Posts written by mcscuse me

  1. .
    mckenzie leighton hale
    (levi milkobitch)
    They say I'm not ok
    I'm not ok, Ok, I got it
    Same story, different day
    But every day I say I'm sorry
    Era inconcepibile che Gaylord avesse condiviso l’utero con Willow, e dividesse il proprio genoma con Costas e Mort (e Reese, ma Reese non lo conosceva, quindi non poteva essere altrettanto sconvolgente). Willow. Costas e Mort. Battè vacuo le ciglia osservando l’espressione allegra del suo coinquilino, cercando una qualsiasi delle ombre che avanzavano sul volto del resto dei fratelli, ma non c’era traccia di istinti omicida, pensieri perversi, o complesso di onnipotenza. Qualcosa di liquido e caldo scivolò negli occhi grigi dell’Hale, la stessa morbida tenerezza con cui osservava GI Joni dormire con il becco nascosto sotto l’ala; l’incredulità che al mondo potesse esistere qualcosa di così meraviglioso ed ingenuo, e che lui fosse stato così fortunato da poterne essere spettatore. «hai ragione, non avevo pensato che avevi il cibo sullo stomaco. magari possiamo andarci un’altra volta!» Voleva disperatamente essere amico del Beckham. Non era solito avere molti desideri, troppo impegnato a sopravviversi per sperare in qualcosa d’altro, ma quando li aveva, anziché aspettativa, erano sempre sporchi delle emozioni più basse e buie dell’animo umano. Tinti di angoscia, e sconforto, ed una tristezza così brutale che faticava a sentirla propria. Ingoiarla ed ignorarla. Faceva così male volere qualcosa, che preferiva non chiedere niente ed aspettarsi di meno. Abbassò ancora lo sguardo sulle briciole della fetta biscottata, picchiettando i polpastrelli per raccoglierle sulla punta del dito, e scrollarle poi sul fazzoletto. Il suo psicomago gli avrebbe detto che avesse il permesso di stringere sulle cose, piuttosto che lasciarle andare; strizzò il pane fra le dita per concedersi di provare. Non ebbe il coraggio di guardare Gay, sentendo l’entusiasmo nella sua voce rendere l’aria fisicamente effervescente. Si sarebbe sentito obbligato a dirgli che non dovesse fingere, perché una parte di Mac sarebbe sempre stata convinta che quelle dell’ex Grifondoro fossero bugie. Bianche, assolutamente prive di cattiveria, perché non lo credeva quel tipo di bugiardo. Più tutti si aspettano io sia felice, quindi voglio essere felice e voglio che gli altri siano felici, indipendentemente da quanto in realtà avrebbe desiderato sbattere la testa contro il muro.
    Razionalmente sapeva non fosse (sempre) vero, ma il raziocinio aveva poco a che fare con i problemi di fiducia ed abbandono dell’ex Corvonero, inabile di mettere a tacere dubbi e battito nello sterno. Un altro dei motivi per cui non credeva di meritarlo. «faccio tante cose, anche troppe secondo willow» Si obbligò a non sobbalzare fisicamente al nome della sorella. Era un argomento comune, e costante, ed allo stesso tempo un non meglio specificato <>tabù che non mancava mai di seccargli la bocca, e fargli sollevare colpevole lo sguardo.
    Gli mancava Willow. Gli mancava Harper.
    C’erano giorni in cui voleva scrollare Gaylord e chiedergli se anche lui si sentisse tradito dalla loro assenza. Pugnalato alle spalle in cambio di una vita migliore. Un pensiero egoista, e sbagliato, ma non meno reale nello stringere un nodo alla gola.
    Non l’aveva mai fatto. E non l’avrebbe fatto quel giorno, mentre il ragazzo sciorinava le decine di attività in cui impiegava il proprio tempo libero. Non potè fare a meno di curvare un angolo delle labbra in un sorriso distratto, quelli più stretti e sinceri su cui non aveva controllo. Genuini come la malinconia negli occhi sollevati sull’ex Grifondoro, quando ebbe concluso la sua lista di impegni alternativi. «come darle torto» commentò piano, con una punta di divertimento. Rimase in silenzio qualche istante, sopracciglia corrugate nel valutare le tre ipotesi. Dubbioso, tornò alle origini di quella lista, guardando il Beckham con un misto di ammirazione e terrore. «vai in palestra... come passatempo?» Non avrebbe dovuto stupirlo, non dopo tutto quel tempo, eppure era uno di quei fatti che rimuoveva dalle proprie conoscenze, e non cessava mai di sorprenderlo. A Mac piaceva andare a correre, perché implicava scaricarsi e rimanere da solo con se stesso, ma la palestra? Con le… persone. Gli attrezzi. Uh. «conosco toctoc» scandì poi, sciogliendo sempre più la tensione delle spalle, perché faceva ridere ma anche riflettere che Gaylord lo trattasse come un vecchio – lo era, d’altronde; più di cent’anni alle spalle, anche se non vissuti tutti. Li sentiva comunque dolere nelle ossa. Infatti, si sarebbe trovato fin troppo bene all’ospizio, ma non era dell’umore per farsi stropicciare da anziani signori di ogni genere ed età, o farsi stracciare a bocce. Dare dai mangiare ai piccioni non gli dispiaceva – aveva visto anche lui il video sull’oscuro passato dei topi volanti, ma non interruppe il ragazzo per dirglielo: era adorabile quando si entusiasmava per qualcosa – ma non era certo di volerci passare tutto il pomeriggio. Magari mezz’oretta. «le recensioni non mi dispiacciono. Se ti… va?» Il fatto che quello fosse uno dei modi in cui impiegava il proprio tempo libero, non significava che volesse farlo quel giorno. Umettò le labbra, alzando gli occhi al soffitto. Era ancora in post sbronza, ma poteva lavorarci, e non aveva mai fame, ma poteva lavorare anche su quello, se significava entrare in una piccola parte della vita di Gay. Fra sforzarsi di ingurgitare polpette di polpo e dedicarsi al rafting, preferiva sicuro la prima opzione. Si sistemò meglio sulla sedia, avanzando fino a poggiare i gomiti sul tavolo. Quando guardò il Beckham, aveva – stranamente – uno sguardo lucido e serio, e poche difficoltà ad incrociarne gli occhi. Capitava di rado che concedesse contatto visivo, ma capitava quando aveva uno scopo, o era sovrappensiero. «ho sentito che hanno aperto una pasticceria che fa brioche quadrate, ed il cui interno è una sorpresa. Tipo gelatine tutti i gusti + 1, ma non cambia solo il sapore. Dicono che ogni sapore abbia un effetto diverso» curvò le labbra verso il basso. Era piuttosto scettico in materia, ma insomma, quando mai non lo era? «possiamo andarle a provare. Iniziare da lì e poi seguire...» agitò vago una mano nell’aria, senza concludere la frase. Non sapeva cosa potessero seguire. Di certo non la sua ispirazione.
    E no, figuratevi se questo è un modo per farci inventare nuovi dolcetti o cibi magici da inserire in lista oblivion, e farlo nel peggior modo possibile – testandolo. Anzi, se avete idee, secondo me hit us up, è il vostro momento!!
    legionnaire
    20 y.o.
    neutral
    not ok
    robert grace</td
  2. .
    mckenzie leighton hale
    (levi milkobitch)
    They say I'm not ok
    I'm not ok, Ok, I got it
    Same story, different day
    But every day I say I'm sorry
    «mac»
    Non si poteva dire che non ci avesse provato. Riabbassò lo sguardo sulla tazza vuota, stringendo le labbra fra loro nel curvarle verso il basso. Provò, se possibile, a farsi ancora più invisibile sulla sedia. Voleva fargli (i complimenti? Chissà come funzionava fra amici, non ne aveva mai avuti abbastanza per farsene un’idea) una lettura su come si fosse comportato in maniera pessima nei confronti del ragazzo? Perchè avrebbe avuto ragione, ma Mckenzie non voleva sentirselo dire lo stesso. «mh?» Tentò ad alleggerire il proprio tono, lasciando una curvatura morbida e non curante. «stai…bene?» Corrugò le sopracciglia, lo sguardo argento a saettare sul Beckham. Non stava bene da molto, molto tempo, l’Hale, ma credeva ormai fosse assodato, e potessero procedere con il resto della loro vita dando per scontato che la risposta fosse sempre no. «ti fa male da qualche parte?» L’anima. Il cuore. La testa, con quel lento pulsare che solo le post sbornie sapevano regalare – ma in maniera liquida, non una delle peggiori. Battè le ciglia, sinceramente confuso. Non era così che aveva immaginato la conversazione. «non ...troppo?» Sapeva non fosse buona educazione rispondere ad una domanda con una domanda, ma non sapeva di cosa… stessero parlando. Non aveva neanche vomitato, quindi la considerava una vittoria? Per risultare più convincente, perché assolutamente non aveva fatto il collegamento corretto, afferrò una fetta biscottata e ne infilò un angolo in bocca, continuando a guardare Gay con grandi occhi supplicanti ed un evidente senso di colpa. Come l’adesivo di Amy? Esatto. «Comunque, se vuoi possiamo andare davvero a fare rafting!» Che…. Cosa. Gaylord. Gaylord. Smise di masticare, osservandolo con briciole sulle labbra, ed un enorme punto interrogativo dipinto in volto. C’era anche un qualcosa di derogatory, nell’espressione vacua dell’Hale. Un ma perché mai e come ti è venuto in mente e hai leccato i muri della casa di Pandi? che sembrava necessario, visto che aveva appena detto se vuoi nella stessa frase di fare rafting.
    No. Chiaramente no. Perchè avrebbe dovuto. Aveva sentito… storie in merito al rafting, leggende, che non l’avrebbero convinto a salire a bordo del gommone neanche se ne fosse valsa la sua vita. Non aveva neanche un mullet come Lele: nell’au dei pirati, Mac poteva al massimo essere la sirena attaccata alla prua della nave.
    O il primo a essere buttato in mare. Funzionava uguale.
    Aprì la bocca per suggerire che al massimo potesse usarlo come remo, ma la richiuse.
    «oppure possiamo fare qualcos'altro se stai bene? dai, guarda che bella giornata non possiamo stare dentro tutto il giorno!!!»
    Chissà se era ancora in tempo per richiamare Daniel. Preferiva l’imbarazzo dell’incontro del terzo tipo, a quello - quello, nello specifico, significava dover guardare il suo coinquilino, nonché uno dei suoi (Joey, Kiel, Joni, Hans, Ty, Turo, Nicky, Meh – wow, ok. Poteva contare Barry? Corvina e Heather? Dylan? Gli Oakes valevano ancora? I suoi fratelli, di cuore o meno che fossero, non contavano, vero? Era una lista alquanto imbarazzante, non arrivava neanche a due mani; comunque meglio di quanto si fosse aspettato, quindi yay?.) pochi amici, e spezzargli il cuore, ricordandogli per la millesima volta che non fosse normale e sì, volesse passare tutto il giorno fra le quattro mura del loro appartamento. Ovviamente, perfino. Umettò le labbra, togliendo poi le briciole con il palmo della mano. Provò a guardare fuori dalla finestra, ma nel vedere il sole, non venne contagiato dall’entusiasmo dell’ex Grifondoro.
    Chissà come mai.
    Tornò a guardare il moro. Erano… amici. Sperava? Credeva. C’erano giorni, molti giorni, in cui pensava se lo fosse sobbarcato per mancanza di alternative. Come prendersi in casa un randagio, e tenerselo perché nessun altro lo voleva. Era rimasto… incastrato con lui, ed era senso del dovere a tenerlo lì. Ecco perché prese il proprio tempo, riflettendo su come rispondere.
    Non voleva dirgli no. Cioè, voleva, ed anche in maniera molto decisa e univoca, ma non poteva: se l’avesse odiato? Se si fosse stancato di lui? «uhm» Deglutì, spezzettando la fetta sopra il tovagliolo. «rafting magari...no.» Iniziò, passando nervosamente il dorso della mano sotto l’occhio. Ma cosa faceva la gente all’aria aperta. «possiamo...» dare da mangiare alle anatre? Andare a prendere un gelato? Allenarsi a Quidditch? Una partita di baseball? Cosa – aveva tempo di cercare su Google cosa facessero le persone normali di domenica? «ma tu cosa fai quando esci.» Dubbioso, ma interessato. Magari potevano iniziare da lì, ed accorciare la lista strada facendo.
    O se gli dava il tempo di una cannetta, magari avrebbe davvero proposto bungee jumping: wait for it.
    legionnaire
    20 y.o.
    neutral
    not ok
    robert grace</td
  3. .
    mckenzie leighton hale
    (levi milkobitch)
    They say I'm not ok
    I'm not ok, Ok, I got it
    Same story, different day
    But every day I say I'm sorry
    Mac voleva morire.
    Non una grande novità, direte, avendo perfino ragione, ma era diverso. Qualcuno avrebbe potuto dire in positivo, perché quel tipo specifico di morte non riguardava città fantasma, incubi, tutto quel sangue, inettitudine ad esistere, o guerre, ma quel qualcuno non sarebbe certo stato Mckenzie Leighton Hale.
    Perchè Mac, voleva morire. In quel preciso istante, ingurgitato dalle piastrelle del pavimento della cucina, mentre ancora stritolava la tazza di caffè ormai tiepido come ultima ancora alla propria sanità mentale. Teneva lo sguardo fisso sul bordo azzurro della ceramica, conscio di aver assunto lo stesso pallore dello zucchero al centro del tavolo, accartocciato su se stesso nel vano tentativo di passare inosservato. Un compito solitamente facile, ma comprenderete anche voi la complessità del divenire carta da parati quando al tavolo della colazione sedevano solo lui, il suo coinquilino raggio di sole, e Brad qualcosa. O Fred. Cade? Dopo anni lontani da Bodie, Mac ritrovò la sua spiritualità in tempo per domandare a Dio di prenderselo , in quell’istante, così da non dover affrontare né il durante né il dopo. Deglutì, il dentifricio ancora ad impastare la bocca e rendere imbevibile un caffè che già in partenza non voleva scendere, figurarsi con il retrogusto di menta e sostanze chimiche.
    Non incrociò lo sguardo di Gaylord Beckham neanche una volta. Nemmeno quando le domande – che in maniera molto, molto, vaga e distante, percepiva nel sistema – sembravano rivolte direttamente a lui, limitandosi a poggiare le labbra sulla tazza cercando una scusa per non rispondere; soprattutto non quando i quesiti posti in maniera così gentile, ed amichevole, dal fratello di Willow, rendevano l’intera situazione ancor più violentemente imbarazzante.
    Sei di qui? Che lavoro fai?
    Come vi siete conosciuti?

    Se non avesse avuto timore che poi l’avrebbe pure riportato in vita, avrebbe iniziato a pregare Abbadon, perché almeno della sua esistenza era certo, e qualcosa in merito avrebbe potuto farlo realmente.
    Non c’era alcuna malizia nel tono di Gay. Mai, ma soprattutto quando di fronte a sé si presentava una circostanza di quel genere, dove l’educazione lo spingeva ad offrire la colazione ad uno sconosciuto, e le chiacchiere servivano a riempire gli evidenti vuoti lasciati dall’Hale. Era un buono, il Beckham; uno di quelli che tentavano sempre di far sentire l’interlocutore a proprio agio, e nel mentre ti tenevano la mano nello sfidare limiti auto imposti. Cercava di compensare l’inadeguatezza dell’ex Corvonero, come fosse stato umanamente fattibile, con tatto e delicatezza – senza mai farlo sentire quello sbagliato. Gli voleva bene anche per quello, Mac.
    Di solito.
    In quel momento?
    Si affossò maggiormente sulla sedia, succhiando l’interno della guancia ed obbligandosi a sollevare lo sguardo in un punto qualsiasi fra l’influencer e – Neil? Corrugò le sopracciglia, inspirò; riflettè sulle proprie scelte di vita, rimpiangendole dal primo vagito alla vodka della sera prima ingoiata con la fretta di dimenticarsi di sé stesso; espirò, rilassando la fronte. Era abbastanza certo di essersi infilato la maglietta al contrario, perché sentiva l’etichetta pungere fastidiosamente la base del collo, ma era grato di quella seccatura: una lenta tortura che bastava a distrarlo dalla tragedia della sua esistenza.
    Se solo. Se solo. Se solo! La sera prima fosse stato meno ubriaco, forse avrebbe visto il messaggio in cui Gay gli diceva che sarebbe tornato a casa – aveva compreso senza bisogno che Mac dicesse alcunchè, che soffriva di problemi di abbandono, e tendeva ad informarlo dei propri spostamenti – quella notte, ed avrebbe trovato altri arrangiamenti. Se solo fosse stato un po’ più presente a se stesso, avrebbe, come faceva sempre, invitato il suo amico ad andarsene molto prima, e invece si erano addormentati, come se per Mac fosse normale dormire con qualcuno all’infuori di Harper. Era un ragazzo pratico, le sue conoscenze – quel tipo, almeno – molto… mirato ad un obiettivo specifico – il sesso era facile; le implicazioni, conseguenze, ed eventuali relazioni umane, affatto. Aveva una lista di posti in cui non tornare per evitare di incontrare le stesse persone due volte. Quello, era un errore da principiante.
    Ed era terribile.
    Valutò la castità, con le iridi grigie sollevate al soffitto. Promise il proprio corpo al Signore, se si fosse preso la briga di liberarlo da quel fardello – vivere, era quel fardello. Nessun orgasmo valeva quello. Fece scivolare le dita sul telefono, senza però prenderlo, già tentato di cercare il convento più lontano da Londra dove prendere i voti, e non dover mai più guardare in faccia Gaylord Beckham. In teoria, una teoria in quel momento molto lontana, sapeva non ci fosse nulla di male, e non dovesse vergognarsi di nulla. In pratica, era Mac, ed arrivava dal fuckin 1919, e voleva morire dall’imbarazzo di non saper cosa dire.
    Aveva scelto di non dire niente per l’intera durata della colazione.
    L’altro – qualunque fosse il suo nome; Mac si era arreso – sembrava perfino una persona… a posto. Sentiva i suoi occhi su di sé, ogni tanto, ma non si era mai azzardato a ricambiare le occhiate. Aveva una voce familiare. Un DJ? Si annotò mentalmente di non abbordare mai più una persona estroversa che fosse disposta ad accettare l’invito di rimanere la notte, e rimanere il mattino dopo, e scambiarsi convenevoli con uno sconosciuto.
    Altre domande. Gaylord era terribile, perché non sembrava interessato a quanto l’altro avesse da dire, lo era. Sinceramente, come se davvero avrebbe cambiato la sua giornata scoprire che aveva una sorella, e che il suo sogno era diventare un musicista. Pensò perfino di sentirgli dire che potessero fare qualche video insieme, ogni tanto, ma sperò con tutto il cuore che fosse stata un allucinazione dettata dal post sbronza, e dal rimbombo del cuore nelle proprie orecchie.
    Quando divenne intollerabile.
    Terribile.
    Troppo per la sua misera esistenza, perché il Beckham stava tirando fuori lo smartphone per fare qualcosa di terribile tipo scambiarsi il numero, si schiarì la voce. «gay, oggi è domenica» Alzò lo sguardo, spostandolo con un certo sforzo sul moro. Riuscì perfino a mantenere il contatto visivo senza implodere; progressi. «la domenica non devi fare…?» GAYLORD TI PREGO TI SUPPLICO FALLO USCIRE DA QUESTA STANZA DA QUESTA CASA NON PARLIAMONE MAI Più. Cosa facevano le persone nelle loro giornate libere? «rafting?» rafting, Mac? Davvero? Deglutì, le guance in fiamme. Prese tempo sistemandosi a sedere, tirando le labbra in un sorriso. «e mi avevi detto sarei potuto venire con te? A fare» espirò secco. «rafting» Dio, davvero, sicuro di avere di meglio da fare…? Un infarto, non chiedeva molto. Un mini sisma che interessasse solamente lui e non creasse altri danni collaterali. Scollò lentamente gli occhi dal Beckham, per posarli infine sul ragazzo. Aveva un bel sorriso. Voleva uccidersi. «eh» Ne seguirono brevi, ma intensi ed infiniti, momenti di confusione, prima che il canale gaymac si aprisse, e quando lo fece, Mac fu solo marginalmente consapevole dello scambio di parole fra loro.
    Ci mise anche qualche secondo più del necessario a rendersi conto che (JADEN?) si fosse alzato, e lo stesse guardando in attesa di … qualcosa. Se voleva essere accompagnato alla porta, aveva sbagliato persona. Forse Gay lo soccorse, dicendo qualcosa sulla falsa riga del il suo telefono è rotto, ti cerco io su instagram!!, o magari aveva scoperto la sua vena Willow e minacciato tutta la sua famiglia di morte prematura: non aveva ascoltato, quindi non poteva saperlo.
    Non si alzò. Rimase ad osservarlo mentre, visibilmente confuso, si avvicinava alla porta.
    Offrì un sorriso, quando si voltò a guardarlo. Agitò pure debolmente una mano per salutare.
    Il tonfo della porta suonò definitivo.
    Rimasero in due.
    Immaginava che quel momento sarebbe arrivato, prima o poi. Non era la prima volta che avevano uno di quei giorni, ma di solito era Gay a crearli, non Mac – e Dylan rendeva tutto più semplice, nel suo essere meravigliosamente Dylan Kane. Le piaceva; un po’ trillante per i suoi gusti, soprattutto al mattino, ma era adorabile, e gentile. Capiva perché fosse amica di Joni; capiva perché Gaylord Beckham la guardasse come se il sole nascesse e morisse dai suoi sorrisi.
    Comunque, situazioni… strane. Forse non quanto quella, ma.
    Si schiarì la voce. Avvicinò la tazza alla bocca anche se ormai era vuota.
    «bello il ristorante ieri sera?» Gracchiò, felice che almeno il giorno prima fosse stato abbastanza in bolla da spedire Harry sul divano di Twat e Hans: la situazione poteva sempre, sempre essere peggiore.
    DANIEL??????????????
    legionnaire
    20 y.o.
    neutral
    not ok
    robert grace
  4. .
    CITAZIONE
    L’unico raggio di luce a graziare la sua giornata era la presenza di Mort Rainey, una costante finestra sulla natura umana e sul perché le persone non avrebbero dovuto riprodursi.

    Renèe voce del popolo, meritava di finire qui (e sono pure loggata con l'account derogatory giusto :thumb up:)
  5. .
    mckenzie hale
    I play dead So that the monsters in my head
    Think that they’ve done their best
    And they can take a rest
    I think that I just might have played this part too well
    Uno dei problemi di esistere come un Mckenzie Hale, era non esserlo tutto il tempo; non sapere come farlo, o non poterlo fare a basta. Altalenante nella sua stessa pelle come il pendolo di Schopenhauer, persistente nell’oscillare fra dolore e noia – o indolenza, nel suo caso. Passava metà del proprio tempo a farsi scivolare le cose addosso perché incapace di afferrarle, e l’altra metà a piangerne le conseguenze in singhiozzi asciutti e notti insonni. Si domandava perché, e si rifiutava di trovare una risposta attiva: accettava che fosse così e basta, e non ci fosse un altro modo per vivere. Che sarebbe passato, con il tempo. Che avrebbe trovato la propria stasi di quiete dove riattaccare tutti i pezzi nel modo giusto, ed allora avrebbe compreso come aprire il palmo e stringere, nella pioggia, tenendo solo le gocce che contavano, anziché farsi inzuppare e non sprecarsi ad aprire l’ombrello.
    Non voleva che lo vedessero così.
    Così come?
    Disperatamente, tragicamente, ed interamente se stesso. Non c’era nulla di quel crollo che non fosse Mac: lo era piangere; lo era scusarsi; lo era supplicare che lo tenessero con loro; lo era non saper esprimere cosa, cosa, facesse così male; lo era non trovare un senso. E chi, chi, con un minimo di raziocinio ed amor proprio, avrebbe mai voluto quello nella propria vita? Perchè poteva essere altro, per un po’. Poteva essere il ragazzo con la mazza che si addentrava in una missione in Siberia senza sapere un cazzo di strategie militari, ma comunque ; poteva essere quello che lanciava oggetti a dei maledetti zombie. sfondandogli il cranio; poteva essere quello che si univa ad una guerra perché qualcuno doveva pur farlo, ma non poteva durare. Come poteva, durare. Ed allora tornava ad essere la bozza di un essere umano che nessuno si era mai preso la briga di concludere. Dimenticato in un quaderno; rivisto anni dopo, la promessa che quella matita sarebbe diventata pennarello, e nuovamente scordato. Non voleva lo vedessero così perché era come svelare il trucco di un gioco di magia, e nel momento in cui si fossero rese conto di quanto banale fosse, avrebbe perso tutto lo stupore iniziale. «Certo che puoi restare, tesoro. Piangi quanto ti va» Ma il punto era quello, no? A Mckenzie non andava di piangere. Non capiva neanche perchè. Voleva credere fosse semplice chimica, che lo scemare dell’adrenalina avesse causato un crollo di tutti i sistemi. Era terribile nascere come creature logiche e razionali, ed essere schiavi dell’intangibile: se avesse potuto afferrarlo, si convinceva, avrebbe potuto fare qualcosa. Drizzare le linee storte, unire i puntini, dipingerci un cazzo di Van Gogh per cancellare la macchia d’inchiostro, non sapeva che cosa. Qualcosa. Ricambiò la stretta di Heather Morrison perché sapeva già di addio, di una di quelle porte spalancate per caso e destinate a rimanere serrate per sempre. In quel momento era sincera, lo sapeva, e non c’era nulla nel bacio soffiato sulla guancia a suggerire che non lo sopportasse, ma Mac avrebbe ripensato a quel momento e sarebbe riuscito comunque a renderlo diverso, leggerci tutto un altro vocabolario. La sua specialità. Così fragile, che perfino nell’istante in svolgimento riusciva a riconoscere che fosse una prima ed ultima volta. Perchè non avrebbe dovuto esserlo? La vita era già complicata senza le complicanze altrui, e l’Hale sapeva di essere esattamente quello: un problema. Una variabile. Un peso ad impedire alla barca di galleggiare come avrebbe potuto, ancorandola a terra.
    Mac tendeva ad isolarsi perché sapeva di infliggersi agli altri come una malattia, e che non sempre, alla presenza di sintomi, fosse in grado di allontanarsi. Era di carne e sangue, alla fine. Di battiti, anche se a saltelli. Non sapeva vivere da solo.
    Magari era giunto il momento di imparare a farlo.
    «se vuoi, continuiamo a parlare di altro per distrarti. Ma se preferisci sfogarti, ricorda che abbiamo sopportato il generale Mort per settimane, e non potresti mai essere peggio di lui» Tenne gli occhi chiusi, perché avrebbe davvero preferito non viversi in quel momento, ma un angolo delle labbra si sollevò comunque verso l’alto. Valutò di socchiudere le palpebre solo per poter guardare il viso della Morrison mentre faceva battute su Mort Rainey, in una squallida tavola calda, per alleggerire Mckenzie Hale: immaginava dovesse essere una visione straordinaria. Heather non era decisamente come aveva creduto fosse; come Heather, aveva voluto credesse fosse. Deglutì, e nel nodo alla gola sentì qualcosa di diverso dalla solita stretta. Un solletico a suggerire affetto, e adorazione, ed un po’ di più, al limite con la venerazione religiosa. Quel tipo di amore puro e ingiustificato che i cristiani giuravano a Dio, e di cui l’Hale aveva spostato chiesa a quel fast food cambiando croce e altare. «con tutto rispetto per il futuro miniftro, mort 2k24» Cedette ad una risata umida e rauca. Cedette perfino all’aprire gli occhi, posati con reverenza sul sorriso della bionda. «mort...rainey» mormorò piano, decidendo di non elaborare: si commentava già da sé, con solo il proprio nome. Non ne sarebbe uscito nulla di lusinghiero nei confronti del Serpeverde, come suggerì lo sbuffò a fior di labbra dell’Hale, ma comunque tinto di qualcosa di incredibilmente vicino all’affetto. In parte ammirazione, perché ci voleva davvero… molto per essere Mort Rainey, ed esserlo sempre. Quasi invidiabile. Stupido e senza senso in qualunque contesto, perfino in guerra, e solo Dio – e tutti gli infermieri del San Mungo – poteva immaginare con quale monologo avesse deciso di sancire la fine della guerra.
    Gli mancava quasi.
    Un pensiero che bastò molto in fretta a fargli sparire il sorriso, sostituendolo con sopracciglia corrugate ed un rapido sfarfallare di ciglia. A suo favore, era davvero molto stanco.
    Prese marginalmente nota del fatto che Corvina si fosse alzata, ma non lo sfiorò neanche per un istante che la ragazza l’avesse fatto per andarsene. Sapeva non fosse quel tipo di persona: se avesse scelto Mac fosse troppo patetico, gliel’avrebbe detto e basta - magari l’avrebbe anche colpito, più o meno forte. Fu però sorpreso quando fece il giro del tavolo e si posizionò alle proprie spalle, le braccia su di lui e la guancia contro la sua testa.
    Oh. Ogni muscolo fino a quel momento si sciolse, facendolo affondare sul divanetto e maggiormente nella stretta dell’altra. Quando chiuse gli occhi fu per sentire tutto, piuttosto che non togliersi dall’equazione. Sapeva di addio anche quello, e Mac lo sapeva, ma scelse comunque di prendersi tutto, almeno per quel momento. Strinse di più la mano di Heather sollevandola per portarla sul proprio cuore, e chinò il capo non per nascondersi, ma per posare un bacio sul dorso di Corvina. Non gli capitava spesso di sentirsi… accettato.
    Forse perché non aveva mai permesso a nessuno di farlo.
    Quasi, nessuno.
    « Mah, figurati se ti cacciamo, ti abbiamo già adottato... tira fuori tutto, Musetto... »
    Oddio. Strizzò le palpebre, ma non bastò ad impedire la nuova ondata di lacrime. Più lente, però; più dolci, più un arrivederci. Un andrà meglio. Il pendolo a scendere per cambiare zona, ed esitare al centro dove tutto andava bene.
    Nulla andava bene.
    Ma andava bene comunque, perché il contrario non era contemplabile.
    «grazie» un bisbiglio, ma il più onesto che possedesse. Nudo, strappato da tutto, gonfio della venerazione che provava nei confronti delle donne al suo fianco. «scusate» d’obbligo, ma a cui aggiunse il fantasma di una risata. «mi dispiace» arricciò il naso, perché il dispiacere per aver chiesto scusa era un circolo che non sapeva come fermare. Si schiarì la voce, un paio di volte.
    Poteva sfogarsi.
    Non voleva, però. Non era sano, e non gli avrebbe fatto bene, ma non voleva. Non in quel momento. Soffiò piano, però, che «ho sentito che al san mungo ci sono psicomaghi molto bravi» sillabato lettera per lettera, a concludere ufficialmente la discussione. Una promessa, a se stesso più che a loro, che avrebbe cercato aiuto in qualcosa che non fossero l’alcool o le droghe. Magari non il giorno dopo o quello successivo, ma… l’avrebbe fatto. Doveva solo uscire dalla mentalità con cui era nato e cresciuto.
    Un gioco da ragazzi.
    «dovremmo comprare delle caramelle alla cassa. Per adrian» un sorriso sulle labbra dell’Hale – sincero, anche se frammentato. «alla menta piperita, ovvio» abbassò il timbro di voce mimando quello dell’uomo, un sopracciglio a scattare verso l’alto ed un’occhiata divertita, ma titubante, alle ragazze.
    Ci stava provando.
    gif code
    2003
    (1903)
    ((2043))
  6. .
    mckenzie hale
    I play dead So that the monsters in my head
    Think that they’ve done their best
    And they can take a rest
    I think that I just might have played this part too well
    Premette la lingua sul palato, rompendo la crosta croccante della patatina e disfacendola senza morderla. Deglutì la purea ancora intera, con tutti i pezzi affilati a graffiare la gola. Appiattì il resto in bocca, perché il coraggio di masticare non lo aveva, e di non farlo neanche.
    Magari, se si fosse mosso piano. Molto piano. Disturbando la superficie dell’acqua solo il necessario per farla tremare. Magari sarebbe rimasto tutto uguale. Magari lo tsunami devastante non avrebbe raggiunto la sua spiaggia. Magari poteva rimandarlo ancora un po’.
    Capo chino, e sguardo distante. Strofinò il polso sul legno del tavolo per togliere il segno della goccia scivolata involontaria dalle ciglia bionde. Mormorò uno «scusate» così basso, che forse non lo fece affatto. Respirò piano, maledettamente piano, perché il fiato arrivava sempre ad un punto preciso in cui si bloccava e saltava facendolo sussultare. Stupidamente. E quando lo sputava fuori troppo veloce, sperando che liberandosene potesse riprovarci e farlo meglio, gli occhi bruciavano e doveva spazzare un’altra lacrima dal tavolo del wizburger. «scusate» Meccanico, atono. Un mormorio sottile a sgusciare dalla crepa che sentiva al centro del petto, ad allargarsi ed ingoiare tutto il resto. Lo stesso nulla della faglia. Un identico vuoto. Non era manco affamato, quell’abisso lì: prendeva quel che c’era intorno solo perché attratto dalla forza di gravità. Passivo. Incapace di fare altro se non rimanere a guardare.
    Come lui.
    Chiuse gli occhi e sentì le palpebre tremare ancora. Se avesse potuto rimpicciolirsi di più, su quella panca, l’avrebbe fatto. Sparire nella carta unta delle patatine fritte aperta di fronte a lui; nella voce di Corvina, nel braccio di Heather posato vicino al suo, nella curva delle labbra di Reggie. Se teneva gli occhi chiusi, poteva fingere di poterlo fare. Di averlo fatto. Potevano tenerselo incastrato in quel bugigattolo come un segreto nascosto al mondo, ridendo della loro vittoria come se la fosse stata e ne fosse valsa la pena.
    Magari era davvero così.
    Mac non era obiettivo. Avrebbe dovuto, ma non poteva. Si ripeteva la parole scelte e cosa c’è di diverso dall’Azerbaigian; si diceva non sono stato io, e quella era forse la menzogna più vera di tutte: perché poteva crederci, di non essere stato lui, ma era come l’avesse fatto. E se poteva cascarci con il raziocinio, non ci credeva dove contava di più, in una coscienza ed una morale deturpata da tante cose che aveva cercato di lasciare integra sulla punta. Almeno in quello. Di principi ne aveva pochi e sempre meno, l’Hale. Era partito con centinaia di ideali, e li aveva visti cadere anno dopo anno, vita dopo vita. Aveva vent’anni ed ormai gli bastavano entrambe le mani per contarli; forse una e qualche dito. Le stesse mani che strofinava sul tavolo bagnandole nell’ennesimo scusate, che sfregava fra loro cercando di liberarsi dal sangue. Che strizzava sperando di non sentire.
    Voleva dirlo e non sapeva come. Non voleva dirlo perché sapeva esattamente come, e non poteva perdere la risata cristallina di Veena e la stretta della Morrison alle spalle. Non poteva perdere io e te? perché anche se non serviva a salvarlo come naufrago, lo accompagnava come un miraggio.
    Ma Dio. Dio.
    Mckenzie Leighton Hale aveva davvero creduto fosse la cosa giusta da fare. La migliore.
    Mi credete?
    Era stato facile finché i soldati nemici non li aveva conosciuti. Di loro aveva potuto immaginare il peggio, lasciarsi cullare dalla beata ignoranza. Pensare un po’ quello che preferiva. Crudele, ed incoerente - lo sapeva. Lo sapeva.
    Ed avrebbe dovuto essere uguale.
    Non lo era.
    Faticava a comprendere come scorresse il tempo, a rimontarlo in un ordine che non fosse casuale. Tornava tutto a frammenti, anche quando credeva di non star pensando a nulla.

    Hunter Oakes che si pugnalava al petto.
    Gli sembrò di sentire le grida di Halley e Nicky, ed alzò colpevole lo sguardo oltre le proprie spalle.
    Un battito di ciglia. Due. Mi credete? Ricordava i cartelloni con su scritto che Hunter, in sala comune, non ci potesse entrare, perché aveva vestito i colori rosso-oro alla partita contro i Corvonero. Ricordava di averlo trovato assurdo e divertente; che per Harper avrebbe fatto lo stesso, e che per il sorriso di Halley nel vedere il fratello sugli spalti, ne fosse valsa la pena. Ricordava Mac?! Tutto ok? Vuoi… parlarne? Ti sta minacciando? Sei sotto imperio? Dai, siediti qui, ti faccio un po’ di spazio. che era stato assurdo, e divertente, e perchè si era preoccupato per lui quando non gli doveva niente?. Un concetto ancora astratto per Mckenzie, qualcosa di cui continuava a stupirsi, perché certe ferite rimanevano aperte indipendentemente dalla quantità di cerotti a tenere stretti i lembi della pelle. Che qualcuno si interessasse; che allungassero una mano verso di lui. Costantemente. Che esistessero al mondo persone in grado di essere gentili perché potevano, e non perché dovevano. Perchè sceglievano di esserlo.
    Scelte.
    Mi credete?
    Capace solo di fare quelle sbagliate, perfino quando drizzava le spalle, respirava profondamente, e si dicesse che quella fosse la volta giusta. Che avrebbe smesso di basta provarci, Mac ed avrebbe realmente reso il mondo un posto migliore. Una volta. Chiedeva solo una volta.

    Spezzettò un altro pezzo di patatina con le dita. Lo spinse fra i denti e non morse.

    Il crack del collo di Rebekah.
    Lei che non aveva perso tutto. Che ci aveva creduto, e ci credeva ancora. Una scintilla nello sguardo che l’Hale le aveva invidiato anche quando si era spenta, e non perché avesse fatto la scelta giusta, ma perché avrebbe voluto essere in grado di illuminarsi allo stesso modo. Per qualcosa. Qualsiasi cosa. Invece non ricordava neanche più quando avesse smesso di sentire. Sentire e basta. L’inizio di quella guerra? La Siberia? Tottington? Gli esami? Bodie?
    Il boato ed il sangue, tutto quel sangue.
    Mac aveva di nuovo sedici anni, era ad Hogwarts. Il suo primo passo nel nuovo secolo, con ancora il 1919 incollato sulla pelle. Aveva sedici anni, ed Heather Morrison era morta, e Barrow Skylinski era morto, e Floyd Villalobos era morto, ed Erin Chipmunks era morta, e lui non aveva capito il gioco, ed aveva stretto la mano della sorella nella propria fino a sbiancare le nocche. Guardato le lacrime sul volto di Bucky senza comprendere. Il cuore a battere sulla lingua ed il rame a spandersi sui denti. La testa a vorticare e tutto quel sangue. Sui vestiti ed i polpastrelli.
    Era stato lo stesso a Stonehenge, ma non c’era stata Harper, e Mac non aveva fatto niente e basta, perché aveva di nuovo sedici anni ed erano tutti morti. Occhi spalancati. La caverna. Bocca dischiusa. Gli spuntoni. Lo sguardo a cercare qualcuno. Non c’era nessuno. Più terrificante, perché quelle persone le conosceva. Perchè aveva voluto essere quello grande ed indipendente che manteneva le distanze, ed invece finiva sempre per arrotolarsi sul dito ogni gesto gentile e riguardarlo sorridendo quando si sentiva solo. Per ricordarsi che al mondo qualcosa di buono ci fosse. Rendeva quei fili anelli e promesse, come se fosse mai stato in grado di mantenerne una. Incapace di concedere fiducia, ma disposto a lasciare un pezzo del proprio cuore anche a chi non lo chiedesse. Supplicando, anzi, che potessero tenerlo. Nascondendoglielo nel taschino così che non dovessero neanche guardarlo, o sapere ci fosse.
    Una cosa solo sua.
    Mi credete?
    Reggie – dov’era Reggie. Nicky – dov’era Nicky.
    Dominic - ? Hunter e Halley? Arci?
    Moka – dov’era Moka.
    Un passo, e la gamba a cedere. Sopracciglia corrugate. Sguardo abbassato sull’osso sporgente.
    L’aveva toccato e non aveva sentito nulla, perché Mac aveva sedici anni, era ad Hogwarts, ed erano tutti morti. Un respiro, due respiri, ed al terzo aveva aperto gli occhi perché aveva vent’anni, era a Stonehenge, e non erano ancora morti, ed allora aveva preso marginalmente nota dei corpi.
    Tanti.
    Turo?
    Respira. Battè le ciglia e respira, Mac - un monito a se stesso, tinto dal conforto del sollievo sul viso di Costas. Gli Oakes e Nicky erano insieme. Dominic ed Isaac. Adrian Corvina ed Heather. Il terreno a tremare ancora. Tentò un passo, si fermò, abbassò lo sguardo su Mort e pensò che il Serpeverde dovesse trovarsi degli amici. Lo afferrò comunque dalla divisa, trascinandolo lontano da chi morto lo era davvero. Si assicurò perfino che respirasse ancora – esitando appena, perché non voleva saperlo.

    Deglutì a vuoto. Un paio di volte, per essere sicuro. Fece scivolare le dita fino al bicchiere di carta del fast food, premendole sulla superficie per non sollevarle e vederle tremare. Una visione che avrebbe volentieri risparmiato a Corvina ed Heather, potendo; che se fosse stato in grado, se solo ne fosse stato in grado, Reggie non avrebbe mai conosciuto. La sua versione peggiore; quella reale, per intenderci. Che non meritava nessuno. Quella che teneva stropicciata sotto il cuscino su cui non dormiva, Mac e che teneva per quando poteva fissare il soffitto ed ammettere a se stesso che fosse stanco. Quando soffiava a se stesso che avesse bisogno di morire, e si ricordasse che non volesse farlo. Avvicinò la bevanda a se spingendola delicatamente per non rovesciarne il liquido. Lasciò una scia umida di condensa sul legno; passò il polso anche sopra quello.

    Lo sguardo di Moka.
    Ad occhi chiusi. Occhi aperti. Mckenzie tornava sempre e comunque a quel momento. La mano del Telly a premere sul fianco ferito, il braccio libero avvolto alle spalle di Cherry. L’espressione dolorante, lo sguardo a cercare qualcuno e trovare comunque il tempo di posarsi su di lui. Ma perché. Perchè non aveva potuto odiarlo e basta. Perchè nel momento in cui l’aveva visto dall’altro lato, dopo la Siberia e le pistole ed i sorrisi a labbra chiuse, non aveva semplicemente potuto decidere che fossero troppo diversi e non fosse più affar suo. Che non lo conoscesse affatto. Non era stato molto, solo un’occhiata. Ma c’erano una trentina di persone, e Moka aveva comunque guardato anche lui, e - mi credete?

    Sfregò la guancia sulla spalla, imperterrito nella propria litania. Era solo aria soffiata dalla bocca dischiusa, senza voce. La bocca a muoversi verso le ginocchia. Stavano parlando di altro, le ragazze; non avrebbe saputo dire di cosa neanche se ne fosse valsa la sua vita. «scusate» e guardò le bollicine chiare della bevanda a sfrigolare in superficie. Strinse le dita sulla carta e riempì i polmoni con lentezza.
    La cosa giusta. Per una volta. Solo una.
    Sapeva che Corvina stesse parlando perché sentiva la sua voce, e sapeva che qualcuno avesse perfino risposto, ma le sue orecchie ronzavano di -

    «ma potremmo essere dalla stessa parte. Non è troppo tardi»
    Dio ci pensava e ci pensava e ci pensava e.
    Avrebbe potuto andare diversamente. O magari no, ma avrebbe saputo di averlo fatto per qualcosa e ne sarebbe valsa la pena. Avrebbe saputo di averlo fatto per qualcuno e se lo sarebbe fatto bastare. Non era troppo tardi finché troppo tardi lo era stato.
    L’Hale stava ancora guardando quando le piante avevano iniziato ad avvolgersi sui maghi. Seduto per terra, ginocchia al petto, mani arrotolate alla divisa. Gli occhi li aveva chiusi dopo, quando non c’era stato più niente da guardare. Quando anche l’idea di vedersi riflesso sul viso di qualcun altro era diventata troppo. Molto dopo. Arci l’aveva visto sanguinare, e cadere a terra. Bells. Hunter e Halley. Bertie. Erisha Byrne. Neffi. Mi credete?

    Usò l’acqua della condensa per lavarsi le mani. Piantò le unghie sulla pelle e trascinò fino a sentirne il bruciore, che magari se avesse graffiato abbastanza da sanguinare sul serio, avrebbe smesso di vedere il sorriso del nuovo (ex) capitano della squadra dei Corvonero all’ennesima ramanzina del Moonarie. Mise la cannuccia in bocca per fare qualcosa.
    Non bere. Ne aspirò un sorso e lo tenne sotto la lingua, occhi ruotati alle luci al neon del locale.

    «non sono bellissimi?»
    Ci aveva davvero creduto, Mac. Che fosse la cosa migliore, unirsi a Lamovsky.
    Loro gli avrebbero creduto?
    Un atto di fede. Un salto ad occhi chiusi. Perchè l’Hale nella vita non puntava ad essere l’eroe, ma ad essere migliore di se stesso sì. Si lasciava ispirare da Hunter, che una mano l’aveva allungata anche quando l’aveva ferito, e da Arci che gli diceva non fosse troppo tardi, e da Moka che anziché prenderlo in giro gli diceva che la sua mazza fosse forte, e da Ptolemy che gli aveva dato il suo maledetto numero di telefono e gli aveva insegnato a sparare e - ma perché. Perchè in Siberia non l’aveva semplicemente accettato come il caso umano del gruppo. Perchè anziché allontanarlo se l’erano tenuto stretto. Ma perché. Lui che con loro non c’entrava nulla, sempre con i motivi sbagliati. Fuori tempo. Le scelte sbagliate. Da tutte le vite.
    Per una volta. Una sola.
    Aveva imparato e l’aveva usato contro di loro. Danno e beffa. Ed ecco cosa succedeva a dargli fiducia, ed ecco cosa capitava quando gli si dava un’opportunità.
    Spariva per mesi. Uccideva persone.
    Mi credete?
    Magari sì. Magari l’avrebbero fatto. Magari lo sapevano già. Magari non aveva importanza.
    Ma Mckenzie in quella radura aveva nascosto il viso nella divisa e non l’aveva più rialzato.

    «stai facendo un ottimo lavoro»

    La voce di Ptolemy incastrata nelle orecchie, anche quelle a ripetizione.
    Sembrava un’altra vita. Erano passati solo due mesi. Sembrava il giorno prima.
    Smise di strofinare i polsi sul tavolo ed osservò solo le gocce espandersi e prendersi gioco di lui.
    Non sapeva che farci – con se stesso, con quelle lacrime, con l’attacco di panico che ancora gli attorcigliava il petto impedendogli di respirare. «scusate» si schiarì la gola ed alzò la voce. Di poco. Pochissimo. Abbastanza da farsi sentire ed odiarne ogni momento. «non -» cosa. «io -» cosa. Dondolò veloce le gambe sotto al tavolo, sentendo il cuore sulla lingua.
    Scusate se esisto nel modo peggiore.
    Per una volta.
    «Stai facendo la cosa giusta»
    Una sola.
    «Sei stato coraggioso. Sei coraggioso»
    Mezza.
    Mckenzie Leighton Hale avrebbe voluto -
    «Sono fiera di te.»
    Fosse vero.
    Mi credete?
    Pensò di chiedere a Corvina se volesse una delle sue patatine.
    Pensò di domandare a Reggie cosa avesse ordinato.
    Pensò di offrire ad Heather la confezione ancora sigillata della propria salsa.
    Pensò tante cose.
    Poi alzò il capo ed il movimento fece collassare l’argine delle ciglia, facendo scivolare gocce salate sulle guance; immaginava fosse tardi per proporre di prendere un hamburger in più. Drizzò le spalle e si impegnò a non far tremare la voce. Continuò a non guardare nessuna delle tre.
    «scusate»
    Battè le ciglia.
    «posso -»
    Deglutì.
    «comunque -»
    Alzò gli occhi al soffitto.
    «rimanere con voi?»
    (vi prego non mandatemi via)
    «la smetto»
    (non posso andare da nessun altra parte)
    Aprì la bocca e la richiuse.
    «la smetto»
    Di provarci. Nessun altra volta.
    gif code
    2003
    (1903)
    ((2043))


    Edited by mcscuse me - 4/6/2023, 04:22
  7. .
    mckenzie hale
    i'm not interested in glory through combat anymore.
    i do not want to be part of this shit.
    //
    on the battlefield again.
    «devo proprio?» Sì, doveva, perchè Mac era stanco di pensare da sè. Non poteva, evidentemente, permetterselo, vittima di un sistema che aveva creato e nel quale si era rinchiuso da solo gettando via la chiave. Finiva sempre in spirali senza via d'uscita, smarrito in labirinti dei quali non riusciva a vedere neanche i muri. Quindi sì, ti prego, Kiel, dimmi a cosa sto pensando, perchè tutto nell'Hale si rifiutava di accettare la realtà alla quale era giunto. Patetica e triste. Vacua e piatta.
    Non avrebbe dovuto andare così.
    Avrebbe dovuto avere - qualcosa a cui aggrapparsi ed in cui credere, che lo facesse sospirare e decidere di alzarsi per mettere nuovamente mano ad un'arma. Non era così che era previsto andasse? Un motivo dietro le costole a scandire i passi della marcia?
    Era già stanco.
    E sapeva di non potersi concedere quella stanchezza, perchè muoversi era l'unica cosa che ancora lo tenesse in piedi. Riempirsi le mani piuttosto che la testa. Cucirsi vestiti troppo stretti per non sentire la pelle nuda e i tagli freschi al vento.
    «pensi di voler fare la cosa giusta, anche se non credi la sia. pensi che farà male. pensi che sarebbe giusto farsi i cazzi propri una volta tanto, per davvero.»
    Abbozzò un sorriso, o quelle che avrebbe potuto fingersi tale. Seppe di aver curvato le labbra perchè sentì le guance tirare, un rauco graffio alla gola che avrebbe potuto apparire una risata, se solo non fosse stato così arido da suonare più come un singhiozzo.
    «touchè» uscì solo un mormorio. Aveva bisogno d'altro?
    «stiamo sbagliando?»
    Spostò il braccio, alla fine. Si costrinse a guardare l'amico, perchè quella domanda meritava quanto meno una risposta civile. E faceva male, guardare il Kane e ricordarsi di quando la loro preoccupazione più grande fosse scendere in campo contro i Grifondoro. Faceva male sapere che non stessero sbagliando, e che - che. Che fossero solo due ragazzi, spezzati e malconci.
    Che Dio. Dio. Mckenzie Leighton Hale per una volta volesse davvero fare la cosa giusta. Che volesse prendere la fiducia di Lena, il sono fiera di te, e renderlo qualcosa di concreto. Tangibile. Voleva essere la mano tesa agli occhi spaventati. Voleva chinarsi sui feriti, sentire il battito sui polpastrelli, e promettere (mentire) che sarebbe andato tutto bene. Voleva la vita nella guerra, Mac, e l'ordine nel caos.
    Voleva essere la persona giusta. Per una volta, ok? Una sola, quanto bastava per guardarsi allo specchio e dirsi che perlomeno ci avesse provato.
    Voleva essere un bugiardo migliore, quelli che pur non avendo nulla erano in grado di offrire interi sistemi solari.
    O forse.
    Forse. Banalmente. Tristemente.
    In segreto.
    Voleva una scusa per morire.
    Quello, a Kiel Kane - a Mac Hale - non l'avrebbe mai confessato.
    «ci ha mai fermato?» d'altronde, erano diventati una squadra per errore. Diede un colpetto alla mano di Kiel, segno che fosse il momento di lasciarlo andare. Se avesse avuto più paura di morire, forse l'avrebbe stretta brevemente nella propria, sospirando piano.
    A Mac invece, non importava abbastanza. Di nulla.
    E Harper?
    Si fidava più di Willow che di se stesso.
    Il Legionario non sapeva salutare, e non l'avrebbe fatto. Si sarebbe posto il problema in un secondo momento, se l'avesse avuto. Si sarebbe anche lasciato odiare da Joni, pur di non scriverle di quella partenza, perchè era un cazzo di egoista.
    Non voleva sapere se ci fosse anche lei, su quei campi.
    Non voleva sapere se si sarebbero uniti Gaylord ed Harry. Joey e Willow. Harper. Twat.
    Turo (haha) Run (haha) Darden (haha) Mads (haha) Nicky e Meh e Halley e Hunter (haha)
    (yeah)
    Almeno Hans era una certezza.
    «ti dispiace se mi faccio una doccia da te?» e no, non l'avrebbe guardato in faccia mentre gli chiedeva di poter rimandare ancora l'inevitabile, e prendere tempo per ... boh. Trovare se stesso forse.
    Good luck with that, hun.
    gif code
    20 y.o.
    pro abby
    fml
  8. .
    mckenzie hale
    i'm not interested in glory through combat anymore.
    i do not want to be part of this shit.
    //
    on the battlefield again.
    «mac?»
    «mh?» Non spostò il braccio da sopra gli occhi, certo - certo - di non volerlo guardare. Di voler rimanere nel buio forzato delle palpebre abbassate, dove poteva fingere di essere ovunque ed in nessun luogo. Non era un momento propizio per esistere, ed avrebbe davvero voluto potersi mettere in pausa per almeno un decennio o due.
    Pensava anche di meritarselo.
    Forse, era così disperato da accontentarsi di un mese. Un mese consecutivo e pieno di nulla assoluto, svegliarsi senza incubi e perdere due ore della sua vita nel decidere dove ordinare la cena. Non gli sembrava di avere aspettative così alte, no? C’erano persone al mondo che riuscivano ad averlo, quell’assoluto senso di monotonia: non chiedeva gloria ed esaltazioni, solo di essere fottutamente e sacrosantamente lasciato in pace. Manco a vivere, solo in pace. Aveva promesso a se stesso sarebbe diventato una persona migliore, ok? Si presentava a lavoro puntuale, qualche volta cercava perfino di preparare dei pasti commestibili, e si stava addestrando a sopravvivere. Aveva perfino fatto il primo passo, dopo una settimana di tachicardie casuali e vampate di vergogna, contattando Ptolemy al numero scritto sul foglietto. Era… il suo… cazzo di meglio, ok. Il suo meglio.
    Inspirò. Trattenne il fiato cinque secondi.
    «a cosa stai pensando?»
    Non rispose subito. Nulla di quello che galleggiava distrattamente nei pensieri dell’Hale era condivisibile, pregno di egocentrismo e caducità esistenziale, ma cercò comunque di seguirne i fili per offrire al Kane una risposta quanto meno coerente e sensata. Per quanto poco gli piacesse, e per quanto fosse sconsigliato, pensare restava una delle sue attività preferite.
    Terribile. Un incubo costante, rimanere intrappolati nelle ragnatele della propria testa.
    Si schiarì la voce, deglutendo più volte per allentare la stretta alla gola.
    Sono stanco, Kiel.
    Strizzò le palpebre fino a riempire il buio di colpi di luce, ma non c’era speranza nelle stelle dell’ex Corvonero. Arrendevolezza, quella sì. Assoluta mancanza di resistenza, come polline trascinato dal vento a ingarbugliarsi nel primo aggancio disponibile.
    Non dormiva, ma non aveva bisogno di farlo per avere gli incubi.
    «che dovrei farmi i cazzi miei» roca ed appena un bisbiglio, ma almeno era una risposta sincera. Ingoiò a vuoto, grattando la gola con un colpo di petto, spostando il braccio per aprire gli occhi cenere e puntarli sul compagno. «vero?» non era ancora a livello supplica, ma poco ci mancava. Perchè sapeva di non essere addestrato a quello, sapeva che si meritasse una pausa da tutta la merda, per quanto stupido e individualista fosse pensarlo. Perchè alla periferia del suo sguardo ed il cuore, ancora vedeva quei bambini – sentiva quei colpi, e il sangue sulle dita, e
    Annaspò secco.
    «sto pensando che qualcuno resisterà, ma non tutti» mosse le labbra molto lentamente, cercando di non seguire quel pensiero nella sua concretezza, lasciandolo solo astratto. Un dato di fatto, logico e privato delle lacrime a rigare il viso e mani allungate nella sua direzione cercando di stringerlo, e stringerlo, e stringerlo -
    «che – magari - potrei» intervallò ogni parola con un grumo di saliva buttato giù a forza, lo sguardo ora rivolto al cielo. A Dio forse; non avrebbe saputo dire se fosse una richiesta d’aiuto, o di coraggio. Se negli occhi spalancati ci fosse solo la misera domanda ma almeno me ne fotte un cazzo di qualcosa di vivere che continuava a pungere ai margini del suo raziocinio. Lui non ne era certo, ma qualcuno doveva pur saperlo al mondo. «potrei.» corrugò le sopracciglia, labbra strette fra loro.
    Potrei rendermi utile? Non mirava a tanto.
    «vorrei» corresse, senza specificare cosa.
    Forse solo non essere Mac.
    «dimmelo tu a cosa sto pensando» e se non la era stata prima, una supplica, quella di certo lo era.
    gif code
    20 y.o.
    pro abby
    fml
  9. .
    mckenzie hale
    i'm not interested in glory through combat anymore.
    i do not want to be part of this shit.
    //
    on the battlefield again.
    Andava ancora agli allenamenti, malgrado ormai fossero rimasti solamente in due a giocare. Era un appuntamento fisso che Mac prendeva sul serio, una giustificazione per stare insieme ai suoi amici perché non era in grado di mantenere rapporti senza avere una scusa. Giocava con Joey, perché Joey non gli chiedeva niente. Si faceva rattoppare da Kiel, che dei lividi e i tagli freschi sulla pelle pallida non chiedeva niente.
    Lavorava al Ministero.
    Si (faceva picchiare) allenava con Darden.
    Imparava a sparare con Ptolemy.
    Lanciava coltellini (e si faceva colpire) con Olga.
    Non dormiva.
    Mangiava, però.
    Non dormiva.
    E pensava, Mckenzie. Cercava di farlo il meno possibile, ma si guardava allo specchio e pensava che Matthias Hale sarebbe stato fiero di lui. Si vedeva riflesso nel cucchiaio con cui rigirava i cereali, e pensava che Daniel Hale non si sarebbe più vergognato fosse suo fratello. Colpiva il bersaglio, e sentiva la risata cristallina di Careen Hale a dire al figlio quanto fosse forte lo zio. Incredibile come più passasse il tempo, e più l’ex Corvonero tornasse alle origini, dove era iniziato tutto. Più cercava di allontanarsi, di cambiare, provare ad essere diverso, più veniva trascinato al posto che avrebbe dovuto appartenergli sin dall’inizio: quello di un soldato.
    Non dormiva.
    E si ripeteva che non fosse la stessa cosa. Che quella volta, fosse una scelta sua. Che sapesse perchè; che l’avrebbe rifatto. Che ci fossero cause per le quali valesse la pena combattere.
    Non fottutamente dormiva.
    Di nuovo, ed aveva già visto quella storia. Labbra incollate fra loro, sguardo verso il pavimento, spalle dritte e fiato assente.
    Parlava, però.
    Non sempre, ma qualche volta sì. Sorrideva ai colleghi, rimandava l’invito di Nicky e Meh a cena da loro ad una prossima volta, giuro che vengo, che non arrivava mai. Quando gli domandavano come stesse, rispondeva stringendosi nelle spalle, biasimando il lavoro; a chi non aveva bisogno di chiederlo, non diceva nulla. Lo sapevano.
    Non troppo tempo prima Heidrun Crane l’aveva abbracciato e gli aveva detto che avesse sperato una vita diversa, per lui. Mac non gliel’aveva detto, che per un paio d’anni si fosse permesso di sognare in grande e credere di poterla avere. Che capitava, raramente ma capitava, che si svegliasse convinto che da quel giorno, da quel giorno, potesse averla.
    Gli aveva detto che fosse fiera di lui. Non le aveva detto, come aveva fatto con Lena, di ripeterglielo quando fosse stato in grado di crederci: sarebbe morto, prima di spezzarle il cuore.
    Non dormiva.
    Ma a Joni scriveva lo stesso, perché non voleva credesse fosse di nuovo sparito. Sono qui detto in meme poco divertenti, o foto della papera che aveva preso il suo nome, perché essere lì era l’unica cosa che potesse ancora assicurare senza mentire o fare vacue promesse.
    Tipo per quanto.
    Per quanto?
    Coprì gli occhi con l’avambraccio, perché voleva abbastanza bene a Kiel da concedersi e concedergli di prendersi cura di lui anche quando quella dimostrazione d’affetto implicava un sacco di contatto fisico. Platonico, ovviamente, metodico e funzionale, ma solo perché si chiamavano massaggi fisioterapici ed avevano uno scopo, non significava che non fossero mani addosso. Non era un amante del contatto fisico da così tanto, che non ricordava più cosa si provasse a rilassarsi.
    E gli mancava Harper. Ogni secondo di ogni giorno di ogni settimana di ogni mese, come ossigeno ed il secondo -tun del battito nel petto, ma sapeva fosse meglio così: lei poteva girare il mondo con Willow, e lui avere crolli mentali senza sentirsi troppo in colpa.
    Avrebbe dovuto dire al Kane che almeno quel giorno non ne avesse bisogno dei massaggi, ma poi come si sarebbero detti che fossero amici? Comunicando come esseri umani funzionali? Ah-ha ah-ha, no grazie.
    Tutto sommato, una giornata nella norma.
    «non siamo noi quelli contro natura. Non siamo noi ad aver distrutto interi ecosistemi per poterci spostare più velocemente: sono la razza più debole. Abietta. Abbiamo avuto pietà per secoli: non la meritano più. Oggi, amici, demoliamo lo statuto di segretezza. E ci riprendiamo il mondo»
    Vi dirò di più: Mckenzie Leighton Hale non si era neanche alzato a sedere. Ancora coricato sul prato del parchetto dove si allenavano; ancora gli occhi chiusi; ancora a fingere che fosse tutto nella norma, anche quando Abbadon annunciò che si sarebbero ripresi il mondo.
    Che fosse guerra.
    Non dormiva, ma era un soldato.
    E sapete cosa disse, quando fu certo che non si sarebbe messo a piangere e la voce non si sarebbe spezzata? «almeno ha aspettato che finisse l’allenamento. chi lo sentiva, poi, joey» Qualcuno avrebbe perfino potuto scambiare la curva delle labbra di Mac per un sorriso.

    gif code
    20 y.o.
    pro abby
    fml
  10. .
    La consistenza non era delle migliori, ma se la sarebbe fatta andar bene.
    Appiattì le estremità del primo foglio – l’originale – tra pollice ed indice, piegandolo su se stesso ed assottigliandolo quanto possibile. Al suo fianco, un’altra pila di fogli - lettere - identici, a ridere di lui con caratteri helvetica e tante, oh tante, parole da bolla per pesci: promettenti, ed altrettanto vuote.
    L’aveva duplicata. Quando non era bastato, l’aveva triplicata. Quando ancora aveva sentito non fosse stato abbastanza, l’aveva moltiplicata e basta, senza più contare. Aveva causato un’inflazione di ringraziamenti; crollo nazionale dell’economia delle vittorie pirriche. Un azione meccanica privata perfino della vena polemica con la quale aveva curvato la prima lettera della Oshiro per renderla un non troppo ottimale filtro: l’aveva fatto perché poteva, e perché non richiedeva alcun tipo di pensiero emotivo quel genere di incantesimi. L’aveva fatto perché in fondo, molto in fondo, Mckenzie era arrabbiato, e di quella rabbia non sapeva che farsene. Non aveva mai sviluppato alcun meccanismo sano con cui smaltirla, e non conosceva i mezzi per renderla qualcosa. Se la teneva lì, sotterrata da qualche parte in mezzo a tutto il resto.
    Tutto
    il resto.
    Un brivido involontario gli fece perdere la presa sul cartoncino. Lo osservò cadere; con le gambe saldamente incrociate sulla panchina, non lo raccolse. Non era che gli mancasse la materia prima, dopotutto. Fece scivolare le iridi sul mazzetto al proprio fianco, si ricordò di inspirare un po’ d’aria, e ci riprovò, premendo i polpastrelli abbastanza forte da tagliarsi e da smetterla di tremare.
    Un foglio bianco. Teneva un foglio bianco incastrato tra il ginocchio e la coscia, una penna incastrata nelle scarpe, i pantaloni arrotolati più volte su se stessi.
    Come quelli del ragazzino nel Laboratorio.
    Il ricordo bastò a farlo tentennare, uno scatto improvviso delle dita attorno alla lettera.
    No, Mckenzie. No.
    Non doveva andare lì. Non voleva andare lì.
    Non poteva andare lì.
    Era appena uscito dal Ministero, ed aveva ancora indosso la divisa di un soldato russo. Qualcuno, in quel della Siberia, aveva provato compassione per il pallido Hale arrivato all’ospedale, ed aveva sostituito i suoi vestiti con qualcosa di meno… appariscente. Mac avrebbe voluto dargli fuoco; d’altronde, Mac avrebbe voluto dare fuoco anche alla stanza dell’ospedale, all’intero edificio, alla cittadina, alla nazione, e soprattutto a se stesso, quindi forse non contava.
    E poi -
    No.
    Scosse il capo. Un solo movimento secco, sopracciglia corrugate.
    Era uscito dal Ministero senza chiedere a Twat o Mads se volessero un passaggio a New Hovel. Senza guardare Lena o Ptolemy. Senza salutare Olga o Dominic o Darden. Aveva solo incrociato brevemente lo sguardo del suo capo, ed era bastato perché lo congedasse al giorno successivo: il report, aveva detto la Reiher, l’avete già fatto ai Pavor; possiamo rimandare di un altro po’. Per sempre, aveva pensato.
    Seriamente. Prendendo in considerazione l’opzione in maniera metodica e razionale.
    Perchè non voleva -
    No.
    Aveva imparato presto a non fidarsi di quel che volesse o meno, conscio che volere e avere bisogno fossero due concetti completamente diversi. Non si fidava abbastanza di se stesso da cedere all’uno o all’altro, o da sapere con esattezza cosa, davvero, volesse. Voleva andare a casa? Non voleva andare a casa? Era il suo appartamento, la sua vita; la sua doccia, il suo letto. Un Gaylord a cui assicurare che avrebbe ancora pagato la quota dell’affitto del mese successivo.
    Ed era anche non Willow. E non Harper.
    Alla fine, il coraggio o la codardia di tornare a casa, non ce l’aveva avuto.
    Era rimasto a vagare per la Londra magica senza un obiettivo. Non aveva neanche avvisato di essere tornato, perché - perchè?
    Perchè non pensava di rimanere?
    Oh, Mac. Perchè non pensavi di rimanere?
    E quando l’aveva capito, e capito sul serio, si era fermato e si era detto: no.
    E quindi il foglio.
    E quindi la lettera.
    E quindi l’erba sbriciolata fra le dita, recuperata da un cassetto non troppo nascosto dell’abbandonata casa di Heidrun, partita per la Siberia un paio di giorni prima. Non le interessava che la facessero aspettare, aveva detto; avrebbe aspettato anche tutta una vita. Cose che ti facevano pensare, se volevi farlo.
    Mac non voleva. Non a quello, e non ancora.
    Aveva un foglio, una penna, delle lettere, ed una canna stretta fra pollice ed indice.
    I disegni -
    No.
    Per favore -
    No.
    Chiuse gli occhi, accese la canna con un lieve movimento di bacchetta. Se ci vollero un paio di tentativi, furono solo cazzi suoi.
    Il sole era calato da un pezzo, ma né a Mac né al restante gruppo di persone presenti all’Avis sembrava importare. Aveva scelto quella panchina, una delle quattro che circondavano la piccola fontana del parco, per un motivo ben specifico: dava le spalle al resto della gente, e le sentiva comunque. Vive, e vibranti. Un rumore di sottofondo a sfrigolare come un falò estivo suggerendo che esistessero, che fossero concreti, che condividessero lo stesso piano e non volessero un cazzo di niente da lui perché
    Qualcosa a sfiorarlo piano -
    No.
    Si fece ancor più piccolo, rannicchiato alla sua postazione.
    Aspirò, provò a schiarirsi la voce, ed asciugò una guancia umida – non necessariamente in quell’ordine.
    Un foglio.
    Una penna.
    Aspirò l’erba sentendola pungere la lingua ed il palato.
    Non sapeva neanche che ora fosse. Non credeva fosse importante, non quando doveva -
    Tutto quel sangue -
    No.
    Non quando doveva scrivere.
    Bucò il foglio solo un paio di volte, con quel tremolio dispettoso delle dita, prima di riuscire a scrivere qualcosa, e poi un qualcos’altro, e altro ancora.
    Una lista.
    Una lista metodica, organizzata, e precisa – non come lui, ma come lui avrebbe voluto essere.
    Il primo punto era la prima cosa che gli fosse venuta in mente, e dovrebbe dirvi di suo a che livello sottile sottile fosse arrivata la sua psiche, perché era
    1. Uccidere qualcuno?
    Una specie di chiodo scaccia chiodo. Forse un’altra morte avrebbe cancellato quelle prima. Non aveva tempo di interrogarsi troppo su quello, perché doveva scrivere, e scrisse tutto quello che gli veniva in mente.
    2. fare rafting?
    3. l’alba sulla spiaggia
    4. andare al ristorante da solo
    15. andare a New York
    26. ordinare una pizza telefonicamente. Da solo
    37. scalata libera?
    E via così.
    (Non era certo che i numeri fossero giusti. Forse ne aveva perso ed inserito qualcuno in più.)
    Aveva bisogno di una lista. E di obiettivi. E di qualcosa da fare che non fosse morire.
    Si disse che finita la lista, avrebbe potuto farlo.
    Ed allora continuò ad aggiungere punti, finendo una canna ed iniziando quella dopo.
    Fino a che non iniziò a sentirsi osservato, e lentamente – molto, lentamente – sollevò lo sguardo. Era abbastanza fatto da spaventarsi pur sapendo ci fosse una Persona, perché il cervello ci metteva sempre un po’ di più ad elaborare le informazioni. Figurarsi uno in fattanza. Figurarsi uno in fattanza e in stato di shock.
    Figurarsi uno in fattanza e in stato di shock e di Mckenzie punto, si poteva iniziare e finire anche così.
    «gesù» che non era sulla lista – ma forse, avrebbe dovuto .

    mckenzie
    hale

    I feel like something that's been stretched out,
    over and over again
    Until I'm creased,

    and I'm about to break down the middle

    side eye (20 y.o.)
    bombastic side eye (legionario)
    criminal offensive side eye (h)
  11. .
    gifs19 y.o.failmckenzie hale
    currently playing
    apocalypse
    brye
    you say you hate me?
    well, i bet i hate myself more
    Se solo avesse saputo che di lì ad un mese sarebbe cambiato tutto, Mac in quel momento sarebbe stato… esattamente lì, a crogiolarsi in uno dei rari momenti di euforia che la vita non donava, e doveva prendersi con altri mezzi. La guancia poggiata sulle ginocchia, lo sguardo abbandonato da qualche parte sul pavimento scuro dell’arcade, a masticare lentamente pop corn senza neanche più percepirne il sapore e senza nemmeno mezzo pensiero coerente. Le labbra distese, le spalle rilassate, le sopracciglia non corrugate.
    Era felice, e non lo sapeva.
    Come tutte le cose belle, anche quella era destinata a finire.
    Da quanto tempo era accartocciato in un angolo della stanza, il mignolo a tamburellare sulla coscia tenendo il ritmo della canzone pompata dalle casse? Un paio di minuti, forse. O magari d’ore. Mezza. Chi poteva saperlo. Aveva perso senso del tempo, della profondità, e della percezione di se stesso come parte integrate del sistema chiamato genere umano. Esisteva come i palloncini: senza saperlo, e con la fine già scritta di essere persi o scoppiati.
    Battè le ciglia alle scarpe nel suo campo visivo. Non era ancora abbastanza vigile da preoccuparsi, e fu con sincera curiosità, ed uno sforzo notevole, che ruotò il capo fino a far spuntare un paio d’occhi grigi oltre le ginocchia. Registrò dopo un paio di secondi di ritardo il buffetto al naso. «ahia?» non un dolore fisico, più emotivo. Morale. Metafisico. Si diceva che per preservare la sanità mentale, il cervello umano si rifiutasse di elaborare determinate scene e situazioni, una specie di rimozione traumatica dei ricordi in diretta.
    Ecco. Mac guardò la persona di fronte a sé, e non comprese. Furono un paio di secondi regalati dall’universo perché avesse ancora, ancora!, la possibilità di spegnersi prima di riconoscere a chi appartenessero i lacci bianchi, ma no. Ovviamente no. Non fu graziato da neanche una parziale perdita di conoscenza. Le stelle ci avevano provato, e l’Hale aveva scelto, di nuovo, di ignorare i segni. E vi dirò di più.
    «ti sono mancato, Mckenzie?»
    «mortino!» sorrise anche, sollevando appena il viso per poggiare il mento sui dorsi delle mani. Gli importava che le probabilità di trovarlo lì fossero davvero minime? Che non avrebbe, punto, dovuto esserci, e fosse con grande probabilità un allucinazione collettiva? No, ovviamente: nel suo mondo attuale, tutto era lecito e concesso. Perfino essere felici di vedere Mort Rainey. Perfino «un po’» Un utopia. Un incubo. Però era vero: quando nulla aveva senso ed il mondo era incertezza, il Caposcuola (ma chi gliel’aveva data una spilla …...) Serpeverde era una costante.
    Non in positivo. Pur sempre una costante.
    Mckenzie Leighton Hale aveva davvero raggiunto il fondo, e deciso di scavare di più. Chiuse gli occhi quando l’altro avvicinò la mano, un riflesso involontario che diceva più di mille parole quanto non volesse sapere, non volesse vedere, e non gli importasse. Voleva tirargli un pugno? Eh vabbè, non sarebbe stato il primo, ed in quelle condizioni non era certo avrebbe comunque sentito alcunchè: facesse pure.
    Invece gli arruffò i capelli. Pensa. Sorrise appena, una punta di lecita – perfino nelle sue condizioni – confusione sulle labbra, ma non abbastanza da farsi domande. Se quello che voleva da lui era sentirsi superiore, di nuovo, facesse pure; non gli interessava abbastanza neanche da sobrio, figurarsi in quel momento. «sai, comunque la prossima volta che vuoi vedermi non c’è bisogno di fare così tanto il misterioso e mandare così tanti messaggi, puoi semplicemente mandarmi la posizione» Capiva tutte quelle parole separatamente. Nell’insieme? Assolutamente no, ma annuì comunque. Nella sua testa, e solo ed unicamente lì, poteva ancora passare per allegro e non perso, se limitava il numero di interazioni. «non ti muovere» Curvò gli angoli della bocca verso il basso, lo sguardo a scivolare lento sulla Sua Postazione: aveva l’alcool; aveva il cibo; era lontano da tutti, e dal peso eccessivo della propria testa, era abbastanza certo di non potersi alzare neanche se l’avesse voluto. «farò questo sacrificio» non era molto, ma era un lavoro onesto.
    Mac gay icon alla vista di un flash: occhiolino e peace sign.
    Poi si spense di nuovo, la mano a ricadere sulle ginocchia.
    «perfetta per il giornalino scolastico: “Ex stella dei corvonero caduta in rovina”»
    Mort Rainey era davvero qualcosa. Non un tipo. Non un topo. Qualcosa e basta, che Mac osservò con un misto di consapevolezza e totale alienazione. «stella» ripetè, soffocando la risata nell’incavo del gomito. «stella?» Chissà in quale sistema solare. Sollevò la testa solo per poggiarla contro il palmo della mano. C’era tutto un concetto che non era nelle condizioni di elaborare, e che uscì rauco in un «solo per te» che intendeva esattamente il contrario di quello che sembrava intendere, ma non del tutto. Voleva dirgli che a nessuno, davvero a nessuno, importava nulla di Mckenzie, né post diploma né quando ancora giocava a Quidditch, e lui era l’unico ossessionato dalla sua appena accennata esistenza, ma sembrava molto impegnativo come discorso. Fece spallucce, sospirando greve fino a finire ogni briciolo di fiato. Si dimenticò anche come respirare per un po’; sembrava faticoso anche quello. «aspè» con immensa fatica, prese il telefono che aveva abbandonato di fianco a sé. Si rese conto dell’errore commesso? No, ovviamente. Era troppo concentrato a cercare di mettere a fuoco le icone, per tutto il resto. «ne ho una anche io» scorse la galleria, sguardo estremamente concentrato. Lo sguardo di Mac si illuminò, e mostrò lo schermo al Rainey. «dai anche questa al giornalino» un po’ biascicato, ma il sorriso era allegro e genuino, così come il dito medio usato per tamburellare sulla tempia. Non gli diede troppo tempo per guardarla, tanto la conosceva, e sperava popolasse tutti i suoi incubi: oblinder 2022 anyone? Aveva tenuto La Foto esattamente per momenti come quello: ogni tanto (sempre) Mortino aveva bisogno di essere humbled real quick.
    Una pacca sulla spalla.
    Ancora a toccare? Lo seguì con lo sguardo mentre si sedeva al suo fianco.
    Il primo campanello d’allarme, seppur con un po’ di ritardo, iniziò a suonare.
    «non ci pensare, Hale, poteva capitare a chiunque» Di nuovo, non si correva rischio che pensasse a qualcosa; non lo precisò. «certo non a me, ma a chiunque magari sì» Non aveva manco bisogno di capire il contesto per lo sbuffo divertito sgusciato dalle labbra. «però ho apprezzato le tue scuse, meglio tardi che mai, realizzare le proprie colpe è una tappa importante nel proprio percorso di crescita» Quante parole tutte insieme. «ti è bastato allontanarti da quei falliti della tua squadra e da quel fesso di Hendrickson per capire che non ero io il cattivo ragazzo ma che erano loro a deviarti» Sentì solo squadra ed Hendrickson, e tanto bastò a fargli aggrottare le sopracciglia, e sapere che qualunque cosa avesse detto, non gli piacesse.
    Altri colpetti sulla spalla. Mac decise che perfino in quel modo e mondo ne avesse abbastanza. Afferrò la mano di Mort fra le proprie, e con una serietà data solo dall’assenza di percezione spazio temporale, domandò «ma è mia o tua?» un’altra di quelle cose che avrebbero dovuto essere argomentate, ma che avevano perfettamente senso così com’erano, per l’Hale. Indicò anche se stesso, un sempre qui sta, accompagnando poi un vago cenno verso Mort, e mai lì, a interpretazione.
    Altre parole. Tante parole. Abbastanza perché l’ex Corvonero ritenesse opportuno iniziare a lanciargli pop corn: aveva la bocca sempre aperta, prima o poi avrebbe fatto centro. A giudicare dai chicchi di mais per terra, le probabilità non erano a suo favore; era stato un battitore e non cacciatore per un buon motivo. Percepì qualche pezzo di frase, e nulla di quello che sentì gli piacque. Aveva bisogno di -
    «in vino veritas, immagino. Non ti preoccupare,
    «aspetta»
    non ti giudicherò, questo resterà un segreto tra me e te»
    «non ho -»
    «certo dovresti imparare
    «ma -»
    a usare un po’ meno emoji
    «mort»
    quando scrivi perché così sembri proprio un boomer»
    Fine? Aprì la bocca per rispondere
    «ma su questo ci possiamo ancora lavorare»
    «basta» Afferrò una manciata di pop corn (o di muffin, se ti piace il rischio.), e li infilò in bocca del Serpeverde, premendo perché soffocasse.
    Stesse zitto, damn autocorrect. «parli così tanto che ti sento anche quando non ci sei» la versione corrotta della sua coscienza. Corrugò le sopracciglia, ignorando quello che immaginava fosse l’ennesimo tantrum del Rainey. Strinse anche un po’ di più la presa del palmo sulla sua faccia, osservandolo a palpebre socchiuse. «non ti ho mai chiesto di farlo» parlare? insegnargli a usare le emoji? Andare lì? Volergli bene? Tutte le precedenti; non specificò, seguendo i brandelli di vaga memoria appesi alle pareti dei pensieri. «non mi mordere» quello invece glielo chiese, piombando subito alla fine del discorso, perché gli sembrava alquanto probabile. «ricominciamo» da prima dell’inizio possibilmente, anni ed anni prima – ma non troppo o cadiamo in un’altra linea temporale e l’incubo ricomincia. «no» aveva già cambiato idea. Scosse il capo. Sospirò.
    Non ritrasse la mano, o finiva la sua possibilità di parola. Come ai giochi a premi. PENSA VELOCE MAC, RIFLETTI! «mi odi davvero non ricominciò affatto, subito sul difficile. E vi dirò di più, lo guardò come William Barrow aveva guardato Akelei porgendole l’anello: sperando dicesse sì.
    ... «ma poi che ci fai qui» ah ecco.
    E visto che l'ordine consequenziale dei pensieri era personale, alla fine gli offrì anche la bottiglia. Come fosse appena arrivato. «succhino?» cit.
    sooner or later you're gonna tell me a happy story. i just know you are.
  12. .
    I'm too young to die
    & too old to cry
    race
    wizard
    alignment
    death eater
    weapon
    (pity) bat
    ptolemy?
    adottami
    Sua madre era stata una sarta.
    Mckenzie era cresciuto tra stoffe colorate, aghi, fili, e metri che pizzicavano le dita. Aveva imparato sin da bambino ad essere cauto; prendere le misure.
    Non sapeva spiegarsi come avesse potuto fallire così tanto nel valutare le proprie, da offrirsi volontario per la stra cazzo di Siberia. In quale nuova dimensione fosse finito per pensare fosse una scelta appropriata e consona alle sue capacità, e con quale coraggio aveva preso la passaporta dopo aver visto gente come Ptolemy, Olga, o Milena. Ognuno di loro - cristo santo, perfino Twat - portava qualcosa sul piatto, fossero capacità strategiche o vendette sanguinolente o conoscenze in medicina. Non per sminuire se stesso, ma davvero.
    Non c'entrava un cazzo.
    Aveva vent'anni da un mese. Arrivava da un secolo in cui a malapena c'era l'elettricità, e i gentiluomini di Sacramento ancora giravano con il panciotto. Cristo Santo, Mckenzie.
    Cristo Santo.
    Inspirò così piano, e dopo così tanto tempo senza ossigeno, da dover appoggiare la schiena al muro per non perdere l'equilibrio. Spezzando una lancia a suo favore, si adattava in fretta - spesso, come in quel caso, non esistendo neanche un po' . Manco a dire fosse stata una scelta razionale e pensata, quella di non muoversi di mezzo centimetro. Manco a dire avesse deciso di occupare poco spazio, che almeno in parte, gli avrebbe reso onore.
    No. La sua mente aveva semplicemente scelto per lui che abbastanza fosse abbastanza, dissociandolo in una dimensione in cui il tempo non passava ed i battiti non avevano senso. Perlomeno, non poteva dare troppo fastidio. Ogni tanto, si costringeva a spostare il peso da una gamba all'altra, o a rivolgere lo sguardo su una nuova piastrella, perché non voleva si preoccupassero per lui - o, peggio, pensassero di essere obbligati moralmente ad assicurarsi stesse bene.
    Non stava bene.
    Nessuno di loro stava bene.
    Avevano solo metodi di sopravvivenza...diversi. Pomiciare nei bagni era escluso (note to self: attrezzarsi meglio per la prossima missione) quindi non gli rimaneva che spegnersi e basta.
    Ma a saltelli. Come la luce di quel cazzo di corridoio.
    «volete una caramella?» gli fecero notare che l'aveva già chiesto. Corrugò le sopracciglia, perché non ricordava di averlo fatto.
    Sapete che c'era? Preferiva l'azione, a quell'attesa. Non sapeva né cosa dire, né cosa non dire. Guardava Jeremy e Friday, con tante domande e la bocca serrata. Guardava Ryu e Grey e Syria, tremando appena dal disagio esistenziale di vivere nella stessa linea temporale e spaziale in cui erano appena usciti dai Laboratori siberiani e la sua era una delle prime facce viste dopo mesi di Dottori e torture.
    Non si schiarì la voce. Non aveva comunque abbastanza saliva per farlo.
    Non si accorse che gli altri si fossero mossi fino a che Twat non gli diede una spallata, e non domandó né cosa, né perché.
    C'erano - c'erano stati dei rumori? Era - era successo qualcosa? Al piano di sotto? Quesiti a incespicarsi fra loro, ma piedi saldi sul pavimento del Laboratorio. Cuore a battere pesante sulla lingua.
    Una porta.
    Riaprì gli occhi - li aveva chiusi? - sul resto dei compagni, ed il mondo tornò reale tutto insieme. Annaspò, sentendo l'aria inzuppargli i polmoni, e quando passò la lingua sulle labbra, le trovò sporche di sangue; sperò fosse il proprio. Li contó in automatico, prima ancora di riconoscerne le facce, e quando fu certo il numero fosse lo stesso, li mise a fuoco uno per uno, ricominciando dal primo.
    Si sarebbe fatto bastare il fatto che fossero vivi.
    Abbassò lo sguardo sul bambino fra le braccia di Mads. Represse un brivido, sollevando opachi occhi argento su Dominic. Aprì la bocca per dire qualcosa, e la richiuse senza aver detto nulla, rapido nel chinare il capo verso i propri piedi. Aveva visto Darden nei suoi momenti peggiori, quando a Bodie pensava nessuno potesse vederla; aveva visto Mads con il volto rigato di lacrime, quando Floyd non si era rialzato. Jeremy.
    Conosceva quelle espressioni.
    Ma vederla su Dominic Cavendish era diverso. Non ricordava di averlo neanche mai visto triste, e da fu infermiere di Hogwarts, l'aveva visto parecchie volte. Tenne la lingua premuta sul palato, combattendo l'insensato nodo alla gola del rendersi conto fosse tutto successo davvero, ignorando l'idea che al piano di sotto dovesse essere andata anche peggio. Non gli chiese come stesse perché si vedeva; non fece nulla, perché non avrebbe saputo che fare. Si permise solo, senza dire una parola e con dita a tremare appena - appena appena -, a frugare nelle tasche e prendere un'altra caramella da offrire al biondo. Non aveva proprietà curative (4ps) e Dio solo sapeva quanto chiunque in quel posto del cazzo avesse poca voglia di masticare una caramella, ma non conosceva altri modi per dire che sarebbe andata meglio e sarebbero usciti da lì ed avrebbero sistemato le cose.
    Poteva parlare, ma mentiva di rado, Mac, e non l'avrebbe fatto quel giorno.
    -----
    Un tempo, aveva creduto in Dio.
    Entrò nella stanza, e si sentì molto stupido per aver mai pensato che potesse esistere un'entità a punire gli errori e premiare i giusti: non c'era posto per nessun Dio, nel loro mondo.
    Di nuovo, non si mosse. Neanche un po', neanche per respirare.
    Soprattutto, non per spostare lo sguardo da un bambino all'altro. Gli occhi grigi dell'Hale rimasero incollati tutto il tempo al ragazzino alla sinistra della donna, e vorrei - vorrei - dire che non lo stesse guardando realmente, ma lo stava facendo. Si concentrò sui dettagli: le pieghe del camice, l'unghia spezzata della mano sinistra, il contrasto fra le occhiaie violacee e la pelle ebano. Si permise, con un impeto di coraggio e codardia, a cercarne lo sguardo.
    Non era certo fosse terrore, quello a impregnarne gli occhi. Onestamente, non era certo fosse qualcosa punto.
    «andrà tutto bene. non gli permetterò di farvi del male.»
    Fu una scelta del tutto razionale e specifica, quella di connettere i puntini. Non guardó la donna - mai, per tutta la durata del suo discorso - e non ebbe bisogno di farlo, per capire dove volesse andare a parare: era giovane, Mac, non stupido.
    Non sempre, mettiamola così.
    Un po' si, perché malgrado tutto speró di essersi sbagliato: magari erano i sopravvissuti che attendevano rinforzi; magari avrebbero portato tutti a casa.
    «spariremo dalla circolazione. potrete buttare giù l’edificio; distruggere ogni prova. nessuno lo saprà, che avrete risparmiato degli innocenti.» La cosa più assurda di tutte, era che le persone folli le capiva. Le smontava e rimontava finché non avevano un senso, ed una volta inquadrato, era impossibile non vederci le motivazioni ed i perché. McKenzie sapeva che Geneviève fosse sincera. Si riteneva una di loro - innocente. Quelle consapevolezze li, erano tutto un altro tipo di tristezza.
    «oppure» Non ci speró, in un'alternativa. Avrebbe voluto aver conservato un po' dell'ottimismo che l'aveva trascinato lì, ma l'aveva concluso ore prima. «oppure li avrete tutti sulla coscienza. dal primo all’ultimo. attendono solo il mio segnale; poi sarà il veleno a ucciderli.» Quasi cedette all'impulso di ridere.
    Quasi.
    Quindi. Quindi.
    Si staccò di netto dalla situazione - dal mondo, e dal sistema solare - valutando l'insieme con la stessa mentalità analitica che avrebbe rivolto alla trama intricata di una nuova serie Netflix. Non erano persone, erano personaggi; non erano vite, erano episodi.
    Quindi.
    Il suo piano per uscire da lì era far leva sul senso di colpa? Qualcosa non tornava. Qualcosa non tornava, e McKenzie batté lentamente le ciglia, spostando infine lo sguardo dal bambino per posarlo su Ptolemy, e Mads; su Darden e Olga; Lena, Dominic.
    Non sembrava che nessuno di loro fosse preoccupato da quanto poco quel piano avesse senso. Perfino uno dei bambini, avrebbe potuto suggerirne uno migliore. Banalmente, ucciderli tutti, loro compresi, così che nessuno ne uscisse vincitore. Dubitava non avessero un qualche tipo di sistema di sicurezza, altrimenti quel Laboratorio sarebbe stato smantellato molto prima.
    Giusto?
    Perché a nessuno importava.
    Batté un'altra volta le ciglia, ed il problema, da morale, si tinse dello stesso blu degli occhi del bambino, e Mac capì. Capì che teoria e pratica, fossero due cose molto diverse. Che quello non era il dilemma del treno: erano bambini, concreti e reali. Credeva nelle seconde possibilità, l'Hale. Credeva anche che ciascuno di quei bimbi avrebbe potuto essere Mads, Taichi, Bucky, Twat.
    Harper.
    O uno qualunque dei ragazzini che i Cacciatori lasciavano alle porte dei Legionari, a cui McKenzie prometteva sarebbe migliorato, prima o poi.
    Aveva iniziato a scuotere il capo prima ancora di recepire le parole di Ptolemy. Prima che quel movimento avesse un senso, e prima che fosse una risposta. Non scattó fisicamente indietro, solo perché non voleva essere la miccia a far partire il primo proiettile, ma se avesse potuto l'avrebbe fatto.
    No, mimó con le labbra, perché di voce non ne aveva. Non ci provò neanche più a fingere di non star tremando: avrebbe potuto incolpare l'adrenalina ed il freddo, se solo qualcuno ci avesse creduto.
    Mckenzie voleva poter essere il tipo di persona in grado di credere ci fosse un altro modo. Avrebbe voluto avere l'audacia ed il coraggio di sfidare sorte e probabilità per dire no, vaffanculo, troveremo un altro modo - ma non sapeva come esserlo.
    Dovevano morire. Lo sapeva. Ne era consapevole in una maniera fredda e lucida che cozzava con tutto quello in cui credeva, e quello che sperava di essere. Aprì la bocca.
    Di nuovo, la richiuse.
    Sapeva anche di essere il più incoerente bastardo lì dentro, perché se dall'altra parte ci fosse stato qualcuno a cui teneva, avrebbe rischiato l'intera sopravvivenza del fottuto genere umano per farli uscire da lì ancora vivi. Avrebbe razionalizzato in un altro modo; trovato un motivo per provarci.
    Invece no, perché era egoista.
    Fu con la coscienza sporca che abbassò il capo e chiuse gli occhi, continuando a scuotere il capo. Si disse che fosse un momento buono come un altro per piangere. Si odió per non sapere come fare manco quello.
    «credo che siano abbastanza grandi da fare le loro scelte» A quel punto, Mac sorrise. Una smorfia sghemba e nervosa delle labbra, tinta dell'ironia che lo faceva soffocare con la sua stessa saliva.
    Negli anni, la Fay si era fatta ottimista. Chiaramente non sapeva fare delle scelte; decisamente, avrebbe voluto non farle.
    Aprì la bocca.
    La richiuse di nuovo.
    Mac era d'accordo con Ptolemy: davvero, non avrebbe dovuto rimanere lì.
    L'avrebbe fatto comunque, e non perché fosse diventato improvvisamente coraggioso, perché fosse pronto a prendersi la responsabilità delle proprie scelte, o per una questione di rispetto: sarebbe rimasto perché l'alternativa era non vedere, e sarebbe stato peggio. La sua mente era il suo nemico peggiore, in grado di concludere da se tutti i disegni lasciati a metà, e di farlo nel modo più crudo e violento possibile.
    Rimanere l'avrebbe cambiato, ma almeno ci sarebbe ancora stato qualcosa da cambiare.
    «non posso farlo» bisbigliò appena. Dubitava qualcuno l'avesse sentito, con quel tono roco e ruvido.
    Sapeva dovessero morire.
    Sarebbe rimasto.
    Ma non poteva farlo lui vi prego non fatemelo fare. Egoista ed infantile, lo sapeva, ma non pensava che avrebbe potuto sopravviversi se la mano fosse stata fisicamente la sua. Si era ripreso da tante cose; a tutto, c'era un limite. Ogni tanto perfino lui riconosceva i propri. «scusate» e che altro aveva da dire? Gli stava chiedendo di ucciderli anche per lui, Cristo santo. Vaffanculo.
    E la gente ancora a dirgli fosse una brava persona.
    mckenziehale
    gif credits
    yearsblog
    code
    chuliawan kenobi
    currently playing
    lowlife by adam jensen



    niente. non fa niente. siete SCONVOLTI lo so. non parla neanche. moving on
  13. .

    neliavsjade
    ps0904
    pa/pd1010



    ATTACCO JADE: 10 pa
    DIFESA: 9pd (-1ps)
    nelia sei davvero sculata.

    ATTACCO NELIA: 7pa
  14. .
    I'm too young to die
    & too old to cry
    race
    wizard
    alignment
    death eater
    weapon
    (pity) bat
    ptolemy?
    adottami
    Non era stato il migliore. Sapeva di non esserlo stato. Non si era fatto riconoscere per un particolare acume o riflessi rapidi; di certo, non era stato una risorsa indispensabile sul campo di battaglia e non.
    Ma era stata la versione migliore di se stesso, e doveva pur contare qualcosa: non aveva lasciato che la tachicardia lo strozzasse, non si era chinato in un angolo attendendo che finisse, o che qualcuno lo andasse a prendere. Era rimasto vigile, per i suoi compagni, e ci aveva maledettamente provato; gli avevano detto bastasse.
    Non aveva neanche pianto.
    Non aveva pianto davanti ai soldati russi.
    Non aveva pianto davanti al ragazzino del front office.
    Non aveva pianto quando i suoi compagni erano stati colpiti da maledizioni che non era riuscito a difendere in tempo.
    Non aveva pianto ai quattro adolescenti privi di vita riversi al suolo, neanche quando avevano trovato la foto, e la loro vita in pillole scarne su ognuno dei comodini.
    Non aveva pianto neanche con Ptolemy, ed era stato impegnativo. Mac era cresciuto in una famiglia in cui nulla di quanto fosse o facesse andasse bene: l'avevano immaginato diverso, quel figlio li; l'avevano voluto diverso, ad ogni costo. E lui zitto, perché che diritto aveva di volere una vita diversa. Aveva vissuto d'aria e acqua per giorni, e di catene per mesi, e incassato così tanto odio che per forza, cazzo, per forza ne era uscito così: cauto, vulnerabile. Crepato su ogni lato, con colla a caldo a tenere tutto unito perché se si fosse spezzato non sarebbe più servito a nessuno. Non era facile perdere quelle convinzioni, ok? E si, si stupiva quando si rendeva conto esistessero persone che non lo odiassero per qualcosa di banale come esistere, figurarsi quando esprimevano a voce delle belle parole per lui. Non richieste. Importava perfino poco se fossero oneste o meno, fintanto che le pronunciavano avendo a cuore che fosse quello che avesse bisogno di sentirsi dire. A lui bastava, che ci stessero provando. Più che bastava.
    Ma iniziava a diventare fragile, quel cuore sconnesso tenuto male nel petto. Friabile. Non aveva avuto tempo di sistemarlo a dovere, tra una morte e l'altra. Era esposto, e nudo, e - «Stai facendo la cosa giusta» Lui? Deglutì, perché non era certo di cosa intendesse Milena. A resistere? A esistere e basta? Sapeva quante volte fosse andato vicino a non farlo? Impreparato. Mai, Mckenzie Leighton Hale, avrebbe pensato che Lena volesse andare a parare li.
    Dove più ne aveva bisogno. Dove faceva male come la prima volta, perché si sentiva un impostore. «Sei stato coraggioso. Sei coraggioso» Lo era stato? Sollevò gli occhi verso la donna, un misto di tristezza e speranza difficile da tradurre a parole. «Sono fiera di te.» Abbassò gli occhi così velocemente, che dovette tenersi al muro per non perdere l'equilibrio. Investito dai mommy issues con la potenza di mille ff #ptoka, perché - perché.
    Perché aveva vent'anni, e non avrebbe dovuto ancora pensare a sua madre, ma ogni tanto lo faceva comunque. Non lo diceva ad Harper, perché avrebbe dovuto, e non lo diceva a Run o Darden, sapeva cosa avrebbero detto, ma ci pensava. Ricordava i suoi occhi, sempre. E quanto rapida fosse stata a liberarsi di lui.
    Doveva pur aver avuto un motivo, no? Doveva. Mac sapeva, fosse così, e li entrava in gioco il suo costante sentirsi in errore. Scosse il capo, schiarendosi la voce a pezzi.
    Non che sapesse cosa dire. Non le avrebbe detto che non lo meritava, non era il momento adatto, e non avrebbe ringraziato, conscio di quanto stesse sbagliando a riporre quell'orgoglio in lui. Fece l'unica cosa che sapeva fare così bene, da non farla mai.
    «me lo ripeterai quando potrò crederci?» in un soffio di voce, mormorato come una richiesta che sapeva di non essere in diritto di fare, ma che voleva fare comunque. Sapeva che un giorno...un giorno, sarebbe stato degno di quella fiducia. Ci stava provando. Ci provava sempre. Un giorno avrebbe potuto ricambiare l'occhiata di Milena, e di Ptolemy, di Run o Darden o chiunque avesse mai avuto l'audacia di guardarlo in faccia e tentare di convincerlo fosse reale, con un sorriso ed un ringraziamento sincero.
    Non quel giorno. Ma un giorno.
    Entrò nella stanza respirando appena, ancora scosso da se stesso (c'era chi vibrava di sexual tension, e chi vibrava e basta: equilibrio cosmico) quando -
    quando
    Quando.
    Alzò anche lui la bacchetta, seguendo d'istinto Milena, ma ci credette subito poco. Iniziò a tremare appena, sopracciglia corrugate e cuore a richiamare la sua attenzione ad un ritmo preoccupante. Rimase immobile, nel dubbio. E zitto, perché quando non parlava non poteva dire cazzate.
    E sbagliò. Istantaneamente, neanche mezzo minuto dopo che Milena gli aveva detto fosse coraggioso, e fosse fiera di lui. Ricadde nella propria pelle con lo stesso tonfo dei corpi che si erano lasciati alle spalle.
    L'unica cosa che gli impedì di fare cadere bacchetta e mazza, era essere diventata un tutt'uno con loro.
    Li vide. Li guardó.
    Li riconobbe con quell'orrore destinato solo alle cose troppo belle per essere vere, anche se di bello non c'era proprio un cazzo. Batté le ciglia ed indietreggiò quando si alzarono in piedi. Cercó di chi fosse stato quel quarto di verso strozzato e rauco, prima di rendersi conto fosse stato lui.
    Si alzarono.
    Mac indietreggiò.
    McKenzie Hale, braccia abbandonate lungo i fianchi e tinto del sangue di qualcun altro, indietreggiò, e guardó Milena. Aveva poco da essere fiera di lui; da reputarlo coraggioso.
    Era un codardo, ed anche uno della peggior specie: quelli stupidi, e che continuavano a fingere di poter provare al mondo il contrario.
    Aprì la bocca.
    La richiuse.
    Smise, almeno, di indietreggiare, rimanendo immobile ad osservare le mani tese di Friday e gli occhi spalancati nella sua direzione.
    Non voleva - non poteva -
    Cosa?
    Non funzionava. Milena aiuto - non funzionava più. Aspirò aria come chi fosse rimasto sott'acqua più del dovuto, e solo riempiendo i polmoni si rese conto di quanto spezzato fosse il respiro. Portò un dito alla guancia, ritraendolo liquido cremisi.
    Era stato così bravo a non piangere fino a quel momento, che accolse le lacrime come qualcosa di familiare.
    Era davvero stanco.
    Pensò a Run. A Todd. Alle volte in cui aveva sentito la prima ridere senza divertimento, ed alla stretta con cui l'aveva accolto di ritorno da Tottington. Era davvero finita? Era -
    «coach?» spostò lo sguardo sulla De Thirteenth, per tornare immancabilmente sul Milkobitch, ed afferrò il braccio di Milena. Strinse le dita senza costringerla ad abbassarlo: potevano non essere loro. Lo sapeva. «jeremy?» Lo sapeva?

    «e Friday!!!!!!!! tutto bello, piacere di conoscervi, ce ne andiamo? tipo. ora?» Finse di sorridere, Fray.
    E Mac pensò: vaffanculo Twat aveva ragione, magari erano ancora in tempo per nascondere i corpi e fingere non avessero trovato nessuno. Cosa? «mh» un momento buono come un altro per abbracciare Mac.
    Davvero. Chiunque. Solo un attimo, poi torna normale, pensateci.





    mckenziehale
    gif credits
    yearsblog
    code
    chuliawan kenobi
    currently playing
    lowlife by adam jensen


    Edited by mcscuse me - 19/3/2023, 23:44
  15. .
    I'm too young to die
    & too old to cry
    race
    wizard
    alignment
    death eater
    weapon
    (pity) bat
    ptolemy?
    adottami
    «hai appena chiamato il signor Ptolemy, papà?» Moka ma da che parte stai. Mckenzie strinse le labbra fra loro, mordendone l'interno con lenta intenzione, e scosse lentamente il capo verso il Telly. Un silente non farmelo ripetere, potevi fingere di non aver sentito, infame, e per concludere non so assolutamente di cosa tu stia parlando a cui sapeva non avrebbe creduto nessuno - tentare, però, non poteva nuocere.
    Una svista. Un typo orale. Ma cosa volevano da lui. Loro non sbagliavano mai? Beh, lui spesso, e non era carino da parte di nessuno dei presenti sottolinearlo con quel tono.
    Evitò accuratamente lo sguardo di Ptolemy, e ringraziò - ringraziò! - di avere le guance già colorate dal sangue di qualcun altro perchè fosse visibile il suo sottopelle. Uccidere aveva più di un lato positivo, a quanto pareva. Forse la villain era di Mac non sarebbe mai arrivata, ma quella da pragmatico serial killer? Forse. Magari. Quasi un sogno ed una favola. Chissà, avrebbe potuto iniziare da «mac, insomma - non affezionarti troppo, ha chiari istinti suicidi. poi muore e ci rimani male.» anche perchè non faceva ridere proprio per niente, visto che continuava a succedere.
    Quando potè chiudere gli occhi, lo fece. Non guardò la donna schiantarsi su Twat, non guardò il resto del teatrino omoerotico di Ptolemy e Moka. Tenne una palpebra socchiusa solo per assicurarsi che la maledizione fosse svanita.
    Basta. Fine. Non voleva più vedere nulla e non voleva sapere niente.
    Si costrinse solo a fare un passo indietro quando sentì l'incanto riservato alle pulizie. «no» veloce, grezzo, un'occhiata sottile e terrorizzata a Lena. No, lui - no. Trovava piacevole il sangue a seccarsi sulla pelle ed i vestiti? No, e continuava a non pensarci, aiutato dal freddo a rendere insensibile ogni parte esposta del proprio corpo, ma se si fosse pulito magicamente... Se avesse permesso ad un tergeo di liberarlo dal sangue, Mckenzie sapeva, nel profondo del suo cuore, che non si sarebbe mai più sentito pulito. In quelle condizioni, si sarebbe grattato l'epidermide fino ad arrivare allo stato successivo, rimanendo sotto il getto abbastanza da piangere e diventare parte integrante dell'acqua, ma almeno ne sarebbe uscito, ed avrebbe smesso di sentirsi sporco. Preferiva soffrire lì sul momento, che a lungo termine.
    «State tutti bene?»
    Si schiarì la voce, «un fiore», ed era vero. Mac grande fan della natura morta. Che poi, fisicamente stava davvero bene: per l'assurdo ed insensato interno della sua testa, nessuno in ogni caso avrebbe potuto fare nulla, quindi showbiz. Aiutò a coprire i corpi dei ragazzini? Sì, perchè era suo dovere e perchè voleva farlo. Mentirei se dicessi che non li avesse guardati più a lungo del necessario, e comunque, non ci avrebbe creduto nessuno.
    «Mackenzie…» Battè le palpebre sentendosi subito colpevole, il cuore a schizzare in gola. Sollevò lo sguardo su Olga, aspettandosi di trovare il disappunto che attendeva dall'inizio di quella missione, la delusione, la seccatura perchè effettivamente non era servito a nulla ed era stato solo un peso, la rabbia di doverselo portare ancora dietro - «… indicaci la via.» E invece... non fu così. Baci. «oh» Abbastanza inaspettato da costringerlo ad un altro secondo di inattività, le sinapsi a elaborare il fatto che a quanto pareva, davvero non lo odiavano e non lo trovavano un bambino inutile da trascinarsi dietro per necessità. Il mondo era davvero un posto particolare, e simili consapevolezze non pensava le avrebbe trovate in una missione suicida in Siberia. «sì, certo» prese la mappa, la aprì, e la sistemò in modo da trovarci un ordine ed un senso. Indicò con il dito dove si trovavano, seguendo poi il naturale percorso verso il resto del corridoio. «proseguendo da quella parte ci sono altre stanze» e davvero non voleva sapere quali orrori li attendessero. Deglutì, uscendo e facendo strada. «la prima stanza sembra quella adibita ai servizi, la seconda... una cucina? forse?» arrivati davanti alla biforcazione, offrì la piantina ad Olga. «la terza potrebbe essere qualunque cosa. archivi?» si strinse nelle spalle.
    Il suo lavoro lì era finito.
    Ma non hai fatto niente.
    Ah, già. Quindi, bacchetta alla mano, osservò i movimenti e le scelte degli altri, perchè l'inferno sarebbe gelato prima che Mckenzie Hale facesse volontariamente un qualsiasi tipo di scelta. Ptolemy e Twat nella prima stanza? Fantastico! E allora lui avrebbe seguito mamma nella seconda, tenendo la bocca chiusa per evitarsi di appellarla come genitrice 2: aveva già fallito una volta, enough is enough. «ok»
    Non era ok.
    mckenziehale
    gif credits
    yearsblog
    code
    chuliawan kenobi
    currently playing
    lowlife by adam jensen



    ENTRA NELLA STANZA 2 3 CON MAMMA!!!
371 replies since 6/8/2018
.
Top