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  1. .
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    hwang daehyun grey
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    C’erano frasi che lasciavano sul palato l’amaro retrogusto di una promessa che si aveva fallito a mantenere, e il «voglio solo che tu sparisca dalla faccia della terra» di Ethan era riuscito a convogliarlo perfettamente tra le labbra serrate del neo special. Nonostante il sentimento fosse reciproco, Grey era intenzionato a far sparire l'altro con le proprie mani, senza concedergli neanche solo il tempo di poter formulare un piano per farlo a sua volta — di tempo, ne avevano avuto moltissimo entrambi. Ora era giunto il momento della resa dei conti finale.
    Sottolineò quel sentimento spingendo la lama appena più affondo, ancora stando ben attento a non lacerare né abiti né pelle; non era quello il posto, e Grey era una persona fin troppo paziente per perdere la calma proprio ora, dopo anni di estenuante attesa.
    «se vuoi aprire vecchie ferite, dovresti affondare di più il coltello»
    Non aveva nemmeno bisogno che fosse Ethan, con i suoi fottuti insiti suicida, a dirgli cosa dovesse o non dovesse fare — a dargli istruzioni su come fare il proprio lavoro. Non affondò il coltello come gli era stato suggerito di fare, ma indurì invece lo sguardo privo di empatia che riservò all'altro.
    Che, per inciso, parlava davvero troppo. Di cose del tutto inutili e per niente relative alla loro questione in sospeso, per di più.
    «bondage? qui davanti agli occhi di tutti? kinky.» Avrebbe dovuto saperlo meglio di così, Ethan, che quel genere di provocazioni non funzionavano sul Hwang — o mahari no, perché in effetti il Lynx non sapeva davvero nulla riguardo Grey, e quest'ultimo non aveva alcuna intenzione di ribaltare l'ordine delle cose. Ethan era solo un obiettivo, un bersaglio da centrare dopo averlo mancato la prima volta.
    Non ricambiò il finto sorriso dell'americano, non trovandone il senso o la necessità, ma non poté fare a meno di rispondere con un banale (e francamente scontato) «è proprio quello che ho intenzione di fare» al «pensavo volessi uccidermi.» sussurrato da Ethan.
    Ci stava lavorando.
    Era ciò che avrebbe fatto di lì a poco.
    (Spoiler: o forse no.)
    Lo guidò fuori dalla sala, verso le cucine, e poi ancora fuori, attraverso la porta che dava sul retro, il tutto senza perderlo di vista — nonostante quest'ultima si fosse rivelata essere più bugiarda e inaffidabile del solito, troppo fuori fuoco per i gusti di un Grey che, a quanto pareva, doveva aver peccato di superbia ed eccesso, nel tenere il mago sotto il controllo del proprio potere così a lungo, e con una così forte intensità.
    Col senno di poi, dunque, fu solo ed esclusivamente colpa sua: per aver strafatto, stringendo una morsa intorno ad Ethan più stretta di quello che avrebbe potuto permettersi, e per non aver prestato attenzione al Lynx, uscendo dal locale, impegnato piuttosto a sorreggersi contro la parete esterna del PP senza farlo risultare un gesto troppo ovvio — la fatica e la stanchezza derivante dall'uso improprio del potere doveva rimanere una faccenda sua, e solo sua. Così come il fatto che non fosse inscalfibile e intoccabile come dimostrava di essere.
    L'incantesimo di Ethan lo vide partire all'ultimo secondo, un gesto del polso sconosciuto ad un Grey che della magia non aveva mai saputo cosa farsene, conosciuta solo a livello basilare per essere pronto in battaglia — ma evidentemente non così tanto da conoscere ogni singolo movimento, e il relativo incantesimo associato al gesto. Non gli importava comunque, non quando rimaneva un attacco come un altro.
    Lo accolse come tale, e tentò di scartare di lato, sempre rimanendo attaccato alla parete, per poi alzare uno dei coperchi in latta dei secchi della spazzatura lì accanto, e indirizzarlo verso l'avversario, come distrazione fintanto che non fosse riuscito a rimettersi dritto sulle proprie gambe.
    «riprendiamo da dove c'eravamo lasciati»
    Aveva detto Ethan; e per la prima volta da quando si conoscevano, Grey era d'accordo con lui.
    people tell me I'm like a cat:
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    & emotionally unavailable.



    DIFESA: prova a scansarsi
    ATTACCO: gli spedisce contro il coperchio di un secchio della spazzatura
  2. .
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    1997 | geokinetic
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    "contantemi!", disse, e poi arrivò all'ultimo minuto senza nemmeno idea su cosa stesse accadendo. Ma sapete cosa? Si tratta di Grey, noto per il suo disarmante disinteresse nei confronti di chiunque altro – considerando, poi, che avesse già adempiuto alla missione per cui era lì, e nulla gli vietava di girare i tacchi e andarsene ora che Vin era libera – e Kyle, un altro asociale per di più currently sotto effetto di (acidi) qualche droga, perciò amen.
    100 parole, di cui 99 di incipit stupido e inutile, e si vola.
    Prima cosa: già che c'era, e solo perché una distrazione in più avrebbbe potuto coprire una sua eventuale fuga, con un gesto della mano fece scattare la serratura delle manette di una coppia trovata lì per caso, poi tornò nella mischia, coltellini alla mano pronti ad essere lanciati contro Bubbles, sia per difesa che per attacco (yay!!) perché non ho idea di come stia attaccando, Javi, scusa.
    E Kyle? Kyle spara YAY non importa chi (davvero, non è colpa sua, è la droga) (Papà ethan, aiutalo tu) Letteralment!!! Vins in mio soccorso mi dice che difende chouko e attacca danny quindi difende choukone attacca danny!!



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    (5) DIFESA JAVI ( grey + ellis): tira coltello
    ATTACCO BUBBLES (john+ grey + seb): tira altro coltello
    — (GREY) breccan & iris
  3. .
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    Erano... successe cose.
    Mamma che difendeva papà e creava zombie con i corpi dei mercenari caduti (cosa a cui Wren s'era costretto a non pensare, colpiva un po' troppo vicino a casa); Yejun che faceva saltare per aria tutti quanti con un bombarda; gente a cui esplodevano le cervella (o forse quello era nella spa); Ellis che sbagliava arma e usava il fucile come una mazza da baseball (ma quello rientrava nella normalità per la Drinkwater); insomma, cose.
    Wren aveva un po' perso il filo, concentrato più che mai a non uccidere nessuno: i suoi attacchi erano sempre stati non letali, e si era impegnato il più possibile a non imprimere mai eccessiva forza nelle swingate di bō. Certo, odiava i soldati che continuavano ad ostacolare il loro cammino, ma capiva anche che fossero solo quello: pedine, mosse da qualcuno che con ogni probabilità avrebbe mostrato la sua faccia solo alla fine. Forse. Non voleva macchiarsi le mani di altro sangue; non se poteva fare qualcosa per evitarlo.
    Aveva difeso e attaccato e difeso ancora e attaccato ancora, in attesa di uno spiraglio che gli permettesse di raggiungere, finalmente!, Lapo. Non si era dimenticato perché fosse lì, come avrebbe potuto? E quando finalmente lo vide aprirsi, tra un nemico caduto e l'altro, non ci pensò due volte prima di scattare in avanti, tutto il corpo proteso verso l'unica cosa che l'avesse tenuto sano in quegli ultimi, terribili, otto mesi. Corse ancora prima di rendersene conto, e quando si ritrovò a pochi passi dal Linguini, cadde in ginocchio e gli prese il viso tra le mani, premendo le labbra contro quelle del minore perché vaffanculo erano stati dieci giorni terribili e cristodiomadonna temeva di averlo perso per sempre e non gli fregava nemmeno che ci fosse una Weasley legata a Lapo, o occhi sconosciuti a fissarli sgomenti perché, dude, quelli hanno i lanciagranate e tu baci il tuo tipello?
    Sì, cazzo. Sì.
    «mi sei mancato» soffiò sulle labbra dell'altro, prima di ricordarsi che il tempo era un denaro prezioso e che non potesse permettersi di spenderne troppo altro; che dovesse liberarlo prima che qualcuno provasse ad impedirglielo; che la battaglia non era ancora fottutamente finita. «ti amo, ok? avevo preparato una sorpresa!» cazzo, Lapo, aveva una sorpresa!! Gli sorrise, morbido, accarezzando le guance pallide con un pollice, e poi studiò velocemente le manette per pensare ad un modo efficace e veloce con cui librarli. Forse ce l'aveva. «uh, spero di non prendervi» insomma, metteva le mani avanti.
    Prese un sasso poco distante, forse residui di una colonna andata in polvere durante lo scontro, e lo strinse nel pugno, battendolo poi sulla corta catenella che univa le manette d'acciaio. Mh, in effetti «non la via più veloce» ma va beh.
    E intanto, distratto dalla sua missione di recupero e salvataggio, non s'era nemmeno accorto che qualcuno stava tentando di tirargli un paio di occhiali da sole addosso. Non poteva fregargli di meno.
    Grey, al contrario, aveva notato Aldo scattare in avanti, e l'aveva preceduto, scagliando un coltello per colpirlo all'altezza della vena che c'è sotto l'ascella, sono sicura ce ne sia una ed è anche importante. Un altro coltello, poi, venne indirizzato verso l'orecchio dello stesso Aldo, proprio mentre Kyle imbracciava un fucile trovato a terra e sparava due o tre colpi alla schiena del povero cristo.
    (Aldo, non Grey.)
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    (2) DIFESA WREN (grey + kyle): lancia un coltello sotto l'ascella (grey) + spara alla schiena (kyle)
    ATTACCO ALDO (grey + kyle): lancia un coltello verso l'orecchio (grey) + spara alla schiena, di nuovo! (kyle)

    CODICE
    <b>(2) DIFESA WREN (grey + kyle):</b>
    <b>ATTACCO ALDO (grey + kyle):</b>

    <b>(5) DIFESA VINC (mina + veena):</b>
    <b>ATTACCO CYLENO (mina):</b>

    WREN LIBERA LAPO&CHELSEY
    MINA LIBERA MIRA&DIAZ
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    Al prossimo giro, aveva detto Grey. E tante cose potevano essere dette sul Hwang, ma non che non fosse un uomo di parola.
    Non ebbe bisogno di pensarci due volte, non c'erano ostacoli o parole o minacce che potessero fermarlo in quel momento, il suo sguardo era fisso sulla figura dell'empatica e non vedeva nient'altro; dopo aver liberato Kai e la ragazza, scivolò tra gli ostaggi ancora a terra, senza preoccuparsi delle loro condizioni perché non gli fregava assolutamente nulla.
    Era quasi vicino a Vin quando il bombarda di Yejun fece sbalzare indietro chiunque — nemici, compagni, ostaggi. Nell'espressione che il Hwang rivolse al ministeriale, ora, c'era una rinnovata frustrazione: come diavolo gli saltava in mente di fare una cosa del genere, era quello che insegnavano al ministero? Mpf. Possibile che non sapessero lavorare pulito, quegli inglesi?
    Lui non era stato colpito dagli effetti dell'incantesimo, ma lo stesso non poteva dirsi della Diesel, che Grey fu veloce ad affiancare, e liberare dalle manette con un cenno rapido della mano: quello era davvero il minimo sforzo, per lui, che col suo potere si era allenato costantemente per quasi un anno.
    Non le disse nulla, ma le posò una mano sulla spalla e quello, più di qualsiasi altra cosa, sarebbe bastato a convogliare tutto quello che Grey provava: non serviva che Vin riuscisse a leggere le sue emozioni per riconoscere la preoccupazione nello sguardo scuro e torvo, e nella presa delicata che stringeva la spalla magra della sua collega e socia. Accucciato di fronte a lei, le disse solo: «puoi andare, se vuoi» preferirei lo facessi, pensò, ma sapeva che sarebbero state parole inutile quanti almeno l'invito ad allontanarsi da lì — voleva comunque che Vin sapesse che avesse una scelta, e che Grey avrebbe accettato qualsiasi scegliesse di fare. «ho un conto in sospeso» si scusò poi, perché non era bravo a interagire, nemmeno con chi lo conosceva meglio e più a fondo di chiunque altro in quel fottuto paese, «ce ne andiamo presto» e avrebbe mantenuto quella promessa a qualsiasi costo.
    Non ebbe nemmeno per un attimo il pensiero di chiedere come stesse, perché era una domanda stupida: nessuno di loro stava bene, ma lo sarebbero stati.
    Si rigettò nella mischia prima ancora di aver finito di salutare Vin, e affiancò Sharpy con un movimento veloce, e prima che potesse accorgersene, tirò fuori un altro coltello e lo infilzò nel fianco del mercenario, girandolo poi un paio di volte nella carne morbida.
    Il tutto, mentre Wren prendeva il suo bastone e lo dava in testa allo stesso Sharpy. BOINK!
    Intanto Kyle, salvato dalle manette da una Wind che riconobbe solo perché fellow rebel, figuriamoci, e ancora intontito dalla droga che gli avevano somministrato via aerea per renderli inoffensivi durante il trasporto al piano inferiore, si avvicinò ad Ethan e: «tu sei» mio papà «quello della foresta!» e via di spallata perché «vogliono congelarti» easy e ovvio. E poi da un calcio a Sharpy perché non ha ancora afferrato un'arma nella mischia.
    Magari aveva bisogno di ancora un attimo per riprendersi.
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    FIRST THINGS FIRST: GREY LIBERA VIN E SCARLETT
    (20) DIFESA ETHAN (grey + mina + kyle): accoltella Sharpy al fianco (grey) + sposta ethan con una spallata (kyle)
    ATTACCO SHARPY (wren + kyle): bastonata in testa

    CODICE
    <b>(20) DIFESA ETHAN (grey + mina + kyle):</b>
    <b>ATTACCO SHARPY (wren + kyle):</b>

    <b>(2) DIFESA GREY (ethan + javi + dani):</b>
    <b>ATTACCO GHALI (ethan + dani):</b>

    <b>(4) DIFESA CHOUKO (javi + wind + corvina):</b>
    <b>ATTACCO DARGEN (chouko):</b>

    <b>(9) DIFESA VINC (wind + giacomino + dani):</b>
    <b>ATTACCO CYLENO (wind):</b>

    <b>(8) DIFESA ELLIS (mina + ethan + corvina):</b>
    <b>ATTACCO CROZ (mina + corvina):</b>

    GREY LIBERA VIN E SCARLETT
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    «GUAGLIO' MA CHE CAZZO URLI URLI GUARDA CHE IO URLO PIÙ FORTE. MI STAI SFIDANDO?? EH?? EH????? GUARDA COME URLO PIÙ FORTE AAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH»
    Fu automatico, per Wren, cercare nuovamente tra gli ostaggi lo sguardo di Lapo, e sorridergli. «sicuro non sia vostro parente lol» gridò, divertito — e infondo, di Linguini ne spuntavano da ogni parte, come i funghi, chi poteva dirlo; magari era quello asiatico. Di certo, aveva un po' dell'italiano (ma quello del sud) (persino Wren aveva chiaramente vibes da italiano del sud, glielo avevano detto un sacco di Linguini) (un sacco: Lollo e Lux) (Lapo si era dissociato dal commento).
    Tornò poi a concentrarsi sulla battaglia, dopo aver ringraziato Yejun per l'assist nel far fuori il cantante improvvisato; gli diede persino una mano a ritirarsi su da terra. Sentiva che, se fossero usciri vivi da li, andare a prendere una birra con il pavor non gli sarebbe dispiaciuto. Un sorriso a metà volò in direzione di Wind — la ribellina se l'era scelto bene, Wren era molto contento per lei, e per loro. Nonostante tutto, rimaneva un grande fan dell'amore.
    E, a quel proposito, si sentiva già di cuore adottato da Mina e John: erano bellissimi, proprio otp material e otp goals. Era così che ci si sentiva a passare la vita con la persona che si amava? Sembrava... bellissimo, seppur sfiancante. Pensó distrattamente di chiedere qualche consiglio ai due su come portare avanti una relazione (avevano l'aria di due che condividessero qualcosa di sano, e terribilmente sincero) ma non gli sembrava il caso.
    Avrebbero avuto tempo dopo, sperava!
    Intanto, si sarebbe impegnato ad aiutare affinché ne uscissero tutti vivi, perciò prese il bastone e lo swingò con forza verso l'addome di Buck, per impedirgli di spazzare via John con una folata di vento, e poi, facendo una mezza piroetta, lo agitò per colpirlo al viso. «lascia stare papà» sipario.

    E intanto Grey, avvicinatosi agli ostaggi, ne approfittò per far scattare la serratura delle manette che legavano Kai ad una moretta che lo special non conosceva. Avrebbe voluto correre da qualcun altro, perché che cazzo gli fregava di liberare suo fratello colui che aveva occupato casa sua mentre Grey era in Siberia, ma la persona che cercava era troppo distanze.
    Al prossimo giro.
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    (4) DIFESA JOHN (mina + wren): bastonata all'addome
    ATTACCO BUCK (wren): bastonata in faccia

    ++ grey libera kai e veena

    CODICE
    <b>(4) DIFESA JOHN (mina + wren):</b>
    <b>ATTACCO BUCK (wren):</b>

    <b>(11) DIFESA WIND (wind + yejun):</b>
    <b>ATTACCO ETHOS (yejun):</b>

    <b>(10) DIFESA CHOUKO (ellis + ethan):</b>
    <b>ATTACCO DARGEN (ellis):</b>

    <b>(20) DIFESA VINC (vinc + mina):</b>
    <b>ATTACCO CYLENO (mina):</b>

    <b>(9) DIFESA GREY (ellis + giacomino):</b>
    <b>ATTACCO GHALI (giacomino):</b>

    grey e wind liberano gli ostaggi:
    kai & veena (grey)
    dani & kyle (wind)
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    Wren aveva creduto di aver perso tutto all'alba del primo giugno dell'anno precedente, quando la sua anima aveva smesso di essere sua e la sua vita aveva preso una piega di cui non andava assolutamente fiero.
    Poi Lapo era sparito.
    E Wren si era reso conto, stupidamente e in maniera improvvisa, una gettata d'acqua gelida ricevuta in pieno volto, che qualcosa da perdere ce l'aveva ancora. Ce l'aveva avuta — e l'aveva persa.
    Non era stato l'unico, ma svegliarsi quella mattina e non trovare il Linguini lì dove s'era aspettato di trovarlo, nudo accanto a lui nel letto che continuavano a condividere nonostante tutto, l'aveva destabilizzato; nel rincoglionimento mattutino, il post sbronza e post qualsiasi altra cosa avessero mandato giù la notte precedente a rendere sconnessi e densi i primi pensieri coerenti, aveva semplicemente pensato che fosse andato a comprare la colazione — era pur sempre San Valentino, no? Magari voleva stupirlo. Wren ce l'aveva una sorpresa per il minore, era solo troppo presto per rivelarla.
    E quindi aveva aspettato. Aveva atteso, sdraiato nel letto del Linguini, pigro e con qualcosa a bruciare nel petto che si avvicinava a una qualche sfumatura di felicità e contentezza, pur non raggiungendole appieno.
    Aveva aspettato.
    Si era persino riaddormentato, per chissà quanto tempo. Di Lapo, al suo risveglio, ancora nemmeno l'ombra. L'aveva chiamato per l'appartamento, e poi al telefono. Si era ripetuto che magari Ginevra l'aveva trattenuto al Bar per quella o quell'altra emergenza. Aveva aspettato. Aveva preparato il caffè come l'italiano gli aveva insegnato, e aveva fottutamente aspetto.
    Ma la pazienza non era mai stata una virtù degli Hastings. E a mattinata inoltrata, aveva smesso di aspettare. Aveva rimesso i panni della sera prima, e aveva raggiunto il Bar dello Sport, annunciandosi con uno stupido se la colazione non viene da me, vado io dalla colazione prima di essere informato dagli altri Linguini che Lapo non fosse li.
    «nun po' manco entrà» gli aveva detto Lollo, scherzando (ma non troppo) e indicando il poster affisso all'entrata dove la foto di un cane e quella di Lapo osservavano curiosi i clienti e i passanti; sotto una delle due c'era scritto IO NUN POSSO ENTRÀ e non era la foto dell'adorabile cagnone.
    E più o meno lì si era fatta sempre più prepotente quella sensazione alla bocca dello stomaco che per ore Wren aveva ignorato, riuscendoci, perché ad ignorare i problemi era sempre stato bravissimo; e poi Gin aveva ricevuto una telefonata che aveva messo in allerta non solo i Linguini in UK, ma tutti quelli presenti nel Bel Paese; anche Ciruzzo non si trovava più.
    E così, nei giorni successivi, moltissimi altri.
    Giovani e adulti, ribelli e mangiamorte, uomini e donne. Ragazzini. Altri come lui: Sinclair. Moka.
    Melvin.
    Proprio quando Wren aveva creduto di non avere più nulla da perdere, si era reso conto che non fosse vero, e che avesse ancora moltissimo che potesse essere sottratto dalle sue mani, troppo distratte e troppo spaventate per stringere ancora. E l'aveva perso.
    Voleva riaverlo indietro.
    Ed era per quel motivo che, pur andando contro se stesso e contro il buon senso che gli ripeteva fosse una pessima, terribile, idea quella di andare a farsi giustizia da solo, non quando non poteva essere certo di rimanere se stesso abbastanza a lungo da arrivare anche solo vicino alla traccia di Vittorio, s'era comunque presentato fuori dal Lotus.
    Insieme a tanti altri come lui, disperati di riavere indietro i propri cari.

    Mega respiro.
    Stacchetto.

    Un discorso quasi totalmente opposto valeva per Grey.
    Grey continuava a non avere assolutamente nulla da perdere — perché non aveva una famiglia, nonostante la lettera ricevuta mesi prima diceva ben altro. Si era sforzato molto per continuare a vivere la sua esistenza – perché chiamarla vita pareva un po' estremo – senza lasciarsi toccare dagli eventi che l'avevano ribaltata e rimessa in discussione, perché per lui non valevano nulla. E non aveva amici, Grey. Aveva qualche cliente fisso, dei rifornitori, dei gattini che provavano testardamente a cercare uno spazio che fosse per loro nel cuore nero dello special; aveva dei nemici, al massimo. Molti. Aveva dei target, degli obiettivi. Delle missioni.
    Ma aveva anche una Melvin.
    E avrebbe dovuto saperlo anni prima, quando aveva incontrato la micetta a quella stupida festa e aveva lasciato che lei leggesse il suo futuro in carte nelle quali Grey non credeva affatto, che affezionarsi – sebbene a modo suo, e per questo caratterizzato dall'imperfezione di chi non fosse abituato a farlo – sarebbe stato un problema. Nello specifico, un suo problema.
    Il fastidio dei primi giorni di ingiustificata assenza dal negozio era stato, in breve, soppiantato da una sterile e impassibile consapevolezza che fosse successo qualcosa, quasi una certezza, che fosse successo qualcosa, quando, recandosi al Lilum, il Hwang aveva scoperto che Vin si fosse assentata anche dall'altro lavoro.
    Lei, e un paio di altre ragazze, gli aveva comunicato uno dei colleghi. Un ragazzo che non aveva battuto ciglio pure quando Grey aveva fatto scivolare silenziosamente una lama alla sua gola, minacciandolo di lasciarlo ad annaffiare l'asfalto umido del retrobottega se non gli avesse detto ogni cosa, anche l'informazione più stupida. Non che sapesse molto, e a quanto pareva l'ipotesi che qualche cliente un po' troppo affezionato le avesse prese per qualche psicopatica idea, magari tenersele come ballerine private, non era da escludere.
    Era quello che si provava ad avere una persona per cui valesse la pena mettere a ferro e fuoco il mondo? Era orribile. Quell'urgenza di prendere qualcuno e stringere col proprio potere fino a renderlo incosciente; di affilare le lame e premerle contro la carne morbida e spillare sangue. Di riavere indietro quell'unica persona che, nonostante tutto, lo rendeva umano.
    Se aveva accettato la proposta di Ryuzaki (e non lo aveva accoltellato nel momento stesso in cui l'aveva sentito imboccare nel suo appartamento) era solo perché sapesse già, nel suo cuore, che non si sarebbe fermato fino a che non avesse ritrovato Melvin.

    Altro stacchetto.

    Il resort, in un altro contesto, sarebbe piaciuto parecchio a Wren; e persino a Lapo, ma dubitava sarebbero tornati molto presto a soggiornarvi, PTSD and all that. C'era comunque qualcosa che non quadrava, una sensazione sulla pelle che Wren non riusciva a scrollarsi di dosso, diversa dalla consapevolezza di essere un burattino imprevedibile nelle mani di un folle.
    Lo metteva in allarme, e gli faceva venire la pelle d'oca. Con una rapida occhiata ai compagni, decise che fosse una sensazione comune. Il ché non lo rassicurò affatto.
    E il cuore, subito dopo, perse diversi battiti nel riconoscere, tra gli ostaggi riuniti alle spalle dei mercenari, i visi familiari delle persone scomparse.
    Impossibile per Wren non concentrarsi su uno, e dovette fisicamente lottare contro se stesso, e contro gli uomini e le donne pronti ad attenderli, per non correre verso Lapo e stringerlo a sé. Una cosa alla volta. Guardò quello che – gASP! – solo pochi minuti prima, all'ingresso del Lotus, aveva scoperto essere il fratello del Linguini, e pregò forte che riuscisse anche lui a mantenere la mente lucida: non gli sembrava un tipo particolarmente impulsivo, voleva pregare di non essersi abagliato.
    Usò il bastone per allontanare il mercenario diretto nella sua direzione, scacciando la sensazione di confusione innescata dall'uomo (uno special, probabilmente) e concentrandosi sulla missione. Non potevano sbagliare, la posta in gioco era troppo alta.

    A Grey, invece, del dove fregava molto poco. Aveva altre priorità, e non sarebbe importato fosse stato un hotel, il fottuto Sahara, o la luna: avrebbe ucciso ciascuno di quegli ostacoli fatti di carne ed ossa pur di raggiungere Vin. Avrebbe ucciso persino Ethan, ma quello solo per soddisfazione personale: perché poteva, e perché era una promessa ormai che si portava dietro da troppo tempo. Troppo anni. E che aveva rinnovato anche quando il mago era tornato al PP accusandolo di esser stato lui a rapire quello o quell'altro amico — Grey gli aveva assicurato che se fosse stata opera sua, Ethan l'avrebbe saputo.
    Quando lo affiancò, in silenzio e muovendosi con passi leggeri come da abitudine, ne approfittò per ricordarglielo ancora una volta. Richiamò a sé il coltello appena scagliato contro Sharpy, e poi lo lanciò di nuovo, puntando alla giugulare.
    «non posso lasciare ti uccidano altri prima di me»
    Che in qualsiasi altro contesto avrebbe dato l'impressione di essere l'inizio di una enemies-to-lovers slow burn hurt/confort, ed invece era una promessa ed una minaccia, tutto insieme.
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    (12) DIFESA WREN (wren + vinc): lo attacca col bastone
    (10) DIFESA ETHAN (grey + ethan): tira un coltello
    ATTACCO SHARPY (grey): tira un altro coltello

    CODICE
    <b>(12) DIFESA WREN (wren + vinc):</b>
    <b>ATTACCO GHALI (vinc):</b>

    <b>(6) DIFESA VINC (vinc + yejun):</b>
    <b>ATTACCO CYLENO (yejun):</b>

    <b>(10) DIFESA ETHAN (grey + ethan):</b>
    <b>ATTACCO SHARPY (grey):</b>
  7. .
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    Incredibile, ma non così inaspettato, che le prime parole di Ethan rivolte a Grey fossero: «non sapevo fossi un gattaro».
    Patetico.
    «non sai nulla di me» e avrebbe continuato a non sapere assolutamente niente, lui come chiunque altro avesse la spiacevole fortuna di incrociare il cammino di Grey Hwang. C’era una sola eccezione a quella regola, e non aveva deciso Grey di farla diventare tale; eppure, anche con Melvin, tendeva dove possibile a tenersi i suoi segreti, a non mostrare nulla di più di quanto non avesse già fatto.
    Ethan era solo un sassolino gettato nello specchio d’acqua già in tormenta che era la vita di Grey, e non aveva contribuito a creare ulteriori crepe sulla superficie, già agitata e convulsa. Era solo un fastidio.
    «la prossima volta metti un cartello di divieto con la mia faccia, così magari mi è più chiaro»
    «non ci sarà una prossima volta»
    E, per sottolineare le sue parole, spinse leggermente la punta della lama invocata contro l’addome di Ethan. Il fatto di averlo a portata di coltello e bloccato sotto la forza (acerba, ma efficace) del proprio potere, lo stava avvicinando pericolosamente al baratro: non sarebbe riuscito a resistere ancora a lungo alla tentazione, quel sangue chiedeva di essere versato da così troppi anni che avere la possibilità di farlo lì, ed ora era troppo stuzzicante per poterla ignorare, o perdere.
    «tu non saresti mai dovuto essere qui.»
    Su quello il mago aveva ragione: stabilirsi in inghilterra era stata l’idea peggiore che Grey avesse mai avuto, e forse l’unico ordine in tutta la sua vita che avrebbe davvero dovuto ignorare. Aveva sconvolto la sua esistenza – e l’avrebbe fatto ancora, ma quello Grey ancora non lo sapeva – e il neo special detestava quel posto con tutto se stesso.
    Detestava ancora di più averci messo, suo malgrado, radici.
    «dovevo ucciderti quel giorno»
    Uh, la prima cosa in assoluto su cui erano d’accordo
    «ma non lo hai fatto, » chiuse del tutto la distanza tra loro con un ultimo passo, la lama a spingere sempre di più contro la stoffa, ma senza lacerare abiti o pelle, non ancora; «e non lo farai nemmeno oggi.»
    Né l’avrebbe fatto mai più, perché quel giorno si concludeva per sempre quella stupida faccenda.
    «stai agitando i gatti... e questo cat cafè sarebbe il tuo locale?»
    Si limitò a rispondere con un «sopravvivranno» appena soffiato, e con con testardaggine accentuò la presa sul potere, stringendolo ancora un po’ contro il ragazzo, sperando di aumentare il disagio in lui nel ritrovarsi bloccato sul posto e incapace di difendersi. Sentiva la fatica aumentare sempre di più, ed era abbastanza certo che se avesse continuato così avrebbe iniziato a mostrare anche i primi segni di una ripercussione fisica, come il rivolo di sangue a scendere dalla narice che spesso accompagnava le sue sessioni di allenamento un po’ extra; ma non gli interessava, era stato abituato a sanguinare per molto meno, Daehyun, e a resistere a molto di più.
    «non ho intenzione di scappare. e ora, se permetti»
    Non era uno stupido, lo special, e non avrebbe certamente concesso la stessa possibilità a chiunque altro: lasciarlo andare, e liberarlo dal potere, era qualcosa che non avrebbe mai accettato di fare se di fronte a lui ci fosse stato qualcuno di diverso da Ethan.
    Ma, suo malgrado, conosceva il mago e, soprattutto, riconosceva nel suo sguardo lo stesso identico bisogno di concludere quella faccenda una volta per tutte che sentiva anche in lui: Ethan non sarebbe scappato, il desiderio di porre fine alla vita di Grey era tanto almeno quanto quello, reciproco, del Hwang.
    Così, complice anche la stanchezza per aver tenuto su il potere così a lungo, e ignorando con risolutezza il principio di vertigi, Grey liberò Ethan e lasciò che si muovesse all’interno del locale, mantenendo lo sguardo fisso su di lui. «da questa parte.» Il retro del locale, accessibile solo da una porta di metallo situata nella cucina, era sicuramente il posto migliore dove risolvere quella questione: lì dietro, nascosti da occhi indiscreti e protetti dalle alte pareti di mattoni e roccia, sarebbero stati liberi di sfidarsi fino all’ultimo battito.
    Quello di Ethan, ovviamente.
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    Di pazienza, il Hwang, non ne aveva mai avuta molta; aveva finto di averla, quando l’identità del momento l’aveva richiesto, ma da quando era tornato ad essere semplicemente Grey, aveva smesso di fingere o nascondersi dietro sorrisi accomodanti ed espressioni morbide che non gli appartenevano.
    Tutto quello, ovviamente, valeva anche all’interno del PP — e la cosa più strana di tutte era che i clienti, nonostante tutto, non ci facessero troppo caso. A nessuno davano fastidio le sue occhiate impassibili, o i suoi modi sbrigativi e poco cordiali; tanto, alla fine, era chiaro che andassero lì per altri motivi, più baffuti e pelosetti, e con la tendenza a rifarsi le unghie addosso alle gambe di legno delle sedie, e “il proprietario antipatico” veniva facilmente dimenticato ai primi accenni di fusa, o quando Vin faceva la sua apparizione nella sala.
    Un'altra ragione, quella, per cui vivere nel microcosmo del PussyPower lo faceva stare bene: non c'erano (quasi mai) problemi nel loro locale, e quelli che si presentavano di solito potevano essere risolti facilmente e senza troppe preoccupazioni.
    Ai clienti, poi, importava solo che il cibo fosse buono e i micetti di buon umore e contenti di farsi accarezzare e coccolare: potevano chiudere gli occhi (tutti, anche il terzo, nel caso della sua collega) di fronte al caratteraccio di Grey. Buon per loro.
    Fare il giro per i tavoli, una volta appurato che a nessuno (o quasi) importava di lui, era diventato meno pesante anche per lo stesso special: poteva farlo senza doversi costringere a stampare uno stupido sorriso sulle labbra, o senza beccarsi gli sguardi infastiditi dei clienti poco inclini a sopportare la sua ostilità. Era ancora molto lontano dall’essere nella sua zona di comfort, che rimaneva ancora (e per sempre) la cucina, ma quantomeno non provava più l’irrefrenabile voglia di accoltellare tutti quelli presso cui si fermava a prendere ordinazioni. Erano i piccoli successi che contavano!
    Come era prevedibile, non ricambiò il sorriso della ragazza bionda seduta al tavolo, e il fatto di averla riconosciuta come una cliente che era già passata di lì non era un motivo sufficiente per far addolcire la sua espressione, che rimase la stessa, implacabile e impassibile, di sempre.
    «un caffè, grazie, e il dolce più strano che avete. C'è qualcosa di particolare, oggi?»
    Abbassò lo sguardo per prendere appunti, e suo malgrado fu catturato da una foto vista di sfuggita sul cellulare dell’altra: poteva essere…? Strizzò le palpebre, mettendo a fuoco un viso che, suo malgrado, conosceva fin troppo bene, e si prese più tempo del previsto per ricollegare razionalmente l’espressione stupida del ragazzo nel selfie, al nome che rieccheggiava nella sua mente da anni: Ethan.
    L’ultima volta che si erano visti – proprio lì al PP –, ripensò lo special, non era finita bene; ma d’altro canto, cosa ci si poteva aspettare da due come loro, con così tante questioni in sospeso lasciate a marcire troppo a lungo, fino al punto da divorare anche una parte di loro, logorandola con sensi di colpa (da una parte) e attese di chiudere la storia una volta per tutte (dall’altra), se non esattamente quello?
    Ancora una volta, Grey non aveva fatto finire il mago sotto terra, ma era solo una questione di tempo. E tutto quello, nella mente del Hwang, era chiaro. Cristallino.
    Si rese conto di essere rimasto in silenzio troppo a lungo quando iniziò a percepire lo sguardo della ragazza su di lui, ma finse di non accorgersene e si limitò a scrollare le spalle. «strano? quanto strano? abbiamo,» e iniziò ad elencare i dolci del giorno con voce atona, «dei cupcake alla crema di limone decorati con fiori commestibili, una mousse mela e cannella, un gelato al cocco e pepe nero servito su uno strato di biscotti al cocco, un tiramisu al pistacchio, dei muffin carote e zucca, cheesecake ai tre cioccolati e frutti di bosco… la lista è lunga. » erano tutte ricette che Psy gli aveva mandato dal futuro — ma questo non lo disse, lo tenne per sé, un pensiero fugace sul quale non si soffermò troppo a lungo, preferendo rimanere ancorato al presente. «sono scritti lì.» indicò la lavagna poggiata sul bancone, dove ogni mattina modificavano la lista dei piatti del giorno, a seconda dell’umore dello chef. «melvin non c’è, è uscita. non so quando tornerà.» spiccio, sbrigativo: se era lì per la bionda, poteva decidere di aspettare o andarsene: a lui non interessava — e ok, non era così che funzionavano le attività commerciali, e senza clienti non sarebbero andati proprio da nessuna parte, ma non avrebbe costretto nessuno a rimanere se non era ciò che desideravano, sai quanto gli fregava!
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    Ok, una stabilito e chiarito che Grey non fosse un tipo simpatico – onde evitare di dare strane idee e creare aspettative nelle altre persone – il Hwang s’era aspettato che Ryuzaki riprendesse la sua lettera, e la sua foto, e levasse le tende.
    E invece no, era ancora lì, fastidioso e petulante, con i suoi «è una foto. una foto di famiglia. con la mia faccia e la tua» privi di senso; con il viso di Grey, che sorrideva dalla pellicola; e quello, a quanto pareva, di un Ryuzaki che Grey non aveva conosciuto neppure in quella vita; e il viso di Darden, di Jericho, sebbene entrambi presentavano qualche ruga in più; il volto di quel parassita che aveva occupato il suo appartamento durante la permanenza del cuoco in Siberia, e non l’aveva più lasciato.
    Nulla aveva senso.
    Perciò non commentò nulla; non i visi, non il fatto che Ryuzaki avesse affrontato un percorso del quale, francamente, a Grey non interessava, non il resto. Era fermamente convinto che fosse tutto falso, sebbene la domanda di Ryuzaki avesse senso, per quanto gli costava ammetterlo: «e perché qualcuno dovrebbe prendersi la briga di falsificare questa roba? cosa ci guadagnerebbero?» Con lui, probabilmente potevano cercare di screditarlo agli occhi della Yakuza — inventare nuove identità, segreti, un passato sconosciuto… che ne sapeva Grey, non era mai la mentedietro i piani, lui si limitava a portarli a termine; quanto invece a se stesso, non trovava neppure un motivo per cui qualcuno dovesse davvero prendersi la briga di falsificare una foto, o scrivere una lettera per lui. L’unica possibilità era che fosse stato Hajoon a contattarlo in quel peculiare modo, ma sentiva non fosse così — per quanto, comunque, desiderasse crederci; erano mesi che non sentiva l’uomo, quasi un anno, e la pazienza di Grey stava rasentando il limite.
    Voleva risposte.
    Il pugno, come sentendolo, si chiuse istintivamente sulla missiva che stringeva fra le dita: che fosse quella la risposta che cercava? Ne dubitava— ma se fosse stato così? Non credeva molto ai se, o ai forse, però in quel caso c’erano troppe prove a suo sfavore.
    «a me piaceranno le trame fantascientifiche, ma te sei un fan delle teorie del complotto» Sollevò pigramente un sopracciglio, rivolgendolo al maggiore: era il meglio che sapesse fare? «a questo punto, se non ci credi che ti costa leggerla?» «perché insisti tanto?» Non gli costava nulla, in effetti, avrebbe potuto benissimo leggerla e dimostrare al Kageyama che avesse ragione lui, che fosse tutto finto, che si fosse lasciato fregare da qualche pixel ricostruito da mano esperta e due parole suggerite da chatgpt.
    E se invece si fosse sbagliato? Se avesse aperto la lettera, e avesse trovato la stessa foto di Ryu? Gli stessi volti, alcuni più familiari di altri, pronti a sorridergli o a squadrarlo con cipiglio indefinibile?
    Grey non aveva mai avuto una famiglia che non fossero Hajoon e gli altri bambini cresciuti e manipolati dal coreano — non era certo di voler iniziare proprio in quel momento ad averne una.
    Liberò lo stesso la pergamena dalla morsa inutilmente stretta, una parte di lui a domandare perché avesse così paura di stracciare la carta e affrontare qualsiasi cosa ci fosse all’interno se era così sicuro di sé. Già, perché? La rigirò tra le dita, osservando ancora una volta il nome sula busta, quel Psy Cho che non riconosceva, che non gli diceva nulla. «Sulla tua cosa c’è scritto?» Non avrebbe saputo dire cosa l’avesse spinto a domandare, eppure non fu abbastanza veloce dal serrare le labbra e tacere quella stupida domanda.
    Scosse la testa, un chiaro invito all’altro di lasciar perdere, e finalmente strappò la carta.
    La prima cosa che notò fu la presenza non di una foto — di molte foto. Le tirò fuori, senza guardarle, tenendole strette fra le dita mentre tirava fuori il resto del contenuto. C’erano una lettera – come prevedibile – fortunatamente però di poche righe; c’erano disegni che sembravano fatti da un bambino di tre anni e che ritraevano figure irriconoscibili per il Hwang; c’erano… «delle ricette?» Decisamente non quello che si era aspettato di trovare in quell’imitazione scrausa di Mystery Box, ma senza alcun dubbio la parte più interessante. Le rigirò tra le mani, ignorando i sorrisi e i visi che lo osservavano dalle foto, e domandandosi perché un ipotetico se stesso del futuro avrebbe dovuto mandare al se stesso del passato la ricetta del “polpettone di natale”. Confuso, mostrò il ritaglio di carta al Kageyama, schiaffandoglielo in mano. «Gordon Ramsey manda i suoi saluti.» Contento ora?
    Alzò poi la manciata di foto che aveva trovato, tenendo per ultimo la lettera striminzita. «Vuoi anche le mie?» Tanto cosa doveva farci; vedeva già gli stessi volti, quei visi che conosceva già in quella vita e che non capiva come fosse possibile avesse conosciuto anche in un’altra: erano stati una famiglia? Assurdo, impossibile. Grey non aveva una famiglia — non ce l’aveva mai avuta «Non so cosa ti aspettavi, Ryu.» Non lo sapeva davvero.
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    Sei mesi prima Grey aveva creduto di aver perso tutto, in primis il senso di quell'esistenza vissuta sempre a metà, mai in maniera completa, e allo stesso tempo vissuta un po' troppo perché non ne aveva solo una, di vita; ne aveva cinque, dieci, mille. E nessuna.
    Hwang Daehyun non era mai stato nessuno, e al contempo era stato fin troppe persone: fucking Trevor, Doyoon, Sean, innumerevoli altri di cui aveva cancellato ogni traccia e ogni fasullo ricordo; a volte era stato semplicemente un'ombra, una faccia senza nome e senza identità, una lama a brillare solo per un istante nell'oscurità più assoluta.
    Era stato tutto quello che Hajoon avesse imposto lui di essere, per quella o quell'altra missione; era stato il nome fittizio che i collaboratori dell'uomo scrivevano sui documenti falsi, ed era stato le personalità che Daehyun aveva deciso di ricamarci sopra ogni volta.
    Era stato tante cose, e non era stato nulla.
    Fino a che non era stato costretto a diventare qualcuno, un cittadino inglese con un nome, un'identità, una personalità tangibile e concreta. Non gli era piaciuto dover ufficializzare la sua esistenza, non gli era piaciuto affatto, eppure l'aveva fatto e aveva accettato di vivere con le conseguenze che ciò comportava: un lavoro, un codice fiscale, un indirizzo di residenza. Tutte quelle cose, per quanto normali agli occhi della banale e comune gente, erano per Grey delle funi legate al polsi, alle quali erano stati appesi pesanti macigni; e lui era stato gettato in mare, e lasciato affogare sotto il peso di quelle nuove costrizioni.
    Ma era stato anche Psy — e forse quello, ancora più del resto, aveva sconvolto definitivamente la sua esistenza. Sei mesi prima aveva creduto di aver perso ogni certezza, quando aveva acquisito quel nuovo potere contro la sua volontà; ma era stato solo aprendo la lettera – che al Platinum aveva stoicamente ignorato – che Grey aveva capito quanto poco senso avesse avuto la sua vita già in partenza.
    La sua mente non era riuscita a conciliare quella scoperta con la verità già conosciuta e vissuta, e anche a distanza di settimane (e mesi) l'idea di aver vissuto una vita di cui non ricordasse nulla, una vita non decisa per ma da lui, gli sembrava assurda e fuori da ogni logica. Ma in quella lettera, in quelle foto, aveva trovato dettagli che nemmeno il suo scetticismo era stato in grado di ignorare, o spiegare razionalmente. L'aveva accettato come un fatto, ma aveva anche fatto sì di pensarci il meno possibile.
    Le memorie erano demoni di un passato che non ricordava, volutamente dimenticato, per disperazione o per necessità, e che ora cercava il modo di tornare in superficie per destabilizzare un già precario equilibrio.
    Aveva pensato spesso, durante la guerra, di approfittare di quel periodo di confusione per far perdere nuovamente le sue tracce, e in maniera definitiva.
    Non l'aveva mai fatto.
    Perché, nonostante non riuscisse ad apprezzarli – o a capirli – quei pochi, ma necessari, rapporti instaurati negli ultimi tempi erano ciò che gli aveva permesso di non affogare del tutto; boe alle quali aveva potuto aggrapparsi, verso le quali era risalito con estrema fatica, e presso le quali aveva potuto tornare a respirare.
    Il PussyPower (Melvin) era una di quelle boe.
    Grey non aveva mai sperimentato sulla propria pelle cosa significasse avere (degli amici) delle responsabilità, al massimo aveva avuto dei doveri e dei compiti, ma mai un'attività che dipendesse anche da lui. E Grey, inutile negarlo, dipendeva dal locale stesso; passava più tempo lì che altrove, salvo per quando riceveva qualche ingaggio e spariva per lunghi periodi, ma alla fine tornava sempre lì, al PP, da Vin. Nella sua cucina.
    Non era un sentimentale, e non era mai stato particolarmente materialista, ma avere era sinonimo di concretezza, e in quel periodo di confusione e incertezza era qualcosa di cui lo special aveva necessariamente bisogno.
    Non avrebbe saputo spiegarlo a parole, poco affine a quel genere di sentimenti ed emozioni, ma gli piaceva avere un posto che fosse suo, e nel quale potesse sentirsi se stesso indipendentemente dall'identità assunta.
    Stava diventando persino un po' più tollerante nei confronti dei clienti stessi, e non sbuffava più così di frequente quando Vin gli chiedeva di occuparsi della sala al posto suo; perché gli chiedesse di fare tanto, quando era chiaro a tutti che fosse lei, tra i due, quella più predisposta a stare a contatto con il pubblico, era qualcosa che Grey non avrebbe mai capito, ma era anche vero che avesse smesso da un pezzo di mettere in discussione le scelte della collega, accettandole così come si presentavano.
    Quel giorno, dunque, era uno di quelli in cui aveva tolto il grembiule che di solito usava in cucina, aveva messo da parte le lame (non tutte, qualcuna ce l'aveva ancora nascosta sotto gli abiti attillati, pronto per qualsiasi evenienza) e aveva iniziato il suo giro della sala, prendendo ordinazioni e servendo quelle preparate nel frattempo. La sua aura era comunque così scura che i mici, troppo intelligenti per lasciarsi fregare, vagavano nel locale stando ben accorti a rimanere fuori dal suo radar.
    «cosa posso portarti?»
    Diretto, senza un buongiorno o un benvenuto, né un sorriso cordiale o di circostanza contrariamente a quanto avrebbe potuto concedere la sua socia; aveva imparato a farsi andare bene anche quell'aspetto del lavoro, non come diventare un essere umano decente. Dopotutto, l'empatico tra i due proprietari, non era lui.
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    L'intenzione di rimanere in disparte mentre si consumava quella sottospecie di farsa, da parte dello special, c'era tutta e sarebbe rimasta nonostante gli sguardi curiosi o i vaghi cenni di saluto (se così potevano essere definiti i menti alzati in maniera quasi impercettibile nella sua direzione) da parte di questo o quell'altro invitato, gente che Grey era abbastanza sicuro di aver beccato per strada, o più probabilmente in qualche via un po' losca di Hogsmeade o, ancora, al PP; non gli interessava abbastanza collegare i visi ad un luogo preciso nel tempo e nello spazio, stavano bene dove stavano, nel calderone confuso di gente che Grey non conosceva e con la quale non avrebbe intrattenuto conversazioni, neppure quella sera, neppure ad una festa, no.
    Solo su Ryuzaki mantenne lo sguardo per qualche battito di ciglia più del necessario, solo per fargli capire che lo avesse notato, e che fosse pronto a prenderlo a calci se avesse anche solo rivolto uno sguardo di troppo in sua direzione; quei due camminavano ancora su sentieri pericolosi, e pericolanti, e sarebbe bastato davvero un niente per riaccendere la miccia, mai del tutto spenta, ma quantomeno raffreddata dopo la permanenza in Siberia. Interruppe quel contatto solo quando una terza parte (o quarta, se si considerava il Cheena come identità a parte, e non qualcosa di irremediablemente incollato a Ryuzaki) entrò in scena, qualcuno che Grey non conosceva, così ne approfittò per scivolare in un angolo del locale che fosse più in ombra e distante da tutto, e da lì osservò la minuscola Sargent cercare di farsi un po' più grande, un po' più sicura, e chiedere l'attenzione degl invitati.
    Grey roteò gli occhi al cielo, dissociandosi da quella scenetta il più possibile, ma per forza dell'abitudine, le sue orecchie rimasero aperte abbastanza da riuscire a captare quel tanto che bastava a farlo pentire ancora più di essersi lasciato convito a presenziare a quella “umile festa”, tanto per citare le parole della mora.
    «sono sicura che alcuni di voi si staranno chiedendo il perché del loro invito, ma non temete vi posso assicurare che non abbiamo sbagliato indirizzo» Grey, che era precisamente uno di quelli che si stava domandando giusto quello, portò le iridi scure sull'organizzatrice della festa, e lì li tenne per svariati minuti; era ancora abbastanza certo che un errore ci fosse stato eccome, ma non era il genere di persona da parlare (punto.) quando non interpellato, perciò non disse nulla.
    «e che festa sarebbe senza una sorpresa?» una festa migliore, poco ma sicuro: a Grey le sorprese non erano mai piaciute — così come non erano mai piaciute nemmeno a Psy.
    «Siete familiari con il film Ritorno al futuro?» No.
    «In pratica, il protagonista Marty McFly riesce a viaggiare nel passato grazie a una DeLorean modificata.» Noioso.
    «Qui incontra i suoi genitori quando erano ancora giovani e finisce per stare lì per qualche tempo prima di tornare al suo presente» Tsk, una gran palla senza ombra di dubbio.
    «Ora, immaginate di trovarvi in questo film e di essere tutti dei Marty McFly e che anzi di essere negli anni 80, ci troviamo nel 2043» Huh? No, grazie, hard pass. Perché stava raccontando quelle cose? Non interessava a nessuno. Nemmeno gli effetti speciali ricreati grazie all'ausilio di qualche potere avevano la minima possibilità di catturare l'attenzione di Grey: di morte e guerre e desolazione e malattie e disperazione, il coreano, ne aveva viste già parecchie. Era diventato – o forse era sempre stato – impassibile a tutto quanto, e un mondo devastato da “malattie senza cura e interminabili guerre” non rientrava di certo nei suoi problemi; non lo era per il mondo in cui viveva, figurarsi uno lontano vent'anni nel futuro.
    Non poté fare a meno di gettare un'occhiata in giro per osservare le reazioni altrui, domandandosi se ci fosse qualcuno dei presenti che credesse davvero a quelle parole, o qualcuno a cui interessasse; a lui sembrava assurdo e impossibile che fosse così, ma sull'intelligenza umana aveva sempre avuto un sacco di dubbi.
    «e se vi dicessi che un gruppo di maghi e special avessero trovato un modo per tornare nel passato?» mh, che culo; Grey non era contrario ai viaggi nel tempo, anzi l'idea lo incuriosiva parecchio, ma farlo per salvare il mondo gli pareva una motivazione un po' banale. Persino le figure morenti evocate dalla Sargent, insieme ai bambini piangenti stretti al petto delle madri disperate non era abbastanza. L'attenzione venne invece attirata dalla figura dell'altra organizzatrice, che cominciò a distribuire lettere agli invitati; Grey non sciolse le braccia, neppure quando la bionda di fronte a lui, e la osservò con fare annoiato — un'altra lettera? Ma per favore. Non la accettò, e la Oakes per tutta risposta, gliela incastrò tra petto e braccia.
    Rude — di nome e di fatto.
    Ciò non cambiava il fatto che Grey non aveva scritto un bel niente, a nessuno, e che tutto quel discorso fosse solo fiato sprecato per lui.
    «Volete sapere il plot twist?» No. «Siete voi quei volontari, sorpresa!» Qualcuno avrebbe dovuto spiegare a Kieran Sargent il concetto di sorpresa
    Quel qualcuno non sarebbe stato Grey Hwang.
    «Se avete dubbi e domande siamo qui, capisco che non sia un concetto particolarmente facile da digerire» Neah, Grey non aveva domande — non riguardo quella storia, comunque; invece, sulla sanità mentale della Sargent qualche dubbio lo aveva. Rimase immobile al suo posto, lo special, felice nella sua isola fatta di ombra, lontano da anima viva e libero di gustarsi ogni reazione suscitata dal discorso strampalato della mimetica.
    Qualcuno aveva aperto le lettere, e ora le leggeva con occhi sgranati e aria incredula; altri avevano riversati sulle due ragazze un mare di domande; altri, come lui, non avevano reagito affatto.
    Fu impossibile per Grey non cercare Ryu con lo sguardo, curioso della sua reazione; lo vide borbottare qualcosa verso il pavor, mentre gli occhi scuri percorrevano le lettere impresse sulla busta e per un attimo una curiosità atipica si impossessò del cuoco: era curioso di sapere cosa dicesse la lettera di Ryuzaki, ma aveva zero riguardo nei confronti della propria.
    Proprio perché lo stava già osservando con attenzione, notò il momento stesso in cui l'altro special alzò lo sguardo dalla missiva — per cercare il suo. Forse si era sentito osservato? Grey non aveva fatto alcunché per mascherare il suo improvviso interesse.
    Qualsiasi cosa avesse letto in quella lettera, era stata abbastanza per far perdere al Kageyama la sua solita compostezza e impassibilità: intriguing. Se non si allontanò, vedendolo avvocinarsi, fu solo perché la curiosità in quel caso ebbe la meglio.
    Una curiosità che non avrebbe ucciso quel gatto.
    Forse.
    «è uno scherzo, vero?»
    Abbassò lo sguardo sulla foto, lentamente e con gesti in netto contrasto con la follia che poteva leggere nelle iridi scure del mafioso. «ti ho mai dato –» fece una piccola pausa, le parole a venire meno quando nella foto mostrata da Ryuzaki, Grey riconobbe il proprio viso; gli stessi occhi a mandorla, la stessa mascella, lo stesso naso storto. Ma un sorriso diverso. Si ricompose in fretta, riprendendo il filo del discorso da dove l'aveva interrotto, «l'impressione di essere uno che fa scherzi?» Così, per chiedere; lungi da lui dargli l'impressione sbagliata.
    Indicò la foto stretta nel pugno di Ryu, e alzò le spalle. «non so cosa sia.» poi, come se potesse contribuire alla spiegazione, sventolò la sua lettera, ancora sigillata.
    Sulla busta, solo una parola.
    PSY CHO.
    Beh, almeno quello era giusto.
    «quello,» disse, indicando la foto, «è chiaramente un falso.» chiaramente. «e dubito che qualsiasi cosa sia scritta in questa lettera possa cambiare qualcosa.» era vagamente incuriosito, però, dal fatto che Ryuzaki ci credesse. «non sapevo fossi un appassionato di trame fantascientifiche.» derogatory.
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    Non era abituato a ricevere inviti che non fossero, in verità, ingaggi per questo o quell'altro lavoro, il giovane mercenario; e di certo non aveva così tante conoscenze da poter ritenere normale quella pergamena decorata che, dal nulla, richiedeva la sua partecipazione ad una festa hawaiana in un pub di Diagon Alley. Una delle poche che avesse, di conoscenze, era seduta di fronte a lui nella penombra del PP ancora chiuso al pubblico, e dal modo in cui vibrava per l'entusiasmo e la curiosità, Grey dubitava che la missiva fosse opera dell'empatica.
    Strano, molto strano; e lo special, poi, diffidente lo era di natura — figuriamoci nei confronti di qualcosa del genere; che potesse non suscitare proprio quella reazione lì era fuori discussione.
    E per “quella reazione lì” intendo: sopracciglia aggrottate, labbra strette in una linea impassibile, occhi scuri puntati sulle parole in corsivo che descrivevano dove e quando presentarsi.
    Mh, certo.
    Si trattava chiaramente di una trappola; o di un errore, ma lo considerava già meno plausibile. Di nemici, il cuoco, ne contava sicuramente di più degli amici; era abbastanza credibile che fosse opera di qualcuno di loro. Uno che, per inciso, doveva essere davvero molto stupido se pensava che Grey potesse mai abboccare a qualcosa del genere.
    «Ci andrai?»
    Nel tono cristallino e leggero della sua partner c'era inconfondibile interesse; e forse anche una punta di aspettativa, come se la risposta a quella domanda fosse in qualche modo importante e decisiva. Ormai non lo sorprendeva nemmeno più rendersi conto di saper leggere la Diesel — perlomeno nei momenti in cui l'altra voleva farsi leggere.
    Sollevò il mento, e posò gli occhi sul viso della ragazza, le mani ancora a stringere l'invito alla festa.
    «non lo so, (palla) ci vado?»
    A chi serviva il bot di telegram quando avevi una Melvin Diesel; Grey non era il fan numero uno delle letture fatte dalla special, ma aveva sperimentato sulla propria pelle le capacità precognitive di Vin, e aveva imparato la lezione ignorando una volta di troppo i suoi consigli: finire in Siberia e avere la propria vita completamente stravolta era abbastanza per fargli decidere di non mettere più in discussione le parole di Melvin Diesel. Una cosa che non aveva esternato con la socia, ma temeva non ce ne fosse bisogno; Melvin già lo sapeva.
    Quella volta, però, la bionda si strinse nelle spalle e lo informò che non dipendeva da lei; doveva scegliere lui. Una risposta strana, che portò il coreano ad assottigliare lo sguardo studiando il viso sereno e angelico che aveva di fronte. «ok» accartocciò la missiva e la buttò nella spazzatura del locale, «ci penso» che, tradotto dalla lingua di Grey, voleva dire che aveva già deciso: non sarebbe andato.

    E, a suo favore, bisogna sottolineare come fosse stato sincero nelle sue intenzioni, perché sincero lo era in poche occasioni, Grey Hwang, ma nei propri confronti lo era sempre; quella volta non sarebbe stata diversa dalle altre, se solo una lunga serie di eventi non l’avessero portato, nel luogo designato, all’ora designata, del fatidico giorno.
    “La lunga serie di eventi”: Melvin che gli chiedeva peeeer faaaaavooooreeeee di fare una piccolissima commissione per lei in Via Vattelapesca, Quo Vadis Town.
    Avrebbe dovuto saperlo.
    Non fraintendete, la commissione era vera — ed era solo un caso che la stessa lo avesse portato proprio fuori dalla porta del Captain Platinum.
    Fece schioccare la lingua contro il palato, Grey, infilando il pacchetto recuperato per Vin (non avrebbe chiesto, né avrebbe spizzato all’interno per vedere cosa fosse) nella tasca interna del giacchetto di pelle, e poi, suo malgrado, raggiunse a grandi falcate il locale; per i suoi gusti era già troppo affollato, e non aveva bisogno di affacciarsi dentro per saperlo, lo sentiva nel modo in cui, tutti loro, ignari e beati, interagivano con i campi elettromagnetici, disturbandone i contorni e i confini. Grey aveva preso abbastanza confidenza col suo potere da poter addirittura azzardarsi a tirare una somma più o meno accurata di quanti fossero, ma non voleva farlo: erano già più persone di quante avesse preventivato di incontrare per quella sera.
    Aprì la porta e pescò fuori il telefono dalla tasca dei jean, per informare Melvin che avrebbe avuto sulla coscienza uno (o trenta) persone entro la fine della serata, probabilmente: dopotutto era lì per colpa sua, no? E per quanto si sforzasse di comportarsi bene, di mantenere l’apparenza, aveva deciso che se Grey era tutto quello che gli rimaneva, per chissà quanto tempo ancora, allora lo avrebbe rimodellato a suo piacimento; nessuno avrebbe potuto negare che la Siberia fosse stata “un’esperienza traumatica in grado di cambiare chiunque”.
    Quel Grey era più simile a Daehyun di quanto nessuna altra falsa identità lo fosse mai stata prima.
    Mise via il telefono, e si guardò intorno, prendendo nota delle uscite, degli spazi, delle persone, di qualsiasi altra cosa potesse intralciare una (non così im)probabile fuga.
    Inutile dire che fu la figura di Ryuzaki a catturare la sua attenzione (avrebbe dovuto ucciderlo in Siberia) ma non si avvicinò, rimanendo in disparte e senza parlare con nessuno; la silenziosa promessa di accoltellare il primo che si fosse avvicinato disegnata sulle labbra tirate e nello sguardo impenetrabile.
    16.02.2002
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    Avrebbe potuto facilmente evitare di mettere il muso fuori dalla cucina, Grey; sapeva perfettamente come stare nei limiti della legalità e, di conseguenza, del vero e non-vero. Avrebbe potuto benissimo dire a Vin che sì, aveva controllato la sala pur senza essere costretto a uscire dal suo rifugio; dal vetro sulla porta aveva una visuale (più o meno) completa dell’intero fronte del PP, gli bastava buttare un occhio lì e via.
    Non c’era nemmeno così tanta gente da richiedere davvero le sue attenzioni, quasi tutti avevano ancora le tazze piene o i piattini colmi di dolci, e d’altronde tutti loro erano venuti solo per coccolare un po’ le palle di pelo che gli giravano tra le gambe, bere o mangiare era solo qualcosa che facevano perché obbligati dal senso civico (e dalle regole del locale.) ma non si sarebbero accorti della mancanza di personale in giro per la sala, poco ma sicuro.
    Avrebbe potuto fingere, dunque, ed era intenzionato a farlo se solo una figura accovacciata in terra non avesse catturato il suo sguardo.
    In un primo momento l’aveva osservato con la stessa importanza con cui aveva osservato tutti gli altri presenti: nessuna, rilegandolo a nota marginale di poco conto, pur tenendo in considerazione ogni dettaglio, dal più insulso a quello più importante, abituato da anni e anni e anni di lavori impossibili. Solitamente bastava a convincerlo che nessuno fosse così interessante da spenderci più di un pigro battito di ciglia, ma quel nuovo cliente appena arrivato era diverso dagli altri.
    Grey lo conosceva.
    Proveniva direttamente dai ricordi di una vita lasciata alle spalle ma mai davvero superata, o dimenticata; uno dei pochi fallimenti che ancora pesavano sulle sue spalle, una delle macchie del suo curriculum altrimenti perfetto.
    Lo aveva cercato a lungo, una volta giunto in Inghilterra, per impegnare le giornate tra un incarico e l’altro, e perché sapeva che sbarazzarsi di lui sarebbe stato l’unico modo per andare finalmente oltre. Prima che la sua vita deragliasse e le priorità diventassero altre, Daehyun aveva provato ad avvicinare il ballerino con l’inganno, e per tutti i suoi sforzi era stato ripagato finendo incastrato in un’amicizia a dir poco peculiare con l’empatica — che l’aveva portato, poi, ad aprire il PussyPower.
    Inizialmente Grey l’aveva considerato l’ennesimo fallimento, qualcosa a cui rimediare ancora, ma ora? Con Ethan che varcava volontariamente la soglia del locale, e finiva direttamente sul suo cammino? Ora che Grey aveva una nuova possibilità?
    Ora gli sembrava destino.
    A bassa voce, maledì Melvin perché immaginava che lei lo avesse sempre saputo, terzo occhio e tutta quella roba lì, e prima di lasciarsi sfuggire anche quell’occasione, Grey varcò la soglia che divideva cucina e sala, e avvicinò il mago, in parte per volersi accertare di aver visto bene: non si sentiva di escludere a priori che fosse uno scherzo della sua mente ancora stanca e provata, un’allucinazione, come ancora spesso gli capitava di soffrire; i mesi in Siberia avevano lasciato un segno più profondo di quanto il Hwang fosse disposto ad ammettere.
    Ma stando alla reazione di Ethan, e quel «tu.» appena un sussurrato, capì di aver visto bene. Era davvero lui. Istintivamente, Grey aprì una comunicazione silenziosa con il proprio potere, qualcosa che ancora non riusciva a controllare del tutto ma sul quale cercava di fare abbastanza pratica quotidianamente anche per momenti come quello. Voleva che fosse sempre disponibile quando voleva lui, e voleva avere la certezza di poterci fare affidamento quando necessario. Era stata certamente una novità spiacevole e non richiesta, ma non voleva dire che non potesse tramutarla in un asset a suo favore.
    «cosa ci fai qui?» cosa— cosa ci faceva lui lì? Una risata amara quasi sfuggì dalle labbra dello special.
    Quasi.
    «Questo è il mio locale» e, prima che l’altro potesse fare un solo passo in più, o stringere davvero la presa sul catalizzatore magico, Grey lo bloccò sul posto, facendo leva sul potere. «Non mi interessa sapere cosa ci faccia tu qui,» iniziò, avvicinandosi lentamente a lui, concentrato affinché l’altro non potesse divincolarsi dalla morsa del potere, ma accusandone già la fatica, «non avresti dovuto mettere piede all’interno del café Era vicino abbastanza, ormai, da poter affondare una delle lame apparse magicamente nella sua mano, scivolata con praticità dalla manica dove era rimasta nascosta fino a quel momento.
    Purtroppo sapeva di non poterlo fare: il locale non era così pieno, ma c’erano comunque testimoni, e Vin sarebbe rimasta molto delusa se lui avesse ucciso qualcuno davanti a dei testimoni, rovinando così la reputazione del locale. Ugh, l’empatica lo stava rendendo davvero troppo soft.
    Serrò la mascella, scacciando via la spossatezza che un simile controllo richiedeva: sapeva di non poter durare ancora a lungo, ma non voleva nemmeno lasciare ad Ethan la possibilità di fuggire. Non di nuovo. Quando parlò, lo fece piano, affinché solo Ethan potesse sentirlo. «Questo è il giorno in cui chiudiamo per sempre la faccenda.» Ancora un passo, ormai a pochi centimetri dal ballerino; ignorò i miagolii dei gatti intorno a loro, o gli sguardi incuriositi dei commensali che non avevano la minima idea di cosa stesse succedendo. «Puoi seguirmi fuori da qui di tua spontanea volontà, o posso trascinarti io con un coltello ficcato nell’addome.» Abbassò lo sguardo solo un attimo, come a voler cercare una ferita che sapeva di aver inferto anni e anni prima, segno indelebile di ciò che era successo. «A te la scelta.» Sperava davvero che non avrebbe preso quella che poi, inevitabilmente, avrebbe messo nei casini Grey con Vin: non aveva voglia di spiegare il perché della macchia di sangue sul pavimento, o come mai i clienti fossero scappati terrorizzati nel vederlo pugnalare qualcuno di punto in bianco.
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    La vita di Grey non aveva più senso.
    E forse, ad essere del tutto sinceri, non ce l'aveva mai avuto.
    Uno scopo? Sì, senza ombra di dubbio: per quanto amorale potesse esser stato, lo scopo scelto per lui da Hajoon, rimaneva comunque una missione da portare a termine, un ideale dietro cui marciare; una giustificazione per ciò che faceva.
    (Non che Daehyun avesse mai sentito il bisogno di fornirne alcuna, figuriamoci.)
    Ma un senso? Eh, difficile dire che la sua vita ne avesse avuto uno, prima di allora.
    Però, almeno, Daehyun aveva sempre potuto fingere che fosse così, scivolando con facilità da un'identità all'altra, vestendo panni che calzavano sempre un po' troppo a pennello per poter essere davvero suoi, delle vesti cucite appositamente per dare veridicità ad una persona che non esisteva prima dell'arrivo del coreano, e che avrebbe smesso nuovamente di esistere alla sua partenza.
    Grey avrebbe dovuto seguire lo stesso identico modus operandi, fare la stessa fine: entrare nella vita di Daehyun, fingere di essere il vero lui il tempo necessario per portare a termine un lavoro, e poi svestire quei panni in favore di nuovi.
    Nuove identità, nuove città, nuovi incarichi. Era sempre stato quello, per certi versi, l'unico senso della vita che Daehyun avesse mai conosciuto: essere un'ombra, un volto senza una storia, una faccia senza dettagli riconoscibili. Era morto già una volta, per quanto ne sapeva il mondo, e continuava a morire tutte le volte. Non era niente di più se non il nome che sceglieva per la nuova personalità, i suoi gusti e i suoi interessi, i suoi pregi e i difetti.
    Era argilla da poter modellare, sabbia con cui dare vita a incredibili sculture che la marea avrebbe spazzato via senza alcuna difficoltà. Aveva l'anonimato necessario per fare tutto quello che doveva, e tutto quello che gli chiedevano, senza mai lasciare indietro una traccia riconducibile a Hwang Daehyun. L'arma perfetta, il soldato ubbidiente che non metteva mai in discussione un ordine, né faceva domande scomode; un fantasma, un nessuno.
    Era stato quello il suo scopo principale per tutti quegli anni, da che ne avesse memoria; c'era stato solo Hajoon, i suoi “fratelli”, e delle lezioni particolari che nessun bambino avrebbe mai dovuto imparare.
    Non c'era mai stata la magia, se non quella periferica di Hajoon, e degli altri allievi, e di quelli che Daehyun incrociava di tanto in tanto. Aveva sempre vissuto a metà tra entrambi i mondi, proprio come aveva fatto Hajoon, e se l'era sempre fatto bastare. Non l'aveva mai considerata una mancanza, l'assenza di magia nel proprio sangue; era stata una caratteristica come un'altra, al pari del suo sapersi adattare e della facilità con cui apprendeva anche le nozioni più difficili.
    La Siberia aveva cambiato tutto.
    Aveva cambiato lui, nel DNA e nel sangue, ma ancora peggio: lo aveva reso reale anche agli occhi della società magica. Ora, Grey esisteva. Non era più solo un nome che dava per presentarsi a persone che – nella maggior parte dei casi, ma non abbastanza quanto avrebbe voluto – non avrebbe rivisto mai più; era un cittadino inglese, uno special da monitorare, un individuo di cui tenere traccia.
    Nessuno gli impediva di fare ancora il suo lavoro, ma quella faccenda lo rendeva decisamente più difficile; e pensava già al giorno in cui Hajoon l'avrebbe ritirato dall'Inghilterra, –
    (– ogni tanto, distrattamente, si domandava se sarebbe mai arrivato quel giorno)
    per spostarlo altrove –
    (– o l'avrebbe lasciato per sempre lì?)
    per affidargli una nuova missione –
    (– poteva ancora essere la sua arma segreta, il più letale di tutti, quello non era cambiato)
    e si rendeva conto che sparire non sarebbe stato più così facile; che sarebbe dovuto morire di nuovo per far sì che nessuno provasse a cercarlo. Dubitava che al ministero fregasse qualcosa dell'ennesimo special morto, ma lasciare questioni in sospeso non rientrava nelle cose che Grey era solito fare. Al contrario.
    E poi, non era solo quello. Grey, da identità fittizia che doveva essere, era diventata nel giro di un paio d'anni la sua realtà: contro ogni previsione, e contro ogni sua volontà, “Grey” aveva iniziato a creare una rete di relazioni che non nasceva e finiva nel mondo illegale in cui era cresciuto. Aveva trovato Jericho e Darden – e forse era stato il destino a decidere che le rincontrasse anche in quella vita, pur non ricordando di averne vissuta una precedente in cui era stato loro figlio; aveva trovato Ryuzaki e, di recente, persino Kaito – anche lì, non sapeva spiegare il motivo ma c'era qualcosa che, suo malgrado, gli suggeriva che non fosse un caso l'averli incontrati; aveva trovato Melvin, e quello non c'entrava nulla con vite passate che il coreano aveva dimenticato, ma era altrettanto importante per tracciare i contorni di quell'identità che non era più solo una maschera.
    Era la sua vita.
    Una vita nuova, senza senso, ma comunque sua. Una vita che comprendeva un appartamento da condividere con un coinquilino fin troppo agitato, lezioni per controllare il suo nuovo potere, un lavoro non proprio legale e uno, invece, che aveva contribuito a tirare su dal nulla. Rimanendo in silenzio e lasciando che fosse Vin a prendere le decisioni più importanti, a finanziare tutto, a decorare i locali come meglio credeva, mentre lui la fissava a braccia conserte e con la schiena poggiata contro il muro appena ritinteggiato. Le aveva lasciato anche scegliere il nome, e col senno di poi forse non avrebbe dovuto: Pussy Power Café suonava così sbagliato su tanti di quei livelli che il mercenario aveva deciso di non volerne affrontare nessuno. A lui neppure piacevano i gatti, ma si erano conosciuti ad una festa per felini, e da lì era nato il progetto di un cat café — al quale, ripeto, Grey aveva contribuito solo con occhiate vuote e ben poco entusiasmo, ma aveva accompagnato Melvin a fare ciascuno dei giri necessari per renderlo concreto, e qualcosa doveva pur valere.
    (Non le aveva mai detto che avesse accettato di essere suo socio solo per mantenere una certa immagine, e allontanare quanto più possibile i sospetti dalla sua vera professione; Vin già lo sapeva.)
    Il PP era anche un po' suo, nonostante il suo unico compito fosse sempre stato solo ed esclusivamente quello culinario; usciva raramente dalla cucina, il Hwang, e di certo non intratteneva i clienti – cosa che lasciava ben volentieri all'empatica –, ma tra i fornelli della piccola cucina del café si sentiva a proprio agio, e non gli dispiaceva così tanto.
    Il PP era anche un po' suo, ed era stato più che felice di potersi rintanare lì, quando la sacralità del suo appartamento era stata violata da Kaito, e quando aveva realizzato di non poter più fare affidamento su se stesso, per l'altro lavoro, senza aver prima imparato a controllare davvero il suo nuovo potere.
    Gli era rimasto solo quel posto per sentirsi se stesso, sentirsi libero — anche di scagliare una decina di lame tutte insieme contro la parete opposta, quando perdeva il controllo. Vin non batteva ciglio, ormai abituata a momenti del genere, e a vedere nuovi solchi e buchi apparire nei muri, ma aveva suggerito gentilmente che, prima i poi, li avrebbe sostituiti tutti con dei coltelli di plastica se non si fosse dato una calmata, la pittura rovinata non le piaceva, e no, neppure in cucina dove, a parte loro, non la vedeva nessuno. Ma Vin non c'era, in quel momento, e Grey poteva lanciare tutti i coltelli che voleva, contro qualunque superfice libera — pensare ai clienti aldilà della porta a ventola non era di certo una sua priorità, spettava alla sua socia. E se non c'era peggio per lei.
    E per loro.
    E Vin, essendo Vin, doveva averlo immaginato, perché non molto dopo aver lanciato l'ennesima lama, il telefono di Grey segnalò l'arrivo di un nuovo messaggio.
    “Vai a controllare la sala💕😻”
    Mh, facciamo anche no.
    Non si mosse, e un altro messaggio seguì il primo.
    “Vai🥰”
    Roteò gli occhi al cielo, il neo special, e suo malgrado diede retta alla bionda, affacciandosi appena oltre la porta giusto per poterle dire di averlo fatto.
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    Col senno di poi, avrebbe decisamente dovuto aspettare almeno un altro po’ prima di tornare a lavorare.
    Ma Daehyun, con le mani in mano, proprio non ci sapeva stare; e no, nemmeno aver passato gli ultimi tre – quattro? cos’era il tempo, infondo; quando tutti i giorni trascorrevano nella stessa maniera, scanditi solo da esperimenti e urla a stento trattenute, perdevi il conto del tempo che passava – mesi rinchiuso in un laboratorio estremista nella fottuta Siberia aveva cambiato quell’abitudine. Quella necessità. Forse, era proprio per il modo in cui era drasticamente cambiata la sua vita in quell’ultimo periodo che il coreano aveva bisogno, ora più che mai, di tornare alle origini; di fare qualcosa che lo facesse sentire normale, che lo facesse sentire se stesso; di avere uno scopo e un compito, una missione; di stringere tra le dita qualcosa di concreto senza il timore di vederlo scivolare via.
    Si era sbagliato.
    Quello di cui aveva bisogno, e che avrebbe dovuto davvero concedersi, era del riposo. Ma era difficile riposare quando la notte a malapena riusciva a chiudere gli occhi senza rivedere le sagome dettagliate dei suoi aguzzini e rivivere in loop i momenti peggiori della sua prigionia. A differenza di molti altri, non erano gli sguardi vitrei dei bambini a tenerlo sveglio la notte.
    Con gli esperimenti più piccoli, Grey, aveva interagito poco; al contrario di Friday, lui un po’ di russo lo parlava – lascito di una vita fatta di false identità e lavori da svolgere in tutto il mondo – ma ciò che gli mancava era l’interesse nei loro confronti; di coccolarli, di prenderli tra le sue braccia e sussurrare parole di conforto, e mentirgli dicendo che sarebbe andato tutto bene, Grey non ne aveva la minima voglia. Aveva lasciato volentieri alla strega quel compito, mentre lui, quando abbastanza lucido da essere in grado di formulare un pensiero coerente, progettava la fuga. Non gli importava in che modo, o quanto a lungo avrebbe dovuto attendere prima di scappare: lo avrebbe fatto. Al diavolo, sarebbe stato disposto persino a collaborare con Ryuzaki per uscire da lì, ma quel posto era una fortezza e non c’era modo, per loro, di tentare la fuga; da Novosibirsk si usciva solo in un modo, e Grey si era spinto davvero troppo oltre (in ben due vite) al fine di garantire la propria salvaguardia, per arrendersi senza almeno provarci.
    E provarci.
    E provarci ancora.
    Quando la cavalleria era arrivata, Grey era giunto quasi allo stremo delle sue forze ma non accennava a demordere: si reggeva ancora in piedi solo per dispetto nei confronti di chi lo voleva vedere soffrire, e forse anche un po’ nei confronti di se stesso, ma la sua testardaggine aveva fatto ben poco per aiutarlo; al contrario, ogni suo tentativo era stato punito severamente — eppure non erano riusciti a spezzarlo. Aveva incassato i metaforici colpi e aveva stretto i denti alle non proprio metaforiche torture, sapendo che un giorno avrebbe avuto la sua rivincita contro quei bastardi.
    Ed era stato proprio così.
    Peccato che di quegli ultimi momenti in Siberia, il neo special ricordasse molto poco: gli spari, il sangue – e poteva giurarci di aver contribuito a fare fuori almeno parte dei dottori di quel posto nonostante qualcuno continuasse a ripetergli che a malapena si reggeva in piedi – e poi il fuoco, i corpi che venivano bruciati per impedire a qualunque cosa fosse ciò che infestava quei dannati corridoi di spargersi oltre i confini del laboratorio, e poco altro.
    Il rientro in Inghilterra era stato altrettanto confuso, un va e vieni di guaritori, psicomaghi, gente del ministero che prendeva le sue generalità e lo registrava; quella una delle poche cose, la più preoccupante, che Grey aveva realizzato sin da subito: non era più un nessuno, adesso aveva una vera identità agli occhi del ministero inglese, nonostante fossero le generalità fasulle inventate anni prima da Hajoon per lui, all’inizio di quella stupida copertura nella patria del tè. Adesso era controllato, osservato; se fosse sparito di punto in bianco, qualcuno se ne sarebbe accorto.
    Non poteva più contare nemmeno su quelle poche certezze che aveva sempre avuto; e Hajoon non aveva risposto a nessun suo messaggio, inviati a raffica da quando aveva fatto ritorno. L'uomo era sparito, volatilizzato nel nulla.
    Grey era solo, e se non poteva fare affidamento nemmeno sulla normalità dell’unica vita che avesse mai conosciuto, cos’altro gli rimaneva?
    Aveva bisogno di quello: di una missione, di un goal, di un incarico. Era l’unico modo per somatizzare il resto. E poteva fingere di non essere stanco, di avere i sensi in allerta e di essere in grado di farlo — ma non era così. Perché da giorni conviveva con un mal di testa che a tratti gli rendeva difficile persino ascoltare i propri pensieri, figurarsi ragionare, e non sapeva quanto di quello fosse dovuto alle radiazioni, come le avevano definite alcuni dottori, e quanto invece a ciò che gli era stato fatto; per la prima volta in vita sua (in entrambe le vite, a dir la verità) non c’era più solo sangue a scorrere nelle sue vene, ma una magia che Grey faticava a comprendere, men che meno controllare.
    Avrebbe dovuto saperlo, però, che tornare a lavorare era un’idea del cazzo.
    «ti hanno fregato.»
    Anche se a distanza e in penombra, Grey riusciva a distinguere almeno in parte i dettagli del viso dell’altra figura: erano abbastanza simili ai suoi da poterli associare a qualcosa di familiare; ma se dipendesse dal fatto di averli visti già in passato, magari al ristorante, o meno, il Hwang non riusciva a dirlo. Sapeva solo che, nello stato in cui verteva, era una preda fin troppo facile e quella consapevolezza lo rendeva irrequieto.
    Cercò quindi di rimettersi in piedi, mano ancora premuta sulla ferita come se potesse fare davvero qualcosa per l’emorragia: chiunque fosse lo sconosciuto, era chiaro che sapesse il fatto suo e non avesse mirato una zona a caso, ma avesse subito puntato a ferire gravemente con un solo colpo. Se non fosse stato impegnato a rimanere lucido e a pensare ad un modo per non dissanguarsi, Grey si sarebbe persino complimentato con lui.
    «e hanno fregato anche me.»
    Prese il foglietto, agendo più per un riflesso involontario che per intenzione, le dita sporche di sangue ad imbrattare il quadratino di carta. Era una calligrafia che conosceva: era la stessa che aveva scritto al mercenario dove recarsi, e a che ora, così da portare a termine il lavoro per cui era stato assoldato.
    Quindi era di quello che si trattava, di un raggiro. Beh, non si stupiva: in quel modo fidarsi era vivamente sconsigliato — e in effetti, a pensarci ora, la paga era sembrata un po' troppo buona per un colpo ad occhio e croce così facile. Avrebbe dovuto saperlo; finiva anche quella nella lista di cose che, ultimamente, Grey aveva valutato molto, molto, male.
    Alzò lo sguardo sullo sconosciuto, cercando la ferita che sapeva di aver inferto come controattacco nel momento in cui era stato a sua volta pugnalato; gli era andata male, e quella reazione inaspettata da parte di Grey era forse l’unico motivo per cui il cuoco era ancora vivo.
    «ha senso» gracchiò, accartocciando il foglietto e gettandolo ai piedi del mittente; assumerli entrambi per farsi fuori a vicenda, era un piano folle ma geniale, a ben pensarci. Lentamente, fece scivolare una delle lame nascoste nella manica fino ad impugnarne l’elsa, ma fece attenzione a tenerla comunque nascosta dalla visuale dell’altro sicario; una parte di sé fremeva per attaccarlo, prima di ritrovarsi nella posizione di doversi difendere di nuovo, ma un’altra parte sapeva che le possibilità che arrivasse lontano, staccandosi dalla parete contro cui era accasciato, erano molto poche. Doveva centellinare le poche energie che ancora aveva, perciò aspettare che fosse l’altro a fare la prima mossa era, al momento, la sua migliore strategia. «non te lo renderò un lavoro semplice» non sarebbe andato ko senza provarci, almeno. E poi, adesso il suo obiettivo era cambiato: doveva rimanere vivo e vendicarsi con il bastardo che aveva cercato di fregarlo. Un target alla volta.
    A denti stretti, ignorando le fitte all’addome e la visuale appannata, citò una saggia persona e sfidò lo sconosciuto: «viecce» cit.
    hwang daehyum
    (grey)

    I'm uncontrollable, emotional,
    chaotically proportional; I'm visceral, reloadable
    ( I'm crazy, I'm crazy, I'm crazy, I'm crazy)
    everybody in the world knows I'm a little twisted




    21 | 2002 | seoul, kor
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    2043: psy cho (jarden)
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