pro: gyeongbokgung

Roxanne era davvero EUFORICA. Non lo dimostrava, ovviamente, e non c'era nessuno che la conoscesse abbastanza bene da dire che sotto quello sguardo impassibile, Roxie brillava di pura frenesia. Quello che voleva era sangue. Letteralmente e non. Per tutta la sua giovane vita si era preparata a quello (sangue, morte, distruzione) ed era pronta per iniziare la sua grande scalataTM. La sua prima missione!! La conquista del mondo!! Aveva iniziato col botto. Chissà, se fosse uscita libera probabilmente lo avrebbe aggiunto nel suo curriculum vitae. Sicuramente avrebbe fatto un'ottima impressione. A lei e al suo gruppo era stata assegnata la Corea del Sud, più precisamente il Gyeongbokgung a Seoul. Cosa di un battito di ciglia tramite l'utilizzo di passaporte e metropolvere. Furono accompagnati al centro smistamento guidato da Logan Kent, un capitano della U.S Air Force, sicuramente il primo daddy della situazione. Non che le importasse davvero, voleva solo scalare la vetta lei. Utilizzando tutto e tutti per raggiungere il proprio scopo. Era una ragazza precoce lei, aveva assaggiato il suo primo sangue poco più che bambina. Insieme ad altri compagni, senza troppi complimenti, vi indirizza verso il luogo che dovrete assaltare. Distruggere. Conquistare. L'area metropolitana. La città resiste. E voi? «WE STAY HUNGRY WE DEVOUR» urlò il suo motto davanti al palazzo. Quegli scalini non sarebbero stati il suo ostacolo, no no, non aveva tempo per avere il fiatone e affiacchirsi. Era carica, avrebbe potuto trovarsi chiunque di fronte e non avrebbe esitato. Donne, uomini, bambini, mostri, non gliene fregava un cazzo. Il sangue era sangue. Tirarsi indietro? No, mai. «ammazzerò te e chiunque si metterà fra i piedi» disse stizzita guardando Frankenstein puntarle la bacchetta contro. Maghi del cazzo, solo perchè da anni ormai non poteva più brandire la sua bacchetta non voleva dire che era meno agguerrita, anzi, la sua rabbia era incrementata e la voglia di uccidere era salita alle stelle. Per evitare il colpo dunque si sarebbe lanciata di lato, impugnando la sua mazza chiodata preferita e gliel'avrebbe conficcata nel fianco. Le morti dolci non facevano per lei, loro dovevano soffrire, sputare sangue e soffrire sino all'ultimo istante. «mi raccomando, non trattenere le urla»

E allora non andare.
Gli sarebbe bastato così poco per essere felice: chiudersi la porta sulla strada e tirare giù le tende, stringere tra le braccia Nice e dimenticare che esistesse un mondo là fuori, che non stava succedendo nulla di importante, che non ci fossero decreti straordinari, che i suoi amici non fossero in pericolo, che le persone che amava avrebbero potuto procedere con la loro vita tranquillamente, e che quello che aveva in quella casa sarebbe bastato per il loro futuro. A lui bastava e sarebbe sempre bastato; ma ogni minuto che passava la sua concezione di sempre si accorciava e si compattava fino a diventare presto sfuggevole ed effimera come uno schiocco di dita.
Quanto tempo sarebbe passato fino al prossimo attacco? E per quanto tempo, dopo quello, avrebbero potuto continuare a considerare quella casa un rifugio sicuro in cui pensare a un futuro insieme? Per quanto tempo ancora sarebbe sopravvissuta l'idea di futuro?
Dominic non aveva ideali forti o convinzioni politiche, non aveva una bussola morale infallibile che disegnasse il suo cammino, e spesso, anzi, si era smarrito nel cercare la strada giusta per lui, ma d'altra parte aveva sempre saputo quale fosse il suo posto, e quella era una certezza insindacabile.
Non c'era qualcosa che potesse fare.
Non c'era una scelta diversa da poter compiere.
Lui non voleva andare, ma sarebbe andato comunque.
Era rimasto in silenzio, aveva accarezzato la guancia della fidanzata, e le aveva dato un ultimo bacio – e sapeva che sarebbe stato l’ultimo.
E ora quelle parole gli risuonavano nelle orecchie, così come il suo sguardo ferito tornava a tormentarlo ogni volta che chiudeva gli occhi, ma aveva imparato a familiarizzare con quel vuoto di stomaco e con quel battito mancante nella cassa toracica, e aveva quasi iniziato a considerarli vecchi amici in quella settimana — la polaroid dietro la cover del telefono gli ricordava sempre il motivo per stringere i denti e tenere duro, si illudeva di poter tornare a casa e di poter riabbracciare Nice, ma era un'illusione e niente più.
Non era un soldato e non sapeva combattere, e la settimana di addestramento era stata più o meno con l'addestramento di Mulan, ma senza nessuno che gli cantava farò di te un uomo e probabilmente senza una scalata finale che valesse da riscatto. Aveva comprato una pistola, aveva provato ad usarla, e si era reso conto che la presa metallica intorno alle dita non gli piaceva affatto, ma che avrebbe potuto dargli una migliore difesa di quanto le sue scarse skills di combattimento avrebbero mai potuto, e proprio per questo aveva impugnato l’arma e l’aveva ceduta a Mac, perché potesse dargli una protezione in più, una possibilità in più.
Lui aveva imbracciato l’arco e si era caricato la faretra sulla spalla. Gli era andata bene una volta, poteva andargli bene anche la seconda no? Lo sguardo incerto che lanciò ad Isaac suggeriva di no, ma deglutì pesantemente e cercò di ignorare la nebbia di dubbi e paure che gli offuscava la mente, strinse le dita intorno alla presa dell’arco e serrò la mascella.

Un uomo allenato non avrebbe sofferto quelle scale, ma uno con i polmoni da fumatore invece sì, e infatti fu ancora tra sbuffi e sospiri vari che alzò lentamente lo sguardo verso il palazzo che si trovavano di fronte, con uno sbuffo più pesante degli altri e già mentalmente stanco da tutte le informazioni che aveva dovuto elaborare in quel poco tempo.
Avevano degli ordini precisi: distruggere, conquistare, e non aveva fiatato su questi punti, era sceso anche a patti con se stesso e aveva accettato che avrebbe ucciso, ma se poteva rimandare il più a lungo quel momento allora tanto meglio.
Sospirò, le spalle a tendersi e i muscoli a irrigidirsi anche sotto il tocco dell’amico. «io lo spero che ci abbiano drogato, lo spero vivamente» in quel modo magari sarebbe stato tutto più facile e più indolore, e magari non avrebbe sentito proprio niente ma avrebbe agito solo d’istinto, facendo quello che doveva fare.
Per il momento, il suo istinto sembrava funzionare a metà, ma fortunatamente i suoi angeli custodi erano tanti, e solo quando Isaac lo spinse via si accorse della maschera che gli si avvicinava e minacciava di infilargli l’arma nel petto, allora avrebbe provato a scattare di lato, approfittando anche della spinta dell’amico, e scansare il colpo
«lui, non si tocca»
Aaaaw broo, quasi si metteva (già – di nuovo, chissà) a piangere, e si sarebbe emozionato e si sarebbe portato una mano al petto se ne avesse avuto il tempo, ma a quanto pare quelli non erano solo cosplay asiatici ben riusciti ma vere e proprie minacce per loro.
E quindi gli toccava. Eh già, gli toccava.
Aveva allungato la mano con l’arco verso Ghostface, ma non aveva incoccato la freccia o teso la corda, ma avrebbe provato a colpirlo sul viso con la presa dell’arma, una randellata piuttosto forte nella sua mente, un movimento quasi naturale per un ex battitore, ma nella pratica chissà.
«sì, hai sentito il mio amico? non puoi dividere il team eddai»