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    heidrun crane
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    Sorrise, Run. Di quel volto alzato al cielo, e le lacrime ad asciugarsi fra le ciglia. Sorrise perché significavano qualcosa, e perché quei gesti sembravano portare con sé l’abbandono delle cose vecchie. Liberare un armadio di abiti in disuso per metterci quelli nuovi – vestiti che non fossero stati scelti da qualcun altro, per una volta; quelli messi volontariamente nel carrello, e pagati con la propria carta di credito. Nell’espressione arrendevole di Arturo, Heidrun lesse il proprio - il loro - trionfo, mattonelle solide su cui poter costruire ponti o città. Non sapeva cosa, avrebbero costruito; aveva la tendenza a sparire quando c’era più bisogno di lei, ed a deludere chiunque avesse avuto l’audacia e stupidità da offrirle un pezzo del proprio cuore, ma voleva essere ottimista, e credere che qualunque cosa avrebbero eretto, sarebbe stata in grado di sopravvivere a qualche scossa sismica. Era così, che funzionava la famiglia.
    Run non era una brava persona. Non era una brava amica, e non era una brava figlia. Ian e Todd Jeremy potevano testimoniare non fosse neanche una brava sorella. L’Hendrickson, accettandola nella sua vita, non stava facendo un affarone: era una truffa, la mimetica. Avrebbe lasciato che l’ex Serpeverde lo scoprisse da sé, ed avrebbe permesso ad entrambi di rimediare, così come aveva fatto, e continuava a fare, con tutti i cuori spezzati su cui negli anni aveva messo cerotti pregando che bastasse.
    «e se...»
    Lo sguardo della mora si fece guardingo. Attento, come quello di un predatore che fiutasse aria di trappola. Non sarebbe mai stata in grado di rimuovere quella parte paranoica della sua psiche, e più passavano gli anni, meno voleva farlo: se serviva a tenerla in vita, avrebbe indossato l’armatura morale anche nel sonno; per Euge, perlomeno. Gemes no, fanculo, potevano morire insieme come tutte le tragedie shakespeariane che si rispettassero – anzi, si rifiutava di pensare potesse sopravvivere senza di lei. Quello sì che sarebbe stato alquanto umiliante, e fastidioso. Di e se, ne conosceva almeno un migliaio e tendeva ad ignorarli tutti, preferendo vivere alla giornata che nel lungo termine. Era cresciuta sapendo che sarebbe morta giovane, obbligata dal cuore a pulsare nel petto a godersi ogni momento prima che fosse l’ultimo; un’altra abitudine che sembrava incapace di perdere. Inarcò un sopracciglio, invitandolo silente a proseguire.
    E se non funzionasse. E se ci odiassimo. E se quella del 2043 fosse tutta una stronzata. E se ci dimenticassimo l’una dell’altra. E se non ci rivolgessimo la parola, quando torneremo alla civiltà. E se mentre non c’eravamo, il mondo si fosse spaccato in due parti. E se sparissimo, o io o tu; o entrambi. E se non ci volesse nessun altro. E se fosse troppo strano. E se fosse tutto inutile. E se -
    «e se mi dessi.. lezioni?» Oh.
    Oh. Nessuno degli scenari ipotetici che si era immaginata. Reclinò il capo sulla spalla guardandolo incuriosita, e con una punta di malizia all’angolo sinistro della bocca. Voleva lezioni… da lei? Su come picchiare le persone? Ma quello era un sogno, una favola. Heidrun Ryder Crane, Milkobitch a tempo perso, era nata per distruggere il genere umano. Una cazzo di bomba ad orologeria. Poter spargere il verbo, non faceva che renderla orgogliosa e soddisfatta, tanto da spalmarle un sorriso già satollo sulle labbra. «queste settimane hanno dimostrato chiaramente che non sono in grado di… badare a me stesso.» Abbassò gli occhi sul braccio appeso al collo, indugiando sulle ferite ancora rosee ed i lividi sulla pelle chiara. Non vedeva necessità di infilare il dito nella piaga, ma «in effetti» era una sorella maggiore, e quello era il suo compito. Ammiccò sollevando debolmente una spalla, sporgendosi per colpirlo appena. «anche questo è crane core, se ti fa sentire meglio» ne pensava uno in particolare, e no, non era se stessa – ma anche, avrebbe detto qualcuno. Più di un qualcuno, effettivamente. «cioè, non è che non lo sapessi già, ma… mi piacerebbe essere pronto. più… forte. più affidabile… meno un peso per gli altri.» Avrebbe potuto cullare il suo ego, dirgli che non fosse così male, ma… aveva proprio l’aria di essere così male, ed il volersi formare per aiutare la squadra anziché essere un peso, le sembrava del tutto legittimo. Saggio, perfino. «tu sei forte.» RUFFIANO! Ed anche vero, quindi non vedeva motivo per negarlo. Era umile, ma non così umile da prendere entrambi in giro dicendo qualcosa in cui non credeva. Portò le mani a coppa attorno alla bocca, gridando al cielo un «PIù FORTE PER QUELLI SEDUTI IN FONDO!» che suonava un po’ come un vaffanculo agli astri, perché lo era. Avevano cercata di metterla fuori gioco una volta di troppo, e Run ce l’aveva con tutti personalmente – Dio, Satana, Buddha, e l’intera combriccola dell’anello. «possiamo pensarlo come del quality time tra fratelli? sempre… sempre che tu non abbia già troppo da fare!! lo capirei se non volessi… cioè, uhm, se non potessi. davvero. fingi che non abbia detto nulla, scherzavo ah ah figurati se hai tempo per me» Che ragazzo particolare, quell’Arturo Maria Hendrickson. Lo guardò sorridendo un paio di secondi senza dire nulla, beandosi dell’innocenza delle guance in fiamme e le spalle tese. Decise di toglierlo dalla sua miseria con un sospiro profondo, braccia allungate sopra di sé per stirare i muscoli.
    L’avrebbe fatto anche se non fosse stato suo fratello, ma doveva ammettere a se stessa fosse un incentivo in più – anche solo per guadagnarsi il diritto di passare più tempo con Turo di chiunque altro della famiglia. Non era una gara, certo, ma se la fosse stata…! Era stanca di arrivare sempre ultima a quel gioco. «eh. farò questo sacrificio» arricciò il naso, senza lesinare sul divertimento nelle brillanti iridi verdi – non verde come il mare, perché neanche quello bastava a contenerla; il verde di un qualunque felino che stesse ancora valutando se volesse mordere o leccare, e potesse potenzialmente fare entrambi. «sarà terribile» un tono sognante, delicato. Allegro.
    Guardò Turo, cercando e trovando il profilo dell’uomo che sarebbe diventato. I propri colori, e quelli di Al. L’impronta Crane, impossibile da lavare in qualsivoglia viaggio temporale. «ci divertiremo un sacco.»
    Ed anche se non fu una promessa, suonò allo stesso modo.
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    e ne abbiamo chiusa un'altra?!?!? CIAO FRATELLINO UN SUPER BACIO
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    heidrun crane
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    Il love language di Heidrun Ryder Crane, Milkobitch a tempo perso, era il contatto fisico. Difficile che non facesse sentire la propria presenza, fosse con la mano a cercare il palmo altrui o il mento poggiato sulla loro spalla. Se Turo gliel’avesse concesso, se lo sarebbe tenuto sprimacciato al proprio fianco per tutta la durata di quella vacanza, così che potesse sentirla anche quando distante. O aliena. C’erano momenti in cui la mimetica sembrava appartenere ad un’altra realtà rispetto a quella degli altri, uno strato appannato e sfocato che la rendeva irraggiungibile. Inafferrabile. Uno dei difetti fatali che le impedivano di esprimere il proprio affetto in modi sani e costanti come il quality time o words of affirmation: difficile fosse d’accordo con qualcuno, e per quanto il tempo passato con lei fosse sempre di qualità, non era necessariamente buona qualità. Scadente, ogni tanto – se non scaduta. Troppo parte del mondo per soffermarsi abbastanza da lasciarsi un segno permanente alle spalle: come sabbia, tutto tornava al suo stato iniziale, dimentico di averla ospitata. In quella stretta, perlomeno, poteva far sentire al fratellino che fosse sincera, e presente, e che se anche il giorno dopo fosse sparita e si fossero rivisti dopo mesi, quel momento l’avrebbero avuto, e non sarebbe stato meno onesto. Il loro legame sarebbe rimasto solido, forgiato nelle lacrime del minore ed i baci soffiati dalla Crane sulla sua chioma corvina.
    Le ricordava un po’ Todd.
    «va bene, andrò a piangere sulla spalla di Jekyll allora...» Accentuò drammaticamente il proprio sbuffo, tornando a coricarsi con il peso appoggiato ai gomiti. Sollevò gli occhi verdi al cielo, riportandoli poi allusiva sull’Hendrickson – e fu incapace di non ricambiarne il sorriso, malgrado il suo fosse dipinto della nota tutta Run sempre un po’ maliziosa. «e far piangere anche lui? Sei senza cuore» Assottigliò palpebre e labbra, una liquida occhiata di sottecchi. Jekyll era, tolto Turo, il più emotivo della famiglia; a suo favore, c’era da dire che la competizione fosse bassa (Hyde e Run? Andiamo.) ma anche senza paragone era chiaro che il pirocineta fosse un ragazzone empatico. Non gli disse che comunque, perfino con le lacrime agli occhi, anche Jekyll avrebbe ucciso Costas, se avesse spezzato il cuore del piccolo di famiglia.
    L’avrebbe scoperto a tempo debito (ominous).
    «anche se— temo sia più facile il contrario» Spostò la cortina di capelli mori sulla spalla opposta, così da nn avere ostacoli nell’occhiata in tralice rivolta a Turo. Occhiata che accompagnò ad un sospiro, denso e satollo, alla conclusione del fu Serpeverde. «quindi non affezionarti troppo a lui, o poi rischieresti di dover uccidere me» Sorrise, perché sapeva stesse scherzando (probabilmente.) e si tirò nuovamente a sedere, incrociando le gambe e poggiando le braccia alle ginocchia. Guardò Turo senza dire nulla per una manciata di secondi, o forse un po’ di più, incerta su cosa stesse cercando. Forse l’aveva semplicemente già trovato, e non sapeva dargli un nome. «non funziona così» Reclinò appena la testa. Seppur con i suoi alti e bassi, Heidrun aveva avuto una famiglia felice: Jo, i Milkobitch, i Laboratori. L’avevano amata tutti, e lei aveva ricambiato come poteva, tenendo sempre un po’ di se stessa da parte per non lasciare ferite troppo profonde quando, e non se, se ne sarebbe andata. Era stato un amore sempre diverso, ma con una costante.
    «sono tua sorella. Non è compito mio essere obiettiva» battè languida le ciglia, mostrando appena i denti in un ghigno. Una sacrosanta verità: esistevano gli amici per quello, gli amanti, i conoscenti – non la famiglia. Run sarebbe sempre stata dalla parte dalla sua parte, fanculo il resto. Se fosse stato Arturo a spezzare il cuore di Costas, gli avrebbe dato una pacca sulle spalle dicendo che il mondo andava anche così, di non farsene un cruccio. Andare avanti, eccetera eccetera. «sarò sempre dalla tua parte, fratellino» un pugno, delicato, sulla spalla sana del ragazzo. Run avrebbe ucciso, mutilato, e cancellato per molto meno che non i suoi fratelli, di sangue o meno, ma non credeva fosse il momento adatto per ricordare al ventenne la sua vena caotica e sanguinaria. Erano lì per il vino e le confessioni a cuore aperto, no? «a meno che tu non sia contro di me. Allora ti faccio il culo» Era la legge, ed in quanto tale, la espose con franchezza ed una stretta di spalle.
    Funzionava così in famiglia.

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    Ad Heidrun le storie erano sempre piaciute. Ricordava quando il tempo non scorreva, e Jo Harvelle le raccontava di come fosse il mondo; ricordava di aver camminato su strade immobili, passeggiato in case bloccate, e fantasticato sul genere di vita che dovessero aver vissuto fino a quel momento. Non aveva perso quella curiosità neanche quando era entrata a far parte della società, troppo curiosa di natura per impedirselo: rimaneva in silenzio, con il mento fra le mani, lasciando che amici o passanti le narrassero favole reali, vissute sulla loro pelle, assorbendole come fossero state le proprie. Ne leggeva ogni sentimento, sorridendo insieme al cantastorie, e sospirando nei momenti appropriati. Non interrompeva mai, malgrado desse l’idea di essere esattamente il genere di persona incapace di tacere.
    Sapeva stare zitta. Semplicemente, sceglieva spesso di non farlo.
    «in realtà è stato lui a trovarmi,» Si sistemò meglio sull’asciugamano, poggiando i gomiti alle proprie spalle ed abbandonandovi il peso. Mentre Turo parlava, disegnava distrattamente sulla sabbia dorata al proprio fianco, affondando la vita e tracciando linee incompiute. «e non ha mollato un solo secondo fino a che non ho ceduto,» Un sorriso scivolò sulla bocca della mimetica, occhi verdi sollevati ad osservare di sottecchi il fratello. Quello era esattamente il motivo per cui l’inopportuno Costas Motherfucka le piaceva così tanto: aveva l’aria di essere quel tipo di rompicoglioni insopportabili che ti affascinava per esasperazione; le ricordava, inevitabilmente, se stessa.
    Lo adorava.
    «anche se non è stato affatto facile—» In quella pausa, e nello sguardo posato fugace sulle onde, Run lesse tutto quello che l’Hendrickson non aveva bisogno di esplicitare: che stesse scegliendo di aprirsi, nonostante la sua natura riservata. Che quella fosse una storia stratificata, una narrazione che sapeva di presentazione, e del tempo che non avevano avuto insieme. In un’altra vita, Run sarebbe stata al suo fianco in ogni passo; non potevano riaverlo indietro e ripercorrerlo insieme, ma potevano avere quello. Se lo sarebbero fatto bastare. Il sorriso della Crane si ammorbidì, viso reclinato al cielo.
    «gli Hendrickson– o meglio, la famiglia di– Sono cresciuto in un ambiente molto religioso. Molto.» Oh, no. Con una premessa simile, poteva solo immaginare il continuo. Roteò gli occhi inspirando secca dalle narici, domandandosi come fosse stato possibile. Da quel che sapeva del 2043, quei viaggi erano stati precisi, e calcolati: com’era successo che River finisse in una famiglia di fanatici religiosi? Chi l’aveva scelto, e per quale motivo. Corrugò le sopracciglia, ma non lo interruppe.
    «Scendere a patti con la mia sessualità non è stato facile. Non volevo deludere nessuno.» Solo il fatto che ne stesse parlando al passato, le permise di tenere le labbra sigillate. Tenne ogni imprecazione schiacciata fra i denti, serrando furiosa le palpebre. Possibile che nel duemilaerotti, quella fosse ancora una questione? Capiva a Bodie, California, 1917, ma santiddio: che le mentalità fossero rimaste così retrograde e chiuse, era raccapricciante.
    Ti faceva pensare che forse una guerra era esattamente quello che ci voleva per riportare le corrette priorità. Buttata lì.
    «Ma non potevo nemmeno continuare a negare certi sentimenti. Quella continua lotta contro me stesso mi stava logorando dentro. E in più, in aggiunta a tutto quello, dovevo affrontare le lezioni, le torture, il Quidditch e—» Come le mancava la vita da adolescente. Battè languida le ciglia, spostando allusivi occhi chiari su Turo.
    «Ma Costas non ha mai smesso di lottare per noi. Ci abbiamo provato, per un po’.
    Poi Gwen ci ha riuniti al parco e ha sganciato la bomba.»

    Oh. Oh… Lì la questione iniziava a farsi personale, ma Run fece del proprio meglio per mantenere la posa rilassata ed innocua. Non voleva si chiudesse per timore di offenderla, o solo Dio sapeva cosa passasse nella testolina dell’ex Serpeverde. Voleva sentire tutto. Da esterna, era… difficile immaginare cosa si provasse a scoprire che tutta la propria vita fosse in realtà una seconda possibilità. Voleva credere che lei, al loro posto, l’avrebbe presa con filosofia, ma chissà: felice di non aver dovuto scoprirlo.
    «E pensare che, nei mesi precedenti, avevo ritenuto impossibile che le cose potessero peggiorare.» Non un ottimo inizio. Arricciò involontariamente il labbro superiore, cercando di non offendersi a come la situazione fosse peggiorata scoprendo fosse un Crane Winston. Cioè, ok, poteva andargli meglio, ma anche peggio: almeno non era un Hamilton!
    «l’idea di aver vissuto nella menzogna per diciotto anni era lacerante. Avevo completamente annullato me stesso per persone che giorno dopo giorno, per tutto quel tempo, mi avevano guardato in faccia sapendo di mentire.» Mh… Lei di solito era la bugiarda in quegli scenari, quella che spariva senza tornare, quindi non se la sentiva di giudicare.
    «Non è stato un autunno facile, e Costas ha pagato il prezzo più alto. L’ho allontanato da me, e alla fine lui ha capito l’antifona. Non sono stato discreto, questo c’è da dirlo.» Beh, dai, però aveva avuto un… buon motivo. Non sarebbe stato corretto nei confronti di Costas, se non era a posto con se stesso. Slay, bro.
    «Non potevo affrontare una relazione con qualcuno senza amare prima me stesso. E all’epoca quello era un sentimento ben lontano dall’appartenermi.» Oddio, aiuto.
    Voleva abbracciarlo. Voleva stringerlo fino a lasciargli il proprio profumo addosso, così che lo ricollegasse sempre a quella spiaggia. A quel momento solo loro. Voleva sospirare al suo orecchio, fargli sentire fossero vivi, e fossero andati avanti, ed era andata bene, e aveva fatto la cosa giusta, ed era stato bravissimo. Dovette affondare le mani nella sabbia per impedirsi di strizzarlo con quanta forza - ed era tanta - avesse nelle braccia, permettendogli di finire il racconto. Non avrebbe resistito ancora a lungo.
    «Perché quando l’ho rivisto, poi, ho saputo subito che era sempre stato solo lui. Quello giusto, e anche quello sbagliato. Non c’è l’uno, senza l’altro no? E lo so che sembra una frase da cioccolatini o da commedia rosa ma… è così.» Morse il labbro inferiore, sorridendo gentile. Un concetto che Heidrun Ryder Crane, Milkobitch a tempo perso, poteva comprendere fin troppo bene. Non poteva ricambiare raccontando la sua storia a Turo, non senza censurarla di parti importanti che avrebbero spiegato tante cose, ma insomma: era promessa in sposa (da anni. Un sacco di anni, mind you.) a qualcuno che aveva portato nei Laboratori, che l’aveva odiata per quello, e perdonata solo abbastanza per riportarla in vita, e non concedersi ancora, finché non avevano avuto altro che l’un l’altro in un secolo che non apparteneva a nessuno dei due.
    Lo lasciò concludere. Fu paziente, e brava, perché diede il tempo a Turo di rimbalzarle la palla, chiudendo ufficialmente il suo discorso. Allora, e solo allora, stringendo le ginocchia al petto, Heidrun offrì qualcosa che raramente dava alle persone: «posso abbracciarti?» la possibilità di dire no. Pensava Turo se la meritasse, quella scelta. Inspirò tremula, soffiando l’aria da un sorriso. «lo so che non ci conosciamo, e che le mie parole non hanno – ancora. - alcuna rilevanza per te, ma sono fiera di te» soffiò, gentile. Una delicatezza in cui non era avvezza, e che suonava ruvida e cruda anche se la Crane cercava di limarne gli angoli. «hai fatto tanta strada» personale, che era ancor più importante rispetto al resto. «non è facile fare la scelta giusta, quando ce n’è una semplice» ignorare i problemi anziché affrontarli, ad esempio – una delle sue specialità. «sei stato molto coraggioso. io, al tuo posto, mi sarei semplicemente data all’alcool» scoprì i denti in un ghigno, agitando la bottiglia di fronte a loro. Quella la strada Crane! L’ALCOLISMO!
    E quindi ammorbidì ancora il tono, cercando negli occhi di Turo il suo colore, e nella linea della mandibola la propria. Era… strano considerarlo un Crane, sì, ma ancor più strano rendersi conto che fosse anche un Winston, e che in un’altra vita le loro famiglie fossero intrecciate. Lo erano ancora? Difficile dirlo, con quell’imbarazzo di padre che si ritrovavano (affectionate). «sono felice vi siate ritrovati al momento giusto. Non è così scontato» un velo melanconico, il sorriso di Run. E giusto perché era Run, si sentì in dovere di drizzare la schiena, e dare al fratellino un paio di specifiche.
    «immagino gli hendrickson non ti abbiano fatto Il Discorso»
    Uno.
    E due, «se si comporta male con te, non dirmelo o mi tocca ucciderlo» soffiato dolce, così dolce, e con un sorriso così meraviglioso, che poteva perfino sembrare stesse scherzando.
    Non stava scherzando affatto.

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    massì dai. si vive una volta sola (grazie a dio)
    [ è stan non uno dei png mago . ]

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    Sorrise soddisfatta ai complimenti di Turo sulla location come se quella spiaggia l'avesse creata lei. Satolla come un gatto a cui fosse stato concesso il suo bocconcino al formaggio, con tanto di braccina a stiracchiarsi verso il cielo azzurro. Già perdonato dal suo momento [browser], perché dopotutto condividevano il sangue Crane: mai i più rapidi ad arrivare in tempo, fosse ad una risposta di circostanza, una battuta, o nella vita. Abitudini dure a morire che resistevano di generazione in generazione, incastrate nelle genoma come una malattia o gli occhi chiari.
    O l'alcolismo, su cui biasimò come lo sguardo dell'ex Serpeverde fosse subito piombato sulla bottiglia di vetro stretta fra le dita. Si domandò pigramente se la vedesse come un premio o una condanna; se fosse sollievo momentaneo o necessità, quello a spingerlo a chiederne un sorso. Una differenza c'era, e non sarebbe stata Run se l'avesse giudicata - capirla, però, le avrebbe permesso di aggiustare il tiro. Fingersi un po' più funzionale, per il ragazzino smarrito seduto al proprio fianco che la guardava come se le stelle nel cielo le avesse dipinte lei di propria mano. Prezioso. Non sapeva nulla della sua vita, di chi fossero i suoi genitori o di come l'avessero trattato.
    Male, probabilmente. Di rado le persone gentili erano cresciute in ambienti morbidi; gli spigoli e le lame smussavano gli angoli delle persone, non broccati di seta e cuscini soffici. Neanche un mese di guerra era riuscito a togliere l'ingenuità dal sorriso timido del moro, come potè constatare nel ringraziamento mormorato ai granelli di sabbia. Le guance rosse. Lo sguardo a tremolare come la superficie dell'acqua. Run sperava non gliela togliessero mai, o perlomeno, che lo facessero quando fosse stato in grado di sostituirlo con qualcosa di migliore. Lei non l'aveva fatto.
    «non avrei potuto portarti via, in quelle condizioni. l'ho fatto per me» ma sorrise, e lo fece mettendo l'instabile equilibrio di malizia ed innocenza che la contraddistingueva da tutta una vita. Un paradosso. L'ennesimo, e che sempre sarebbe stato. Heidrun Crane nelle terre di mezzo proprio non sapeva starci: affondava i piedi agli estremi l'uno dall'altro, rompendo il sistema con una spaccata morale ed un liquido vaffanculo soffiato in una risata. Gli schemi, dopotutto, non le erano mai piaciuti; colorava fuori dalle righe, e ci faceva dei disegni tutti suoi. «passerà» aggiunse, ammorbidendo il tono. Lo rese gentile e delicato, perché almeno quello poteva incastrarlo in un barattolo ed evitare di scuoterlo fino a polverizzarlo. Non aveva un tocco sensibile, e la sua empatia era violenta quanto tempesta estiva, ma la voce poteva aiutarla. La posò sull'orizzonte, adagiandola cercando di non disturbare le onde. Parole affidate alla stessa brezza che le scompigliò i capelli bruni, ciocche strappate all'elastico per accarezzarle il volto. Non specificò stesse parlando del dolore al braccio; stava parlando del dolore al braccio?
    Non voleva sapere come fosse stato il tempo passato con Jekyll, e non era progettata per comprendere il sollievo nel questo è molto meglio dell'altro - trovava che le situazioni più assurde e pericolose generassero i legami più inspiegabili e indissolubili - quindi fece una delle cose che le veniva meglio: liquidò la questione. Alle parole preferiva comunque i fatti, e non dubitava gli avrebbe dimostrato di essere la sorella che meritava (derogatory).
    Il non tutti non lo ignorò, però. Sorrise affilando sguardo e denti, perché certe verità era giusto che le sentisse. Anche quando non piacevano. «meglio loro che noi» portò la bottiglia alle labbra, perché lo pensava davvero. Credeva anche che in nessun modo quella situazione avesse potuto essere evitata, e che per quel motivo non meritasse più di un secondo pensiero. Perché avrebbe dovuto? Per rovinarsi la sua seconda vita con qualcosa che in ogni caso non poteva cambiare? Non pensava proprio.
    Aveva smesso di flagerrarsi, Run. Che cazzo.
    Fu più che felice di cambiare argomento. Ci affondò le dita con lo stesso sollievo con cui le impresse nella sabbia al proprio fianco.
    «ma immagino tu sappia già tutto quello che c'è da sapere. c'è qualcosa che non sai e che vorresti chiedere, invece?» Rotolò sul fianco, scivolando sull'asciugamano fino a coricarsi. Era rilassata e quasi felice, Run; quasi distratta, ed indubbiamente affascinata dall'espressione innamorata del ragazzo al suo fianco. Amava l'amore, ma quello adolescenziale fatto di turbe e paranoie, era il suo preferito. Dannazione, come le mancava. «mi conosci bene, turpic.» sospirò felice, perché sapeva di essere una comare ed una stalker, e ne andava fiera: Turo diceva solo il vero, e lo prese come il complimento che era. «ho molte domande. e diverse rubriche da aprire. ma prima voglio sentirla raccontata da te» alla fine, per quanto i suoi studi fossero accurati, nulla era come un pov in prima persona.
    «rimarrà fra noi» una promessa che rese ufficiale porgendo il mignolo, perché era una donna matura e responsabile.

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    «gesù cristo, non vi si può mai lasciare da soli»
    Heidrun Ryder Crane aveva vinto quella guerra, ed andava bene così.
    Aveva ucciso. L’avrebbe rifatto, probabilmente. Aveva condannato i babbani ad una vita, nella migliore delle ipotesi, di schiavitù – o magari alla fine sarebbero riusciti a convivere civilmente, se non sullo stesso piano; il futuro era un mistero – ma il suo mondo era integro, ed era già alla sua seconda vita: non ne avrebbe sprecata un’altra preoccupandosi per qualcosa che non la toccava.
    Aveva smesso.
    Appiattì la gomma da masticare sulla lingua, soffiando aria per fare una bolla. La esplose fra i denti osservando i superstiti, e sorrise perché erano vivi. Perfino zio Sin, che narrava la leggenda avesse fatto lo scherzone di morire e farsi possedere per un po’, era vivo. Run era sempre stata il tipo di persona che preferiva il viaggio alla meta, ma in determinate circostanze il risultato era preferibile al procedimento. D’altronde, non sarebbe stato da lei giudicare qualcuno perché passato brevemente a miglior vita. Era anche alquanto incuriosita ed intrigata dall’entità che li aveva posseduti, ma immaginava che dovesse trovare il pubblico giusto a cui chiedere, il corretto stato mentale, perché nessuno sembrava averla presa benissimo.
    Giovani.
    Intrecciò le dita fra loro, poggiandoci il mento nell’osservare il fratellino privo di sensi. Sempre da racconti di seconda mano, aveva appreso che la loro squadra fosse stata mandata a Brecon - ironico; l’aveva trovato divertente, ma si rendeva conto che il suo senso dell’umorismo di rado fosse condiviso – che avessero combattuto contro un Sartre posseduto, e che tutto fosse esploso.
    Di nuovo.
    Aveva stretto le labbra fra loro per non ridere. Nervosamente, forse. Marginalmente isterica. Aveva chiamato Al, tenuto il telefono pressato fra spalla ed orecchio, e gliel’aveva raccontato. Non era sembrato divertito; non era sembrato proprio niente, ma Run aveva deciso fosse un effetto collaterale dell’infarto causato dalla prematura dipartita dell’Hansen, perché l’alternativa la faceva alquanto incazzare. Che potesse essere arrabbiato con Sin, come se lui non fosse stato il primo a morire; come se il padre di Murphy non avesse sacrificato la sua vita e la sua libertà, per lui. Come se avesse rovinato qualcosa di già rotto in partenza. C’erano dentro insieme, nel male e nel peggio. Non c’era neanche rimasta male che avesse combattuto contro di lei, la mimetica, consapevole che se l’avesse trovato sul campo di battaglia, sarebbero diventati una squadra a parte – disposta a uccidere i compagni di lui ed i propri. Volubile così, Heidrun. Priorità discutibili, ma oneste.
    Sospirò, schioccando pensosa la lingua sul palato. Lo vedeva un po’ fragilino, quel Turito lì. Un po’ pallido. Aveva preso in prestito, a tempo indeterminato, la guarigione da Barbie, ed aveva già sistemato il sistemabile, eppure quella piccola creaturina persisteva nel dormire come una bella addormentata qualsiasi. Gli spostò alcune ciocche corvine dalla fronte sudata, osservandolo a palpebre socchiuse. Preferiva di gran lunga rimanere in quella tenda con lui, che affrontare le energie negative fuori da quella bolla. Erano tutti così… suscettibili. Vulnerabili. Heidrun non sapeva che farsene di qualcosa che si spaccava fra le dita alla minima pressione, perché quel tipo di delicatezza non l’aveva mai posseduta: stringeva e strizzava e appiattiva nei palmi, portandosela al petto e lasciandola vagare fra una costola e l’altra. Potevano adattarsi o spezzarsi, e quel giorno sembravano più propensi alla seconda ipotesi.
    «buongiorno, lenzuolino» sorrise pigra e languida al ragazzino, un buffetto sulla guancia quando aprì gli occhi. «ci meritiamo una vacanza»
    E così fece.

    Reclinò il capo all’indietro, lasciando che il sole scaldasse la pelle ambrata. Chiuse gli occhi e permise al suono delle onde di sincronizzare battito e respiro, al frullare d’ali di uccelli fra gli alberi di quietare ogni pensiero. Aveva mandato una foto a Murphy ed Amos dei fenicotteri a bagno nel lido, scrivendo poi ci torniamo insieme, perché almeno in quel momento voleva e si meritava un po’ di tempo con il ragazzino.
    Non avevano mai avuto modo di parlarne. Di conoscersi davvero. Entrambi bravi, i migliori, nel fingere che la questione non li riguardasse, e potessero conviverci senza farne mai parola. Espirò piano svuotando i polmoni. Gli aveva concesso di mantenere le distanze, ma la pazienza della mimetica si era conclusa almeno un mese prima, quando il loro mondo era stato drasticamente ribaltato. Figurarsi con il concludersi della guerra di primavera, quando aveva rischiato di perdere in un colpo solo sia Jekyll che Arturo. Felice che non fosse successo, e non avrebbe perso notti di sonno pensando agli “e se”, ma non significava che non li tenesse in considerazione.
    Sorrise nel sentire un movimento al proprio fianco, sopracciglia arcuate. Attese che Turo prendesse visione del posto meraviglioso, mozzafiato, in cui l’aveva portato, e -
    «dove siamo»
    Cioè, quella era la sua prima domanda? Neanche un wow, che bellezza, che pace, grazie Run sei la mia sis preferita? «un bel posto» rispose saggia, prendendo una manciata di sabbia fine nel palmo. «non ti piace?» tanto ce lo avrebbe tenuto lo stesso.

    Hold :manine: Run
    rapire i fratelli


    «posso?» Seguì il suo sguardo verso la bottiglia stretta nel palmo, e gli offrì uno sguardo dubbioso. «a stomaco vuoto? Ma chi ti ha insegnato a bere, hendrickson» enfatizzò il cognome come la burla che era, scuotendo il capo e lanciando al ragazzo al proprio fianco il contenuto del cestino da picnic. Non aveva avuto tempo di fare una delle sue famose torte, ma aveva cracker, gallette di riso, frutta, cioccolata, succo, un thermos di caffè e – beh, altro alcool. «mangia, prima» doveva anche averne bisogno, dopo essere stato privo di coscienza così a lungo. «cosa è successo?» Ma faceva tutte quelle domande senza neanche prima fare colazione? Battè le ciglia, occhi verdi sul mare di fronte a loro. Inspirò, riempiendosi i polmoni di salsedine ed aria pulita – tutto ciò che le altre città non possedevano. Non più. «abbiamo vinto, e jekyll è vivo e vegeto. Ho pensato di (rapire anche lui, haha) invitarlo con noi, ma» schioccò la lingua sul palato, stappando la bottiglia di vino con il pollice. Alzò il vetro in un brindisi con l’altro. No, non avevano bicchieri, dalle sue parti si condivideva tutto. «ero un po’ gelosa. Avete passato un sacco di tempo insieme. Come minimo ti ha traviato, e pensi sia più simpatico di me» duh. «duh» gli sorrise, allegra e spensierata, tutta denti e morbide labbra rosate e curvate verso l’alto. «doveva toccare anche a me prima o poi» non gli disse dei maghi e degli special dell’altro schieramento. Poteva tenerselo ancora così, almeno per un po’, tinto dei colori di un trionfo che in tanti, in troppi, non sentivano.
    «sono tutti vivi» rassicurò però, e fu del tutto onesta. Qualcuno non lo era stato per un po’, ma quelli erano dettagli poco interessanti al fine della storia. Aveva ancora un barista, e quello era l’importante. (ma ce l’aveva, un bar? L’avrebbe scoperto, immaginava.). «il tuo ragazzo ha cercato di auto invitarsi» roteò gli occhi al cielo, spostandoli poi ostinatamente sull’Hendrickson. «lo adoro. Dove l’hai trovato?» scommetteva su una raccolta punti dell’esselunga.
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    1996
    (thinkin)
    cursed
    or sm shit
    to bitch
    or to beach
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    «credo sia il caso di recuperare spaco» Il sorriso di Heidrun era sempre un bel vedere, ma non significava che fosse in ogni occasione piacevole - e in quel momento, non lo era. L'effetto che le faceva la promessa di violenza gratuita, un vibrare delle corde cardiache che esprimeva tutto il suo essere istinto ed azione; primitiva e irrazionale. Tutto lì, racchiuso nei ridenti occhi verdi ad assorbire ogni istante della rissa poco fuori dal bar. Respiri profondi il cui suono si addiceva a contesti diversi - ma neanche troppo, se la riguardava - ma che in quel momento, perfino con una Rob a portata di mano, non avevano nulla di sessuale: un appagamento diverso, inspiegabile per chi non aveva vissuto la propria esistenza sul piede di guerra.
    E, ah, freme. Il foreshadowing del tuo post, neanche puoi immaginarlo - ma ci torneremo, non ti preoccupare. Ci torniamo sempre.
    «a meno che tu non voglia andare a dargli una mano mentre io mi faccio insultare da jade»
    Lo sguardo della Crane si adombrò per un solo istante. Uno solo, in cui nella sua bolla s'insinuarono pensieri concreti, con nomi e cognomi. In cui, da cecchino qual era, spostava lo sguardo dalla lente per rendersi conto che esistesse tutto un mondo fuori dall'obiettivo, un universo fatto di persone che per forza di cause maggiori sarebbero state toccate dal fuoco.
    Amico e nemico.
    Amici e nemici.
    Amanti e famiglia e. Talvolta, anche tutti insieme.
    «goditela» una sola parola che avrebbe dovuto suonare più sporca, promessa di baci e sudore, ed invece aveva tutta la ruvidezza del resto. Quello che rimaneva fuori, fatto di sorrisi ed abitudini e promesse; fatti di ciao ed arrivederci e ultime prime volte.
    Doveva fare anche lei delle chiamate.
    Le avrebbe fatte?
    Magari un messaggio sarebbe bastato.
    L'avrebbe mandato?
    Pensava ai suoi fratelli, ed a come li avrebbe costretti a rimanere a casa. Pensava che dove fosse Murphy, davvero, non volesse saperlo.
    Kieran. Sin. Suo padre.
    Voleva proprio picchiare qualcuno. Si alzò in piedi, sporgendosi per schioccare un bacio sulla guancia del Jackson. «vai tra, ci penso io qui. salutamela» ammiccò, buttando giù tutto d'un fiato quello che era rimasto del liquido infiammabile di Spaco.
    Al fianco dell'uomo. Un sospiro seccato, prima di rubargli la bottiglia e spaccarla lei stessa sulla nuca di qualcuno.
    Mostrò i denti in un sorriso, beccandosi gli usuali insulti, e andava bene così: era in tempo, per una volta.

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    Oh Eugene Jackson, sappy motherfucker.
    «mi avevi già convinto a perchè»
    Come lo adorava. Un modo che andava al di là di qualunque mistico legame Lancaster gli avesse imposto legando le loro vite. Aveva più difetti che pregi, e Run li amava forse più dei secondi. Approfittò della vicinanza per dargliela davvero una testata, leggera e beffarda, arricciando il naso e sbuffando esageratamente seccata. «sei una merda. Avevo tutto il discorso pronto» Sorrise, perché non era una merda ed assolutamente, al cento per cento, non aveva alcun discorso con cui convincerlo, né voleva averlo.
    Che poi.
    Corrugò le sopracciglia, testa reclinata sulla spalla. Battè le palpebre un paio di volte, labbra carnose curvate verso il basso, occhi verdi fissi sulle proprie ginocchia. «ma convincerti di cosa?» tra l’altro. Da quando aveva lasciato la divisa da Pavor per diventare insegnante – e sì, certo, era diventato padre, ma di quelli ne conosceva tanti e possedevano ancora tutti l’indole kamikaze; bastava vedere il suo – aveva smesso di divertirsi a giocare alla guerra. Run… non è un... divertimento…? Sì, ok, moving on, a ciascuno i propri meccanismi di difesa, fatevi i cazzi vostri eccetera eccetera. «dici che jade ci manderà a cagare? » Spostò lo sguardo sul Jackson, osservandolo curiosa. A entrambi…? «oddio. Vieni anche tu?» title of their sextape ai tempi d’oro REB, caso mai vi interessasse saperlo, anche con lo stesso tono stupito.
    Beh. Aveva poco senso dirgli di non farlo, quando lei in ogni caso avrebbe messo in pericolo entrambi. Sarebbe stato anche ipocrita da parte sua provare a celare l’entusiasmo negli occhi chiari, perché mama raised a bitch, non una bugiarda, ed era sinceramente sollevata e felice che le tenesse compagnia; si sarebbero divertiti un sacco! «a te di sicuro. A me no, perché sono più bella» un dato di fatto, mi spiace era così, e lo sapevano entrambi. «e poi è parte dei vostri preliminari, quindi.» fece spallucce, tornando a sorseggiare la brodaglia tipica del locale. Ad ognuno il proprio, non sarebbe mai stata lei a giudicare. «potrei avere dei favorì da chiedere al buon Abby, sai? ha riportato in vita un sacco di gente, secondo me qualche altro miracolo può concedermelo» Il buon Abby.
    Ah. La boccaccia di Eugene Jackson li avrebbe uccisi prima dei passatempi della Crane. Raccolse un ginocchio sullo sgabello, incartocciandosi poi tutta nel poggiarci sopra il mento. «mh, intrigante. Dimmi di più» Era davvero incuriosita: aveva conosciuto tante persone nella sua vita, Run, ma nessuno aveva l’assoluta capacità di stupirla del moro (derogatory). Era così… speciale (derogatory x2). Già detto che lo adorasse? «intanto i comacolla canon. endgame. e che cazzo. cioè sono dieci anni che cerco di accasare Nate, ho anche io i miei diritti» Sorrise, Heidrun. Mostrando tutti i denti, riducendo gli occhi ad una fessura, piegando la testa all’indietro per offrire quella muta risata al soffitto. «priorità. Ma chiederlo a abby non è come barare? Non hai neanche ancora provato le tattiche basic del chiuderli in una stanza insieme senza possibilità di figa fuga» e mai typo storico Oblivion avrebbe potuto essere più appropriato, vista la concorrenza. «cioè, ci sono altre opzioni.» perché certo, avrebbe potuto dire che fosse un po’ extra chiedere aiuto shipper al demone resuscitato dagli abissi del Lago Nero, ma perchè avrebbe dovuto: all in, baby. Se Euge voleva domandargli i comacolla endgame, Run sarebbe stato al suo fianco con un powerpoint sul perché avrebbe dovuto prendere in considerazione l’idea di farlo davvero. A chi fotteva che non avesse senso (a Gemes. Che sarebbe morto con loro. Non un problema di Run o Euge, però). «poi?» «poi senti.. a lezione sono successe cose. sai che ti ho raccontato della nave.. dai, hai capito» Difficile dimenticarlo. Non vedeva il Jackson così scosso da qualcosa, da – beh, non troppo tempo prima in effetti, ma non era certa che il fenomeno Oblinder contasse, perché nell’equazione era presente Nathaniel. I due pesi due misure erano decisamente una thing nel cuore del Jackson.
    Non come lei e Murphy. Principiante.
    «magari Abby può fare in modo che le cose funzionino. age gap permettendo, non tutti sono come nate» Annuì distrattamente, perché aveva senso, in qualche modo.
    Mistico. Ma qualche modo. Aveva riportato in vita una dozzina di persone, ed era rimasto secoli in una prigione subacquea: insomma, se qualcuno poteva farlo, era lui. «sì, beh – non mi fiderei troppo. Dipende quanto ci tieni all’incolumità dei tuoi studenti» ma che diceva: poco, probabilmente. Era pronta a rischiarsi la giocata con una creatura di Abby TM proveniente dagli inferi. «giusto. Ok. Avanti. e?»
    Rumori di vetri infranti. Urla di vario genere. Run tolse un pelucco dalle calze.
    «e poi voglio capire se posso rimanere incinto»
    Eugene….
    «cosi risparmio la sofferenza a jade»
    Jackson…!
    (Run sapeva che il suo rant fosse un modo gentile per dirle che la questione fosse passata, e lo apprezzava, ben felice di cambiare argomento.)
    «se avessi un pene. Giuro. In questo momento avrei un erezione» portò la mano di Euge alle labbra, schioccandoli un bacio sonoro e sospirando piano. «come lo avessi, davvero» HEART BONER! Ricambiò il sorriso, perché lo amava davvero, e «però che schifo» perché lo amava davvero.
    Cioè. Allora. Già le gravidanze erano brutte in generale, ma almeno le donne partivano con una buona base (erano belle. Tutte. Fine) quindi neanche quello poteva rovinarle. Gli uomini? Yikes. «non puoi chiedere direttamente un bambino già fatto? ew. Poi scusa - scusa. da dove … oddio» oddio. «oddio» oddio!! «FATEVI SCAMBIARE DI GENERE!!!» dai, quello era assolutamente fattibile! Sospirò sognante, la guancia premuta contro la gamba. «non vedo l’ora di chiamare jade “daddy”» priorità. Non che non lo facesse già, ma così sarebbe stato Più Vero TM.
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    «run»
    E Sara si sentì subito attaccata, già provata da giorni di convivenza difficili con Roberta, perché nulla poteva mai essere quello che maledettamente era con lei: i pappagalli non restavano uccelli, la tensione sessuale doveva essere farcita di [hhh] sentimenti, e ci mancava solo Eugene Jackson serio nel bingo personale di un’anima che davvero, tutto quel bullismo, non se lo meritava. Non potevano parlarne tranquillamente durante una partita a freccette…? No…? Non poteva almeno prima sfidarla a una gara di shottini, anche consapevole che avrebbe miseramente perso…?
    No. Era così che voleva giocarsela, con quella bocca dischiusa e mutata, gli occhi azzurri a cercare risposte a domande che intanto non aveva bisogno di fare – ma che fece comunque, perché era pur sempre un Euge, e qualcosa da dire doveva averlo.
    Erano sempre stati sulla stessa lunghezza d’onda, sara e rob. Eugene Jackson ed Heidrun Crane. Sempre con il sorriso sulle labbra, una battuta stupida a scivolare dalla lingua, sguardi languidi a promettere che valesse la pena sopportare le loro stronzate. Si erano capiti subito, lo stesso ghigno a riflettersi dall’uno all’altro, i palmi stretti in un cinque, o a sancire una scommessa, o all’ennesimo pugno di ferro con cui l’avrebbe slealmente stracciato - o anche solo per tenersi per mano, perché era indubbio che Run amasse Euge. Non nel senso che intendeva Arianna insistendo a pensare che Jade si fosse messa in mezzo, ma restava comunque una forma d’amore sincera, costruita negli anni, cementata in maniera più o meno platonica, ma sempre altro era. Ne era certa la mimetica, sentendo lo stesso battito nel petto, e sapeva ne fosse conscio anche il docente di Arti Oscure, perché nessuno dei due era stato progettato per nascondersi. Genuini.
    E fu genuino anche il modo in cui il sorriso si spense, molto lentamente, sulle labbra di Heidrun. La luce di una torcia ad affievolirsi per batteria scarica. Le palpebre ad abbassarsi su un paio d’occhi verdi coscienti di tante cose, chinati colpevoli sul proprio boccale. «cosa cazzo stai facendo.» Brindando al sociopatico che voleva conquistare il mondo? Il guizzo delle labbra della mora suggerì che fosse destinata a rispondere in quel modo; il fatto che non lo disse, che avesse scelto di non farlo.
    Un brutto segno quando Heidrun Ryder Crane, Milkobitch a tempo perso, teneva qualcosa per sé. Uno terribile quando persisteva anche nel capo chino, perché significava che quelle cose lì, ad Euge, non volesse dirle, consapevole che almeno la metà gli avrebbero spezzato il cuore – lo stesso che condividevano, e che galoppava selvaggio nella carotide di entrambi.
    Stava mettendo a rischio anche la sua vita. Con leggerezza, perfino. Una responsabilità che Heidrun, avesse potuto tornare indietro, anche non potendo evitare di morire, non avrebbe voluto. Amava Eugene Jackson, e Dio solo sapeva quanto infaustamente amasse Gemes Hamilton, ma quella vita ad un terzo era difficile, per lei. Sapere che ogni secondo della sua vita mettesse in pericolo due persone a cui teneva, non le faceva bene.
    Dover chiedere il permesso per esistere, non le faceva un cazzo di bene. Non era fatta per essere tenuta in gabbia; ci avevano provato, ed era scappata ogni volta.
    Sapeva che non fosse quello che Eugene le stesse chiedendo, ma non potè fare a meno di vedercelo comunque, perché anche se non avesse voluto che la mimetica domandasse permesso, ne avrebbe stra cazzo avuto ogni diritto. Lo sapeva Run. Lo sapeva Gemes. Lo sapeva Eugene.
    E lo sapevano Jaden Beech ed Uran.
    Inspirò, cercando di scollarsi di dosso quella rabbia ingiustificata e mirata a tutti e nessuno. Umettò le labbra, poggiando delicatamente il bicchiere sul bancone appiccicoso dello Spacobot.
    «dimmi perché»
    A chiunque altro, avrebbe detto perchè posso.
    A qualcun altro, avrebbe ammesso perchè voglio.
    Ma Euge? Se l’aveva chiesto, era perché si aspettasse una risposta onesta, perfino pensata. Non erano in molti a sapere che dietro lo sguardo ferino ed il sorriso leggero, ci fosse una mente sottile e funzionale. Non logica, mai logica, ma quanto meno razionale e ragionata. Ancor meno persone gliene chiedevano prova, fidandosi che non avrebbe detto una stronzata.
    «jackson,» prese ancora tempo cercando sul palato il retrogusto di candeggina della birra di Spaco. Alzò gli occhi al soffitto, incurante delle bestemmie del proprietario e del frastuono nel locale; si concesse un paio di secondi per raccogliere il coraggio di cui si era armata tutta una vita, usandolo una volta ancora come scudo e spada, prima di spostare lo sguardo sul volto dell’altro. Scosse il capo, una volta sola. Si strinse nelle spalle, brevemente. «perchè me lo merito» fu la prima risposta, del tutto onesta, che volle offrire. Tentò un sorriso di scuse, perché avrebbe potuto essere migliore di così ma non lo era. Non era solo questione di fare di virtù necessità: il caos, le era sempre piaciuto un po’ troppo e basta.
    Erano stati anni difficili, di una vita difficile. Aveva accumulato, ed accumulato e accumulato, ma Cristo santo, prima o poi doveva pur esserle concesso di esplodere. Porse il palmo; fra lei e Dio se fosse un’offerta di pace, o una richiesta d’aiuto. «ma non riguarda solo me. O te. O spaco» Inarcò un sopracciglio, sfoggiando l’ombra di un sorriso sardonico.
    “Papà dice che sono un mostro. Come te”.
    Doveva proprio chiederglielo, perché? Costringerla a pensare a George, l’ingegnere aerospaziale, e Dave, il benzinaio, e Michelina, l’allevatrice di creature magiche? Per forza, cazzo? Corrugò le sopracciglia e smise di sorridere, strizzando le labbra fra loro.
    Sapeva non fossero tutti così. Certo che lo sapeva. Aveva vissuto, nel mondo babbano – ci era anche andata a scuola, e scambiato saliva e prime volte con quaterback e cheerleader.
    Ma.
    Ma. Certe cose ti segnavano e basta, e da lì era tutto in discesa.
    «non importa che abbia ragione o meno. Se dichiara guerra ai babbani, siamo fottuti. Significa che sapranno tutti della nostra esistenza, che ci piaccia o no» strinse la mano su quella di Euge, e lo fece forte. Meglio la mano, della testa di qualcuno sul bancone di Spaco. Morse l’interno del labbro inferiore, cercando – e fallendo – di controllare il battito frenetico del cuore, la furia a mescolarsi a qualcosa di amaro, molto più amaro, alla base della gola. «e ci odieranno, euge. Ci cacceranno come dei fottuti animali» perché quello sarebbero stati, per loro.
    Una richiesta sottile, che avrebbe voluto non fare. Che sperava di non dover fare, ma la fece comunque. Strizzò i denti, deglutendo bile acida. «non chiedermi di rimanere» perché non l’avrebbe fatto, neanche per lui. Mi dispiace.
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    «dio terrorista»
    Come sempre in quei casi, Spaco le tolse le parole di bocca. Run, fra le mani un boccale di birra che aveva visto più bocche che detersivi, roteò gli occhi verso lo schermo fuori dal locale. Non era uscita - anche perchè staccarsi dallo sgabello implicava una forza di volontà che la Crane, ancora sobria, non possedeva - limitandosi a poggiare la schiena al bancone ed adocchiare la folla riunita sulla strada. Gli occhi di tutti incollati su una faccia che conosceva, Run, ma non davvero.
    «superbowl magico» bisbigliò all'orecchio del Jackson, impavida nel poggiare le labbra sul vetro ed ingollare la brodaglia pallida che sapeva di tutto eccetto che di birra. Aveva una ricetta speciale, Spaco: metteva insieme tutti i fondi delle bottiglie rimaste in esposizione, e costruiva così la sua bionda al malto che tutto aveva, compresa la salmonella, eccetto il malto. Lo adorava così tanto. Una certezza in tempi oscuri, le bestemmie del buon Spaco. Un conforto, i suoi continui insulti - «crane, sei talmente povera che sei tu a rubare agli zingari» - e le minacce creative - «run, ti farò guardare miley cyrus 24/» - con cui dimostrava il suo amore.
    Perchè era indubbio, la adorasse.
    Ricambiato.
    «era un po' che non si vedeva in giro. mi sa di televendita» sorrise, occhi verdi e sottili ad osservare l'uomo parlare, e parlare e parlare, perchè chi possedeva un pene non sembrava intenzionato a voler fare altro della propria vita. Derogatory? Sempre.
    «si coprono le spalle a vicenda. e si ricordano fra loro quanto siano speciali ed unici. Quindi: siete speciali ed unici, amici miei» sposata. Keep it up abby, you're doing amazing. «unico e speciale» ripetè adorante, la birra premuta contro il cuore e la mano libera a strizzare la nuca di Euge. Lo scosse rischiando di rovesciare i drink di entrambi, sorridendo felice. Felice, capito. Perchè amava lo Spacobot e amava Eugene Jackson, e quella era la Run che si meritava di essere.
    Di nuovo, sempre, lì. Di nuovo, sempre, con la stessa compagnia.
    «avete concesso a delle formiche di occupare tutto il posto che ci spetta? siamo più evoluti. siamo più forti. costretti a nasconderci come – come - come scherzi della natura?» Mh... «non più.» MH.... «non da oggi.» MH? Smise di sorridere, la confusione a farsi strada nello sguardo foglia a rimbalzare dallo schermo, al Jackson, a Spaco.
    «non siamo noi quelli contro natura. Non siamo noi ad aver distrutto interi ecosistemi per poterci spostare più velocemente: sono la razza più debole. Abietta.
    Abbiamo avuto pietà per secoli: non la meritano più.
    Oggi, amici, demoliamo lo statuto di segretezza. E ci riprendiamo il mondo»

    Si disse che fosse molto eticamente sbagliato essere turned on da una minaccia all'universo così come lo conoscevano, detta da un pazzo dagli occhi allucinati, quindi chiuse gli occhi ed inspirò profondamente.
    «sta scherzando» un bisbiglio, il guizzo di un angolo delle labbra.
    «dai. DaidaiDAI. CHI è CON ME?» Drizzò la schiena ad ogni Ministro.
    Scattò in piedi quando vide Kimiko Oshiro.
    «porca troia, euge» il cuore a sfarfallare veloce nel petto, l'adrenalina nelle vene. «porca troia. è serio» Stavano per - per fare cosa, esattamente. Dichiarare guerra ai babbani? Marciare su Roma?
    Non avrebbe dovuto, ma sorrise. Sorrise perchè ne aveva bisogno, cristo dio. Di spegnere i pensieri, seguire la massa, affondare lame e denti in qualunque cosa le capitasse a tiro. Sorrise perchè andiamo, a chi non piaceva un po' di conquista del mondo.
    Ma a quale prezzo, Run?
    Pensò al mondo doveva aveva vissuto metà della propria vita. Ai vicini di casa che le avevano sorriso, gli anziani che le aveva detto fosse proprio una brava ragazza, i colleghi dei ristoranti dove aveva lavorato per mesi ad offrirle di dividere un milkshake.
    E pensò al capanno.
    Era un ghigno feroce, quello della Crane, che sapeva di torti mai perdonati e vendette ancora da riscattare. «MINCHIA SE LO FACCIO»
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  11. .
    Che ragazzino prezioso, quel Clay. Le ricordava i tempi passati, quando al liceo aveva la brutta abitudine di raccogliere tutti i casi umani in circolazione, e decidere fossero suoi. Anche dietro i banchi di scuola, la Crane era stata stravagante e sopra le righe: entrava in tutti i gruppi di amici pur non facendo parte di nessuno di essi, si intrufolava agli incontri dei club a cui non aderiva, flirtava con il gruppo di inventori e con le majorette. Entrava l’ora dopo per fumarsi una canna con i fattoni, o per fotografare uno scorcio di scuola troppo affollato durante il resto del giorno insieme al più testardo membro del giornalino scolastico. Era sempre stata di tutti e di nessuno, un soffio di vento che passava a portare il caos e così com’era apparso, spariva nuovamente.
    Aver messo radici, l’aveva cambiata. Non drasticamente, ma abbastanza da essere quella che rimaneva a mettere a posto dopo aver mandato tutto a puttane, ed abbastanza da riconoscere che non potesse rapire studenti di Hogwarts per insegnargli come andasse realmente la vita. Erano, come si soleva dire in gergo, cazzi del Morales, che ancora sapesse così poco su come stare al mondo. Gli sorrise, perché lo trovava comunque adorabile, ed allungò una mano per scompigliargli i capelli ancora bagnati. «sei giovane» gli disse soltanto, lasciando che una virgola di malinconia tingesse gli angoli della bocca.
    Nulla durava per sempre. Neanche la morte.
    «capirai da solo la differenza.» o meglio, non proprio da solo: sarebbe stato istruito su quali [HINT] cogliere, e lei e la cugina gli avrebbero mostrato la retta via.
    Non quel giorno. Per quel giorno, era ancora salvo e libero di credere nell’amore eterno. «per ora ti basti sapere che sentirai fremiti nella forza, e semplicemente saprai di dovermi venire a cercare per dirmi tutto.» una ragazza pragmatica, che sospirò appena e si strinse nelle spalle. Non voleva sapere solo per fare gossip (si invece) ma anche per essere consapevole di quali zone evitare per rovinare dei momenti: prendeva (poco) sul serio il suo lavoro da security, e fermava i ragazzini dal fare cose estremamente stupide, ma con quale coerenza avrebbe interrotto loro un po’ di sano petting. Aiutava a mantenere alto l’umore in quel di Hogwarts, e che adolescenza era senza infrangere un po’ le regole? Tifava per loro, Run – soprattutto per Rennie e Cici, perché Cici stava cercando di vincere la friendzone da almeno un anno e la mimetica ci credeva sul serio.
    «dismissed» disse semplicemente, tornando nelle proprie vesti ufficiali e liquidando il Morales con un pigro cenno della mano. Non lo degnò neanche di una seconda occhiata, perché per quanto lo trovasse tenerissimo e carino, non le importava così tanto. Si trascinò invece fino al muro più vicino, contro cui poggiò la schiena. Piegò un ginocchio, lasciando l’altra gamba allungata di fronte a sé. «bahama? Mi annoio» ripetè, caso mai la Skywalker ancora non l’avesse capito. «vieni a giocare a questa è canon con me? Ho in tasca i nomi» picchiettò contro la coscia. Aveva una bustina con scritti tutti i nomi di studentato e staff scolastico di Hogwarts? Certo. Nei tempi liberi, ma anche quelli occupati, li usava per estrarre cose assolutamente casuali per poi metterle in pratica insieme ai suoi amichetti? Ovvio. Chiudere a chiave persone random nelle aule, far adottare loro animali esotici, appuntamenti al buio fra professori e assistenti, le sturphy l’avevano fatto.
    E non avevano rimpianto nulla.
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    heidrun crane, 26
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    non ho davvero in tasca i nomi, ma secondo me possiamo fare una lista e farlo davvero. via di caos. è così che scriveremo gli articoli del giornalino.
  12. .
    Le docce del campo da Quidditch non erano proprietà di Ciro – da non confondere con Ciruzzo: roba di proprietà del Grifondoro l’aveva già trovata, e nei luoghi più disparati; confiscare sex toys era una delle sue attività preferite, ADORAVA GLI ADOLESCENTI - e si sentiva, perché l’aria non le si appiccicava addosso rarefatta e minacciando di farle marcire le ossa seduta stante. Un piccola vittoria, considerando che si era appena presa una bottiglietta di shampoo in faccia, ma Run era una che si accontentava di poco.
    Non per niente avrebbe sposato Gemes Hamilton.
    «SONO DA SOLO, VAL NON C'ENTRA»
    «oh» Non sapeva se il disappunto nella voce fosse proprio, o dato dalla mistica connessione a duplice senso che condivideva con sua cugina. Corrugò le sopracciglia, osservando lo sgagnetto bagnato che schizzava via dalla doccia come un fuoco d’artificio. Murphy, si rispose. La Skywalker era una shipper più facile da accontentare rispetto alla Crane, prendeva quel che passava il convento, mentre la mimetica aveva altre aspettative per i giovani amori di Hogwarts: voleva i DUELLI. I TRADIMENTI. Voleva le confessioni d’amore sbagliate! Le serenate! (gli achievement, sara? Sì, ma me ne sono accorta dopo.) VOLEVA IL there was only one bed, e tutta la suspense che quelle due patate informi di Clay e Val non potevano darle.
    Belli. Bimbi bellissimi. Super carini. Ma non era sulla loro barca, le cose soft non facevano per lei. Faticava a credere potessero esistere, troppo abituata a pagare pegno alto per ottenere qualunque cosa: non si aspettava nulla di meno dagli altri. Non significava che volesse loro meno bene, soprattutto quando le sgusciavano ai piedi con un tonfo degno da perderci il coccige ed una dignità calpestata e rigurgitata. Poteva perfino pensare di perdonarlo per l’affronto del lancio – per il quale, diciamocelo, era più offesa del non essere riuscita a prenderlo al volo, che dal tiro in sé: QUEL LAVORO L’AVEVA IMPIGRITA, DOV’ERANO LE quest MISSIONI DEL MINISTERO DOVE SI LOTTAVA PER SOPRAVVIVERE! Era da un sacco che qualcuno non moriva né veniva rapito.
    (Jeremy: eppure… non è così : - ) baci )
    «scusa-SCUSI! hedr-signorina crane?????» signorina Crane. Che speciale. Baby boy. Un bacino in fronte. «non volevo colpirti..colpirla????? mi è sfuggito» Avrebbe potuto permettere alla propria espressione di ammorbidirsi, sarebbe stata sincera, ma diciamocelo: innanzitutto, non sarebbe stato divertente; in secondo luogo, se fosse entrato qualcun altro al suo posto, probabilmente il Morales sarebbe già stato spedito nella sala delle torture.
    Perchè era uno special. Da membro della security, sapeva con certezza che le reazioni non fossero eque al misfatto. Strinse le labbra fra loro, accucciandosi al fianco del ragazzino. Fremeva dalla voglia di spostare i capelli bagnati sulla fronte, dirgli che capitasse, che apprezzava la scelta musicale, chiedergli come stesse, ed invece si limitò ad osservarlo, testa reclinata sulla spalla e sguardo a scivolare sugli arti per assicurarsi che non si fosse rotto nulla.
    Perfetto. Era solo una bottarella. Sarebbe sopravvissuto. «se posso fare qualcosa per rimediare..appena riesco a rimettermi in piedi» Oh my. Aveva appena detto quello che credeva avesse detto? Si schiarì la voce, il pugno di fronte alla bocca, ed alzò un dito per intimargli di aspettarla mentre si allontanava dalla parte opposta delle docce. «mama, qui bahama. passo» mago docet. «ho trovato la talpa. Passo.» una pausa. «sentiti libera di raggiungerci quando vuoi. Mi annoio. E non passo» soffiò un bacio al walkie talkie magico – quelli di Topolino erano finiti, la security aveva quelli di Sonic (click) – e si volse verso il nano biondo.
    Vedete. Gli studenti di quella scuola di merda, erano tutti infami gatekeeper, e nessuno spillava il tea. Certo, spezzando una lancia a loro favore, probabilmente pensavano che avrebbero usato quelle informazioni contro di loro, ma erano stati deviati dalla propaganda. Non era così! A Run piaceva solo farsi i cazzi loro, ed essere sempre aggiornata su tutto! Afferrò l’asciugamano del ragazzino, lanciandoglielo addosso perché non prendesse freddo, ed anziché aiutarlo ad alzarsi, si sedette a gambe incrociate per terra al suo fianco. «puoi fare qualcosa, in effetti» tamburellò il dito sul labbro inferiore, fingendo di soppesare la proposta. «ma è un compito delicato. Di intelligence» si guardò attorno, e malgrado fosse sicura che non ci fosse nessuno nelle vicinanze, abbassò ulteriormente il tono di voce. «devi essere un ninja. avere occhi ovunque. Scindere realtà dall’inganno» picchiettò le falangi fra loro, occhi verdi puntati su un punto nella distanza. «non è un lavoro per tutti» Roteò lo sguardo sul pulcino bagnato al suo fianco, un’espressione seria e solenne in volto. «ma prima di scendere nei dettagli, devo farti una domanda» gli afferrò le spalline esili che si ritrovava, avvicinando il viso al suo, squadrandolo con attenzione. Non era lo stesso fare il bad cop senza il suo good cop di fiducia, ma avrebbe preso quel che passava il convento. «la sai la differenza fra ship e otp?» la domanda che avrebbe cambiato niente tutto.

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  13. .
    «vieni nani, ti faccio vedere come sistemano le faccende i veri adulti» Cinse le spalle di Romolo Linguini con un sorriso a trentadue denti. Ancora non poteva credere che qualcuno avesse scelto lei per svolgere tirocinio (LEI! SUCK IT UP GEMES, TU CE L’HAI UN TIROCINANTE? HA! SFIGATO), e presa dell’entusiasmo, gli aveva mostrato davvero tutto quello che c’era da sapere per diventare un ottimo membro della security.
    Niente, principalmente. Il loro lavoro era fare terrorismo psicologico agli studenti di Hogwarts perché non si cacciassero nei guai, incitare qualche rissa (*sedare, dannazione l’auto correttore), e controllare che tutti rispettassero bene o male le regole. Visto che non era quella la parte divertente del loro lavoro, gli aveva mostrato tutto il resto: come i ragazzini cercassero sempre di corromperli con qualcosa; come si potessero tenere la merce sequestrata; come bisognasse sempre essere un passo avanti ai trend, e conoscere ogni pettegolezzo perché c’erano lunghissimi tempi morti e ci si annoiava da morire. L’aveva portato a bere con lei per festeggiare la fine di un turno, e l’aveva picchiato (*addestrato, ma dai… basta correggere le parole a caso!) per insegnargli come stare al mondo, e come reagire nelle occasioni in cui fosse necessaria la violenza senza l’omicidio.
    Era giunto il momento che gli mostrasse la parte più importante. La vera collaborazione fra adulti responsabili e autorevoli, ciò che manteneva l’ordine fra il caos dei membri della squadra. Si fermarono in mezzo al corridoio del secondo piano, laddove si dava sempre appuntamento con Jekyll e Murphy, e tirò fuori il Barattolo Dei Posti. «oggi lollo sceglie chi pesca per primo» coro di uuuh e aaahhh dalla folla ( : Jekyll e Murphy.), mentre il Linguini, senza contesto, decideva il loro destino. Non poteva ancora saperlo, ma il Barattolo dei Luoghi conteneva i nomi di tutte le zone del castello dove fosse necessario, per un motivo o per l’altro, fare pattuglia. Visto che, nei primi tempi, era capitato spesso che si trovassero tutti e tre negli stessi posti (inserire qui meme di spiderman) avevano adottato quella tecnica infallibile per scegliere dove svolgere il proprio ruolo. Avevano provato con morra cinese, ma quelle merde competitive l’avevano sempre accusata di barare. Come si erano permessi ad averne il dubbio? Certo che barava: era Run Crane, per l’amor del cielo.
    Comunque.
    «boh» Bravo Linguini, ci piace la gente che non sa un cazzo. Già uno di loro! Indicò vago Jek, e Run ammiccò al fratello mentre quello girava e rigirava (e rigirava...e rigirava… «bro basta pesca sto biglietto.» ) la mano nel Barattolo sancendo la propria sorte. Tirò fuori una sottile striscia di carta, e dall’espressione dipinta sul volto del pirocineta, dedusse che si trattasse di «i sotterranei!» Nessuno voleva andare nei sotterranei. Non c’era niente, assolutamente niente da fare, ma dovevano controllare che nessuno rubasse nulla nel laboratorio della Queen, quindi gli toccava stazionare. Jekyll mise un adorabile broncio che forse, forse, su un altro pubblico avrebbe funzionato e gli avrebbero permesso di estrarre una seconda volta, ma non su quello. Era una questione seria, e le cugine Quinn la prendevano come tale. Mica erano pivelle, loro due. Diede comunque un buffetto al giovane uomo, mentre Murphy, lingua stretta fra le labbra in catartica concentrazione, pescava la sua zona. Foglio di carta alla mano, sbuffò e lo girò perché potessero leggerlo anche loro. «foresta proibita...pesante» il numero di adolescenti intenzionato a morire giovane era davvero elevato. Comprendeva perché li attirasse tanto, eh, non giudicava, ma era il suo lavoro giudicarli, quindi insomma, lo faceva. Al proprio turno, soffiò sulle proprie dita, prima di immergerle nel Barattolo.
    «oOoOooOoOo»
    (grazie Lollo. Hai capito tutto. Ti voglio bene. Sei il mio preferito)
    «CAMPO DA QUIDDITCH!»
    «OLEEEEEE [...]EEEEE»
    «campo da quidditch?»
    «EEEE? Siamo felici o tristi*» (*tradotto dal romano all’inglese, la nuova specialità di Run)
    «entrambe» sospirò, mentre Murphy si lamentava di quanto la vita fosse ingiusta. Si sporse per darle un bacino sulla guancia, e tanto bastò per farla sorridere, silenziando ogni protesta.
    La amava così tanto.
    «ci mandano a fare giro ricognizione per evitare che la gente ci si apparti.» portò afflitta una mano al cuore, sentendo un dolore quasi fisico all’idea di dover punire qualcosa che ovviamente, ai suoi tempi, aveva fatto anche lei, e che se avesse avuto la materia prima a portata di mano, avrebbe tranquillamente continuato a fare. Andava contro la sua religione, capite? Comprendeva perfettamente che i giovani amanti andassero a cercare un po’ di intimità nell’unico luogo dove, partite ed allenamenti a parte, non c’era anima viva; al massimo potevano incrociare Joseph Moonarie, ma non rientrava esattamente nelle anime vive, quindi tutto nella norma. Era un clichè, quello di spalti e campo e spogliatoi, e non dovevi far parte di nessuna squadra per unirti al divertimento. Ecco perché era il posto preferito da Murphy, dove raccoglieva materiale per il club (e per aggiornare lei quando si annoiava, quindi… spesso.), ed ecco perché Run, al contrario, non lo sopportava. CHE PALLE ESSERE ADULTI E RESPONSABILI. Non era da lei domare i bollenti spiriti degli adolescenti.
    Sospirò. Avrebbe potuto fare cambio con la Skywalker, non le avrebbe fatto male un po’ d’azione, ma non si fotteva, con il Barattolo dei Luoghi. Era legge. E lo sapevano tutti, quindi si congedò dai compagni, Lollino compreso, per dirigersi verso la sua Zona TM.

    «ragazze. eddai. sapete le regole. Non fatemelo fare» calciò delicatamente le gambe della Grifondoro stesa al suolo, la coperta a coprire entrambe le fanciulle da metà busto in giù. Avevano cercato rifugio in un piccolo anfratto dietro le tribune, e Run avrebbe tranquillamente potuto fingere di non vederle, ma ogni tanto – ogni tanto ….. - prendeva sul serio il proprio lavoro.
    Senza contare che preferiva infrangere le regole in modi più divertenti che permettendo ad un giovane amore di sbocciare, ad esempio pugnalando i ragazzini che gli stavano sulle palle. Cose così.
    Non rimase a guardare mentre si sistemavano. Un minimo di dignità poteva ancora concederlo.
    Si affacciò negli spogliatoi, i capelli bruni a penzolare oltre la spalla.
    Grifondoro: pulito.
    Corvonero: pulito.
    Serpeverde: «costas, baby, se sei di nuovo lì dentro, sappi che sto entrando e non voglio vedere, giuro su dio che ti prendo a testate – ah non sei costas, ciao keegan, scusa keegan non volevo spaventarti, dai davvero non volevo - eh. vabbè»
    Tassorosso:
    «ehi? Chi c’è.»
    «DON'T STOP!!! BELIEVIN'!!!!!! HOLD ON TO THE FEEEEELIN'!!!!!!!!!!»
    «dai davvero, chi c’è. Sto entrando, ma non guardo» Come promesso, si coprì gli occhi con le dita.
    «STREEEEETLIGHTS!!!! PEEEEEEOPLEEEEE-EEEE-EEEOOOO-OOOOOOOHHHHHHH»
    E qualcosa la colpì in faccia.
    Sconcertata, lasciò cadere mano e mandibola. «MI HAI COLPITO? È ILLEGALE» L’AVEVA ATTACCATA? COSì, SENZA SENSO? «CLAY MORALES SEI DA SOLO Lì DENTRO? SE C’è VAL» Murphy ne sarebbe davvero felice. «FACCIO IL CULO AD ENTRAMBI. DOPPIO. PERCHè MI HAI FUCKIN COLPITO» Run non dimenticava, Run non perdonava.
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    Il come Heidrun Ryder Crane, Milkobitch a tempo perso, fosse arrivata all’Aetas, non ci è dato saperlo. Lei certe cose le sentiva, con quella connessione tutta speciale che possedeva per il caos e le feste; se c’erano guai in vista, la Crane era in prima fila e con tanto di striscioni. Non era mai finita in quella dimensione per errore: ci era andata per scelta, alla richiesta d’aiuto di un ragazzino uguale a Barbie ed una sorprendentemente felice Jericho. Combattere guerre non sue, d’altronde, era una specialità della mimetica.
    Ne era rimasta impressionata, e non solo perché avesse visto morire il loro Jeremy.
    C’era qualcosa di… assurdo, e confortante, nel rendersi conto che in una vita al contrario e tutta diversa, tutto tornasse (tranne Lemon e Ham, ma che ne sapeva la Crane). Che ci fosse Roy, non Run, e che avesse il suo stupido, adorabile Gemes; che fosse amica di Vic, di Murphy. Che i Milkobitch fossero comunque finiti sulla sua strada. Per una, fottuta, volta, anziché sentirsene imprigionata, si era sentita libera - libera di essere; di avere; di permettersi una vita che credeva di non meritare. Ecco perché quando aveva scorto quella breccia, per quanto assurda ed irreale e pericolosa, aveva trascinato con sé chiunque le fosse capitato a tiro: era l’avventura di una vita.
    «è un’esperienza che non puoi perderti», aveva detto a Lupe, tirandola per il braccio.
    «ti voglio bene», aveva detto a Mac, guardandolo solenne prima di trascinarlo per la spalla.
    «e poi, mica vi abbandono!»

    Aveva mentito.
    Ma in quel momento, non le importava. Era tutto insensato, e bellissimo, e per qualche folle e fantastico motivo c’era un Mac (e non aveva visto l’altro!!) anche lì, il che implicava che avessero avuto Bodie. Un Mac GRANDE! Che PARLAVA CON LE PERSONE! ORGANIZZAVA FESTE! APRIVA PORTALI DIMENSIONALI! Aveva proprio preso tutto da mamma, e poco importava che in quel mondo (manco nel suo? quisquilie) non la fosse. C’erano un CJ ADULTO! Con DEI FIGLI – li aveva visti! E C’ERANO QUELLE FANTASTICHE BEVANDE COLORATE E BELLISSIME.
    (E non aveva ancora conosciuto IL MEGLIO: due turo! Una nipote! UNA SORELLA CHE NEANCHE SAPEVA DI AVERE NEL CANON!)
    L’universo avrebbe potuto aprirsi ed ingoiarli tutti, ed Heidrun se ne sarebbe andata con il sorriso sulle labbra.
    Aveva abbandonato la maglietta da un pezzo, arrotolandola sulla fronte come una bandana, e si trovava cvhiaramente al centro di quella che credeva essere la pista da ballo – e che se originariamente non la era, la era appena diventata. Il fatto che anche nell’AU Lady Gaga fosse un must delle feste, la diceva lunga su(lle priorità di Run.) come il destino, talvolta, esistesse.
    Neanche immaginava quanto.
    «Hello, hello, baby / You called, I can't hear a thing »
    «I have got no service / In the club, you see, see»
    Scontato e naturale, che avesse trovato una compagna di danze. Non la guardò realmente, ma ne percepì la presenza; lo scuotere degli ingestibili capelli bruni le impediva di cogliere dettagli sulla sua nuova migliore amica - era bionda - a cui si avvicinò saltando, euforica all’idea di mettere in imbarazzo la Roy Harvelle di quell’universo.
    «Wha-wha-what did you say? / Oh, you're breaking up on me»
    «Sorry, I cannot hear you / I'm kinda busy»
    «k-KINDA BUSY»
    «K-KiNdA bUsy»
    «sorry i cannot hear you»
    «I’M KINDA BUSY!»
    E fermandosi, pronta a gridare il ritornello con quanto fiato avesse in gola, ebbe – ebbe uno di quei momenti. Quelli che sapevano di già visto, e di già vissuto. Quelli che le facevano sorgere più domande di quanto fosse avvezza farsene, e che pungevano il piccolo lato di lei logico e sensato; quelli che demandavano delle risposte, a cui, puntualmente, la Crane si rifiutava. Un prurito fastidioso al palato, ecco di cosa si trattava. Una sensazione a cui si era abituata, ed a cui non aveva più dato peso - sbagliando: avrebbe sempre dovuto fidarsi del suo istinto; stomaco e cuore sapevano cose che la testa rifiutava di credere. Quando aveva iniziato ad usare la testa?
    (come meccanismo di difesa, per proteggersi da un ovvio a cui non sarebbe stata pronta)
    Non aveva mai collegato lo sguardo giada di CJ al proprio. Non si era mai interrogata sulla ragazza incontrata anni prima, quasi una vita, che le aveva sorriso un addio pur senza conoscerla. Non si era fatta domande su Amalie e Maeve fino a che non aveva saputo; su Kieran e Murphy; e, senza conoscenze pregresse, avrebbe continuato a non farsene su Turo e i fratelli Daniels. Non avrebbe saputo dire, guardandosi intorno, chi fosse figlio di chi, né avrebbe saputo riferire a Murphy quali delle proprie OTP fossero endgame nell’AU.
    Eppure. Qualcosa, nei luminosi occhi chiari della ballerina al proprio fianco, bloccò tutti i processi in corso, costringendola a bocca aperta e cuore sulla lingua. Familiare c’entrava poco, e c’entrava tutto, con il vuoto allo sterno che sentì, quasi gliel’avessero scavato in quel momento e non un’esistenza prima. Era qualcosa di più primordiale. Era qualcosa per cui si svegliava al mattino, ogni tanto; che la teneva sveglia di notte, che soffocava in un bicchierino di whiskey in più; qualcosa a cui si appellava quando cercava, a suo modo, di cambiare il mondo in meglio.
    Qualcuno.
    ”Raccontami qualcosa di te”
    Indietreggiò. Indietreggiò. Ed indietreggiò ancora, cercando di placare un battito folle ed insensato. Sapeva tanto di attacco di panico, quella roba lì – quella in cui il fiato non arrivava nei posti giusti, e la testa non stava all’altezza giusta – ma non poteva esserlo, no? No non avrebbe avuto senso, perchè avrebbe dovuto, non.
    Non. Scosse la testa cercando di ridere, finendo solo per fare una smorfia buffa e spaventata.
    Forse c’era qualcosa nel drink. Anzi, sicuramente c’era qualcosa nel drink, perché toccandosi il ventre scoperto, lo trovò umido di sudore freddo. Una reazione decisamente spropositata ed inappropriata, e non nel senso divertente con cui era solita reagire alle cose.
    Quello, era diverso. Sapeva di polvere e di legno marcio e di colpi di fucile e di addio.
    Erano passati sei anni. Credeva che dopo tutto quello accaduto nel mezzo, l’avesse superata. La vita di Run era una vita fatta principalmente di errori, e ne era perfettamente consapevole. Non li rimpiangeva; magari si odiava un po’ per quanto fatto, ma non l’avrebbe fatto in altro modo: nel bene o nel male, l’avevano portata ad essere quello che era, dov’era e com’era, e negli anni aveva cercato di rimediare ai danni passati al meglio possibile.
    Ma uno.
    Uno sbaglio. Un fallimento. Qualcosa a cui non poteva rimediare con un paio di parole dolci, o una torta dalla glassa colorata. Non era colpa sua, ma ne sentiva comunque la responsabilità come lo fosse stato.
    Perchè
    ”Posso restare un po’ con te?”
    Perchè
    ”Papà dice che sono un mostro”
    Perchè
    ”Devo portare un messaggio”
    Afferrò il braccio di qualcuno di passaggio (ciao Ford) strizzandolo fra le dita e deglutendo febbrile. La conosci, avrebbe voluto chiedergli, per assicurarsi di non essere pazza. Come si chiama, perché era impossibile e voleva farsi una risata e bersi un goccio (bottiglia) di Tequila. Aveva intravisto Wren, da qualche parte; magari oltre ad un bambino, aveva portato qualcosa da smezzare con cui passare il tempo. «sono più simpatica di roy» umettò le labbra, mollando la presa e cercando di racimolare dignità e senso. Tentò un sorriso, scollandosi i capelli dal collo e le spalle. «dimmi i fun facts del tuo mondo e ti dirò quelli del mio»

    Timothy Cohen, ancora accaldata dalle danze scatenate di poco prima, rimase: interdetta. Si guardò attorno, occhi azzurri pieni di confusione e senso di colpa. Aveva – aveva detto qualcosa di sbagliato? Strinse le labbra fra loro, una mano ancora allungata, e mai stretta, verso la finta Roy a cui si era approcciata per ...per? Includerla, forse. Non sapeva esattamente come quello scambio dimensionale fosse successo, ma se le stelle l’avevano permesso, doveva essere giusto; senza contare che, malgrado tutti negli anni le avessero detto di non farlo, Tim si fidava di Percy.
    D’altronde, Tim si fidava di tutti.
    Indossava le emozioni come un profumo costoso, lasciando la loro impronta ovunque andasse. Si era sempre definita innamorata prima ancora di amare effettivamente qualcuno, perché lo era stata: del sole e della pioggia, delle piante e gli animali, delle persone e gli eventi. Dell’oroscopo, e le stelle, e le galassie sconosciute su cui era certa esistessero altre forme di vita. Della sua famiglia.
    Entrambe, le sue famiglie.
    Amava suo padre, Robert Hale. Ricordava come le accarezzasse sempre i capelli prima di andare a dormire, e le dicesse fosse la bambina più brava del mondo.
    (Non ricordava di come l’avesse guardata, quando aveva scoperto avesse la magia; di come le avesse gridato fosse un mostro, tirandole i capelli fino a strapparli alla radice).
    Amava i Cohen che l’avevano adottata quand’era solo una bambina terrorizzata. Amava lo zoo che avevano inaugurato cinque anni prima, ed in cui lavorava a tempo perso, quando non era impegnata a prendere appunti per Elite (prendere appunti: guardare serie tv con arti marziali e non!! segnare le scene di lotta più belle da far vedere in classe!! JACKIE CHAN GURU). Amava il potere che le avevano donato nei Laboratori, e che le permetteva di curare la natura e comprenderla.
    Amava i suoi cugini, i Cooper.
    (Ed amava Rowan Quinn, ma quello era un altro discorso.)
    Da un grande amore derivavano grandi responsabilità, nel suo caso occhi pieni di lacrime e sguardo abbassato verso il pavimento al primo accenno di aver sbagliato qualcosa, o aver deluso qualcuno. Lì puntò lo sguardo in quel momento, lasciando che la canzone finisse e ne iniziasse un’altra. Non avrebbe pianto alla festa di Percy. Non avrebbe pianto alla festa di Percy dove stavano ospitando persone provenienti da una dimensione diversa. NON AVREBBE PIANTO ALLA FESTA DI PERCY DOVE STAVANO OSPITANDO PERSONE PROVENIENTI DA UNA DIMENSIONE DIVERSA ED IN CUI C’ERA DI SICURO GENTE Più TRISTE PERCHè MORTI VARI ECCETERA ECCETERA COME AVEVA POTUTO PERMETTERSI DI ESSERE COSì EGOISTA E SENZA CUORE. Deglutì, stringendo i pugni e drizzando le spalle.
    Non cercò Elite per piangere un pochino, sarebbe stato davvero sus (...sì, lo fece, ma - ma, era decisamente impegnato), né andò da Vic, anche se sapeva che gliel’avrebbe permesso perché un po’ le voleva bene, né da Barrow o Meara. Si stampò un sorriso allegro sulle labbra, avvicinandosi invece ai suoi studenti. «la danza non è il mio forte» indicò un punto imprecisato alle proprie spalle, aggiustando i due space bun disfatti dal movimento e giustificando la fuga della ragazza dalla pista da ballo. Corrugò lievemente le sopracciglia verso Hamal, una smorfia amichevole in direzione della ragazzina lanciatissima (letteralmente) sulla folla. «vi state divertendo?»

    - hai un sogno, run?
    - arrivare in tempo
    - è così difficile?
    - per me, sì
    the ghost

    in the back of your head
    i am the problem
    that's why

    i need to go
    heidrun crane
    adelaide hale timothy cohen
    26 - geok.


    ok. e quindi
    run si spoglia (perchè ha bevuto il cosino colorato ? anche) e balla lady gaga con tim. poi sclera perchè ha chiaramente problemi come tutti i i pg di sara, e molesta ford
    tim ballava con run, poi non capisce che succ, e alla fine si avvicina a Hamal e fa due paroline !!!!


    Edited by idk‚ man - 30/4/2022, 23:23
  15. .
    abilito!!!!!!!!
308 replies since 17/7/2015
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