[q09] don't die on me

Ruotò il bicchiere nel palmo, osservando sonnacchioso le sfumature d’ambra del whisky nella fioca luce della cucina. Aveva confidato di evitare quella conversazione, Hyde Joyce Crane Winston, ma conoscendo l’elemento in questione, sapeva che prima o poi sarebbe giunta: non aveva avuto bisogno delle doti da chiaroveggente di Chris, per sapere che quella sera avrebbe avuto bisogno d’alcool. Più del solito, chiaramente. «In un modo o nell’altro, mentre annegheremo nel nostro stesso sangue, ne uscirai vincitore.» Sollevò apatico le iridi chiare su Chelsey Dallaire, impenetrabile e freddo quanto ghiaccio. Avrebbe potuto evitarne lo sguardo, lasciare che gli occhi cerulei rimbalzassero sul vetro, ma che senso avrebbe avuto, quando lo scopo di quel sadico gioco era lasciarle vomitare pensieri, non richiesti ed inopportuni, su un fantasma del passato? Non aveva mai avuto voce in capitolo, Hyde; glielo lasciò fare, perché per quanto amasse vincere, quella non era la sua battaglia. L’Hyde che avrebbe dovuto combatterla, aveva scelto di non farlo il giorno in cui era morto. «È stato bello rivederti.» Non replicò, perché di lei non poteva dire lo stesso. Non conoscere quella Chelsey, non significava che non fosse una Chelsey - e che l’Hyde della Dallaire, avesse perso l’unica guerra che aveva sempre giurato di vincere. Quella Chelsey, gli ricordava la sconfitta; gli ricordava che malgrado fosse (il più) intelligente, (il più) pragmatico, (il più) preciso, non fosse infallibile.
Perché l’Hyde del suo mondo, aveva lasciato morire Jekyll. Vivere non era mai stata la priorità dell’ex Serpeverde; sopravvivere, era stata una necessità ad unico scopo: suo fratello. Ed aveva fallito, bruciando l’unica invariabile non razionale della vita del mago, sempre basato su logica e fatti. La logica ed i fatti, se presi nudi e crudi, non promettevano che Hyde avrebbe sempre salvato Jek – anzi – eppure mai, il Crane Winston, aveva valutato un’altra possibilità. «se posso darti un consiglio da amica: evita sempre il Messico. O il cibo messicano. Soprattutto i mariachi, anche se dovrebbero essere loro ad evitare te.» Il fantasma di un sorriso carezzò appena le labbra del biondo, lasciando però gli occhi vuoti ed aridi d’ilarità. Ancora, si sforzò di non replicare, lasciando che la Dallaire concludesse il suo monologo firmando così un addio che non era mai riuscita a dare. Gli esseri umani vivevano di conclusioni; le faccende in sospeso, non piacevano nessuno. Le parole di Chelsey non ne furono che un esempio, al fianco di coloro che si sprecavano a scrivere storie per concludere la narrazione d’altri: fingevano bastasse, finchè fingere non fosse stato abbastanza.
E non le avrebbe tolto quella possibilità, perché malgrado non fosse la sua Chels, avrebbe potuto esserlo - in un altro mondo, lo era stata.
Se le statistiche non lo ingannavano, perfino in altri due: ironico come quella donna, un tempo ragazzina, fosse sempre stata in grado d’insediarsi nelle crepe del CW. Non le chiese se in quel mondo, al sé Vigilante, avesse dovuto imporsi come la Wesley aveva fatto con lui – sapeva la risposta. «credo mi serva qualcosa di più forte.» Tacque riportando gli occhi sul liquido fra le mani, fermando il movimento oscillatorio con un ben piantato indice. Non la guardò lasciare la stanza; non cercò di rubare un altro scorcio di quella chioma irrealmente bionda, sciogliendo la tensione delle spalle solamente quando udì una porta chiudersi.
«non gliel’hai detto» Che fitta al petto, quella voce. Che battito mancante, a risuonare sordo e atono nel costato. Non la sentiva da anni, Hyde – da letteralmente un’altra vita – e fu colpito fisicamente dall’impatto di udirla, vicina e familiare, dopo tutto quel tempo.
Erano anche le prime parole che Chris Meth, la fu Hemingway Winston Crane, gli avesse mai rivolto da sei mesi a quella parte. Nulla di personale, non parlava con nessuno - solo Preston, per un motivo non meglio specificato, era riuscito a superare il mutismo della mora.
Non gliel’hai detto. Non dovette specificare a cosa si riferisse, perché era più che in grado di completare quel dato di fatto da sé: non gliel’hai detto, che domani ci sarai anche tu. Che a vederli affogare nel loro stesso sangue, ci sarebbe stato anche lui; che al loro fianco, sarebbe tornato a combattere. «neanche tu» osservò, in una ripicca infantile spenta nel debole sorriso di Gwen - Chris. Un quarto di quel sorriso, ne valeva centinaia di migliaia in tutto il fottuto mondo. Era una delle poche persone in grado di farlo sentire colpevole, in errore – lui che mai accettava d’esserlo. – e le bastava così, così poco, che avrebbe dovuto essere catalogata come arma di distruzione di massa. Nulla avrebbe dovuto far così male, e passare inosservato. «perché?» E solo per sentirla parlare ancora, ed ancora, le avrebbe voluto offrire una risposta complessa. Se ne avesse avuto uno, Hyde le avrebbe aperto il suo cuore, lasciando che interpretasse le noti dissonanti in sinfonie intere. Era sempre riuscita a farlo, la sua Gwen. Ma non poteva mentirle, non a lei; si meritava l’onestà che demandava negli occhi blu, che sempre gli aveva offerto senza richiesta alcuna. «non ne vedevo l’utilità.» secco. Amaro.
Ma sincero: non faceva mai nulla senza uno scopo, Hyde Crane Winston. Non sprecava ossigeno per informazioni scadenti di seconda mano, e quella lo sarebbe stata – una distrazione sul campo, per di più; senza contare che Chelsey avesse deciso per lui, dando per scontato che Hyde non si sarebbe sporcato le mani: non aveva avuto alcun margine di dubbio, né accusa; si era messa il cuore in pace, accettandolo così com’era perché era quello che sempre aveva fatto.
E non aveva potuto biasimarla, perché si raccoglieva quel che si seminava: se l’aveva portata a pensare così poco di lui, che non avrebbe mosso un dito per la sua famiglia, un motivo doveva esserci stato.
Chris non replicò più. Gli lanciò un ultimo enigmatico sguardo cobalto, labbra strette fra loro in un minuscolo cenno di congedo, prima di tornare nella propria stanza. Hyde finse di non sentirsi un po’ più vuoto, quando anche lei se ne andò; finse di non sentire un po’ più freddo, nel liquido che bollente avrebbe dovuto scaldargli le vene.
Finse di poter essere infallibile, affacciandosi sulla soglia della stanza dove Jekyll giaceva scomposto ed addormentato fra le lenzuola: sapeva di non poter contare su Dio per le proprie preghiere; poteva rivolgersi solo a se stesso, Hyde, per chiedere che non gli portassero via anche lui. E finse che fosse abbastanza.

Ficcò il pugnale sotto il costato del Pavor, spingendo con tutto il proprio peso per aprirsi una strada all’interno dello sterno dell’uomo, dirigendo la lama verso il muscolo cardiaco. «stronzo» sibilato da un’indignata Jericho Lowell, centosessanta centimetri di furore e sangue – non suo – a gocciolare sul pavimento, all’entrata della scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Ritrasse la mano, il respiro accelerato a sollevarle rapido il petto; neanche la spinta dell’adrenalina riuscì a cancellare il disappunto, e la rabbia, a sciogliere l’azzurro delle iridi in un blu liquido e incandescente, dando tutta una nuova sfumatura a sguardo omicida. Perché «non ci posso credere che abbiano licenziato me» e rotolò sul pavimento, gli abiti neri a celare il liquido scarlatto (altrui.) che impregnava il tessuto, stringendo la semi automatica che Perry (quel pezzo di merda che metteva sempre i piedi sulla scrivania, sì) aveva lasciato cadere insieme ad un pezzo del suo intestino. «ed abbiano tenuto degli inetti come voi» Ringhiò, sparando a bruciapelo a Russell, il cui cervello (fu scioccante anche per Jericho; non si era aspettata di trovarne uno) dipinse una delle pareti della scuola. «E POI CI LAMENTIAMO SE VA TUTTO A PUTTANE!» la Lowell era stata una pavor, prima che Van Sticazzi decidesse non fosse degna di portare il distintivo, lasciandola a casa come una reietta qualsiasi – come se lei, a lavorare al Ministero, non avesse fatto un favore a loro. Vaffanculo, come sicario guadagnava pure di più.
Era il principio, a starle sulle ovaie.
«giù»
Non se lo fece ripetere due volte, appiattendosi sul pavimento (ed afferrando l’ennesimo coltellino, che piantò nella caviglia di una Ministeriale) mentre Jack Daniels apriva il fuoco sulla schiera di uomini apparsa di fronte a lei. Scivolò lateralmente, così da evitare eventuali bossoli, rialzandosi in piedi al fianco del Capo del Consiglio. Non si era domandata neanche uno, di secondo, nemmeno zitto per un momento il motivo che avesse spinto il biondiccio, e malaticcio, esponente del Ministero ad unirsi alle loro schiere; al contrario di molti altri, a Jericho non interessavano le giustificazioni, le bastava ci fosse. Era stato quasi naturale ritrovarsi a combattere fianco a fianco, coprendosi le spalle a vicenda: erano troppo impegnati a odiare tutti gli altri, perché avessero posto d’odiarsi fra loro. Entrambi di poche parole, e con ancor meno scrupoli, erano riusciti diligentemente a tenere a bada la loro area dalla prima ondata di stronzi, rimanendo all’esterno di Hogwarts come il piano aveva richiesto, ma – che cazzo, quei figli di puttana uscivano dalle fottute pareti. «destra» rivolse la canna della pistola nella direzione indicata, mentre l’altro si occupava del lato opposto. «ce ne sono -» «lo so.» Jer strinse l’interno della guancia fra i denti, domandandosi cosa cazzo stesse succedendo: non era prevista quell’affluenza.
Cristo, neanche sapeva dove se li nascondessero, tutti quei soldati. Vasilov si era forse fatto le mutande estensibili, e se li era tutti ficcati nel culo? Perché in effetti puzzavano un po’ di «stronzi» ed altri colpi, ed altro sangue, ed ancora avanzavano.
Non glielo avrebbe permesso. Non gli avrebbe permesso di mandare tutto a puttane - non quella volta, non quando in palio c’erano Gemes e Jay, Al e Dakota, Darden Fuckin Larson. Il fatto che l’anno prima, attraverso un maledetto specchio, li avesse congedati con un andate tutti a farvi fottere, e conclusivo buona vita, non significava che potessero davvero farlo - né farsi fottere, né avere una buona vita. Dovevano tornare a casa, e pagare pegno; dovevano tornare nello stra fottuto duemila diciannove, così che la Lowell potesse rendere la loro esistenza miserabile. Ce li avrebbe trascinati a calci nel culo, se avesse dovuto.
Voleva solo la possibilità di farlo. Voleva solo tornassero a casa. Uccidere qualche «coglione», accoglienza che fece seguire da un altro proiettile, non le sembrava un gran prezzo, se significava averne l’opportunità. Abbassò i propri scudi mentali quel tanto che bastava per prendere il controllo di uno degli avversari e indurlo ad ingoiare la pistola, ma quello spiraglio fu abbastanza per farle cogliere un altro cambiamento. Stritolò il braccio di Jack Daniels, trascinandolo verso l’interno del castello senza offrire alcuna spiegazione; non dovettero neanche fermarsi per raccogliere Franklyn, rotolato nella loro direzione quasi che a spingerlo fosse stato un volere superiore (Hyde; Hyde, era il volere superiore).
In un modo o nell’altro, mentre annegheremo nel nostro stesso sangue, ne uscirai vincitore. Alcune maschere li superarono. Jericho iniziò a correre, ma Jack - ma Hyde - rimase fermo un poco più del dovuto, valutando la traiettoria e spostandosi di modo da ricevere l’impatto della spalla, mai cordiale e sempre violenta, di Chelsey Dallaire sulla propria. Lasciò che il colpo facesse ruotare il busto, il capo chino per impedirle di riconoscere gli occhi. Aveva sempre odiato gli addii, Hyde; preferiva strapparsi arrivederci casuali, e fingere non fossero ultime volte.
Superarono i Pavor, e superarono altri combattenti; superarono i feriti, superarono i cadaveri. Ed Hyde nel dubbio li superò tutti, scavalcando il capannello di compagni per scivolare nelle ombre oltre l’angolo cieco del corridoio. Quando fu certo nessuno potesse vederlo, tolse la maschera e passò seccato le dita fra i capelli color sabbia, il capo poggiato sul muro in pietra del castello. «dovete andare nei sotterranei, saranno le pietre a indicarvi la strada. possiamo rallentarli» che era un modo neanche troppo diplomatico per: «moriremo tutti» buono a sapersi, tanto chi c’aveva ancora sbatti di vivere? I tuoi genitori; le tue sorelle; i tuoi nipoti.
Ah, già. «jek» perchè non aveva avuto bisogno di voltarsi, nè di aspettarlo, per sapere che il fratello l’avesse seguito. «fuoco» e sì, con Jekyll Orwell Crane Winston aveva imparato che, soprattutto nelle situazioni di stress, bisognasse usare frasi semplici e non costruite – come con gli animali, esattamente. Non era diverso dallo studio che assicurava l’intelligenza degli oranghi, di fatti. Infilò una sigaretta fra i denti, attendendo paziente che il suo personale Inferno facesse quel che gli riusciva meglio - e no, non era fargli da accendino: ricordargli per cosa lo stessero facendo.

jericho
lowell
monk

jack
(hyde)
rogue