raido

Romolo Antonio Linguini si sentiva un animale in gabbia.
Si agitava e digrignava i denti come un animale in gabbia, fisicamente – e mentalmente – provato dagli avvenimenti delle ultime ore.
Ma no, che cazzo diceva, degli ultimi mesi. Da quando quel pirla di suo fratello Remo era sparito, portandosi dietro anche Giacomino e quel poco di sanità mentale che era rimasto a Gin dopo ventidue anni di lesbianesimo, Lollo non era più stato lo stesso. Qualcuno avrebbe (erroneamente!) sottolineare come non fosse umanamente possibile, per lui, peggiorare — ed invece era stato proprio cosi. L'unica cosa a tenerlo sano, e aldilà della sottile traccia che divideva l'uomo dall'animale che si agitava sotto la pelle olivastra, era uno e soltanto una: DDR, campione e capitano. Condottiero. Era stato uno dei supporter di Mou fino alla fine, il romano (e romanista!), ma vedere Daniele sedere sulla panchina giallorossa e fare veri e propri miracoli (come la quarta semifinale europea di fila!!) era stato... boh, galvanizzante, per uno come lui, cresciuto a pizza e mortazza, cemento e ginocchia sbucciate, Wacko's e Lupo Alberto, prodezze di Totti e falli di De Rossi. Erano alcuni dei tanti binomi che, da venticinque anni oramai, facevano di Lollo Linguini ciò che era. Non necessariamente una cosa positiva, certo, ma andava così.
Perciò sì, a evitargli di impazzire del tutto era rimasta solo la sua Roma, l'unico amore che non avrebbe (e non lo avrebbe) tradito mai. Si chiedeva per quanto ancora la Roma sarebbe riuscita nell'impresa (di rimanere in europa — ma anche di tenerlo sano) e l'unica risposta che aveva era un grande, immenso, gigantesco, dimensioni-del-raccordo-anulare-tipo punto interrogativo.
Perché la sua vita aveva preso una piega così strana che non aveva nemmeno festeggiato goliardicamente direttamente in faccia a Gigio la vittoria della Roma contro il Milan in Europa League — perché non aveva senso farlo senza il resto dei Linguini a ripetergli di smetterla di fare il deficiente e di saltare sul bancone del bar perché non era igienico e di non rompere i coglioni perché tanto non avrebbero vinto un cazzo di niente mando quell'anno e ma vaffanculo Lapo nun me rompe er cazzo pensa a quella squadra de fradici che c'avete, avete perso pure conto 'a lazie, siete dei buffoni — non era affatto la stessa cosa.
Nulla era più uguale, da quel San Valentino.
Né a Hogwarts, né al bar, né a casa, né a Canosa. Era tutto andato a puttane e il cazzo di Lotus di merda si era portato via le uniche certezze che Lollo avesse mai avuto nella vita, nonché quel briciolo di razionalità che gli fosse stato donato alla nascita e poi dimenticato come sfruttare per quasi un quarto di secolo.
«non ti permettere di fare stronzate, Romolo Antonio Linguini»
Erano state le parole che Ginevra gli aveva schiaffo addosso come monito, ramanzina prematura ma necessaria, saluto e raccomandazione — sì, tutto insieme. «nun morì» gli aveva risposto lui, lasciando che la napoletana lo avvolgesse, suo malgrado, in un abbraccio — lo avrebbe evitato, ma lei e Lux e Gigio erano tutto ciò che gli restava e poteva mandare giù il fastidio mischiato al groppo in gola per concederle quel piccolo gesto.
E per concederlo a se stesso.
«e occhio alla spugna» aka lucrezia linguini, capace di bersi anche l'acqua elettrificata del lago dei thurisaz, «vedete de arrivacce vive dall'altra parte, se dovemo annà a riprende quei tre cojoni» pausa. sospiro. «e Giacomino» la priorità numero uno.
E poi si era messo in marcia anche lui, seguendo gente che conosceva solo vagamente per averla vista in giro nel campo base il giorno prima, più quella tassorosso che parlava troppo strano e che lui non capiva assolutamente (cosa reciproca, tra l'altro), e John Wick.
Almeno su quello, lui e la moscerina giallonero sembravano essere d'accordo, tra l'altro.
Aveva marciato con loro per ore, così tante che era fermamente convinto di aver consumato le suole degli anfibi con la punta rinforzata, e di essere arrivato a piedi in Giappone, praticamente.
«me pare de sta su 'a strada pe' ostia er quindici de agosto: nun s'arriva mai» borbottato a nessuno, perché in italiano, un lamento con l'unico scopo di fargli buttare fuori un po' di indignazione, malcontento, fastidio, delusione, rabbia, incertezza, elanimadelimejomortacciloro perché non arrivavano mai da nessuna parte: ogni volta che pensavano di aver raggiunto il posto tiemme, poi Rambo (papà John) gli faceva cambiare strada perché “io lo so dove dobbiamo andare" eccetera eccetera. Lollo non si fidava particolarmente, ma l'alternativa era iniziare ad urlare e correre (nudo.) per la foresta sbraitando e agitando la spranga di ferro e non gli pareva molto intelligente come soluzione. Persino lui aveva dei limiti. E delle priorità, quando in ballo c'erano cose preziose ed importanti come la famiglia.
Il fatto che avesse iniziato ad intonare stornelli romani e cori della curva sud senza mai fermarsi, però, indicava chiaramente come lo stato di salute mentale della guardia si stesse inesorabilmente sgretolando. E pensate che i nemici dovevano ancora arrivare!!
Poi, come chiamati all'appello da quel pensiero vago dell'italiano, eccone apparire giusto sei.
«ho partecipato a mischie col triplo de' guardie infami presenti, nun me fate paura» e non ne aveva davvero, perché per averne avrebbe dovuto avere un po' di assennatezza e furbizia, due cose che non erano state tramandate nel corredo genetico del romano (e romanista!).
« Ve dico solo ma cosa: vedrete solo er rosso maggico de' a roma »
A quelle parole, Lollo brillò così intensamente da far impallidire, per un attimo, anche il sole. «daje roma daje» rispose ad MJ, prima di volarle contro e spostarla di peso per evitare che finisse sotto le grinfie del lasso kinky di uno dei nemici. «o' ciciolè, me raccomanno, nun te fa ammazzà» un po' gli sarebbe dispiaciuto perderla, pure se non si capivano mai quando si parlavano a vicenda.
La lasciò al suo posto, due pacche sui capelli rosa bigbubble, e si voltò su se stesso giusto in tempo per vedere uno degli stronzi lanciarsi contro di lui a piccone spiegato. «anvediiii aò» ma era... giallorosso???? Lo voleva lui. Lo voleva lui. «damme 'n po' qua» urlò in faccia al nemico, dandogli una sprangata sulle ginocchia e cercando di sfilargli di mano il piccone. «eddai, nun fa l'infame e molla la presa» sarebbe stato suo, a costo di rimuoverlo dalle dita fredde del cadavere di Kennith.

Lelouch stava scomodo.
Che fosse un accampamento, sotto l’effetto di alcolici o qualche tipo di droga, che fosse a casa sua, in metropolitana, su una scopa, in un bar, Lelouch stava tremendamente scomodo. Era sempre stato così, da quando ne aveva memoria, da quando i polmoni avevano iniziato a bruciare per il primo respiro fatto dopo essere uscito dalla vagina di sua madre. Stava scomodo in piedi, stava scomodo seduto, stava scomodo nel camminare, nel pensare, nel parlare con gli altri. Lelouch stava scomodo ancor prima che fosse conosciuto con quel nome, ancor prima che Lelouch sostituisse Sahir, ancor prima che sua madre avesse potuto percepirlo nel suo ventre. E quando si stava scomodi nella vita, l’unica alternativa era la morte.
La sua? No, aveva passato davvero troppa merda per far calare il drappo rosso del sipario proprio in quel momento. Ma se lui stava scomodo, allora anche gli altri lo sarebbero stati. Non vi era alcun nobile motivo per cui lui fosse lì, un semplice capriccio che affondava le sue radici nella necessità di vendetta, rabbia, giudizio cosmico.
«Mon dieu.» assurdo come due semplici parole potessero essere pronunciate con un accento così forte da sembrare unghie che graffiavano una lavagna – il francese non era mai stato una lingua particolarmente musicale neanche per il Blanchard, ma era comunque quella con cui era cresciuto, e nulla suonava meglio di un’imprecazione nella propria lingua madre. Imprecava per il l’umidità asfissiante? Sicuramente la sua fronte sembrava un’installazione di arte moderna con tutte quelle perline di sudore che gli scendevano lungo la guancia, ed i capelli color pesce ad appiccicarsi alla stessa dava quel tocco da anima dark e tormentata da vero artista, ma non era quello il motivo. Per il vagare senza una vera destinazione? Il fatto che fossero a conoscenza dell’effettivo dove andare era comunque un passo avanti, e quello era stato in grado di tenere serrate le labbra del francese. Per il continuo blaterale in italiano di quello spaventapasseri ambulante? Oh sì, ci potete giurare.
«Devo ricordarti che la Gioconda è a Parigi per farti stare zitto?» disse voltandosi in direzione del Linguini prima che la situazione si facesse stranamente calma, troppo calma, piacevolmente calma. Che la minaccia avesse funzionato? No, non gli sembrava il caso dato che Romolo riprese a starnazzare come un folletto arrabbiato quando quei sei loschi individui (e non parlava del suo stesso gruppo) fecero la propria apparizione. Per tutte le escargot della Provenza, erano lì per salvarlo da quella immane tortura? Si sarebbe volentieri gettato tra le braccia dei suoi salvatori se il medimago non avesse aperto le sue, facendo cenno di fermarsi e fare silenzio. Troppo tardi, pensò il Blanchard, estraendo dal fodero che portava sulla schiena la spada corta, preparandosi al combattimento.
«Stavo per finire l’inchiostro, un po’ di rosso non mi farà male.» e si inumidì le labbra, accennando ad un movimento delle stesse in quello che poteva essere la cosa più vicina ad un sorriso che i presenti avessero potuto vedere sul suo volto, e forse era meglio così – troppo inquietante. Anche il fatto di aver pronunciato più di quattro parole che non avessero a che fare con bisogni primari, quali la fame o il sonno, era un gran miracolo – quella spedizione lo stava davvero provando.
«Ti stai offrendo?» inclinò il capo di lato nel vedere Courtney corrergli incontro con la sua accetta, portando il francese a massaggiarsi distrattamente una tempia nell'analizzare la situazione - o meglio, nel cercare di capire quale sottotono potesse avere il suo nemico per studiarne poi la tonalità del sangue «per il momento il color mattone non mi serve, non si sposa bene con la palette che ho in testa» e soffiò quel commento nel provare a scansare quel colpo, voltandosi di lato per poter invece correre verso Sidney. «Il tuo è perfetto!» e gli occhi di Lelouch si illuminarono come quelli di un bambino di fronte ad un negozio di caramelle, potendo già percepire la consistenza calda e viscosa di quel sangue nel provare a colpirla con la spada all'altezza della gola nel vederla concentrata in quell'attacco verso MJ - chiramente non nei suoi piani difenderla, ma non era qualcosa che avrebbe detto ad alta voce: «ah cazzo, stavi cercando di accopparla? Colpa mia».