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  1. .
    franklyn daniels
    jekyll orwell crane-winston
    I've been tossed like a bag of trash
    Life hates my guts, yeah, it kicks my ass
    But I don't let shit get to me
    'Cause I'm not some sob story
    «mh, non sono d'accordo. ci sei andato davvero vicino.» sebbene la bottiglia vuota – forse anche più di una: non le aveva davvero contate da quando era arrivato al motel, né gli interessava più di tanto; a dire il vero aveva smesso di farlo quando aveva compiuto il diciassettesimo anno di vita, e la scusa del non essere un asso in matematica giocava sempre a suo favore – avrebbe potuto testimoniare il contrario, aveva bevuto troppo poco per sopportare la presenza di altre persone all'interno della fragile bolla di sapone nella quale si era rinchiuso, precario spazio liminale dai confini trasparenti nel quale voleva esistere da solo con il proprio non particolarmente ottimo umore. Aveva accettato l'incursione forzata del Raikkonen perché era abituato alla sua esile figura che si intrufolava, senza invito o avvertimento alcuno, laddove non aveva controllo né potere decisionale – ma anche perché non aveva creduto fino all'ultimo secondo che ci fosse realmente, o che esistesse realmente: se si trattava soltanto del frutto della sua fervida immaginazione, prima o poi sarebbe svanito come al solito. Il biondo che si ritrovava di fronte aveva visto il Jekyll più vulnerabile senza che quest'ultimo potesse opporsi più di tanto, i posti nei quali si rifugiava e quelli a cui dava fuoco per sentirsi meglio: avesse saputo interpretare i sogni nei quali errava senza ritegno, avrebbe potuto dire di conoscerlo meglio di quanto non facesse lui stesso. Per questo, farsi vedere in una condizione particolarmente lontana dall'immagine che di sé il pirocineta aveva costruito, in quel preciso istante, non lo turbava: fosse stato qualcun altro – la sua famiglia, i suoi amici –, avrebbe fatto carte false per trasformare lo scoppio di quella bolla in un'esplosione nel cui caos reinventarsi di punto in bianco.
    Se fosse rimasto in silenzio, sarebbe stato perfetto: che se di voglia di vedere altre persone ne aveva poca, di parlare ancor meno; figurarsi poi di aprire una conversazione in quel modo.
    La piega sulle labbra del Crane-Winston era morbida, calda di un tepore che non sentiva ribollire all'interno, quando si avvicinò appena all'altro per ripetersi, con il tono più quieto del mondo: «non abbastanza.»
    Liquidò in fretta la questione, ispezionandolo per accertarsi di non avere le allucinazioni: non vedeva alcuna necessità di approfondire l'argomento con qualcuno che, in fin dei conti, era poco più di un perfetto sconosciuto. Non l'avrebbe fatto con chi si fidava (Hyde: il fratellino era l'unica persona nelle cui mani avrebbe messo la propria vita; non che non avesse fiducia nella sua famiglia, nei suoi amici, ma non erano le stesse persone che aveva perso e lasciato andare sette anni prima e venti anni dopo), figurarsi con Elias. Strinse con un po' più di forza la presa sul viso del fu Linguini, mostrando quanto fosse divertito da quel suo «in carne ed ossa» mostrando i denti nel sorriso sardonico. Albano – il serpente albino che teneva con sé dagli Emirati Arabi – aveva sicuramente più carne di quanta non stesse toccando in quel momento: sentiva che se avesse fatto un po' più di pressione, avrebbe rischiato di spezzargli qualche dente.
    «sono un sogno, è una reazione normale.» si lasciò guidare, abbandonando la tenaglia dal volto e abbassando la mano per portarla a cercare le chiavi della camera. , quella era una festa, e , sapeva che bere in compagnia fosse più bello: che non fosse stato invitato però all'altro pareva non tangere più di tanto, quindi ritenne superfluo farglielo notare. Poteva fare uno sforzo, e magari sperare che avendo qualcuno lì la capacità di scrivere tornasse ad affacciarsi – chissà, magari anche solo insulti.
    «e poi, qualcuno deve assicurarsi che tu non sia sopravvissuto alla guerra solo per essere ucciso da benzina sottomarca. sarebbe un peccato.» prì la porta in silenzio, senza invitarlo ad entrare ma nemmeno impedendogli di seguirlo. «perché?» lo aveva mandato sua madre, per caso? Ma la domanda era rivolta più che altro alle ultime parole del maggiore. Sarebbe un peccato: ma cristo, era il suo sponsor? Perché non ricordava di aver partecipato ad alcuna seduta degli alcolisti anonimi. E se l'aveva presa come missione personale, per qualche assurdo motivo, almeno che glielo spiegasse. Stappò il whiskey, ma non si premurò di prendere i bicchieri prima di attaccarsi al collo della bottiglia. Arricciò il naso assaporando il chiaro gusto di benzina torbata, e con uno schiocco di dita si accese una sigaretta. «sarebbe un peccato perché hai avuto qualche illuminante visione sul mio futuro?» che senso aveva fingere di non sapere di cosa fosse in grado, o che non fosse a conoscenza del mondo dal quale entrambi provenivano. «l'ultima volta non è stata così entusiasmante, quindi insomma...» si strinse nelle spalle, prima di lanciargli un tramezzino appena comprato. «e mangia qualcosa, cristo santo.»
    29 | 1993
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    Edited by r a n t i p o l e - 12/1/2024, 14:06
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    «posso?» sorrise genuino, Franklyn Daniels, ma sapeva già che dietro le labbra stirate la coetanea avrebbe visto molto di più. Era il suo lavoro, tutto sommato – chissà solo quel giorno quante volte gli fosse già toccato decifrare le mani sfregate convulsamente tra di loro, o gli sguardi sfuggenti; quante volte avesse dovuto ascoltare oltre un silenzio protratto per l’intera durata di una seduta, e quante invece non si era fatta scalfire dall’aggressività, cercando di comprenderla nonostante tutto. Lui non ci capiva nulla di psicologia, assolutamente zero, ed in quasi trent’anni di vita aveva sempre evitato gli strizzacervelli come la peste: era una mente troppo oscura, la loro, e si sentiva del tutto legittimato ad esserne terrorizzato; nei suoi turni al San Mungo, tuttavia, tra una chiacchierata che aveva sempre cercato di rendere più leggera e stupida di quanto non fosse stata in principio e tutti i suoi interventi per riportare gli studi degli psicomaghi ad uno status quo più consono all’ambiente ospedaliero, aveva iniziato a comprendere come funzionassero. Continuavano a non piacergli, forse ancor di più che quando poteva credere d’essere completamente ignorante in materia.
    Per questo non attese la risposta di Idem – sapeva già che non gli avrebbe detto di no, e che avesse quei pochi minuti di pausa che il periodo post guerra raramente concedeva a lei e i suoi colleghi: invadente lo era da quando poteva farsi tranquillamente chiamare Jekyll dal mondo intero, ed il “rispettare i paletti altrui” non era mai stato uno dei suoi punti forti; avrebbe alzato i tacchi immediatamente se solo gli avesse dato il minimo segno di voler rimanere da sola, ma non era geneticamente programmato per non rompere il cazzo alla gente –, gettandosi sulla sedia e trasformando la piega gioviale in un’espressione di dolore misto a sollievo, la mano a massaggiare la coscia. La penultima delle sue intenzioni era quella di venire psicanalizzato, gratuitamente e senza alcun appuntamento, dalla ragazza – veniva superata soltanto dall’idea di pagare volontariamente per sdraiarsi su un lettino e parlare dei suoi problemi.
    Non c’era alcun problema che avesse il desiderio di celare dietro al solco impreciso e tremulo dipinto sul viso, in fondo; perché avrebbe dovuto essere il contrario? Esternare le proprie emozioni non era mai stato difficile per il pirocineta; anzi, in molti gli avevano detto che fosse fin troppo esplosivo nell’esprimerle. Il quesito non poteva porsi in partenza.
    Allora smetti di portelo, no?
    «stavo per chiederti della gamba, ma...» liquidò la questione con un vago cenno della mano che aveva appena liberato, dopo aver lasciato sulla scrivania della Withpotatoes il solito che sapeva avrebbe preso se avesse avuto il modo di andare al bar dell'ospedale – aveva indubbiamente più tempo libero di loro: gli piaceva approfittarne alternando quei piccoli pensierini tra lei, Stiles e Lupe, o Dominic e Sinclair; completamente disinteressato e cercando di fare meno preferenze possibile, ma senza poter negare di fermarsi dagli ultimi due più a lungo di quanto non facesse con gli altri. «va meglio!» quello era poco ma sicuro, considerando che almeno la muoveva ed era ancora attaccata al resto del corpo; quanto andasse meglio era un altro paio di maniche. Aveva stupidamente (se ne rendeva conto persino lui) ritardato l'operazione della coxo... qualcosa perché era certo ci fosse chi era messo peggio di lui e riteneva che qualcosa di rotto con un nome così assurdo non dovesse essere qualcosa di tanto grave; impegnarsi nell’ignorare il danno non aveva sortito gli effetti desiderati, ed aveva reso il recupero solo più lungo e doloroso. Quantomeno, non aveva più bisogno di usare le stampelle – checché ne dicesse un Dominic urlante ed al limite della rassegnazione che voleva costringerlo ad un’altra settimana di riposo e minimo altre due con le canadesi.
    «avevo solo bisogno di sedermi un attimo, è tutto il giorno che sto in piedi.» asserì in tutta onestà, senza alzare lo sguardo: non voleva sentirsi giudicato per... qualcosa, men che meno da un’amica – aveva già Nice per quello.
    «magari dovresti davvero stare a riposo, sai...» uh, o magari no. «nah, mi annoio a casa! sto bene.» nemmeno si rese conto del fatto che si fosse seduta dall'altra parte della scrivania, braccia poggiate sul legno e mani congiunte.
    «sicuro?»
    Alzò il capo, sorridendo agli occhi blu che sembravano volergli scavare nel cervello – peggio per lei: rischiava di perdersi nel vuoto cosmico o rimanere tanto confusa da quel trambusto quanto lo era lui ventiquattro ore al giorno, sette giorni su sette. «ma sì, sto bene, non fa così male.» ed aveva degli antidolorifici miracolosi sempre a portata di mano. Era consapevole, in cuor suo, che la medium non si riferisse al suo stato di salute fisico; con altrettanta certezza, sapeva di non voler fare il suo gioco.
    Non aveva niente da dire, Jekyll.
    Sbuffò una risata morbida, eppure acida sul palato e pesante nel petto. «davvero, sto bene!» non l'aveva detto abbastanza volte da poter risultare convincente? Assurdo. «qui è tutto apposto, invece? qualche schizzato ha esagerato?» prese nota della microespressione della ragazza, del naso arricciato per un millesimo di secondo: era cosciente del fatto che ci fossero parole tabù da non usare in presenza degli strizzacervelli, e si era morso la lingua prima di aprire bocca – eppure non si era frenato, e sentiva che poco avesse a che fare con quel filtro cervello-bocca che ogni tanto andava ripulito.
    «tutto ok, tranquillo.» il sorriso che gli rivolse suggerì al biondo che qualsiasi tattica avesse avuto in mente, non aveva funzionato come previsto: dopotutto era Hyde lo stratega in famiglia, ed essendo stati un pacchetto unico da che avesse memoria non aveva mai avuto bisogno di sviluppare particolari abilità in quel senso. Deglutì, annuendo ed accennando una piega forzatamente simile a quella della psicologa. «lo sai, vero?, che se –» lo sapeva, e non era interessato. Grazie al cielo il cercapersone magico iniziò a suonare prima ancora che potesse fingere qualcuno lo stesse cercando. «scusa, devo andare, il mondo ha bisogno di me.» si alzò, non senza difficoltà, liquidando la questione in sospeso con un ultimo sorriso a trentadue denti. Non riusciva perché continuava a sedersi sulla sua poltrona, o su quella dello Stilinski, pensando ogni volta che non avrebbero cercato di prendergli la testa tra le mani e scuoterla come una maraca. «davvero, tutto ok – e poi ho un paio di giorni di riposo!» una considerazione che poteva servire a rafforzare quella convinzione, quanto a volerle dire che fosse solo stanco e che avrebbe approfittato di quello smonto dal lavoro per dedicarsi al relax.

    Era esattamente quello che aveva fatto.
    Che poi il suo staccare la spina si riducesse all’accartocciare l’ennesimo foglio di carta scarabocchiato, tentare di farci canestro nel cestino all’angolo della stanza fallendo miseramente, e constatare che un’altra bottiglia di whiskey fosse quasi finita senza che potesse accorgersene, era un discorso che non doveva affrontare con nessuno se non che con sé stesso.
    Sospirò, palpebre pesanti a coprire gran parte del verde acqua delle iridi, picchiettando il cappuccio della penna a sfera sul quaderno. Lo stesso che aveva aperto non appena aveva messo piede in quel motel la sera precedente, e sul quale in una ventina d’ore non aveva scritto alcunché che gli fosse sembrato necessario tenere. Sapeva di avere talento, Jekyll, di saper scrivere; non aveva nemmeno mai dovuto faticare per tirare fuori un pezzo, da quelli privi di senso a quelli che l’avevano costretto a rintanarsi in camera sua per giorni prima di riuscire a metabolizzare cosa avesse messo per iscritto.
    Ma ormai era un po’ di tempo (se così poteva definire qualche anno) che portare a termine qualcosa gli costava giorni, quando non settimane, e nell’ultimo periodo non aveva fatto altro che riempire i secchi dei luoghi più disparati in cui si andava ad isolare alla ricerca di – di cosa? Voglia ne aveva, ispirazione non era mai mancata.
    Mandò giù l’ultimo sorso, consapevole di doversi alzare ed andare a comprarne altro allo squallido minimarket sotto la sua camera – ma per fortuna, quella merda sottomarca era abbastanza scadente da colpire con la forza di mille soli e rendere il dolore alla gamba un lontano ricordo: lo aveva detto (lo aveva detto?) ad Idem che avesse degli antidolorifici da far paura, e che erano in grado di lenire sofferenze provenienti da ogni singolo fronte.
    «e quindi non sei morto: sconvolgente.» sollevò la testa di scatto, sbattendo le palpebre un paio di volte per mettere a fuoco la figura davanti a sé. Ancorò la presa sulla busta che non ricordava di aver riempito già, ma non si stupì di aver rimosso il viaggio fino al negozio e l’indifferenza del commesso nel trovarselo di nuovo lì, nel tardo pomeriggio, a fare rifornimento di alcolici e cibo spazzatura. «ma scommetto che ci sei andato molto vicino.» sorrise, per quanto il pigro angolo destro della bocca a scattare verso l’alto potesse valere come tale. «non abbastanza, a quanto pare.» divertito, Jekyll, dalla barzelletta che era la sua esistenza. Umettò le labbra, allungando la mano libera per afferrare il viso del biondo davanti a sé senza pensarci due volte; spinse appena pollice e indice sulle guance irsute del maggiore, piegandogli il capo da una parte all’altra. «ma pensa,» sbuffò una tiepida risata. «sei vero
    Conosceva Elias Raikkonen, così come in un’altra vita aveva conosciuto Kimi Linguini: casualmente, superficialmente, come uno scherzo del fato a sferrargli un calcio nelle palle senza che avesse fatto nulla per meritarselo. Non ne comprendeva il perché, né tantomeno il come; era solo apparso nella sua vita, di punto in bianco, ed il vigilante non aveva mai fatto alcunché per tenerlo fuori dai suoi sogni.
    E poi aveva semplicemente smesso di esserci, senza nemmeno degnarsi di avvisarlo – dopo che aveva osato dargli un punto di riferimento in mezzo a quel caos.
    Figlio di puttana.
    «iniziavo a credere non esistessi davvero.» ed avrebbe implicato che avesse iniziato a pensare a lui in maniera del tutto spontanea e non richiesta, il che era tutto fuorché normale.
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    jekyll crane-winston
    I got rage every day, on the inside
    The only thing I do is sit around and kill time
    I'm trying to blow out the pilot light
    I'm trying to blow out the light
    Avrebbe preferito non svegliarsi affatto, Franklyn Daniels; restare disteso sulla stessa radura nella quale era stato gettato, ferito e stordito, con una quantità di sangue a bagnare l'erba di Stonehenge maggiore di quanto avesse mai creduto di averne in corpo.
    Gli sarebbe piaciuto – più di quanto non avrebbe mai ammesso davanti a quei bicchieri di whiskey, o davanti al proprio riflesso allo specchio – godersi quel riposo ed accettare una fine del genere: un’uscita di scena poco spettacolare ed affatto gloriosa, completamente opposta rispetto a come sin da bambino aveva immaginato se ne sarebbe andato, ma dalle sfumature così ironiche da far ridere davvero in pochi – lui di certo. Non avrebbe trovato poi troppo assurdo se il fato avesse deciso di mantenere fede ad una parola data alcuni anni prima, e molti anni dopo, proprio quel giorno e proprio in quella città: la storia tendeva a ripetersi all'nfinito, d’altronde, senza mai suonare ridondante; se ci fosse morto, nell’esplosione di Brecon, avrebbe soltanto adempiuto a quel dovere vergato in lettere scarlatte sul contratto di nascita di una stirpe maledetta. Gli sarebbe andato bene; avrebbe accolto quell’epilogo senza opporsi nemmeno con un dito – conscio, in quel singolo istante di lucidità tra i colpi finali ricevuti nella cattedrale e la perdita totale dei sensi, che sarebbe stato meglio se fosse andata così: avrebbe smesso di fare male. Non un pensiero sul quale si fosse mai soffermato più del necessario, o che avesse mai preso più seriamente del dovuto, ma si era presentato – subdolo, a strisciare sotto la pelle come l’inchiostro a macchiare braccia e gambe; voleva morire, Jekyll?. Un sibilo messo sempre a tacere, nascosto tra le righe di una nuova canzone o affogato nel fondo di una bottiglia, sopito dal solito sorriso e l’ennesima cazzata detta o compiuta prima che potesse concretizzarsi in una domanda di fatto: se non fosse esistito davvero, non avrebbe avuto alcun motivo di riflettere su una risposta. Ma si era ripresentato, e forse il trauma cranico era stato provvidenziale – perché non aveva abbastanza alcol tra le mani, né un pezzo di carta dietro cui rifugiarsi; niente che potesse impedirgli di pensarci davvero.
    Ma avrebbe comunque preferito non sentire la voce di Dominic, né percepire l’effetto dei suoi incantesimi; se lo avesse semplicemente trascinato via, lasciandolo dormire cullato da sogni in cui gli veniva ripetuto con insistenza che fosse un coglione – niente di nuovo sul fronte occidentale – e che glielo avesse detto, di non andare nel Galles. Avrebbe gradito non aprire gli occhi su una Stonehenge in rovina; sarebbe stato grandioso non essere cosciente – se così poteva essere definito lo stato soporoso nel quale si era ritrovato ad osservare il mondo –, quando la nube scura lo raggiunse.
    O quando raggiunse l'Hansen. Quando lo uccise, davanti ai suoi occhi e senza che potesse fare niente. Nemmeno riderne, come se ci fosse qualcosa di divertente, esilarante, nel dover vedere quel ciclo ripetersi – nel non essere altro che mero spettatore mentre la sua famiglia non smetteva d'essere fagocitata dalla narrazione, alla stregua di un tumore incurabile e che continuava a recidivare. Poco poteva importare, al Crane-Winston, che quello fosse un altro Sin: lo guardava, assente a sé stesso ed al mondo, e non vedeva altro che lo zio che gli era stato vicino mentre iniziava a scoprire i propri poteri, che gli sorrideva mentre spegneva i piccoli incendi che andava appiccando ovunque ci fosse qualcosa che poteva prendere fuoco, che lo aveva preso per le spalle e gli aveva detto che ne aveva visti tanti, davvero tanti, e che lo avrebbe aiutato sempre; uno dei pochi che fosse sempre rimasto.

    Non sapeva cosa l’avesse spinto a trascinarsi fino al pub – letteralmente: se la vegetazione di Brecon non gli aveva direttamente amputato una gamba, era solo per miracolo; o per sfortuna, dal momento che gli sarebbe toccato sopportare quel foro alla coscia per Dio solo sapeva quanto tempo. Probabilmente l’aver visto Run, sana e salva, portare via Turo; magari assistere al ritorno dell'idrocineta, e degli altri con lui, ed essere sicuro che, in un modo o nell'altro, fossero ancora tutti vivi. Forse la voce del Cavendish, i suoi occhi, la necessità di fargli l'unica promessa che era sicuro al cento percento di poter mantenere – che l'avrebbe fatto uscire da quel posto sui gomiti, senza nemmeno ricordarsi il suo nome.
    Di certo, il bisogno di un reset di fabbrica prima di tornare a casa da Hyde: voleva solo raccontare delle cose belle, al capo del consiglio – che un cecchino gli avesse sparato più volte, che lo avevano accoltellato al petto, che era esploso (la sua parte preferita), che anche Jericho Fucking Lowell lo aveva pugnalato perché le aveva rubato una kill; tutte cose che era certo suo fratello avrebbe apprezzato, che l'avrebbero fatto sorridere.
    «sei sicuro di potertelo permettere?» sollevò un sopracciglio, mascherando il dolore nel sedersi sullo sgabello dietro ad un sorriso sghembo. Non aveva modo di dubitare delle disponibilità economiche del minore, ma del fatto che non avesse compreso quante bottiglie sarebbero venute a mancare dal runner del barman . Prima tra tutte quella con cui aveva riempito i bicchieri, che con un eloquente cenno della mano invitò il ragazzo dall'altra parte del bancone a lasciare davanti a loro. Incendiò entrambi i whiskey, senza farsi pregare due volte da Dominic dopo quella che forse avrebbe voluto fosse una battuta – oh beh, il pirocineta era molto serio quando si parlava di alcol. «alla tua, allora.» incrociò lo sguardo ed il bicchiere del biondo, prima di mandare giù il liquido ambrato ancora in fiamme – e di riempirli nuovamenoete, ed ingollare come se nulla fosse, e rinzepparli ancora. Lasciò che il distillato scivolasse lungo tutte le pareti interne del suo organismo, come miele a lenire le ferite ancora aperte; occhi chiusi e palpebre serrate, mentre ogni singola goccia s'imprimeva come l'ago di un'enorme siringa su un cervello già provato da un'importante botta alla testa – avrebbe potuto chiedere al dottore al suo fianco quanto fosse opportuno bere dopo un trauma cranico del genere, ma aveva scelto di vivere il rischio.
    «se vuoi, puoi stare da me.» accennò, iridi verdi e azzurre fisse sulle onde nel vetro, ripensando a quanto gli aveva detto in precedenza. «cioè, non da me da me la politica sugli ospiti in casa Crane-Winston era molto severa, non voleva che Hyde uccidesse il Cavendish. «da me.» chiaro. «ho un posto.» in cui andava a rifugiarsi, ma era disposto a condividerlo con Heathcliff.
    Non Heathcliff, Dominic.
    Lui, insomma.
    Si strinse nelle spalle, schioccando la lingua sul palato. «insomma, se non sai cosa fare.» ed alzò di nuovo il bicchiere, attendendo l’amico facesse lo stesso prima di portarlo alle labbra.
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    arms crossed with the attitude, lips pouted
    «ce l’ho già un lavoro»
    «come fai a chiamare quello lavoro…»
    In quella torrida mattinata d’agosto, Jekyll Crane Winston non aveva le forze necessarie a (vivere) sollevare il capo dalla sua tazza di Cheerios per volgere a Nice un sopracciglio inarcato e lo sguardo più offeso che potesse mettere su. Avrebbe voluto, ed avrebbe dovuto, ma aveva dormito troppo poco – e troppo male – per concentrarsi su altro, persino sulla Hillcox che parlava male della sua carriera da rapper. Versò due dita di whisky nel mix di latte e cereali, spingendo quest’ultimi più a fondo: la colazione dei campioni, un metodo efficacissimo per fare pace con il troppo alcol della sera (e della notte, e delle prime luci dell’alba) precedente e per iniziare al massimo la giornata; aveva bisogno di carburante, il pirocineta, per essere così… così.
    «mi stai ignorando?»
    «mi sono appena svegliato»
    «ma è mezzogiorno…»
    «non giudicarmi, sono rientrato in mattinata.»
    Attese qualche minuto, godendosi il silenzio interrotto unicamente dal proprio masticare anellini di miele croccanti, per poi ritenere insopportabile tutta quella quiete che s’era andata a creare. Non era in grado, il Daniels, di esistere senza avere un costante rumore a ronzare nelle orecchie impedendogli di pensare troppo; aveva i suoi metodi per tenere la mente occupata, ma si rendeva conto di non poter passare ventiquattro ore al giorno sotto i fumi dell’alcol o le lenzuola di qualcuno. «e poi, cosa vuoi che faccia?» si strinse nelle spalle, ancora senza cercare gli occhi chiari dell’amica – che, lo sapeva, per interessarsi così spassionatamente alla sua vita lavorativa doveva o avere un proprio fine, o tenerci davvero tanto. Cosa che non avrebbe mai ammesso, e che forse nemmeno era così vero: sosteneva di capire le persone, Jek, ma raramente sapeva davvero cosa dicesse loro la testa; l’unico che poteva dire di conoscere davvero, era suo fratello. «insomma…» guardami: sono un buono a nulla, no? «il mio punto forte è la musica -» «ma non sta andando bene.» «non sei d’aiuto -, e rompere le palle a Hyde.» sottinteso, ancora, ma che non aveva bisogno di dire alla ragazza: non sono bravo in altro. Aiutava Ethan con i draghi, sì, ma quella era una passione: non avrebbe mai pensato di chiedere soldi all’Huxley per parlare con i rettili quando capitava di lì.
    Al San Mungo avrebbe fatto solo danni, così in qualsiasi livello del Ministero. Aprire un’attività sarebbe stato anche peggio, avrebbe fatto fallire non solo quella ma probabilmente l’intera economia del mondo magico inglese – come, non ne aveva idea; sapeva solo di esserne in grado. Era un portento. «se conosci un lavoro in cui potrei applicare queste mie qualità, dimmelo.»
    «…»
    «…»
    «…»
    «…»
    «…»
    «oh mio dio, ho un’idea.»
    «oh no.»

    Oh sì.
    O almeno, idealmente.
    Perché se si era deciso, mesi prima, a fare un colloquio come addetto alla security, era nell’ottica di passare il tempo con sua sorella e sua cugina perlopiù nel secondo livello del Ministero, a spiare Jack e ad assillarlo con la sua presenza non solo a casa, ma anche in ufficio.
    E a controllare stesse bene, che non si esponesse troppo, che non rischiasse nulla.
    Non aveva idea del fatto che avrebbe dovuto fare la spola tra gli uffici governativi, l’ospedale magico ed Hogwarts.
    Non erano quelli gli accordi.
    Erano esattamente quelli, gli accordi.
    «eddai, mabe.»
    Zittì la voce della sorella nella sua testa – che era sempre stata un po’ la voce della propria, inesistente, coscienza, insieme a quella di River –, scansando un paio di studenti del primo anno lungo il corridoio del terzo piano del castello.
    Ma nonostante non fossero quelli gli accordi, checché ne dicesse la voce di sua sorella, aveva imparato in fretta e furia a adattarsi a quell’imprevisto. Insomma, stare nella scuola magica aveva i suoi vantaggi: aveva già trovato a chi rompere le palle tra gli adulti, con chi fare comunella, gli studenti preferiti con cui andare a farsi le canne di nascosto (ma anche professori, docenti, altri colleghi di security, gente che passava lì per caso… vabbè dai, chiunque…).
    Soprattutto, volete mettere l’opportunità di fare stalking alla sua famiglia? Probabilmente Maeve già si stava pentendo di averlo messo al mondo, non avendolo nemmeno ancora programmato («non sei stato programmato, papà dice sempre che sei uscito per errore» cit. qualsiasi figlio dei Crane-Winston, ad un certo punto della propria esistenza), dopo tutte le volte che aveva fatto irruzione nella sua aula per portargli qualche studente che aveva rotto le palle in giro per la scuola, o per controllare che nessuno stesse facendo danni lì dentro. Amalie ok, ormai si era abituata alla sua invadenza anche in quella vita, immaginava non si accorgesse nemmeno della sua presenza quasi costante nella stanza degli psicomaghi. Flow e River – o Oscar e Arturo, come preferivano – prima o poi sarebbero scappati da quella scuola senza diploma, per fuggire dai suoi pedinamenti.
    Era tutto bellissimo.
    Peccato che dovesse anche lavorare, una vera rottura di coglioni.
    «ehi, coglioncelli» se mamma Maeve lo avesse sentito, gli avrebbe dato uno scappellotto tra capo e collo: quasi poteva sentire la sua voce (minchia, ma quante voci sentiva) (tante) (magari prima o poi si sarebbe fatto controllare) (nella prossima vita) dirgli di scusarsi con quegli studenti.
    Prese per la collottola uno dei due ragazzi, quello che aveva trovato in una posizione di supremazia, sollevandolo con fin troppa facilità per appenderlo al muro – ma con delicatezza: vabbè che vabbè, ma mica voleva correre il rischio di fargli male –, e con un cenno del capo invitò l’altro – col naso evidentemente rotto e sanguinante – ad andarsene via da lì. «corri in infermeria, prima vai e meno farà male rimetterlo a posto» suggerì, quando notò un’iniziale reticenza del ragazzo a muoversi. Da una prima occhiata alle divise dei due, era facile intuire che quello col sangue sulla camicia voleva assicurarsi l’altro venisse punito nell’immediato. Peccato che Jekyll non volesse.
    Mise giù lo studente solo quando fu sicuro che il Grifondoro fosse uscito dal corridoio del piano infestato, sistemandogli con delle poderose pacche le pieghe che gli aveva procurato sui ricami violacei. «non ho iniziato io…» «ma hai finito tu, no?» gli prese la faccia tra le dita, e avvicinandosi col viso prese a studiarlo smuovendolo tutto. «e non hai neanche un boh… un graffio, un livido… che tristezza, martin» perché sì, il pirocineta conosceva il coglioncello in questione: era un ragazzo un po’ esuberante ma non un attaccabrighe, fumantino ma tutto sommato un bravo ragazzo. «possiamo parlarne un’altra volta di quello che è successo, mh?, ma la prossima che ti becco sopra un mago ti porto in sala torture» sollevò un sopracciglio, smorzando subito le parole a fiorire sulle labbra dischiuse. «oh, lo sai che non voglio, ma meglio che ti ci porti io che non la queen. a meno che tu non abbia kink strani, non ti giudico – anzi» alzò le mani. «ci sta di brutto, zio. ora sparisci e vai dalla winston a spiegarle quello che è successo.»
    Attese di vedere il fumo sotto i piedi del ragazzo, prima di buttare fuori l’aria e rilassarsi. Non gli piaceva fare la persona seria, non ci credeva nessuno: poteva farlo per una volta al giorno e basta. Con gli studenti poteva ancora un po’ funzionare, non lo conoscevano, ma prima o poi avrebbe perso di credibilità anche con loro. Fortuna che o si diplomavano, o morivano; c’era un continuo riciclo lì dentro.
    Troppo bello.
    Mio dio aiuto è orribile.
    «ah, credo di meritarmi una pausa» chissà quando aveva iniziato a parlare da solo, assecondando le voci nella sua testa. Si sentiva un po’ il personaggio di un anime che deve commentare qualsiasi cosa stia facendo ad alta voce. Nemmeno si guardò attorno, assicurandosi non ci fosse più nessuno, prima di recuperare dal taschino della giacca una sigaretta poco legale ed intrufolarsi in un’aula aperta: chi poteva mai esserci a zonzo alle undici del mattino per il piano infestato?
    Nessuno.
    «julian???»
    Julian Bolton non era nessuno.
    «bello, ti sei perso?» domande lecite. Spinello tra i denti, impunito a pendere dalle labbra carnose del ventottenne, fece vagare lo sguardo chiaro e confuso per tutta l’aula, prima di concentrarsi sul portiere dei rosso-oro. Indicò prima lui, poi il mucchio di abiti, poi di nuovo lui, infine si grattò la radice del naso. «e sei… nudo… ok…» e, laddove una persona normale avrebbe lasciato la stanza e concesso al giovane spazio per ricomporsi, il Crane-Winston, chiuse la porta alle sue spalle. «aspetta… aspetta!» aveva capito tutto. «è un appuntamento segreto con joni, non è vero?» perché certo, sapeva tutto di tutte le ship di Hogwarts: fategli causa. «eh???»
    Non aveva capito un cazzo.
    rise against
    satellite
    You can't feel the heat
    until you hold your hand over the flame
    You have to cross the line
    just to remember where it lays
    You won't know your worth until you take a hit
    franklyn d.gifs cr.playlistaesthetic
  5. .
    A lot to unpack here. Very poco tempo per farlo.
    Il riassunto di Franklyn Daniels era: «AAAAAAAAAA» molto esplicativo. «COME SONO FIERO DI TE HEAT- no, DOM!!!!!» era andato a parare proprio dove voleva portarlo il pirocineta. Un piano ben congeniato, il suo.
    Hyde, somewhere over the rainbow: «ma se tu nemmeno sai pensare.»
    Doveva spingere il Cavendish a fare quello che aveva fatto, tifava per Nice e Dom da una vita o due, era proprio a dream comes true, voleva piangere di gioia per quel bacio strappato alla Hillcox così audacemente, già stava mentalmente scrivendo una canzone al riguardo, e -
    E. «Nice ma sei proprio una frigida, cosa fai. COSA FAI!!! LUI TI AMA!!!» che gli significava quella mano in faccia MA ERA SCEMA??? «RICKENBACH NON È IL MOMENTO DI MORIRE ORA L'INFERMIERE HA DELLE COSE DA RISOLVERE SE TI FAI MALE TI DO IL RESTO» cosa.
  6. .
    «SÌ RICKENBACH NON MORIRE, È IMPEGNATISSIMO!» cioè ma stiamo scherzan- aspè: «ma è il Mathews che rischia di morire MATHEWS VALE ANCHE PER TE!» ok, dicevo: ma stiamo scherzando? «ci starebbe benissimo un bacio, ma magari evitiamo dai» accettò di buon grado le braccia del Cavendish attorno al collo e strinse, a sua volta, le proprie alle sue spalle - ma aveva delle priorità di merda. «ma come “magari evitiamo”, Dommy!» Dommy. Terribile. «C'è la pioggia! C'è il goal! C'è» Nice che guarda, che giudica e che deve solo che imparare dal migliore. «l'atmosfera!!! Pensaci.» non voleva forzarlo, ci sarebbe mancato. Era una persona a modo, Jekyll.

    tifo serpeverde
  7. .
    A Jekyll Orwell Crane-Winston piaceva il Quidditch? No. Cioè, per carità, sembrava un sacco divertente con tutte quelle palle assassine e i tentativi (fallimentari) di azzoppare il prossimo, ma non lo aveva... mai capito. Ci aveva provato, impossibile non farlo con una Chelsey e una Amalie in casa, ma non faceva per lui.
    E allora, perché era lì?
    Se l'era chiesto anche lui, prima che gli ricordassero che era un maledetto membro della security a scuola e che in quanto tale doveva presenziare ad ogni partita. Shockante. E se proprio doveva esserci, tanto valeva prendere parte alle urla della gente - bello urlare, gli piaceva un botto, very catartico - e alzare in aria la bandiera dei Serpeverde. Hyde lo era stato (e prima di lui anche River), era naturale per lui patteggiare per i verde-argento. «RAINEY PUOI ANCORA ESSERE UTILE NON MORIRE»

    Ma passiamo alle cose importanti: «se mi ammalo di nuovo e muoio, lascio a te tutti i miei prodotti per la barba»
    Pianse. Jekyll pianse «Oh mio dio Dom, ti amo anche io!» e fine, ho un minuto.

    tifo serpi
  8. .
    CITAZIONE
    boh, la scheda dice che sei nato oggi, quindi CIAO BRO BUON COMPLE.

    Oh my... Ma che davvero... Sto male, perché ero convinto a novembre ??????? Vai Lele, stai facendo un ottimo lavoro .

    Dkkskfkekkdkr OMG PANDI GRAZIE STO MALE CHE BELLO CHE È C______C 😍😍😍❤️❤️❤️❤️ MSKSKDKKEKE METTO SUBITO
  9. .
    satellite
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    on fire
    once monster
    firework
    katy perry
    «non lo sapevi? sono dei rinomati maniaci»
    Jekyll spalancò le palpebre, le labbra socchiuse in uno stato di profondo shock e seria confusione. Abbassò lo sguardo su Elwyn, che ancora se ne stava stretto tra le braccia braccia, cercando di comunicargli telepaticamente il “in che sensoh” che rimbalzava da una parte all’altra della sua testa – in piena libertà, sciallo proprio; nessun ostacolo a sbarrare la strada del pensiero se non un paio di neuroni a giocare a mosca cieca.
    Sapete, ogni tanto quei due poveri disgraziati ci provavano davvero a collegarsi. Entravano in contatto tra loro e bam!, sinapsi funzionale: in simili, nonché rare occasioni, Franklyn Daniels non solo si dimostrava in grado di fare un ragionamento di senso compiuto, ma era persino capace di attingere all’Intelligenza – un concetto astratto di cui sovente Hyde parlava, non affiancandola però mai alla sua persona se non per insultarlo. Un classico caso di “intelligente ma non si applica”, portato però ad estremi inenarrabili.
    Ad ogni modo «non ho capito: dice che siamo famosi?», la materia grigia del pirocineta non ce la fece proprio. Eh, vabbè – andava così, il più delle volte. Comunque, tanto valeva dar corda alla Dallaire; con voga, agitò un braccio sopra di sé per richiamare l’attenzione della signorina giapponese (previously on quince, at some point: «ma tu ci credi a san gennaro?») (ma la ragazza non gli aveva risposto, quindi ancora non sapeva se fosse napoletana), per poi indicare con eccessivo entusiasmo sia se stesso che l’Huxley sotto di lui. «SIAMO I MIGLIORI!!» ??? sempre giusto aggiungere un po’ di caos a quello già esistente.
    La reazione che non si aspettava, tuttavia, fu la nuova disciplina olimpionica promossa dalla ragazza traumatizzata: il Lancio della Lampada (che, tra l’altro: «aw no figurati, grazie del pensiero ma ne ho un sacco di lampade a casa! non me ne servono di nuove E KE DICI LUI NON SE NE VA!» ma dove voleva che andasse, scusa). Rimase ad osservare il volo dell’oggetto contundente, ammirandone estasiato la traiettoria parabolica mentre tutt’attorno accadeva il finimondo: gente che ballava, gente che se ne andava, gente che si insultava – botte, risse, panico generale. «che succede?» la domanda, cauta sebbene pregna di confusione, venne immediatamente seguita da un rumore sordo. Avrebbe potuto di certo evitarlo, il Crane-Winston. Era letteralmente lì, ad un palmo dal punto d’atterraggio dell’abat-jour, eppure niente; non l’aveva vista arrivare.
    Cioè. L’aveva fissata per tutto il tempo, vero, ma come poteva immaginare che sarebbe caduta proprio sulla testa dell’Huxley. «mistiko.» batté un paio di volte le le bionde ciglia contro gli zigomi, prima di dare un bacino sulla bua altrui e domandargli come stesse – trauma cranico? Morte imminente? Rassegnazione esistenziale alla vita? Chi poteva saperlo; di certo, non Jekyll. Tutto ciò che quest’ultimo sapeva, era che avevano appena dichiarato guerra. «‘cause baby now we got baaaad blooood» e creò una pallina di fuoco (freddo, non voleva incendiare di nuovo la festa di un’adolescente: gli era bastata quella volta agli Emirati Arabi – ma la mistica ed ennesima fuga sua e di Hyde nel deserto è un’altra storia) da lanciare. «you know it used to be maaad looove» e la lanciò; un vero peccato che la sua mira fosse pessima, e con molta probabilità avrebbe preso in testa Shia o Yunhee, dal momento che il suo obiettivo erano le due litiganti – perché? così, for fun. «so take a look at what you’ve done» e dato che nel suo qwore se lo sentiva che la verità fosse una e una soltanto, prese il telefono per mandare un messaggio a vivident: “be the chewing to my gum”. Chiaro e conciso. «‘cause baby now we got baaa – no aspetta, che significa.» guardò Elwyn, guardò Bells, guardò Hye-Su, guardò la telecamera. Zoom tattico.
    «BAMBINE DATEMI POP CORN DA CUOCERE» e qualcuno gli diede dei pop corn da cuocere. Accese il fornello (aka: se stesso), pregustandosi già il sapore. «questo san valentino è sempre più mistico. VAI, PIÙ LINGUA!» cosa?
    Cosa.
    You can't feel the heat until
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    franklyn
    daniels
    when: 19.10.1993
    where: ???
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    status: SINGLE


    non so bene cosa faccia, ma penso parli con yunhee, con elwyn, canta, lancia una palla in testa a shia (o chiunque voglia essere colpito), prende i pop corn

    MANDA MESSAGGINO

    2 qwori + 3 prompt = 5 ♥
  10. .
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    «NO VABBÈ» lesto come una faina nel suo tutù rosa shocking – in osceno contrasto con il maglione giallo canarino ma in armonioso pendant con i pantaloni di lattice del medesimo colore; aveva un senso estetico particolare, il Crane-Winston –, così grazioso nell’indossarlo che Gemes poteva solo accompagnare, Franklyn Daniels si lanciò a peso morto sopra Eddie, schiacciando inevitabilmente suo zio sotto il loro peso congiunto: tanto era già morto (dentro.) una volta, quell’attacco improvviso poteva solo fortificare il suo spirito. «REUNION!!!»
    Dai. Quante – quante probabilità c’erano, che metà team della missione si ritrovasse proprio in un simile frangente, così pieno di gioia e bambini? Poteva solo che essere un sogno, il suo.
    … e forse lo era davvero, non poteva esserne certo.
    Ciò di cui era assurdamente sicuro, era «CANNA! uccellina mia» no kink intended, solo la pura realtà dei fatti: chi dimentica la festa in maschera con lui ippopotamo e la Dallaire volatile parassita sulle proprie spalle, è complice. Dopo aver lasciato un bacio sulla testa del suo bff4e (ma anche cugino, ma questo mica poteva dirglielo) ed uno sulla fronte del Quinn («ZIO COME STAI!!! zio, sai, gergo giovanile hahaha xD») si lanciò in avanti, pronto ad afferrare La Reliquia, giacché nessuno sembrava voler accogliere la gentile richiesta di Bells.
    Ora, con la sua dose di droga giornaliera – per quanto limitata, ovviamente: era un gentiluomo, e quello evidentemente un joint dell’amicizia che doveva continuare a girare per il bene cosmico di quella festa –, poteva anche iniziare a ragionare. O, insomma, provare a capirci qualcosa: al pirocineta piaceva pensare che il flebile movimento dei suoi neuroni potesse considerarsi “pensiero”, ma il fratello puntualmente gli faceva notare quanto poco fosse prossimo ad un simile atto. «aspetta un… secondo…» assottigliò lo sguardo ceruleo, soffiando una nuvola di fumo acre davanti a sé. Con sincero interesse, nonché ansia e sgomento, rimase a fissare lo scambio di messaggi tra la scozzese ed il Milkobitch – ed il trillo del telefono, la folla ad accerchiarli fino a farli sparire, il ballo al centro della sala che li vedeva protagonisti. «… nooo, non ci credo.» guardò gli altri, guardò la pista, guardò il bicchiere. «non saranno mica anime gemelle?» era shock basito, ma nemmeno troppo. «avrebbe assurdamente senso» piegò gli angoli della bocca verso il basso, dondolando appena il capo in una sorta di approvazione: tutto sommato, avrebbe spiegato da chi Chelsey avesse ripreso i capelli rossi. Beh, non poteva pensarci in quel preciso momento – troppe cose stavano accadendo. Zio Shia provolava con una signorina cinese, l’Hilton proponeva porno amatoriale durante una quinceañera (al quale Eddie pareva interessato? Chissà, ma conoscendolo: sì), Richard voleva morire (strano!) e un’altra signorina cinese voleva prendere a lampadate l’Huxley.
    Voleva prendere a lampadate l’Huxley.
    «oh meo deo» trasse con deliberata calma un’altra boccata dalla canna, prima di lasciarla al prossimo (a chi? /al prossimo/) e lanciarsi – con la stessa dolce grazia con cui poc’anzi aveva travolto la #eddick – addosso ad Elwyn per toglierlo dalla traiettoria della furia asiatica. E così, avviluppato attorno al corpo di Boh – eh, mica poteva ricordarseli lui i bei vecchi tempi a morire nel futuro, ma a Jekyll fotteva sega - come un koala al suo albero d’eucalipto preferito, sgranò gli occhi. «ma che bella lampada!» ??? «da dove l’hai tirata fuori?» ???????
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    pyrokinesis 1993's | telekinesis 1990's
    jekyllgemes
    neutral | deatheater
    Can you hear the silence?
    Can you see the dark?
    Can you fix the broken?
    hit it until it breaks || 03.07.17 - 21:00
    15.01.2043. Uno schiocco di dita, una flebile fiamma a danzare sui polpastrelli poco lontana dalla punta della sigaretta; gli occhi azzurri - gli stessi limpidi zaffiri di sua madre, come aveva sempre tenuto a fargli notare suo padre, il tono malinconico tra l’aroma di tabacco e luppolo ad addensare il profumo dell’uomo, mentre in quelli del più piccolo dipingeva diverse sfumature del celeste di Maeve, sempre nuove e sempre bellissime - a cercare di perdersi tra le fughe delle piastrelle sul terreno, nella vana speranza di non vedere nulla, di non sentire nulla. Fin troppo difficile, per chi aveva sempre sentito tutto fin troppo distintamente - ogni risata ed ogni pianto ed ogni abbraccio, impresso nell’amigdala a disegnare gli intricati sentieri nell’infinito labirinto della memoria emotiva, a mancare come l’ossigeno quando si ripresentavano inaspettati alla porta del subconscio.
    Jekyll Orwell Crane-Winston, non voleva vederli andare via, dimenticarsi per sempre di lui, di loro. Non lo aveva mai voluto. Non voleva alzare lo sguardo, incrociare quelli dei suoi amici, della sua famiglia, e leggerci dentro quello che sarebbe stato un ultimo saluto. Un commiato che aveva il retrogusto amaro dell’abbandono, definitivo nell’inderogabilità di una scelta che tutti quanti erano stati chiamati a fare.
    Non era mai stato bravo, con gli addii – che mascherava dietro un ampio sorriso il vuoto allo stomaco, l’assenza a premere nel petto prima ancora che la testa potesse capire l’effettivo danno. Eccelleva, il pirocineta, nel dispensare affetto e felicità con i gesti più stupidi e sinceri, a caratterizzarlo un’ilarità ed un’esuberanza che, a detta degli amici dei genitori quando non degli stessi, nessuno riusciva a comprendere da chi avesse ripreso - era il migliore, in quello.
    Allora perché, alla fine, lo lasciavano tutti? Perché ci tenevano così tanto, ad andarsene? Non che il biondo, d’altronde, avesse mai chiesto a nessuno di rimanere – restava lì sulla punta della lingua, penzoloni dalle labbra dischiuse, quell’inespressa supplica a pulsare sulle gengive. Restava lì, quel segreto taciuto dal biondo, quella volontà che mai aveva espresso a nessuno – perché non sapeva come chiederlo, di non venire abbandonato. Che era lui, a sbagliare, non glielo avevano mai detto; non aveva mai pensato, di essere lui quello sbagliato – il proverbiale gioco divertente fintanto che durava, e che quando iniziava ad annoiare, petulante e ripetitivo, nessuno aveva voglia di seguire; perché bastava sempre Jekyll, fino a quando non diveniva il troppo che stroppiava, fino a quando non si trasformava in nient’altro che la solita ordinaria routine. Che dovesse imporsi lui, un po’ di più, non glielo avevano mai fatto notare: perché di suo, il Crane, già lo faceva con la sola presenza, senza pretendere nulla se non quella altrui, senza tenere nulla per sé se non le proprie paure – ed aveva sbagliato, lo aveva sempre fatto.
    Aveva sbagliato, quando non era riuscito a chiedere a Maeve Winston di non lasciarli da soli, immobile davanti ai ricordi della madre, le braccia di Mabel strette attorno alle spalle – perché poteva farlo, per loro: perché immaginava fosse difficile, ma non le stava chiedendo così tanto; poteva raccontargli ancora un’avventura passata, una storia dalle sfumature mitologiche e concrete, di insegnargli qualcosa in più. Di rimanere: solo un altro po’, solo per sempre.
    Aveva sbagliato quando le parole non erano uscite, quando non era stato in grado di supplicare Aloysius Crane di restare assieme ai suoi figli – di cantare loro un’altra canzone, di strimpellare ancora un po’ la chitarra, di illuminare le notti più buie e tristi di piccole stelle in una stanza nella penombra: solo un altro po’, solo per sempre.
    Accese il cilindro di tabacco, le mani tremanti giustificate dal freddo inverno inglese e gli ultimi preparativi, le ultime avvertenze dirette ai missionari a suonare distanti nelle orecchie - troppo forti, per quelli che rimanevano; troppo pesanti, nello stomaco di chi stava lì a guardarli scomparire. Alzò gli occhi senza nemmeno accorgersene, distratto da tutto e da niente. Preso, da tutto e da niente. Altrettanto repentinamente lo distolse, senza voler sapere ancora quanto mancasse – le iridi chiare a cercare nell’oscurità appena rischiarata quelle di chi, come lui, aveva scelto di non partire. Di non dimenticare: non aveva mai ritenuto tanto quella missione un qualcosa di stupido come si ritrovò invece a fare in quel momento – River, Grey, Ade, tutti a cercare di non pensarci. Non chiese il permesso - non aveva mai dovuto farlo - quando andò ad abbracciare Hyde da dietro le spalle, il mento poggiato sulla testa del fratellino e le palpebre calate. «mi serviva un poggia testa» si giustificò, stringendolo un po’ di più – ad impedirgli, di andarsene. Almeno lui, glielo doveva; che ancora temeva, che anche gli altri prima o poi sarebbero partiti: come avrebbe potuto biasimarli davvero? C’era il loro tutto, proprio davanti agli sguardi carichi d’apprensione, a vibrare negli ansiti più preoccupati – e c’era il loro tutto, lì dietro. Eppure, Jekyll non riusciva davvero a comprendere la loro decisione. Nemmeno per un istante, lui, aveva pensato di prendere parte a quella cosa, se non come vigilante – un salto indietro, un salto avanti, una semplice passeggiata tra due epoche diverse e oh!, ma guarda: ci sono mamma e papà; ci sono Run e Gemes, zio Sin e Murphy, e Shot e Dakota; magari, possiamo parlargli. Soltanto un attimo, promesso, poi ce ne andiamo. Non poteva nemmeno pensarci, di tornare indietro e non ricordare
    Non ricordare quella volta in cui era uscito di casa senza avvisare i genitori, intrepido già all’età di cinque anni nello scavalcare la staccionata che separava la loro casa dall’ambiente esterno e vagare in solitaria senza alcuna meta – solo per il bisogno di sentire un po’ di libertà, di uscire e di correre senza qualcuno dietro a controllarlo. E quella volta in cui si era perso, camminando troppo più in là, gli occhi carichi di lacrime e le labbra tremanti; quella volta in cui sua madre l’aveva ritrovato, e l’aveva stretto al petto, il sorriso morbido a piegare il volto diafano e la supplica di non farlo mai più.
    Non ricordare la prima volta che aveva sentito suo padre suonare la chitarra, intonando un vecchia canzone dei suoi tempi - Pink Freud, forse? -; quella volta in cui gli aveva chiesto, dipinta sul volto fanciullesco la più ingenua delle ignoranze, cosa stesse facendo. Se potesse aiutarlo, in qualche modo, per il solo capriccio di rimanere dentro quella stanza e sentire un po’ di più la voce dell’uomo, imparare qualcosa di nuovo e sconosciuto fino ad appassionarcisi - fino a farlo diventare il suo tempo pieno.
    Non ricordare quella volta che aveva costretto Mabel ad insegnargli come si allacciassero i nodi delle scarpe, e non contento del primo successo le aveva sciolte, e sciolte ancora e poi un’altra volta, solo per ridere di gusto con la sorella per tutte le volte che lei rimaneva lì piegata a ripetere l’operazione fino allo sfinimento – della bionda, non di Orwell: era instancabile, sia da ragazzino che da pseudo adulto.
    Non ricordare quella volta che aveva chiesto a Grey perché si chiamasse in quel modo, pur essendo nera anziché che grigia (un dilemma che ancora, a volte, lo attanaglia) – ultimo tra tutti, il problema di chiedersi perché fosse così fisicamente diversa da lui, Hyde, River e le gemelle; perché per Jekyll, non aveva mai avuto nulla di dissimile dal resto della famiglia, lei. O quella volta che River gli aveva insegnato a guidare la macchina di papà, nonostante non avesse ancora l’età per farlo, finendo per capitombolare in un burrone che, giurava!, fino a qualche minuto prima non c’era. O quell’altra volta ancora, quando Gwen era appena tornata accasa dopo un’estenuante seduta dall’estetista e lui, accidentalmente, le aveva dato fuoco alle sopracciglia appena aggiustate – guadagnandosi piatti lanciati addosso tra urla e imprecazioni, e risa del resto della famiglia.
    Non ricordare quell’esibizione in quel pub anonimo di Londra, uno dei più sconosciuti ed anonimi, e Davina sotto al palco; non era un poeta, Jekyll, e probabilmente non sarebbe mai stato bravo come credeva fosse suo padre, ma cantare era la cosa che lo faceva sentire meglio - il modo migliore, per esprimere quei sentimenti che a parole negava dietro battute e stupidaggini. Non ricordare quella dedica, canto più che orazione, musica a coprire i silenzi: e quel bacio, strappato ad un tempo ed uno spazio al quale non sarebbe più appartenuto.
    Non ricordare tutte le volte, ogni singola volta, che Hyde non stava bene – i tremiti esagerati, la pelle traslucida, più pallida della normale carnagione del fratello. E tutte quelle dannatissime volte che in silenzio, senza che lui potesse accorgersene, si sdraiava al suo fianco stringendolo tra le braccia, il calore naturale del maggiore ad intiepidire le ossa del più piccolo – e la silente promessa, che non gli sarebbe mai accaduto nulla fintanto che la notte poteva raggiungerlo a scacciare quei demoni.
    Non ricordare Ade, CJ, BJ, Cliff, Joey, Kieran – non ricordare nessuno.
    Non ricordare se stesso.
    Non era disposto, a perdere così tanto – che già così, stava perdendo troppo.
    «è ora».
    Era ora – ed era quel momento, e tutti quelli passati, e tutti quelli futuri che si sarebbero persi.
    Fece per sporgersi, nell’aprire gli occhi sulla schiera in partenza. Dire loro di non farlo, dire loro che voleva aggiungersi; c’erano troppe cose in ballo, e Jekyll non era avvezzo a situazioni simili. Era un ragazzo semplice, si limitava a poche cose alla volta – suo fratello diceva che non era abbastanza sveglio per fare più cose contemporaneamente, tipo parlare e camminare allo stesso tempo, e forse aveva ragione. Non si mosse. Li osservò, e basta.
    Non gli aveva detto addio - non lo aveva mai fatto.
    Non l’aveva detto ai suoi genitori, anni prima.
    Non l’aveva detto a Davina, quando aveva cercato di convincerla a non andare, a non lasciarlo - e l’aveva lasciata lui, sperando e pregando che così facendo lei avrebbe cambiato idea: ma non era abbastanza, Jekyll Crane-Winston, per chiedere tanto.
    Non l’aveva detto a Mabel e Gwen, nascondendo in quel «non osate scordarvi di me» la sempre tacita richiesta di restare – solo un altro po’, solo per sempre.
    Era palpabile, la partenza – alzò una mano sorridente, nascoste dietro i denti le mille parole non dette. Perché non era capace di gestire la tensione, Jekyll – sfociava nell’eccesso di ridicolaggine, il biondo, senza nemmeno rendersene conto; quando, perlomeno, non si chiudeva in un religioso silenzio duraturo. «FATE BUON VIAGGIO EH» urlò, nel silenzio generale. Non era il caso? «E RIPORTATECI I SOUVENIR»
    Guarda che non tornano.
    Guarda che non tornano.
    «E FATE TANTE FOTO MI RACCOMANDO!»
    Non poté quantificare, il tempo che era passato da quando erano scomparsi – quanti respiri aveva trattenuto, quanto aveva più stretto a sé il fratello, quanti battiti persi nell’eco.
    Se n’erano andati. L’avevano fatto davvero; e lui che, fino all’ultimo istante, ci aveva sperato non lo facessero: quanto poteva essere stupido? Tanto. «ho bisogno di un abbraccio di gruppo» sussurrò al fratello, tentando lentamente e discretamente come un granchio sul bagnasciuga, di avvicinarsi agli altri: nessuno voleva fare abbraccio di gruppo - quindi, li prese singolarmente, anche se loro non volevano. Le molestie, le aveva riprese tutte da Run. «sa, raga; briscoletta? Tanto abbiamo un po’ di tempo per-» eeee rumori sospetti. Era tanto che non li sentiva, un po’ gli mancavano. «-… morire?» tentò, mentre gli spari echeggiavano.
    Inutile dire che, Jekyll, non ci stava capendo un cazzo.
    Non erano in un bunker? No, in realtà no: ma un po’ ci somigliava.
    … Non è vero, ma ok.
    «HYDE HO PERSO INJIN YAYAY» «CHI?» «HALLAH KEBAB» «COSA» «UHUHUH GANGA» «perché non sei partito.» «IL CRONOCINETA»
    Uno sparo.
    Qualcosa, qualcuno, li prese – degli altri nessuna traccia.
    Uno strappo allo stomaco.

    2016. Il deserto.
    Il fottutissimo deserto. «hyde copriti» fu la prima cosa che gli venne da dire, sotto i cinquanta gradi all’ombra – che d’ombra, non v’era nemmeno l’ombra. «ma fa caldo» «sì, ma ti becchi un’insolazione» - a volte, un po’ di Winston!Jekyll usciva fuori.
    «sto morendo jeky y yyyyy ll hyde e e e e e eE EeEe»
    «mh.»
    «mh»
    «pensi stia davvero morendo?» Jekyll si avvicinò, prendendo un rametto bianco da terra per punzecchiare il cinese. «uh, ma è un serpente! HYDE TI PIACE?» «POSALO» «MA GUARDA CHE MUSINO!» Hyde, giustamente, lo ignorò, preoccupandosi di punzecchiare il fianco del cronocineta con il piede. «amen, fratello; beato te» «è morto?» «tra poco»
    Morì, poco dopo, minacciato da Jekyll di non fare il cinese – quando scoprirono che, sorpresa!, era giapponese.
    Questa è la breve storia triste di come Jekyll Orwell Crane-Winston adottò un serpente albino.
    E di come i due fratelli si ritrovarono persi per gli Emirati Arabi.
    Fine?

    «merda» ringhiò piano Gemes, lo sguardo a saettare dai suoi difensori alla bruciatura sotto pelle. «non ringraziarmi»: piccolo stronzetto; apprezzava, davvero, che avesse ritenuto opportuno ricambiare il favore di poco prima tentando di salvarlo dalla palla di fuoco, ma onestamente? Avrebbe preferito che lui e il Milkobitch si fossero tenuti da parte, magari sarebbero stati più utili. Non si soffermò più di tanto a guardare Todd, che forse l’astio per quella disfatta non aveva niente a che vedere con la palla di fuoco, seguendo invece i movimenti dell’altro, la testa rasata a fare da sfondamento della barriera – le mani di Gemes distratte, tanto quanto distratto era lui, a sfiorare i margini della ferita. C’era qualcosa di sbagliato, in quel ragazzo. Disfunzionale – nella risata sprezzante, nei modi bruschi, negli scatti, in quella malsana disperazione a trascinarlo da una parte all’altra.
    Una tempesta, una catastrofe - una calamità naturale, di quelle che osservavi per ore ed ore, senza la forza di battere ciglio. Sorrise tagliente, la lingua a scoccare sul palato – gli occhi a guardarsi intorno, una bacchetta puntata al ragazzo. Due occhi azzurri - al che, Gemes, semplicemente si fermò.
    Qualsiasi cosa, in lui, si fermò – il battito, il respiro, la ragione. Perché non era semplicemente possibile.
    Fu un solo attimo, un solo dannatissimo attimo, in cui le iridi blu dell’Hamilton caddero in quelle d’oltremare della ragazza: fu come guardarsi allo specchio, per il telecineta.
    Fu come osservare una parte di sé, muoversi nella folla staccata dal proprio corpo, il suo stesso riflesso ad allontanarsi dalla superficie di vetro - fu così strano, da essere fastidioso.
    Da essere meraviglioso: di una meraviglia, che non aveva mai realmente provato; di una meraviglia, che non riconobbe scrutando le iridi di giada del giovane ariete.
    Puntò la mano, riscossosi nel momento in cui la ragazza fu entrata in scivolata sul ragazzo, verso la bacchetta di uno sgherro di Vasilov, l’intento di togliergliela dalle dita a scivolare inconsistente nell’aria, fino a poterla toccare - istinto, non ragione: perché non aveva niente a che fare, con quei due, non era compito suo aiutarli.
    Perché l’avrebbe fatto sempre, e sempre l’aveva fatto.
    «tu non vieni?»
    Cosa. Seguì lo sguardo della ragazza, seguì lei prima ancora di capire davvero, gli occhi puntati sulla figura di Run – e subito, il quesito sorse spontaneo. «perché dovrei?» Perché no?
    Perché, no. Si convinse, che se aveva accondisceso silenziosamente alla semplice richiesta della ragazza – così naturale, quel quesito, così normale; quasi fosse una cosa di tutti i giorni, sapete? – era stato solo perché, nel caso fosse morta la Crane, sarebbe morto anche lui. Non voleva permetterlo.
    Si convinse così tanto, che fu l’unico motivo per il quale alzò una sedia telepaticamente, diretta verso la testa dell’aggressore. Si convinse così tanto, da non esserlo affatto - che forse, non lo era mai stato; il piede a spezzare lo schienale di un’altra sedia, il semplice bastone di legno riarrangiato molecolarmente a divenire un pugnale fai da te.
    Si convinse così tanto, che se non la guardava negli occhi poteva credere che fosse vero – il legno a cercare, nel petto dell’uomo, qualcosa da trafiggere.

    «sa, sa. Prova, prova» come ci fosse arrivato, su quel palco, Jekyll non lo sapeva. «yo, ciao raghi, mi sentite?» No, ma nessuno lo disse – perché, ovviamente, non lo sentirono. Come ci era arrivato, a quel funerale, Jekyll non lo sapeva. «a tutti voi del funerale mani in alto che mi affetto per Vasilov in due» indicò quello che sapeva essere, grazie ai libri di storia - aka, mamma, Mabel e Hyde, essere il preside di Durmstrang. Non se lo filò – e lui che gli aveva anche fatto l’occhiolino! Perché ci fosse una guerra in atto, Jekyll non lo sapeva - e cercò tra la folla la famiglia, gli amici, tutti. Un sorriso, ad increspare le labbra, la carnagione resa bronzea da un anno in Medio Oriente a tirarsi. «lo sai che Lancaster è il mio idolo da sempre» indicò l’uomo – anche lui famosissimissimo nel futuro per il suo swag. «che a Salem vende cazzate per la povera gente» il flow venne interrotto da un pop-corn, evidentemente di Willy, lanciatogli addosso - oh beh, almeno qualcuno lo stava ascoltando. «dai skerzo tvb lanchi»
    Come fosse arrivato a Londra, Jekyll non lo sapeva.
    Aveva troppo sonno, Franklyn Daniels - così aveva detto di chiamarsi, allo sceicco quale - per pensare razionalmente. Considerando che già non lo faceva quando di sonno non ne aveva, è tutto dire. «non ballo, non sballo – uh guarda Hyde» si staccò un attimo dal microfono, senza puntare gli occhi sul fratello: era ovvio fosse lì. E invece, probabilmente era a fare harakiri da qualche parte. «papà sta morendo – di nuovo! Non è cambiato proprio nulla, eh» - che tutto, era fottutamente cambiato. «NON SPUTO SU MIA NONNA, NON SPARO SULLA FOLLA.» ed era lì, il nocciolo della questione del rapper – perché cristo, erano tornati indietro nel tempo per mettere a posto tutto, e adesso si ritrovavano con una guerra mondiale. Davvero?
    Non sparo sulla folla.
    Non sputo su mia nonna.
    Non lo capivano?
    Non si sputava, sulla nonna – no, scusate: non si sparava, sulla folla.
    «sono soltanto un bianco, che suda come un nero, che rappa come un razzo, attaccati a sto» «ci sono dei bambini, jek» «hai ragione, willy – PALAZZO!»
    Lasciò cadere il microfono a terra.
    Nessun applauso: ora, okay che era stanco e magari non aveva dato il meglio di sé, ma insomma. Un po’ di incoraggiamento? No, eh. «uuuuuh river! TUPP!» nemmeno si curò, del fatto che, beh, non avrebbe dovuto interferire – ma come poteva non rompere le palle a quel cagacazzi di suo fratello, quando questo era ancora un neonato e non poteva sgridarlo perché gnegnegne jekyll non puoi dare fuoco alle tende dei campeggiatori. Scassa minchia. Fu voltandosi, che la vide.
    L’aveva già vista, mentre cercava inutilmente di aiutare Al, ma ora era lei in difficoltà - e papà a morire male, quindi non poteva intervenire. «hyde, mamma, attacco, difesa, via» chiamò il fratello al volo, ovunque egli fosse, gettandosi dal palco come un concertista strafatto di coca – rotolando poi sul prato, da vero esperto perché mai nessuno lo prendeva quando si gettava a fine canzone. In concomitanza con Hyde, premurandosi di non guardarla troppo - non intervenire, Jekyll, non intervenire - l’aiutò a scansarla, frapponendosi tra lei e l’attaccante, una barriera di fuoco a difenderla.
    E poi, le vide.
    Spade laser.
    Lele ha sonno.
    Si avvicinò zitto zitto quatto quatto a zio Amos e Jade, mentre questi ingaggiavano una battaglia con spade luminose – aw, quanto li amava. «SWIUUN SWIUN SWUUUSH SWUUUSH NA NA NA NA NA, NA NA NAAAAAAA» perché che lotta era, senza sottofondo musicale di Star Wars? Una merda, ecco cosa.
    Jekyll andò in brodo di giuggiole, quando Amos gli disse di averlo sentito - che voleva imparare da lui, quando anni dopo (o prima?) era stato il contrario. What a time to be a time traveler. Accolse la spada laser con summo gaudio tra le mani, individuando uno zio Shia non troppo lontano in procinto di morire - vizi di famiglia -, e sebbene deluso dal fatto che l’Hamilton mini non avesse voluto la sua spada di fuoco, lo seguì alla difesa del suo babbo natale preferito, quello che invece dei dolcetti nei pacchi metteva la droga.
    Sono le cinque e un quarto, quindi senza pensarci troppo provvide a cercare di tagliare le braccia all’attaccante, per poi ritornare da mamma.
    Mamma - poteva abbracciarla? «hyde, posso abbracciarla?» «no» «papà? Mabel?» «no»
    Eh vabbè ci aveva provato. «allora do fuoco al tizio» e così fece.
    Era sempre così bello, dare fuoco alle persone – anche se ogni volta lo sgridavano un po’ tutti.
    | ms.


    Jekyll
    Combo difesa con Hyde, per Maeve - barriera di fuoco
    Combo difesa con Amos per Shia - spadate laser
    Combo attacco con Hyde su quella baldravca che attacca mamma e che non mi ricordo - gli da fuoco *creepy psychotic laughter*

    Gemes
    Combo difesa con Ade per CJ - fa volare via la bacchetta a coso
    Combo difesa con Ade per Run - lancia una seria al tizio
    Combo attacco con Ade su quello di Run - lo pugnale con una sedia riarrangiata


    Edited by insomniac; - 5/8/2017, 05:35
  12. .
    whatever
    cole baudelaire
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    Ancora ignaro, Cole Baudelaire, della baguettata che mirava alla sua testa da tempo immemore, restò ad ammirare l’incantesimo puntare alla testa della donna-corvo, e con esso la sequela di attacchi che seguirono ad infierire sul povero – economicamente, di certo non moralmente o eticamente parlando: non era il tipo da commiserare gli avversari, non gli faceva pena. Fu uno spettacolo agghiaccantemente magnifico, un accanimento terapeutico ai danni dell’arpia da rientrare negli annali: certo non si capacitava di come ella potesse essere ancora in piedi dati i fori sgorgante macabro sangue dai bulbi oculari, ma non poteva non essere fiero – per quanto, il preside, potesse mai esserlo realmente – della cattiveria esercitata dai suoi studenti.
    E dalla mancanza totale di pudore: non era una novità, affatto, ma era sempre una grande gioia. Spettatore immobile di quella scena, mentre la Crane, la De Thirteenth ed il Knowles colpivano ripetutamente la ragazza-corvo con tutto ciò che avevano – e, ad un certo punto, divenne davvero tutto, senza esclusione di colpi: la mossa del tanga era stata la ciliegina sulla torta, e fu lì che si lasciò prendere da un mite applauso sentito, qualche battito di mano il cui suono andava a perdersi nell’eco degli scontri circostanti. Quando gli studenti mostravano la propria vena sadica e perversa, gli voleva quasi bene.
    Quasi. «dieci punti a tassorosso e grifondoro» sancì piatto, la piega di un sorriso ad increspargli le labbra. «ricordatemi di segnarli quando torneremo a scuola» e così dicendo, molto acab molto i don’t really give a fuck, si voltò, cambiando quella che era stata la sua direzione sin dall’inizio: se non c’era modo rapido di uscire da quella villa, tanto valeva combattere con stile ed arguzia, il che significava solo una cosa. «sempre che ci torniate»
    Significava soltanto: baguette.
    Quella megera di una Black non solo non era andata da lui con le baguette, insinuando che, AH!, fosse stato proprio lui a portarle nell’abitazione, ma l’aveva perfino rifiutato. Ed insultato, ferito nell’orgoglio (???) (no non è vero, cazzo gliene).
    Non si meritava la sua baguette, tanto valeva riprendersele.
    Scavalcò qualche corpo a terra, passando anche sopra a gente che non era morta ma soltanto caduta, ed arrivò al bagno tranquillo come un bambino, aspettandosi ancora uno scontro in atto. Quando aprì la porta, eh, bordello, e Lele ha davvero poco tempo per scrivere e si è svegliato da tipo mezz’ora, quindi non ha idea di cosa abbia scritto.
    Vide un lavandino, letteralmente, volare verso il più grande dei due e Cole, preso da quel momento di immensa bontà e beneficenza, estrasse la bacchetta, puntandola verso il lavabo in rotta di collisione con l’uomo. «reducto!» avrebbe gridato, sperando di vedere l’oggetto di marmo - era marmo? I Dallaire potevano permetterselo? Forse era solo plastica – frantumarsi in tanti piccoli ed innocui frammenti. E poi lo vide, l’uso che ne stavano facendo del suo pane. «quando vi ho detto di usarle, non intendevo in questo modo» commentò apatico, mentre la bacchetta scivolava dolce verso la ragazza, la mente del Baudelaire a formulare un confundus non verbale in modo da distrarla quanto bastasse. «e sì, sono venuto per le baguette» rispose, correndo verso il ripostiglio ove le aveva celate. Ce n’erano ancora a sufficienza per combattere quattro volte, sicuramente abbastanza da sfamare tutti i poveri lì presenti. Saggiò l’elsa farinosa della sua farinosa arma, e per quanto potesse preferire gli incantesimi di tortura al corpo a corpo, non poté risparmiarselo: senza esitazione, si sarebbe scagliato contro la donna, brandendo il pane come una mazza, per poi colpirla in faccia con tutta la forza che gli era possibile.
    «prendine in prestito quante vuoi, sono qui per quello» concluse, posando il dorso del filoncino sulla spalla, già pronto ad uscire dopo il suo trionfante ingresso. Aveva ancora un attacco ad attenderlo, dall’altra parte della casa. «spero abbiate modo di farne altri usi, presto o tardi»
    E con quello, intendeva che sperava le avrebbero mangiate, perché erano davvero buonissime.
    Come fu entrato in bagno, così ne uscì.
    Camminando.
    cole baudelaire | 1990's | the headmaster | death eater
    murdered remembered murdered -- ms. atelophobia


    Combo difesa con perseus per Cael= confundus sulla donna corvo
    Combo difesa con perseus per perseus= reducto sul lavandino
    Combo attacco contro donna-corvo 5 con perseus= baguettata in faccia
  13. .
    whatever
    cole baudelaire
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    Sorrise compiaciuto, quando vide la ragazza corvo prese tra le proprie ossute dita la baguette, visibilmente felice di potersi permettere un languido pasto, preferendo il filoncino di pane a quello umano che era quel povero. Cercò tra la folla ammattita, la bacchetta puntata sulla stessa e la maledizione cruciatus ancora in corso sul suo perverso corpo, i Dallaire: più che per il semplice fatto di essere riuscito a difendere il ragazzino, la cui incolumità poteva fregargli fino ad una certa, la soddisfazione ad allargare la piega delle labbra era tutta data da quella semplice, e banale ad occhi altrui, piccola vittoria personale. Non aveva mai avuto dubbi, Cole Baudelaire, sulla supremazia dell’abilità della propria famiglia davanti ad un forno a legna rispetto a quella degli altri francesi, e pertanto era palesemente ovvio che chiunque, persino bestie immonde e che poco avevano d’umano come quelle megere, apprezzasse il loro operato a tal punto da fermarsi, rinunciare a qualsiasi cosa stessero facendo per deliziarsi del pane made in Baudelaire-Beaumont: tuttavia, averne la conferma era ogni volta fonte di immensa gioia per il preside di Hogwarts. Fu quasi tentato, in quel momento, di tornare nel bagno ove aveva lasciato baracche e baracchini – costume idiota, cappello idiota e maschera idiota, nonché la propria riserva personale di baguette, adatte ad ogni occasione -, per far vanto pubblico delle loro qualità culinarie, pubblicizzando inoltre in maniera non proprio occulta il forno che quei poracci dei suoi familiari avevano aperto: purtroppo, non poté farlo. A frenarlo, più fattori di quanti non ne aveva calcolati: lui in prima persona, effettivamente, non si sarebbe mai messo a distribuire prodotti del proprio business come fossero bigliettini promozionali, lasciava un tale pesante e sporco compito alla servitù, a quei giovini che speravano di racimolare qualche spiccio grazie a quell’ingrata attività – e che, invece, ricevevano solo le brioche di fine giornata che nessuno aveva comprato -; tornare in quel luogo, avrebbe significato interrompere di nuovo il simpatico siparietto davanti al quale si era ritrovato qualche minuto addietro, e per quanto non gliene potesse fregare una minchia di chi si celasse dietro quelle maschere, aveva un certo rispetto per scene di quel genere, ognuno aveva il diritto ad un certo livello di privacy in determinati contesti; se qualcuno lo avesse visto con altri filoncini, avrebbe capito che sapeva dove questi erano stati riposti, e per tanto avrebbero potuto incolparlo dell’attentato al maggiore dei Dallaire di prima – non che fosse un problema, ma troppa carne al fuoco non gli piaceva. Ultimo, ma non meno importante, non poteva semplicemente scavalcare i corpi che s’affollavano gli uni sugli altri in una battaglia della quale non aveva ancora ben chiaro il motivo. O meglio, poteva eccome, e l’avrebbe senza dubbio fatto se fosse risultato più semplice ignorare quel bordello: aveva cara la pelle, Cole Baudelaire, e per quanto potesse avere notevoli abilità magiche e riflessi invidiabili, non voleva rischiare di morire infilzato da strane donne di cui non aveva capito l’effettive potenzialità - volavano? Il loro becco era fatto di qualche materiale magico? Potevano duplicarsi? evidentemente, sì.
    Meglio cercare di aprirsi un varco verso l’uscita, scrollarsi di dosso la polvere accumulatasi sulla giacca e lasciare quella plebe ad azzuffarsi come preistorici attorno ad un cosciotto di pollo. Non era affar suo, e non lo era mai stato. «beh, è stato un piacere» disse monocorde al giovane che aveva salvato poco prima, passandogli di fianco mentre a terra ancora agonizzava la ragazza: ovviamente, non ritenne necessario aggiungerlo, il piacere era tutto di Joey, e nient’affatto il suo – cazzo gliene fregava, al Baudelaire? «ringraziami un’altra volta» e così dicendo, se ne andò ignorando il fatto che la stessa donna stesse cercando di ucciderlo con la SUA FOTTUTISSIMA BAGUETTE ma a questo ci pensiamo poi, già puntando la porta d’entrata dall’altra parte della sala sort of, chissà dov’è, chissà cos’è lo spazio.
    Ma. «C'est quoi ce bordel?» domandò, osservando una scena abbastanza particolare: due ragazzi mascherati in volo, un’altra donna uccello intenta a perforare il femore del ragazzo con il proprio becco mentre lanciava una raffica di oggetti a colei che lo teneva – che Cole stranamente riuscì a riconoscere, nella memoria ancora sedimentata la lotta nel fango della lezione di un mese e mezzo addietro. La cosa che più lo interdette, però, era che stava accadendo in mezzo alla sua dannatissima strada. «oh, seigneur» esclamò tra i denti, la bacchetta già sfoderata di fronte a sé. Esitò, pensando che se li avesse lasciati fare si sarebbero spostati comunque, togliendosi dal cazzo: già aveva salvato un plebeo, e nonostante il ragazzo emanasse una forte aura di ricchezza, della Crane non poté dire altrettanto. Dannazione, mica era un benefattore in visita alla Caritas! Eh vabbè, ormai ci si trovava, tanto valeva fare la propria uscita di scena in maniera figa watwatwat. «protego!» avrebbe gridato, già immaginandosi la barriera formarsi tra il duo in volo e la serie di oggetti casuali, bloccando l’avanzata di quest’ultimi; solo in seguito, senza fare un fiato, avrebbe rivolto la bacchetta direttamente sulla ragazza corvo, il becco già ben puntato verso la gamba del più giovane – oh, un altro studente: quasi quasi li lasciava davvero a morire tutti quanti e ciaone, meno gente da non seguire ad Hogwarts. Avrebbe tirato indietro il braccio, ed in un colpo di frusta riportato il catalizzatore verso la figura in moto, uno schiantesimo a partire dalla punta.
    Osservò il volo dell’uccello #wat o presunto tale, vediamo che dice il fato, mentre la ragazza – dove aveva lasciato il più giovane?????? Ah boh, acab – compariva nel momento adatto a scalciarle in faccia. Cercò una traiettoria che non avrebbe previsto la morte della giovane, ed una volta che l’ebbe trovata lanciò un «foramen» diretto alla testa di lei, sperando di vedere un buco aprirsi da parte a parte del capo mentre il contraccolpo dell’incantesimo gli faceva appena alzare il braccio. «sceriffo, bel cappello» si irrigidì, Cole Baudelaire, sentendo la voce della mimetica. L’aveva scoperto. Bordel de merde, l’aveva scoperto. Cercò con le proprie iridi verdi quelle di lei, scambiando attraverso la nuova maschera uno sguardo di pura indifferenza. «non so di cosa lei stia parlando, mi dispiace»
    Era sicuro di non essersi scordato, così stupidamente, di togliersi il cappello da cowboy, o qualsiasi altro particolare del travestimento: tanto valeva fingere nonchalance e lasciare che le cose andassero come dovevano andare ??????????????????.
    cole baudelaire | 1990's | the headmaster | death eater
    murdered remembered murdered -- ms. atelophobia


    COMBO DIFESA (con run, per bj): stupeficium
    COMBO DIFESA (con run, per run): protego
    COMBO ATTACCO (su ragazza corvo 7, con run): foramen in testa
  14. .
    whatever
    cole baudelaire
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    Sistemò la casacca da cowboy al lato del water, piegandola più volte in modo da non farla essere di ingombro nella toilette, per poi adagiarvi la maschera ed il cappello che aveva tenuto fino alla fuga - fuga che, senza ombra di dubbio, non era passata inosservata. Più della fuga, in realtà, il lancio della baguette. Si era chiesto, Cole Baudelaire, dal momento che era entrato nella stanza adibita a servizi per i molteplici ospiti della festa, come potesse gente come Eugene Jackson o William Barrow convivere, ogni giorno della propria vita, con tutto quel disagio galoppante a gravar loro sulle spalle: se l’era chiesto così tante volte, in effetti, da aver persino perso la cognizione del tempo seduto sulla tavoletta di quel bagno. Solitamente, evitava di porsi tali stupidi ed inutili quesiti ( ad esempio “come si può essere davvero così deficienti nella vita reale?” o “per quale motivo la gente dovrebbe divertirsi a fare pagliacciate del genere?” ), preferendo approcciarsi alla quotidianità in maniera pragmatica e realista, lasciando invece i come e i perché a tutti coloro che amavano fingersi filosofi e sognatori, illusi che credevano che con le proprie parole e le proprie teorie e le proprie limitate risposte sarebbero in qualche modo riusciti a raggiungere qualcosa; tuttavia, era impossibile in casi simili a quello evitare di porsi certi interrogativi esistenziali, sebbene sapesse benissimo quanto fosse inutile e una perdita di tempo, visto e considerato che nessuno sarebbe stato in grado di dargli una risposta sensata – men che meno lui avrebbe saputo giustificare certi atteggiamenti. Davvero, non riusciva a spiegarsi, in realtà ormai da anni, come potessero persone come il pavor o l’assistente di strategia non stancarsi mai di comportarsi in maniera così stupida: dopo nemmeno un’ora vestito in quel modo, il Baudelaire ne aveva già piene le palle. A conti fatti, era già annoiato a morte dall’intera festa – e si stupì, in vero, di come avesse fatto a resistere fino a quel punto: non v’era rivalità tra famiglie che reggesse, quando si aveva un animo cupo come quello di Cole, inadatto a comportarsi come un animale sociale in mezzo ad una folla. Per quanto lo riguardava, la festa poteva benissimo concludersi a quel punto; era rimasto così tanto tempo a studiare la maschera di riserva e quella lasciata a terra insieme al completo, ignorando i chiacchiericci concitati oltre l’uscio dietro al quale si era rinchiuso ( inizialmente per sviare possibili sospetti diretti alla sua persona riguardo all’aggressione di poco prima ), che effettivamente era come se egli, a quel party, non ci fosse mai stato. Non gli importava nemmeno di cosa stessero facendo i due - o più? - piccioncini rintanatisi in quello stesso antro, o chi fosse giunto in quella Villa, o cosa stesse accadendo nella sala da ballo: era giunto in quella casa con un solo, vile ed ai limiti dell’infantile, scopo, che svestitosi dei panni che aveva deciso di indossare restare lì stava diventando un problema. Non disagevole o molesto, nei suoi confronti più che in quelli degli altri: benché egli mal tollerasse eventi simili, era stato abituato sin da fanciullo a destreggiarsi con classe tra le file delle famiglie benestanti, lesinando dai convenevoli ma mantenendo comunque un certo profilo; più che altro, inutile. Aveva avuto il suo momento di gloria, per il quale bambinesco agire avrebbe potuto incolpare una persona a caso ed affermando che sì, ovviamente, l’idea di base era stata la sua – d’altronde, non era mai stato un segreto la serietà con la quale aveva preso la faida francese: perché nascondersi così tanto dietro un dito che avrebbe in ogni caso svelato la sua figura? -, ma che non si sarebbe mai ridotto così in basso da lanciare una baguette in mezzo ad una sala da ballo.
    Aveva un certo contegno, lui. Aveva una reputazione da rispettare.
    Sospirò, più sonoramente di quanto avesse previsto, e fu in quel momento che decise di levare le tende. Come era arrivato a ridursi così in basso? Glielo aveva sempre detto, sua madre, di non frequentare quel tipo di compagnie a scuola – ma lui non l’aveva mai ascoltata, più per dispetto nei suoi confronti che per affetto verso coloro con i quali passava il proprio tempo -: non aveva mai, di certo, pensato che avrebbero potuto influenzarlo fino a quel punto. Calò la maschera grigio ferro sugli occhi, per mera circostanza, prima di uscire e posare gli occhi su una scena che, di certo, non si era aspettato. «chiedo perdono, non era mia intenzione interrompere…» studiò la situazione con fare critico, ponderando con calma le parole da usare. Sangue, due uomini e una di quelle donne corvo che aveva intravisto all’entrata, bacchette sfoderate ed oggetti a volare per la stanza: maledetti Dallaire, avevano dato via alle orge senza prima avvertirlo? Lo sapevano, che adorava quel tipo di cose. «qualsiasi cosa voi stiate facendo» asserì, sventolando una mano in aria e superando il terzetto – di cui riconobbe i visi dietro le maschere dei due maschi, ma senza riuscir loro a dare un nome. Come se fossero importanti, d’altro canto. Esitò, soltanto quando giunse sull’uscio dei servizi igienici, le dita a stringersi sulla maniglia. «non so se possa esservi… utile» sorrise appena, gettando uno sguardo allusivo alle sue spalle. «ma qualcuno ha lasciato qualche baguette nel bagno» A buoni intenditori, poche parole.
    Il desiderio irrefrenabile di andarsene da quella abitazione scemò dal momento che i suoi piedi calpestarono il pavimento di quella che era stata la sala da ballo, e che ora altro non era che un campo di battaglia in piena regola. «dallaire» mormorò, a metà tra lo stizzito ed il divertito, cercando tra le teste che s’affollavano quelle dei proprietari della villa. «sempre i soliti esibizionisti» – eppure, si erano di gran lunga superati quella sera: coinvolgere un’intera platea ignara in una riproduzione violenta delle giornate di Sodoma andava ben oltre ciò che si aspettava. Sinceramente impressionato, avrebbe applaudito se solo non si fosse trattato di loro: continuò a camminare, intravedendo scene di battaglia più sentite di quanto non avrebbe creduto possibile. Mise mano alla bacchetta, poco convinto da ciò che le iridi verdi andavano indagando minuto dopo minuto: se non si fosse aspettato dal principio qualcosa di promiscuo, probabilmente avrebbe capito dal principio che c’era qualcosa che non andava - e quando l’avrebbe capito, presto o tardi che fosse, avrebbe fatto in modo di aver cara la propria pelle prima di preoccuparsi di chiunque altro. Non era un uomo d’azione, per quanto ne avesse sempre avute le potenzialità: non gli piaceva sporcarsi le mani o i vestiti, e di certo non idolatrava la rudezza della carne a colpire altra carne. Lasciava quelle cose da plebei ai vandali, seduto in cima alla propria torre d’avorio a farsi beffe di chi ci rimetteva. Ma per quanto gli costasse ammetterlo, lì c’erano persino studenti della sua scuola. Tranquillamente, poteva fingere di non saperlo nascondendosi dietro il semplice fatto che oh!, erano mascherati: tuttavia, lui sapeva che erano lì e nonostante un giorno sì e l’altro anche fantasticasse sul modo di ucciderli tutti in una sola mossa non poteva andarsene e lasciarli a morire. Odiava constatarlo, ma erano una sua scomoda responsabilità.
    E poi, la vide.
    Non aveva idea di chi fosse, né aveva poi così tanta importanza: il vestito, la maschera, i dorati capelli a seguire la sua caduta al suolo in preda ad un infarto – la sua visione, lo colpì come un fulmine a ciel sereno. Dimentico per un attimo della battaglia incombente, a rapide falcate si avvicinò alla ragazza, e passo dopo passo fu come se i suoi lineamenti avessero deciso di dare una forma più solida nella mente del Baudelaire, più definita e reale. Cole la conosceva, la ragazza che stava tentando di sbattere la testa di una delle ragazze corvo contro un tavolo, eppure non l’aveva mai vista davvero. Così bella, e fulgida nella sua giovinezza: Nicéphore Black era stata sempre un’ombra per il serpeverde, una di quelle persone che non ti inculi minimamente di pezza e che ignori così naturalmente da starci quasi male, troppi anni di differenza ad impedire un qualsiasi approccio. L’unica cosa che riuscì a chiedersi in quel momento, era come avesse potuto ignorarla davvero, e soprattutto, come potesse ella preferire la compagnia di una persona come Ethan Dallaire - ah!, ecco dove l’aveva vista: vicino al ragazzo cui poco prima aveva lanciato un filoncino di pane; ed eccolo lì, il pomo della discordia, a giacere a terra immobile e perfetto.
    Non c’era più alcuna donna uccello, più alcun Dallaire tra loro. Le prese il viso tra le dita, costringendola a voltarsi nella sua direzione, e senza esitare un istante in più premette le proprie labbra contro quelle di lei. Per quanto gliene poteva interessare, potevano anche morire tutti in quel preciso istante – o sempre, acab. Tra le tante labbra che aveva baciato, tra i tanti volti che aveva tenuto, mai aveva pensato di poter avere lei - semplicemente perché, in fin dei conti, non sapeva chi ella fosse. Si staccò unicamente quando le grida isteriche della plebe si fecero più vicine, annunciando lo spostamento degli scontri, ma rimase lì, le palpebre calate ed il respiro a fondersi con quello di lei. Fu solo un sussurro, quello che rivolse alla ragazza – e a lei soltanto: quando aveva erroneamente pensato che non sarebbe stato il Capuleti dei loro Montecchi wat, non aveva ancora conosciuto Nicé e nemmeno allora. «rinnega il Dallaire, Nicéphore – ti chiami così, giusto? Rifiuta la sua corte: io ti amo» sussurrò, un anelito ad incastrarsi tra le crepe delle labbra. Lo pensava davvero? No Si piegò a raccogliere la baguette lasciata a terra, tenendola sotto il braccio. «lasciali qui a morire, andiamo via» le propose, atono ma in un certo qual senso entusiasta della sua stessa proposta wat «ma capisco ti ci voglia del tempo per pensarci: in bagno ho trovato delle baguette» accidentalmente, non ce le aveva affatto messe lui «se accetti, torna da me con una di quelle» le propose, per poi allontanarsi e lasciarle i suoi dovuti spazi per pensare.
    Forse per far impressione sulla ragazza, forse mosso semplicemente a compassione per un povero ragazzo che stava per essere svitato dalla ragazza corvo come una bottiglia francese, non lo sapeva nemmeno Cole il perché: semplicemente, sfilando il filoncino da sotto l’ascella, avrebbe tentato di lanciarlo sulla traiettoria della megera mascherata, impedendole di attanagliare il giovane studente e probabilmente ucciderlo. D’altronde, si sapeva che gli uccelli e i poveri mangiavano anche le briciole di pane cadute a terra chissà se la ragazza corvo e Joey avrebbero combattuto per la pagnotta secondo Cole, sì. Una volta vanificata l’offensiva avversaria, sempre che tale potesse definirsi (???), avrebbe puntato la bacchetta contro la ragazza, dimentico d’un tratto del colpo di fulmine che l’aveva fatto innamorare della bionda poco prima. Perché il vero Cole Baudelaire, sentimenti come l’amore, non sapeva davvero cosa fossero – un gioco, una menzogna, favole raccontate ai bambini per farli sperare in un mondo migliore. Tutto ciò che provava Cole, tutto ciò che era Cole, era puro sadismo, piacere nella forma più superficiale e carnale – di certo, rientrava nel vasto numero dei piaceri quello di infliggere dolore, per puro desiderio di farlo. «crucio!» avrebbe gridato, già pregustando il fascio di luce rossa che sarebbe andato ad infrangersi contro il corpo della ragazza corvo. Nemmeno doveva preoccuparsi del fatto che ci fossero bambini, in quella sala: almeno una volta, tutti loro, erano finiti nella Sala delle Torture. Figuriamoci se non c’erano finiti, piccoli mostri ingrati.
    cole baudelaire | 1990's | the headmaster | death eater
    murdered remembered murdered -- ms. atelophobia


    molto disagio, interagisce con Perseus e Cael in bagno, poooi
    LUCKY STRIKE
    CITAZIONE
    • Cole Baudelaire - Il tuo pg s’innamora perdutamente, per la durata di un post, di*COLE BAUDELAIRE Nicèphore Black (in caso di mancanza di role assieme, potete scegliere un pg a piacimento)

    DIFESA COMBO con Joey, per Joey ed in Joey, amen: lancia una baguette contro la ragazza corvo
    ATTACCO COMBO con Joey vs Ragazza-Corvo 2: crucio madonna quanto ho sempre voluto farlo
  15. .
    ragazza-corvo 1 (apprendista, 15 PA/PD)PS: 50Attacco: --- || Difesa: ---
    ragazza-corvo 2 (apprendista, 15 PA/PD)PS: 48Attacco: 8 (joey) || Difesa: 6
    ragazza-corvo 3 (apprendista, 15 PA/PD)PS: 37Attacco: Thanatos (6) Nicèphore (2) || Difesa: 1
    ragazza-corvo 4 (mago, 20 PA/PD)PS: 42Attacco: 1 (Jason) - 16 (Dakota)|| Difesa: 12
    ragazza-corvo 5 (mago, 20 PA/PD)PS: 54Attacco: 4 (cael) - 5 (perseus) || Difesa: 3
    ragazza-corvo 6 (mago, 20 PA/PD)PS: 57Attacco: 7 (Barrow) - 8 (Meara) || Difesa: 9
    ragazza-corvo 7 (apprendista, 15 PA/PD)PS: 37Attacco: 11 (Run) - 6 (Euge) || Difesa: 1
    ragazza-corvo 8 (mago, 20 PA/PD)PS: 55Attacco: 14 (Noah) - 4 (CJ) || Difesa: 8
    ragazza-corvo 9 (apprendista, 15 PA/PD)PS: 36Attacco: 5 (ethan) 2 (william) || Difesa: 4
    ragazza-corvo 10 (mago, 20 PA/PD)PS: 45Attacco: 5 (keanu) 9 (helena) || Difesa: 1
    joseph moonarie (matricola, 10 PA/PD)PS: 40Attacco: 8 || Difesa: 8 (jason)
    jason maddox (matricola, 10 PA/PD)PS: 40Attacco: 3 || Difesa: 3 (jason) 6 (joey)
    judicael de vries (matricola, 10 PA/PD)PS: 35Attacco: 8 || Difesa: 4 (cael) 9 (perseus)
    perseus black (matricola, 10 PA/PD)PS: 40Attacco: 3* || Difesa: 7 (cael) 6 (perseus)
    Thanatos Byrn (matricola, 10 PA/PD)PS: 40Attacco: 8 || Difesa: ---
    Nicèphore Black (matricola, 10 PA/PD)PS: 40Attacco: 6 || Difesa: ---
    CJ Knowles (matricola, 10 PA/PD)PS: 40Attacco: 7 || Difesa: ---
    Noah Parrish (matricola, 10 PA/PD)PS: 40Attacco: 6 || Difesa: ---
    Heidrun Crane (matricola, 10 PA/PD)PS: 40Attacco: 6 || Difesa: ---
    Eugene Jackson (matricola, 10 PA/PD)PS: 40Attacco: 8 || Difesa: ---
    barrow cooper (matricola, 10 PA/PD)PS: 40Attacco: 8 || Difesa: ---
    shersha kavinsky (matricola, 10 PA/PD)PS: 40Attacco: 4 || Difesa: ---
    Dakota Wayne (matricola, 10 PA/PD)PS: 40Attacco: 5 || Difesa: 6 (joey)
    ETHAN YVES DALLAIRE (matricola, 10 PA/PD)PS: 40Attacco: 8 || Difesa: --
    william barrow (matricola, 10 PA/PD)PS: 40Attacco: 5 || Difesa: --
    keanu larrington (matricola, 10 PA/PD)PS: 40Attacco: 7 || Difesa: --
    helena river(matricola, 10 PA/PD)PS: 40Attacco: 9 || Difesa: --


    DIFESA JUDICAEL: 7 + 4 = 11 PD (-5 PS)
    DIFESA PERSEUS: 9 + 6 = 15 PD
    Se la difesa per Perseus è impeccabile, più grazie allo schiantesimo di Judicael che non alla rudezza del Black, i tentativi di ostacolare l'offensiva verso il più giovane non vanno a buon fine - il Sicarium non riesce a prendere forma concreta, e di questo la donna corvo si fa beffe, graffiandoti il collo e lasciando tre belle linee rosso sangue ad ornare la pelle.

    ATTACCO vs RAGAZZA CORVO 5: 8 + 3* = 11 PA
    DIFESA RAGAZZA CORVO: 3 PD (-8 PS)
    Meh, che dire Perseus: non è giornata. Per quanto perfettamente immobilizzata dall'Impedimenta del De Vries, il tuo Ardemonio fa un po' cilecca. Vuoi perché non hai canticchiato in modo abbastanza convinto, vuoi perché non ci credevi abbastanza, vuoi perché il Fato è un burlone dalla bacchetta esce qualche fiamma che va effettivamente a bruciare la Ragazza-Corvo, ma nulla più: così come avevano rischiarato l'ambiente per qualche fugace istante, così si sono spente senza fare un fiato. Liberatasi dall'Impedimenta, decide di passare immediatamente al contro-attacco.
    Celere, e con una forza di cui non la credevate capace, stacca un lavandino a muro e lo lancia violentemente addosso a Perseus, accompagnata da un grido battagliero (wat). Approfittando della vostra sicura confusione (????), mentre il lavandino è in volo si getta letteralmente contro le gambe di Judicael, tentando di staccargli la destra a morsi.
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