contro: capitol

Questo è un gran cazzo di casino, Just.
Aveva soppesato quelle parole per molto tempo, masticandole come una chewing-gum ormai stantia e insapore, e inciso sul cuore e nella mente le sensazioni provate quando Seth era salito sul palco di High Street, e quando era rimasto nella Sala Verde dell'Aconitea con Wren.
Leggerezza, superficialità, calma.
Emozioni sbagliate, completamente fuori contesto – di sicuro, non adatte alla guerra. Al sangue sulle nocche e sui vestiti, alla polvere sul volto, alle tende accampate ovunque ci fosse un minimo spazio; alle ferite mortali nascoste sotto teli pallidi, alle lacrime a creare tracciati sugli strati di terra, ai macigni che avevano seppellito civili e speranze.
Era un cazzo di casino dal principio, ed aveva continuato ad esserlo giorno dopo giorno, battaglia dopo battaglia, ad ogni ritorno in cui dovevano contare le perdite; non aveva sperato nemmeno per un istante che potesse finire subito, ed aggrapparsi a quei fragili momenti di spensieratezza impressi nella memoria era stato uno dei pochi salvavita che gli aveva permesso di non contare i giorni che passavano, o i corpi che avevano dovuto riportare agli accampamenti – quello, e le molteplici telefonate fatte a Check e Mood con la scusa di sapere come stesse il suo cane, e i pretesti campati in aria per tenerli soltanto un altro minuto in videochiamata; e le volte che era riuscito ad incontrare sua sorella al campo; e Wren, sempre al suo fianco.
Non era facile, non senza qualcosa a scorrergli nelle vene che non fosse semplicemente il suo sangue; non con così tanti pensieri da metabolizzare, emozioni da processare, immagini da cancellare e che invece venivano marchiate a fuoco sulla retina. E la tentazione era sempre dietro l’angolo, così com’era sempre più vicino il momento in cui avrebbe ceduto: una cannetta non gli poteva bastare, ma doveva anche essere l’unica cosa che potesse concedersi. Bastava ripetersi che avesse passato tre anni nei laboratori senza nemmeno la briciola di una dose, e arrancare fino al giorno seguente si faceva un po’ più sopportabile.
Leggerezza, superficialità, calma.
Ai primi cadaveri lungo le vie che avevano visto iniziata la guerra, Justin aveva arricciato il naso, stretto i denti, sentito una tenaglia a premere sul muscolo cardiaco; arrivati a quel punto, non poteva certo ignorarli – ma doveva accettarli, non aveva alternative. Era stato addestrato a quello, prima ad Hogwarts e poi nella resistenza, durante tutta la vita che aveva trascorso nelle periferie inglesi e nel tempo che aveva passato chiuso dentro ad una cella; quella guerra convogliava tutte le esperienze meno piacevoli dell’ex Grifondoro. Si diceva che potesse farcela, mentre cercava di non calpestare nessun caduto.
Grazie a Dio, gli eventi giocavano a favore delle sue buone intenzioni. «ohi, bro.» diede una gomitata all’Hastings, indicando con il mento il comitato di benvenuto. «abbiamo trovato una nuova tipa da presentare a sin!» le priorità erano molto chiare: 74 centimetri di uccelli assassini.
Ah!, come avrebbe desiderato che quella fosse soltanto una citazione.
«uh, un’eclissi?» sollevò il capo, arricciando il naso e corrugando le sopracciglia per riparare gli occhi dai raggi solari. «no, aspetta, un meteorite.» dal rumore, avrebbe detto che fosse piuttosto un caccia bombardiere che volava rasoterra. «superman?» confuso, e col senno di poi un po’ speranzoso: i need a hero.mp3.
Il primo pensiero che aveva avuto nel momento in cui aveva visto tutti quei volatili era stato quello di dire alla propria squadra di non ucciderli: era vegano, era un animalista, era uno di quelli che si legava agli alberi per non farli abbattere; come avrebbe potuto puntare a quei pennuti con l’intento di farli fuori?
Avrebbe cambiato idea di lì a poco.
«come vuoi essere ricordato, eventualmente?» un’ottima domanda, per cui non aveva assolutamente alcuna risposta. «devo ragionarci un attimo.» era stato leggermente colto alla sprovvista. «tu come mi ricorderesti?» dunque, si sarebbe gettato di lato il più velocemente possibile, cercando di evitare l’esplosione di merda – sperando non avesse l’influenza intestinale, sennò altro che bombardamento di Hiroshima. Avrebbe poi alzato lo sguardo, e visto un’oca sibilare ad Olga; che bestie immonde. Ancora ricordava i giorni nel paese dei nonni in cui andava a portare il pane al laghetto, e veniva inseguito per ore dalle creature del demonio. Sperava che congelarle le ali bastasse a placarne l’istinto omicida, così come confidava che una stalattite lanciata contro l’aquila potesse semplicemente metterla fuori gioco così che una volta uccisa la special al comando potessero portarli tutti dal veterinario.