A Glimpse of Stability

@sub (sulla bocca di tutti) - art cafè | ft.Kaito

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    Grazie a fior di labbra il commento che rivolse ad un cameriere quando questi le avvicinò un vassoio popolato da flûte e champagne: tre galeoni tintinnarono sulla superficie metallica. Senza ingordigia le labbra si bagnarono con il vino frizzante, un primo sorso prima di spostarsi verso una nuova installazione artistica; cullata dal costante brusio dei visitatori e dalla musica d'ambiente scelta per la mostra, era più facile concedersi di aprire la mente abituata all'oclumanzia ed abbandonarsi a pensieri e ricordi.

    Fuori dal piccolo Eden che si era creata riscattando l'abbandonato "Augurey", tutto andava a rotoli. Le persone morivano, i governi cadevano come tessere del domino, la stabilità un concetto destinato unicamente ai funamboli: suo figlio Oliver si trovava a San Paolo appena due giorni prima dell'isteria di massa, la sua fidanzata rientrava tra i dodici milioni di abitanti deceduti. Per un'intera vita Nolwenn aveva combattuto ogni singolo giorno, mandato giù bocconi amari in virtù di benefici personali e di chi amava eppure, soprattutto a fronte di simili avvenimenti, non poteva evitare di pensare che forse, se lei ed i suoi colleghi avessero impiegato la loro proverbiale forza di animo in qualcosa di comune, forse ci sarebbero state meno guerre, morti, dolori.
    Indietro non si torna e nel presente era stanca, troppo stanca per rinunciare alla tanto bramata serenità che la sua nuova vita le garantiva, anche se tutto intorno scoppiavano mine, le stesse che potevano innescarsi sotto i suoi piedi se avesse compiuto un passo sbagliato o semplicemente si fosse trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato.

    L'alcool irrorava la gola mentre si abbandonava alla cupidigia della stanza del "sub (sulla bocca di tutti) - art cafè", stravolta dalla sua ultima visita qualche mese addietro. "Eun taol marv a zo en noz.", una goccia di morte è nella notte, quella poteva essere la descrizione della mostra pensata per sottolineare la fragilità della vita e l'importanza di apprezzare ogni momento, presente o remoto che fosse. Isolatasi dal resto del mondo, era intenta ad osservare strutture in carta, i cui strappi dovevano ricordare delle ferite, quando lo strascico del lungo abito dorato venne calpestato obbligandola ad accorrere in soccorso della profonda scollatura che, con quell'attentato di stoffa tirata di riflesso dove già ce ne era poca, rischiava di liberare le sue pluffe. Tagliente l'occhiataccia che rifilò ad un uomo rubicondo, decisamente spaesato dalla profondità dell'ambiente, dalla predominanza del nero che sembrava quasi privarli di una superficie per camminare e di un cielo sopra le teste: fu in quel frangente che si accorse di quante persone fossero accorse alla nuova installazione, forse per empatia, forse per cercare conforto o semplicemente curiosità e tendenza.

    "Eun taol marv a zo en noz."
    Una goccia di morte è nella notte
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    Edited by Hatshepsut - 28/7/2023, 18:59
     
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    Kaito Kageyama non era portato per gli abiti eleganti. Sapeva costringercisi, strizzandosi in camicie bianche ed inamidate e giacche più pesanti di quel che apparivano, e poteva perfino sembrare a proprio agio, ma non lo era. Sentiva la pelle tirare e prudere in circostanze normali, quelle in cui tali abiti erano della sua misura e di una certa classe, figurarsi quando il completo l’aveva rubato ad una tintoria, non era di marca, ed era più grande di almeno una taglia. Inspirò profondamente dentro i propri palmi, passando poi le mani sul viso e fra i capelli corvini.
    Che vita di merda.
    Se l’era cercata, quindi non se ne sarebbe lamentato. Di alternative ce ne sarebbero state almeno una dozzina, metà delle quali includevano farsi mantenere da suo cugino insieme al resto dei suoi buffi coinquilini (...forse più di metà.), ma Kai non voleva. Era il più grande, anche se di poco, ed aveva sempre covato un certo senso di responsabilità nei confronti di Ryuzaki. Voleva lo vedesse come un modello da seguire, qualcuno a cui aspirare. C’era ben poco che valesse la pena prendere come esempio, ma non voleva Ryu lo sapesse.
    Era sempre stato così, Kai. Da ragazzo, da bambino, da Genghis Khan.
    (Ah, Genghis Khan, terzogenito della gilda di Jericho e Darden. Una vita prima di cui non aveva memoria, ma di cui portava i segni in ogni gesto e sguardo. Mentre il resto della famiglia si azzuffava in un angolo di casa Jarden, Gigi creava il suo impero di giardini zen, cappellini da pescatore, droga, e merce di contrabbando: un ragazzo tranquillo, un punto di riferimento nel vicinato. Quando qualcuno aveva bisogno di qualcosa, fossero consigli o armi illegali, era la persona adatta. Il fatto che ogni tanto sentisse il bisogno di rubare la scena a Leslie o Psy nel mostrarsi uno spadaccino migliore, staccasse un dito o due a qualcuno da portare a casa come trofeo, ed amasse importunare parentame ed amici con rompi capi inventati sul momento e senza senso, era solo una marginale parte del suo innato fascino. Ma quella era un’altra storia, per un altro momento, e decisamente un Kai diverso.)
    Più del concetto di indipendenza, gli piaceva far credere di essere indipendente, finendo spesso per arrangiarsi con quel che gli capitava sotto mano. A suo favore, era molto bravo a rendere il carbone diamante, volgendo perfino le situazioni più drastiche a suo vantaggio. Kai amava definirlo un talento naturale affinato con la pratica, perché suonava meglio di rimasuglio di istinto di sopravvivenza, minchia Kaito ma ce la fai a vivere come un essere umano funzionale, santiddio; certe cose non si potevano scrivere sul curriculum. Non aveva un lavoro. Non aveva una casa. Di amici, ne aveva solo se si contavano quelli a cui cingeva le spalle da un locale all’altro del mondo magico (e non), cantando Lana Del Rey mentre infilava la mano nelle loro tasche fregando gli spicci per il drink successivo. C’era da dire che non fosse una vita monotona, esattamente lo stile che piaceva a lui. Adorava sorprendersi e reinventarsi, crearsi personaggi nuovi con cui irrompere sul palco offrendo inchini e baci al pubblico, ma quell’esistenza, sempre che così si potesse definire, aveva i suoi svantaggi.
    Tipo non sapere quando avrebbe mangiato, se l’avrebbe fatto.
    E quella, signori, signore e signorx, era la breve storia di come si fosse ritrovato costretto ad un completo raffinato, davanti ad opere d’arte che non comprendeva, in uno dei locali più esclusivi di Quo Vadis. Non il suo scenario tipo, ma uno che poteva far funzionare. Probabilmente. Passò la lingua sul labbro superiore, affinando la vista alla ricerca di potenziali vittime. Gente ricca, si intendeva – non solo non era nel suo stile rubare ai poveri, ma al contrario del ceto alto, loro si sarebbero accorti subito della mancanza di un paio o cinque galeoni - e possibilmente abbastanza ubriaca da dargli il briciolo di confidenza necessario ad invadere, anche se per errore, i loro spazi personali. Arrogante e sobrio funzionava comunque, perché la presunzione era la peggiore delle tossine. Impediva di abbassare il livello, sapete; di guardare le cose dal basso, e riconoscerle per quel che erano. Sistemò i risvolti della giacca nera, scandagliando la folla a dir poco mista del SUB. Non aveva neanche capito il tema, Kaito. Di quel tipo di arte se ne intendeva poco, era un musicista, ma apprezzava il buio, che gli avrebbe permesso di passare inosservato.
    Ironico che fosse la morte. O la vita. O entrambe: Kai, come un qualsiasi fantasma, contava sia per l’una che per l’altra categoria. Reclinò il capo sulla spalla, osservando quello che decise di catalogare come Vittima Numero Uno mentre incespicava per la stanza. Lo sguardo del Kageyama scivolò immediato sul polso, attirato dallo scintillio dell’orologio, ed iniziò a spostarsi con l’eleganza di un predatore. Dopotutto, di quello si trattava: era stato cresciuto ed addestrato perché in quel mondo mordesse, non il contrario. Il fatto che talvolta le parti si invertissero, non erano davvero affari di nessuno, soprattutto non in quel contesto. Moving on - letteralmente.
    Si ritrovò al suo fianco, e fluido spostò un piede perché si trovasse sui passi dell’altro. Quello inciampò, finendo poi per incespicare negli abiti di una donna impegnata ad osservare un’opera – sembrava il suo quaderno di quando andava a scuola, non sapeva come sentirsi in proposito – e Kai fu repentino a poggiare una mano sulla spalla dell’uomo per stabilizzarlo.
    L’altra sotto la giacca a prendere il portafoglio, già spinto oltre il polsino della propria camicia, ed ora a contatto con il proprio braccio. Lo aiutò a rimettersi in piedi, sopprimendo solo parzialmente il sorriso nel notare l’occhiata della donna. Diede una pacca sul fianco di Vittima Numero Uno, indicando la sciura all’ometto. «dalle vostre parti non si chiede scusa?» intimò, corrugando le sopracciglia, sillabando piano le parole perché, beh, chi cazzo lo sapeva l’inglese. Capiva una conversazione, ma parlare era… più complesso. Di scrivere, poi, non se ne parlava. L’accento nipponico restava pesante sulla lingua del Kageyama, che oramai aveva smesso di farsene un cruccio. Curvò gli angoli della bocca verso il basso, scuotendo il capo. Nel togliere la mano dal braccio dell’altro, fece scivolare le dita sul meccanismo dell’orologio, e si intascò pure quello – il tutto continuando a parlare, ed afferrando con la mancina un calice di qualunque cosa dessero gratuitamente!!! da bere da quelle parti. I furti migliori, erano quelli sotto gli occhi di tutti. «assurdo» scosse il capo rammaricato, offrendo un’occhiata di scuse alla donna, ed il proprio bicchiere con cui fare brindisi.
    Era sempre un buon momento per bondare su quanto fosse derogatory la specie maschile.
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    Messi in sicurezza pluffe e champagne, soprattutto quest'ultimo, poteva permettersi di spostare l'attenzione su la variegata fauna che, per vari motivi a lei sconosciuti, era stata richiamata dal fascino del SUB. C'erano studiosi d'arte, aveva riconosciuto il volto di un sopravvissuto ad un attentato ed un rischioso tentativo di abbordaggio da parte di una giovane nei confronti di quella che forse da lì a breve non sarebbe più stata solo un'amica. Poi c'erano loro: un uomo distratto ed impacciato che aveva deciso di rovinarle l'umore finendole addosso ed un ragazzo dalla fisionomia orientale, un pulcino bagnato in abiti decisamente più grandi ma che aveva compensato la goffaggine dell'altro con una ragguardevole prontezza di riflessi provvidenziale.
    Vennero incrociate le braccia sotto al petto, il flûte oscillato quel tanto da far oscillare il suo contenuto con lo stesso disappunto di un gatto indispettito. Fu breve l'attesa, l'uomo impacciato ed adesso giustamente desolato, non tardò a prodigarsi in scuse imbarazzate prima di ritirarsi sui suoi stessi passi, accarezzandosi ripetutamente i polsi con i palmi sudati, troppo nervoso per accorgersi di quanto fossero adesso lisci e privi di orpelli quali orologi, tanto per nominarne uno. Nolwenn dalla sua non aveva notato nulla per ritenersi sospettosa, sebbene nel complesso il giovane salvatore che adesso le porgeva il calice per un brindisi era decisamente...particolare. Accennato il sorriso in risposta all'esclamazione incredula dello straniero, non aveva motivo per negargli il brindisi ed attenta a non far tintinnare i flûte in nome del galateo, ricambiò l'approccio.

    È un artista o solo un appassionato di arte?

    Attenta nel pronunciarsi in un inglese quanto più puro e privo di inflessioni così da facilitare l'altrui comprensione, le labbra si piegarono in una linea sorniona mentre dava moderatamente corda alla curiosità.

    Non la giudicherei se mi confessasse che si è ritrovato in questo posto quasi per sbaglio, successe anche a me la prima volta

    L'accenno di una risata decorò quella che voleva essere in primis una battuta per rompere dell'eventuale ghiaccio, in secundis un tentativo di dare un perché ad abiti tanto sbagliati su una figura che poteva permettersi molto di più.
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    Mi scuso per il mega ritardo e la mia sparizione, la vita mi ha assorbito ed ucciso la creatività!! ;_; ;_; Cercherò di farmi perdonare :v:
     
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    Battè ripetutamente le ciglia scure all’uomo, allargando il ghigno mentre quello mormorava scuse guardando ovunque eccetto che nella direzione della donna. Ma ci pensavate mai che nel 2023, il genere maschile ancora non era in grado di guardare una specie femminile senza sentirsi moralmente obbligato a posare lo sguardo sulla scollatura? Comprendeva l’appeal e la tentazione, ma dannazione, non erano animali, e la logica doveva pur vincere sulle pulsioni più basse e meschine della psiche umana. Se ce la faceva un Kaito Kageyama, poteva davvero farcela chiunque, considerando la precarietà della sua bussola morale. Ricambiò il sorriso della donna, ammiccando gentile nell’offrire il proprio bicchiere per un simbolico brindisi. Lo sguardo di Kai, più umile ma non meno immorale di quello del suo predecessore, piuttosto che studiare le forme della sua interlocutrice, scivolò a cercarne collane e bracciali, perché quella era la persona che era. Immaginava che orologio e portafoglio dell’altro potessero bastargli per un paio di giorni, e non era che a quell’evento mancassero persone di buon cuore (ed ignare.) disposte ad offrirgli una cena o due, ma era difficile scivolare via dall’abitudine di controllare ogni possibilità. Non significava, necessariamente, che avrebbe fatto uso delle sue conoscenze – curiosità scientifica, capito?
    «È un artista o solo un appassionato di arte?»
    Era forse una delle prime persone lì dentro che non possedeva un… come lo chiamavano da quelle parti? Accento posh, o come Kaito amava definirlo, egocentrismo sociale. Era sinceramente convinto che neanche gli inglesi si capissero fra loro, con quella tendenza a schiacciare le parole sul palato e sputarle sempre solo a vocali e versi di gola. Reclinò il capo sulla spalla, rotolando la domanda con sguardo pensoso e riflessivo. «Non la giudicherei se mi confessasse che si è ritrovato in questo posto quasi per sbaglio, successe anche a me la prima volta» Un altro paio di secondi di buffering, a scomporre le parole per dar loro un senso. Poi abbassò lo sguardo sul proprio outfit, che se poteva passare inosservato ad una prima occhiata – quella che Kai tendeva a concedere alle persone – certo non poteva non destare un minimo di sospetto a chi si soffermava a guardarlo. Sbuffò una risata divertita, avanzando del passo necessario per mettersi al fianco della donna e guardare l’opera che sembrava averla interessata.
    «un… curioso?» replicò, sopracciglia corrugate nel cercare il termine adatto con cui esprimersi. «non capisco l’arte visiva» indicò con un ampio cenno del braccio, attento a non far tintinnare la propria refurtiva, le opere esposte nella sala. «ma è interessante sapere come...» il verbo “interpretare” era sconosciuto al Kageyama, che umettò le labbra con lo champagne e le curvò poi verso il basso. «le vedono gli altri» concluse, un movimento con la testa verso la tela strappata di fronte a loro. Offrì un mezzo sorriso languido, la mano sinistra portata al cuore dove mimò il gesto di strimpellare le corde. «suono» così, per darsi un contesto creativo che potesse giustificare la sua presenza ad un evento simile che non fosse derubarne gli ospiti. «ma in effetti. Avrei potuto essermi perso» si strinse nelle spalle, tamburellando l’indice sul vetro. «tutte le strade sono uguali» (citazione testuale di Sara in qualunque città lei si trovi, cos’è la quarta parete, ciao Silvia!!&&) Concesse una morbida occhiata di sottecchi per farsi perdonare la critica alla città, tornando a bere un sorso. Ma poteva prenderne quanti voleva, di quei flute? C’era un limite, se non dato dalla coscienza di ciascuno? Aveva partecipato ad eventi simili, ma solo in quanto Kageyama, e nessun Kageyama – figurarsi quello che all’epoca era stato il prescelto alla successione! - conosceva il termine limite. Tutto gli era dovuto e concesso. Malgrado la discendenza, Kai era sempre stato più plebe che cortigiano, il che gli aveva permesso di mantenere un minimo di integrità - perlomeno su quello. Su tutto il resto, era sempre stato unhinged come non sembrava. Sollevò l’indice indicando il quadro di fronte a loro, girandosi per guardare la sua interlocutrice e studiarla mentre osservava l’opera. «lei cosa vede?»
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    MA TOPOLINA, NON DEVI SCUSARTI DI NULLA TI PARE çç anzi scusa te, come ti capisco, tornare a lavoro mi ha davvero tolto ogni gioia di vivere, quindi mood. MA CE LA FAREMO, BACI BACI.
     
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3 replies since 28/7/2023, 14:15   131 views
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