Votes taken by Ayakashi

  1. .
    il voto dei protettori è quello di permettere a se stesso ed ai compagni
    di vedere l'alba successiva, sopravvivere per combattere un'altra guerra.
    Non trovò nessun valido motivo per non annuire quando Mina sostenne di avvertire i figli finita la scuola. Era legittimo e sensato, avvertirli in quel momento avrebbe creato solo ulteriore panico, in aggiunta ad una distanza che non avrebbe fatto per nulla bene a nessuno dei quattro, poiché quel discorso andava affrontato sicuramente faccia a faccia. Chissà se per allora i suoi ricordi sarebbero rimasti intatti? Il pensiero gli fece dare uno sguardo ai fogli scritti, pieni di nozioni e cominciò seriamente a valutare l’ipotesi di trascrivere su di un diario, ogni giorno, tutto quello che ricordava così da rendersi conto in quanto tempo quell’incantesimo di natura “speciale” avrebbe impiegato a manifestarsi: una mera curiosità statistica, così da poter quantificare il potere effettivo della Bolla.

    Il pensiero di quella “cosa” non era dolce, non era amabile, non era nulla se non puro odio e la consapevolezza di esserne legato gli dava il voltastomaco. Tutte le sensazioni che si erano create a seguito di quella orribile situazione erano il lascito di una serie di emozioni non sue che gli facevano scaturire un odio raffinatissimo, di quelli che raramente si trovano e che servono anni di rancore e dedizione per raggiungere la purezza necessaria. Tra i pensieri anche il più semplicistico fatto che se moriva, la Bolla ne avrebbe risentito e se qualcuno avesse attaccato la Bolla, lui probabilmente ne sarebbe morto: quanto tempo avrebbe messo il Governo a scoprire Michael, Lancaster e tutta la cricca e cercare i “volontari” uno ad uno? Soprattutto, la Bolla li avrebbe usati come scudi umani? Possibile, considerata la natura per nulla umana di ciò che presidiava l'interno.

    Si alzò piano, guardando la donna ed ascoltandola. Non cercò di indorare la pillola, la verità era semplicemente quella esposta dalla moglie, solo che era molto più larga e complessa: tutti erano inutili in quel frangente. Non esisteva essere vivente al mondo – a parte quelli nello spazio-tempo dove tutto era iniziato – in grado di poter riparare la situazione. Forse neanche i tanto famigerati Doni della Morte avrebbero potuto far qualcosa, un pensiero molto fanciullesco in realtà, forse il tentativo di non impazzire. Cercò un attimo, molto piano, le labbra di lei con le proprie, accarezzandole con i polpastrelli della mano libera una guancia. «Tu sei necessaria, Wilhelmina. Io non so vivere senza di te.» Questo lui lo sapeva già. Per un anno era mancata e lui non era riuscito a fare nulla, neanche la cosa più semplice, figuriamoci vivere interamente.
    Comprendeva l’amarezza di voler chiedere aiuto a qualcuno di esterno, la loro concezione di indipendenza come famiglia era talmente alta e condivisa che l’aver proposto quella soluzione fu comunque uno smacco anche per lui. Chiedere a sua madre significava dover pesare su qualcuno ed era fastidioso.

    La seguì senza nessuna opposizione fino in cucina, le gambe improvvisamente pesanti e le forze al minimo. C’era ancora così tanto di cui discutere della vicenda che la voglia di bere aumentava progressivamente ad ogni passo, sapendo comunque che ubriacarsi non sarebbe servito a nulla, solo il gesto disperato di uno sommerso in un mare di liquami non meglio precisati e che involontariamente aveva tirato in mezzo anche la sua famiglia. Sentirsi in colpa era lo stato basilare del suo essere, in quel momento. «… Credo…» Apostrofò, guardando la cucina e tutto quello che c’era all’interno. Era la loro cucina, il luogo dove erano avvenute milioni di colazioni, pranzi e cene. Dove avevano vissuto intensamente e in molte maniere. «… Che tu mi debba insegnare tutto…» Aggiunse. «… Quasi. I coltelli so usarli.» Disse in tono terreo.

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    Stretto a lei e con la faccia immersa sul suo corpo, cercando calore e conforto, poté sentire quel sospiro rabbioso tirato dalle narici e tutto fu istantaneamente chiaro nella sua mente: sapeva e conosceva così bene la moglie che quasi poteva etichettare la rabbia, l’impotenza e il fastidio di lei come un erborista fa con le piante da catalogare. La capiva, in realtà e condivideva gli stessi sentimenti per tutta la situazione, cosa non rara in realtà ma lui cercava e aveva sempre cercato di prendere la vita dal lato migliore, per quanto nero e terribile. Non si fa il medico senza pensare di poter salvare il prossimo. O non vincere contro una malattia.
    Mina gli diede ragione ma l’uomo sentì di essere in bilico, sopra una pericolosa linea sottile che gli stava togliendo certezze minuto dopo minuto, con i ricordi che andavano ancora a fuoco per quanto erano impressi nella memoria e che ben presto sarebbero spariti, rimanendo solo la cenere, un eco distante di tutta quella vicenda. Forse non aveva ragione, forse era la voglia di rimanere in pace che lo faceva parlare e rimanere aggrappato a lei, respirando il profumo della normalità attraverso i vestiti e la pelle altrui.

    La donna sottolineò come dovesse staccarsi per andare in cucina a mangiare, una cosa semplicemente logica e l’ex-dottore si rese conto di quanto poca voglia avesse di staccarsi da quell’abbraccio nonostante la fame e la voglia di bere: aveva combattuto per riavere quell’abbraccio. Si era buttato in una missione al limite del suicidio, aveva affrontato gente armata convinta di poter cambiare il mondo, aveva lanciato i suoi ultimi incantesimi per uccidere più che salvare, aveva dovuto sopportare la vista di una mostruosità alchemica come quella del Golem e vedere il tentativo veramente stupido da parte di questo di irretirlo nella trappola prendendo la forma e la voce della donna che per tutta una vita gli era stata vicino. Sciogliere l’abbraccio non gli andava. «… Ancora un po’, per favore…» Era quella una richiesta che in anni era arrivata spesso: quei cinque minuti di coccole in più nel letto singolo che avevano avuto come primo talamo, quei cinque minuti che quasi li avevano spinti a fare tardi a lavoro senza davvero essere un pericolo; quel momento di affetto scambiato dopo aver fatto la doccia, con ancora gli accappatoi umidi, aperti, abbracciandosi pelle contro pelle prima di partire per una festa o una ricorrenza; quello scambio di un momento personale dopo aver perso tre pazienti nel giro di tre giorni per una fatalità che neanche la magia era riuscita a salvare. Aveva bisogno di lei, dell’abbraccio, delle sue carezze, della sua presenza.

    Sospirò contro di lei con forza, parte del malessere stava venendo elaborato e gran parte stava mutando: vari erano i problemi a cui trovare una soluzione ma la donna sollevò quello che effettivamente era il più imperante, quello da risolvere immantinente.
    Qui si staccò, le mani scivolarono piano fino ai fianchi di nuovo, il volto lentamente allontanato per essere ad una distanza dignitosa per poter parlare, con la schiena dritta e la terrea decisione già scritta in volto. «La verità.» Una parola pesante come un macigno, un’intenzione che sapeva di condanna. Non gli piaceva, era visibile da quei piccoli movimenti del volto quasi impercettibili che lei aveva mappato negli anni. «Alice è praticamente adulta. Lo è già da molto. Duncan…» Sospirò. Non era un favoritismo nei confronti del più piccolo, bensì la consapevolezza di distruggergli l’adolescenza prima di essersela vissuta – non sarebbe stato facile, non sarebbe stato giusto, non sarebbe mai stato d’accordo. Doveva farlo. Doveva semplicemente farlo. Per salvarli. Per salvarsi.

    Si alzò piano ma cercò immediatamente la mano della moglie, cercò di stringerle piano il palmo nel suo e di intrecciare le dita, impossibilitato a staccarsi materialmente da lei. Lei poteva vederlo: era distrutto. Le decisioni e le proposte che stava sciorinando erano il frutto di un’esperienza orribile e che lo aveva segnato più di quello che avrebbe mai ammesso lui stesso, ora forse più vicino alla moglie come non mai dopo essersi visto strappato la magia dal corpo. Ma lui non era stato torturato per un anno. Non aveva subito sperimentazioni per un “ideale più alto”. Non si sentiva nemmeno allo stesso livello, solo un po’ più vicino.
    Possibile che tutti combattevano per un “ideale più alto”?
    «Ci sono anche altri problemi, in realtà. Devo… Chiudere l’ambulatorio.» Lo disse con il peso nel cuore ma molto meno di quello che si aspettava; per quanto avvilente e distruttivo, forse, l’aver ucciso lo aveva già proiettato verso quella fine ineluttabile. «Magari far investire i nostri risparmi a mia madre. Sicuramente li farebbe fruttare senza difficoltà.» Uno dei “dragoni cinesi dell’economia”, così veniva chiamata nel giro di amiche, una persona in grado di far fiorire un cactus nel deserto gelido dell’Alaska senza magia. Però questo apriva un nuovo terribile capitolo: come sarebbe stato considerato lui nel mondo magico? Come uno Special Wizard? O come altro?
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    Gli occhi scuri di John continuavano a cercare quelli scuri della moglie, in silenzio, neanche fosse stato uno studente universitario in attesa del voto finale che avrebbe deciso se portarlo alla laurea con il massimo dei voti o con qualcosa di meno, dopo tanta fatica ed estenuante impegno che si erano investiti per poter raggiungere il raggiungibile. Le mani della moglie erano tra le cose più desiderate, agognate, insieme ad una serie di cose che elencarle non sarebbe neanche possibile; deglutì piano nel sentire la risposta e qualcosa allo stomaco si fermò istantaneamente, dandogli uno strattone così grosso da rassomigliare ad un pugno. Annuì piano all’altra e non per confermare il dubbio ma per farle capire che aveva inteso cosa volesse dire.
    Prendersi in giro non serviva a nulla, qualcosa era successo. Le forze in campo avevano giocato un ruolo fondamentale talmente vasto da non poter lasciare nessuno, neanche il più innocente di quelle sedici persone illeso. Il cuore ebbe una fitta più forte, un dolore crescente, una consapevolezza che gli fece chiudere gli occhi lentamente, sconfitto: parte di sé era mutata. A ben pensare era logico, non si era parlato di uno strappare via e basta ma di un do ut des, abilmente mascherato da scelta. La Bolla li aveva scelti.
    Peccato che lui non aveva scelto lei. Non nel senso in cui intendeva la “cosa che aveva preso a vivere”. In un recesso molto profondo del suo animo, con una malignità mai provata prima, pensò che tutte le cose che vivono però possono morire ma soprattutto possono soffrire. Difficile dire quanto sperasse che tutto ciò che era lì potesse soffrire senza mai avere perdono. Lui di sicuro non avrebbe mai perdonato.

    Quando Mina decise di abbracciarlo, di avvicinarsi lui non fece altro che impattare con il corpo della donna con il volto per poi girarsi un po’ di lato per continuare a respirare, le mani che dai fianchi cercarono la strada più breve per potersi aggrappare alla schiena in una disperazione fin troppo cheta, placida, priva di vera forza. C’era un vago senso di sconfitta che gli aleggiava intorno ma che non gli permetteva di perdersi; era lucido, terribilmente, solo molto stanco. Privo di forze.
    Respirò forte il profumo di sua moglie e lo fece più volte, lo incamerò con tutti i polmoni lasciando che la mente si imprimesse ogni singola nota dell’odore altrui, riportando alla memoria – quella che era ancora saldamente lì – tutte le meraviglie che avevano passato, non senza qualche difficoltà e che non avrebbe mai cambiato. Il fatto di poterla avere lì, sentire il suo calore e la mano che gli accarezzava la cute riaccese un po’ quel fuoco che gli albergava in petto. Lo aveva fatto per loro. Per lui. Per lei. Per Alice. Per Duncan. Per tutta la famiglia che avevano costruito ed i parenti che li circondavano. Avrebbe camminato all’Inferno se fosse significato avere anche una sola possibilità di salvarli, perdere la magia sembrò davvero poca cosa in confronto.

    Aprì piano gli occhi mentre la moglie parlava, la disperazione di sottofondo ben udibile, l’incredulità che zampillava in ogni parola che usciva dalle labbra. Non la biasimava, non era nemmeno colpa sua. Michael e la Bolla non erano forze magiche che potevano essere fronteggiate in maniera così facile, i suoi “sgherri” umani che se la intendevano con la Dea Fortuna stavano almeno dodici miglia in avanti rispetto a qualsiasi essere vivente sulla faccia della terra e con la prossima mancanza di memoria, quella sorta di “Oblivion ma non proprio come l’Oblivion” quella distanza sarebbe diventata quasi incolmabile. Quasi.
    Pensarci gli faceva venire una bile assurda. «Da una parte meglio così, Tiánxīn. La cosa veramente importante è che stai bene. Che Alice stia bene e che Duncan sia ora più sereno.» Cercò di alzare il volto e chiese la cosa più umana possibile, la più umile, la più semplice. «Possiamo andare in cucina? Vorrei… mangiare qualcosa.» La fame, improvvisa e violenta, giunse con un rombo dallo stomaco che lo incurvò in avanti facendogli affondare un po’ il viso contro di lei. «… Forse bere anche un bicchiere di vino nel mentre.» Aggiunse, la voce ovattata dalla pressione della bocca contro di lei.
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    di vedere l'alba successiva, sopravvivere per combattere un'altra guerra.
    I ragazzi erano a scuola. Ovviamente. Non ricordavano nessuno dei due di avere un padre, Alice non aveva neanche il sentore di essere stata rapita e finita nell'Oblinder e chiusa chissà dove, strapazzata nella mente come sua madre che stava lì, impietrita, ad osservarlo. Aveva un nodo allo stomaco che si continuava a contorcere di continuo, forse la somma consapevolezza che tutto quello che aveva detto, un giorno, non avrebbe avuto senso neanche per lui: una favola, una brutta favola, forse più un incubo che però gli aveva lasciato in "dono" una serie di brutte cicatrici psichiche e magiche che non si sarebbero mai e poi mai rimarginate. Forse sopportabili, se la fortuna fosse stata dalla loro ma gli utlimi due anni avevano ampiamente dimostrato che la Dea Bendata era più una camminatrice di strada a basso costo che applicava forti sconti alle comitive e probabilmente Lancaster e gli altri due suoi compagni erano la sua comitiva preferita.
    A loro applicava direttamente prestazioni gratuite.

    Negli occhi di Mina c'era una scintilla di vita ma che si contorceva, una disperazione vischiosa come miele ma amara come il fiele. Aveva forse involontariamente non risposto alla domanda dell'uomo ma anche quello, un po', se lo aspettava: sua moglie aveva sempre funzionato così, anche per quello che riguardava la terribile esperienza dei laboratori dove le avevano strappato via la magia in favore di quel potere più "oscuro". Una parola che riecheggiò nel fondo della mente per qualche secondo, una intuizione che non fu subito chiara ma che con il tempo lo sarebbe diventato.
    Appena lei si avvicinò le mani tremule cercarono di appoggiarsi ai fianchi, la stretta docile che diede fu quasi un tentativo di ricongiungersi alla realtà, toccarla significava ammettere che tutto quello che avevano passato era vero ma che tutto era finalmente finito. Erano insieme, quello era l'importante. Le mani sul viso lo sciolsero, fu visibile, quel piccolo momento che l'ex-dottore interpretò inizialmente come una coccola lo rilassò al punto che lo stomaco, da giorni attorcigliato come una serpe, si sciolse un pochino.

    Le parole di Mina non sortirono immediatamente l'effetto che dovevano avere, fu più una serie di piccoli dettagli sul volto altrui che allarmarono l'uomo: non stava cercando un modo poetico per dire chissà ché né si era minimamente tranquillizzata, gli occhi scuri che lo stavano studiando erano terribilmente simili ai suoi quando cercava un dettaglio fuori posto durante una visita; in quei movimenti, in quell'espressività il fu mago poteva leggere senza alcuna difficoltà qualcosa che assomigliava alla paura o ad un nervosismo così potente da assomigliargli.
    Deglutì, con lo stomaco che improvvisamente ricominciò a muoversi e le "risposte" di Michael risuonarono piano nella testa, fastidiose, alla stregua di un carillon rotto, una sinfonia sbagliata che si era cementificata nella memoria. Si schiarì la voce con una certa difficoltà, con un groppo in gola che attanagliava le corde vocali. «E... Cosa vedi?» Non c'era specchio migliore della moglie per capire cosa stesse succedendo.
    Lui di suo avrebbe potuto anche glissare, dire che era colpa della stanchezza, delle vicende, della mancanza di magia, di avere delle preoccupazioni feroci che ancora dovevano fare capolino. Mina, però, era incontrovertibile: come lui aveva vissuto ogni istante della sua vita con lei, così lei aveva vissuto ogni istante di vita con lui, se si era accorta che qualcosa non stava andando bene sicuramente non stava andando bene.

    Le mani si strinsero un po' sui fianchi ma non era più solo il bisogno di averla lì. Adesso c'era effettivamente il riverbero di un nuovo timore che gli stava crescendo in petto, un dubbio che stava purtroppo prendendo forma e che fino a quel momento non aveva focalizzato, una situazione che precipitava in un abisso ben diverso da quello citato dalla figura mitologica della cultura cristiana. Un brivido lo colse, un freddo improvviso che non aveva nulla a che fare con la febbre. La consapevolezza lo stava avviluppando come il ghiaccio che gli era salito sulle gambe durante lo scontro con il Golem.
    «Tiánxīn...» Esulò piano, guardando un attimo tutta la figura della moglie prima di risollevare il capo e fissarsi negli occhi scuri, il cuore che ora stava dando colpi più forti contro le costole e allo stesso modo - in maniera del tutto non voluta - poteva sentire, percepire che qualcosa stava accadendo. «... Puoi abbracciarmi?»
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    Era uscito. Lo avevano fatto uscire. I ricordi erano ancora freschi ma sapeva che non sarebbe durato tanto. Sarebbero spariti, sostituiti da altro, magicamente. Non aveva più la magia, non sentiva più neanche la bacchetta che era in tasca, bacchetta che lo aveva servito con una fedeltà impareggiabile per più di trent'anni.
    Era stato rattoppato ma era distrutto, sfibrato, violentato nella psiche e stuprato nella magia. Doveva tornare a casa. Non la Bolla - poteva anche esplodere con tutti quelli che c'erano dentro e soffrire in eterno! - Doveva tornare a casa sua, da sua moglie, sua figlia e suo figlio.
    Doveva tornare a casa e doveva imprimere sulla carta quello che ancora ricordava, prima che fosse troppo tardi.

    Alla porta di casa suonò, stralunato e fu tutto di difficile comprensione. La casa, la moglie, la vita. La sua speranza che tutto potesse tornare come prima venne rotta come un castello di Lego lanciato dal quinto piano di un terrazzo che, nella caduta, trova ostacoli che ne hanno sfaldato pezzo per pezzo: la scomparsa, l'assalto, le morti, il golem. Con la gola che sapeva ancora di sangue forse per lo sforzo fisico, forse per il ricordo che ancora non voleva andarsene chiese semplicemente carta e penna. La prima cosa. Non acqua, non un bacio, non un abbraccio.
    Carta e penna.

    Mentre scriveva raccontava a Mina di quello che era veramente successo, con una precisione di dettagli straordinaria ed intanto la mano sinistra vergava a caratteri stilizzati cinesi tutta la storia - era stato talmente massacrato mentalmente che tutto il resto era passato in secondo piano e non riusciva a fare niente che non fosse parlare e vergare parole, di continuo, facendo muovere la pergamena ad ogni foglio completato.
    Raccontò tutto, dell'Oblinder e di come era sparito, di quello che gli era successo, di come Madame - la madre di Mina - avesse assoldato anche un sicario per recuperarle e di come lui era andato comunque. Della morte che aveva sparso e dell'ultima battaglia, compresa del Golem e delle persone che erano rimaste insieme a quella faccia da cazzo - usò proprio questi termini - nella bolla e come anche lui, prima o poi, avrebbe perso tutta la memoria di quegli avvenimenti o quasi.
    E del fatto che fosse diventato privo di magia. E della scelta. Scelta relativa a suo parere.


    «... Stai bene? Alice sta bene? Duncan è tornato?» Improvvisamente, così, come uno schiocco di dita tornò l'uomo che Mina aveva sempre conosciuto anche se distrutto, con qualcosa di diverso - sicuramente più di qualcosa - che non aveva neanche la forza di alzarsi mentre la guardava con occhi che erano comunque i suoi ma cambiati. Non era neanche una metafora: c'era qualcosa davvero che era cambiato nel suo sguardo.
    john ming-yue
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  6. .
    nome pg: John Ming-Yue Campbell
    fazione: contro
    dov'è: (scegliere una fra le seguenti opzioni)
    ULTIMA SETTIMANA — OSTACOLO NELLA BOLLA
  7. .
    JOHN MING-YUE CAMPBELL
    MATRICOLA
    Difensore Protettore

    John: Bacchetta & Bisturi
    accetto le conseguenze delle mie azioni
    qui finisce il mio agire e inizia il mio silenzio
    sono nel pieno delle mie facoltà mentali
    prendo i pe per: gruppo I


    Edited by Ayakashi - 5/4/2024, 20:12
  8. .
    Il sapore della pelle che traeva con avidità lo rendeva ancora più convinto di praticare quella manovra per almeno qualche minuto, al punto che mentre lei inarcava la schiena lui fece scivolare una delle mani per potercela appoggiare e tenere in quella posizione, quasi una costrizione o una sorta di punizione irreale, incurvato su di lei a mo' di vampiro a prendere da lei ciò che voleva. Non era sangue, in realtà, il suo interesse ma il vago sapore ferroso durante la pratica era il segnale di lasciarla andare - anche se non avrebbe voluto - per non provocarle davvero una ferita. Il sospiro tremulo ripieno di piacere era così denso ed importante che tutto il corpo ne venne scosso, anche il turgore dentro di lei ebbe quel minimo movimento a smuovere le pareti irrorate di umidità che scendevano oramai da un po'. Si staccò quel tanto che bastava per potersi godere gli ultimi istanti dell'estasi provocata da quella dedica, stringendole il seno ancora una volta con una possessività tale da poter sconcertare chi non conosceva così bene l'uomo: il gesto fu così intenso che il braccio prese a tremare un po', neanche fosse stato colto da un brivido intenso.
    Spinse con il bacino più avanti così da poter collidere di nuovo completamente con il monte di Venere altrui, emettendo nella pratica un suono sospirato senza timbro vocale, un sussurro segreto che le riversò contro senza premura, delicato come un soffio di vento e potente come uno schiaffo. Lasciò la schiena, oramai non più il suo punto di interesse e si discostò quel tanto che bastava per prenderle la caviglia, pilotando la gamba - solo quella gamba - fino al busto ed appoggiandola contro di sé, creando così una irregolarità tra le posizioni delle gambe di lei, spingendosi un po' più in basso per piegargliela ulteriormente. Per star sicuro di poterla tenere la allacciò con il braccio, arto che diede una carezza prima con la mano e poi cinse la carne esternamente, così da poterle afferrare un fianco. In quella posizione vagamente scordinata, con le mani a tenerla ferma e premendole un po' contro, prese a muovere il bacino lentamente.

    Il turgore uscì piano, bagnato dagli umori di sua moglie, senza troppa enfasi in realtà. Non uscì del tutto ma solo quel che serviva per poter poi rispingere in maniera similmente lenta, fino in fondo, un ansimo di gola che quasi sembrava un singulto fuoriuscì delicatamente e senza vergogna, riverberando nell'aria. La casa in campagna aveva un enorme vantaggio, potevano fare quanto rumore desiderassero senza destare problemi o creare fastidi di sorta; nello specifico l'uomo voleva decisamente farsi sentire poiché per diverso tempo non aveva potuto farsi ascoltare dalla moglie in quei gorgheggi lussuriosi che gli provocava: voleva che sentisse ogni fibra del suo corpo, che vedesse lo sguardo scuro perso su di lei, incapace di decidere cosa guardare prima e che ascoltasse non solo le sue parole d'amore ma anche la nota più turpe del suo animo che rispondeva alla voglia altrui, un richiamo istintivo e preistorico, qualcosa di talmente naturale da non poter essere insegnato ma solo imparato. Desiderava ardentemente di mescolare il piacere che riceveva con quello di lei, voleva portarla a godere in maniere che neanche lui sapeva spiegare, letteralmente spegnerle la mente perché anche capire dove erano doveva diventare di difficile comprensione.
    Per questo spinse con un po' più di forza la seconda volta, uscendo e rientrando con più sicurezza. Così la terza. La quarta. Sempre un po' di più e sempre un po' più a fondo, schiacciandola appena con il suo peso. I respiri rotti che andavano ad intensificarsi, non c'era più una logica, tutto andava bene. Respirare. Apnea. Entrare. Uscire. Rientrare. Con il corpo morbido e agognato tra le dita, con l'intimo zuppo dei liquidi femminili, circondato e stretto in lei, il posto migliore del mondo. Con lei, la persona migliore del mondo. Godere per farla godere e viceversa.
    La fame era finalmente giunta.

    Lei e solo lei poteva vedere le catene del pacifico autocontrollo spezzarsi nel fondo degli occhi scuri dal taglio allungato del medico, lei e solo lei aveva il diritto di poter capire che era finalmente perso nell'Abisso che lei costituiva nella sua intera esistenza. Un buio e caldo abbraccio, morbido e amato, desiderato da tempo immemore e mai dimenticato. Sarebbero potuti passare secoli, millenni e se fossero stati entrambi vivi quella calda sensazione di volerla in tutte le maniere mai concepite e non sarebbe rimasta tale per sempre. Spinse più forte, con più foga, più voglia di sentire ogni centimetro del suo interno sfregarsi con prepotenza, quel limite tra piacere e dolore che sapeva essere sbagliato ma che piaceva sia a lui che a lei. L'impressione delle mani sulla pelle bianca sarebbero rimaste per qualche ora, considerata la foga con cui la teneva, con la paura netta di vedersela sparire di nuovo da sotto gli occhi senza preavviso. C'era quello di nuovo nella loro situazione, la paura, la disperazione provata e quel terrore potenziale di ricadere di nuovo in un baratro dove lei non era presente. Sua Luce e sua Maledizione, unite nella figura unica di Wilhelmina Asphodèle Campbell. Sua moglie. Sua amica. Sua metà.
    La prima delle sue ragioni di vita.

    Il torace si apriva e si sgonfiava senza senso ma ogni volta il bacino continuava ad andare avanti e indietro con rinnovato vigore, un furore sessuale che poteva essere paragonato a qualcosa di animale, privo di raziocinio a parte il più comune istinto di sopravvivenza. Vocalizzando ogni respiro con un ansimo che sembrava un urlo, un ruggito secco, continuava a prendersi la donna della sua esistenza con l'esperienza di conoscere quel corpo interamente, di lasciarsi vedere mentre si prodigava a darle piacere e mostrarsi nel piacere che lei gli provocava. Il turgore tirato e duro non lasciava requie, così come il cuore che dimostrava in quella maniera vagamente malsana ma così adatta a loro quello che provava senza dirlo poiché il suo sguardo vagava sì sulle carni saporite della moglie ma più di tutto cercava il suo sguardo, il suo volto, voleva vedere il mondo che si stanziava al di là del suo sguardo dove poter essere finalmente insieme.

    john ming-yue campbell
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  9. .
    I think I'll pace my apartment a few times
    && fall asleep on the couch
    doctor
    jan 17th 1977
    father
    john ming-yue campbell
    Aveva tirato a malapena tre incantesimi, tre incantesimi di livello neanche troppo complicato e aveva sentito la stanchezza quasi nell'immediato. Era invecchiato e doveva fare i conti con questa verità proprio nel momento più cruciale della sua vita, con sua moglie in battaglia e sua figlia in pericolo poco più in là. Alice, che già da lontano aveva visibili i segni di disidratazione e della malnutrizione. Uno spettacolo che non avrebbe augurato mai, neanche al peggiore dei suoi nemici.
    Sua moglie stava volteggiando da parte a parte, risollevando da terra i morti, neanche l'incanto per risollevare gli Inferi sarebbe stato così performante. Così efficace. Così letale.
    Aveva avuto anche la capacità di avvicinarsi ogni volta mentre lui cercava semplicemente di limitare i danni con incanti semplici, evitando il più possibile gli effetti collaterali della battaglia per il luogo, soprattutto per gli ostaggi. Come medico doveva aver cara la vita di chiunque, ma quel giorno i mercenari potevano essere carne da cannone. Non avrebbe ricucito le loro ferite.

    L'esplosione dell'incanto fu un colpo al cuore oltre che un danno collaterale impossibile da trattenere, qualche detrito era arrivato fino a lui senza però - fortunatamente - sbalzarlo via. Sia lui che Mina erano in piedi. Aveva ripreso sufficiente fiato e la via era libera, lui aveva qualche graffio così come la moglie e la bocca dello stomaco si strinse così tanto da dargli un'ultima sferzata di agire. «Vado!» L'unica parola che aveva detto in tutta la serata che non fosse stato un incantesimo. Poi il momento netto e denso di percepire il mercenario cercare di colpire alla testa la donna. «Obice Medusa!» Sibilò puntando la bacchetta sulla moglie, cercando di avvolgerla con la luce acquamarina come prima, ricoprendo solo lei per far sbriciolare il proiettile a contatto con la superficie.

    Quell'uomo doveva soffrire. Doveva soffrire tanto quanto lui, in quell'anno di perdita della moglie aggiungendo quel terribile e nefasto momento dove sua figlia era stata presa in ostaggio. Una bambina. La sua. Dalle labbra scivolò una frase in cinese, una frase che in pochi forse potevano capire, carica di odio e di rancore, una maledizione a lui e a tutti i suoi antenati, compresa la sua progenie. Qualcosa di veramente offensivo e dichiaratamente ostile da dire.
    A parte questo, con la bacchetta, tracciò una "X" nell'aria ed evocò l'Incantesimo del Rimpianto senza però nominarlo, facendo sfoggio delle sue capacità non verbali e quanto in realtà sia sempre stata nella sua natura non parlare. Se fosse entrato in porto i fantasmi del passato di Bubbles sarebbero arrivati a fargli rivivere tutta la disperazione delle sue scelte sbagliate, le sue perdite, le sue condanne.

    Da lì fu una corsa avventata verso sua figlia e l'altra vittima di quel sadico gioco in cui erano caduti. Entrambi smunti, denutriti, pallidi e spaventati. Si inginocchiò rapidamente con la bacchetta spianata, guardando prima i due - soffermandosi più sulla figlia - "Alohomora!" Un pensiero, la bacchetta che si mosse due volte ripensando allo stesso incanto per ogni paio di manette e liberare i prigioneri. Gli occhi cercarono di incontrare subito quelli della figlia scusa Shiloh, tvb dandole subito un bacio dopo averle preso la nuca per portare la fronte alle labbra. Un bacio molto intenso e molto breve. Una carezza in viso, premendo il pollice sulla guancia in una carezza quasi compulsiva. «Resta dietro di me, va bene?» Uno sguardo alla moglie, una ricerca disperata che aveva nel fondo degli occhi un'unica parola: speranza. Ora dovevano solo... cercare di sopravvivere a tutti gli altri.
    Sarebbero usciti tutti vivi da lì, ostaggi e salvatori.
    I mercenari.
    Beh.
    Non lavorava più al San Mungo da un bel po'.
    Father, into your hands
    I commend my spirit
    Father, into your hands
    Why have you forsaken me?


    (10) DIFESA MINA (john + yejun + dani): Barriera medusina sul proiettile (monobersaglio)

    ATTACCO BUBBLES (john+ grey + seb): Incanto del Rimpianto
  10. .
    I think I'll pace my apartment a few times
    && fall asleep on the couch
    doctor
    jan 17th 1977
    father
    john ming-yue campbell
    Era stufo di dover ricevere missive da chichessìa dove lo avvertivano che uno dei suoi parenti era scomparso nel nulla, era davvero stufo di dover fronteggiare quel tipo di debolezza manifesta che lo imputava come un marito e padre degenere, non in grado di proteggere la sua famiglia. Era davvero stufo di dover ballare sul filo della depressione ogni volta che succedeva una cosa come quella perché, per lui, era la seconda volta in due anni che qualcuno – questa volta il povero Duncan – lo avvisava di non aver più visto un membro dei Campbell. Prima la moglie. Ora la figlia.

    Anni di pratica nel dover dire ai parenti dei pazienti che non ce l’avevano fatta gli aveva dato la forza di mantenere un tono piatto e neutrale mentre le poche righe vergate dal secondogenito venivano elargite al tavolo dove sia lui che Mina stavano mangiando. Il rumore di vetri rotti venne incamerato immediatamente e senza dire una parola, sfoggiando la miglior tecnica di incantesimi non verbali, riparò il bicchiere, pulì il vino da terra e si mise a curare la ferita di lei esattamente come aveva sempre fatto. Alice era sparita, Duncan non l’aveva vista a colazione ed il primo pensiero dell’uomo fu ci hanno preso di mira. La paranoia cominciò a rimpolpare i vuoti che nella mente dell’uomo si erano creati dall’assenza della moglie, assenza ancora sofferta e in qualche modo avevano cambiato la natura pacifica del marito.

    I dieci giorni successivi dormì poco, praticamente niente, masticando a labbra chiuse tutta la bile che la situazione gli stava rilasciando in bocca: il Ministero non voleva fare niente, come al solito. Quando c’erano dei guai del genere se ne fregavano, era già un miracolo che Mina fosse tornata e non poteva di certo sperare in un altro. No, aveva già avuto la grazia, figuriamoci se potevano averla di nuovo. Se la prima volta il suo animo si ruppe in mille pezzetti, ora qualcosa di vischioso, putrido e marcescente tenevano insieme i cocci rotti, una rabbia ribollente ed appiccicosa, simile alla resina di albero – difficile da mandar via o sciogliere. Il Ministero non avrebbe fatto nulla? Non c’era davvero una buona ragione per salvare gli ostaggi?
    Amen.
    Avrebbe trovato un modo lui.

    Neanche ipotizzò di non dirlo alla moglie, non aveva segreti con lei e nel suo pallore dalle troppe poche ore di sonno, dal poco cibo ingollato a sufficienza per poter sopravvivere, dichiarò i suoi intenti accettando qualsiasi risposta da parte sua. Iniziò così la ricerca spasmodica di informazioni, cosa in cui lei era migliore e trovarono effettivamente ciò che cercavano.
    Una voce. Una pista da seguire.
    Era rimasto passivo per tutto il tempo durante l’estenuante attesa per il ritrovamento della moglie. Non avrebbe fatto di nuovo quello stesso errore.

    Una volta ritrovatisi al punto di interesse John non poté non notare come tutti fossero estremamente giovani, solo lui, sua moglie e all’apparenza un’altra persona sembravano avere un’età da mago socialmente adulto. Non che fosse davvero quello il problema, ma nella mente dell’uomo tutti gli altri potevano avere più o meno l’età di sua figlia. La cosa non gli piaceva, così giovani e già così disperati.
    Un’ingiustizia.

    Entrati fu palese che qualcosa non stesse andando secondo i piani. I loro passi non facevano rumore, il grosso lampadario di cristallo non emanava l’ombra naturale di cui era disposto e fu ben presto chiaro a tutti che quella era una situazione da cui cavarsi d’impaccio il più presto possibile. Erano entrati nella tana dei lupi, ne erano consci e nel suo spirito albergava l’odio innato di un padre verso chi aveva osato sfiorare sua figlia.

    Un ragazzo poco più in là era preso di mira da un tipo che stava utilizzando un’arma di matrice nipponica ed il suo sangue orientale bruciò forte in aggiunta alla rabbia di prima. Sollevò la bacchetta, quei due rudimenti di duelli ai tempi della scuola li ricordava ancora e tentò di aiutare uno dei suoi “alleati” cercando di rendere nullo l’attacco del mercenario, muovendo la bacchetta per puntare non tanto alla persona quanto allo strumento. «Permutatio gypsi!» L’incanto Gypso, se fosse andato in porto, avrebbe tramutato il materiale della catena in gesso, con il preciso intento di spezzare definitivamente l’arma durante la rotazione.
    Nella sua visuale entrò immediatamente l’unico altro adulto insieme alla moglie, un tipo che era stato preso di mira da una più normale arma da fuoco babbana, una Glock anche se non poté riconoscerla (la sua cultura da videogiocatore avrebbe potuto però dargli una mano). Ben peggiore, sua moglie era lì vicino e non avrebbe permesso a nessuno – nessuno - di poter alzare un solo dito su di lei neanche per sbaglio.
    Bacchetta dritta. Un rapido gesto antiorario del polso e una sferzata verso l’alto mentre dalle labbra un nuovo incantesimo veniva lanciato «Obice Medusa!» Dalla bacchetta sarebbe dovuto uscire un fascio di luce color acquamarina, luce che si sarebbe addensata su entrambe le persone per poter fermare il proiettile a mezz’aria – in realtà un effetto calcolato. John voleva precisamente che il proiettile rimanesse fisicamente lì.
    Così da poterlo rispedire al mittente.
    «Magneto!»
    C’era una sottile e negativa soddisfazione nel poter rendere il mercenario un magnete vivente per fargli schizzare di nuovo contro il suo proiettile.
    Father, into your hands
    I commend my spirit
    Father, into your hands
    Why have you forsaken me?


    (11) DIFESA SEBASTIAN (mina + john): Barriera Medusina sul proiettile
    ATTACCO G-BABY (john): Incanto di Calamita con lo stesso proiettile

    (13) DIFESA JAVI (ethan + john): Incanto Gypso sulla Kusarigama
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    Per quanto, a rigor di logica, la situazione fosse già conosciuta a memoria sia da lui che da lei, con movimenti e posizioni ripetuti chissà quante volte nel loro passato insieme, c'era sempre quel brivido di incredibile ed intensa gioia nel potersi dilettare nel percepire la donna muoversi e reagire al suo tocco. Era una soddisfazione che accarezzava anche l'ego di John, non l'avrebbe mai negato e quel sorriso leggero che mostrava un po' dei denti bianchi dal labbro superiore e quegli occhi scuri, fondi, dal taglio leggermente orientale brillavano di quel godere suo e dell'altra, con un'unica grande domanda a cui era impossibile dare davvero risposta: cosa lo soddisfaceva di più, il suo piacere o quello della moglie?
    Il consueto e desiderato calore che umettava l'apice del suo intimo era invitante in maniere che non potevano essere narrate, la libido tutte le volte tornava a quegli sprazzi di gioventù, accesa ed intensa, ogni singola volta - una magia quasi, per fare un paragone calzante; l'intensità era forse più acuita dall'anno di mancanza, c'era un fondo di disperazione in quell'anno passato senza di lei che rendeva la mera voglia una vera e propria necessità psicofisica che in quei contesti non era possibile nascondere. Il corpo dello stregone dimostrava quanto fosse visceralmente legato alla donna che aveva promesso di amare eternamente, anche dopo la dipartita di uno dei due quando sarebbe stato (il più tardi possibile). Con brevi respiri ancora calcolati, trattenuti e metodici riuscì a non sfogare tutta quella repressione su di lei, per più motivi già ovvi e che per tutto il tempo aleggiavano il retroscena dei suoi pensieri.

    La pelle della donna, chiara e dolcemente segnata dai nei che aveva imparato a memoria, era invitante come tutto il resto di lei. Non era solo il corpo, il desiderio al gradino più basso di tutti, ma era la persona e lo spirito che albergava in esso a renderla assuefacente, paragonabile ad ampie ed infinite boccate di troppo ossigeno da spegnere completamente i pensieri e lasciare la mente completamente sgombera di ogni ombra. Quando lo richiamò in quella maniera dolce ma laccata dal divertimento che manifestava sulle labbra riuscì a rimanere in ascolto, in sospeso, fermo a parte il petto che si gonfiava e sgonfiava ad un ritmo cadenzato, all'apparenza calmo. L'incendio che la provocazione lanciata in quel contesto era descrivibile come un cataclisma, l'uomo sentì improvvisamente un'ondata di calore ruggente sotto la propria pelle dimenarsi, simile all'Ardimonio di cui aveva solo letto una volta in un antico e proibito libro ad Hogwarts per una ricerca, un fuoco che mai poteva essere spento e consumava ogni cosa senza pietà o rimorso.
    Fortuna voleva che il suo mestiere, quello del medico - benché magico - gli aveva insegnato a domare ogni sorta di istinto, pensiero, paura o ansia per non sbagliare durante una delicata operazione che poteva salvare un paziente dalla morte certa; la concentrazione, lo spirito di annullamento e i nuovi ed efficienti allenamenti per l'Occlumanzia riuscirono a non far perdere completamente il lume della ragione e poter effettivamente agire secondo il desiderio altrui. Fu dolce ed ancora un po' piccante il bacio sulle dita, cosa che Mina faceva spesso anche solo come coccola ma fu il legittimo contatto con il seno a rendergli davvero difficile mantenere la concentrazione. Solo lei poteva ribaltare il mondo con un gesto anche più semplice, figuriamoci in un contesto del genere.

    La mano era già appoggiata alla soda carne e senza star a pensare davvero alla manovra successiva, agendo più di istinto che di ragione, strinse con le dita il resto per poter afferrare con presa ancora più salda ciò che sua moglie aveva gentilmente offerto con tanta solerzia: le falangi si piegarono con naturalezza mentre quella stilla di forza in più venne instillata, non più tenerla ma rivendicarne la proprietà attuale. Anche l'altra mano decise di afferrare il seno ma più che artigliarlo lo agguantò lateralmente, a volerlo impugnare e sollevare così il capezzolo. Incurvò la schiena verso il basso e al contempo cercò di spingersi un po' più all'interno di lei mentre schiudeva le labbra per accogliere il culmine del seno tra labbra e lingua, succhiandone la pelle con uno strattone davvero intenso, inaspettato se considerato la sua parvenza di tranquillità che in realtà era inesistente. Con suoni umidi di schiocchi strattonava la carnosa punta del seno in bocca, stringendo al contempo.
    L'aria veniva avidamente aspirata dalle narici, il battito cardiaco accelerato e la voglia di scivolare ancora più dentro di lei quasi ai massimi storici. La presa infame non permetteva davvero di abituarsi alla forza e al desiderio che proiettava su di lei, lasciando un po' la morsa per riprenderla e le labbra tiravano al punto che avrebbero sicuramente provocato un'ematoma da lì a poco. Era intenso come gesto e aveva capito negli anni quanto potesse effettivamente tirare anche se, come in quel momento, andava un attimo avvertito che stava perdendo il controllo.
    john ming-yue campbell
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  12. .
    Lo sguardo denso di significato della moglie, il suo corpo che andava via via a riscaldarsi sotto le sue dita e le sue palme, quel momento di leggera stasi del corpo altrui mentre le labbra si incontravano per strapparsi via l'anima a baci era qualcosa che John avrebbe voluto provare in eterno, tirare lo spazio ed il tempo all'infinito solo per poter assaporare ogni secondo come fossero giorni, mesi o addirittura anni. Ma nell'animo umano la bruciante passione non permetteva di godere per così tanto tempo di quella dolcezza famelica che lei mostrava e a cui lui rispondeva, la mortalità di cui entrambi soffrivano - benché maghi e destinati ad una vita longeva - rendeva ogni singolo istante passato tanto intenso da non poter essere calcolato.
    Le dita di lei che cercavano la carne del suo corpo lasciavano impronte immaginarie bollenti che gli scatenavano dei brividi piccoli ma continui, improvvisamente comprendendo come il mondo esterno fosse troppo freddo senza il suo tocco o forse il contrario, lasciando una fresca sensazione di piacere che diventava necessaria per l'incendio che la pelle pallida cominciava a sprigionare a quei pochissimi e non troppo delicati tentativi di sentire qualcosa di più del corpo maschile che aveva la fortuna di essere quello che lei apprezzava di più oramai da molti anni. L'uomo aveva il respiro molto profondo ma furono i movimenti di lei che accelerarono il battito, una danza che avevano ballato insieme da troppo tempo per non sapere cosa stesse cercando di fare, l'istintività carnale che facendo capolino regalava una sorta di folle lucidità sugli avvenimenti a venire e come comportarsi.
    Il bacino di lui con un'irruenza che non gli era sconosciuta ma che aveva un retrogusto di inaspettato ogni volta che ne approfittava in quella maniera cercò senza troppe cerimonie di intrufolarsi tra le gambe che venivano schiuse della donna, ricavandone il posto che poteva essere tecnicamente il preferito di sempre: tra le sue cosce.

    Le mani scivolarono dal collo alle spalle mentre con il proprio peso cercava di congiungersi con il busto altrui e spingerla, non senza la dovuta gentilezza, ad incontrare ancora una volta la schiena con il materasso, con la differenza che una delle mani di lui scivolava sotto la spalla per potersi aggrappare con un po' di forza ai capelli sulla nuca della donna mentre l'altra ghermiva con un effetto simile al Ratto di Proserpina la coscia della moglie, con una pressione attua a far risaltare la agoniata carne di lei.
    L'intimo turgido sbatté malamente contro il monte di Venere e ivi rimase, spostandosi con i movimenti inconsulti di John che, tra un ansimo scucito dalle brevi pause del bacio ed il riposizionamento di lei, sbatteva sgraziato tanto vicino al culmine della sua voglia quanto distante. Seppur dall'animo tranquillo e dall'espressività poco incline al cambiamento, era comunque fatto di carne e debolezze, due cose che Mina sapeva benissimo essere sue in egual misura: lui era solo un falò pronto da ardere ma lei era sempre il fuoco che lo consumava, quindi non era da stupirsi che quel contatto - maldestro quasi - fosse una cosa abbastanza normale. Di certo la mancanza di lei, il fantasma del suo possibile non ritorno e addio marcavano ancora di più quei gesti vivi ed intensi. C'era ben più di una necessità fisica, in quei gesti.

    Si staccò dalle labbra e raccolse, non senza fatica, tutta la sua capacità di essere lucido in momenti di difficoltà e questo solo per un motivo: voleva guardarla. Tra le turpi esigenze di John c'era la pretesa di guardarla in volto per poter godere di ogni istante dell'espressione che avrebbe fatto quando, finalmente, sarebbero diventati un tutt'uno fisico, totalmente uniti al bassoventre. Godeva e neanche poco nel vederla prendere aria, boccheggiare un attimo o di sentirsi ancora più ricercato, percependo le cosce fresche diventare bollenti mentre si allacciavano ai suoi fianchi come un oscuro monito, una maledizione imperitura se mai avesse lasciato quella posizione. Era una cosa che lei sapeva e lui non aveva mai nascosto.
    Si distanziò quel tanto che bastava con il ventre per poter avere spazio di manovra e lasciarle i capelli per potersi dirigere con una certa esperienza là dove l'esterno era ancora stimolabile, strusciandosi in maniera voluttuosa più di una volta mentre ansimava con un bassissimo vocalizzo il piacere e l'estenuante attesa che non faceva altro che renderlo incandescente.
    Come una serpe strisciò tra i lembi di carne più in basso passando e ripassando per farsi sentire, giungendo alla fine di quella pratica che era quasi una tortura per far cadere la sommità del suo sesso tra le pareti di lei, nel principio dell'intimo altrui. John dimostrò l'ennesima quantità di pazienza poiché non si spinse con violenza in lei, bensì cominciò piano ed un po' alla volta a scivolarle dolcemente contro, muovendosi con calma senza però distaccare per neanche un secondo lo sguardo dal volto.
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    L'espressività di quel bacio aveva una complessità tutta sua, una forma fin troppo alta e raffinata che comprimeva in un solo gesto tutto quello che l'uomo provava per la donna che aveva avuto la fortuna di trovare tanti anni prima: la mancanza di lei per quell'anno maledetto che al pari di una ferita sanguinante continuava a lederlo, l'eccitazione di poterla avere per l'ennesima volta senza mai stancarsi un singolo giorno della persona che aveva incastrato sul materasso e l'immenso, straripante amore che provava nei suoi confronti al limite della devozione più assoluta, come un fedele in chiesa che fissa con occhi enormi l'effige divina prendere vita per poterlo accogliere con sé, anche solo per una notte o una manciata di ore. Questo e molto altro quel bacio esprimeva in sferzate pesanti, rese ancora più concitate dal respiro che, avido, cercava di dare ossigeno ai polmoni aspirando tutta l'aria dal naso insieme all'odore di lei.
    John era in uno stato mentale che ben poco aveva a che fare con la logica, in quel momento, molto più incentivato a prendere le redini della propria istintività per poterla riversare sul corpo della moglie, insieme a tutto quello che era effettivamente il sentimento condiviso da due.

    L'amaro sapore di nicotina che la donna aveva in bocca non riuscì a sconcertarlo, quello che fece impennare la sua eccitazione fu sentire quelle cosce strette alla vita, una presa netta, conosciuta e tanto desiderata. Ogni singolo gesto, movimento, esalazione di Mina provocano ai suoi freni un laceramento strutturale, portandolo lentamente a pensare ad una cosa sola in maniera totalitaria: lei. Solo ed esclusivamente lei.
    La presa sulle spalline divennero grinfie vibranti che quasi attentarono al tessuto in un impeto fin troppo concreto, un momento di poca lucidità che recuperò in men che non si dica, solo per rispetto della vestaglietta altrui e dell'anno passato da lei, dove di soprusi ne aveva subiti anche troppi e di certo non aveva bisogno di immagini tanto crude tra le mura di casa, figuriamoci a letto.
    Il continuo strusciarsi contro di lei, però, sollevò ben più del normale ardore che era solito nascondere e mostrare solo a lei, il basso ventre stretto ancora da quei pochi lembi di tessuto sbatteva in maniera sempre un po' pressante contro di lei, in concomitanza della sua intimità, con movimenti di bacini lenti ma molto decisi, spinte che provocano qualche brivido intenso tali da fargli sollevare i capelli dietro la nuca.

    Quando Mina parlò il cervello fece una capriola intera per riassettarsi. Normalmente qualsiasi persona, in quello specifico momento, non sarebbe riuscito a contenersi e, con ogni dovuta probabilità, avrebbe perseguitato la via dell'animalità per raggiungere alcune zone più ricercate, magari assaporandone l'insieme. Ma John, da bravo medico con un'esperienza più che ventennale e una disciplina dettata dalla rigida crescita che sua madre gli aveva impartito riuscì a riportare i pensieri al loro posto, poiché lavorare sotto pressione era ciò che aveva deciso di fare nella vita.
    Il sospiro umido, tanto carico da far imbarazzare le tende della stanza, lo sgonfiò quasi completamente nel torso. Tentò dolcemente di appoggiare la fronte contro la scapola della moglie, aspirandone ancora i profumi. Deglutì, un groppo di saliva grosso come un Ungaro Spinato. «Sì... » Sollevò il capo per cercare di lasciarle un bacio sulla pelle, i primi centimetri liberi tra spalla e collo per poi farle spazio e al contempo non perdere ulteriori momenti importanti, mettendosi in ginocchio per abbassare l'unico indumento rimasto di lui, lasciando libero la parte fisica più nascosta di sé, in uno stato che lasciava intendere benissimo quanta voglia avesse.

    Ma dopo aver fatto questo non si avvicinò subito, bensì si prese il tempo di guardare l'altra denudarsi per la milionesima volta nella vita. Era quasi affascinante capire quanto quello spettacolo, al pari dell'alba del mattino o il tramonto della sera, fosse ancora uno dei suoi preferiti anche se quel corpo lo consoceva a menadito: i nei sulla pelle, le piccole cicatrici fatte in una delle tante roccambolesche uscite che i due avevano fatto negli anni, la precisione millimetrica con cui i suoi fianchi erano esattamente adatti alle sue mani, i seni perfetti per essere stretti o usati per trovare conforto. Non c'era un singolo pezzetto di pelle che non fosse esageratamente importante per lui. Essenziale, dalla punta dei capelli a quella dei piedi.
    Ma ancor di più, fondamentale potersi unire a lei quanto prima dopo aver goduto di quella manciata di secondi intensi ad ammirarla.

    Non era mai stato un uomo di troppe parole, non sciorinava sfilze di complimenti a pié sospinto e in quei precisi casi probabilmente avrebbe tirato fuori uno sfrondone sintattico da farli esplodere a ridere entrambi senza perdere nulla del momento. John era una persona che andava interpretata, concepita e capita come uno strano arabesco dalle tinte orientali e Mina era forse l'unica ad avere il codice di interpretazione perfetto per avere tutte le risposte di cui aveva bisogno.
    In quel momento, nel corpo e negli occhi del marito, c'era un trasporto tale, una qualità così alta di amore che estendeva ogni desiderio al limite conoscibile dall'umano e dalla magia.
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    Come fossero collegati dal un filo conduttore invisibile, l'affermazione della moglie fece volare la mente dell'uomo proprio a quelle circostanze dove, per un motivo o per un altro, il letto a due piazze era stato più efficiente di quello ad uno che condivisero per lungo tempo: per esempio la malattia passeggera di uno dei due bambini, alcuni febbroni da cavallo che portarono qualche notte insonne ed altre più liete, come l'addormentarsi tutti insieme per il gusto di voler stare tutti insieme. Magari dopo una vacanza in giro per il mondo o quando lei era tornata. Nonostante Alice fosse già grande la notte del ritorno dormirono tutti insieme, un po' strettini ma uniti.
    Il letto matrimoniale aveva acquisito un simbolismo importante ma anche quello singolo che stava pacifico nel diorama in salotto aveva la stessa importanza. Diversa, ma non da sottovalutare.

    John, più placido di lei di natura, non si dimostrò smanioso di proseguire quel bacio ben oltre la soglia del pudore, la sua serafica calma era un dato di fatto che spesso veniva meno quando Mina era il soggetto delle sue attenzioni, infatti lei poteva cogliere quel vago e distante principio di impellenza che si stava risvegliando piano nel corpo del marito, paragonabile ad un coro che parte in sordina per divenire maestoso via via che i secondi scandivano le ore passate insieme. Un processo in cui l'uomo si stava perdendo, accogliendo fin troppo positivamente e con istintività crescente l'avvicinarsi di lei, il contatto fisico più pressante, il torace che toccava le morbide e desiderate forme altrui, separate solamente da quel docile e fragile tessuto che copriva ancora il corpo della donna in maniera sbarazzina, a tratti fastidiosa.
    Sbuffò aria con appena più forza dalle narici mentre sentiva il tocco di lei raggiungere il volto mentre l'altra mano disegnava i suoi contorni in maniera delicata, un tocco che sapeva di reazione esotermica, il calore che si sprigionava dalla pelle dove veniva sfiorata mentre altro cominciava a sobbollire nel sangue, un risveglio lento ma altresì inesorabile.

    Non erano più le voci a comunicare, erano i gesti e le intenzioni che sembravano urlare all'altro cosa stesse per succedere e quel gentile essere invitato a riposizionarsi venne accettato quasi all'istante, morbidamente, simile all'onda che viene trainata dal mare e poi lasciata andare verso la spiaggia. Lei, il suo lido di felicità e serenità su cui poter sparire in una schiuma bianca senza pensieri; infine si impose un po', ancora del tutto attaccato a lei, scivolandole tra le gambe e premendo gli avambracci al lato del costato altrui per avere quel minimo di appoggio, quello appena necessario per non essere pesante, baciandola ora con una nuova stilla di insistenza, respirando con più voracità l'aria dalle narici, una necessità anaspante di recuperare ossigeno e profumo.
    Ogni movimento del corpo era una carezza involontaria, ogni respiro una pressione più intensa contro di lei, la pelle chiara che cominciava ad essere più calda, sensibile, ottenebrando il torpore mattutino di una notte di sonno che era stato abbandonato totalmente. In piccoli e ripetuti schiocchi umidi il bacio di John cominciò ad essere più vorace, le mani che tentarono di scivolare sulle scapole fino ad afferrare i sottili lembi di tessuto, uno dei due impedimenti che stavano ostacolando il suo crescente desiderio.
    Perderesi con lei in lei, per tutto il tempo che la loro fame fosse durata, istintivamente più simili alle bestie senza dover rendere conto a nessuno.
    Lasciarsi cadere nell'oblio di un piacere che non era fatto solo di carnalità, poiché tra di loro esisteva qualcosa che sin da subito li aveva cuciti l'uno all'altro, qualcosa di più profondo. Qualcosa che molti avrebbero invidiato, a ragione.

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  15. .
    Gli occhi scuri dell'uomo sondavano la figura a malapena vestita della moglie, i movimenti che conosceva al punto da poterli anticipare mentalmente, così semplici ma al contempo così importanti da occupare gran parte dei suoi pensieri. Era uno spettacolo di per sé? Sì. Il solo vederla era già qualcosa che poteva riempire l'animo umano, almeno a sua detta e nel vederla scivolare finalmente all'interno delle coperte non nascose quel briciolo d'impazienza nel poterla sentire bene contro il corpo.
    Il calore, l'odore, la presenza, quel minimo contrasto di temperature che si sarebbero da lì a poco mescolate per raggiungerne una completamente nuova e comune riuscivano per un istante, forse uno solo, a dargli quel senso di pace che da tempo era mancata sotto quel tetto.
    Respirava piano, il più piano possibile, come se non avesse diritto di vivere con lei mentre cercava di tenerla stretta a sé alla sua maniera: non troppo da toglierle il fiato, né poco da poterle dare una vera libertà di movimento senza dover chiedere per lo meno il permesso, cercando di inserire in quel gesto tutto l'amore che conosceva.
    Lei, così piccola sul suo petto, le scioglieva il cuore che prendeva una ritmica che lei sentiva, un cuore che batteva al suo fianco da quasi trent'anni. Le labbra dell'uomo tentarono di posarsi più volte sulla testa di lei mentre riceveva le carezze gentili delle dita sul petto. Era un momento importante, come lo era sempre stato, ma da quando era tornata c'era un'importanza ulteriore ad ogni singolo secondo che potevano passare insieme fisicamente. Una necessità estrema, che lui non diceva ma ammetteva con i suoi stessi gesti.

    Fu con un leggero moto di sorpresa che accolse quella frase lanciata in maniera innocente, quella sul loro letto. La memoria corse veloce a quel letto da una piazza sola che condividevano, abbracciati, senza avere lo spazio di girarsi o schiacciarsi a vicenda l'uno contro l'altro pur di dormire qualche ora prima di alzarsi. Quando dormivano. Quel letto aveva visto molte cose ed era indubbio che faceva parte delle loro memorie più importanti, intime e profonde; importante al punto che lui stesso aveva commissionato un mago artigiano che lo potesse rimpicciolire per poi costruirci un diorama della loro prima stanza e che stava in silenzio sopra al pianoforte, come un piccolissimo e segreto altare votivo.
    Sorrise piano a quel ricordo dolce, qualcosa che effettivamente rievocava solo bei ricordi, soffici come nuvole leggere che donano un po' di salubre ombra sotto un sole splendente non troppo caldo. «Abbiamo girato in lungo e in largo per questo...» La sua voce era più divertita che infastidita, rimembrando con altrettanta facilità i giorni in cui Mina decise di andare a caccia per trovare il "giusto talamo nuziale" che li avrebbe accompagnati fino alla fine dei loro giorni o poco più. Fu una vera impresa, bisognava riconoscerlo. «La faccia della strega che lo voleva ma glielo hai soffiato da sotto il naso per dieci galeoni in più.» Commentò con un leggero principio di risata, cheto e morbido.

    Tornò a guardarla in tutto ciò, osservandone il volto ancora mezzo nascosto e con le dita cercò di toglierle una ciocca di capelli dal volto in maniera gentile, una delicatezza nata anni prima e cresciuta con la loro relazione ed anche con il lavoro dell'uomo. Il suo tocco non era mai stato forte, forse saldo all'occorrenza, ma sempre con un retrogusto di gentilezza. «Manca anche a me.» Rispose piano infine, avvicinando il volto a quello di lei, con le gambe intrecciate alle sue, cercando di premere affettuosamente la punta del naso contro quello di lei. Dall'abbraccio venne liberata piano, il contatto corporeo però non smise, di nuovo la mano cercò di accarezzarle il volto piano e fermarsi con le dita sul filo della mandibola.
    Fu il vero primo tentativo della giornata, il posare le labbra piano contro quelle altrui cercando di assaggiarne il sapore, un misto di lei e probabilmente di porridge alla frutta con un sentore di tè bianco che aveva preparato lui con le sue mani. Conosceva già quel miscuglio di sapori ma era sempre una cosa nuova poterlo provare ancora ed ancora, all'infinito, sulle labbra della donna che era riuscita a donargli tutto ciò che neanche sapeva di desiderare.
    john ming-yue campbell
    2023 » maggiocredits
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40 replies since 20/11/2018
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