(I Can’t Get No) Satisfaction

circa 2012 | @ bagno dei prefetti | ft. tyler

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    “Vaffanculo.”
    Evidentemente, a Tyler Wood piaceva essere mandato a quel paese. Ripetutamente. In mille modi diversi. Da chiunque.
    Ma soprattutto da lui.
    Come spiegare, altrimenti, perché se lo faceva dire così spesso, in situazioni così disparate?
    Ecco perché Adam, stavolta, aveva deciso di non concedergli quella gioia. Non l’aveva mandato a cagare. Non che si facesse mai davvero prendere dalla rabbia, lui, anzi, adorava rimanere serafico davanti alle reazioni sempre più esagerate del moro. Era a dir poco catartico. Tuttavia, presto o tardi finiva sempre per augurargli un bel viaggetto a quel paese.
    Ma non stavolta.
    Davanti all’ennesima porta chiusa del serpeverde, per il quale, evidentemente, era così inconcepibile ammettere che quello che andava avanti tra loro da sempre non era un semplice passatempo, un errore, ma qualcosa, molto di più, Adam aveva deciso di non rispondere.
    Non a parole, almeno.
    Già la confusione, seguita da altra rabbia e infine da una fintissima freddezza, sul (bel) volto di Ty, l’avevano compiaciuto. Ma Adam non era capace di fermarsi, quando si trattava di piacere. Non era avidità, la sua, tutt’altro. A differenza di Tyler, lui era generoso. Ce n’era per tutti, di Adam.
    E nulla era più piacevole di far infuriare il prefetto serpeverde.
    Tranne il prefetto serpeverde stesso.
    Così, non era stato di certo un dispiacere lasciarsi cadere tra le braccia di Tizio Caio Sempronio [dai, lo so che stai leggendo. Vuoi essere tu?? Aperto a chiunque sia andato a Hogwarts tra il 2007 e il 2014, smack]. Anzi. Era un win-win per tutti. Per Tizio Caio, che si era divertit*. Per Adam, che aveva fatto lo stesso. Ancora per Adam, che già pregustava la furia dell’unico che, in questo caso, aveva perso.
    Che poi. Aveva perso davvero, Tyler? Secondo Daisy, Adam avrebbe dovuto smettere di cercare così disperatamente di attirare l’attenzione del di lei cugino. Certo, amava Ty, ma si meritava tutti quegli sforzi? Eh. A detta di Adam non erano sforzi, i suoi, ed era sincero, perché si stava divertendo sul serio, perché non voleva altro, se non essere libero.
    Avrebbe fatto di tutto, e con chiunque, con o senza l’incognita Tyler Wood.
    Ma se, in modo collaterale, questo poteva attirare le sue ire, beh… che colpa ne aveva lui?
    “Vaffanculo.”
    E dunque, eccolo al penultimo atto di quella pantomima. O commedia, chissà. Adam, di parole non ne aveva dette. Tyler, invece, fin troppe. Si guardò intorno un’ultima volta, poi, dopo essersi accertato che il corridoio fosse effettivamente deserto, infilò la chiave nella serratura e pronunciò a bassa voce l’incantesimo. Per mesi aveva implorato Daisy di lasciarlo entrare, solo per una volta, ma lei era stata irremovibile. Almeno fino a qualche tempo prima, quando, dopo l’ennesima sviolinata del tassorosso, aveva ceduto. A patto che, certo, mettesse piede lì dentro sotto la sua supervisione. Adam non se l’era fatto ripetere due volte: un altro meraviglioso win-win per lui.
    Da quella volta, si era intrufolato nel bagno dei prefetti in compagnia della sua migliore amica in svariate occasioni. Il tutto, ovviamente, sempre all’oscuro dell’altro prefetto serpeverde. Un certo dito in culo di loro conoscenza, con il quale non parlava da ben tre (3) giorni.
    “Vaffanculo.”
    Si richiuse la porta alle spalle e osservò la stanza accendersi di quella luce pastosa e rilassante. Sapeva benissimo che non sarebbe riuscito a resistere ancora a lungo dal non rivolgergli la parola, ma, almeno per un’altra sera, poteva farcela. Forse. Si avvicinò alla vasca e aprì tutti i rubinetti sui cui riuscì a mettere le mani. Certo, senza Daisy non sarebbe stato lo stesso, ma non era riuscito a scollarla dal libro di pozioni. Lei aveva provato a fargli notare che magari avrebbe potuto mettersi a studiare anche lui per il compito del giorno dopo, ma chiaramente sapevano entrambi la risposta di lui senza che nemmeno aprisse bocca. L’aveva baciata, le aveva promesso che non si sarebbe fatto spedire in sala torture (forse, again) ed era uscito.
    Si liberò in fretta dei vestiti e, dopo aver soffiato un bacio alla sirena decisamente guardona della vetrata, si lanciò nella grande vasca, schizzando ovunque. Per un pelo non diede una culata sul fondo; ovviamente aveva calcolato benissimo la traiettoria, non era una semplice questione di fortuna! Una volta riemerso zampettò un po’ nell’acqua, per poi fare nuoto sincronizzato come Aldo e Giovanni.
    Se stava facendo di tutto per non pensare?
    Certo che no! Era una testa vuota, come l’aveva più volte definito così gentilmente Tyler. Non pensava.
    Non con il cervello, almeno.
    “Vaffanculo.”



    (me) lo faccio?
    (se) lo fece.

    In mezzo a tutto il drama TM post quest ci voleva una stronzata.
    E quale miglior modo per inaugurare i Tydam sull'Oblivion se non questo?

    ps: La gif fa: schifo, ma non ho trovato di meglio dove Finn fosse abbastanza un feto. Ero a tanto così 🤏 dal mettere questa.


    Edited by habseligkeiten. - 16/8/2023, 19:56
     
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    Erano passati giorni e Tyler Wood continuava a non sentirsi in colpa nemmeno un po'.
    Zero.
    Non c'era stata nemmeno una traccia di pentimento nelle sue parole quando aveva confrontato Adam, né dubbio nello sguardo scuro che aveva rivolto al tassorosso quando gli aveva ricordato, per l'ennesima volta, che pretendere qualcosa, o sperare di poter etichettare quello che c'era tra loro, non era solo inutile, ma era anche una perdita di tempo per entrambi.
    O meglio, per il serpeverde di sicuro, visto che lui, al contrario di qualcun altro, aveva davvero cose da fare.
    Non era la prima volta – e non sarebbe stata l'ultima – che affrontavano quel discorso; e ogni volta le loro posizioni non accennavano a cambiare, Tyler sempre rigido nella sua, fermo e solido; Adam più morbido, ottimista, sempre convinto che “questa è la volta buona”. Come se potesse davvero bastare una discussione del genere per far cambiare idea al serpeverde: ecco, proprio quella ingenuità dimostrata dal Cox, rendeva palese agli occhi di Tyler quanto poco lo conoscesse, e quanto invece proiettasse le proprie convinzioni su una relazione che, di relazione, non aveva nulla. Una scopata nelle serre o in un'aula vuota, di tanto in tanto, non li rendeva una coppia; il fatto che il cuore di Tyler battesse un po' più forte ogni volta che il tassorosso lo stringeva a sé, non significava nulla.
    Tyler Wood sapeva esattamente ciò che voleva, e ciò che voleva non era una relazione. Non a diciassette anni, non con tutto il futuro ambizioso che si era prefissato ancora da realizzare, e non di certo con Adam Cox, inaffidabile e caotico, imprevedibile, sregolato. Ty aveva dei principi solidi, degli ideali ferrei, e un carattere che non ammetteva sbavature o imperfezioni: Adam rappresentava tutto quello che il prefetto verde-argento non era, e che non poteva accettare.
    E Adam lo sapeva.
    Come poteva perciò pretendere che definisse quella cosa tra loro come qualcosa di più di qualche booty call quando strettamente necessario? L'immaturità dimostrata dal Cox lo lasciava sempre più basito. Il fatto che condividessero l'affetto di Rita, poi, sembrava aver convinto il tassorosso dell'inevitabile destino che li univa: tsk, era una cosa ridicola. Ma nemmeno Tyler poteva negare che la presenza di Margarita nella loro vita creava una sorta di collante — e comportava anche un problema perché Tyler sapeva benissimo di dover condividere necessariamente la cugina anche con il tassorosso, e che quello era uno dei tanti motivi per cui, pur volendo, non avrebbe mai potuto tenere Adam Cox fuori dalla sua esistenza. Erano legati da un filo invisbile ma resistente, e un po' quella cosa faceva girare le palle del serpeverde: che cosa ridicola.
    Va da sé, dunque, che lo mandasse in bestia il modo in cui Adam continuava comunque a provarci, imperterrito, testardo e immaturo, come se volesse a tutti i costi averla vinta; e lo indispettiva ancora di più sapere che non poteva confessare quelle cose a Rita, essendo la cugina troppo vicina anche al Cox. Ancora una volta, era solo con i suoi pensieri, Tyler; l'unico su cui potesse fare affidamento era – e sempre sarebbe stato – solo se stesso.
    Non riusciva a togliersi di dosso la sensazione, però, che quella volta fosse diverso: il modo in cui Adam non aveva insistito, il silenzio sulle labbra morbide del tassorosso, lo sguardo azzurro impossibile da decifrare... Erano delle novità. Delle spiacevoli novità, a detta di Tyler, che negli anni aveva imparato a conoscere ogni sfumatura del carattere irrequieto del biondo, e ogni microespressione che nasceva sul suo viso. Non poterlo leggere, in quel caso, lo infastidiva in maniera incredibile. Non che l'avesse lasciato intendere al Cox, ovvio: si era dimostrato freddo ed impassibile (senza riuscirci, perché Tyler non era l'unico che, col tempo, aveva imparato a leggere l'altro; valeva anche il contrario) e non aveva battuto ciglio quando alle sue orecchie da comare era giunta la voce che Adam Cox si fosse portato a letto chissà chi, e fossero stati beccati mentre uscivano dal loro nascondiglio (non così) segreto. A detta di Tyler, era tutto un piano del tassorosso: farsi scoprire di proposito in modo che la voce arrivasse anche al Dito Supremo TM, che viveva di gossip nella stessa maniera in cui le fatine vivevano di applausi.
    (O forse quella era Rachel Berry. Mi si mescolano le analogie nella testa.) (Ma non importa.)
    Doveva dargli atto che, come piano, fosse ben congeniato e idealmente perfetto: ma il Cox aveva tralasciato un particolare non indifferente, ovvero che a Tyler Wood non interessava assolutamente se Adam Cox si scopava altre persone, era libero di fare ciò che voleva e non sarebbe stato di certo lui a tarpargli le ali, figuriamoci.
    E non era affatto geloso.
    Se in quegli ultimi giorni aveva evitato sia Adam che Rita era solo perché aveva cose più importanti a cui pensa, come... Beh, sì, fare il suo lavoro da prefetto, per esempio. Che comprendeva anche delle sacrosante pause e dei bagni rilassanti, ogni tanto. Se le meritava.
    Ciò che non si era aspettato, entrando nel bagno riservato ai prefetti, era di beccare qualcuno che una spilla con una simile importanza e autorità non l'aveva mai vista nemmeno con il cannocchiale. «Dammi un motivo per non riportare la tua effrazione, e per non spedirti in sala torture, Cox Nello sguardo scuro di Tyler non si leggeva nulla, se non incredibile fastidio: avere a che fare con Adam proprio in quel momento era l'ultimo dei suoi pensieri, e decisamente non quello che aveva sperato chiudendosi alle spalle la porta del bagno. «Credevo stessi studiando con Rita.» Avrebbe dovuto essere in biblioteca con lei, non nudo sotto lo sguardo malizioso della sirena. «Non puoi stare qui.» Ma non lo sconvolgeva più di tanto trovarlo esattamente dove non avrebbe dovuto stare; e il Wood sospettava ci fosse lo zampino della sua cara cugina, in tutto quello. «Rimedia una spilla da prefetto e ne riparliamo.» Tanto Tyler lo sapeva che Adam non aveva assolutamente le carte in regola per essere eletto, mica come lui.
    Lasciò cadere l'asciugamano ai propri piedi, la divisa ancora perfetta come se gli fosse stata cucita addosso, incrociando le braccia al petto. «Hai due minuti per uscire dall'acqua, rivestirti specifica doverosa: non sarebbe stata la prima volta che Adam Cox andava in giro per il castello con tutte le grazie al vento, voleva evitare un ripetersi della scena, «e andare via.» Due minuti concessi solo come favore personale a Margarita: l'avrebbe insultato come la camionista che fingeva di non essere, se una soffiata di Ty avesse sbattuto di nuovo Adam in sala torture. Come se non le piacesse, poi, giocare a fare la crocerossina e curare tutte le ferite del Cox, bah.
    «Uno...» e si mise a contare, perché Adam Cox andava trattato esattamente come il bambino che era.
     
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    Un sospiro soddisfatto gli uscì dalle labbra, gli occhi socchiusi e già vagamente sonnolenti. Chiunque avesse inventato prefetti e capocasata era un vero e proprio tiranno (per non parlare della sala torture, ma dettagli). O meglio, in effetti il problema vero non erano quelli che, più o meno giustamente (sempre che di giustizia, a Hogwarts, si potesse davvero parlare) venivano insigniti di quella patetica spilla; il problema era ciò che la spilla rappresentava. Le regole. La divisione classista degli studenti, che in primo luogo faceva assegnare la spilla stessa e, secondariamente, fregiava chi la portava di privilegi che non avrebbero dovuto esistere.
    Insomma, tutto questo per dire che il bagno dei prefetti avrebbe dovuto essere aperto a tutti, sempre.
    Non solo a chi aveva perennemente una scopa nel culo come Tyler Wood.
    Al quale, per la cronaca, non dispiaceva affatto.
    Anzi.
    Dietro le palpebre serrate di Adam cominciarono a danzare luci e colori, dapprima sfocati, ma via via sempre più chiari. Un sorriso, o meglio, due. Uno che era abituato a vedere centinaia di volte, nell’arco di una giornata. L’altro, invece, così raro da essere quasi unico, come gli era scappato di bocca una volta. Gli stessi occhi scuri. Quel naso che, [bestemmia], gli faceva provare /cose/. Due fossette, una più accentuata dell’altra, quella sul lato destro del volto.
    Un *sticker di Vins*.
    Se, fino a quel momento, le figure dei due si erano mescolate, sul fondo delle sue retine (e non solo lì), pronte a dare vita a una delle sue fantasie preferite, e di certo non nascoste, adesso, però, il focus era del tutto chiaro.
    Tornò a immergersi, mentre il Tyler nella sua mente non sorrideva affatto. Be’, poco male. Non che non amasse il suo sorriso, anzi, gli faceva girare la testa, ma quell’espressione incazzata? Quegli occhi che lanciavano non solo fulmini, ma interi temporali?
    Farlo sciogliere, in tutti i sensi, a furia di baci (e non solo) era la sua cosa preferita al mondo.
    Riemergendo e poggiandosi con la schiena contro la parete della vasca, una mano non tardò a scivolare tra le gambe. A differenza di Tyler, Adam trovava non solo insensato, ma stupido (sì, proprio lui!) nascondere certe cose. Ad esempio il fatto che gli bastasse pensare al serpeverde, specie con quell’espressione così dannatamente ditica in volto, per sentirsi vivo.
    Per questo, quando sentì la sua voce, non aprì minimamente gli occhi e continuò tranquillo a fare quello che stava facendo, compiaciuto dalla propria fantasia (e dalla propria mano). «Addirittura il sonoro…», mormorò tra sé e sé, con un sorrisetto. Certo, la sala torture non è che fosse esattamente uno dei suoi kink preferiti, né Tyler aveva mai esplicitato essere uno dei suoi, ma, conoscendolo, non era poi così strano. Anche se… «Non sono io però il masochista…»
    C’era però qualcosa che non andava.
    Tipo quel suono di passi.
    E il fatto che il Tyler della sua immaginazione avesse le labbra impegnate a baciargli il collo, non a parlare.
    Fermò la mano (ma non la spostò) e aprì un occhio, strizzandolo. Confuso, aprì anche l’altro, una lieve smorfia dipinta sulle labbra.
    «Credevo stessi studiando con Rita.»
    La smorfia si trasformò in un sorrisetto giusto un tantino strafottente. Per un attimo ponderò il da farsi: in teoria avrebbe dovuto continuare con il silenzio e ignorarlo del tutto. Ma ogni cromosoma del suo DNA era geneticamente incapace di farlo. Adam non sapeva tenere la bocca chiusa. Mai.
    «Da quando sei così informato sui miei movimenti? E ti importa dei miei voti?», domandò fintamente innocente, ancora ben spaparanzato dentro la vasca, con la schiuma a coprirlo dalle spalle in giù. «Per essere così focalizzato solo e soltanto su te stesso è molto strano, Wood Enfatizzò il cognome di lui, un po’ facendogli il verso, un po’ mimando altro con le labbra.
    Ovviamente, un attimo dopo, Tyler attaccò con il solito blablabla sul cosa si poteva e non si poteva fare, a partire dall’accesso al bagno dei prefetti. Adam alzò gli occhi al cielo, facendosi entrare le cose in un orecchio e uscire dall’altro. «Se continui così ti assumeranno di certo nella redazione de Il Primato Nazionale…», lo schernì facendo spallucce, alludendo alle uscite estremamente reazionarie del moro. Forse era anche stupido, ma per girare con le Birkenstock dentro al castello doveva avere un minimo di coscienza politica, no??
    Stanco però di fissare il soffitto, puntò lo sguardo su qualcosa di decisamente più interessante. Dalle scarpe lucide come la testa di un pelato risalì lentamente, soffermandosi, in parte per punzecchiarlo, soprattutto sovrappensiero, lì dove i pantaloni cadevano alla perfezione, poi sempre più su, alla camicia inamidata che gli fasciava, senza però tirare, il petto e le spalle, alla mascella che, ogni giorno di più, perdeva i tratti infantili per trasformarsi in quella di un uomo. Arrivato alle labbra, non poté fare a meno di inumidire le proprie.
    «Hai due minuti per uscire dall’acqua, rivestirti, e andare via.»
    Nulla di più, né nulla di meno, di ciò che si aspettava. Puntò gli occhi in quelli di Tyler, con fare di divertita sfida, per nulla intimorito da quelle minacce. Anzi, se proprio, gli stavano facendo tutto un altro tipo di effetto…
    «Due minuti sono sufficienti per fare tante cose…» Nessuno dei due era un amante del fare in fretta, ma, spesso e volentieri, il tempo era tiranno (per non parlare dei ritmi del castello, e dei professori); avevano imparato a farsi bastare due minuti, quando la situazione lo richiedeva.
    Gli lanciò un’altra occhiata, poi tornò a immergersi. Magari il serpeverde si sarebbe buttato nell’acqua per tirarlo fuori con la forza. O forse no, conoscendolo: rovinare così la sua divisa perfetta e, ancora peggio, rischiare di farsi vedere per i corridoi con, non sia mai!, una virgola fuori posto? Peccato, gli sarebbe piaciuto, però.
    Rimanendo sott’acqua raggiunse il bordo della vasca più vicino a Tyler e, proprio sullo scoccare dei due minuti, si issò fuori, pregando mentalmente che per una volta i suoi muscoli facessero il loro dovere. Con tutta la noncuranza del mondo si raddrizzò, lasciando vagare pigramente lo sguardo per la stanza. «Ops.» Dopo l’ennesimo giro, posò gli occhi su quelli di lui, puntellandosi i pugni sui fianchi. «Ho dimenticato l’accappatoio… Non posso bagnare i corridoi, rischierei la sala torture…»
     
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    L’espressione che Tyler riservò ad Adam, quando il minore riaprì pigramente gli occhi, strizzando le iridi azzurre dietro palpebre pesanti e palesemente sognanti, fu una di completa e innegabile indifferenza. Se non fosse stato per le successive parole, che pur provandoci non riuscì a trattenere, si sarebbe potuto dire che Tyler non avesse nemmeno prestato attenzione ai gesti inconfondibili di Adam, nella vasca. Eppure dovette parlare, fu letteralmente più forte di lui: un bisogno quasi primordiale, che sentiva sempre quando dall’altra parte delle sue parole fredde e velenose c’era il Cox.
    «cosa c’è, i tuoi… rendez-vous ti lasciano insoddisfatto, al punto di dover ricorrere alla tua stessa mano per un po’ di piacere, Cox?» Era caduto davvero molto in basso, c’era poco da dire o fare a riguardo. Gli lanciò anche un mezzo sorriso di scherno, le braccia ancora incrociate al petto e nella mente l’immagine di nonna Wood con il grembiule a fiori che agitava, tutta alterata, il mattarello con cui aveva steso poco prima la sfoglia per la torta di mele — un’immagine pietosa, ma di cui il serpeverde aveva assolutamente bisogno per evitare che il cavallo dei pantaloni diventasse troppo stretto al pensiero di dove stesse riposando, proprio in quel momento, la mano del tassorosso immerso fino al collo. Non si sarebbe fatto fregare, o peggio, trascinare in quella situazione dal biondo.
    «Da quando sei così informato sui miei movimenti? E ti importa dei miei voti?» E non avrebbe neppure abboccato alle sue provocazioni. «Non mi sono “informato”,» gli rispose, con fare pratico e tagliando corto la questione, «è stata Rita a condividere con me i vostri programmi, nella futile speranza che potesse interessarmi qualcosa, tsk.» O forse nella speranza che si sarebbe unito a loro, magari.
    Nel dubbio, Tyler non aveva concesso né la prima, né la seconda.
    Evitò anche di rispondere riguardo la (tragica) situazione scolastica del tassorosso: sapevano entrambi che rimanesse ancora a galla solo per l’aiuto costante di Daisy, e quello un po’ più riluttante di Tyler stesso. «Non è così strano, sai.» Lo rimbeccò, facendogli presente che «passi davvero un sacco di tempo con mia cugina, purtroppo.» Volente o nolente, Tyler era destinato a sapere molto più del Cox di quanto desiderasse.
    Che poi dovesse convincere se stesso che non gli importasse così tanto, era un altro discorso.
    «Hai finito?»
    La voce sicura di sé dovette arrivare in qualche modo alle orecchie di Adam, perché finalmente alzò lo sguardo per incontrare il suo, e Tyler inarcò un sopracciglio, in attesa — del responso di quella radiografia improvvisata. «Se sei alla ricerca di altro materiale per le tue fantasie ad occhi aperti, non è qui che lo troverai.» Bugia, e lo sapevano bene entrambi: non c’era nulla, sotto la divisa, che Adam non avesse già visto più e più e più volte.
    Ma la consapevolezza che, alla fine della fiera, Adam Cox sarebbe sempre tornato , da lui e solamente da lui, lo fece sorridere compiaciuto. Il biondo era davvero troppo prevedibile; e Tyler troppo egocentrico per vedere qualsiasi altra verità.
    «Due minuti sono sufficienti per fare tante cose…» Ancora una volta, sorrise beffardo, prendendo in giro Adam. «Sì, lo so benissimo che sei incredibilmente veloce.» Derogatory, sempre e solo derogatory. «Rimane il fatto che tu qui non possa starci.» Ed iniziò a contare, come si faceva con i bambini — perché davvero, Adam Cox era solo un bambinone un po’ troppo cresciuto.
    Ed infatti, Tyler lo osservò immergersi nell’acqua proprio mentre lui iniziava a contare, e roteò gli occhi al cielo. Non era un suo problema, si ripeté: era un prefetto, aveva tutto il diritto di denunciare quell’effrazione.
    «…due.» Serrò le labbra quando il minore emerse ricoperto di schiuma, e gli rivolse un’altra occhiata priva di alcuna espressione. «Temo che il record mondiale di apnea vada leggermente oltre i due minuti, se era questo ciò che stavi cercando di dimostrare…» Annunciò, senza scomporsi quando lo vide issarsi su dal bordo piscina; in realtà un po’ era sorpreso, Adam non era di certo un tipo atletico, era un miracolo che non fosse scivolato battendo le chiappe nude sul pavimento. Peccato.
    «Ops. Ho dimenticato l’accappatoio… Non posso bagnare i corridoi, rischierei la sala torture…» L’istinto di dargli una spinta e ributtarlo nella vasca fu molto,ma Tyler si trattenne. «Stai bagnando ovunque.» Indicò le proprie scarpe, senza però abbassare lo sguardo, nella testa ancora l’immagine della nonna incazzata che sbraitava. «I due minuti sono scaduti.» Con un colpo di bacchetta, appellò i vestiti del biondo e gli schiaffò il fagotto contro il petto. «Fuori di qui, hai un sacco di altri bagni dove continuare il lavoro interrotto.» Le labbra si piegarono in un sorriso perfido, conscio che l’altro non doveva trovarsi in una posizione comoda in quel momento, e deciso a tormentarlo il più a lungo possibile. Perché infondo era così che funzionavano, no?
    Si allontanò di un passo, dunque, senza dargli le spalle, e allentando con movimenti calcolati il nodo della cravatta. «Come ho già detto, questo bagno è riservato ai prefetti e ai caposcuola.» Lo osservò con sguardo carico di intenzioni, sciogliendo definitivamente il nodo e iniziando a giocare con i bottoni della camicia. «Tu non rientri in nessuna delle due categorie, Cox. E non ti coprirò le spalle mentendo per te. Non dirò di averti invitato io, lo sai vero?» Nel frattempo, aveva già liberato tre bottoni dalle asole, lasciando la camicia parzialmente aperta sul petto.
    Solo a quel punto si voltò, per raggiungere le panchine e posare lì, in maniera ordinata, la divisa che avrebbe sfilato di lì a poco: ci mancava solo che finisse a terra e si sporcasse, ugh. Dopo qualche passo, guardò oltre la propria spalla, in direzione del Cox. «Quindi? Sei ancora qui?» Tyler poteva continuare a fare quel gioco per ore.
     
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    Ognuno a suo modo, tanto Adam quanto Tyler erano maestri di indifferenza.
    Nel caso del biondo si trattava di un’indifferenza del tutto inconsapevole, ingenua, persino, che lo portava a vivere nel suo mondo e al contempo a scaldarsi e spendersi anche per le cause più assurde, come le formiche bicefale blu di Prussia in via di estinzione o il menu vegano almeno una cena a settimana al castello. Più che indifferente, Adam era menefreghista. Non gli importava di seguire le regole, né tanto meno di omologarsi, e non era assolutamente preoccupato dalle conseguenze della sua presunta disobbedienza.
    Quella di Tyler, invece, era un’indifferenza precisa, studiata nei minimi particolari. Il Wood voleva essere indifferente. Voleva essere indifferente alle ingiustizie, il più delle volte, come il tassorosso non mancava di fargli notare di continuo, serafico ma accorato. Voleva essere indifferente a tutto ciò che usciva dai suoi rigidi schemi mentali, quelli che si imponeva con così tanta forza da vederlo persino tremare, quando pensava di non essere visto da nessuno, dal momento che la tensione mentale si ripercuoteva sul suo fisico. E voleva essere indifferente al Cox. Lo voleva così tanto che Adam poteva sentirlo bruciare ovunque, sulla pelle.
    «Rendez-vous, ripeté, con un pessimo accento francese, per poi fare una smorfia e scuotere il capo con un sospiro teatrale. «Ripeti con me. Sesso. S-e-s-s-o.» Scandì lo spelling con lentezza, lasciando scivolare la lingua su ogni singola lettera. «Devi smetterla di nasconderti dietro a giri di parole senza senso, come se fosse tutto un tabù e non la cosa più naturale del mondo. Non dopo che ti ho visto usare quella bocca in ben altro modo.» Cosa? Gli stava forse rinfacciando tra le righe il fatto che non volesse accettare di essere, quantomeno, bisessuale? E il non voler riconoscere che tra loro c’era qualcosa, di qualunque cosa si trattasse? Assolutamente no…………..
    Avere a che fare con Tyler era davvero stancante e nessuno lo sapeva meglio di Adam. D’accordo, Daisy a parte. Lei lo sopportava da ancora più tempo e con una stoicità che, nonostante la natura tranquilla del tassorosso, lui non avrebbe mai raggiunto. Anche solo perché, più lo faceva stancare, più ne aveva bisogno. Voleva essere stancato da Tyler. A parole, certo, ma ancora di più a gesti. «Sei adorabile quando fingi che non te ne freghi nulla dei miei programmi, e di quelli di Daisy», non mancò quindi di fargli notare, ovviamente per irritarlo ancora di più, visto quanto non era capace di nascondersi dietro la maschera dell’indifferenza. Ma anche perché era davvero adorabile, così impegnato com’era a mostrarsi disinteressato da sapere sempre tutto. «E poi una comare come te deve essere sempre informata su tutto.» Almeno su questo, Tyler si permetteva di essere del tutto consapevole. Ma non significava che gli piacesse quando gli veniva fatto notare che sì, era il peggiore pettegolo di tutto il castello.
    «Passi davvero un sacco di tempo con mia cugina, purtroppo.» Sorrise, Adam, un sorriso genuino e pieno di sentimento, volando con il pensiero a Margarita. «Funziona così, quando si ama una persona. Si passa del tempo con lei. Si vuole stare con lei il più possibile. Diventa una… necessità. Come mangiare», spiegò con semplicità, senza nemmeno una goccia di ironia nella voce. Credeva, anzi, sentiva ogni singola parola di quello che aveva appena detto. Provava ognuna di quelle cose per Daisy.
    E per Tyler.
    Proprio quel Tyler che gli diceva che non avrebbe trovato altro materiale per le sue fantasie lì, in quel luogo, con lui. Adam ghignò, non provando minimamente – né volendo farlo, in effetti – a nascondere la malizia che gli ardeva nello sguardo. «Di materiale ne ho in abbondanza, non preoccuparti.» Una verità in risposta a una bugia: se avesse avuto anche solo un minimo di talento artistico, avrebbe potuto disegnare a memoria ogni centimetro del corpo del serpeverde. Anche se, a dirla tutta, con la matita era negato, certo, ma con la lingua era un’altra storia. Esistevano opere d’arte fatte con la lingua? Se sì, allora sarebbe riuscito a riprodurre perfettamente ogni particolare del moro.
    Paradossalmente, fu solo quando infine il Wood cominciò a sorridere che il tassorosso provò qualcosa di simile al fastidio. Adam era incapace di arrabbiarsi, ma il serpeverde aveva l’abilità innata di scatenare in lui qualcosa che andava molto, molto vicino alla rabbia. Anche se, per fortuna, quasi sempre si trasformava in altro, concentrando buona parte del suo flusso sanguigno lì, tra le sue gambe, rendendo quella parte di lui dolorosamente tesa e pulsante. Proprio come in quel momento.
    «Sì, lo so benissimo che sei incredibilmente veloce.» Ah, ecco dove voleva andare a parare. Sospirò. «Sai fare di meglio.» Davvero. «Rimane il fatto che tu non ti sei mai lamentato», aggiunse, facendogli il verso. Anche lui sapeva fare di meglio, ma era letteralmente colpa di Tyler, in tutti i sensi, se adesso gli arrivava ancora meno sangue al cervello del normale. Pensare ad altro che non fosse il serpeverde o una parte qualsiasi del suo corpo era estremamente difficile.
    Così si immerse, un po’ per irritarlo, un po’ per riprendere, mentalmente parlando, ma non fisicamente, fiato. Motivo per cui ignorò il commento del Wood sull’apnea, concentrato invece com’era nel non rovinare su sé stesso nel tentativo di uscire dalla vasca. Non che gli importasse di risultare o meno ridicolo, anzi, era una delle infinite cose verso le quali era del tutto indifferente, ma cadere in quelle condizioni avrebbe significato un dolore atroce. E settimane senza incontri con Tyler come quello che stava per accadere.
    Perché il serpeverde poteva fingere che non gli importasse quanto voleva, ma sapevano benissimo entrambi come sarebbe andata a finire.
    E Adam non vedeva l’ora che succedesse.
    Per essere del tutto privo di senso del pudore, sentì il viso bruciare, quando infine si raddrizzò il più possibile, bagnato e nudo com’era, decisamente vicino al moro. Voleva sbattergli in faccia quella manciata di centimetri che lo rendevano il più alto dei due? Ovviamente sì. «Siamo in un bagno, è chiaro che sto bagnando», rispose stringendosi nelle spalle, come se la cosa non solo fosse scontata, ma avesse anche un senso. E non guardò le scarpe nere e lucide del serpeverde, ma fermò gli occhi decisamente più su.
    Prima che potesse rialzarli, però, barcollò appena, afferrando d’istinto quello che gli era arrivato addosso. Purtroppo non si trattava di Tyler, ma dei suoi vestiti appallottolati. «Fuori di qui, hai un sacco di altri bagni dove continuare il lavoro interrotto.» Peccato che in nessun altro bagno ci fosse lui. «E mi lasceresti andare in giro così? Cosa ne sarà del mio buon nome? Del mio onore??» Si portò il dorso di una mano alla fronte, simulando un capogiro da vera dama vittoriana, deciso a ignorare il sorriso pungente con cui il moro lo stava punzecchiando. Proprio quel genere di sorriso che avrebbe voluto mordergli via, ammorbidirgli un gemito dopo l’altro, fino a trasformarlo in un sorriso di tutt’altro genere.
    «Sei senza cuore», sentenziò ancora, con tutta la teatralità di cui era capace (tanta, per la cronaca, essendo un tratto distintivo della sua famiglia al pari dell’azzurro dei suoi occhi). «E sei anche un vecchio. Me l’hai già detto, appunto. È il bagno dei prefetti e io non posso starci e…» Si stava spogliando. Tyler si stava spogliando. Per qualche istante dimenticò di star parlando, impegnato com’era a fissarlo. Era difficile sostenere un discorso quando il sangue continuava a pompargli tra le gambe e non al cervello.
    Era già stato fin troppo bravo, in effetti.
    A rispondergli.
    A non saltargli addosso.
    «Quindi? Sei ancora qui?»
    «Che ci vuoi fare? Mi piace soffrire Si strinse nelle spalle e, incrociando lo sguardo con il suo, gettò di lato il groviglio di vestiti che teneva ancora stretto contro lo stomaco, nuovamente senza alcuno schermo tra il proprio corpo e gli occhi di lui. «Voglio che mi porti tu in sala torture. A carponi, al guinzaglio… Come preferisci, insomma.» Un lungo brivido lo percorse, andando ad accumularsi proprio lì, sempre lì.
    Dove riportò la mano, per riprendere da dove si interrotto. Stavolta, però, non aveva bisogno di chiudere gli occhi per vederlo. Stavolta gli occhi erano ben aperti e fissavano quelli di lui.
    «Ti basta solo mettermi le mani addosso.»
     
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    Non si scompose alle, né si lasciò stuzzicare dalle, provocazioni verbali del tassorosso a mollo.
    «Ripeti con me. Sesso. S-e-s-s-o.»
    Sesso, era semplice.
    Era quello che facevano loro, no? Solo sesso, niente di più. Non c’era alcun bisogno di etichettare quello che c’era tra loro, qualunque cosa fosse in nessun’altra maniera. Ma non era quello il motivo per cui Adam stava sottolineando la parola, e Tyler lo sapeva benissimo.
    «Devi smetterla di nasconderti dietro a giri di parole senza senso, come se fosse tutto un tabù e non la cosa più naturale del mondo. Non dopo che ti ho visto usare quella bocca in ben altro modo.»
    «Scusa, hai ragione,» said, Tyler, never, «alle volte dimentico quanto il tuo vocabolario sia limitato, Cox. Con te bisogna parlare chiaro Qualsiasi altro tormento implicito nelle parole del tassorosso, scivolò in apparenza sulla pelle di Tyler, pur rimanendo fastidiosamente impresso laddove contava di più: nel cuore.
    Sapeva di avere qualche limitazione, il Wood, in primis quella di non essere ancora affrontato, nemmeno con se stesso, quel particolare discorso — ma trovava fossero affari suoi il come e il quando (e il se) affrontare la questione. Di certo non spettava ad Adam Cox forzare la sua mano.
    «Sei adorabile quando fingi che non te ne freghi nulla dei miei programmi, e di quelli di Daisy»
    Doveva star proprio delirando, il Cox, se credeva davvero che Tyler stesse fingendo; o forse non lo conosceva così bene come sosteneva. «E poi una comare come te deve essere sempre informata su tutto.»
    Alzò gli occhi verso il soffitto a volta del bagno, sospirando affranto ma non sorpreso. «Volerlo sapere per informazione generale e interessarmi sono due concetti ben diversi,» ma non si aspettava che Cox capisse la sottile differenza nelle sfumature di una lingua che, chiaramente, non padroneggiava.
    Riportò lo sguardo sull’altro solo per prendere bene nota di lineamenti che, suo malgrado, conosceva già alla perfezione, e per ascoltare con più attenzione le parole di Adam.
    «Funziona così, quando si ama una persona. Si passa del tempo con lei. Si vuole stare con lei il più possibile. Diventa una… necessità. Come mangiare»
    Lo trova come minimo esagerato, ma non glielo disse; preferiva lasciarlo vivere nella sua utopia rosea, ma non accettava che ci trascinasse dentro Margarita. «La ami davvero?» Nella piega arricciata del naso poteva leggersi chiaramente un certo disgusto, ma non era geloso; piuttosto, credeva che Adam non fosse semplicemente all’altezza di sua cugina. «Hai sedici anni, come puoi sapere cosa sia l’amore?» E non ne avevano forse già parlato, in più di un’occasione? Eppure non trovavano mai un terreno comune su cui rimanere saldamente in piedi; crollavano sempre giù, come castelli di sabbia troppo fragili, con fondamenta instabili.
    Preferiva di gran lunga quando i loro scambi di parole si limitavano ad argomenti simili, a frecciatine non troppo velate e commenti caustici.
    «Rimane il fatto che tu non ti sei mai lamentato»
    «Magari non hai mai voluto ascoltare.»
    Era troppo stronzo da parte sua insinuare il dubbio di insoddisfazione nel biondo? Forse, ma troppo tardi ormai. Si strinse nelle spalle, senza argomentare ulteriormente quel commento, lasciando ad Adam la libertà di prenderlo come voleva — una verità, una bugia, una provocazione. Tutto, o nulla.
    «Siamo in un bagno, è chiaro che sto bagnando»
    Fece un favore ad entrambi a non commentare il modo in cui lo sguardo del tassorosso cadde sul cavallo dei pantaloni e non sulle scarpe, perché era un signore, ed era stato cresciuto meglio (del Cox) di così. Preferì invece allontanarsi – per una serie molto lunga di motivi, in primis perché non voleva che Cox gli rovinasse le scarpe – e lo invitò nuovamente a lasciare il bagno.
    «E mi lasceresti andare in giro così? Cosa ne sarà del mio buon nome? Del mio onore??»
    «È per questo che ti ho ridato i vestiti.» Spiegò, come se avesse di fronte un bambino di cinque anni — perché era esattamente così. «Vanno indossati, sai? Addosso Imitò il gesto di rivestirsi, continuando a spiegare, «so che è un altro concetto sconosciuto per te, ma nella società civilizzata si usano strati di indumenti per coprire le proprie grazie, e risultare rispettabili.» O, almeno, non rischiare di essere passabili di denuncia.
    «Sei senza cuore»
    «Credevo lo sapessi già» Tono asciutto, secco; credeva di averlo già dimostrato. Forse non abbastanza. Forse non davvero.
    «E sei anche un vecchio. Me l’hai già detto, appunto. È il bagno dei prefetti e io non posso starci e…» Eppure era ancora lì.
    «A quanto pare hai bisogno che venga ripetuto, però.»
    E lo aveva anche zittito, un punto a favore di Tyler!
    Si limitò, come il gran signore che era, appunto, a commentare con un solo sopracciglio a svettare sulla fronte, continuando a spogliarsi come se nulla fosse, liberando un bottone alla volta con agonizzante lentezza, compresi quelli dei polsini. «La porta sai già dov’è…» Una volta sbottonata del tutto, rimosse la camicia una manica alla volta, piegandola poi e poggiandola insieme al resto della divisa, sulla panchina; lo sguardo era tutto per il tassorosso impalato di fronte a lui, ammutolito, con gli abiti stretti al petto e nulla a coprire l’erezione impossibile da notare, e quella mente sconcia che doveva star lavorando come poche volte prima di quel momento.
    Abbassò la testa e sorrise trionfo, Tyler, pur non facendo nulla per andare incontro al povero Cox, iniziando a slacciare i lacci delle scarpe, una alla volta. «Ti piace quello che vedi?»
    Sul serio: Tyler poteva farlo tutto il giorno, non aveva alcuna fretta al contrario di qualcuno.
     
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    Ah, gli insulti di Tyler.
    Chiunque, nel castello, gli diceva che era delulu. I suoi amici, gli elfi domestici e le altre creature, i quadri… i muri, persino. E anche i professori l’avrebbero fatto, se non fossero stati troppo impegnati a sbattere lui e gli altri malcapitati in sala torture.
    Persino Daisy alle volte glielo faceva notare, sebbene fosse la prima sostenitrice del fatto che, in fondo, molto in fondo, suo cugino non fosse poi così disinteressato come si sforzava di apparire. Stronzo per davvero sì, ma del tutto indifferente al Cox, e non solo per quello che facevano, no.
    Ma Adam sapeva che il vero delulu, lì, era il Wood.
    E che i suoi insulti, che avrebbero dovuto irritarlo, per non dire offenderlo, erano solo un modo distorto per mostrare interessamento. Lungi da lui sostenere l’orribile e patriarcale e, soprattutto, pericolosa retorica che gli adulti inculcavano nelle femmine sin da piccole, per cui se un maschio le trattava male era perché si sentiva attratto da loro. A parte il sessualizzare i bambini, già di per sé vomitevole e da brividi, quella stupida generalizzazione portava alla lunga a romanticizzare situazioni, e relazioni, tossiche, per non dire violente. Certo, anche sostenere che nel loro caso le cose fossero diverse ricadeva totalmente nel cliché, ma era più forte di lui.
    Gli insulti di Tyler, invece di sventolare red flag grandi come una casa, facevano fluttuare nel vento tutt’altro tipo di bandiera rossa (sì, quella che piace ad Alessia. E a Sara. E a Roberta. D’accordo, la lista è infinita), una che non poteva che attirarlo come una mosca viene attirata da… Vabbè, insomma, anche se il serpeverde era, a tutti gli effetti, uno stronzo di prima categoria.
    Non voleva dire che gli insulti fossero la loro love language, non quando lui avrebbe voluto dirgli parole di tutt’altro genere. Né era inconsapevole del reale disprezzo che spesso riempiva i discorsi del Wood. Tuttavia i suoi occhi parlavano chiaro, in quei momenti. E c’erano volte in cui, spazzato via l’astio, e soprattutto la paura, Tyler si mostrava per quello che era: un giovane uomo che voleva solo essere amato dagli altri, e da sé stesso.
    Lo lasciò quindi blaterale sul suo non capire i concetti più semplici e sulla necessità di parlare chiaro, che, però, gli fece sfuggire una risata. «Tu con me non parli mai chiaro», gli fece notare con la voce ancora impastata dal divertimento, sebbene nel suo tono ci fosse una leggerissima punta di accusa. Ovviamente Tyler l’avrebbe contraddetto, lo sapevano benissimo entrambi, ma sapevano anche a cosa si riferiva Adam. Il serpeverde faceva di tutto per allontanarlo, eppure finiva sempre per ricascarci e, cosa ancora più grave, almeno agli occhi del Wood, alle volte si lasciava persino sfuggire confidenze che nessuno aveva mai avuto l’onore di ascoltare, fatta forse eccezione per Margarita.
    «La ami davvero?»
    Dopo tutte quelle parole che gli erano entrate in un orecchio e uscite dall’altro, lasciando dietro di sé solo qualche piacevole brivido, a quella domanda Adam si riscosse e istintivamente sorrise. «Sì», rispose senza il minimo di esitazione. Era vero. Amava Daisy. Amava tutto di lei, dal modo sguaiato in cui rideva, che la madre le aveva inculcato di trattenere perché non da brava signorina, all’espressione concentrata che assumeva quando cercava di fargli entrare in testa un concetto astruso di pozioni. La amava per quello che era, e per tutto ciò che sapeva sarebbe diventata.
    «Hai sedici anni, come puoi sapere cosa sia l’amore?»
    Con un sonoro sbuffo, puntò gli occhi in quelli scuri del Wood. Quello era uno degli infiniti argomenti al centro delle loro confessioni in solitaria, quelle che, Adam lo sapeva, Tyler avrebbe negato fino alla morte di aver avuto. Entrambi sapevano che l’altro la pensava in modo diametralmente opposto, ed entrambi avrebbero provato all’infinito a farlo cambiare idea. O almeno, di certo Adam lo avrebbe fatto. «Non lo so, infatti. Semplicemente lo sento. Lo vivo. Non è qualcosa che si può studiare o imparare. Lo si deve vivere e basta.» Non voleva fargli una lezioncina, quella era una cosa da dito in culo quale era Tyler, ma non riuscì a trattenersi: «Lo sapresti, se la smettessi di avere un cuore così stitico».
    Ma Adam non era fatto per rimanere serio troppo a lungo, motivo per cui, un attimo dopo, sentì il bisogno di tornare a fare il coglione come suo solito. A differenza di Tyler, lui non aveva problemi ad ammettere di essere stupido. Lo erano entrambi, solo su piani molto diversi. E poi, in fondo, cosa c’era di male a esserlo? Così, invece di vestirsi, fece della scena, almeno finché il serpeverde non lo accusò di non aver mai voluto ascoltarlo. E di essere rimasto insoddisfatto, certo, ma non era quello il punto – anche se si sentì pungere nell’orgoglio: nessuno gli aveva mai detto di essere rimasto insoddisfatto dalle sue performance.
    Davvero Tyler credeva che non lo avesse mai ascoltato sul serio?
    «Non hai appena detto che con me bisogna parlare chiaro? Forse sei tu che non sai spiegarti, invece di essere io a non capire.»
    Forse quel nuovo e improvviso discorso serio avrebbe dovuto fargli tornare a circolare il sangue verso il cervello, ma il tassorosso era pur sempre un sedicenne in preda agli ormoni e a pochi passi dalla persona che, più di tutte, occupava i suoi pensieri e le sue fantasie ogni singolo momento dei suoi giorni (e delle sue notti). Le sue parole l’avevano ferito, ma rimaneva il fatto che Tyler continuava a riempirlo di insulti – che non era un modo per dirgli che gli piaceva, ma che gli faceva comunque ribollire il sangue nelle vene, e il fastidio era solo l’ultima delle ragioni – e si stava spogliando.
    «Sai qual è il problema? Ti concentri sempre sulle cose sbagliate. Vuoi spiegarmi le cose sbagliate. Inutili, persino. Come i vestiti. Sono inutili. Certo, a parte per ripararsi dal troppo freddo o troppo caldo, ma perché civile dovrebbe essere uguale a vestito? Non ha senso.» Così come non aveva senso quel discorso, anche se nella sua testa sembrava il contrario. Dopotutto, i vestiti erano solo una delle infinite imposizioni della società capitalista, quindi era giusto combatterli.
    E farli sparire.
    Specie se si trovavano ancora in misura così copiosa addosso al Wood.
    «Credevo lo sapessi già»
    «Che sei una merda? Ovvio. Ma te l’ho già detto: mi piace soffrire», gemette teatrale, senza però doverci calcare troppo la mano, dal momento che stava decisamente soffrendo davvero. Aveva bisogno di toccarlo, e di toccarsi. Non si era mosso di un millimetro. E Tyler non aveva realmente provato a farlo andare via.
    Chissà come mai.
    Però si stava spogliando davvero troppo, troppo lentamente. Strinse i denti, e le chiappe, soffocando un altro gemito tra le labbra. Sapevano benissimo entrambi cosa stava facendo il Wood, ma non per questo era meno snervante. Avrebbe potuto porre fine alle sue sofferenze in un istante, ma, da stronzo quale era, se ne stava ben guardando.
    Adam non era orgoglioso, ma non voleva dargliela vinta per l’ennesima volta.
    Non era andato lì dentro con il proposito di mandare Tyler a quel paese? Non era stato bravissimo, a non rivolgergli la parola per ben (!!!) tre giorni?
    «Cristo santo», borbottò, più rivolto a sé stesso che a un’entità superiore alla quale, per la cronaca, non credeva affatto. Non voleva essere quello debole. Non che ci fosse nulla di male, anzi, ma il serpeverde meritava di trovarsi un po’ dall’altra parte. Non di sorridere con quel fare trionfale che gli faceva solo venire voglia di prenderlo a pugni.
    D’accordo, a pugni forse no, visto che era pacifista (e che, se avessero fatto a botte, Adam le avrebbe prese, e pure forte. Non che gli dispiacesse poi così tanto, in effetti). Ma morderlo? Baciarlo?
    Oh, poteva farlo eccome. E, in questo caso, non sarebbe stato lui a prenderle.
    «Ti piace quello che vedi?»
    Stavolta il gemito di frustrazione si fece spazio tra le sue labbra con prepotenza, trascinandosi dietro il graffiare gutturale della gola.
    «Sai cosa?»
    Prima di buttare via i vestiti appallottolati, afferrò nel mucchio la bacchetta rovinata. Suo padre aveva minacciato di non comprargliele un’altra, l’ennesima, anzi, come aveva sottolineato, se fosse riuscito a rompere anche questa. Ma Adam sapeva che Frank Cox non avrebbe mai permesso che suo figlio non prendesse il diploma (scusa papi ihihihhi).
    Adesso c’erano due cose puntate verso Tyler. Ugualmente tese. Ugualmente tirate.
    La sua bacchetta e il suo (gasp!) pene.
    «Evanesco.»
    Dov’erano finiti il resto dei vestiti del serpeverde? Le sue scarpe lucide, i pantaloni della divisa perfettamente stirati e, anche se non li aveva visti, i boxer attillati, probabilmente neri o grigi?
    Ad Adam non importava assolutamente nulla.
    E il fatto che Tyler si sarebbe di certo infuriato era solo un bonus, naturalmente.
    A gambe larghe, ma con tutta la velocità che l’eccitazione gli permetteva, riempì in qualche falcata la poca distanza che li separava. Adesso era lui a sorridere. A ghignare, anzi, quando si ritrovò a torreggiare davanti al moro.
    «Vaffanculo», gli soffiò sulle labbra, un attimo prima di baciarlo prepotentemente, tenendogli il viso serrato tra le mani.
    Era pronto a prenderle, e anche forte.
     
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    forse andava messo prima ma eh TW per contenuti espliciti SMACK

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    Ancora una volta, rimase impassibile alle osservazioni ovvie (e inutili) del tassorosso, che dimostravano solo quanto avesse ragione Tyler nei suoi riguardi; avrebbe potuto infierire e costringere entrambi a rimanere lì a fare quel gioco infantile per tutto il pomeriggio, ma i programmi del giornalista in erba prevedevano tutt'altro, per quel giorno, e non li avrebbe di certo fatti deragliare per colpa del Cox.
    «Tu con me non parli mai chiaro» avrebbe potuto fargli presente che non fosse lui a non parlare chiaro, ma Adam a non capire mai nulla — però, davvero, non voleva incastrarsi in una discussione senza fine con quel testardo di un tassorosso. C'erano già passati fin troppe volte, e sempre riguardo gli stessi discorsi, al punto che Tyler era stanco, svuotato, stufo di ripercorrere sempre gli stessi tracciati senza mai arrivare a nulla.
    Per questo motivo, perché era una storia vecchia quasi quanto la loro non relazione, le successive parole di Adam contribuirono ad alimentare il cattivo umore di Tyler, indispettendolo più del dovuto e procurando al prefetto un fastidio che avrebbe spiegato poi, più a se stesso che agli altri, come disappunto per l'ostinazione del Cox a voler rimarcare ancora e ancora su argomenti già affrontati a ripetizione.
    «Non lo so, infatti. Semplicemente lo sento. Lo vivo. Non è qualcosa che si può studiare o imparare. Lo si deve vivere e basta.»
    Mah, facile aprire la bocca e dargli fiato: erano parole incomprensibili per Tyler, non nella forma ma nel significato — perché parlavano di qualcosa di intangibile, di emotivo, qualcosa a lui (volontariamente) precluso. E Adam lo sapeva. «Lo sapresti, se la smettessi di avere un cuore così stitico» Adam lo sapeva e ogni volta tornava a spingere lì, fastidioso come sabbia dentro le scarpe o un dito puntato contro le costole.
    Forse, dopotutto, non se lo meritava il suo silenzio — non se lo meritava affatto. Nemmeno il rischio di finire a parlare per ore della stessa cosa ma in font diversi poteva fermarlo, ora, dal rispondere a tono al tassorosso, braccia incrociate al petto e sguardo duro.
    «Non hai appena detto che con me bisogna parlare chiaro? Forse sei tu che non sai spiegarti, invece di essere io a non capire.»
    «no,» c'era una punta di veleno già percettibile in quella singola sillaba, «sei tu a non capire.» annunciato come se fosse un dato di fatto, una banalità, una cosa così ovvia per cui non valeva la pena neppure sprecare più di quelle semplici parole o un tono che fosse meno smunto e incolore.
    «Sai qual è il problema?»
    «immagino che stai per dirmelo?» gli parlò sopra, fregandosene delle buone maniere e del rispetto: Adam Cox lo stava mettendo alla prova (come ogni dannata volta) e lui era stanco.
    «Ti concentri sempre sulle cose sbagliate. Vuoi spiegarmi le cose sbagliate. Inutili, persino.»
    Ah sì? E quali erano queste cose “inutili”? A Tyler non risultava. Lo esortò, con uno sguardo allusivo, ad andare avanti e illuminarlo con la sua saggezza.
    «Come i vestiti. Sono inutili. Certo, a parte per ripararsi dal troppo freddo o troppo caldo, ma perché civile dovrebbe essere uguale a vestito? Non ha senso.»
    «non sta a me spiegarti le basi della convivenza civile, Cox, hai due genitori per quello.» come avevano fatto a fallire così tanto, con lui e con quell'altra bestia di sua sorella? Era un quesito che spesso metteva alla prova la mente sveglia del serpeverde — e che cementava sempre di più la sua convinzione sul non voler avere figli suoi, in futuro; sembrava un lavoro troppo faticoso che lasciava volentieri a persone con ambizioni diverse dalle sue. «e non hai chiaramente colto il punto, nemmeno stavolta» una cosa che non avrebbe dovuto stupire Tyler, e infatti non c'era stupore nella sua voce, ma solo la stessa freddezza riservata all'altro fin dal primo momento.
    «Ma te l’ho già detto: mi piace soffrire»
    A quel punto rivolse lo sguardo scuro al soffitto incantato, allontanandosi dal biondo per iniziare a spogliarsi: ne aveva sentite veramente troppe, c'era un limite a tutto.
    Non poté comunque trattenere quel minimo di soddisfazione che lo costrinse ad alzare appena l'angolo delle labbra, quando sentì il verso poco umano che sfuggì da quelle di Adam quando la camicia venne via — non lo stava facendo apposta, e non era di certo colpa sua se l'eccitazione veniva trasmessa nel corredo genetico di Cox in Cox come la pelle chiarissima e gli occhi chiari, ma non poteva non sentirsi un minimo fiero del modo in cui, nonostante tutto, riusciva ancora a premere i giusti bottoni nell'altro, pur senza fare assolutamente nulla se non una cosa semplice e banale come sbottonarsi la camicia e prepararsi per un bagno.
    La piega delle labbra del serpeverde aveva un che di presuntuoso che non poteva – né voleva – nascondere. Non ad Adam, comunque.
    «Cristo santo»
    «puoi chiamarmi Tyler, ne abbiamo già parlato» gli ricordò con semplicità, facendo lo spiritoso, solo per creare maggior disagio in un Adam Cox già visibilmente provato, destabilizzandolo con vani tentativi di fare il simpatico.
    A giudicare dal nuovo verso gutturale (e animale) che suscitò nel minore, doveva star funzionando.
    «Sai cosa?»
    No, non sapeva cosa, ma aveva come l'impressione che, qualsiasi cosa fosse, lo avrebbe scoperto a breve.
    E non gli sarebbe piaciuto.
    E infatti: «Evanesco.» Ebbe appena tempo di notare la bacchetta del Cox puntata contro di lui (quella magica; l'altro era sull'attenti già da un pezzo e a Tyler non era sfuggito quel particolare) che improvvisamente la sua divisa immacolata era sparita, lasciandolo nudo come il giorno che era venuto al mondo.
    «adam.»
    Il tono gelido parlava da sé, e in quel nome c'erano tutti gli ammonimenti che non serviva ripetere ad alta voce: se c'era una cosa che Tyler non sopportava (beh, una delle tante cose che Tyler non sopportava) era che qualcuno rovinasse i suoi abiti, per errore o di proposito.
    Era pronto ad insultare il Cox e rammentargli quanto caro avrebbe pagato quel gesto, ma l'altro fu più veloce ad avvicinarsi e sussurrare quel «Vaffanculo» a fior di labbra, costringendolo a ricambiare quel bacio disperato che fece suo, rubandolo ad un Tyler immobile ed esasperato al cento percento.
    Queste le motivazioni che il serpeverde diede a se stesso come giustificazione del fatto che, alla fine della fiera, non oppose resistenza e lasciò che il Cox si prendesse quello che, era evidente dal modo in cui la sua erezione premeva conto quella ancora acerba di Tyler, desiderava disperatamente — era una persona magnanima, quando voleva, Tyler Wood.
    Sollevò una mano per posarla sui riccioli biondi del minore, incastrando le dita esili tra ciocche color grano, per poi tirare leggermente e costringere Adam ad interrompere il bacio. «credevo fossi in sciopero,» gli ricordò, «che ce l'avessi con me e blablabla» non si allontanò da lui, parlando a pochi centimetri dalle labbra arrossate e dischiuse dell'altro, presuntuoso e sicuro di sé e del potere che aveva sul tassorosso. «dunque avevo ragione, il sesso–» lo schernì, usando le sue stesse parole, «con gli altri non ti basta.» Sarebbe tornato sempre da Tyler; così come Tyler, suo malgrado, sarebbe sempre tornato da Adam. «sei davvero troppo prevedibile, Cox» e, così dicendo, portò la mano libera a scivolare tra i loro corpi, posandola maliziosa sull'erezione di Adam, massaggiando con movimenti lenti e calcolati, deciso a farlo soffrire più del dovuto. Se era quello il gioco che Adam voleva fare, Tyler era disposto a dimostrare che sapesse giocare — e che intendesse vincere.


    stai zitta non dire nulla non guardarmi non percepirmi non rileggo nemmeno e getto il telefono oltre l'oceano qui finisce la mia zona di comfort e inizia il disagio SOLO PER TE
     
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    «No. Sei tu a non capire.»
    Gli insulti di Tyler andavano bene, per non dire che lo eccitavano. Ma questa era un’altra storia. Questa non era una ferita nel suo orgoglio – orgoglio che, tra l’altro, non aveva neppure, trovandolo un retaggio patriarcale e un modo solo un po’ più sottile, e proprio per questo vagamente subdolo, di altri per sottolineare la propria superiorità rispetto al resto del mondo. Eppure Adam era abituato a sentirsi dire che non capiva. O almeno, lo era fin dalla prima volta che aveva messo piede in un’aula scolastica. Sebbene molti insegnanti continuassero a ripetere la solita vecchia storia del suo essere brillante ma incapace di applicarsi, avrebbe preferito sentir loro dire le cose come stavano. Era stupido? Bene! Che problema c’era, in fondo? Essere stupidi era solo una caratteristica come molte altre. Come essere alti, o avere un carattere giocoso. Entrambe caratteristiche, ad esempio, che di certo non facevano di Tyler Wood quello che era. Ad ogni modo, insieme al bravo ma non si applica, Adam si era sentito e si sentiva ancora ripetere allo sfinimento che non capiva.
    Finché si trattava di un’aula scolastica andava bene. Ma con le persone? Con Tyler?
    Proprio come l’orgoglio, anche la falsa modestia era un costrutto inutile di una società fin troppo rigida, almeno per i suoi gusti. Adam sapeva benissimo di essere bravo: non a scuola, ma con le persone. Lui, gli altri, li capiva. Gli bastava una parola, o a volte anche solo uno sguardo, per cogliere ciò che passava loro per la testa e, ancora di più, per il cuore.
    Sentirsi dire dal serpeverde di non capire, di non capirlo, fu una pugnalata in pieno petto.
    «Sì.» Lo fissò, con una serietà che sapeva non appartenergli, senza nemmeno rendersene conto. «Non capisco perché tu non vuoi che io capisca. E non vuoi capire nemmeno te stesso. Perché non lasci entrare nessuno… perché non lasci entrare me
    Ma era pur sempre Adam Cox, e dopo qualche istante, con le proprie parole a rimbombargli nelle orecchie, finì per soffocare una risatina. Non era esattamente vero, anzi, non lo era per niente, il fatto che Tyler non lo lasciasse entrare. Glielo lasciava fare eccome. Ancora e ancora. Esattamente come avrebbe desiderato fare in quel momento. E in qualsiasi altro momento della giornata, in effetti.
    Tuttavia, né le sue riflessioni sentimentali né quelle maniache potevano nulla contro l’enorme fastidiosità del Wood. La definizione ideata da Daisy per rappresentarlo gli calzava in tutto e per tutto a pennello: era un dito in culo. Era lì, perennemente, piccolo ma duro, a ricordare in ogni istante la sua irritante presenza. Inflessibile. Incapace di scivolare in una direzione o nell’altra. Un corpo estraneo che impediva il regolare flusso delle cose.
    Lo lasciò quindi lì, il dito, a rigirarsi in quel pertugio stretto, ma non così stretto, mentre, più che sulle parole, si concentrava sui movimenti del suo corpo. La mascella tirata, i muscoli del collo a guizzare sotto la pelle ambrata, la curva morbida eppure tagliente delle labbra che accompagnava l’arrotolarsi della lingua e…
    «E non hai chiaramente colto il punto, nemmeno stavolta
    Un’altra pugnalata. L’ennesima.
    Anche la mascella di Adam si tese, per un istante, mentre senza poterci fare nulla finiva per digrignare i denti, infastidito ma soprattutto ferito da quelle parole. Su di lui, all’opposto di Tyler, quell’espressione risultava aliena. Il tono freddo del Wood non avrebbe dovuto stupirlo, e in effetti non lo fece, ma non riuscì a non pensare che, sotto a tutti quegli strati di calcolato gelo, si nascondesse una corazza di vero e inscalfibile ghiaccio.
    «Forse.» Sospirò, chiudendo gli occhi per un istante per riprendere fiato e allentare la stretta dei denti. «Ma vorrei solo che smettessi di farti questo.» Sapevano entrambi che in quel semplice pronome si nascondeva un mondo. Questo era tutto ciò che Tyler faceva ogni giorno, ma anche ciò che non faceva. Questo era quello che Adam cercava di tirargli fuori da anni, profondamente convinto com’era che ci fosse molto altro dietro a quella spessa facciata di indifferenza e freddezza.
    Ma era davvero così?
    O era Adam che, da anni, stava forzando Tyler a essere qualcosa che non era e che non sarebbe mai stato? Lui che, quasi ancora prima di iniziare a parlare, già si batteva perché nessuno venisse forzato a fare ciò che non voleva e, ancora peggio, a essere ciò che non era.
    Un brivido lo attraversò, riportandolo al presente e al suo corpo. Quello stesso corpo che pulsava e bruciava, che chiedeva di essere toccato e di toccare. Quel corpo che desiderava solo riempire la poca distanza che lo divideva dal Wood e fare quello che, modestamente, gli veniva meglio.
    Dare e ricevere piacere.
    Forse era stupido, forse aveva un disturbo dell’attenzione o addirittura della personalità, ma i pensieri terribili di poco prima andarono a nascondersi in un angolo della sua mente. O meglio, probabilmente scorrazzavano in libertà, visto l’immenso spazio vuoto, anche e soprattutto perché, ora che Tyler si stava spogliando, nonostante fissasse apposta il soffitto pur di ostentare indifferenza, tutto ciò a cui riusciva a pensare era lui, lui e ancora lui. E tutto il sangue del suo corpo pompava lì, rendendo ancora più dolorosamente piacevole la tensione tra le sue gambe.
    «Sei un dito in culo. E un montato di merda. E uno stronzo», elencò con altrettanta semplicità, stringendosi nelle spalle. Non solo i suoi insulti non erano sofisticati come quelli del serpeverde, ma non erano neanche veri insulti. Erano solo una perfetta descrizione della realtà. «Tyler», si premurò infine di aggiungere, con tono volutamente pomposo, stavolta. In realtà, gli piaceva quel suono. No, non la sua stessa voce, non era un megalomane (e poi non riteneva di avere chissà quale voce, anche se un po’ sperava di avere ancora qualche anno di bonus di pubertà). Il suono, anzi, la musica del nome di lui.
    Tyler.
    «Adam.»
    Il lungo brivido che dai lombi gli risalì fino alle scapole, per poi scavallare le spalle e ridiscendere fin nelle viscere e ancora più giù, fino a diventare un pulsare sordo nella sua erezione, non era dovuto al tono gelido usato dal serpeverde. O meglio, era dovuto anche a quello. Ma se gli piaceva dire il nome dell’altro, impazziva quando sentiva lui pronunciare il proprio. Voleva che Tyler lo chiamasse.
    E voleva che si arrabbiasse davvero, non come aveva fatto fino a quel momento, cosa che di certo, ora che aveva fatto sparire i suoi vestiti di alta sartoria chissà dove – letteralmente – sarebbe successa.
    Ma soprattutto voleva baciarlo.
    E infatti non resistette più. Erano ore, anzi, giorni, troppi, che lo faceva.
    Nessuno era fatto per resistere e di certo non lo era lui, abituato com’era a non mettere mai nessun filtro non solo tra il suo corpo e il mondo, ma anche tra la sua mente e ciò che lo circondava. Adam non era trasparente, bensì cristallino. Si lasciava attraversare e attraversava di buon grado, senza però mai annullarsi. Semplicemente, era parte del mondo, così come il mondo era parte di lui.
    E lo stesso discorso poteva essere applicato al Wood.
    Quel Wood che, per la cronaca, non stava rispondendo al suo bacio. Certo, non lo allontanò, ma non lo baciò neanche di rimando, non davvero. La cosa avrebbe dovuto indispettirlo o addirittura ferirlo, ma Adam scelse di leggerla solo come una spinta a fare di più e di meglio. E sentendo la mano di Tyler tra i capelli pensò di avercela fatta, salvo poi ritrovarsi di nuovo a troppi centimetri di troppo dalle sue labbra, il fiato corto e gli occhi scuri del serpeverde a fissarlo con un’intensità che gli faceva girare la testa.
    «Credevo fossi in sciopero. Che ce l’avessi con me e blablabla
    «Infatti ce l’ho con te.» Mettere una parola dietro l’altra era difficile, quando poteva sentire il respiro del moro sulle labbra, a sua volta ritmato da un che di altezzoso e pieno di sé. Le persone così andavano contro ogni suo principio, ma Tyler… «Specie poi se osi darmi del crumiro di merda.» Arricciò le labbra in una smorfia, per un istante quasi superiore alla vicinanza intossicante del serpeverde in nome dei suoi ideali.
    «Dunque avevo ragione, il sesso con gli altri non ti basta.»
    Non nascose la sorpresa, l’ammirazione e persino la contentezza, però, nel sentirlo aggiungere quel pezzetto. Sapeva che lo stava sfottendo, eppure era comunque emozionante vederlo abbattere almeno una delle sue infinite barriere. «Mi sembra di non averne mai fatto segreto», gli fece notare, cercando di non scivolare con lo sguardo sulle sue labbra. Se quelle non si toccavano, lo stesso non poteva dirsi di altre parti dei loro corpi. Un po’ per necessità, un po’ per provocazione, ruotò il bacino, facendogli percepire ancora di più la propria presenza. «Il sesso non mi basta mai Il che era vero, naturalmente. Aveva appena ignorato il resto della sua provocazione, però?
    Forse.
    Ma non era un fatto di non volergliela dare vinta. Al contrario, era semplicemente un dato di fatto.
    Ad Adam piaceva fare sesso, sempre e comunque, e con chiunque. Tuttavia, se avesse dovuto scegliere una sola e unica persona con cui farlo per tutto il resto della vita, e forse anche oltre, sempre che la reincarnazione non fosse una bufala, questa era Tyler.
    Anche se gli aveva appena riservato l’insulto peggiore di tutti.
    Anche e soprattutto per questo.
    Gli aveva dato del prevedibile. A lui!
    Avrebbe ribattuto, certo, ma non ora. Non subito. Non quando finalmente, finalmente!, le dita del Wood si erano appena chiuse intorno alla sua tensione, e avevano cominciato a muoversi tanto, troppo lente. Socchiuse gli occhi e si morse le labbra, non provando davvero a reprimere un gemito tanto di sollievo quanto di insoddisfazione. Sapevano benissimo entrambi che quello era troppo poco.
    Voleva di più.
    Ne aveva bisogno.
    «Sicuro di non essere tu a esserlo?», gli domandò, dopo essersi leccato le labbra, spiandolo tra le ciglia biondo scuro, gli occhi ancora socchiusi. «Prevedibile, intendo.» Lasciò scivolare le mani lungo il suo corpo, saggiando i muscoli del petto e dell’addome, e quando fu all’ombelico virò bruscamente, correndo prima sui fianchi e poi sul fondoschiena. Qui lo strinse con forza, affondando con ben poca gentilezza le dita nella carne morbida, domandandosi per un istante se avesse ancora il segno dell’ultima volta in cui l’aveva morso.
    Be’, tra poco avrebbe potuto controllare direttamente.
    «Perché ora come ora sei esattamente dove volevo che fossi.» Ghignò, sornione, continuando a saggiargli il fondoschiena mentre i brividi si irradiavano da dove lui lo stava toccando a tutto il resto del corpo. «E stai anche facendo quasi tutto quello che volevo che facessi», aggiunse, il viso nuovamente così vicino al suo da far sfiorare le punte dei loro nasi, entrambi così imperfetti da essere bellissimi. Con una spinta del bacino schiacciò la propria erezione e la sua mano contro quella crescente di lui e tornò a impossessarsi delle sue labbra, schiudendole con decisione.
    Se essere prevedibili significava starsene così con Tyler, forse avrebbe potuto accettarlo.


    Non odiarmi ihihihihi.
    Ci sto solo allenando per quando scriveremo il nostro romantasy spicy di super successo!!!!!!!!!!!!!
     
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    Continuava ad essere un ballo infinito, ripetuto mille e mille volte, quello tra loro.
    Una solfa continua che non portava mai da nessuna parte, nel bene o nel male.
    Una storia vissuta così tante volte, che Tyler avrebbe saputo descriverne ogni possibile finale — perché li aveva già vissuti tutti; e non importava le sfumature diverse in ciascuno di loro, l’esito era sempre lo stesso.
    Lui se ne andava, Adam restava indietro; qualche volta era il tassorosso ad andarsene, per il suo bene, ma comunque allontanato dallo stesso Tyler.
    Non riusciva a vedere come – né perché – quella volta avrebbe dovuto essere diversa.
    Non lo era.
    E prima il Cox se ne sarebbe reso conto, prima avrebbero potuto tornare entrambi a vivere la propria giornata (la propria vita) come se nulla fosse. Fino al prossimo litigio, ovviamente.
    «Non capisco perché tu non vuoi che io capisca. E non vuoi capire nemmeno te stesso. Perché non lasci entrare nessuno… perché non lasci entrare me.»
    Ebbe l’impulso di rispondere perché dovei, puntandogli un dito contro il petto e domandandogli cosa avesse lui di diverso da tutti gli altri — perché lasciar entrare Adam Cox nella sua vita fosse la soluzione a tutti i problemi.
    Non lo era.
    Stava per farlo, stava per riversare sul minore tutti i suoi pensieri più maligni, ma la risata maliziosa e infantile di Adam rovinò il momento. Come al solito. Bastò quella consapevolezza a fargli riprendere il controllo di se stesso, la presa allentata in un singolare e passeggero momento di poca lucidità e debolezza, e farlo sospira in maniera pesante.
    A che pro, combattere contro quella testa dura di un Cox?
    Non sarebbe mai cambiato, così come non sarebbe cambiato nemmeno Tyler; ecco perché tra loro le cose non avrebbero mai funzionato.
    «Ma vorrei solo che smettessi di farti questo.»
    Non gli rispose nemmeno quella volta, ma alzò il mento con aria fiera (fin troppo) dimostrando che non avesse rimpianti di alcun tipo, e che non si trovava affatto d’accordo con Adam: non si stava facendo nulla, perché continuare ad insistere? Piuttosto, sembrava essere il tassorosso quello intenzionato a continuare, a battere a pugni chiusi contro un muro di cemento con la speranza di farlo crollare, e ricevendo solo in cambio silenzio e nocche spaccate. Un masochista.
    «Tyler»
    Almeno quanto lui che, pur professando di essere inscalfibile e distaccato dalla cosa, continuava ad essere lì; continuava a stuzzicare il Cox, a giocare un gioco pericoloso che portavano avanti da troppi anni. Non faceva bene a nessuno dei due, e Tyler odiava ogni cosa.
    Più di tutto, odiava il modo in cui il suo nome suonava quando pronunciato dal tassorosso — come se indicasse una persona completamente diversa, che solo Adam conosceva; che solo Adam poteva amare. Lo odiava, perché sapeva benissimo che non sarebbe mai stato in grado di diventare quella persona lì. Neppure per il Cox. Neppure volendolo.
    Continuò a fissarlo con lo sguardo più scuro e cupo, nulla a che vedere con la tensione ormai palpabile nella stanza che scuriva invece lo sguardo di un eccitato Adam Cox; Tyler era furibondo, perché quella situazione non gli piaceva più, e forse gli piaceva un po’ troppo — e perché i suoi abiti erano fottutamente spariti nel nulla. Quando pronunciò il nome di Adam, lo fece senza la nota calda piena di passione dell’altro; c’era piuttosto una quieta minaccia in quel nome pronunciato con tanta calma.
    Rivoleva i suoi abiti.
    Ma il bacio di Adam bastò a sconvolgere tutti i piani del giornalista in erba. Non lo ricambiò, e rimase impassibile anche dopo aver allontanato il compagno, accusandolo di soffrire di una forma acuta e grave di satiriasi. «Mi sembra di non averne mai fatto segreto. Il sesso non mi basta mai.»
    Oh, lo sapevano bene entrambi.
    «Sicuro di non essere tu a esserlo?»
    «cosa, prevedibile?» un verso di scherno sfuggì alle sua labbra arrossate, mentre la mano scendeva con lentezza lungo i corpi di entrambi, «dubito.» Anche se c’erano cose peggiori al mondo, tipo il non avere il minimo senso estetico o non sapere mettere due parole sensate una di fila all’altra. Eh Adam.
    Ma esortò comunque l’altro studente a dire di più, aumentando solo per un istante il ritmo con cui massaggiava l'intimità del tassorosso. «Perché ora come ora sei esattamente dove volevo che fossi.»
    Provò l’istintivo bisogno di alzare gli occhi al cielo, ma non lo fece: nonostante tutto, era incantato dalle microespressioni che vedeva apparire sul viso di Adam, le labbra dischiuse dal piacere e le palpebre che di tanto in tanto mascheravano l’eccitazione visibile nello sguardo dell’altro.
    Gli conferì persino il permesso di accarezzare il proprio corpo, beandosi di quelle attenzioni che sapeva di meritare; era un narcisista, dopotutto, ed era ben più che felice di essere oggetto di quelle meticolose cure.
    «E stai anche facendo quasi tutto quello che volevo che facessi»
    Che impertinente, che faccia tosta.
    Non lo aveva ancora capito? Era davvero così stupido?
    «O magari sto facendo quello che volevo fare io
    Quella volta ricambiò il bacio, e inseguì la lingua di Adam in una danza familiare e nella quale entrambi erano avvezzi, mordendo le labbra e continuando a far lavorare la mano esperta nella maniera che sapeva avrebbe fatto impazzire il Cox entro breve, suo malgrado influenzato egli stesso dagli effetti di quei gesti impudici.
    Poi, d'improvviso, si staccò da Adam e liberò l'erezione del tassorosso dalla presa, lasciandolo annaspare in cerca di aria mentre si divincolava dal suo lascivo abbraccio, e gli sorrideva beffardo. «Io posso smettere quando voglio, Cox.»
    Sapeva di poterlo fare.
    Ma la vera domanda era: voleva farlo?
    Cercò di convincersi che la risposta fosse sì, che volesse, che volesse avere il controllo di quella situazione e accendere o spegnere la propria eccitazione come fosse un interruttore — eppure non funzionava così. Perché Adam aveva il brutto vizio di prendersi qualsiasi libertà con Tyler, e Tyler quello di lasciarlo fare, al punto da scollegare persino il proprio cervello per qualche minuto e bearsi di quel silenzio immacolato di cui si beavano tutti quelli con un QI inferiore al suo; quando era tra le braccia del tassorosso, Tyler Wood diventava argilla pronta ad essere modellata con cura ed esperienza da mani che sapevano esattamente ciò che stavano facendo.
    Odiava sentirsi così.
    Dare tutto quel potere a qualcuno, persino ad Adam, lo faceva sentire debole, una nullità, inaffidabile. Se amare voleva dire dare agli altri la possibilità di esercitare su di lui un tale potere, Tyler non era sicuro di essere disposto a farlo. Neppure con Adam Cox. Non gli piaceva sentirsi privato del controllo su se stesso, sentirsi manipolabile e vano.
    Ma sapeva anche di non avere più possibilità di decidere, non quando si trattava di Adam.
    Era troppo tardi.
    E l'unica cosa che poteva fare era prendere le distanze dal minore — emotivamente, e fisicamente. In quel momento più che mai.
    Raggiunse dunque il bordo della vasca, senza guardare mai neppure per un secondo il tassorosso, e prima di tuffarsi (e sperare così che il silenzio e la calma dell'acqua calda mettessero a tacere tutte le altre voci) ricordò al Cox: «dovresti andare via» per il benessere psicologico di entrambi.
    Di Tyler sicuramente.
     
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    Adam amava giocare. Con gli altri, con il mondo, con la vita. Per lui, ogni cosa era un grande, immenso gioco. Un gioco molto speciale, dove non c’erano vincitori né vinti, ma solo divertimento. Un gioco infinito, in cui anche i sentimenti e le emozioni negative, come dolore o tristezza, erano in realtà volti a un fine più grande, a quel senso di appagamento e di gioia che tutti meritavano, dalle piante, agli animali, agli esseri umani.
    Anche Tyler faceva parte di quel gioco.
    Anzi, ne componeva la parte più bella e divertente. Era il tassello in grado di fargli provare più piacere, più felicità.
    Sapeva che, se gli avesse detto che quello tra loro era un gioco, l’avrebbe schernito e, assurdamente, forse gli avrebbe persino dato ragione. Avrebbe detto che sì, era un gioco e nulla più, un gioco che portavano avanti da troppo tempo e a cui si era stancato di giocare. Una serie di menzogne, naturalmente, una dopo l’altra. Dopotutto, il Wood era un maestro in quel genere di gioco. Vinceva sempre, nel gioco delle bugie.
    Ma non comprendeva che, nel gioco di Adam, non poteva esserci un perdente. Vincevano tutti, e dunque non vinceva nessuno. Il concetto di sconfitta non aveva senso, per lui, anche perché, altrimenti, avrebbe significato rinunciare alla vita. il suo gioco, al contrario, era bello perché tutti erano sempre allo stesso livello e potevano andare più in alto, ancora e ancora, verso l’infinito, solo tenendosi la mano, solo insieme.
    Adam non voleva cambiare Tyler. Voleva accoglierlo. Ci provava, ogni giorno, tra un insulto e l’altro, tra una battuta e un’occhiataccia, tra un bacio dato di nascosto e l’ennesimo commento tagliente e sprezzante. Eppure non bastava, non bastava mai. Perché il Wood era il primo a non volersi accogliere. Il tassorosso non credeva in quelle cazzate dell’amare prima sé stessi per poter amare ed essere amati dagli altri, semplicemente perché gli risultavano incomprensibili. Come si poteva non amare ogni cosa? La vita, il mondo, gli altri… e sé stessi, appunto?
    Ogni giorno, però, il serpeverde sembrava determinato a dimostrargli il contrario. Certo, apparentemente non c’era nulla che amasse più della sua stessa persona, tanto nella mente quanto nel corpo. Tuttavia, quella era solo la stronzata che raccontava non solo al resto del mondo, ma anche a sé stesso, aggiungendo ogni istante un nuovo strato a quell’armatura apparentemente inscalfibile.
    Avrebbe voluto affondare le dita in quel cervello tanto intelligente da essere così stupido per costringerlo a vedere davvero il mondo. Non necessariamente come lo vedeva lui, anzi, sarebbe stato strano, sbagliato persino; a vederlo e basta, per quello che era. E a vedere, in questo modo, anche sé stesso. Il ragazzo meraviglioso che aveva il terrore di amare, che preferiva nascondersi dietro tutto il resto, lo stronzo egoista cinico insopportabile odioso dito nel culo.
    Certo che Tyler era prevedibile.
    Ma non per questo non sussultò, sorpreso e soddisfatto, quando, questa volta, fu lui a baciarlo. A baciarlo per davvero. Rise nella sua bocca, non volendo neanche accidentalmente interrompere quel contatto tanto sospirato per qualcosa che sì, amava fare, ridere, ma mai quanto quello che stava già facendo, e con Ty. E non perché avesse paura che, facendolo, l’incanto si sarebbe interrotto… Ad ogni modo non aveva né voglia né modo di concentrarsi su altro, adesso che le sue labbra e la sua lingua e le sue mani e la sua tensione lo sfioravano, lo toccavano, lo reclamavano. Partiva già svantaggiato, visto quello che stava facendo ancora prima che Tyler arrivasse, e i movimenti decisi ed esperti della mano di lui acceleravano solo l’inevitabile. Be’, poco male. Sapevano entrambi che i suoi tempi di ripresa erano eccezionali persino per un sedicenne. Evidentemente il suo corpo la sapeva lunga, proprio come Adam stesso. Mentre con una mano continuava a saggiare la tonica morbidezza del suo fondoschiena, quella che solo ore e ore di allenamento, e non solo in palestra, potevano dare, con l’altra scivolò nella scanalatura, carezzandolo sempre più giù, fino a provocarlo nella parte più sensibile. Sì, non vedeva decisamente l’ora di tornare a marcare il territorio con la lingua e i denti e…
    Boccheggiò, strabuzzando confuso gli occhi come se si fosse appena svegliato da un bel sogno, o come faceva ogni volta che riusciva a mettere il naso fuori dal castello, trovandovi stranamente la luce del sole. Odiava avere così poca resistenza alla luce, anche perché, al contrario, avrebbe dovuto esserci abituato, visto che, se fosse stato per lui, avrebbe passato ogni secondo all’aria aperta.
    Ma ora il problema era un altro.
    Tyler non lo stava più baciando.
    Invece di toccarlo, gli sorrideva con quella faccia da schiaffi che avrebbe voluto demolire con le labbra.
    «Io posso smettere quando voglio, Cox.»
    Sbatté le palpebre una, due volte. E rise.
    «Puoi, sì.» Perché, perché, perché doveva fare così? Perché dovevano fare così, entrambi? Tyler con il suo allontanarsi, Adam con il suo schernirlo e schernirsi, come se tutto fosse un gioco. E sì, lo era, per lui, un gioco, ma era il gioco più importante, e più bello, di tutti. Quante volte Daisy aveva minacciato di legarli schiena contro schiena e chiuderli in una stanza dove potessero sentirsi ma non vedersi e, ancora di più, non toccarsi? Dove, privati dell’aspetto fisico, sarebbero stati costretti a parlare davvero, una volta per tutte?
    «Ma lo vuoi Perché il punto era sempre quello, e la sua era una domanda retorica. Adam sentiva che era così, ma non lo sapeva. Non lo sapeva perché Tyler non gliel’aveva mai detto. Perché in quella bellissima e intelligente e stupida e durissima testa non voleva entrare il più semplice dei concetti: nell’amore non c’era controllo, né debolezza. Nell’amore c’era solo, semplice, puro amore.
    Si morse la lingua per non ripetere quella domanda, i pugni stretti lungo ai fianchi per impedirsi di scattare nella direzione del serpeverde. Adam era in attesa. Sentiva, e in questo caso sapeva anche, che sarebbe stata un’attesa vana. Ma era stupido, o forse era solo un inguaribile romantico che riusciva a vedere solo il bello e il buono nelle cose e nelle persone, e soprattutto in Tyler Wood, per cui ci sperava.
    E, a proposito di morsi, il suo era ancora lì, ben evidente sulla natica sinistra del moro. Ora poteva vederlo chiaramente. Un sorrisino impertinente gli si dipinse sulle labbra e non se ne andò neanche quando Tyler si voltò per gelarlo con quell’ennesima, e inutile, richiesta: «dovresti andare via».
    Incosciente e menefreghista non prese nemmeno in considerazione l’idea che, scattando, sarebbe potuto scivolare per via dei piedi ancora bagnati. L’unica cosa che voleva era raggiungerlo. E così fece, afferrandolo per i fianchi fino a sfiorargli prima una spalla, poi un orecchio, con le labbra. «No», vi soffiò contro, a voce bassa ma decisa. «Lo sai che sono troppo idiota e… com’è che era? Sprovveduto Ridacchiò facendogli il verso, mentre respirava beato il suo odore. Era inevitabile, data la posizione, che i loro corpi si sfiorassero, ma cercò stranamente di darsi un contegno e di non fargli sentire troppo la propria presenza, anche se il calore emanato dalla sua pelle era irresistibile. Si schiarì la voce e tornò a imitarlo: «Sono troppo idiota e sprovveduto per rispettare le regole, giusto? Anzi, anche solo per capirle…» Gli strinse maggiormente i fianchi, con fare protettivo, quasi avesse paura di vederlo fuggire di nuovo. E ce l’aveva, in effetti. Così come temeva che gli avrebbe piantato un gomito nello stomaco, o peggio. Ma era disposto a rischiare, se la posta in gioco era quella. Gli avvolse il bacino con un braccio, o almeno, ci provò, perché non poteva resistere ancora senza andare a circondargli con le dita l’erezione che, per quanto Tyler fingesse il contrario, aveva visto e soprattutto sentito benissimo crescere contro di sé, solo pochi istanti prima.
    Voleva solo farlo stare bene… Si mosse contro di lui, a un soffio dal perdere il controllo. No. Adam Cox non era di certo un gentleman, e non desiderava nemmeno esserlo, ma doveva finire di esprimere un concetto, adesso. O almeno, doveva provarci. «Non vado da nessuna parte. Sono qui. Con te
    E così dicendo molleggiò le ginocchia e fece cadere entrambi in acqua, senza lasciar andare Tyler.
     
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