli che gli piaceva, ma che gli faceva comunque ribollire il sangue nelle vene, e il fastidio era solo l’ultima delle ragioni – e si stava spogliando.
    «Sai qual è il problema? Ti concentri sempre sulle cose sbagliate. Vuoi spiegarmi le cose sbagliate. Inutili, persino. Come i vestiti. Sono inutili. Certo, a parte per ripararsi dal troppo freddo o troppo caldo, ma perché civile dovrebbe essere uguale a vestito? Non ha senso.» Così come non aveva senso quel discorso, anche se nella sua testa sembrava il contrario. Dopotutto, i vestiti erano solo una delle infinite imposizioni della società capitalista, quindi era giusto combatterli.
    E farli sparire.
    Specie se si trovavano ancora in misura così copiosa addosso al Wood.
    «Credevo lo sapessi già»
    «Che sei una merda? Ovvio. Ma te l’ho già detto: mi piace soffrire», gemette teatrale, senza però doverci calcare troppo la mano, dal momento che stava decisamente soffrendo davvero. Aveva bisogno di toccarlo, e di toccarsi. Non si era mosso di un millimetro. E Tyler non aveva realmente provato a farlo andare via.
    Chissà come mai.
    Però si stava spogliando davvero troppo, troppo lentamente. Strinse i denti, e le chiappe, soffocando un altro gemito tra le labbra. Sapevano benissimo entrambi cosa stava facendo il Wood, ma non per questo era meno snervante. Avrebbe potuto porre fine alle sue sofferenze in un istante, ma, da stronzo quale era, se ne stava ben guardando.
    Adam non era orgoglioso, ma non voleva dargliela vinta per l’ennesima volta.
    Non era andato lì dentro con il proposito di mandare Tyler a quel paese? Non era stato bravissimo, a non rivolgergli la parola per ben (!!!) tre giorni?
    «Cristo santo», borbottò, più rivolto a sé stesso che a un’entità superiore alla quale, per la cronaca, non credeva affatto. Non voleva essere quello debole. Non che ci fosse nulla di male, anzi, ma il serpeverde meritava di trovarsi un po’ dall’altra parte. Non di sorridere con quel fare trionfale che gli faceva solo venire voglia di prenderlo a pugni.
    D’accordo, a pugni forse no, visto che era pacifista (e che, se avessero fatto a botte, Adam le avrebbe prese, e pure forte. Non che gli dispiacesse poi così tanto, in effetti). Ma morderlo? Baciarlo?
    Oh, poteva farlo eccome. E, in questo caso, non sarebbe stato lui a prenderle.
    «Ti piace quello che vedi?»
    Stavolta il gemito di frustrazione si fece spazio tra le sue labbra con prepotenza, trascinandosi dietro il graffiare gutturale della gola.
    «Sai cosa?»
    Prima di buttare via i vestiti appallottolati, afferrò nel mucchio la bacchetta rovinata. Suo padre aveva minacciato di non comprargliele un’altra, l’ennesima, anzi, come aveva sottolineato, se fosse riuscito a rompere anche questa. Ma Adam sapeva che Frank Cox non avrebbe mai permesso che suo figlio non prendesse il diploma (scusa papi ihihihhi).
    Adesso c’erano due cose puntate verso Tyler. Ugualmente tese. Ugualmente tirate.
    La sua bacchetta e il suo (gasp!) pene.
    «Evanesco.»
    Dov’erano finiti il resto dei vestiti del serpeverde? Le sue scarpe lucide, i pantaloni della divisa perfettamente stirati e, anche se non li aveva visti, i boxer attillati, probabilmente neri o grigi?
    Ad Adam non importava assolutamente nulla.
    E il fatto che Tyler si sarebbe di certo infuriato era solo un bonus, naturalmente.
    A gambe larghe, ma con tutta la velocità che l’eccitazione gli permetteva, riempì in qualche falcata la poca distanza che li separava. Adesso era lui a sorridere. A ghignare, anzi, quando si ritrovò a torreggiare davanti al moro.
    «Vaffanculo», gli soffiò sulle labbra, un attimo prima di baciarlo prepotentemente, tenendogli il viso serrato tra le mani.
    Era pronto a prenderle, e anche forte.
  9. .
    tyler n. wood
    slytherin ✦ 17 yo ✦ insufferable
    the road to love leads back to you
    you got me swimmin' in your ocean
    && in your eyes I see devotion
    but I will always take my time with u
    Non si scompose alle, né si lasciò stuzzicare dalle, provocazioni verbali del tassorosso a mollo.
    «Ripeti con me. Sesso. S-e-s-s-o.»
    Sesso, era semplice.
    Era quello che facevano loro, no? Solo sesso, niente di più. Non c’era alcun bisogno di etichettare quello che c’era tra loro, qualunque cosa fosse in nessun’altra maniera. Ma non era quello il motivo per cui Adam stava sottolineando la parola, e Tyler lo sapeva benissimo.
    «Devi smetterla di nasconderti dietro a giri di parole senza senso, come se fosse tutto un tabù e non la cosa più naturale del mondo. Non dopo che ti ho visto usare quella bocca in ben altro modo.»
    «Scusa, hai ragione,» said, Tyler, never, «alle volte dimentico quanto il tuo vocabolario sia limitato, Cox. Con te bisogna parlare chiaro Qualsiasi altro tormento implicito nelle parole del tassorosso, scivolò in apparenza sulla pelle di Tyler, pur rimanendo fastidiosamente impresso laddove contava di più: nel cuore.
    Sapeva di avere qualche limitazione, il Wood, in primis quella di non essere ancora affrontato, nemmeno con se stesso, quel particolare discorso — ma trovava fossero affari suoi il come e il quando (e il se) affrontare la questione. Di certo non spettava ad Adam Cox forzare la sua mano.
    «Sei adorabile quando fingi che non te ne freghi nulla dei miei programmi, e di quelli di Daisy»
    Doveva star proprio delirando, il Cox, se credeva davvero che Tyler stesse fingendo; o forse non lo conosceva così bene come sosteneva. «E poi una comare come te deve essere sempre informata su tutto.»
    Alzò gli occhi verso il soffitto a volta del bagno, sospirando affranto ma non sorpreso. «Volerlo sapere per informazione generale e interessarmi sono due concetti ben diversi,» ma non si aspettava che Cox capisse la sottile differenza nelle sfumature di una lingua che, chiaramente, non padroneggiava.
    Riportò lo sguardo sull’altro solo per prendere bene nota di lineamenti che, suo malgrado, conosceva già alla perfezione, e per ascoltare con più attenzione le parole di Adam.
    «Funziona così, quando si ama una persona. Si passa del tempo con lei. Si vuole stare con lei il più possibile. Diventa una… necessità. Come mangiare»
    Lo trova come minimo esagerato, ma non glielo disse; preferiva lasciarlo vivere nella sua utopia rosea, ma non accettava che ci trascinasse dentro Margarita. «La ami davvero?» Nella piega arricciata del naso poteva leggersi chiaramente un certo disgusto, ma non era geloso; piuttosto, credeva che Adam non fosse semplicemente all’altezza di sua cugina. «Hai sedici anni, come puoi sapere cosa sia l’amore?» E non ne avevano forse già parlato, in più di un’occasione? Eppure non trovavano mai un terreno comune su cui rimanere saldamente in piedi; crollavano sempre giù, come castelli di sabbia troppo fragili, con fondamenta instabili.
    Preferiva di gran lunga quando i loro scambi di parole si limitavano ad argomenti simili, a frecciatine non troppo velate e commenti caustici.
    «Rimane il fatto che tu non ti sei mai lamentato»
    «Magari non hai mai voluto ascoltare.»
    Era troppo stronzo da parte sua insinuare il dubbio di insoddisfazione nel biondo? Forse, ma troppo tardi ormai. Si strinse nelle spalle, senza argomentare ulteriormente quel commento, lasciando ad Adam la libertà di prenderlo come voleva — una verità, una bugia, una provocazione. Tutto, o nulla.
    «Siamo in un bagno, è chiaro che sto bagnando»
    Fece un favore ad entrambi a non commentare il modo in cui lo sguardo del tassorosso cadde sul cavallo dei pantaloni e non sulle scarpe, perché era un signore, ed era stato cresciuto meglio (del Cox) di così. Preferì invece allontanarsi – per una serie molto lunga di motivi, in primis perché non voleva che Cox gli rovinasse le scarpe – e lo invitò nuovamente a lasciare il bagno.
    «E mi lasceresti andare in giro così? Cosa ne sarà del mio buon nome? Del mio onore??»
    «È per questo che ti ho ridato i vestiti.» Spiegò, come se avesse di fronte un bambino di cinque anni — perché era esattamente così. «Vanno indossati, sai? Addosso Imitò il gesto di rivestirsi, continuando a spiegare, «so che è un altro concetto sconosciuto per te, ma nella società civilizzata si usano strati di indumenti per coprire le proprie grazie, e risultare rispettabili.» O, almeno, non rischiare di essere passabili di denuncia.
    «Sei senza cuore»
    «Credevo lo sapessi già» Tono asciutto, secco; credeva di averlo già dimostrato. Forse non abbastanza. Forse non davvero.
    «E sei anche un vecchio. Me l’hai già detto, appunto. È il bagno dei prefetti e io non posso starci e…» Eppure era ancora lì.
    «A quanto pare hai bisogno che venga ripetuto, però.»
    E lo aveva anche zittito, un punto a favore di Tyler!
    Si limitò, come il gran signore che era, appunto, a commentare con un solo sopracciglio a svettare sulla fronte, continuando a spogliarsi come se nulla fosse, liberando un bottone alla volta con agonizzante lentezza, compresi quelli dei polsini. «La porta sai già dov’è…» Una volta sbottonata del tutto, rimosse la camicia una manica alla volta, piegandola poi e poggiandola insieme al resto della divisa, sulla panchina; lo sguardo era tutto per il tassorosso impalato di fronte a lui, ammutolito, con gli abiti stretti al petto e nulla a coprire l’erezione impossibile da notare, e quella mente sconcia che doveva star lavorando come poche volte prima di quel momento.
    Abbassò la testa e sorrise trionfo, Tyler, pur non facendo nulla per andare incontro al povero Cox, iniziando a slacciare i lacci delle scarpe, una alla volta. «Ti piace quello che vedi?»
    Sul serio: Tyler poteva farlo tutto il giorno, non aveva alcuna fretta al contrario di qualcuno.
  10. .
    adam cox
    hufflepuff | 16 y.o. | little shit
    chaotic dumbass energy
    Breathe me in, breathe me out.
    I don’t know if I could ever go without…
    I'm just thinking out loud.
    Ognuno a suo modo, tanto Adam quanto Tyler erano maestri di indifferenza.
    Nel caso del biondo si trattava di un’indifferenza del tutto inconsapevole, ingenua, persino, che lo portava a vivere nel suo mondo e al contempo a scaldarsi e spendersi anche per le cause più assurde, come le formiche bicefale blu di Prussia in via di estinzione o il menu vegano almeno una cena a settimana al castello. Più che indifferente, Adam era menefreghista. Non gli importava di seguire le regole, né tanto meno di omologarsi, e non era assolutamente preoccupato dalle conseguenze della sua presunta disobbedienza.
    Quella di Tyler, invece, era un’indifferenza precisa, studiata nei minimi particolari. Il Wood voleva essere indifferente. Voleva essere indifferente alle ingiustizie, il più delle volte, come il tassorosso non mancava di fargli notare di continuo, serafico ma accorato. Voleva essere indifferente a tutto ciò che usciva dai suoi rigidi schemi mentali, quelli che si imponeva con così tanta forza da vederlo persino tremare, quando pensava di non essere visto da nessuno, dal momento che la tensione mentale si ripercuoteva sul suo fisico. E voleva essere indifferente al Cox. Lo voleva così tanto che Adam poteva sentirlo bruciare ovunque, sulla pelle.
    «Rendez-vous, ripeté, con un pessimo accento francese, per poi fare una smorfia e scuotere il capo con un sospiro teatrale. «Ripeti con me. Sesso. S-e-s-s-o.» Scandì lo spelling con lentezza, lasciando scivolare la lingua su ogni singola lettera. «Devi smetterla di nasconderti dietro a giri di parole senza senso, come se fosse tutto un tabù e non la cosa più naturale del mondo. Non dopo che ti ho visto usare quella bocca in ben altro modo.» Cosa? Gli stava forse rinfacciando tra le righe il fatto che non volesse accettare di essere, quantomeno, bisessuale? E il non voler riconoscere che tra loro c’era qualcosa, di qualunque cosa si trattasse? Assolutamente no…………..
    Avere a che fare con Tyler era davvero stancante e nessuno lo sapeva meglio di Adam. D’accordo, Daisy a parte. Lei lo sopportava da ancora più tempo e con una stoicità che, nonostante la natura tranquilla del tassorosso, lui non avrebbe mai raggiunto. Anche solo perché, più lo faceva stancare, più ne aveva bisogno. Voleva essere stancato da Tyler. A parole, certo, ma ancora di più a gesti. «Sei adorabile quando fingi che non te ne freghi nulla dei miei programmi, e di quelli di Daisy», non mancò quindi di fargli notare, ovviamente per irritarlo ancora di più, visto quanto non era capace di nascondersi dietro la maschera dell’indifferenza. Ma anche perché era davvero adorabile, così impegnato com’era a mostrarsi disinteressato da sapere sempre tutto. «E poi una comare come te deve essere sempre informata su tutto.» Almeno su questo, Tyler si permetteva di essere del tutto consapevole. Ma non significava che gli piacesse quando gli veniva fatto notare che sì, era il peggiore pettegolo di tutto il castello.
    «Passi davvero un sacco di tempo con mia cugina, purtroppo.» Sorrise, Adam, un sorriso genuino e pieno di sentimento, volando con il pensiero a Margarita. «Funziona così, quando si ama una persona. Si passa del tempo con lei. Si vuole stare con lei il più possibile. Diventa una… necessità. Come mangiare», spiegò con semplicità, senza nemmeno una goccia di ironia nella voce. Credeva, anzi, sentiva ogni singola parola di quello che aveva appena detto. Provava ognuna di quelle cose per Daisy.
    E per Tyler.
    Proprio quel Tyler che gli diceva che non avrebbe trovato altro materiale per le sue fantasie lì, in quel luogo, con lui. Adam ghignò, non provando minimamente – né volendo farlo, in effetti – a nascondere la malizia che gli ardeva nello sguardo. «Di materiale ne ho in abbondanza, non preoccuparti.» Una verità in risposta a una bugia: se avesse avuto anche solo un minimo di talento artistico, avrebbe potuto disegnare a memoria ogni centimetro del corpo del serpeverde. Anche se, a dirla tutta, con la matita era negato, certo, ma con la lingua era un’altra storia. Esistevano opere d’arte fatte con la lingua? Se sì, allora sarebbe riuscito a riprodurre perfettamente ogni particolare del moro.
    Paradossalmente, fu solo quando infine il Wood cominciò a sorridere che il tassorosso provò qualcosa di simile al fastidio. Adam era incapace di arrabbiarsi, ma il serpeverde aveva l’abilità innata di scatenare in lui qualcosa che andava molto, molto vicino alla rabbia. Anche se, per fortuna, quasi sempre si trasformava in altro, concentrando buona parte del suo flusso sanguigno lì, tra le sue gambe, rendendo quella parte di lui dolorosamente tesa e pulsante. Proprio come in quel momento.
    «Sì, lo so benissimo che sei incredibilmente veloce.» Ah, ecco dove voleva andare a parare. Sospirò. «Sai fare di meglio.» Davvero. «Rimane il fatto che tu non ti sei mai lamentato», aggiunse, facendogli il verso. Anche lui sapeva fare di meglio, ma era letteralmente colpa di Tyler, in tutti i sensi, se adesso gli arrivava ancora meno sangue al cervello del normale. Pensare ad altro che non fosse il serpeverde o una parte qualsiasi del suo corpo era estremamente difficile.
    Così si immerse, un po’ per irritarlo, un po’ per riprendere, mentalmente parlando, ma non fisicamente, fiato. Motivo per cui ignorò il commento del Wood sull’apnea, concentrato invece com’era nel non rovinare su sé stesso nel tentativo di uscire dalla vasca. Non che gli importasse di risultare o meno ridicolo, anzi, era una delle infinite cose verso le quali era del tutto indifferente, ma cadere in quelle condizioni avrebbe significato un dolore atroce. E settimane senza incontri con Tyler come quello che stava per accadere.
    Perché il serpeverde poteva fingere che non gli importasse quanto voleva, ma sapevano benissimo entrambi come sarebbe andata a finire.
    E Adam non vedeva l’ora che succedesse.
    Per essere del tutto privo di senso del pudore, sentì il viso bruciare, quando infine si raddrizzò il più possibile, bagnato e nudo com’era, decisamente vicino al moro. Voleva sbattergli in faccia quella manciata di centimetri che lo rendevano il più alto dei due? Ovviamente sì. «Siamo in un bagno, è chiaro che sto bagnando», rispose stringendosi nelle spalle, come se la cosa non solo fosse scontata, ma avesse anche un senso. E non guardò le scarpe nere e lucide del serpeverde, ma fermò gli occhi decisamente più su.
    Prima che potesse rialzarli, però, barcollò appena, afferrando d’istinto quello che gli era arrivato addosso. Purtroppo non si trattava di Tyler, ma dei suoi vestiti appallottolati. «Fuori di qui, hai un sacco di altri bagni dove continuare il lavoro interrotto.» Peccato che in nessun altro bagno ci fosse lui. «E mi lasceresti andare in giro così? Cosa ne sarà del mio buon nome? Del mio onore??» Si portò il dorso di una mano alla fronte, simulando un capogiro da vera dama vittoriana, deciso a ignorare il sorriso pungente con cui il moro lo stava punzecchiando. Proprio quel genere di sorriso che avrebbe voluto mordergli via, ammorbidirgli un gemito dopo l’altro, fino a trasformarlo in un sorriso di tutt’altro genere.
    «Sei senza cuore», sentenziò ancora, con tutta la teatralità di cui era capace (tanta, per la cronaca, essendo un tratto distintivo della sua famiglia al pari dell’azzurro dei suoi occhi). «E sei anche un vecchio. Me l’hai già detto, appunto. È il bagno dei prefetti e io non posso starci e…» Si stava spogliando. Tyler si stava spogliando. Per qualche istante dimenticò di star parlando, impegnato com’era a fissarlo. Era difficile sostenere un discorso quando il sangue continuava a pompargli tra le gambe e non al cervello.
    Era già stato fin troppo bravo, in effetti.
    A rispondergli.
    A non saltargli addosso.
    «Quindi? Sei ancora qui?»
    «Che ci vuoi fare? Mi piace soffrire Si strinse nelle spalle e, incrociando lo sguardo con il suo, gettò di lato il groviglio di vestiti che teneva ancora stretto contro lo stomaco, nuovamente senza alcuno schermo tra il proprio corpo e gli occhi di lui. «Voglio che mi porti tu in sala torture. A carponi, al guinzaglio… Come preferisci, insomma.» Un lungo brivido lo percorse, andando ad accumularsi proprio lì, sempre lì.
    Dove riportò la mano, per riprendere da dove si interrotto. Stavolta, però, non aveva bisogno di chiudere gli occhi per vederlo. Stavolta gli occhi erano ben aperti e fissavano quelli di lui.
    «Ti basta solo mettermi le mani addosso.»
  11. .
    gifsjournalist
    deatheater
    former slytherintyler wood
    currently playing
    Ready for you
    Years & years
    thinking you might slip through,
    there won't be another day I let you get away
    'cause we started something good,
    but just know that before you
    I wasn't ready for you
    Perso nei suoi pensieri sempre più fitti e ingarbugliati, Tyler non aveva sentito quello che, in altri momenti, avrebbe colto senza problemi: il rumore di passi, reso ovattato dai tappeti che aveva costretto Adam e Daisy a comprare per decorare la casa; la porta che si chiudeva in maniera non così silenziosa come il tassorosso credeva; il cigolio del penultimo gradino della scala, che tutti sapevano facesse rumore ma nessuno alzava la bacchetta per sistemare. Ancora di più, non gli sarebbe di certo sfuggito l’ingresso del compagno in cucina, che invece Tyler notò con un pizzico di ritardo, il cucchiaino con cui aveva girato il té per i precedenti svariati minuti stretto tra indice e pollice.
    Il singolo sopracciglio a svettare verso la fronte, l’espressione più impassibile di cui fosse dotato e lo sguardo scuro a specchiarsi in quello ancora assonnato di Adam.
    «Appft! Fei qui!»
    Dove altro avrebbe dovuto essere?
    Non lo chiese, abbassando con deliberata lentezza gli occhi sul pancake stretto tra le labbra dell’altro, e che ora cadeva in terra, tazzina ancora a mezz’aria e linguaggio del corpo che parlava senza che Tyler avesse bisogno di dire alcunché.
    «Allora? Il tuo articolo? È uscito?»
    «Adam, puoi, per cortesia, far finta di non essere stato cresciuto dai lupi nel cuore della foresta? Almeno in casa?» Ma anche fuori, in realtà: portarsi dietro il Cox, molto spesso, era imbarazzante. «Stiamo crescendo una figlia, non delle bestie. Il minimo che tu possa fare è dare il buon esempio.» Nessun buongiorno, per lui, per loro; erano un po’ di mattine che, loro malgrado, si svegliavano sempre più lontani e i piacevoli risvegli pigri e pieni di passione erano solo uno sbiadito ricordo; la scusa ufficiale era che Minnie, sempre più spesso, lasciasse il suo letto per intrufolarsi nel loro nel cuore della notte, e rimaneva con loro fino all’indomani, ma sapevano entrambi che il problema di quella distanza aveva radici ben più profonde.
    Non era mai stato uno devoto all’ozio o alla poltronaggine, il Wood, ma aveva sempre trovato tempo per il compagno, mai a discapito del suo lavoro, certo, ma pur sempre impegnandosi per dedicare quante più attenzioni possibili all’altro e cedere a quelle che Adam stesso era solito riservargli; ma da un po’, fingere che non ci fosse una crepa nella loro casa, sempre più profonda, era diventato impossibile e si ripercuoteva non solo nella sfera emotiva, ma anche in quella sessuale, sì. Soprattutto lì. E Tyler, che non era mai stato bravo a indossare i propri sentimenti in maniera trasparente, affinché tutti potessero leggerli, aveva (non così) involontariamente richiuso quello spiraglio di onestà che l’aveva avvicinato, negli anni, al Cox. Suo malgrado lo amava – e sempre lo avrebbe amato – ma ignorare che ci fossero problemi seri a gravare sul loro rapporto non stava giovando alla cosa.
    Con una manciata di minuti di ritardo, ancora in piedi con la tazza di té fumante stretta fra le mani, si prese la briga di rispondere ad Adam. «Sì, è uscito.» Una risposta arida, il cui tono, sperava, avrebbe precluso altre domande: non ne voleva parlare, non quando non si reputava fiero del suo lavoro. Quello che avevano stampato, infondo, non era il suo operato.
    Sfidò comunque il Cox a chiedere altro, il mento appena alzato e le labbra tirate in una linea serratissma, conscio che dandogli troppe libertà avrebbe finito per ottenere esattamente il risultato opporto; ma non ci fu tempo per scoprire se avesse ragione o meno, perché proprio in quel momento sentirono la porta di casa aprirsi e una voce familiare annunciare il suo arrivo.
    «Sto forse interrompendo qualcosa?»
    Tyler ci mise qualche secondo di intensissimo silenzio prima di distogliere lo sguardo dal compagno e portarlo sulla figura appena giunta di sua cugina, parlando a bassa voce. «Non sarebbe una novità», commentò, al posto di un buongiorno. Non lo era. Lo era di rado, per lui.
    Osservò Daisy spogliarsi del suo camuffamento, impassibile ad una scena vista e rivista fin troppe volte; il modo in cui sua cugina sfuggiva alla stampa nel quotidiano era direttamente proporzionale al modo in cui la cercava negli eventi sociali. Indicò gli occhiali da sole, facendo schioccare la lingua contro il palato. «Quelli sono miei.» E, doveva ormai saperlo, un po’ di tutti: era così che gli avevano detto i due, no? Che in quell’unione condividevano tutto; Tyler aveva risposto di non aver firmato alcun pre-nup e, pertanto, di non essere d’accordo con tale affermazione. Le sue proteste erano state cordialmente declinate e ignorate.
    Non commentò, invece, lo sguardo gonfio di Daisy o l’aria triste; aveva imparato sulla sua pelle che il posto di cugino preferito avrebbe dovuto condividerlo per sempre con il fantasma di uno strappato alla Bulgakov prematuramente, e la cosa non lo preoccupava. La competizione, in generale, non lo preoccupava; menchemeno quella con i morti. Per tutte le altre cose che rendevano Daisy Bulgakov un po’ meno brillante, giorno dopo giorno, Tyler si impegnava a fare quel che poteva laddove poteva; c’erano molte cose che andavano ben oltre il suo potere. E l’empatia era sempre mancata, all’ex serpeverde.
    «Rita.» L’ammonì con il tono secco di chi era stanco, nel vederla scalciare via le scarpe da ginnastica: possibile che in quella casa fosse l’unico con un minimo di decenza e voglia di tenere le cose in ordine?
    (Forse anche troppo; la morsa di rigore che Tyler stringeva intorno alla sua famiglia era a tratti soffocante.)
    Lei, molto prevedibilmente, lo ignorò. «Molto british da parte tua»
    Lui non fece lo stesso, abboccando alla sua provocazione. «Io sono british.» Dalla punta dei piedi a quella dei capelli, e lo sapevano bene entrambi i maghi che gli stavano di fronte. Maghi che, chiaramente, erano in combutta contro di lui a giudicare dall’occhiata complice che si erano appena scambiati. Cercò di pensare a quella, Tyler, quando riabbassò lo sguardo cupo sul liquido ambrato, ignorando il bacio che i due si erano scambiati; non era geloso, un tempo forse lo era stato – se dell’uno o dell’altra era poco chiaro – ma non più, però certi atteggiamenti lo lasciavano ancora un po’ turbato pur sapendo che non avrebbero dovuto, avevano un figlio insieme quei due, per Morgana. E sapeva che Adam amasse entrambi, in egual misura; e che Rita amasse entrambi, in eguale misura; e che lui amasse entrambi, in egual misura — ma con bisogni ben diversi.
    Accettò comunque l’abbraccio di Rita, e quel bacio sapientemente calibrato e lasciato all’angolo delle labbra, riuscendo persino a non irrigidirsi a quel «Tutto okay?» bisbigliato nel suo orecchio.
    No, pensò, non è tutto okay.
    Ma a lei, quando la staccò con delicatezza da se stesso, rispose con il solito sguardo scuro e una scrollata di spalle. Non avrebbero intavolato quella conversazione di fronte ad Adam; così come Adam e Tyler non intavolavano certe conversazioni di fronte a Daisy e come, era certo, Daisy e Adam non intavolassero altre conversazioni di fronte a lui. Funzionavano così, loro tre.
    «Ecco qua, ora manca solo un buon caffè bulgaro!» Tyler riservò ai pancakes un’occhiata poco convinta, da sempre non un grande estimatore dei cibi troppo dolci, e lasciò che i due maghi si affogassero nello sciroppo mentre lui sorseggiava il suo té. «Minnie sta ancora dormendo?»
    Annuì, non riuscendo a trattenersi dall’aggiungere un caustico «è ancora presto» e se la svegliate vi affatturo lasciato non detto, ma chiaramente leggibile nella posa tirata delle labbra. «Dove sei andata?» C’era stato un periodo non particolarmente brillante della sua vita in cui Tyler aveva perso momenti, e spesso interi giorni, confuso e spaesato, sempre più distante e scollegato da se stesso, in cui dimenticava appuntamenti, cose già dette o sentite, persona e parole; erano stati giorni (settimane, mesi) terribili, per i quali aveva incolpato – almeno davanti a Rita – lo stress a cui era sottoposto a lavoro; sapevano tutti e tre che fosse una balla. Ma da quel momento in poi, comunque, – e soprattutto dopo, con l’arrivo di Minnie e Albie, e i loro doveri quotidiani triplicati – avevano deciso di tenere una lavagna dove segnare le cose più importanti di cui tutti dovevano essere informati, come uscite, appuntamenti, cene e la lista della spesa. Indicò la lavagna appesa al muro con un cenno della testa. «Non c’è scritto nulla, lì sopra.»
    Controllare dove andassero, quando e con chi, era l’unico modo che Tyler aveva per accertarsi che i suoi cari stessero bene; il minimo che potessero fare era rispettare quell’accordo e non dargli ulteriori preoccupazioni. Era troppo giovane per ammalarsi di ulcera al fegato.
    sooner or later you're gonna tell me a happy story. i just know you are.


    devo uscire con barrie, giuro che poi (forse.) rileggo. io e tyler vi sbaciamo in tutta la nostra diticità :v:
  12. .
    everybody wants to be my enemy-YYY ~

    Ciao a tutti!!!
    Davvero poco saggio da parte mia farmi vivo con questa immagine di profilo (che non è scontata per chi non conosce davvero la mia essenza!!!), dato che il mio obiettivo era quello di essere... stealthy? misterioso?
    Ma insomma: vengo dal non così profondo sud dove a regnare sono le auto rubate e i taralli (aka puglia nord), anche se ormai sono impiantato al nordeh da ormai tre anni (fatti da poco!!!!) per l'università (sto per laureami in comunicazione interculturale e iniziare la magistrale in servizi sociali nello stesso tempo, pregate per me sigh).
    Ho degli... hobby, credo??? O almeno ho delle attività con cui occupo il tempo per non cadere nel vortice della depressione ihih. Giocare a League of Legends è un'ottima valvola di sfogo, ve la consiglio specialmente se avete della rabbia repressa da dover sfogare (mega io), in quanto insultare gli avversarsi in chat mi sembra molto più terapeutico di vedere uno psicologo!!! Terapeutico è anche fare playlist davvero specifiche su spotify per cercare di essere capito (da me stesso)... la mia preferita è "pov: you're falling in love for a straight guy" perché questa è la persona che sono <3. Un tempo, prima che l'università prosciugasse ogni forma di interesse per il mondo, adoravo leggere e guardare serie tv (anche se nell'ultimo periodo sto cercando di riconnettermi con il mio inner teen!!! Ho appena finito di guardare How to get away with murder e ho iniziato Breaking bad!!). Altre info random su di me è che il mio vocabolario è composto da: amo, godo, mega godo, sgodo, io, noi, aiuto, cazzo in culo, imprecazioni in dialetto - e penso di riuscire a formare frasi di senso compiuto soltanto con queste!! Poi: sono intollerante al lattosio ma mangio comunque latticini, più di quanto ne mangiassi prima di scoprirlo.
    EEE basta, credo??? Penso che si sia capito chi io sia, essendo già stato su questo gdr per..... tanti anni, ma per chi non mi conoscesse: CIAO AME!!! Sono Ale(ssandro) e ho 21 anni (e ne avevo 15 quando sono approdato per la prima volta qui.......) e so contento per fa sta sfilata!!! Mi mancava tanto questo ambiente, e il vederci nei vari raduni e sentirvi parlare della trama che va vanti mi ha fatto tornare nostalgia sigh :( In più sento davvero il bisogno di tornare a scrive, QUINDI INZOMMA EKKOMI QUA CIAO!! BACI!!
  13. .
    tyler n. wood
    slytherin ✦ 17 yo ✦ insufferable
    the road to love leads back to you
    you got me swimmin' in your ocean
    && in your eyes I see devotion
    but I will always take my time with u
    L’espressione che Tyler riservò ad Adam, quando il minore riaprì pigramente gli occhi, strizzando le iridi azzurre dietro palpebre pesanti e palesemente sognanti, fu una di completa e innegabile indifferenza. Se non fosse stato per le successive parole, che pur provandoci non riuscì a trattenere, si sarebbe potuto dire che Tyler non avesse nemmeno prestato attenzione ai gesti inconfondibili di Adam, nella vasca. Eppure dovette parlare, fu letteralmente più forte di lui: un bisogno quasi primordiale, che sentiva sempre quando dall’altra parte delle sue parole fredde e velenose c’era il Cox.
    «cosa c’è, i tuoi… rendez-vous ti lasciano insoddisfatto, al punto di dover ricorrere alla tua stessa mano per un po’ di piacere, Cox?» Era caduto davvero molto in basso, c’era poco da dire o fare a riguardo. Gli lanciò anche un mezzo sorriso di scherno, le braccia ancora incrociate al petto e nella mente l’immagine di nonna Wood con il grembiule a fiori che agitava, tutta alterata, il mattarello con cui aveva steso poco prima la sfoglia per la torta di mele — un’immagine pietosa, ma di cui il serpeverde aveva assolutamente bisogno per evitare che il cavallo dei pantaloni diventasse troppo stretto al pensiero di dove stesse riposando, proprio in quel momento, la mano del tassorosso immerso fino al collo. Non si sarebbe fatto fregare, o peggio, trascinare in quella situazione dal biondo.
    «Da quando sei così informato sui miei movimenti? E ti importa dei miei voti?» E non avrebbe neppure abboccato alle sue provocazioni. «Non mi sono “informato”,» gli rispose, con fare pratico e tagliando corto la questione, «è stata Rita a condividere con me i vostri programmi, nella futile speranza che potesse interessarmi qualcosa, tsk.» O forse nella speranza che si sarebbe unito a loro, magari.
    Nel dubbio, Tyler non aveva concesso né la prima, né la seconda.
    Evitò anche di rispondere riguardo la (tragica) situazione scolastica del tassorosso: sapevano entrambi che rimanesse ancora a galla solo per l’aiuto costante di Daisy, e quello un po’ più riluttante di Tyler stesso. «Non è così strano, sai.» Lo rimbeccò, facendogli presente che «passi davvero un sacco di tempo con mia cugina, purtroppo.» Volente o nolente, Tyler era destinato a sapere molto più del Cox di quanto desiderasse.
    Che poi dovesse convincere se stesso che non gli importasse così tanto, era un altro discorso.
    «Hai finito?»
    La voce sicura di sé dovette arrivare in qualche modo alle orecchie di Adam, perché finalmente alzò lo sguardo per incontrare il suo, e Tyler inarcò un sopracciglio, in attesa — del responso di quella radiografia improvvisata. «Se sei alla ricerca di altro materiale per le tue fantasie ad occhi aperti, non è qui che lo troverai.» Bugia, e lo sapevano bene entrambi: non c’era nulla, sotto la divisa, che Adam non avesse già visto più e più e più volte.
    Ma la consapevolezza che, alla fine della fiera, Adam Cox sarebbe sempre tornato , da lui e solamente da lui, lo fece sorridere compiaciuto. Il biondo era davvero troppo prevedibile; e Tyler troppo egocentrico per vedere qualsiasi altra verità.
    «Due minuti sono sufficienti per fare tante cose…» Ancora una volta, sorrise beffardo, prendendo in giro Adam. «Sì, lo so benissimo che sei incredibilmente veloce.» Derogatory, sempre e solo derogatory. «Rimane il fatto che tu qui non possa starci.» Ed iniziò a contare, come si faceva con i bambini — perché davvero, Adam Cox era solo un bambinone un po’ troppo cresciuto.
    Ed infatti, Tyler lo osservò immergersi nell’acqua proprio mentre lui iniziava a contare, e roteò gli occhi al cielo. Non era un suo problema, si ripeté: era un prefetto, aveva tutto il diritto di denunciare quell’effrazione.
    «…due.» Serrò le labbra quando il minore emerse ricoperto di schiuma, e gli rivolse un’altra occhiata priva di alcuna espressione. «Temo che il record mondiale di apnea vada leggermente oltre i due minuti, se era questo ciò che stavi cercando di dimostrare…» Annunciò, senza scomporsi quando lo vide issarsi su dal bordo piscina; in realtà un po’ era sorpreso, Adam non era di certo un tipo atletico, era un miracolo che non fosse scivolato battendo le chiappe nude sul pavimento. Peccato.
    «Ops. Ho dimenticato l’accappatoio… Non posso bagnare i corridoi, rischierei la sala torture…» L’istinto di dargli una spinta e ributtarlo nella vasca fu molto,ma Tyler si trattenne. «Stai bagnando ovunque.» Indicò le proprie scarpe, senza però abbassare lo sguardo, nella testa ancora l’immagine della nonna incazzata che sbraitava. «I due minuti sono scaduti.» Con un colpo di bacchetta, appellò i vestiti del biondo e gli schiaffò il fagotto contro il petto. «Fuori di qui, hai un sacco di altri bagni dove continuare il lavoro interrotto.» Le labbra si piegarono in un sorriso perfido, conscio che l’altro non doveva trovarsi in una posizione comoda in quel momento, e deciso a tormentarlo il più a lungo possibile. Perché infondo era così che funzionavano, no?
    Si allontanò di un passo, dunque, senza dargli le spalle, e allentando con movimenti calcolati il nodo della cravatta. «Come ho già detto, questo bagno è riservato ai prefetti e ai caposcuola.» Lo osservò con sguardo carico di intenzioni, sciogliendo definitivamente il nodo e iniziando a giocare con i bottoni della camicia. «Tu non rientri in nessuna delle due categorie, Cox. E non ti coprirò le spalle mentendo per te. Non dirò di averti invitato io, lo sai vero?» Nel frattempo, aveva già liberato tre bottoni dalle asole, lasciando la camicia parzialmente aperta sul petto.
    Solo a quel punto si voltò, per raggiungere le panchine e posare lì, in maniera ordinata, la divisa che avrebbe sfilato di lì a poco: ci mancava solo che finisse a terra e si sporcasse, ugh. Dopo qualche passo, guardò oltre la propria spalla, in direzione del Cox. «Quindi? Sei ancora qui?» Tyler poteva continuare a fare quel gioco per ore.
  14. .
    adam cox
    hufflepuff | 16 y.o. | little shit
    chaotic dumbass energy
    Breathe me in, breathe me out.
    I don’t know if I could ever go without…
    I'm just thinking out loud.
    Un sospiro soddisfatto gli uscì dalle labbra, gli occhi socchiusi e già vagamente sonnolenti. Chiunque avesse inventato prefetti e capocasata era un vero e proprio tiranno (per non parlare della sala torture, ma dettagli). O meglio, in effetti il problema vero non erano quelli che, più o meno giustamente (sempre che di giustizia, a Hogwarts, si potesse davvero parlare) venivano insigniti di quella patetica spilla; il problema era ciò che la spilla rappresentava. Le regole. La divisione classista degli studenti, che in primo luogo faceva assegnare la spilla stessa e, secondariamente, fregiava chi la portava di privilegi che non avrebbero dovuto esistere.
    Insomma, tutto questo per dire che il bagno dei prefetti avrebbe dovuto essere aperto a tutti, sempre.
    Non solo a chi aveva perennemente una scopa nel culo come Tyler Wood.
    Al quale, per la cronaca, non dispiaceva affatto.
    Anzi.
    Dietro le palpebre serrate di Adam cominciarono a danzare luci e colori, dapprima sfocati, ma via via sempre più chiari. Un sorriso, o meglio, due. Uno che era abituato a vedere centinaia di volte, nell’arco di una giornata. L’altro, invece, così raro da essere quasi unico, come gli era scappato di bocca una volta. Gli stessi occhi scuri. Quel naso che, [bestemmia], gli faceva provare /cose/. Due fossette, una più accentuata dell’altra, quella sul lato destro del volto.
    Un *sticker di Vins*.
    Se, fino a quel momento, le figure dei due si erano mescolate, sul fondo delle sue retine (e non solo lì), pronte a dare vita a una delle sue fantasie preferite, e di certo non nascoste, adesso, però, il focus era del tutto chiaro.
    Tornò a immergersi, mentre il Tyler nella sua mente non sorrideva affatto. Be’, poco male. Non che non amasse il suo sorriso, anzi, gli faceva girare la testa, ma quell’espressione incazzata? Quegli occhi che lanciavano non solo fulmini, ma interi temporali?
    Farlo sciogliere, in tutti i sensi, a furia di baci (e non solo) era la sua cosa preferita al mondo.
    Riemergendo e poggiandosi con la schiena contro la parete della vasca, una mano non tardò a scivolare tra le gambe. A differenza di Tyler, Adam trovava non solo insensato, ma stupido (sì, proprio lui!) nascondere certe cose. Ad esempio il fatto che gli bastasse pensare al serpeverde, specie con quell’espressione così dannatamente ditica in volto, per sentirsi vivo.
    Per questo, quando sentì la sua voce, non aprì minimamente gli occhi e continuò tranquillo a fare quello che stava facendo, compiaciuto dalla propria fantasia (e dalla propria mano). «Addirittura il sonoro…», mormorò tra sé e sé, con un sorrisetto. Certo, la sala torture non è che fosse esattamente uno dei suoi kink preferiti, né Tyler aveva mai esplicitato essere uno dei suoi, ma, conoscendolo, non era poi così strano. Anche se… «Non sono io però il masochista…»
    C’era però qualcosa che non andava.
    Tipo quel suono di passi.
    E il fatto che il Tyler della sua immaginazione avesse le labbra impegnate a baciargli il collo, non a parlare.
    Fermò la mano (ma non la spostò) e aprì un occhio, strizzandolo. Confuso, aprì anche l’altro, una lieve smorfia dipinta sulle labbra.
    «Credevo stessi studiando con Rita.»
    La smorfia si trasformò in un sorrisetto giusto un tantino strafottente. Per un attimo ponderò il da farsi: in teoria avrebbe dovuto continuare con il silenzio e ignorarlo del tutto. Ma ogni cromosoma del suo DNA era geneticamente incapace di farlo. Adam non sapeva tenere la bocca chiusa. Mai.
    «Da quando sei così informato sui miei movimenti? E ti importa dei miei voti?», domandò fintamente innocente, ancora ben spaparanzato dentro la vasca, con la schiuma a coprirlo dalle spalle in giù. «Per essere così focalizzato solo e soltanto su te stesso è molto strano, Wood Enfatizzò il cognome di lui, un po’ facendogli il verso, un po’ mimando altro con le labbra.
    Ovviamente, un attimo dopo, Tyler attaccò con il solito blablabla sul cosa si poteva e non si poteva fare, a partire dall’accesso al bagno dei prefetti. Adam alzò gli occhi al cielo, facendosi entrare le cose in un orecchio e uscire dall’altro. «Se continui così ti assumeranno di certo nella redazione de Il Primato Nazionale…», lo schernì facendo spallucce, alludendo alle uscite estremamente reazionarie del moro. Forse era anche stupido, ma per girare con le Birkenstock dentro al castello doveva avere un minimo di coscienza politica, no??
    Stanco però di fissare il soffitto, puntò lo sguardo su qualcosa di decisamente più interessante. Dalle scarpe lucide come la testa di un pelato risalì lentamente, soffermandosi, in parte per punzecchiarlo, soprattutto sovrappensiero, lì dove i pantaloni cadevano alla perfezione, poi sempre più su, alla camicia inamidata che gli fasciava, senza però tirare, il petto e le spalle, alla mascella che, ogni giorno di più, perdeva i tratti infantili per trasformarsi in quella di un uomo. Arrivato alle labbra, non poté fare a meno di inumidire le proprie.
    «Hai due minuti per uscire dall’acqua, rivestirti, e andare via.»
    Nulla di più, né nulla di meno, di ciò che si aspettava. Puntò gli occhi in quelli di Tyler, con fare di divertita sfida, per nulla intimorito da quelle minacce. Anzi, se proprio, gli stavano facendo tutto un altro tipo di effetto…
    «Due minuti sono sufficienti per fare tante cose…» Nessuno dei due era un amante del fare in fretta, ma, spesso e volentieri, il tempo era tiranno (per non parlare dei ritmi del castello, e dei professori); avevano imparato a farsi bastare due minuti, quando la situazione lo richiedeva.
    Gli lanciò un’altra occhiata, poi tornò a immergersi. Magari il serpeverde si sarebbe buttato nell’acqua per tirarlo fuori con la forza. O forse no, conoscendolo: rovinare così la sua divisa perfetta e, ancora peggio, rischiare di farsi vedere per i corridoi con, non sia mai!, una virgola fuori posto? Peccato, gli sarebbe piaciuto, però.
    Rimanendo sott’acqua raggiunse il bordo della vasca più vicino a Tyler e, proprio sullo scoccare dei due minuti, si issò fuori, pregando mentalmente che per una volta i suoi muscoli facessero il loro dovere. Con tutta la noncuranza del mondo si raddrizzò, lasciando vagare pigramente lo sguardo per la stanza. «Ops.» Dopo l’ennesimo giro, posò gli occhi su quelli di lui, puntellandosi i pugni sui fianchi. «Ho dimenticato l’accappatoio… Non posso bagnare i corridoi, rischierei la sala torture…»
  15. .
    gifsmagizoologist
    rebel
    former
    hufflepuff
    ADAM COX
    currently playing
    Canzone del maggio
    Fabrizio De André
    Verremo ancora alle vostre porte
    e grideremo ancora più forte.
    Per quanto voi vi crediate assolti,
    siete per sempre coinvolti.
    La costipazione emozionale di cui soffriva Tyler Wood era sempre stata un problema per Adam Cox. Per anni, decenni, anzi, aveva cercato un modo per aggirarla, anzi, per ammorbidirla, per fare in modo che l’ex serpeverde vivesse la sua interiorità non tanto da persona normale (perché non era un tipo ambizioso, il biondo, a differenza dell’altro), ma se non altro in modo un po’ meno doloroso. E c’era riuscito, c’era riuscito davvero: era lì, davanti ai suoi occhi, ogni volta che Tyler tentava di convincere Minerva a mangiare l’intruglio verde che le aveva messo davanti o quando si accertava che il latte scaldato per Albert fosse dell’esatta temperatura (36,6° C, non di più, non di meno). Eppure, come ogni singola cosa nella loro storia, nella loro vita, un passo avanti equivaleva a cinque indietro.
    Tyler sarebbe rimasto sempre, e per sempre, costipato dal punto di vista emotivo (e sentimentale, ma questa era un’altra storia). Gli andava bene e lo accettava, ma questo non significava che avrebbe mai smesso di provare a portarlo dall’altra parte. Così come avrebbe continuato a cercare di convincerlo che quel termine fosse dannatamente perfetto per descrivere la sua situazione: e dire che Ty, con le parole, avrebbe dovuto saperci fare! Dal canto suo, Adam aveva il problema diametralmente opposto: ad affliggerlo era una vera e propria diarrea emotiva. Un’altra espressione capace di tirare fuori una delle infinite facce schifate del Wood, ma che, proprio per questo, l’ex tassorosso sapeva essere del tutto efficace. Adam non solo sentiva tutto, sempre, ma non aveva minimamente paura di ammetterlo e riconoscerlo. Certo, questo gli aveva causato (e gli causava) non pochi problemi, tanto con Tyler quanto con il resto del mondo, però sapeva che non c’era niente di male: non è forse il provare qualcosa, qualsiasi cosa, a rendere viventi tutti gli esseri?
    E allora perché, adesso, sentiva qualcosa di sconosciuto? Lui era quello che riconosceva a pelle ogni emozione, che, persino, spiegava agli altri (alias Tyler, ma anche il dito numero due della sua vita, Hugo) di cosa si trattava. Com’era quindi possibile che ora provasse qualcosa a cui non riusciva a dare un nome? Se ne stava lì, sul suo petto, un peso che lasciava sì passare l’aria, ma solo a poco a poco, costringendolo a tentare (invano) di respirare più a fondo. E quella poca aria racimolata, invece di scivolare nei polmoni, finiva giù, sempre più giù, fino a fargli attorcigliare lo stomaco, bruciando con l’alcol che, da qualche tempo a quella parte, era bandito in casa Tydamdee.
    Adam si sentiva in colpa.
    Per la prima volta in vita sua?
    Continuava a rispondersi di sì, ma sapeva che non era così. Già in un’altra occasione, ormai parecchi anni prima, aveva provato quella stessa, orribile sensazione. Allora sì che era stata davvero la prima volta e, in quanto tale, si era a lungo mescolata con il panico, altra emozione alla quale non era particolarmente avvezzo. Eppure era stato proprio il senso di colpa a scatenare, dentro di lui, qualcosa, qualcosa che era cresciuto e si era trasformato, qualcosa che aveva fatto crescere e trasformare anche lui. Non era stato il senso di colpa a renderlo un ribelle, ma aveva contribuito.
    E adesso era rimasto lì, con le mani in mano.
    Mentre la causa nella quale credeva moriva.
    Mentre le persone morivano.
    Mentre il mondo, tutto, moriva.
    Ancora con gli occhi chiusi, ascoltò il respiro leggero e tranquillo di Minnie, percependo il calore del suo piccolo corpo, il suo profumo di buono, di casa. Si sentiva in colpa perché avrebbe dovuto scendere in battaglia anche per lei. Soprattutto per lei. E invece, proprio per questo, non l’aveva fatto. Non era andato in guerra perché la sua casa, le sue persone, erano lì, sotto quel tetto. Uscire da quella porta avrebbe significato, con tutta probabilità, non rivederle mai più.
    Ma rimanendo lì, fingendo che andasse tutto bene, non li aveva forse condannato? Non aveva condannato i suoi figli a vivere in un mondo senza speranza, senza libertà? Non aveva costretto Tyler e Daisy a rendere permanente quella facciata che, ogni giorno, indossavano prima di uscire di casa, quella che andava bene per tutti gli altri, ma non per lui, non per loro?
    Aprì gli occhi, subito ferito dalla luce che filtrava attraverso le tende. Nonostante tutto non riuscì a non sorridere: Tyler odiava dormire con la luce, eppure, ormai, non ci provava neanche più a chiudere tutto, sapendo quanto a lui, al contrario, piacesse. Sapendo quanto aiutasse Minnie ad addormentarsi, vista la sua paura del buio. Mise a fuoco la bambina e le sfiorò i capelli con una carezza, per poi stringerla istintivamente a sé, con delicatezza, attento a non svegliarla.
    Si sentiva in colpa perché sapeva che avrebbe rifatto quella scelta altre mille volte.
    Fissò il cuscino vuoto di Tyler, perfettamente in ordine sebbene il resto del letto fosse un disastro, e sospirò. Era già uscito? E Daisy? Aveva portato Bertie con sé sul set, o ancora riposavano nella stanza accanto? Avrebbe potuto tornare a chiudere gli occhi e ricadere nell’oblio finché Minerva non avesse reclamato la colazione, come aveva fatto (e avrebbe continuato a fare) in altre infinite occasioni. Tuttavia, quella mattina, il peso sul petto si stava facendo sentire di più.
    Non era abituato ad avere la mente tanto piena. Sollevandosi dal letto, la testa stessa gli sembrò troppo pesante, e non per colpa del cespuglio biondo che c’era sopra. Doveva solo trovare un modo per tenersi impegnato, almeno finché la bambina non si sarebbe svegliata. Quand’era con Minnie e Albie tutto il resto passava in secondo piano, oscurato dalla gioia e dall’orgoglio. Le sistemò meglio le coperte e, dopo averle lasciato un bacio tra i capelli, uscì dalla stanza, voltandosi all’ultimo per guardarla ancora.
    Si sentiva in colpa perché non aveva tentato di costruire un mondo migliore per loro.
    Quando alla fine scese al piano di sotto puntò dritto verso il frigorifero: forse, bilanciando la pienezza della testa con quella della pancia, si sarebbe sentito un po’ meglio. Convinto di essere solo, non si preoccupò nemmeno di appoggiare le cose sul tavolo, o almeno sul bancone, cominciando invece ad azzannare uno dei pancake rimasto dalla mattina precedente. Mmh, era decisamente troppo freddo, però. Con un colpo di bacino fece per chiudere lo sportello del frigorifero, il contenitore dei pancake in una mano e la bottiglia del latte nell’altra.
    Sobbalzò.
    «Appft! Fei qui!», biascicò con la bocca piena, fissando Tyler. E il resto del pancake cadde per terra, la mezzaluna del suo morso in bella vista. Deglutì senza masticare e si inumidì le labbra, mettendo meglio a fuoco il compagno. «Allora? Il tuo articolo? È uscito?»
    sooner or later you're gonna tell me a happy story. i just know you are.
32 replies since 10/7/2021
.
Top