Posts written by .totentanz

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    Riding on the mist, I wander to Lofty Whirlwind Peak. The Lady of the Supreme Primordial
    descends through jade interior doors; The Queen Mother opens her Blue-gem Palace.
    Quella piccola supplica che tipicamente giungeva in quei casi le restituì un riverbero della loro vita di sempre, aiutandola forse a distendersi un po' di più per quanto lo permetteva una simile situazione. Al contrario di John, talmente travolto dalle emozioni da chiudersi in quella maniera, lei tendeva a sperimentare un'aridità emotiva da far spavento in situazioni di quel calibro e quella non faceva di certo eccezioni. Non ricordava nulla, era vero, ma a dirla tutta il fatto di non riuscire a far combaciare quel racconto con la veridicità del ricordo, non dandole nemmeno il conforto del contatto diretto e consapevole con la realtà, la faceva sentire forse ancora più in bilico, in pericolo, di quanto non si fosse sentita al ritorno dal Laboratorio.
    Rimase così, ad accarezzarlo piano, continuando a guardarlo nonostante lui le nascondesse addosso il viso. Solo mentre non lo guardava riusciva effettivamente ad immaginare quel viso che mai sembrava cambiare tracciato e segnato dalla stanchezza, dal dolore, dalla disperazione. Non aver potuto essere partecipe del suo inferno era una consapevolezza che le stringeva il cuore senza nessuna pietà, quasi come se in qualche modo si trattasse di una punizione meritata, del contrappeso di qualcosa che doveva aver fatto. Sarebbe stato forse più confortante, in quel caso, piuttosto che avere l'autentica certezza di essere preda di un fato sconsiderato.

    Strinse gli occhi appena quando lui le rispose, dopo essersi staccato da lei per poterla fronteggiare come si doveva a fronte di una conversazione così vitale. Sarebbe stato difficile e non poteva dire, forse per motivi un po' diversi da quelli di lui, di essere totalmente in pace con una soluzione del genere: erano i suoi bambini, dopotutto, e sentiva come atavico onere quello di doverli schermare dai mali del mondo, specialmente quelli che non potevano essere contrastati. Allo stesso tempo, tuttavia, era ragionevole pensare che non potessero tenerli all'oscuro di una cosa simile, che non fosse giusto e che, in futuro, i due ragazzi avrebbero potuto risentirsi nello scoprire che i genitori avevano operato una simile scelta, anziché essere semplicemente onesti.
    « Gliene parleremo quando torneranno dalla Scuola. » enunciò alla fine, sottolineando più che altro un'ovvietà ma ponendo allo stesso momento anche una sorta di veto: anche se ne avessero avuto i mezzi, un boccone così amaro e difficile da digerire non potevano certo rifilarglielo mentre erano impegnati ad affrontare gli ultimi mesi dell'anno scolastico.

    Gli lasciò lo spazio per alzarsi, pronta a ricambiare la stretta della sua mano che lui cercò con quella necessità inevitabile. Le sembrava di avvertire il turbinio di emozioni e pensieri che lo affliggevano come una vibrazione viscerale che passava dalle dita altrui a quelle di lei, una sensazione quasi fantasmagorica che probabilmente era più dovuta al fatto di conoscerlo intimamente e profondamente che non ad altro.
    Lo ascoltò, portando anche l'altra mano a prendere quella che già la gemella stringeva, con un piccolo sospiro mentre lui sciorinava l'ennesimo flusso di pensieri, cose da fare, incombenze da risolvere, situazioni da archiviare.
    « Una cosa alla volta, mon cœur. » esalò piano, con tono paziente. « Possiamo pensare a una chiusura temporanea e intanto... avremo il tempo di capire cosa ti sta succedendo e se è il caso di liquidare tutto in definitiva. Vorrei poter essere più utile... » un angolo delle labbra si tirò in un sorriso amaro: mai come ora le pesava il fatto di non aver provveduto a procurarsi un'occupazione, troppo presa a provare a recuperare una parvenza di normalità, di equilibrio emotivo e familiare prima di ogni altra cosa. Se non avesse perso tempo a pensare a sé, magari, adesso non avrebbero dovuto porsi il problema di poter rimanere senza nemmeno uno stipendio all'attivo nel bilancio familiare. Tutte questioni alquanto ovvie, se la si conosceva a sufficienza, ma a cui non dedicò più del tempo di quell'ultima frase lasciata in sospeso, pregna di rassegnazione. « Ma chiedere aiuto a tua madre non è una cattiva idea. » concesse infine, cercando di trovare il lato positivo. Non erano soli, in fondo... ma non avrebbe potuto negare che le bruciasse non poter fare a meno dell'aiuto di qualcuno diverso da loro due.
    Con un piccolo strattone, fece per iniziare a farlo muovere assieme a lei, intenzionata a prendere il percorso verso la cucina. Non si era certo dimenticata che l'uomo fosse affamato e un bicchiere di vino, forse due, non sarebbero dispiaciuti nemmeno a lei, vista la situazione in cui versavano entrambi.
    WILHELMINA ASPHODÈLE
    CAMPBELL

    a man who cannot tolerate small misfortunes
    can never accomplish great things
    XIWANGMU
    QUEEN MOTHER OF THE WEST
    SPECIAL WIZARD
    MEDIUMSHIP
    BRITISH/FRENCH — MOTHER — RAPTURED — WIFEthere's a blade by the bed and a phone in my hand
    a dog on the floor, and some cash on the nightstand
    when I'm all alone the dreaming stops
    and I just can't stand
    goodnight moon
    shivaree
    Mother of Night, darken my step
  2. .
    Riding on the mist, I wander to Lofty Whirlwind Peak. The Lady of the Supreme Primordial
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    Pur se era difficile ricollegare tutte le cose dando loro un senso come stava avvenendo invece inevitabilmente nella testa di John, la donna aveva dalla sua perlomeno una notevole capacità ricettiva e soprattutto di memorizzazione che le avrebbero permesso, sul lungo periodo, di ritenere quelle informazioni senza che i dettagli si diradassero tropo dalla memoria. Non poteva dunque forse essergli d'aiuto nell'orientarsi in quella nuova condizione, ma era perlomeno conscia della sua situazione, di cosa gli era stato tolto e del fatto che qualcosa, in cambio, gli sarebbe tornato. Un cambiamento indesiderabile, se ne rendeva conto se non altro perché aveva vissuto il medesimo sentimento a suo tempo, ma sconosciuto al punto da lasciarle quella preoccupazione in più, assieme a tutte le altre.

    Continuò a tenerlo a sé in quel modo, con quel medesimo atteggiamento protettivo che in fondo gli aveva sempre riservato. Avrebbe seguito, ore più tardi, la tentazione di scrivere una lettera ad Alice per sincerarsi della sua condizione, solo per soddisfare una punta d'apprensione materna inevitabile che era scaturita dopo essere stata messa a parte di quella storia. Immaginava, peraltro, che anche John avrebbe tratto giovamento da una conferma di quel genere, sentendosene certa al punto da non sentire nemmeno il bisogno di concordare la questione con lui.
    Strinse appena gli occhi quando lui cercò di rassicurarla, espirando come un toro spazientito che sfiata. Era lui la voce della Ragione in situazioni come quelle, lei lo sapeva bene, perché da parte sua non sarebbe mai riuscita a vedere il bicchiere mezzo pieno da sola: troppo orgogliosa, troppo assertiva, troppo prona a reagire ad ogni torto subito anche accontentandosi di farlo con la diplomazia quando necessario. Riusciva a contenersi davvero solo perché sapeva di essere perfettamente compresa dal marito in quel sentimento di rivalsa, oltre alla più ovvia e ragionevole tesi circa l'avere troppo da perdere nel perseguire la questione attivamente.
    « Sì hai... ragione, come sempre. » concesse dunque infine, solo per non lasciargli nessun dubbio circa la sua capacità di imbrigliare le emozioni. Sapeva perfettamente, il dottore, che bastava una sua parola per imbrigliare definitivamente l'indole poco pacifica della sua consorte, ma era piuttosto una cortesia da parte di lei quella che si consumava in casi come quello.
    Lo guardò, assumendo nell'espressione una piega inevitabilmente preoccupata quando lui asserì di avere fame e sete. Gli diede una carezza ulteriore sul capo, intenzionata a lasciarlo andare per permettergli di alzarsi, ma lui si piegò ancora contro di lei, colto da un crampo di fame talmente forte da essere udibile.
    « Tutto quello che vuoi, mon cher, ma devi... lasciarmi andare se vuoi alzarti, temo. » lei non aveva messo in corpo che qualche boccone, da quella mattina, ma non aveva intenzione di esternare la cosa. Non gli avrebbe raccontato nulla di quella giornata terribile a meno che non fosse stata costretta, solo perché voleva lasciarsi alle spalle anche quello assieme a... tutto il resto. Certo, sapeva di non poter davvero prendere sotto gamba tutta quella storia e rappresentava, quella consapevolezza, uno strascico d'incubo che l'avrebbe tormentata per chissà quanto, ma poter escludere parte del dolore recava ugualmente del sollievo, per quanto infimo fosse. Continuò ad accarezzarlo, attendendo che fosse lui a decidere di affrancarsi. « Cosa diremo ad Alice? E Duncan? » lo interpellò infine, con una calma innaturale ma pericolosamente affine alla rassegnazione; supponeva facilmente la risposta, ma avrebbero dovuto comunque parlarne ed era meglio togliersi il cerotto immediatamente.
    WILHELMINA ASPHODÈLE
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    I colori di John, nelle luci cupe dello studio rischiarato dalla lampada sulla sua scrivania, i contorni che lo definivano e lo delimitavano come se dovessero impedirgli di perdersi nell'horror vacui che era il flusso eterno del mondo e di tutte le cose, impedirglielo come le mani di sua moglie che lo trattenevano con delicatezza e forza assieme, temendo di vederselo sfuggire fra le dita come le era tragicamente scivolato via dalla memoria per ben tre giorni. Tutto di lui, del dottor Campbell, del suo John era divenuto finalmente più vero a quel tocco tremante delle dita sui fianchi, a quello sguardo diverso che era suo ma che non lo era più. Lo guardava, muovendo uno dei pollici in piccoli circoletti apprensivi sulla guancia sporcata di barba, cercando disperatamente quel vero dettaglio che continuava a sfuggire, l'ombra di un miraggio che non aveva riscontro nella realtà ma che allo stesso tempo esisteva, come una cicatrice segregata oltre l'orizzonte di ciò che gli occhi potevano scorgere.
    Indugiò, così, quando John chiese una conferma, le labbra appena schiuse e le parole che faticavano a sopraggiungere per spiegare una sensazione che la faceva sentire paranoica quasi più di tutto il resto.
    « Non... non lo so. » si arrese infine all'evidenza. Cosa vedeva? Nulla, tecnicamente. Nulla di diverso negli occhi scuri che conosceva in ogni più infimo dettaglio, in ogni sfumatura delle striature dell'iride, in ogni battito di ciglia scure. « Non sono... sembrano davvero... identici ai tuoi. » non era un sottinteso sottile, quello retoricamente posto dalla donna in questa maniera. Era esattamente lo sguardo di John in ogni cosa, una riproduzione perfetta, eppure... era come vederlo quel giorno per la prima volta, nella maniera meno poetica e più terribile a cui si potesse pensare e che anche lei, in maniera molto evidente a quel punto, faticava a mettere in parole. Serrò le palpebre, sfiatando dalle narici in un'esternazione di stanchezza e frustrazione pura e semplice.
    Non poteva minimamente immaginare cosa passasse davvero per la testa di John, la mente che ancora faticava a non prendere il suo racconto cum grano salis. Eppure, la medesima pulsione irrazionale che l'aveva spinta, decenni prima, a rivolgergli la parola in Sala Grande dopo lo Smistamento, ora le urlava a pieni polmoni di credergli, che non avrebbe mai potuto mentirgli su una cosa del genere. La mente di Mina, i suoi ricordi, quelli di Alice, erano d'altro canto vulnerabili a qualunque tipo di attacco, plasmabili a piacimento da forme di magia di ogni genere, meno attendibili per certi versi.
    Un ragionamento attaccabile, non di certo privo di falle, ma la componente emotiva era forte a sufficienza da renderlo un'opzione più che papabile.

    Fu quel nomignolo soffiato debolmente a farla tornare coi piedi per terra, a guardare un John abbandonato contro i suoi palmi, la supplica già silenziosa che si rese concreta quando parlò nuovamente. Anche nei momenti peggiori, alla fine, era sempre lui, erano sempre loro, e la sicurezza che almeno quello nessuno fosse riuscito a sottrarlo a nessuno dei due era l'unico appiglio a cui potersi tenere saldamente.
    Sentire quella richiesta vibrare nell'aria fino alle orecchie le spezzò il cuore in mille pezzi, eppure anche in un momento del genere Mina riusciva a non versare una lacrima. Sgonfiandosi in un piccolo sospiro, si avvicinò traendolo a sé per stringerlo piano fra le braccia, lasciandogli lo spazio e il modo di potersi appoggiare contro di lei, stringerla a propria volta come sempre faceva quando era bisognoso di conforto. Fece salire una mano ad accarezzargli teneramente i capelli mentre lo guardava in quel modo dall'alto, sempre forzandosi a non esternare troppo quel pressante terrore di vederlo scomparire.
    « Non... ricordo assolutamente nulla di tutto questo, mon cher, io... era tutto così normale da quando siamo tornate dal Bangladesh tre giorni fa fino a stamattina quando tu non eri più di fianco a me. » rivelò col cuore in gola e il tono incredulo. Rimanendo solo a quel che ricordava in quel momento, a partire da quella mattina, John non se n'era mai andato e l'unica distanza anomala era stata quella dovuta al viaggio in Bangladesh, solo perché l'uomo non avrebbe mai potuto rinunciare al lavoro in clinica con tutti i pazienti abituali, alcuni anche molto anziani, che si affidavano alle sue competenze, non avrebbe avuto alcun senso. Se avesse potuto rendersi conto di aver completamente rimosso l'esistenza dell'uomo dalla sua vita, anche se solo per tre miseri giorni, probabilmente si sarebbe sentita mancare la terra da sotto i piedi ancor più di quanto non se la sentiva già in quel momento.
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    Non avrebbe mai creduto di poter provare un senso di impotenza tale da superare persino quello che aveva sperimentato durante la sua detenzione nel Laboratorio.
    Da un sonno senza sogni a un incubo ad occhi aperti, svegliarsi come ancora talvolta le accadeva prima dell'alba e rendersi conto che suo marito non era di fianco a lei era stato solo la punta dell'iceberg; l'aria aveva cominciato a mancarle dal petto quando si era resa conto, nel giro delle successive ore, che non fosse né alla clinica né in nessun altro luogo in cui avrebbe potuto ragionevolmente trovarsi: nessuno aveva sue notizie né s'attendeva di doverne avere, un giorno come gli altri che era iniziato nero come la pece solamente per Wilhelmina Campbell. La sua prima priorità era stata assicurarsi per metodi traversi e oramai consolidati che i ragazzi, ad Hogwarts in quel momento, fossero ancora lì; la sua seconda era stata impegnarsi testardamente a non chiedere aiuto né informare il resto della sua famiglia, non per il momento, illusa fino all'ultimo di poter rimediare alla situazione con le sue mani, che lei e John potessero guardarsi le spalle l'un l'altro e proteggersi senza fare affidamento su nessuno nonostante i fatti avessero già conclamatamente dimostrato il contrario.

    Vi stupireste, o forse no, di sapere quanto può divenire effimera una giornata iniziata con un presupposto simile. Troppo prona alla razionalità per pensare di alleviare la morsa che le stringeva il petto con alcol o sigarette, con la postilla di avere all'altro capo delle sue responsabilità anche la sopravvivenza di creature inermi come gli animali domestici che facevano parte della loro famiglia e la pretesa di raccapezzarsi a quella maniera circa l'assenza del misteriosamente irreperibile dottore, il calar del sole trovò una Mina mentalmente e fisicamente esausta che obbediva alla necessità inevitabile del suo corpo di poggiarsi almeno su una sedia.
    Il dolore delle ginocchia indolenzite, tuttavia, non fu nulla in confronto alla sensazione del cuore in gola e nelle orecchie quando il campanello suonò, tirandola su in piedi come una marionetta mossa dalla sadica volontà di un demiurgo. La figura di John sulla soglia si delineò come un riflesso irreale negli occhi stanchi di sua moglie, col cuore fermo come se glielo avessero appena riposizionato in petto e attendesse lo stimolo elettrico di rimettersi in moto.
    Impietrita dalla sensazione della mente che si riassettava alla realtà come dopo uno scossone di terremoto, non poté davvero far nulla prima che lui, in uno stato chiaramente alterato, chiedesse carta e penna.
    Quasi come dopo un vuoto di memoria, infine, si ritrovò effettivamente ad assistere come spettatrice ed uditrice mentre, una volta in casa e con quel che chiedeva, l'uomo vergava e rammentava ad alta voce in un flusso ordinato ed irreprimibile. Fu forse solo quel sentimento reciproco che li accomunava a permetterle, in un primo momento, di disporsi ad ascoltare, assieme alla consapevolezza che lui non fosse in una condizione che gli permetteva di fare altro che non fosse quello; eppure, lentamente, mentre John dipingeva quel quadro terrificante, la mente della donna cercava di rimettere in ordine i pezzi anche solo per poter confutare una tale teoria, che non aveva riscontro nei ricordi limpidi di cui era reduce ma che ne evidenziava, allo stesso tempo, le enormi fallacità. E nonostante la concretezza delle immagini che portava in mente, di lei ed Alice durante il periodo di missione umanitaria in Bangladesh da cui erano tornate da appena un paio di giorni, più lui parlava più ciò che lei era convinta fosse la realtà acquisiva contorni risibili.
    Lei che permetteva ad Alice di perdere interi mesi di scuola in un momento così nevralgico della sua formazione?
    Per andare in un luogo così lontano e per di più senza John?
    La mente rispondeva ai meccanismi naturali cercando di dare un senso a quel rompicapo coerente ma inverosimile e, allo stesso tempo, ragionava, rifletteva sulle esperienze passate e su un mondo, quello in cui vivievano, in cui anche la più sciocca delle leggi della Natura poteva essere piegata da uno schiocco di dita, un movimento di bacchetta, un sussulto della volontà.
    Non poteva rifiutare quei ricordi e quelle sensazioni che, a sua totale insaputa, le erano stati instillati; allo stesso tempo, tuttavia, la sua razionalità poteva accogliere la febbricitante versione dei fatti che il consorte le stava rigurgitando addosso come un ripetitore.

    La trovò immobile di fianco a lui, più impietrita di prima a guardarlo ed ascoltarlo, quando parve tornare in sé dopo quell'infinito e assurdo rendiconto. Seduto alla scrivania nel suo studio, che avevano raggiunto in quel battito di ciglia che sfuggiva ora alla memoria peggio di tutto il resto, non le aveva nemmeno permesso di recuperare una sedia lei stessa e, per quanto l'incessante camminare di quella giornata avesse messo alla prova le sue giunture, non era realmente difficoltà quella che provava a rimanere in piedi. In Bangladesh, oltre a del sano colorito, aveva consolidato anche un quid in più di prestanza fisica che inevitabilmente arrivava se ti mettevi a far cantiere tirando su interi edifici, per quanto modesti sia in termini di dimensioni che materiali; appena ventiquattro ore prima, avrebbe associato a quell'esperienza di cui era reduce un vago senso di rinascita, ma in quel momento ne stava mettendo in discussione l'esistenza alla radice a un punto tale da farle venire un nodo allo stomaco.
    Non il fatto che fosse pronta o meno ad accettare che le cose fossero andate molto diversamente, il punto nevralgico di quella sensazione soffocante.
    Ma il fatto che avesse appena fatto quel salto nel vuoto senza indugio, come sempre accadeva quando si trattava di John, con tutte le conseguenze che quella decisione comportava.

    Lo guardò quando si rivolse a lei in quella maniera, con occhi scuri gravidi di domande e disperazione. Una disperazione che non le aveva mai visto prima nello sguardo, che nulla aveva a che vedere con quella fiacca e rassegnata che sicuramente il dottore ricordava, meglio di tutto il resto, quando le aveva preso il viso fra le mani per la prima volta dopo un anno intero di assenza, dopo essere stato avvisato del suo ricovero ospedaliero a seguito del ritrovamento. C'era qualcosa di vivo e struggente nel tormento che avrebbe potuto scorgervi facilmente lui in quel momento, mentre domandava di lei, di Alice, di tutto.
    « I ragazzi sono... a scuola, mon cher. » un'eco meccanica e devitalizzata di una frase che dovevano essersi detti più di una volta in quasi un anno e mezzo che era tornata a casa; ripetuta ancora una volta ma con espressione assente, un'attenzione non orientata a chissà quali pensieri deplorevoli ma proiettata su di lui al punto da non riuscire a tenere il punto di sé stessa. Non riusciva ancora a capacitarsi di quanto le aveva raccontato, pur credendo ad ogni parola: possibile che avessero di nuovo vissuto un inferno simile? Ancora peggiore di quello precedente? Se non avesse avuto già quella mattina la conferma che Alice era al sicuro in Scozia, avrebbe avuto forse la tentazione di accertarsene nuovamente.
    L'espressione si accigliò, prima di poco e poi più intensamente guardandolo. Si avvicinò, prendendogli il volto fra le mani, esalando dalle narici un respiro denso e vagamente tremulo.
    « I tuoi occhi sono... sono diversi, John.» la voce uscì ferma, ma si morse un poco il labbro inferiore dopo averlo detto, mentre ancora lo guardava in cerca di altro che potesse essere fuori posto, ferite più che altro, fremendo appena di un nervosismo tragicamente affine alla paura. Sapeva perfettamente cosa volesse dire perdere la propria magia, ma che avessero fatto anche a lui qualcosa di affine a quel che era successo a lei? Quel crudele ciclo di do ut des in cui loro parevano dover rimanere sempre arresi all'ineluttabile accanimento di forze fuori dal loro controllo?
    WILHELMINA ASPHODÈLE
    CAMPBELL

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  5. .
    I think I'll pace my apartment a few times
    && fall asleep on the couch
    medium
    mar 20th 1977
    mother
    wilhelmina asphodèle campbell
    Sempre senza doversi muovere troppo, Mina continuava a scandagliare lo scenario e a giocare al teatro delle marionette, sostanzialmente. Era completamente desensibilizzata dalla cosa, forse anche perché nei Laboratori fra le altre cose l'avevano costretta anche ad allenare ed esercitare le sue capacità a lungo e intensamente, ma d'altro canto i corpi dei mercenari erano l'ultima cosa a farle pena.

    Fu Danny a dover subire il tentativo da parte di uno dei cadaveri dei suoi compagni di inerpicarsi lungo la sua gamba, per ostacolarlo e tenerlo fermo qualunque cosa stesse cercando di fare in quel momento. Solo dopo un poco, o forse dopo aver raggiunto un'altezza che reputava esigua, cercò di addentarlo con la stessa passione con cui si inizia a mangiare una grossa coscia di tacchino arrosto dopo essere stati digiuni per una settimana.

    Un altro cadavere si approssimò invece, già all'in piedi, a Bubbles, aggredendolo e abbarbicandosi su di lui con tutto il suo non innocuo peso morto per modo di dire ma anche un po' letteralmente.



    Dopo essersi scambiata quello sguardo con la madre, a Alice non era rimasto altro da fare che cercare il più possibile di rimanere ferma e a riparo dai pericoli che imperversavano da ogni direzione. I mercenari, per fortuna, sembravano attenti quasi quanto gli interventisti a tenere integra la merce di scambio, e salvo qualche schizzo di sangue altrui e la polvere che ormai le macchiavano pelle e quei pochi vestiti che aveva indosso, era integra.
    Fuori.
    Dentro... se ne sarebbe riparlato più tardi. Anche se forse dover condividere quella situazione con Shiloh, che sembrava una persona tutto sommato pronta ad affrontare certe situazioni senza agitarsi troppo, era di qualche vago conforto.
    Occupata a rifuggire mentalmente la situazione, sembrò accorgersi solo all'ultimo momento del padre, quando s'inginocchiò con loro per far scattare magicamente le serrature delle manette e liberare i polsi suo e della Abbot.
    Strabuzzò gli occhi, le labbra tremarono un poco quando incontrò lo sguardo dal taglio sottile e severo del padre. Sussultò appena, sorpresa dal calore della mano dietro la nuca, chiudendo gli occhi alla pressione affettuosa delle labbra sulla fronte. Non sapeva se Shiloh si fosse già sollevata per andarsene, a quel punto, e mentre veniva accarezzata teneramente e le veniva indirizzata quella raccomandazione, tremava appena senza riuscire a dire alcunché.



    Si sarebbe forse occupata di un'ennesima situazione dalla distanza se non avesse notato, con un momento di ritardo, l'assenza del marito dalle sue prossimità. La striscia, che stringeva ancora in mano, la rinfoderò immediatamente, e l'istinto e l'intuito la portarono immediatamente con lo sguardo nella direzione dove sapeva si trovasse Alice, per vedere la figura del marito precipitarsi.
    Non corse, non per mancanza d'urgenza, ma perché in qualche modo non voleva rischiare di essere d'intralcio all'operato del consorte. Arrivò così quando le manette si erano gia aperte e calò di fianco al marito e di fronte alla figlia mentre questi la rassicurava, con gesti e parole. Riusciva a percepire distintamente l'emotività che governava John in quel momento e l'unica cosa che riusciva a spezzarle il cuore più di quella consapevolezza era vedere la figlia ammutolita, tremare appena per il freddo e probabilmente anche per tutto lo stress accumulato fino a quel momento.
    Quello che fece lei in primo luogo fu sfilarsi il suo soprabito, un impermeabile nero che le arrivava fin quasi sopra le ginocchia, rimanendo con su solo una maglia a collo alto, ugualmente nera.
    « Metti questo, mon coeur... torneremo a casa, te lo prometto. » l'aiutò a mettere la giacca sulle spalle e fu poi lei ad infilare le braccia nelle maniche, in autonomia. Si sollevò di nuovo, la donna, offrendo una mano per aiutare l'adolescente che non parve pensarci due volte e sembrò avere effettivamente bisogno del supporto. Non si fermò lì, però, cercando immediatamente di stringersi contro la madre, seppellendo un poco il viso. Non singhiozzava né altro, cercando semplicemente sicurezza nel contatto familiare, continuando a non riuscire a dire nulla. « Puoi rimanere con noi, tranquilla, hai sentito papà? » cercò di sorridere un poco mentre lo diceva.
    Alice si staccò dopo davvero poco, comprendendo evidentemente la dinamicità della situazione, e si sarebbe impegnata a rimanere prima accanto e poi dietro al padre, afferrandogli addirittura la manica della giacca per il timore di non riuscire a tenere il passo.
    It's time to go up to bed
    No more sipping on our regret
    Tuck the kids in without worry
    No more running out in a hurry

    (3) DIFESA CHOUKO (javi + mina + kyle): zombie1 si aggrappa a Danny da che era spalmato per terra
    ATTACCO DANNY (chouko + yejun+ mina + saw + kyle): e zombie1 procede poi ad addentargli il polpaccio con gusto

    (6) DIFESA JOHN (seb + mina): zombie2 aggredisce bubbles
  6. .
    I think I'll pace my apartment a few times
    && fall asleep on the couch
    medium
    mar 20th 1977
    mother
    wilhelmina asphodèle campbell
    Per quanto macabro, poter manipolare in quella maniera i cadaveri dei nemici era più che altro una comodità in quel frangente. Normalmente, Mina nutriva un'enorme rispetto verso le salme, i morti e via discorrendo, ma visto che si trattava di persone che avevano collaborato al rapimento di sua figlia, non si faceva scrupolo ad ucciderle come non si faceva scrupolo a operare quel genere di vilipendio sui loro resti.

    Due dei cadaveri redivivi si fiondarono contro lo sfortunato mercenario che stava attaccando sia Ellis che Sebastian. Più che fargli del male l'idea era ostacolarlo, ma con quelle marionette incapaci di dosare la propria forza fisica la differenza era sempre molto labile. Mentre uno degli zombie gli addentava ferocemente la spalla, l'altro lo afferrava per un braccio per strattonarlo.
    It's time to go up to bed
    No more sipping on our regret
    Tuck the kids in without worry
    No more running out in a hurry

    (1) DIFESA ELLIS (chouko + mina + kyle): zombie1 addenta g-baby sulla spalla per ostacolarlo

    (11) DIFESA SEBASTIAN (mina + veena): zombie2 afferra g-baby per un braccio e lo strattona
  7. .
    I think I'll pace my apartment a few times
    && fall asleep on the couch
    medium
    mar 20th 1977
    mother
    wilhelmina asphodèle campbell
    Per quanto il suo interesse verso gli ostaggi che non erano la figlia fosse alquanto limitato, forse per la fatica quando s'accorse di un'accoppiata vicinissima, seduta e ammanettata per terra, decise di spostare per la prima volta la sua attenzione via dalla battaglia e dal marito, impegnato poco più in là.
    Erano vicinissimi, Mira e Diaz, seduti sul pavimento e ammanettati fra loro. Bastarono due passi prima di potersi effettivamente chinare in ginocchio ed estrarre una forcina dall'acconciatura raccolta.
    « Cerco di metterci il meno possibile, abbiate un po' di pazienza... » sì, fra le cose babbane che suo padre aveva deciso di insegnare loro c'erano anche cose come lo scassinamento di serrature semplici. Forse perché in effetti i maghi avevano incantesimi del genere e lui voleva a tutti i costi che i figli potessero cavarsela anche senza magia, come lui.
    Però il fucile non aveva voluto insegnare ad usarlo a nessuno di loro, guarda tu che caso.
    « Eccoci...! » un microscopico scatto di serratura dopo l'altro e i due si trovarono finalmente i polsi liberi. « Spero riusciate a tirarvi su. » perché lei non sarebbe rimasta lì a badare a loro, ovviamente. Una volta sistemate le manette, infatti, si tirò su in piedi e, dopo essersi guardata attorno, individuò John per tornare nei suoi pressi.

    Fortunatamente, i suoi poteri le permettevano di sistemare anche casini individuati a distanza. Ergo il mercenario che un metro più in là Veena aveva cercato di ostacolare con l'alabarda venne raggiunto anche da un ennesimo zombie, che cercò di prenderlo per i capelli per fermarlo, innanzitutto, per poi iniziare a fare forza per torcergli brutalmente il collo all'indietro. Mina sperava evidentemente che la forza cieca del cadavere rianimato potesse spezzargli la noce del collo, difficile avere dubbi a riguardo, come era difficile non interrogarsi su quanto brutale fosse quella tattica.
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    MINA LIBERA MIRA E DIAZ

    (5) DIFESA VINC (mina + veena): uno zombie afferra per i capelli Cyleno
    ATTACCO CYLENO (mina): lo stesso zombie gli torce la testa dietro la schiena cercando di attentare alla noce del suo collo
  8. .
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    mar 20th 1977
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    Ecco, ricordate quando si era detto che una parte di Mina avrebbe volentieri preferito non dover cooperare con persone sconosciute? Quel principio si applicava molto bene ad un caso come il subire del maledetto fuoco amico perché un ragazzo dei loro aveva avuto la brillante idea di usare Bombarda in mischia.
    Sia lei che il marito vennero inevitabilmente investiti dal contraccolpo, quasi gli caracollò contro invero ma non si sbilanciò abbastanza da rischiare di cadere lei o far cadere lui.
    Scosse il capo confusa come un cane, cercando con lo sguardo il fautore di quell'idea geniale scorto poc'anzi, un ragazzetto giovane dall'età davvero difficile da stabilire, poi, per la seconda volta da quando erano arrivati in quel luogo, osò farsi governare dalle emozioni abbastanza da cercare il viso di Alice fra gli ostaggi vicini all'area dell'incantesimo di Yejun, rincuorandosi invero di non trovarla.
    Le bastò tuttavia spostare un poco lo sguardo per incrociare quello spaventato della figlia, rannicchiata assieme ad altri ostaggi, lo sguardo intimorito e preoccupato - chi in quella situazione non lo sarebbe stato - e si sentì mancare l'aria per un attimo.
    Vederla viva, cosciente, a pochi passi da loro, la scosse interiormente come poche cose, e se fosse stata una persona diversa, meno prudente, si sarebbe precipitata da lei senza pensare. Peccato che proprio nei suoi pressi alcuni dei mercenari, pur se impegnati a respingere dei civili, sembrassero specificamente guardinghi verso gli ostaggi.
    Digrignò i denti, frustrata.
    Pur volendo spingersi fin lì a testa bassa, non solo avevano da badare prima ai mercenari che davano filo da torcere nel punto della stanza dove si trovavano per potersi spostare, ma si rischiava che concentrare troppo l'azione in un punto mettesse in pericolo gli ostaggi - un po' come quel moccioso che aveva lanciato Bombarda, ci capiamo?

    « Ma cosa... vi insegnano a scuola...? » una lunga riflessione per iscritto ma che durò pochi attimi nella realtà, il tempo di cercare di rassicurare Alice con lo sguardo, vederla farsi piccola con la testa incassata fra le spalle, prima di voltarsi verso Yejun - per forza di cose vicino - e commentare l'avvenimento con tutta l'algida stizza del mondo. « Fa attenzione, per l'amor degli dèi. » terminò, tremendamente seria per gli standard di una quest Oblivion come tutti i miei pg tranne Corvina insomma, prima di tornare a concentrarsi sull'azione.

    Il primo a pagare le conseguenze del fatto che Mina voglia affrettare il processo di eliminazione il più possibile è senz'altro Sharpy il criocineta. Non ha davvero bisogno di un motivo per doverlo ostacolare, quindi in effetti non è per Ethan che lo fa, ma comunque evoca uno spirito di fronte al mercenario, abbastanza solido da poterlo spintonare per fargli perdere la concentrazione o magari persino l'equilibrio.

    Altro cadavere, altra corsa. Anzi, altri cadaveri. Perché sia Brandi che Buck LotR moment si sollevarono dal prematuro sonno della morte che li aveva colti, e mentre Buck cerca di prendere Croz per le spalle e scansarlo via da Ellis, Brandi lo aggredisce saltandogli addosso dal fianco e cercando di mangiargli una guancia.
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    (20) DIFESA ETHAN (grey + mina + kyle): evoca spirito che spintona Sharpy

    (8) DIFESA ELLIS (mina + ethan + corvina): zombie Buck afferra Croz per le spalle e lo tira via
    ATTACCO CROZ (mina + corvina): zombie Brandi prova a mangiargli la faccia
  9. .
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    Non era tipo da mollare l'osso troppo facilmente, Mina. Se aveva lasciato Ellis a cavarsela da sola dopo essere brevemente intervenuta per aiutarla, non si poteva dire che avesse intenzione di risparmiarsi per altrettanto quando si trattava invece di difendere il marito.
    Così, lo spirito aveva di certo lasciato andare Buck quando questi si era accasciato a terra, pensando forse di averlo già asfissiato - era un fantasma, diciamo che capire quanto eri vivo da uno a dieci non era il suo forte - ma quando il mercenario si era rialzato dopo un poco, Mina aveva fatto presto a chiedere nuovamente al suo ectoplasmico amico di non lasciargli spazio di manovra. Il tentativo di Buck di evocare una folata contro John sarebbe stato così anticipato dalla sensazione delle mani fredde come il marmo ed incredibilmente solide che gli afferravano la testa per torcergliela.

    La presenza di ben due corpi ormai privi di vita nel gruppo dei mercenari non sembrò avere un impatto psicologico su Mina che non fosse la durissima indifferenza, almeno in un primo momento. In un secondo momento, le bastò un respiro e uno scatto di volontà per fare in modo che uno dei cadaveri iniziasse a muoversi, articolando piano dita, mani, braccia, gambe, collo, testa, fino a tirarsi su come una tetra marionetta.
    Il fu Diodato zombificato fu immediatamente direzionato verso la situazione critica più vicina a lui che la special riuscì a scorgere, per pura coincidenza e fortuna. Nel caso specifico, la carcassa animata si interpose fra il poderoso sforzo ginnico di Cyleno e Vincenzo, che altrimenti pareva correre il rischio di finire a farsi un bel bagno, per provare ad aggredire poi il mercenario buttandosi a peso e graffiando e scalciando scompostamente.
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    (4) DIFESA JOHN (mina + wren): lo stesso spirito di prima non demorde e dalle spalle di Buck cerca di torcergli la testa per distrarlo

    (20) DIFESA VINC (vinc + mina): cause this is THRILLEEEEER THRILLER NOW Diodato zombie arriva per cercare di prendersi il calcio volante al posto di Vincenzo
    ATTACCO CYLENO (mina): Diodato zombie aggredisce Cyleno
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    Nessuna soddisfazione nel vedere la punta della striscia da duello penetrare come coltello nel burro nella spalla del mercenario malcapitato. Lo guardava piuttosto con gli occhi stretti, lasciando trapelare quella rabbia che provava a piccole dosi.
    Assicurandosi che l'energumeno si stava facendo indietro prima, gettò anche un'occhio alle sue spalle, dove la più giovane Ellis presumeva si trovasse, solo per sincerarsi del suo stato prima di cercare di ritirarsi di nuovo fino a John. Non riusciva a concepire di averlo più lontano del necessario e, pure se era disposta a fare eccezioni per necessità come quella precedente di intervenire in una situazione in cui poteva evitare che qualcuno di quei ragazzi ci rimettesse, aveva la vaga impressione che si trattasse di un punto di forza e di debolezza al contempo.
    Non qualcosa a cui poteva rinunciare, però, poco ma sicuro.

    « Mon cher- » fu un attimo, un guizzo nella coda dell'occhio e un volgere la visuale quel tanto che bastava per notare la canna di fucile puntata contro il consorte. Non pensò davvero, lo agganciò sotto un braccio e con tutta la forza e la convinzione possibile se lo portò dietro, sperando e volendo a tutti i costi tirarlo via dalla traiettoria di quei colpi.
    Esalò qualcosa di pericolosamente vicino ad un ringhio, guardando il mercenario che si era permesso di palesare un'intenzione così inammissibile. Alle spalle di Buck, dopo un momento, delle spiritiche braccia attaccate ad un altrettanto funereo corpo lo strinsero in una presa serrata al collo che gli avrebbe come minimo tolto il respiro ma che emanava tutta la letale intenzione di farlo morire di asfissia per invitarlo fargli compagnia fra le file dei trapassati.

    « Amore, stai bene...? » si trovò a provare ad accertarsi dell'incolumità di lui in primo luogo così, forse scioccamente, ma era preoccupata in maniera visibile. Guardinga, un po' troppo forse, si trovò tuttavia a guardarsi attorno fino a scorgere uno dei mercenari partire in scivolata verso una ragazza dei loro per... fare chissà cosa. Nulla di buono, sicuro. Bastò uno sguardo e una tensione nella sua volontà per far sì che la materia stavolta più eterea e volatile di un altro spirito cercasse di farsi strada nelle vestigia di tale Dargen e dissociarne temporaneamente la coscienza.
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    (5) DIFESA JOHN (mina + seb): strattona via John dalla traiettoria dei colpi
    ATTACCO BUCK (mina): uno spirito gli sbuca alle spalle e per intrappolarlo con le braccia in una presa al collo nel tentativo di asfissiarlo a morte

    (6) DIFESA CHOUKO (seb + mina): evoca uno spirito che entra nel corpo di Dargen per sostituirne temporaneamente la coscienza e interrompere la scivolata
  11. .
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    Ricordava a malapena di averlo in mano, il bicchiere.
    Il tredici febbraio sarebbe dovuto essere un giorno come tanti, per Mina. Un maledetto giorno qualsiasi, finalmente, dopo essere tornata a casa da poco più di un anno e aver dovuto vivere nel timore di una guerra incerta dopo una manciata di mesi che erano sembrati un battito di ciglia.
    Battiti di ciglia.
    Le sembrava di chiudere gli occhi per un attimo e poi riaprirli per dover assistere impotente all'ennesima, crudele trovata del Destino.

    Sparita nel nulla.
    Alice era scomparsa dalla sera alla mattina. O almeno così diceva la comunicazione che tempestivamente era arrivata da Duncan. Non si erano visti a colazione come al solito in Sala Grande, nessuno l'aveva vista al risveglio nel dormitorio Corvonero, e tanto era bastato al più piccolo di casa Campbell per sentire la necessità di avvertire i genitori il più in fretta possibile.

    Per quanto affettuoso potesse essere il loro secondogenito, non era certo il tipo che mandava lettere o messaggi a casa tanto per. Ad altri genitori avrebbe sicuramente dato un pizzico di dispiacere, come consapevolezza, e John e Mina non erano esenti dal risentire un minimo del fatto di sapere i propri figli così lontani da loro per la maggior parte dell'anno; nonostante ciò, non si crucciavano mai troppo dello spirito indipendente della loro prole, e pretendere che scrivessero per raccontare ogni minima sciocchezza non era proprio da loro.
    Che potesse essere successo qualcosa, l'aveva pensato nel medesimo momento in cui John le aveva detto della missiva. La paranoia era un sussurro sottile che rimaneva relegato perlopiù nei meandri remoti della sua mente, però; non era qualcosa che aveva dovuto costringersi ad imparare, quanto più una sua inclinazione del tutto spontanea.
    Così, quando l'uomo aveva letto ad alta voce il contenuto di quel messaggio, aveva sentito per intero e senza sconti la sensazione della terra che veniva a mancarle sotto ai piedi.
    Aveva premuto tutte simultaneamente tutte le dita della mano destra in un moto di frustrazione involontaria. Le stesse dita che, opportunamente distribuite sul calice di vino a reggerlo, si impressero con una forza tale sul vetro da spezzare lo stelo all'attaccatura della coppa, facendola schizzare per terra assieme al suo contenuto.

    In situazioni come quella non era il tipo di persona, di madre, che piangeva, urlava, strepitava di dolore o perdeva i sensi, e non per una questione di dignità: non era semplicemente parte delle fibre del suo essere avere quel tipo di reazioni scomposte.
    Per un lungo momento, la sua mente aveva fatto tabula rasa in una maniera così estrema che non si era nemmeno accorta del suono di vetro che andava in frantumi ai suoi piedi, o dello stelo spezzato che le aveva graffiato un paio di dita spillando immediatamente sangue.
    Era sempre John ad avere contezza di certi dettagli. John raccoglieva i suoi cocci, risanava le sue ferite, cancellava il brusio confuso che le annebbiava il cervello di pensieri prendendole il viso fra le dita per riportarla sulla Terra.

    In quei dieci giorni aveva dormito quel poco che bastava a poter essere in piedi e funzionale dal mattino alla sera. C'era poco da dormire, visto il modo in cui la macchina inarrestabile del Mondo sembrava pretendere di voler continuare a funzionare nonostante quella vicenda.
    Loro, come altri, non volevano demordere.
    La ricerca di fughe di notizie concrete al di là dei meri canali ufficiali era qualcosa che Mina aveva perseguito attivamente.
    E alla fine anche loro lo avevano scoperto.
    Aveva respirato abbastanza l'aria degli uffici ministeriali da non potersi sorprendere minimamente della linea che avevano deciso di adottare; a quell'età, a quel punto, non perdeva neanche un secondo della sua vita a farsi bruciare il fegato per una cosa del genere.
    E in fondo, era meglio così.
    Non avrebbe affidato a quella gente neanche l'ultima falange del suo mignolo sinistro, figurarsi la vita di sua figlia.



    Non avevano di certo amici o parenti che avessero intenzione di coinvolgere in un'iniziativa del genere, loro due. Amici e parenti a cui non farne parola per evitare di preoccuparli, al massimo, ma al Lotus arrivarono soli, salvo capire subito che non erano gli unici ad aver colto la possibilità.
    Chiaramente.
    Una parte di lei voleva istintivamente sottrarsi al momento cooperativo, ma la più ragionevole riconosceva che in gruppo, anche se perlopiù si parlava di sconosciuti, avrebbero avuto più possibilità. Non c'era solo Alice lì dentro, in fondo. E dubitava che dei sequestratori che volevano contrattare con il Ministero non fossero armati e organizzati, non era così ingenua né così priva di esperienza rispetto a certe circostanze da potersene convincere per sentirsi meglio.

    Avrebbe accettato di coordinarsi con altri, ma di certo non di separarsi da John.
    Poteva sentire la tensione di lui come se fosse la propria anche solo camminandogli di fianco mentre mettevano piede sul marmo della reception. Le servì appena di accorgersi di quanto sbagliate fossero le circostanze che si erano presentate davanti a loro per rendersene davvero conto, tanto le bastava percepire in lui l'impressione che gli dava quel luogo.
    Non che sapessero in cosa si stavano cacciando, loro due.
    Un medico, un avvocato.
    A stento avevano trovato qualcosa da portare con loro a parte la bacchetta del marito.
    E si sentiva davvero stupida con la striscia da scherma a penzolarle dal fianco, diciamolo. Ma si doveva fare di necessità virtù o qualcosa del genere. A dirla tutta, ci avrebbe rimesso volentieri anche più di un capello, se non direttamente la vita, se avesse voluto dire che la sua bambina poteva tornarsene a casa salva e riuscire ad andare avanti a vivere serenamente.
    Le si sarebbe dovuto gelare il sangue nelle vene a vedere una scena del genere. Persone in nero armate fino ai denti che si riversano in contrapposizione alla massa disorganizzata.
    Eppure, Mina sentiva solo il sangue andarle a fuoco. Di rabbia.
    Ben lungi da esternarla esplosivamente, per fortuna, o sì che ci avrebbe rimesso il collo, ma era livida, livida come poche cose. Se fosse stata più puerile, forse, la testa le si sarebbe invasa di pensieri malvagi in tempo zero.
    Fortuna.

    Gli ostaggi ha fatto appena in tempo a considerare che siano lì, a non cedere alla tentazione di cercare Alice in mezzo a quei volti sconosciuti, acerbi. Come lo sono quelli della maggior parte delle persone che con loro si sono precipitate al salvataggio, d'altronde.
    Ma non poteva prendersi quel tempo proprio adesso.

    Lo sguardo saettò con un percorso non dissimile a quello del marito e non dovette neanche pensare a cosa fare: uno spirito defunto dall'aria vissuta a dir poco si materializzò semplicemente di fronte alla faccia del povero cristo che aveva avuto la pessima idea di puntare la sua glock contro Sebastian.

    E mentre oculatamente lui pensava a come proteggere efficacemente forse anche lei, era lei tuttavia che si spingeva a interporsi fra Ellis e un mercenario armato di machete, dopo aver sfoderato la striscia dalla fodera appesa al fianco. Abbiamo già detto che si sentiva in colpa.
    « Fatti indietro, cara, ci penso io qui temo...! » tutti quegli anni di esercizio dovevano pur servire a qualcosa, anche se dall'altra parte c'era un mercenario addestrato col machete. Se non altro, la sua dimestichezza con la lama non era proprio impossibile da intravedere, e anche se non fosse riuscita a deviare quel colpo senza farsi male, avrebbe tentato agilmente di conficcargli la punta acuminata e sottile della striscia nella spalla, possibilmente abbastanza da fargli spillare sangue, ma magari era chiedere troppo.
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    (11) DIFESA SEBASTIAN (mina + john): materializza uno spettro di fronte a g-baby per fargli prendere un coccolone

    (19) DIFESA ELLIS (javi + mina ): cerca di deviare il machete interponendosi con la spada
    ATTACCO CROZ (mina): affondo mirando alla spalla
  12. .
    Dal canto suo, Mina aveva sempre avuto scarsa difficoltà a discernere cosa la eccitasse di più degli amplessi condivisi con il consorte. Non era per la verità un dubbio che aveva mai sfiorato la sua mente nemmeno in giovane età, ai tempi delle loro prime, fugaci e forse precoci esperienze, momenti rubati dove l'età acerba s'era fatta sentire ma mai al punto di scoraggiarli davvero dall'esplorarsi a vicenda. Più di tutto il resto, ed era stucchevole invero la realizzazione al limite del ridondante, era fuor di dubbio il poter constatare il piacere altrui la sua fonte di eccitazione cardinale, al punto che spesso concentrarsi sul piacere proprio equivaleva quasi esclusivamente al fare attenzione alle bramate reazioni di lui. Sapeva per certo di desiderare di lui anche tutto il resto, come anche sentiva di appartenergli per intero a propria volta, ma non poteva per onestà intellettuale negare quel desiderio subdolo e deprecabile che negli anni era solo andato a consolidarsi, pur se nella più sana delle maniere; quel desiderio di vederlo libero dal giogo della compostezza e ridotto ai minimi termini dei suoi istinti, preda unicamente delle sue voglie, arreso a quelle squisite e incontrollate reazioni tipiche dell'esperienza carnale.

    Quello che soleva esercitare il marito era un livello di autocontrollo, in quei frangenti, talmente intenso che era difficile non percepirlo. Quasi le si pietrificò fra le dita, mentre gli prendeva la mano richiamandolo ed incalzandolo soavemente, nello sforzo evidente e sensibile di imbrigliare le proprie pulsioni. Aveva sempre avuto la pazienza sufficiente a non lasciarsi colpire in negativo da quello che per John era un riflesso nato dall'abitudine, e così si limitava ad attendere di vederlo sciogliersi inesorabilmente, che fosse per via delle sue attenzioni o a suon di provocazioni.
    Nel caso specifico, si poteva forse parlare più della seconda che della prima.
    Si sgonfiò appena sotto la mano rimasta poggiata, rimanendo a guardarlo per quella manciata di istanti d'attesa. Per un momento penso quasi di doverlo incalzare ulteriormente ma fu lui a precederla, con quella stretta di grinfie che le fece fermare come in sospensione il mantice della cassa toracica. Continuava a tenere la mano sul dorso di quella altrui, e le dita quasi s'aggrapparono mentre quelle dell'uomo stringevano e saggiavano la carne soffice e, ancora per poco, intonsa. La pelle rimase fresca al tatto per più d'un istante prima che il calore, fra le dita di lui e quello che proveniva naturalmente dal corpo della donna, iniziasse a propagarsi, dando quasi l'illusione di essere incentivato dalla morsa nel processo. Raccogliendo ed afferrando anche l'altro seno, avrebbe potuto constatare ancora una volta quanto il corpo della moglie, in quel punto, fosse particolarmente piacevole e soffice contro le dita, inerme al punto da istigare implicitamente la pressione dei polpastrelli.
    Sarebbe stato difficile, se non impossibile, pretendere dal corpo di lei di non rabbrividire già a quei tocchi avidi. Già dentro di lei, avrebbe potuto percepire con drammatica facilità la scarica di calore che si dipanò lungo la schiena fino al suo basso ventre, in una madida manifestazione di appagamento. La mano con cui non lo toccava era lasciata lì dove era capitata, lungo il corpo e sul lenzuolo a stringere quest'ultimo fra le dita mentre l'uomo si abbassava su di lei, dentro di lei, facendola ansimare già debolmente a quel punto, per poi raccoglierle un capezzolo fra le labbra; succhiò immediatamente e con una mancanza di riguardo sufficiente a farle inarcare un poco la schiena, quasi a staccarsi col bacino dal materasso mentre un altro brivido più preponderante la induceva a muoversi appena contro il sesso altrui, in un movimento parzialmente operato lungo il piano sagittale. La mano rimanente lasciò rapidamente perdere il lenzuolo, a quel punto, per raggiungere e perdersi fra le ciocche scure del capo di lui, così riverso quasi grottescamente sopra il corpo della donna che fremeva per via della sensazione piacevole sì ma anche pungente della bocca altrui che tirava con quel fare impietoso. Erano attenzioni eccessive, prive di tatto nel senso metaforico del termine, forse vagamente apparentate ad un certo livello di sgradevolezza che tuttavia lei travisava in qualcosa di puramente gradito; il suo corpo, allo stesso tempo, non poteva che registrare quell'intensità in maniera dovuta, rendendo le sue reazioni e i suoi tremori vagamente convulsi.

    Non lo avrebbe fermato, in sostanza, limitandosi a gustare il momento per quello che era. Guardava inevitabilmente al soffitto, per quanto le palpebre, ora sfarfallanti e trasognatamente socchiuse, ora completamente serrate per via di quelle scariche fra dolore e piacere di matrice discutibile, non le permettessero davvero di mettere a fuoco nulla. Il respiro veniva fuori scomposto, con una cadenza totalmente imprecisa e con talvolta una certa difficoltà.
    wilhelmina asphodèle campbell
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  13. .
    wilhelmina asphodèle campbell
    1977 - 2021
    loving wife
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    L'espressione della donna si gelò per una lunga frazione di secondo nel dover elaborare tutta insieme la scena che le si parò davanti quasi istantaneamente.
    La voce di Joni arrivò appena prima che la donna, istintivamente, accendesse la torcia che reggeva in mano e la puntasse per capire esattamente cosa stesse succedendo. Si premurò di non puntarla negli occhi di nessuno, per la cronaca, non era una persona orribile - tutt'altro. Ma ci volle una modesta dose di autocontrollo per non mollare la presa sullo strumento lì per lì, nel rendersi conto che la ragazza che aveva di fronte sembrava uscita dalla vasca da bagno di Erzsébet Báthory.
    Ebbe difficoltà anche solo a pensare di sillabare qualcosa, poiché di utile non le veniva granché. Si limitò ad avvicinarsi per constatare meglio la situazione dell'altro ragazzo, riverso a terra, incapace di muoversi se non per qualche piccola convulsione che, se lo sentiva nelle ossa, non era un banale attacco epilettico.

    Si inginocchiò a terra anch'ella, praticamente accanto a Joni, poggiando la torcia lì di fianco di modo che potesse comunque far luce ma senza ingombrarle le mani.
    « ... Fai dei bei respiri profondi, cara. Come vi chiamate? » la voce era ferma, ma allo stesso tempo cercò di rivolgersi a Joni con un certo grado di morbidezza, per non intimorirla o peggiorare il suo stato d'animo; avrebbe trovato insensato e fuori luogo indignarsi o fare una scenata e, anzi, oltre al fatto che vedere qualcuno che avrebbe potuto essere letteralmente sua figlia perso in un momento di vulnerabilità del genere faceva male di per sé, sentiva di essere automaticamente responsabile del fatto che quei ragazzi avessero avuto il tempo di infilarsi lì dentro e mettersi in pericolo a quella maniera - era andata lì esattamente per prevenire quel tipo di scenario, e invece.
    La prima cosa che fece, inevitabilmente, fu controllare se il polso di Julian fosse o meno regolare, sia mai che la simpatica presenza spiritica gli stesse inavvertitamente facendo venire un infarto.
    « Il mio nome è Mina Campbell e... sarei dovuta essere qui prima, evidentemente, mi spiace molto. Però andrà tutto bene, te l'assicuro. Quel sangue non è di nessuno di voi due, dico bene? » suonava sempre un tantino fuori luogo fare domande à la Misteri&Affini in situazioni del genere, ma al contrario di certi preti e indagatori del paranormale dei film horror lei non poteva certo tirare fuori la Bibbia da tasca e iniziare immediatamente a risolvere tutto salmodiando esorcismi.
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    La risposta non è volutamente così breve (è breve? fatemelo sapere nei commenti, i guess), è che non voglio affrettare l'arte - o fare post troppo lunghi da rileggere, se è per questo. Fammi sapere del polso di Giuliano così, for the lolz, e perché non voglio muoverlo troppo come png essendo anche un pg di Alessia, aiuto, la peer pressure.
    Nota per Rob: Mina ha correntemente ben due figli che frequentano Hogwarts (Alice è una 2007, Duncan è un 2011, momento girl math i guess), quindi se vuoi giocarti qualcosa di lore in questo senso fai pure, mica m'offendo.

    Ci si può ancora teoricamente inserire in questa role se vi piace alimentare il bürdell, ho aspettato un po' a rispondere anche per quello oltre che per le mie stupende emicranie stagionali.
  14. .
    A scanso di ambivalenze retoriche, il mondo divenne senz'altro meno gelido ed inospitale per lei una volta che il marito l'ebbe raggiunta, rimanendo oramai solo ad un passo da quell'incastro imprescindibilmente perfetto fra i loro corpi che entrambi ricercavano e desideravano come l'aria.
    Seguitando a ricambiare il bacio altrui con sferzate di lingua fin troppo affamate, si lasciò docilmente sdraiare fino a ritrovarsi nuovamente incastrata fra il corpo altrui ed il materasso, mentre le mani dell'uomo che le scorrevano sul corpo la facevano fremere deliziosamente; un brivido intenso ottenne di farla arcuare appena sotto di lui, quando sentì le dita stringersi saldamente attorno alla base delle ciocche castane che si dipartivano dalla sua nuca, e la sensazione della coscia che veniva afferrata a quella maniera gliela fece flettere contro il fianco altrui, colta da uno spasmo inevitabile fra la sorpresa e la più scontata eccitazione. Quel tipo di iniziative da parte di lui la portavano inevitabilmente a divenire un po' più ansante ed impaziente, qualcosa di impossibile da non notare per John se non altro perché la stava baciando, in primo luogo, e in secondo lei non si premurava minimamente di nasconderlo.
    E lui, d'altro canto, esibiva la medesima mancanza di riserbo in quei movimenti spasmodici ed istintivi con i quali le si strofinava contro di bacino, ai quali lei rispondeva subito dopo, limitandosi a strofinarglisi contro lì per lì solo per stuzzicarlo ancora, evitando accuratamente di coinvolgere i propri punti sensibili nel processo.

    Continuò a toccarlo, carezzarlo e stringerlo a sé, fra mani, braccia e gambe, anche quando egli fece per staccarsi, lasciandola libera di respirare, comodamente riversa col capo sul cuscino. L'affanno vago, inevitabile sia per il bacio in sé che per più intense reazioni fisiologiche alla situazione che stavano alzando drasticamente la sua temperatura corporea fra le altre cose, le impediva di tenere le labbra in una posizione che non fosse quella perennemente dischiusa, ma lo osservava con una scintilla di famelico interesse mentre si distanziava da lei.
    Quando lui aveva fatto capire di aver bisogno di spazio, lei gli aveva tolto le mani di dosso ed aveva allentanto appena la morsa delle cosce con molte remore, adagiando infine le braccia mollemente ai lati del capo ma apparendo più rilassata che inerme o intimidita. Non ebbe tuttavia davvero il tempo di contemplarlo con la dovuta calma quando le fu distante, poiché lui procedette immediatamente ad adoperarsi con precisi movimenti di bacino per strofinare l'intimità turgida e diritta fra le sue labbra, applicando la conoscenza enciclopedica che oramai aveva del suo corpo per cercare il suo punto più sensibile, piuttosto che strusciare impacciatamente e con bassa istintività come in precedenza. Il respiro tremò già in principio nel sentirlo posizionarsi a quella maniera contro di lei, ma si interruppe spezzato da un ansito basso quando si ritrovò a percepire il calore e la pressione del membro altrui contro la carne delicata, che lui avrebbe potuto percepire come già madida. Gli occhi castani socchiusi lo scrutavano, rifiutandosi quasi con tenacia di abbandonare il contatto visivo diretto nonostante gli scatti involontari delle palpebre, ma la maniera in cui lasciava scivolare dalle labbra sospiri lubrichi aveva un che di arrendevole e provocante assieme. Non si mosse, se non per qualche spasmo involontario delle gambe che ora si chiudevano e ora si rilassavano in preda ai brividi caldi e liquidi che restituivano a lui, all'opposto, una sensazione di agevolezza progressiva nel movimento a dir poco umida ogni volta che le si premeva contro; una delle mani, non più semplicemente abbandonata sul cuscino, teneva fra le grinfie la federa solo morbidamente, per ora, ma le dita si flettevano praticamente ogni volta che lo stimolo tattile la raggiungeva all'apice del suo sesso, regalandole quella sensazione intensa e desiderata che allo stesso tempo le faceva desiderare di più, pur nella consapevolezza che, se lui avesse voluto, avrebbe potuto concederle l'apice del piacere anche solo perseverando in quell'insoddisfacente pratica.

    « ... John...! » un lezioso singulto la colse appena prima di ritrovarsi a pronunziare il suo nome; non avrebbe mai potuto postulare con vera certezza quando l'altro avrebbe potuto decidere di porre fine a quel preliminare, ergo la sensazione della punta che s'insinuava finalmente in lei l'aveva colta di sorpresa, per non dir peggio. Pronta lo era fin troppo, così poté sentirla distendersi subito dopo quel primo momento di inevitabile tensione e sospingersi in lei, pur lentamente, non recava con sé particolari difficoltà in termini di attrito; la sensazione del membro altrui era invadente, certo, ma in maniera nettamente piacevole e desiderata, al punto che solo concentrarsi sulla sensazione del pulsante calore altrui che scivolava fra le sue pareti accoglienti e altrettanto calde era sufficiente a spedire brividi ulteriori fino al basso della schiena.
    Stava però stranamente attenta, in quella prima fase, a tenere a bada i propri ansiti e, in special modo, a dare attenzione a lui che continuava a guardarla piuttosto che fare attenzione solamente al piacere che stava provando. Il respiro veniva tenuto vagamente regolare a forza ma era pesante a dir poco, e qualche piccolissimo vocalizzo sfuggiva inevitabile nel sentirlo affondare in lei con quella solerzia.
    « Ah, mon cher... » le labbra s'arricciarono di vago divertimento, mentre la mano che non artigliava il cuscino cercava una delle sue per portarla a sé, trascinandola per il polso fino al viso proprio, se lui gliel'avesse permesso: in quel caso, ne avrebbe baciato piano qualche falange, fra un sospiro e l'altro, in delicata adorazione o forse, anche, sottile e subdola provocazione; per forza di cose, nel dedicarsi a quel gesto doveva smettere di guardarlo negli occhi. « ... aiutati con le mani... lo sai che mi piace... » incrociò qui di nuovo lo sguardo col suo, mordicchiandosi il labbro inferiore per un momento con espressione furba, prima di accingersi a poggiargli una mano su uno dei seni che giacevano abbandonati ed inevitabilmente un po' scomposti per via delle dimensioni e della posizione supina di lei. C'era una gamma invidiabile di opzioni che si nascondevano dietro un invito del genere, se non altro perché per l'appunto, anche solo toccarla per il gusto di farlo le avrebbe donato un quid in più di piacere, e proprio per questo era mortalmente curiosa di capire cosa avrebbe scelto di fare prima.
    wilhelmina asphodèle campbell
    2023 » maggiocredits
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    Edited by .totentanz - 2/12/2023, 22:54
  15. .
    Mettere da parte i pochi indumenti di cui si era liberata era una di quelle incombenze che necessitavano per forza d'un attenzione tale che sì, non avrebbe potuto fissare lo sguardo sul corpo altrui per più di qualche secondo alla volta neanche volendolo; questo non voleva però dire che non lo stesse scandagliando con la dovuta attenzione e, anzi, quel posare gli occhi su di lui ogniqualvolta le era possibile celava, dietro le sue solite ostentazioni di nonchalance, una cupidigia che però forse solo lui sarebbe stato in grado di supporre, conoscendola da tutta una vita.

    Snudò un mezzo sorriso bianco fra le labbra alla resa istantanea che esibì lui sul fronte retorico, per poi trovarsi a piegare appena la testa da un lato mentre lo guardava, privata di ogni contrattempo che potesse impedirle di farlo continuativamente. Il baluginio vago negli occhi castani da gatta aveva un significato d'interpretazione alquanto chiara per lui, abituato a venir predato in maniera anche più esplicita e smaniosa dalla consorte, ma non fece niente che non fosse squadrarlo a quella maniera poiché non v'era niente più di quello che dovesse fare prima che lui iniziasse a muoversi piano sul letto, verso di lei.
    Iniziò a muoversi anch'ella e, nell'intenzione di distendere ora meglio le gambe per essere maggiormente all'altrui mercé, dovette farsi leggermente indietro, dando come l'impressione di ritrarsi in corrispondenza del suo avanzare; non abbastanza da vanificare l'accorciamento di certe distanze, però, e di fatto ci volle davvero poco prima di sentire e vedere le dita altrui poggiarsi nell'incavo dietro al ginocchio, un tocco che provocò un'istantanea contrazione della giuntura, lo sguardo di Mina che veniva di nuovo catturato dalle iridi scure ora troppo impegnate a carezzarle la pelle assieme ai polpastrelli. Il tocco fu, a ben vedere, più breve e delicato di quanto stessero essendo i suoi occhi, ma nell'insieme la donna si ritrovò a rabbrividire non poco a quella che da fuori sarebbe potuto sembrare qualcosa di appena accennato; non trasalì, ma dall'espressione di piacevole sbigottimento che le paralizzò un attimo il viso e da quel respiro appena più profondo che fece e che si ritrovò ad interrompere, era chiaro quanto poco indifferente fosse alle attenzioni di John.

    Fu una pausa di cui lui parve quasi approfittare, nel modo che per lei era il più subdolo di tutti, per interrompere quella carezza più esplicita e prenderle teneramente il viso fra le mani, facendola sgonfiare appena in un sospiro, lo sguardo che s'abbassava per un momento prima di venire richiamato all'altrui attenzione da quel nome che sfuggiva alle labbra sempre con tanta cura. Forse un po' delusa lo era davvero in fondo, come spesso succedeva quando non riusciva a minare la sua tempra a suon di provocazioni, ma a tutti gli effetti avrebbe potuto sentirla sciogliersi fra le sue dita anche solo dopo un gesto tanto semplice, rivelando come tante volte era capitato prima di quella la sua incredibile vulnerabilità nei confronti dell'uomo che aveva di fronte.
    Proprio in virtù di quello, non riuscì a rispondere davvero a quel richiamo come avrebbe voluto, provando a boccheggiare pianissimo una risposta ma ritrovandosi persa nel vederlo avvicinarsi, ferma fra le sue dita, le labbra rimaste schiuse che sembrarono lasciate lì apposta per accoglierlo quando, finalmente, lui le lambì di nuovo fra le proprie.
    Ad occhi socchiusi per via della vicinanza, sfiatò appena in principio, sentendo un altro brivido scuoterle appena le membra come vapore bollente che si sollevava dalla pelle tutto assieme, lasciandola in debito di prezioso calore corporeo; la verità era che il suo corpo era, al contrario, in procinto di riscaldarsi non solo per compensare la mancanza di vestiti, ma anche per via delle mani altrui ancora sul viso a trattenerla, della maniera in cui cercava il suo sapore, della sensazione della loro pelle che si toccava e dei respiri vagamente ansanti che s'incrociavano, riempiendo le loro orecchie come un sottofondo assordante assieme al letterale suono delle loro labbra e delle loro lingue che si cercavano vicendevolmente, poiché anche lei si fece attendere davvero poco nel ricambiare l'altrui avidità dimostrandone altrettanta. Ogni boccata d'aria che prendeva, che fosse dalle narici o dalla bocca quando lui dava tregua, era piena del profumo di lui, familiare e inebriante insieme.
    Fu solo dopo un poco che si ritrovò a sollevare piano le mani fino alle sue spalle, prendendo ad accarezzarlo forse un po' spasmodicamente a tratti lungo i lati del collo, cercando la consistenza di una muscolatura ancora segretamente solida a dispetto dello scorrere del tempo e di un fisico poco esibizionista in termini estetici, almeno finché i muscoli non si contraevano in preda a certi momenti di tensione che lei conosceva fin troppo bene. Intanto, sotto di lui, faceva per distendersi ancora quel poco che bastava da poter schiudere appena le gambe, di nuovo, forse auspicandosi di sentirlo avvicinarsi come poc'anzi; lo sentiva avanzare appena solo perché lo aveva finalmente sotto le mani, ma avrebbe voluto ben più di quello e si capiva bene dal modo in cui continuava ad incalzarlo coi baci e a sentirlo con le dita.
    wilhelmina asphodèle campbell
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