sowelu

Era sempre un po' una palla e uno scombussolamento inutile svegliarsi Kimi — tranne quando non lo era.
Creatura peculiare, il Raikkonen, in grado di adorare una cosa che l'attimo prima aveva detestato solo perché poteva; mutevole e caotico, il contrario di qualcosa di concreto e scolpito nella roccia, una creatura fatta dello stesso materiale intangibile di sogni e speranze e desideri. Impossibile.
Non il primo e di certo non l'ultimo ad essere vittima di maledizioni apparentemente senza soluzione, ma a chi interessava degli altri? Non a lui.
Ma anche un po' a lui. Solo quando si annoiava, però. Solo quando doveva lavorare. Solo quando.
La sua maledizione era una gran palla, eccetto quando era una benedizione; non poter comprare legalmente dell'alcol in america? Palloso! Ma tanto lui viveva a Londra. Essere preso scarsamente in considerazione perché moccioso? Palloso! Ma tanto era il suo lavoro non lasciare il segno. Non ricordarsi cose successe nella vita di Elias perché non ricordava di averla vissuta, quella vita? Palloso! Ma tanto a lui piaceva fare sempre nuove esperienze. Tanti contro, e altrettanti pro, in quella pelle più giovane e in quelle guance con molta meno barba; tanti pro e tanti contro, nell'aprire gli occhi verdi sul mondo e guardarlo come Kimi e non come Elias.
La prima cosa che aveva fatto, la mattina precedente z era stato mandare un selfie al suo fratellone; l'idea che fossero gemelli ma solo uno di loro avesse effettivamente trentadue anni al momento attuale, era sempre divertente per Kimi.
In effetti, un sacco di cose erano divertenti, per Kimi. Anche la pasticca sciolta sotto la lingua e trattenuta un po' di più solo per apprezzarne il gusto pungente e gli effetti sballanti era divertente.
Aveva mandato il selfie a Mikkel, il ghigno sempre presente sul viso, che fosse quello imberbe che vestiva in quel momento o l'altro, maturo ma ugualmente scavato, la stessa zazzera di capelli biondo platino a fare da tappo ad una testa che lavorava sempre troppo velocemente e che sognava con ancora più celerità. Aveva pregato affinché Kimi rimanesse poco, e allo stesso tempo abbastanza a lungo da potersi godere tutta l'avventura; e aveva usato quelle sembianze sconosciute ma così fottutamente simili per avvicinare i gemelli al loro rientro al campo base, la sera precedente. Non li aveva trattenuti a lungo perché avevano una bottiglia di alcol dell'amicizia da spartire con i loro amichetti, e perché Kimi non sapeva cosa dirgli a differenza di Elias — ma Elias non aveva mai detto nulla, pur sapendo come e perché farlo, e così quella tenera e toccante riunione familiare era stata rimandata ancora di un po'.
Aveva mandato a Miks anche una foto rubata di Delilah e Paris, seduti intorno al falò, perché era uno stalker, e perché il maggiore meritava di sapere che si fossero fatti prendere a fucilate e cazzotti come dei veri sfigati. «sono. Proprio. Tuoi. Simili.» aveva digitato, aggiungendo una serie spropositata di emoji — almeno quello, Kimi ed Elias lo avevano in comune. Non era molto, ma potevano accontentarsi.
Era una palla svegliarsi Kimi e avere ogni volta trentadue anni di vita resettati e cancellati, solo per recuperarli poi tornando Elias — ma era così fottutamente figo poter dire di vivere due vite che non se la sentiva di lamentarsi della cosa a gran voce. Preferiva mettere su la maschera da pathetic little meow meow e scommettere – con se stesso – chi dei compagni avrebbe ceduto prima: sarebbe stata la bionda francese (entrambe nel dubbio!) o lo psycho daddy del gruppo? Uno dei due giovanotti dai tratti esotici e orientali? A Kimi andava bene chiunque: si annoiava così tanto che avrebbe ascoltato i racconti di ciascuno di loro pur di occupare il tempo e fare qualcosa.
Beh, qualcos'altro in effetti — dovevano già pensare a difendersi dagli attacchi dei nemici e «ma sono dei raggi laser, quelli?!» Bello. E anche terribile. «sono troppo giovane per morire» una bugia, ma anche una verità: dipendeva dal punto di vista e dalla situazione, e da come lo si interpretava — come praticamente ogni altra cosa che riguardava Elias Raikkonen, per i Sowelu Kimi.
« secondo voi è possibile prendere il controllo anche di queste torrette? »
E poi gliele servivano così, su un piatto d'argento.
Ma Kimi era un signore e, soprattutto, non si chiamava Lawrence Matheson; non avrebbe detto ad Adrian che se voleva qualcosa da controllare, una o due proposte lui ce le aveva. Avrebbe atteso di conoscerlo un po' meglio, prima. Di carpire i suoi segreti, ciò che lo rendeva... lui.
«possiamo provarci?» suggerì semplicemente, cercando di bloccare l'attacco di Tyler contro di sé usando Mason come scudo umano, e poi spingendo quest'ultimo verso il compagno per impedirgli di attaccare Serah e anche sperando che gli cadesse addosso e gli facesse male. «ma sono poco agile, vi lascio l'onore di tentare» perché era un infame, Elias o Kimi che fosse, e non aveva la certezza che le torrette non saltassero in aria se toccate o manomesso, e non voleva essere lui ad imbrattare gli alberi e i cespugli della foresta con brandelli di sé sparpagliati in giro ♡

Stava già avvertendo gli effetti della battaglia, e non era manco iniziata.
Avrebbe riso, perché come si poteva non ridere a una cosa del genere, se smuovere troppo la cassa toracica non gli avesse provocato certe fitte di dolore in grado di farlo piegare in due. Ovviamente si era preso una coltellata, il deficiente. Dritta nel fianco, lontana da organi vitali solo per volere di Cristo in persona. Era scivolato via prima che l’assalitore potesse tentare di nuovo ed essere più fortunato, trascinato indietro da un compagno che neanche ricordava davvero; la sua visione si era riempita di punti neri, poi d’improvvisi flash di bianco, e aveva sinceramente pensato che fosse giunta la sua fine. L’adrenalina gli aveva permesso di proseguire, seppur rallentato dalla ferita aperta e quel male fottuto che gli pulsava fino alle tempie, ma a ultimo nemico caduto aveva smesso di reggersi in piedi autonomamente. Non esisteva ragione al mondo che giustificasse la sua presenza in quella spedizione. Non che si fosse sprecato a dirlo ad alta voce: lungi da lui dare per scontato il buon senso, quando c’era di mezzo il caro buon Ministero della Magia.
Tutti quegli anni a curare una vita all’infuori di quell’istituzione che non lo aveva mai reso felice, o anche solo fatto sentire parte di qualcosa. Lavoro duro, e soldi, e all’incirca una quarantina di crisi esistenziali al minuto. Ci era riuscito! Con le unghie e con i denti se l’era presa, la sua dannatissima soddisfazione. Aveva uno studio. Aveva (avuto) un appartamento. Aveva una cazzo di vita normalissima, uguale alla vita normalissima di ogni altro suo coetaneo – dipendenze a parte, forse, ma neanche così tanto. Lui era solo stato più stupido di altri a scegliere la tipologia di sostanza esatta.
E alla fine – a dadi tratti, tornava sempre lì. In un modo o nell’altro, quel mondo di merda lo risucchiava nei suoi schemi. Non voleva passare per una vittima sconsolata, Blaise Han. Ma riteneva anche di aver dato e ricevuto abbastanza per una vita intera. Non capiva come fosse possibile ricadere ogni cristo di volta nello stesso loop, ma questo era il suo dono, evidentemente.
Quindi era un peso inutile: bello.
Un peso inutile con una sentenza di morte praticamente già scritta in fronte: bellissimo.
Un peso inutile con una sentenza di morte praticamente già scritta in fronte circondato da francesi: superb.
Ciliegina sulla torta, perché non si faceva mancare mai nulla, di tanta gente – di tanti possibili compagni alla quale si sarebbe potuto allacciare il giusto necessario per sopravvivere alla giornata, forse – Finley. Finley Lloyd. Doveva pure sentirsi in dovere di proteggere una persona che senza ombra di dubbio aveva più probabilità di uscirne tutto d’un pezzo di Blaise stesso. L’ironia.
L’ironia.
Gli rivolse un’occhiata rapida, e tornò a fissare il vuoto.
Non aveva osato chiedergli perché fosse lì. La risposta, tanto, già la conosceva.
« secondo voi è possibile prendere il controllo anche di queste torrette? »
Roteò il capo prima sul tipo che aveva parlato e della quale si era già dimenticato il nome – e che, tra parentesi, aveva dato per scontato fosse l’esatto opposto di quel che era davvero. Ma in che senso stava parlando timidamente. –, poi nella direzione di qualunque cosa avesse attirato la sua attenzione.
Backtrack. «anche?»
C’erano più checkpoint con le torrette — plurale? Inarcò le sopracciglia, occhi spalancati e labbra stese in un sorriso incredulo. «scommessa su chi crepa prima?»
Tirò su col naso, e batté le palpebre una, due volte. «forse dovremmo scommettere sull’ordine inverso.»
Così, tanto per.
A quel giro, quantomeno, si poté risparmiare la morte certa. Si trascinava come un ubriaco, Blaise, ma Lucy non sembrava messa troppo meglio. O aveva semplicemente capito che fosse pericoloso quanto un micio di due settimane; indifferente. Quella era chiaramente la sua occasione di tentare, quantomeno, ad arrangiare un’offensiva. Abbassò il capo prima che lo sputo (fucking rude) potesse prenderlo in pieno, falcate semi-rapide a chiudere la distanza con la donna, e alzò la mazza. Idealmente un colpo netto contro la tempia, abbastanza forte da scuoterla un minimo; nella pratica la testa aveva riniziato a girargli, e la maglietta si stava inumidendo lì dove la garza reggeva precariamente i lembi di pelle.
Fingeremo, per questioni di orgoglio personale etc etc, che a quel punto non finì addosso a Mason per pura casualità. Barcollando e posizionando male i piedi, e accorgendosene troppo tardi. Fingeremo fosse stata una difesa volontaria, fatta con la piena coscienza di quello che il nemico era intenzionato a fare.
Fingeremo.
«ok» tastò il sapore metallico in bocca, e deglutì. «ok, qualcuno riesce a capire se si possono disabilitare?» e fece un cenno col capo nella direzione delle torrette. Uno scopo più umile, il suo.

cosa ci faceva lì? non ne aveva idea.
ivette beaumont aveva scoperto che, lena, una delle sue migliori amiche era scomparsa.
Non era una di quelle pazzoidi che chiamavano ribelli, non aveva davvero gridato al complotto, all’allarme.
ma quando aveva sentito della missione, non aveva potuto far altro che aggregarsi.
dopo sua sorella, la sua ex compagna, se così si poteva chiamare, lena era una delle persone rimaste su cui poteva fare affidamento, doveva riportarla indietro
ed eccola lì, imbracciando una mitragliatrice, con persone che non conosceva in un posto dimenticato da dio
«facciamo che sopravviviamo abbastanza da farli fuori, mh?» ad alcuni compagni, che sembravano molto più malmessi di quanto lei fosse, bacchetta alla mano, prese blasie per l’avambraccio «soprattutto tu, explendo jens» sperando facesse effetto e non toppasse per la tensione che le metteva quel postaccio, intercettò lucy nel suo tentativo di paccare adrian, e provò a darle una gomitata, poi le puntò la bacchetta esclamando a gran voce «deploratio!»

per fortuna, per fortuna, ivette era rimasta elastica dopo i tanti, troppi, anni di danza classica che aveva fatto da bambina e si abbassò verso il pavimento cercando di evitare il proiettile verso di lei, che per la cronaca era un fucking 33. have mercy fato
«sono entrati in modalità terminator» che per inciso, non sapeva affatto cosa fosse, lo diceva may e le era rimasto quel terribile modo di dire, posizionò la mitragliatrice sparando 1 (ma perché il dado ce l’ha con me?) colpo verso il petto di tyler «ti ho appena curato potresti evitare di rischiare la vita?» a finn, mentre lo prendeva per l’avambraccio

A sua discolpa, l'aveva detto di non essere agile.
Ma, cazzo!, non pensava di essere così senza speranza da non riuscire a schivare abbastanza in fretta il colpo di fucile — poteva solo ringraziare di essersi spostato quanto bastava per evitare di riceverlo in fronte, ma il fatto di avere un polmone perforato, ora, non rendeva le cose molto più facili.
L'impatto, per sé, non era stato così terribile, e Kimi a malapena se ne era accorto, forse per lo shock, forse perché era troppo impegnato a capire cosa fare di quel Mason che si era ritrovato tra le mani nel tentativo di ripararsi dietro di lui, fatto sta che non se ne era accorto subito.
Poi, all'improvviso, il dolore era arrivato tutto insieme e Kimi aveva lanciato un verso strozzato di dolore, piegandosi su se stesso e portando istintivamente le mani al petto, solo per sentirle, con suo grande orrore, sporcarsi subito del liquido cremisi appiccicaticcio che stava già inzuppando la maglia. Se Kimi avesse avuto qualche ricordo in più di una vita vissuta come Elias, avrebbe forse riso della beffa karmica a cui si era appena sottoposto volontariamente: l'anno prima aveva preso in giro Jekyll, e ora toccava a lui fare la stessa fine. Ma Kimi, il Crane non l'aveva nemmeno mai incontrato e in quel caso poteva solo ridere di se stesso e di quanto fosse fottutamente stupido morire al primo colpo. «credevo di essere la final girl, sapete» detto a tutti e nessuno in particolare, mentre nella gola iniziava a sentire già il sapore metallico del sangue risalire e impiastricciare la bocca, e lui cercava inutilmente di tamponare un'emorragia che, secondo Lele, lo avrebbe ucciso non abbastanza in fretta e sicuramente in maniera non indolore. «ho davvero tutte le carte in regola per esserlo» sbiascicato ora senza senso, ma doveva dire qualcosa, non avrebbe lasciato quel mondo in silenzio e senza dare ai suoi compagni qualcosa con cui ricordarlo — fossero anche solo stronzate.
E fu proprio verso quei compagni (o meglio, compagne! Team biondi! SLAY!) che rivolse le iridi bosco, tentando di mettere a fuoco sia loro che gli aggressori, provando a prevedere almeno uno degli attacchi — teneva di non essere in grado di prevederli o giocare con le probabilità di entrambi, ma poteva concentrarsi su uno? Doveva almeno provarci. Provò con quello su Ivette, che gli pareva un po' troppo preciso e mirato al cuore della ragazza («aw, matching fucilate») per non cercare di fare almeno il tentativo di giocare con l'esito del colpo stesso e spostarlo di una manciata di gradi: si accontentava di farlo finire... boh, sul braccio della Beaumont, o sulla spalla! Ovunque non fosse il centro del petto. «ivette, spostati a sinistra!» e poi, a Serah, urlò «tu fai un passo a destra!» per quello, per vedere dove avrebbe impattato la katana, non gli serviva prevedere il futuro, bastava seguire la parabola della lama.
Anche se «...credo.» un sorriso imbarazzato a dispiegare le labbra che iniziavano a tingersi di cremisi, «solitamente uso di qua e di là» esattamente come pandi che non distingue destra e sinistra. Ma non c'era tempo per stare lì a capire, avrebbero dovuto fidarsi di lui o seguire invece i propri istinti, qualsiasi cosa preferissero. Intanto lui, lottando contro il dolore lancinante che si diramava per tutto il torace, provò ad avvicinarsi a Mason per infilzarlo all'altezza dei reni con il balisong.