gebo

Ci muoviamo insieme per neutralizzare una minaccia comune.
Ci muoviamo insieme perché abbiamo tutti perso qualcuno.
Anche avesse voluto, Wyborowa Moskovskaya non poteva essere d’accordo con le parole di quella cogliona («è il ministro della magia!» «wow… stiamo messi così male?» perché sempre una disadattata gli sembrava; ai tempi suoi il mondo magico funzionava meglio, i thestral arrivavano in orario eccetera eccetera, ma non aveva così voglia di fare un sermone sulle istituzioni polacche degli anni novanta a quel tizio casuale cui aveva chiesto chi fosse l’altra tipa sul pulpito).
L’unica minaccia che sentisse come tale in quel dato momento storico della sua vita era un mago nano e malefico, ed ucciderlo con le proprie mani lo scopo ultimo della sua esistenza: dubitava fortemente che Kosmo fosse l’obiettivo comune della popolazione però, o che anche soltanto sapessero di chi si trattasse, ma sarebbe stato molto felice di scoprire ci fosse lui dietro quei rapimenti e servirgli così la propria vendetta.
Non aveva nemmeno perso nessuno da andare a cercare. Tutte le sue conoscenze avevano cinquant’anni, se non erano già morte e sepolte sotto cumuli di terra, e già vivevano la propria miglior vita da pensionati fuori da qualche bar di Kolno, carte alla mano e tante bestemmie sulle labbra. Aveva visto i nomi della gente scomparsa, ed aveva avvertito un disturbo nella forza solo davanti all’anonima faccia di Sinclair Hansen – sapeva di non aver mai conosciuto una persona con quel nome, né che gli somigliasse, quindi non ci aveva sprecato molto tempo: ci si era soffermato semplicemente un secondo in più, e sentiva non fosse legato al fatto che era un amico di Troy, eppure –; per il resto, niente di rilevante o da annotare. Conti alla mano, a Row non fregava un cazzo di chi era stato rapito, per quanto lo riguardava potevano anche essere tutti morti stecchiti e avrebbe dormito sonni tranquillissimi: uno dei problemi del nuovo millennio era la sovrappopolazione mondiale, quindi win win, no?
C’erano due soli motivi per i quali avesse deciso di prendere parte a quella spedizione.
Il primo, era che aveva passato ventotto fottuti anni rinchiuso in una prigione di pezza e ovatta, incapace di muoversi e fare quello che gli riusciva meglio (picchiare la gente, uccidere se necessario, fare soldi perché sperava li ricompensassero una volta tornati in patria) e che preferiva fare (che era anche ciò che gli riusciva meglio, ma nella lista era da aggiungersi il viaggiare in giro per il mondo); era un’occasione troppo ghiotta per privarsene, e non aveva quasi nulla da perdere se non avesse mai fatto ritorno ad una casa che non esisteva.
Il secondo, era quel “quasi”: Troy. La chiaroveggente voleva partecipare, aveva qualcuno da riprendersi, ed aveva passato troppo tempo attaccato al suo culo per (non affezionarcisi, e non volere che se ne andasse lasciandolo da solo in un mondo nel quale non era e non aveva nessuno) non seguirla anche lì.
Ovviamente cosa facevano, gli organizzatori di quella pagliacciata?
Li dividevano.
E lo mettevano con un ragazzino deforme («ti hanno assemblato male alla nascita?» curiosità sincera), un ragazzino depresso («ma ci pensi che avevo regalato a troy un orsacchiotto di pezza, e lei l’ha bruciato vivo? vivo perché era una persona trasfigurata.» chissà, magari si divertiva con poco, come lui), una ragazzina psicopatica, un tossico con un flauto, ed una mamma rompicoglioni («sì però hai già rotto tre quarti di minchia: lasciali toccare quello che vogliono, al massimo esplodono.» anche quello sarebbe stato divertente).
Non ci misero molto, a stuzzicare qualcosa che – come saggiamente rimproverava la bionda – avrebbero dovuto evitare. Mani in tasca e sorriso sulle labbra, si godette quei primi istanti dell’imboscata come se fosse esattamente quello che stava aspettando (spoiler: lo era), dando una gomitata alla più vecchia del gruppo. «dai, almeno ci divertiamo un po’! iniziavo ad annoiarmi.» reale. Non si sistemò la cintura del mitra, lasciando l’arma adagiata alla schiena, ma colse subito l’attimo ed approfittò della vicinanza per dare un pugno al tizio sdoppiato che aveva preso di mira Lisi. «stai attenta.» la scimmiottò, perché era esattamente quel tipo di ragazzo lì il Moskovskaya.
«oddio, ma è nuova?» domandò affascinato al tipo con la pistolona puntata contro di lui, braccio alzato ad indicare l’arma con la bacchetta – grazie signore orsetto messo al rogo, il tuo sacrificio non sarà vano – prima di usarla per lanciargli un sectumsempra. «quella sarà mia, la voglio.» annunciò ai compagni – certo, però prima doveva ammazzarlo. Non vedeva l’ora, ma immaginava che per farlo dovesse prima evitare il proiettile nella sua direzione: lo fece semplicemente scansandosi, mentre la ragazza psicopatica prendeva a mazzate lo stesso nemico.
«tutto ok?» chissà, Delilah. Chissà.

l «cazzo» fu l’unica cosa che delilah riuscì a dire guardando row congelato, per un attimo lo contemplò senza connettere le (quali) sinapsi, poi si voltò verso i compagni «e se lo leccassimo? tanto è ghiaccio» beh la gola secca le era comunque rimasta, e supponeva anche agli altri, lo disse con la sua faccetta assolutamente deadpan e con il sangue a gocciolare dai chiodi della sua mazza, non il suo per fortuna 🥰 «vabbe era un’idea» che musoni, mise l’avambraccio intorno al collo di paris, come se volesse abbracciarlo, MA SOLO PER TIRARLO VERSO SE e toglierlo dalle grinfie di El Primo «se inizia a gridare “EL PRIMOOO” con enfasi tu scappa» a paris, face to face, prima di allontanarsi e posizionarsi come se dovesse battere una pallina da baseball «rico ma fai meno il gradasso che non ti sceglie manco tua nonna?» disse mentre si abbassava provando a schivare l’ennesimo proiettile e poi correva verso di lui provando a dargli un’altra mazzata in testa

sì, sì, scrivo domani mattina, mettetemi in strategia amici, fidatevi di me!
the same old story all over again. quella in cui rob parte convinta e poi si ritrova misticamente ad avere dieci minuti scarsi prima di dover uscire per andare a lavoro — mood quest (letterale a questo giro, ciao bro!)
l'unica cosa che conta davvero sapere, (non) leggendo questo post, è che Ficus di fronte al fallimento annunciato rimase come di sasso; immobile, gli occhioni sgranati, le labbra carnose dischiuse in quello che non era un moto di sorpresa o incredulità. nella sua beata ignoranza, il millepied conosceva le regole del gioco meglio di chiunque altro: era abituato alla sconfitta.
e a ricominciare da capo, con la resilienza tipica di quelli che non capiscono quando smettere, said smeagol di noialtri.
la paura ad invadere il corpo oblungo, scorrendo nelle vene ad una velocità allarmante tanto quella del muscolo cardiaco tra le costole, non era per se stesso — il sangue di Lisi gli era schizzato addosso, macchiando pelle e vestiti, ma nemmeno se ne accorse. ma il dolore? quello che la ragazza stava provando, per colpa sua. colpiva ogni fibra, ogni nervo, lasciandoli scoperti come se lo shuriken si fosse conficcato nella sua di carne e non il contrario «oh no» istintivamente, le premette un palmo gigante sulla ferita alla gola; avrebbe potuto ragionare e usare la magia, ma ficus non era noto al pubblico per associare le sue azioni alla logica «mi dispiace mamma, non ho fatto in tempo— hhhhh guarda qui hhhh» si piegò in avanti risucchiando l'aria umida tra i denti, iridi cristalline intente ad osservare le condizioni della ferita una volta spostata la mano: non sembrava aver colpito troppo in profondità, lo shuriken, ma la quantità di sangue era certo preoccupante.
come avrebbe dovuto essere anche l'attacco di León, considerato che ora ficus si trovava proprio in mezzo tra Lisi e il ginocchio della copia, ma sapete che c'è? era disposto a farsi colpire al sedere se avesse significato risparmiare ulteriore dolore alla sua nuova mamma.
e qui secondo me c'è lo stacchetto in cui succedono cose, e Benjamin si rende finalmente conto che non può stare a fare conversazione tutto il giorno. gli sarebbe piaciuto, eh, ma Mike Tyson dei poveri la pensava diversamente. quando rosa si fece nuovamente sotto con le sue manone, ficus alzò le sue in quello che poteva sembrare un segno di resa «signora guardi, non è davvero il momento» stava soffrendo, ok? non era un automa, provava emozioni come chiunque altro!!!!! la afferrò per le spalle, tirando la donna verso di sé senza nemmeno provare a schivare i pugni; la testata che le diede, mirando al naso, fu più una questione di principio. e poi che fai, non lanci di nuovo il boomerang in maniera del tutto casuale, 'ndo cojo cojo, per vedere sulla fronte di chi arriva (Lou, in teoria; del se non si sposta)? eh!

Aveva apprezzato la resilienza di Paris, premiandola con una stretta un po' più forte alla spalla (quella buona.), perché era tutto quello che Lisi poteva concedere in quel momento come dimostrazione del suo supporto e del suo affetto, già a germogliare in un petto in grado di accogliere e generare amore con la stessa facilità con cui storava odio e risentimento per i nemici. Era una persona multitasking, lei.
«ma ce la faccio! posso proseguire, assolutamente»
«très bien», annuì, lasciandolo andare alla ricerca di qualcosa per dare supporto al braccio dolorante, con l'intento poi di tornare per aiutarlo.
Peccato che i suoi piani vennero leggermente stravolti dall'attacco di Leon, il quale non solo era riuscito a mandare a segno entrambi i colpi (nonostante la pronta difesa di Ficus), ma aveva avuto anche l'ardore di sorriderle in faccia mentre spillava il suo sangue: ora era diventata una questione personale, e Lisi avrebbe fatto il culo a strisce a quel pezzo di merda.
Una volta ripresasi dalla botta, certo.
Anche con lo shuriken incastrato nella pelle morbida del collo, si accertò per prima cosa di ringraziare il gigantone per l'aiuto fornito — non era stata colpa sua. «tranquillo, è solo un graffio» gli disse, posando la mano (quella non ancora sporca di sangue) sul braccio del ragazzo, un sorriso dolce ad accompagnare le parole di rassicurazione. E anche se poteva non sembrare, con i rivoli si sangue a filtrare attraverso le dita della mano che, invece, era andata immediatamente ad assestare il danno, aveva davvero subito di peggio, tra maledizioni e attacchi fisici, nei suoi quasi quindici anni al fianco della ribellione francese. Lei c'era stata alla convention sulla magia applicata del 2017.
«uh. non toglierlo»
Batté un paio di volta le ciglia bionde fra loro, osservando un Paris improvvisamente più vicino a lei di quanto lo ricordasse, e il sorriso che aveva rivolto fino a quel momento a Ficus, ora passò in direzione dell'altro figlio appena adottato, facendosi più affilato.
«non avevo intenzione di farlo, chérie» insomma, non era una novellina e sapeva molto meglio di altri che rimuovere un oggetto da una ferita avrebbe causato più danni della botta in sé, ma a Paris non lo disse: avevano tutti bisogno di fare qualcosa, di sentirsi utili, e Lisi lasciò al più piccolo quella possibilità.
«qui dentro dovrebbe esserci qualcosa di utile, ma al momento è davvero difficile vivere con una mano»
Gli posò una mano sulla sua, sempre quella ancora pulita, per fermare le dita che cercavano convulsamente di aprire la scatola contenente il kit di primo soccorso. «ci pensiamo dopo» sul serio, alla prossima strategia contiamo due azioni di cura per lisi e paris, mi rakk. «ora pensiamo a loro» aggiunse poi, indicando con il mento El Primo in avvicinamento, e prendendo Paris con sé per spostarlo dalla traiettoria. «non farti schiacciare di nuovo» lo ammonì, senza perdere il sorriso, e senza dimostrare quanto in realtà, ora che lo shock di essere stata colpita stava pian piano scendendo, sentisse il bruciore della ferita, nonché il fastidio del corpo estraneo incastrato nella pelle. Doveva necessariamente fare qualcosa prima di beccarsi un'infezione, o rischiare di lacerare qualche tessuto, ma non in quel momento. C'era una Delilah da salvare, dietro la quale Lisi arrivò in un baleno, prendendola per la maglia e tirandola via dalla traiettoria, non senza suggerire anche a lei di stare più attenta — detto da quella che era appena stata colpita ma!! Lei poteva; era quella adulta, e quella con più esperienza. Gli altri erano solo bambini.
Infine, con uno «stupeficium» castato di impulso, più per abitudine e riflessi che vera strategia, cercò di colpire Rico per mandarlo a sbattere contro... qualcosa. Una cassa, un palo, un albero, qualcosa.