Forget Me Knot

Residenza Campbell | John x Mina

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    Non trasalì nemmeno quando l'aria del mattino le accarezzò freddamente le spalle e le ginocchia. Poggiata contro lo stipite della portafinestra, guardava l'esterno del giardino sul retro con aria indecifrabile e corrucciata, dopo l'ennesimo tiro di sigaretta e aver visto il sole che ancora si accingeva a sorgere piano sulla campagna, inondandola delle primissime luci dell'alba.

    Era sveglia da almeno due ore... consecutive. Incredibile come si possa sentire la mancanza di una cosa banale come una notte di sonno decente. Nei casi migliori, in cui riusciva a prendere abbastanza sonno da poterlo mantenere ininterrottamente fino alla mattina, bastava comunque il minimo rumore a destarla, cosa che mal si accostava all'avere più di un gatto in casa.
    Quella notte non era stata neanche così clemente, dunque aveva finito per intervallare brevi sonni leggeri ad involontarie fasi di veglia, in cui si era trovata a fissare perlopiù John dormire sereno di fianco a lei.
    Alle tre del mattino, infine, complice lo zampettare sinistro che proveniva dalle stanze adiacenti, aveva capitolato; era scivolata via dal letto e dal fianco del marito e, senza mettere né una vestaglia né tantomeno le più banali ciabatte, aveva cominciato i suoi - nuovi, malaugurati - rituali mattutini.
    Non che si vestisse o altro, capiamoci.
    Percepiva appena il bisogno di assicurarsi che i suoi capelli non si fossero avvinghiati in qualche maniera durante la notte e quello, più elementare, di rinfrescarsi il viso con dell'acqua. Una parte di lei, in quei frangenti, agognava una doccia, ma l'altra prontamente le ricordava quanto potesse essere spiacevole la sensazione dell'acqua o l'onere di doversi strofinare abbastanza da assicurarsi di essere perfettamente pulita.
    Cose che non le avevano mai dato alcun tipo di problema, per la cronaca.
    Era sempre stata quella che si definirebbe un'adulta funzionale, fin troppo avrebbe detto qualcuno.
    Incredibile cosa potesse farti un anno intero di esperimenti e reclusione.
    Un anno trascorso come un rifiuto anziché come persona.
    Un anno.
    Lo sapeva perché aveva contato i giorni.

    Non trasalì perché, per paradosso, il freddo non la infastidiva più.
    Neanche cercò di stringersi nelle spalle, riscaldarsi un po', come se avesse perso ormai da tempo i più basilari istinti di auto-conservazione.
    Sapeva perfettamente quanto la sua pelle fosse diventata fredda a quel punto, ma non le interessava. Non sarebbe rientrata prima di finire quella sigaretta e, per assurdo, stava valutando se accenderne un'altra subito dopo. La terza quella mattina, il tempo di rientrare e prenderne una dal pacchetto perché, insomma, la sua camicetta da notte di satin sicuramente non aveva ergonomiche tasche per tenere tutto sempre addosso.
    E come accadeva ormai da qualche mese, ci mise quell'attimo di ritardo a ricordare che avrebbe dovuto recuperare anche un accendino.
    L'accendino, anzi, perché uno ne aveva. Glielo aveva regalato John, come se non avesse fatto abbastanza per lei da quando era tornata. Continuava imperterrita a poggiarlo in un posto e poi dimenticarsene, abituata com'era a non averne bisogno.
    Chissà dove l'aveva messo, stavolta.
    wilhelmina asphodèle campbell
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    Edited by .izével - 18/5/2023, 23:22
     
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    Era una delle notti dove il sonno aveva deciso di farlo quasi svenire, dopo aver fissato il soffitto per lungo tempo, alternandolo ogni volta al viso della moglie che tentava di dormirgli a fianco. Dormire era diventato un lusso che si concedeva poco, mai più davvero tornato dal giorno in cui Mina era stata rapita in casa loro, avrebbe dovuto quindi ringraziare Morfeo di quell'inaspettato regalo giunto nelle ultime ore della notte, concedendogli un riposo che non si aspettava ma meritava.
    Invece, riaprendo gli occhi, si accorse che la donna che per tutta la nottata aveva avuto difficoltà a riposare non era più sdraiata nel letto con lui. In tre secondi il susseguirsi di pensieri e sensazioni furono tali da svegliarlo completamente, una metaforica doccia d'acqua ghiacciata che intirizzì la pelle dietro la schiena mentre la bocca dello stomaco si contorse con così tanta forza che avrebbe giurato di averlo sentito fare rumore. Il terrore avvampò e la disperazione che aveva già provato nell'anno in cui lei era stata assente fece capolino, ricordandogli con amarezza quanto fosse stato inutile, buono solo per rimanere a guardare il nulla cosmico lasciato dalla sua mancanza. In un secondo momento il cervello, disciplinato da anni di istruzioni mediche e severa cultura cinese lo richiamò al presente: le luci dell'alba di maggio coloravano delicatamente la stanza di un tenue azzurro, il cielo regalava solo una sua impressione, dandogli modo di controllare la stanza. Una delle gatte ancora dormiva e Snowball, il loro indispensabile cane, non aveva minimamente abbaiato - la creatura aveva un sesto senso tutto suo, sapeva che al minimo pericolo sarebbe riuscito ad avvertire o almeno era tale la fiducia che riponeva nell'animale.
    Si mise seduto sul letto per fare due respiri profondi, cercando poi nella stanza la risposta alla domanda che - martellante - premeva contro la scatola cranica. Alzandosi agguantò la vestaglia e la bacchetta, inforcò le pantofole e si avvicinò alla parte di letto della moglie, trovando la vestaglia di lei intonsa, placida, appesa nel suo posto. La prese e con il cuore che comunque batteva ancora troppo forte contro le costole, spinse un groppo di saliva giù per la gola e cominciò a cercarla.
    Non fu difficile trovarla, il vago acre odore di sigaretta filtrava appena dentro le finestre e lui si era oramai abituato, come un cane da tartufo, a percepirne nell'aria. Una nube odorosa che ben presto fu assimilabile alla moglie. Non aveva neanche il coraggio di dirle che le facesse male: da medimago avrebbe dovuto essere più perentorio, forse cercare di aiutarla ad evitare di avvelenarsi con quelle invenzioni babbane ma non poteva. Non si sentiva minimamente in grado, il pensiero era una completa assurdità e lui abbastanza lucido da capirlo; assecondava quel bisogno che le era nato dopo un anno di torture, se fossero insorti problemi si sarebbe preoccupato dopo. Era comunque un mago ed un medico, avrebbe trovato una soluzione.
    Decise di palesare la propria presenza con del semplice rumore, niente di eccessivo, solo qualcosa che potesse essere più facilmente udibile anche al di là delle finestre, evitando di creare scompiglio nei pensieri mesti che sicuramente Mina aveva. La silhouette oltre il vetro, con il solo pigiama addosso, regalava l'immagine mentale di una pensatrice alle prese con dei brutti pensieri.
    Accese il bollitore dell'acqua e si avvicinò all'unica gatta che era nella stessa stanza, Lidya, forse la più speciale tra quelle che gironzolavano in casa. Totalmente nera, con gli occhi un po' sporgenti e le zampe malformate; nonostante l'aspetto buffo era una creatura molto legata alla donna che era ancora a fumare all'aperto e spesso aveva mostrato un'intelligenza superiore a quelle delle altre sue compari. Le fece un gratino sulla testa che venne accettato con un miagolio breve e sorpreso ma non infastidito, avvicinandosi infine al vetro della finestra.
    Notò sul bancone della cucina un oggetto semplice, babbano, un accendino che aveva trovato per il nuovo vizio della moglie. Si chiese come fosse possibile per una fumatrice dimenticare un accendino. Prese anche quello ed uscì fuori.
    Era un freddo ancora sopportabile, le temperature stavano diventando miti ma comunque la vestaglia faceva comodo. Non disse nulla, si limitò ad offrirle entrambi gli oggetti in silenzio, un sorriso tenue sulle labbra incorniciate dalla barba. Non c'era vera felicità, era più apprensione.
    john ming-yue campbell
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    Sin da bambina, Wilhelmina era sempre stata il genere di persona che tendeva a rimanersene in disparte, a meno che non le convenisse il contrario.
    Ricordava perfettamente, per esempio, di come John l'avesse colpita sin dalla prima volta che l'aveva notato, finalmente, in Sala Grande, dopo essere stata smistata anche lei fra i Corvonero.
    Prima ancora di poterglisi sedere accanto, mentre il Cappello decretava il suo destino, il visetto fin troppo grazioso di un undicenne John Campbell aveva catturato la sua attenzione, concretizzando una delle vaghe profezie che Maman le aveva fatto prima di partire per Hogwarts. Aveva scoperto solo in seguito quanto fosse stato giusto dare adito a quella sibillina indicazione e decidere, da quel momento a venire, di dare attenzioni proprio a quel ragazzino su cui il suo sguardo si era posato con tale naturalezza.
    La decisione migliore della sua vita, a ben donde.
    Ma proprio in virtù di quelle rare ed oculate occasioni in cui decideva di fare eccezione, era chiaro che Mina avesse sempre avuto la capacità analitica di rendersi conto quando fosse opportuno farsi sentire e quando invece fosse più saggio starsene per conto suo.
    Isolarsi, persino.
    Nulla delle sue esperienze passate poteva mettersi a paragone con la capacità, acquisita in quel lungo anno di prigionia, di alienarsi completamente da ciò che la circondava.
    Quando non erano le urla ad angosciarla, c'erano rantoli e confabulazioni confuse da parte di certi sfortunati come lei a riempire l'aria, e bisognava imparare a conviverci per guadagnare qualche ora di sonno a scapito del dolore e della spossatezza.
    Forse, dopo mesi, si era talmente abituata ad ignorare quel sottofondo terribile da far sì che diventasse familiare. Così - ipotesi ancor più terribile - ora che la notte era di nuovo silenzio era la mancanza di quell'orrore d'accompagno a non lasciarla dormire in pace, forse.

    Sobbalzò appena.
    La sensazione della pelliccia morbida della gatta contro la sua caviglia fu improvvisa e destabilizzante. Gli occhi caddero dopo poco sulla figura bizzarra di Lydia che trotterellava via, nel giardino, tutt'al più indispettita da quella reazione ma non realmente turbata.
    La figura imponente e scura del marito che le scivolava accanto le fece serrare in modo eccessivo le dita su quello che rimaneva della sigaretta, che finì per piegarsi in modo strano e irreparabile.
    L'espressione, da che era concentrata e corrucciata, si era distesa e ora guardava lui con aria un po' smarrita, la testimonianza che era tornata di nuovo sulla Terra.
    « Pensavo di aver fatto piano... » le scuse superflue che vorrebbe porgere si leggevano facilmente anche fra le righe. La voce sommessa uscì fuori leggermente arrochita, più perché era rimasta in silenzio per ore che per motivi più insalubri; dovette comunque schiarirsela un pochino, subito dopo, se non altro per il fastidio.
    Uno degli angoli della bocca si tirò in un mezzo sorriso quando lo sguardo cadde su ciò che lui porgeva. Poggiò una mano sulla vestaglia, quasi le stesse dando una scelta anziché porgere entrambe le cose.
    « Grazie, mon cher. » pur pacata nel tono, lui più di tutti non avrebbe potuto non riconoscere quella distinta e profonda tenerezza che permeava da sempre la maniera in cui gli affibbiava quegli appellativi affettuosi.
    Rimise il filtro della sigaretta dal profilo ormai deturpato fra le labbra, ma solo per liberarsi entrambe le mani e liberare lui dal peso relativo dell'indumento. Da lì ad indossarlo è un momento, rimaneva comunque irrimediabilmente scalza ma sorvoliamo. La sigaretta torna fra le dita, abbandonata, potesse se ne libererebbe direttamente ma fino ad allora la lascia spegnere per conto suo.
    Non l'avrebbe finita, poco ma sicuro.
    Né stava più pensando a quell'ipotesi di terza sigaretta.

    Alzò per un momento la mano libera come se volesse fare qualcosa. Toccarlo, in realtà, ma non è così ovvio. La abbassò immediatamente dopo.
    « È presto per te, amore, vuoi provare a riposare un altro po'? » lui aveva ancora un lavoro, dopotutto, nonostante avesse deciso di smettere di lavorare al San Mungo. E lei non poteva fare a meno di preoccuparsi per lui anche per le sciocchezze come quella, l'ora in più o in meno che dormiva a notte, il fatto che potesse essere stanco durante il giorno - per colpa sua. Preoccuparsi profondamente, anche se quel suo tono temperato e imperturbato sembrava volerlo nascondere ad ogni costo.
    wilhelmina asphodèle campbell
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    Alla fine dei conti non servì a nulla fare quel poco più di rumore per farsi sentire e non metterla in allarme, Lidya pensò bene di scivolare contro la caviglia della moglie provocandole un leggero sobbalzo. In tempi migliori, quelli del passato, avrebbe sorriso della cosa e forse l'avrebbe presa anche teneramente in giro. "È solo Lidya!" avrebbe detto, guardando la sagoma nera della gatta svignarsela in giardino, parte del suo regno. Ma non fu così, osservò con delicata attenzione la scena e la mente martoriò l'uomo con immagini raccontate dalla moglie, rese vive dal dolore che si trascinava dal giorno del suo ritrovamento, creando un complesso arazzo che non avrebbe sfigurato vicino al Guernica. Quante creature ben meno docili e gentili di Lidya avevo strisciato velocemente la pelle della caviglia di Mina? Quanti sobbalzi gravidi di terrore aveva fatto, tra una tortura e l'altra? E la disperazione? Erano tutti pensieri che serpeggiavano nella sua mente, di continuo.
    Il volto della moglie era così diverso rispetto a quello della bambina che aveva conosciuto ad Hogwarts, così radicalmente segnato in confronto a quello della ragazza a cui teneva la mano per le vie di Hogsmeade. I lineamenti tristi erano totalmente opposti a quelli della donna che aveva sposato quasi trent'anni prima. Era lei ma le avevano strappato via qualcosa di importantissimo, oltre la magia.
    Annuì quando lei palesò quel dubbio. Aveva fatto realmente piano, glielo poteva assicurare, aveva fatto così piano che provò di nuovo il senso di totale perdita con cui non imparò mai a convivere in quel funesto anno dove lei era prigioniera, chissà dove e chissà con chi. «Avrei preferito avessi fatto rumore...» la sua voce era decisamente più profonda a causa delle ore di inutilizzo e nelle sue parole c'era una punta di amara desolazione, ancora una volta non si era minimamente accorto di nulla. Questa volta lei c'era, era lì anche se a piedi nudi sul freddo pavimento esterno, ma la prossima volta avrebbe potuto vantare altrettanta fortuna? Il pensiero lo orripilava.
    Quel mezzo sorriso però riuscì ad alleviare un po' il peso di tutta quella strana atmosfera che respiravano ogni giorno, lasciandole la vestaglia per poterla indossare e così prendere meno freddo, non notando ancora che fosse completamente scalza. Mise l'accendino in tasca, se Mina non lo aveva preso forse significava che non le serviva affatto, magari lo aveva lasciato nella stanza proprio in virtù di questo. Si disse di essere uno stupido patentato.
    Scosse leggermente la testa quando gli chiese se voleva dormire ancora un po', non avrebbe dormito tanto di più, forse una mezz'ora prima di svegliarsi naturalmente. L'aver dormito forse cinque ore filate equivaleva ad una sorta di miracolo inatteso. Aveva però ancora la faccia sconvolta dal sonno, gli occhi cisposi ed i capelli che avevano deciso di essere scomposti, come tutte le mattine. Sollevò la mano, tendendola all'altra. «... Colazione?» biascicò, cominciando a stiracchiare il braccio opposto di quello che offriva con la mano aperta.
    Non era una cosa inusuale: da quando avevano cominciato a frequentarsi da ragazzini le aveva sempre offerto la mano per poterla stringere. Aveva iniziato un sabato pomeriggio da Mielandia e da quel giorno non aveva mai smesso. Le lasciava sempre la scelta, non era mai una imposizione. Era un modo per dimostrarle affetto e riceverne a sua volta.
    john ming-yue campbell
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    Avesse potuto vedersi attraverso gli occhi del marito, forse si sarebbe aggiunto anche un ennesimo tassello al mosaico di sensi di colpa. Non che non si sentisse diversa, sarebbe stato assurdo il contrario, ma rendersi conto che anche gli altri se ne accorgevano perfettamente, soprattutto trattandosi della sua famiglia, sarebbe stato certamente un duro colpo.

    Lo sguardo si velò di triste consapevolezza alla risposta che l'uomo le diede in principio.
    In uno strano e inconsapevole scambio reciproco, anche lei non poteva fare a meno di camminare sulle uova riguardo alla legittima apprensione che il marito serbava ora con costanza nei suoi confronti. Mina era però sempre stata uno spirito libero, sfacciata abbastanza da non guardare in faccia nessuno anche senza essere così turbolenta da trovar guai solo in virtù della sua generale irriverenza; dunque, di quando in quando, risultava manchevole nel lasciarsi sfiorare dalla possibilità che azioni apparentemente piccole, come scivolare via dal talamo ad una certa ora bieca del mattino, potessero suscitare una preoccupazione tale da far sentire John in dovere di farlo presente, pur se con la sua solita pacatezza.
    Un sospirò la sgonfiò, smontandole le spalle, e si trovò per un momento a guardare in basso, senza però rispondere.
    Chiedere scusa sarebbe stato ridondante, oltre che inutile.

    Stirò appena le labbra quando l'altro scosse la testa alla proposta di tornare a dormire, un po' come se le avesse confermato che il danno era fatto; John, di tutti, non le avrebbe mai recriminato una cosa del genere, era più lei a pensarlo che altro.
    L'espressione tornò solo immediatamente distesa, inevitabile quando lo guardava troppo a lungo, quando propose la colazione con voce assonnata e le tese la mano.
    Le dita affusolate accorsero in cerca di quelle altrui, incastrandosi fra di esse e regalando inevitabilmente la sensazione della pelle fredda di lei. Solo dopo averlo afferrato fece per allontanarsi, senza lasciarlo naturalmente, quel tanto che bastava da raggiungere un posacenere strategico su un mobile lì accanto e abbandonarvi la sigaretta.
    Non si concesse che quel frangente per stargli lontana prima di tornare a prestargli attenzione, ora così tanto più vicina da doverlo già guardare dal basso. Valutò per un lungo momento prima di tirarlo leggermente a sé o almeno provarci, alto com'era non era più così facile trascinarlo di qua e di là come quando erano ragazzi. Più che semplicemente averlo vicino, quello era il segnale che permetteva o addirittura voleva che lui la abbracciasse.
    « Se mi dici cosa ti va posso prepararla io, mon cher... » il discorso continuava comunque a vertere sulla colazione, che sì, avrebbe dovuto preparare con le sue mani come una babbana, che non era degradante ma semplicemente strano. Aveva visto tante volte suo padre adoperarsi in quella maniera, tuttavia, quindi restituiva anche quel piacevole nonsoché di familiare. Certo, avrebbe anche potuto pensarci lui, o meglio, lasciare che ci pensasse la magia, e lei comunque non si sarebbe lamentata, anzi. « ... oppure no, lasciamo fare la magia e ci sediamo un po' sul divano mentre aspettiamo. » per l'appunto, non poteva negarsi di sottolineare i vantaggi dell'opzione comoda.
    wilhelmina asphodèle campbell
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    Edited by .izével - 19/5/2023, 14:08
     
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    Tutto era improvvisamente diventato delicato da quando lei era tornata, era come maneggiare continuamente uno stelo cavo di sottile vetro decorato e si avevano mani troppo grosse e ruvide per porre davvero l'attenzione che meritava. I primissimi periodi erano stati sconquassanti a livello fisico ed emotivo ma ora, pian piano, stavano ritrovando un proprio equilbrio naturale e di questo l'uomo era più che felice. Fosse stato credente avrebbe lanciato preghiere di ringraziamente a quella specifica divinità come si lancia riso ai matrimoni: senza cura e a secchiate.
    Invece, da bravo uomo terreno che era, si impegnava ancora di più per far sì che tutto ciò non degradasse, che non mutasse in una cancrena da dover amputare. Non a caso aveva lasciato il suo lavoro per prenderne uno molto più umile e meno remunerativo, cosa che non gli pesava molto se significava poter stare il più possibile con la moglie. Lasciarla sola era diventato improvvisamente impensabile.

    Sorrise e questa volta con quella piccola gioia che ogni volta si scatenava in corpo nel percepire il tocco altrui, lo stringerle la mano era un gesto di una profondità abissale per lui, il primo vero cenno di volerla vicino quando erano stati molto più giovani di adesso. Era una sensazione che lo scaldava in maniere che descrivere era difficile, una sensazione che poteva essere rapportabile alla tanto chiaccherata Felix Felicis ma che - almeno lui sospettava - era ancora troppo distante dalla verità. Strinse piano la mano, le dita premettero un po' sulla pelle di lei con dolcezza ma c'era quella facile e comprensibile paura di vederla volare via, di nuovo, chissà dove. Non era il volerle tarpare le ali, sapeva che sua moglie aveva la sua indomita libertà a renderla speciale, era più il tentativo istintivo ed umano di non volerla vedere sparire di nuovo dai suoi sensi.
    La seguì con lo sguardo quando si allontanò per gettare via il mozzicone rotto di sigaretta che fino a qualche minuto prima stava fumando, vedendola poi avvicinarsi senza alcuna difficoltà.

    Quel tentativo di portarlo a sé era qualcosa che conosceva fin troppo bene: sin dal primo anno di scuola aveva avuto il vizio di arpionarlo e portarlo in giro, come un piccolo ciclone sempre in movimento mentre lui era la foglia che rimaneva piacevolmente in balia della sua forza e della sua tenacia. Nonostante i trentacinque anni passati dalla prima occasione in cui Mina lo aveva afferrato, quel gesto - come molti altri - era diventato parte del loro linguaggio non verbale, un linguaggio tutto loro che non c'era più bisogno di spiegare. Per questo non si fece attendere l'abbraccio successivo, cercandola di chiudere con dolcezza e portarla più a sé, in un contrasto tra il corpo ancora caldo di coperte dell'uomo con quello probabilmente più freddo della donna che era due ore che stavano in piedi. Approfittò per tentare di darle un bacio sulla fronte, una coccola, un gesto d'affetto.
    Gesti che per lei aveva praticamente ogni volta che poteva regalargliene uno.

    Le proposte messe sul banco d'offerta erano allettanti per troppi motivi: nel primo caso avrebbe potuto bearsi di guardare tutto il tempo la moglie fare qualcosa mentre attendeva di fare colazione, potendola venerare nel silenzio della loro cucina mentre il secondo caso poteva godersi la vicinanza di lei senza doversi preoccupare della cucina per una buona ventina di minuti se fosse stato bravo a lanciare l'incantesimo. Una delle scelte più ardue della giornata e non aveva ancora bevuto neanche una tazza di caffè. Mugugnò pensoso, reclinando il capo all'indietro per osservare il "cielo" dietro il soffitto; in realtà stava visualizzando i due scenari con così tanta potenza da rassomigliare ad un pugno sul naso. «Se invece preparassimo qualcosa insieme e poi tornassimo a letto?» Domandò, tornando a guardare la moglie sempre avvinghiato in quella maniera tenera a lei.
    Adesso il sorriso piccolo sulle labbra era praticamente una cosa fissa, nonostante la situazione fosse spinosa il più delle volte, quei momenti di complicità riuscivano a cancellare per un po' il dolore passato.
    Esisteva ancora. Ma meno.
    «Oggi non devo andare allo studio. Possiamo anche poltrire senza pietà.»
    john ming-yue campbell
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    Volitiva com'era e nel complesso di circostanze politiche e sociali che mal si accordavano col suo modo d'essere e di pensare, Mina non aveva mai pensato di voler scappare. C'era sempre qualcosa per cui valeva la pena di lottare, per cui rimanere, per cui sopportare, che fosse la sua famiglia di origine o quella che si era creata insieme a John.
    Mentre guardava in faccia il pericolo e la morte ogni giorno per un anno intero, solo quella convinzione così profonda e radicata in lei le aveva permesso di mantenersi integra... per quanto possibile.

    Vederlo sorridere le faceva sempre perdere un battito, anche dopo tutti quegli anni.
    Non che fosse un'occorrenza rara, in sua presenza o coi bambini, pur se conosceva bene anche quel lato che John riservava al resto del mondo, quello impenetrabile e un po' intimidatorio. Amava anche quello, si poteva dire addirittura che facesse parte del suo fascino. In generale, e conoscendola un po' poteva forse sorprendere, l'unica eccezione al suo animo indipendente era rappresentata proprio da quel misto di emozioni e sensazioni, da quelle superficiali a quelle più profonde, che provava per John. Lo nascondeva benissimo, a volte forse eccessivamente, ma stravedeva per lui, da sempre. Ed era abbastanza sicura che anche lui riuscisse a vedere ancora, attraverso quella compostezza che aveva acquisito negli anni della maturità, la ragazzina che lo prendeva per mano e lo trascinava fino agli angoli più solitari del Castello di Hogwarts solo per poter monopolizzare la sua compagnia e le sue attenzioni.

    Si sentì sciogliere appena quando lui si avvicinò per chiuderla in quell'abbraccio e, probabilmente, anche lui poté percepire le sue membra rilassarsi piano, sgonfiarsi nell'ennesimo sospiro, un po' più profondo del precedente e stavolta sollevato, anziché preoccupato.
    Lo cinse con le braccia ai lati del corpo, incastrandosi così contro la sua figura decisamente più torreggiante. Il freddo non la impensieriva più, ma il calore di lui era decisamente insostituibile, prezioso a dir poco. Non lo aveva mai dato per scontato neanche prima, ma dopo che la possibilità le era stata così crudelmente preclusa la prospettiva era comunque un po' diversa.
    Si premette leggermente con la guancia contro il suo petto, dopo quel bacio sulla fronte.

    E si accorse facilmente di aver alzato un po' il livello di sfida della mattinata, con quelle opzioni. Così vicina, le sembrava quasi di poterlo sentire mentre pensava e si ingegnava per decidere. Si ritrovò a volerlo guardare ed alzò appena il viso mentre lui mugugnava piano in quella maniera, naso per aria a contemplare sul soffitto le immaginarie proiezioni delle possibilità.
    E alla fine furono per forza di cose occhi negli occhi, lui da sopra lei dal basso, mentre espone la sua soluzione definitiva. Gli sorrise, un mezzo sorriso che poi va a scorprire piano i denti per lasciar sfuggire un sbuffetto divertito.
    « Preferisco la tua idea. » un luccichio furbo che lui conosce fin troppo bene le baluginò negli occhi scuri. Smise di stringerlo solo per poggiargli le mani sulle braccia; lasciò passare ancora qualche istante prima di cercare di svincolarsi lentamente, ma alla fine gli avrebbe tenuto ancora le mani, entrambe, per cercare di condurlo camminando praticamente all'indietro fino alla cucina.
    Lì si sarebbe poggiata infine, sempre con la schiena, contro il bordo del piano, lasciandogli le mani per ancorarle lì e tenersi meglio. Lo guardava ancora, sempre a dover piegare un po' il collo verso l'alto.
    « Ma devi comunque dirmi cosa vuoi. » non c'era realmente l'intenzione di infarcire la situazione di sottintesi, ma fra la posa, la vestaglia ancora aperta su una delle sue solite camicie da notte di raso e il fatto di avere la casa tutta per loro per forza di cose, il fraintendimento sarebbe stato legittimo. In fondo, certe cose erano state all'ordine del giorno da ben prima di ufficializzare il matrimonio.
    Sollevò persino una mano solo per scostarsi un po' indietro i capelli, che forse nel complesso andava a peggiorare in senso buono l'impressione che si poteva avere del tutto.
    wilhelmina asphodèle campbell
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    Non aveva mai pensato, neanche una volta, di lesinare un abbraccio se fosse stato per lei o per i figli. Quella sua affettuosità scaturita naturalmente dai rapporti famigliari che aveva guadagnato durante la vita erano così spontanei da non sembrare rari, cosa che invece erano. Rari nel senso che scoprirli era stato un'impresa a dir poco titanica, grazie alla madre che sicuramente non era una campionessa in affetto, semmai il contrario: se John aveva scoperto che anche lui poteva dispensare gentilezze e riceverne era stato solo per merito di Mina e non di altri.
    Quanto lei fosse importante nella sua vita, quanto lo era stata e quanto lo sarebbe stato era un argomento che probabilmente neanche le carte di Madame Nightingale avrebbero mai potuto scoprire con le ottime divinazioni di cui era capace. Sua suocera aveva il merito di aver suggerito alla figlia pezzetti di futuro e chi ne aveva giovato era stato soprattutto lui. La ringraziava dal profondo probabilmente ogni volta che la vedeva.

    Era piacevole sentirla rilassarsi tra le braccia, c'era qualcosa che lo compiaceva come poche cose sentirla essere più morbida quando l'abbracciava, ma in fondo ogni volta che poteva portare benessere alla moglie era piacevole: John era quel tipo di persona che cercava in ogni istante che gli era possibile di rendere la vita della moglie migliore. Non ci era riuscito sempre, errare era in fondo umano ma tirando le somme, si poteva dire che era diventato davvero bravo nel farlo. Unico, in effetti.
    Rimase così mentre la sentiva fissarlo da sotto e quando incontrò i suoi occhi non poté che aumentare un po' quel sorriso che gli era rimasto lì, tra i ciuffi di barba tenuta con dignità, che conferiva se possibile un'aria ancora un po' più cavernosa ed intimidatoria. Molte persone nel corso degli anni, tra gli amici, che il primo impatto con lui era stato un po' spaventoso. Tutti avevano sottolineato come fosse una presenza inquietante al primo impatto. Tutti, tranne lei.

    «È andata bene allora.» Commentò, comunque ben contento di averle proposto qualcosa che le faceva piacere fare. Non lasciarla senza niente a cui pensare era un po' il dramma che oramai viveva: comprendeva come, senza poter mantenere la testa occupata, i pensieri di Mina volassero sempre alle torture e gli esperimenti che aveva subito. Era una donna forte, lo aveva ampiamente dimostrato rimanendo viva e focalizzata nel voler tornare da lui e dai figli, ma anche le persone più forti portavano il peso delle proprie cicatrici. Quelle che aveva guadagnato lei erano tra le più terribili.
    C'era da dire però che quel bagliore, quel brillare in fondo agli occhi scuri della donna furono un allarme. Positivo, certo, ma i sensi dell'uomo - ancora annebbiati dal sonno - si svegliarono in buona parte. Metaforicamente alzò le orecchie e si tese un pochino mentre lei scivolava via dalle braccia morbidamente e gli teneva le mani, trasportandolo fino in cucina dove effettivamente dovevano andare. C'era da fare una colazione, da decidere cosa preparare come aveva sottilmente fatto notare la donna, arrivando infine nel punto indicato.

    Lei era lì, con la vestaglietta ancora aperta ed il pigiama che aveva visto già milioni di volte. Lei era lo spettacolo che aveva visto milioni di volte eppure, con quella unica frase e quelle poche movenze calibrate del corpo era riuscita a risvegliare completamente il marito che,chiuse gli occhi un attimo, come colpito da uno schiaffo in faccia. Dovette ora lui prendere un respiro, piano, che gli gonfiò il petto in buona misura prima di farlo sgonfiare con delicata concentrazione. I vari istinti che prima erano lontani anni luce, sopraffatti dal panico ed il terrore, fecero capolino con prepotente forza, ricordandogli che l'amava in tutti i sensi, anche quelli che suggerivano - implicitamente o meno - il poter giacere con lei. «Io... Emh...» La punta delle dita andò a strofinare il centro della fronte con forza, un gesto un po' inconsulto che serviva a stemperare l'improvvisa voglia che aveva bussato all'uscio delle sue intenzioni.
    Colazione, coccole e tutto il resto. Non necessariamente in questo ordine. Fu questo il pensiero dell'uomo riaprendo gli occhi, spalancandoli un po', con un nuovo respiro. «uovi e pantetta?» Era tipico. Quando preso in contropiede sbagliava sempre a parlare in inglese, era più un tic nervoso che una vera mancanza, ma in quel frangente si rese conto con tre secondi di ritardo del lapsus quasi Freaudiano che le lanciò contro, in maniera brutale. Lesta la mano coprì la bocca facendo un suono tondo, quasi uno schiaffo, abbassando lo sguardo. Riusciva sempre a farlo sentire un ragazzino. «... Pan-cet-ta. Uova e Pancetta.» Decretò.
    Ma oramai le sue intenzioni erano vagamente chiare. Vagamente eh.
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    Chiuse un occhio, sbuffando divertita mentre il mento si sollevava leggermente, facendo reclinare il capo appena all'indietro.
    A quel punto sapeva riconoscere le reazioni del marito anche prima di capire cosa le causassero in primo luogo, principio che si applicava però solo nel caso in cui non fosse lei a cercare volontariamente di premere i tasti giusti. E nell'ambito di quelle specifiche reazioni, a volte le bastava semplicemente esistere per metterle in moto, come in quel caso.
    Non che il raso, la scollatura e la gonna che arrivava appena a metà coscia non giocassero un ruolo, nella faccenda: sarebbe stato semplicemente negare l'ovvio.

    Rimase a guardarlo con le sopracciglia appena sollevate, una piega delle labbra che suggeriva mitezza e pazienza, mentre John cercava di recuperare le capacità razionali minime per risponderle.
    La risposta che arrivò fece sì che il capo della donna si inclinasse leggermente di lato e l'espressione assumesse una piega un po' più neutra, senza ancora discostarsi troppo dalla precedente. Un piccolo cenno di assenso giunse quando l'uomo riuscì a correggersi.
    « Mon cher, devi rimanere concentrato, suvvia. » lo redarguì gentilmente, senza la minima oncia di fastidio in corpo, come succedeva sempre in quei casi; ben consapevole e neanche troppo segretamente soddisfatta dell'effetto che gli faceva, non poteva esimersi dal fargli capire che non potevano davvero uscire dall'ordine logico di ciò che andava fatto per rimanere fedeli a quella che, comunque, era stata la sua proposta in primo luogo.
    Mentre lei tendeva a dare adito piuttosto ai propri desideri, istinti ed intuizioni quando c'era da ponderare con attenzione il da farsi, John era sempre stato il tipo che metteva al primo posto il principio e il "cosa è giusto fare": quella sua disciplina interiore e il suo rigore erano proprio ciò che lei tentava spesso e volentieri di sbilanciare, dietro quella flemma che aveva assimilato da sua madre. Amava il fatto che si assomigliassero così poco sotto quel profilo, non voleva spingerlo a cambiare o a mettersi in discussione, ma si divertiva con poco, come si suol dire, perché anche quel genere di situazioni facevano parte del loro gioco.
    E di fatto lo avrebbe aiutato a rientrare nei suoi soliti ranghi, come faceva sempre.
    Ma non si chiuse la vestaglia, comunque, giusto per la cronaca.

    « Posso farti il caffè mentre tu mi prepari il tè, che ne dici? Sai che amo il tuo tè. » non si preparava un tè da sola praticamente da quando si erano sposati, nonostante i suoi genitori le avessero insegnato come fare sia con che senza l'ausilio della magia. Si raddrizzò appena, staccandosi dal piano della cucina per voltarsi verso le varie credenze e cassetti e prendere ciò che occorreva per entrambi. Si mosse solo alla fine verso il frigo e poi verso il piatto della frutta per recuperare gli ingredienti che rimanevano per mettere insieme una colazione per entrambi.
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    Per fortuna - o sfortuna, dipendeva dal punto di vista - Mina aveva la lucidità necessaria per suggerire cosa fosse meglio fare prima, ossia colazione. John con ancora la mano premuta contro le labbra si limitò ad annuire piano, riassettando i suoi standard mentali per affrontare il primo pasto della giornata nella maniera più consona possibile. Sapeva che la moglie aveva della soddisfazione e del divertimento nel vederlo così, ancora in balia delle emozioni e dei sussulti che riusciva a provocargli, ma era una cosa reciproca. In fondo sentirla sciogliersi tra le dita era un piacere che lui stesso provava spesso, non poteva di certo biasimarla o rimbrottare qualcosa.

    Fece scivolare via la mano dalla bocca e riaprì gli occhi quando la donna chiese se potesse farle il tè, cosa che succedeva oramai da più di trent'anni. Lasciò una lunga occhiata lasciva su tutta la presenza della moglie, a partire dagli occhi, il resto e poi ritorno, prima di annuire e soffiare pesantemente l'aria dai polmoni usando solo le narici del naso. Ora riusciva molto meglio a trattenere i suoi istinti, in gioventù probabilmente il finale di quel siparietto sarebbe stato molto più intenso, vedendo il tavolo una superficie d'appoggio ideale per mettere lei e non la colazione. Non che fosse un pensiero attuabile, però diede retta alla sua prima proposta e all'altra. Si avvicinò quindi allo stipo dove teneva tutto l'occorrente per prepare la bevanda nella maniera cinese, utilizzando un difusore gaiwan di porcellana bianca e blu su cui erano dipinti dei draghi orientali che danzavano sull'orlo del recipiente. Ovviamente erano pitture magiche, un lavoro di artigianato finissimo che però non serviva ad altro se non ad un puro effetto estetico: il tè, nella famiglia Han, andava preparato nella maniera più babbana possibile.

    Spense il bollitore dell'acqua che era oramai giunto da un po' a temperatura, adoperandosi per scaldare la tazza in cui il té sarebbe stato servito e ridratando le foglie di un tè bianco abbastanza ricercato. Mentre succedeva questo sentiva la donna muoversi lì vicino, rumori rassicuranti che esprimevano la serenità di una vita casalinga che avevano sempre vissuto. «Quanto lo vuoi forte?» Domandò, girandosi per inquadrarla con gli occhi scuri. In realtà la frase che, seguendo il contesto di prima, poteva sembrare avere un sottotesto palese, in realtà stava semplicemente chiedendo all'altra quanto intenso gradisse l'aroma del tè: c'erano molti fattori da considerare nella preparazione di un buon tè ed ogni giorno, da quando erano sposati, lui le aveva posto quella domanda.

    Nel frattempo il sole si stava alzando ed il suono naturale della campagna cominciava ad essere il basso e gentile sottofondo della mattinata. Una delle gatte che prima dormivano in camera da letto fece capolino dalla porta, guardando i due umani con i grossi occhioni a gettone; restò lì in silenzio fino a che non decise di spostarsi su una delle sedie libere, tecnicamente il posto designato a loro figlia. «Ah, mi ero scordato di dirtelo, tra un paio di settimane mia madre vorrebbe venire a trovarti. Vuole sapere se siamo disponibili per un pranzo.» In realtà i pranzi della madre, da sempre, erano pranzi molto intimi e spesso neanche il nuovo marito veniva con lei. Non tanto perché fossero distaccati come coppia, erano solo un po' più liberi della norma, spesso John aveva pensato di loro che essendo due maghi soli volessero solo un po' di compagnia. «Che le dico?»
    La decisione finale era di Mina, doveva sentirsela di affrontare le persone, non potevano presentarsi a caso alla tenuta. John avrebbe educatamente spinto via chiunque non fosse stato invitato o accettato dalla moglie in quei momenti ancora delicati.
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    Da quando era tornata, per forza di cose tendeva a tenere impegnata la mente il più possibile, specialmente in quel periodo in cui i bambini - Alice stava diventando grande, in realtà - erano via per colpa della scuola.
    Le sembrava quasi che Duncan fosse diventato improvvisamente grande mentre era via, nonostante fosse andata dispersa per un solo, lungo anno; forse proprio perché lo aveva lasciato che ancora era "piccolo" e adesso già frequentava Hogwarts, come la sorella.
    Cercava di non pensarci, al fatto che non avrebbe mai più potuto vedere la sua espressione mentre teneva fra le mani ed apriva la primissima lettera indirizzata a lui della sua vita, quella per Hogwarts; che avesse perso la possibilità di accompagnarlo per la prima volta a Diagon Alley a comperare i suoi libri e la cancelleria che gli occorrevano per la scuola; che non avesse potuto salutarlo mentre saliva per la prima volta sul treno che dipartiva dal binario nove e trequarti.
    Avrebbe voluto chiedergli scusa, forse, ben sapendo che non era certo colpa sua. Non lo avrebbe fatto se non altro per impedire almeno a lui di tornare con la mente a quei giorni lunghi e bui.
    Ma per il suo bene e per il loro, si sforzava davvero di non arenarsi su quei pensieri.
    Così, l'unica alternativa che le veniva in mente era occuparsi il più possibile con cose da fare. Uscire di casa era più facile vivendo in campagna, così quando John non era in casa poteva portare Snowball con sé a passeggio per qualche ora. Quando invece il marito era a casa, sicuramente le occasioni per distrarsi un po' non mancavano né erano difficili da trovare.

    Aveva acquisito una certa familiarità con la caffettiera, a quel punto, non prima di aver ricevuto un corso intensivo da suo padre che era un vero fanatico. Le aveva regalato un aggeggio italiano, esattamente come il suo che oramai aveva più di cinquant'anni e pareva ancora nuovo e non grazie alla magia, incredibilmente. Il metodo a dirla tutta lo ricordava dall'infanzia, dato che suo padre aveva insistito per farla imparare e più volte le aveva chiesto il favore di farlo al posto suo più o meno finché non aveva abbandonato il tetto paterno, e aveva solo dovuto rinfrescarsi bene la memoria.
    E nel giro di pochi mesi, quei gesti erano diventati automatici come lo erano stati per lungo tempo quando era ragazza.
    Così, la caffettiera fu sul fuoco davvero in poco e il porridge per sé fu il secondo pentolino ad occupare il fornello. Ultime, ma non meno importanti, le uova e la pancetta che aveva chiesto John.

    « Mh? » finiva sempre per essere un po' assorta quando si adoperava a fare cose complesse, dunque le ci volle quel momento in più per registrare la prima domanda che arrivò. « Forte, forte. » rispondeva sempre così, specialmente al mattino. « Immagino che ne avrò già bisogno per dopo, giusto? » questa invece era il genere di risposta che poteva possibilmente arrivare solo in mattinate come quella, in cui avevano tutto il tempo del mondo. Non era mai stata particolarmente prona a nascondere le sue intenzioni dietro doppisensi troppo oscuri o sottintesi eccessivamente sottili, ma allo stesso tempo aveva quel qualcosa che si poteva approssimare all'eleganza nel parlare di certi argomenti in modo diretto ma senza scadere in registri lessicali improvvisamente poveri. Insomma, stava esattamente parlando del programma intenso che lui, per inciso, aveva prospettato per la mattinata, e che dunque le avrebbe richiesto di sentirsi parecchio sveglia a monte.

    Per amore del buon gusto, ci fu una discreta quantità di silenzioso affaccendarsi fra quella parentesi e la successiva affermazione dell'uomo. Mina dovette pensare un secondo, forse due, prima di rispondere, mentre seguiva la cottura della colazione e tagliava della frutta da aggiungere al suo porridge.
    « Oh beh ma sì. Mi dispiace solo che non ci siano anche i bambini, ma immagino ci sarà occasione quando rientreranno dalla scuola... viene ancora ad insegnare calligrafia cinese ad Alice e Duncan, no? » l'idea di vedere Jing Min non la impensieriva particolarmente; nonostante la suocera fosse sempre stata una donna intimidatoria forse più del figlio, alla stessa maniera Mina non sembrava essere mai stata influenzata da quella sorta di aura passiva. La rispettava profondamente, in fondo era rimasta vedova prestissimo con tutti i presupposti già particolari del suo primo matrimonio, e soprattutto era la dona che aveva messo al mondo e allevato l'uovo della sua vita, quindi non poteva davvero fare altrimenti; il fatto che si volesse prendere la briga di venire a trovarla era solo un piacere per lei, oltre che un onore. « Pensi che preferisca pranzare qui a casa? Sennò possiamo prenotare al ristorante... » non c'era davvero mai stata una regola fissa, rimanere a casa e preparare qualcosa per tutti era un'occasione speciale alla stessa maniera che decidere di mangiare fuori purché si fosse tutti assieme, e per fortuna c'era anche un ristorante già rodato per quando Jing Min veniva a trovarli, in modo che non rimanesse scontenta; John però conosceva sicuramente sua madre abbastanza da poter capire se il motivo e l'occasione chiamassero una possibilità piuttosto che l'altra.
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    Quella frecciatina che gli venne lanciata lo fecero sorridere di buon grado mentre scoperchiava un po' l'infusore per poter creare una fessura con il coperchio di ceramica, medio e pollice a stringere il contenitore mentre l'indice teneva fermo il coperchio. «Speravo di essere sufficiente per tenerti sveglia.» Commentò, cavalcando piano quell'ondata di maliziosità ben distinta e cheta che regnava nel loro rapporto da molto, molto tempo. A volte si poteva scadere un po' di più ma non era mai uno scivolone di stile così terribile. C'erano stati giorni più diretti di quello, ma mai volgari.
    Intanto versò il tè nel recipiente di vetro che avrebbe fatto da tazza - perché era una tazza, speciale, per il tè bianco. Lo fece muovere piano tra le pareti e poi lo versò nel lavandino; poteva essere stupefacente le prime volte, ma era oramai prassi per l'uomo, poiché secondo quel metodo di infusione era il secondo tè quello migliore e più forte e non il primo.
    Versò altra acqua quindi, osservando poi la moglie.

    La macchinetta del caffè, quello strano ma singolare apparecchio che aveva recuperato grazie a quella brava persona che era suo suocero, venne stretta. «Mia madre manda i compiti direttamente ad Hogwarts. Alice non dice nulla ma Duncan mi ha chiesto come si traducevano un paio di hànzi.» I caratteri cinesi, per intenderci. Sospiro, scuotendo la testa con un po' di amarezza. «Non smetterà mai.»
    Sua madre aveva sempre avuto il bruttissimo vizio di mettere bocca sulla sua istruzione e a quanto pare stava facendo la stessa cosa con i suoi nipoti, fortunatamente limitandosi alla lingua cinese che era di famiglia. Tra l'altro i due figli erano stati cresciuti abituandoli a parlare inglese, francese e cinese, quindi avantaggiati dalle rispettive lingue natie dei genitori e quella inglese dove erano nati. «Direi a pranzo fuori. Così poi andiamo a fare una passeggiata per digerire. Mia madre è più vivibile quando può stare all'aria aperta.» Non era mai stata una donna cattiva, solo troppo rigorosa e disciplinata. Almeno non aveva mai davvero rotto le scatole a Mina.

    Dopo un minuto versò la seconda tazza di tè bianco, pronto per essere bevuto. Cominciò dunque ad apparecchiare la tavola per la colazione sempre evitando di usare la bacchetta, scoprendo un certo piacere nell'utilizzare le mani per compiti molto semplici come quello. Con un colpo di bacchetta avrebbe senz'altro fatto prima, reso tutto preciso e perfetto, con un risparmio di tempo notevole ma la colazione non era ancora pronta, quindi tanto valeva farlo alla "vecchia maniera". Una volta sistemato tutto e messo il tè al suo posto, raggiunse la moglie per tentare di abbracciarla da dietro, con le mani appoggiate al ventre mentre le lasciava la libertà di muoversi senza fatica. Attendeva così, respirando piano.
    I profumi cominciavano a dipanarsi ed il suo stomaco ad essere particolarmente interessato. «Come sei inglese con il Porridge.» disse in tono scherzoso, guardando come la pappa d'avena si stava addensando pre creare la consueta crema a cui - con ogni probabilità - Mina avrebbe aggiunto della frutta ad accompagnare.
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    Seppe astenersi dal rispondere ulteriormente solo perché così la conversazione poteva rimanere ancora tranquilla abbastanza da garantire che la colazione si finalizzasse come previsto. Ma si lasciò comunque sfuggire uno sbuffetto divertito, come a voler comunque lasciar intendere che sì, bastava indubbiamente lui a tenerla sveglia - ma con così poche ore di sonno addosso non si sa mai.

    Più di prima aveva la tendenza ad ammorbidirsi visibilmente quando si finiva a parlare dei bambini. Scosse appena la testa, ma in maniera palesemente divertita dall'aneddoto.
    « Vedila così, almeno imparano dalla persona più qualificata che conosciamo. » si rendeva perfettamente conto del perché la questione suscitasse tanta amarezza nel marito, in fondo lui era stato protagonista delle pretese della madre per una fondamentale parte della sua vita e la cosa lo aveva condizionato non poco. « E poi li puoi aiutare tu. » aveva sempre pensato che cercare di fargli vedere il lato positivo del suo rapporto con Jing Min fosse di gran lunga più sano che lasciarlo macerare su quanto c'era di negativo. « Possiamo chiedere ai ragazzi se vogliono continuare a studiare con lei e se scelgono di non farlo dobbiamo supportarli nella loro decisione. Che ne pensi? » però questo non escludeva che potessero comunque intervenire a riguardo, in fondo erano comunque i loro figli.
    Si limitò infine ad accennare un assenso per quello che riguardava la questione del pranzo, come detto si affidava al suo giudizio sempre e comunque per gestire al meglio certi dettagli del loro rapporto con la suocera.

    Mentre il caffè usciva a fiamma ormai spenta con il tipico suono gorgogliante, Mina si stava apprestando a sorvegliare l'addensamento del porridge mentre le uova con la pancetta cuocevano poco più in là, messe per ultime e ancora lontane dall'essere all'ottimale livello di cottura.
    Le era ancora naturale lasciarsi abbracciare in quella maniera, nulla di particolarmente raro peraltro rispetto a quella che era la norma delle loro consuetudini casalinghe. Nonostante le torture subite per un lungo e durissimo anno, la sua mente non era mai riuscita da quando era tornata a casa a registrare il tocco dei suoi cari come qualcosa di negativo, specialmente quello del marito.
    Sorrise, vagamente divertita dal suo commento.
    « Ah sì? » gli rivolse per un attimo lo sguardo e il volto, insieme a quel sorriso che ancora permaneva. Una mano libera prese uno degli spicchi di fragola che aveva tagliato per il porridge fra due dita e lo fece arrivare fino a qualche millimetro dalla bocca di lui. « Mi preferisci quando suono più francese, magari, mon cher? » rimaneva attenta alle cotture in corso più che a guardare lui mentre snocciolava quella domanda in maniera assolutamente distratta. Il contenuto poteva forse rivelare un qualche livello di bonaria provocazione, ma il tono suggeriva come non sentisse d'obbligo l'enfatizzare il tutto in maniera eccessiva.
    wilhelmina asphodèle campbell
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    Si ritrovò ad annuire piano alle parole della moglie, come se la voce di lei fosse il flusso di coscienza che il cervello cercava di suggerirgli per evitare di cadere in uno stato di piccolo stress post-traumatico. Jing Min aveva lasciato in maniera indelebile i segni della disciplina nella mente e nello spirito di John, cicatrici sottili che dolevano ancora un po' troppo; per fortuna Mina aveva imparato a trovare gli aspetti positivi nei gesti della suocera, alleggerendo di molto il carico emotivo negativo che spesso si insinuava in quel tipo di discorso. «Sì... Nel caso vogliono smettere non sarà un problema.» ammise, più a sé stesso che all'altra.
    Non era Alice il problema, la figlia aveva ereditato un carattere troppo forte e volitivo per poter "mollare" qualcosa, qualsiasi cosa, era più Duncan la sua preoccupazione, un bambino in via di formazione che aveva carattere ancora morbido e fin troppo malleabile a cui voleva evitare gran parte delle cose negative che aveva passato lui per colpa della madre.

    Agganciato a sua moglie, prese direttamente tra i denti il pezzettino di fragola quando gli venne offerto, assaporandone la dolcezza che nascondeva una vaga nota asprigna quasi insondabile ma presente. Masticò quel microscopico pezzetto di fresca frutta in pochi secondi, deglutendo con un po' più di forza nel sentirla parlare francese con quella tonalità mite che però non indebolì la potenza della bonaria provocazione. Subito dopo si ritrovò a schiarirsi la voce e a tentare di stamparle un bacio sulla guancia, con tanto di schiocco, concludendo con un altrettanto bonario «Così è un attentato. Lo dico per dovere di cronaca.»

    Il profumo del caffè e delle varie pietanze riempì la stanza, al punto che anche la terza gatta arrivò piano in cucina: un cuscino bianco, nero e rosso con l'espressione calma e mite, da signora anziana quale era. Si mise seduta al suo solito posto, educata e composta. Miagolò piano la sua presenza, a ricordare che lei era lì. «È ora di colazione per tutti, eh?» domandò senza possibilità di avere risposta alla creatura. Diede un altro bacio sulla guancia alla moglie prima di preparare la colazione anche per le tre fiere, così che potessero nutrirsi come loro. Il cane aveva un altro orario e probabilmente stava placidamente dormendo fuori. Avevano provato a farlo entrare di notte per non farlo raffreddare ma appena ebbe la possibilità, Snowball decise che la cuccia andava più che bene. Anche perché era riscaldata magicamente.
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    Edited by Ayakashi - 29/5/2023, 14:55
     
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    Sapere esattamente cosa dirgli per farlo stare meglio non aveva niente a che fare con la ben nota sicurezza di sé che l'aveva sempre distinta. Era stato quasi un progetto, in gioventù, quello di parafrasare e codificare il carattere di John, sempre così composto e riservato e sempre così bravo nel non darlo a vedere; i suoi modi diretti e un po' troppo schietti si erano trovati così ad essere arginati più volte da un certo grado di circospezione e attenzione che non poteva dire di aver riservato mai a nessun altro, neanche nella sua famiglia. Dopo quasi trent'anni, veniva fin troppo naturale sapere come rassicurarlo su certe questioni, ma non riusciva comunque a dare per scontato il sollievo che arrivava sempre nel percepirlo nuovamente tranquillo.
    Forse, anche per via di quell'anno di lontananza.

    Gli lasciò lo spicchio di fragola fra i denti, rimanendo parzialmente distratta dalle preparazioni in corso ma sentendolo comunque, inevitabilmente, deglutire con forza. Si strinse leggermente nelle spalle nel prendere quel bacio sulla guancia, sottilmente deliziata, ma rimanendo sostanzialmente composta e focalizzata sul proprio operato nonostante tutto.
    Stirò però un inevitabile sorriso alle sue parole, per un solo momento.
    « Solo uno dei tuoi regolari tour de force. » osservò infine di contro, serena solo in apparenza nel ricordargli che le dimostrazioni di eccezionale resistenza, ivi indicate da una triviale locuzione francese non a caso e non per caso, erano la sua specialità. Dove la resistenza era un concetto dall'incredibile polivalenza, ma naturalmente si stava riferendo ad un certo tipo di resistenza figurata che aveva a che fare con il rigore mentale. Già.

    Anche il fuoco sotto le uova e la pancetta si spense, e John avrebbe potuto riconoscere esattamente il livello di cottura che gli era gradito. Il piatto lo aveva già recuperato, dunque non dovette fare altro che traslare la pietanza e metterla da parte solo il tempo necessario per dare le ultime attenzioni al porridge che finì anch'esso in una ciotola, guarnito dalla frutta appositamente tagliata.
    Occhieggiò solo per un momento l'ìncursione felina, prima che il bacio la distraesse abbastanza da lasciare il tempo al marito di prendere l'iniziativa a riguardo. Normalmente era lei che si svegliava fin troppo presto per accontentare gli orari di quelle bestiole, ma non era stato raro che l'uomo la sottraesse a quell'onere, soprattutto quando poteva vantare di più ore di sonno consecutive di lei. Una bella competizione all'epoca, fra lui che aveva la reperibilità notturna all'ospedale e lei che faceva le ore piccole sui fascicoli delle sue cause.
    Questo le diede però il tempo di portare a tavola quello che mancava per la colazione, incluso il caffè per lui, con il bonus di poter fare un paio di grattini sotto il mento all'unico gatto maschio della casa, un grosso nebelung dal classico manto grigioazzurro, appostato sulla sedia su cui lei normalmente sedeva al tavolo della colazione, prima che il rumore della colazione che arrivava anche per lui lo facesse saltare giù e procedere miagolante verso John.
    Avrebbe atteso di essere raggiunta dal consorte, prima di accomodarsi effettivamente, in fondo il porridge troppo caldo non l'aveva mai entusiasmata.

    « Pensi che sia troppo mandare un'altra lettera ai ragazzi? Solo per sapere se va tutto bene. » avrebbe chiesto, corrucciandosi appena per un momento, quando lui l'avesse raggiunta al tavolo.
    Non c'era davvero bisogno che specificasse il motivo dietro quella domanda, visti i tumulti recenti, ma voleva comunque sapere che ne pensava lui, se non altro perché non faticava a supporre che il suo giudizio potesse risultare un po' offuscato su una faccenda simile, soprattutto visto e considerato che l'ultima lettera l'aveva spedita meno di due settimane prima.
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