pro: palais bourbon

Che diamine ci fa lì, Arturo.
Non aveva il punto di domanda, quella frase, perché non lo era. Era un dato di fatto, una constatazione reale, una mera consapevolezza di aver fatto, ancora e sempre, la scelta sbagliata. Non avrebbe dovuto trovarsi lì. Non avrebbe dovuto imbracciare un’arma e dichiarare guerra al mondo. Non avrebbe dovuto seguire il referente di Lamovski fino in Francia, e di certo non avrebbe dovuto avanzare insieme al team d’assalto lungo le vie parigine, lungo la rive della Senna, fino al Palazzo Borbone.
Non avrebeb dovuto.
Ma l’aveva fatto.
Perché era preferibile che da quella parte ci fosse lui piuttosto che un altro soldato pronto a premere il grilletto con una leggerezza maggiore — una leggerezza che lo spagnolo non aveva.
Non avrebbe mai potuto averla.
Quella pistola carica pesava come un macigno nella mano, e sulle spalle; sulla coscienza. Aveva appreso in silenzio le nozioni base al campo di addestramento, affidandosi per lo più agli allenamenti sul campo di quidditch che erano serviti per affinare la sua mira da cacciatore; ma da lì a voler coscientemente sparare a qualcuno, ne passava di acqua sotto i ponti. Un conto erano le sagome cartonate del poligono; un altro erano uomini e donne messi a difesa delle roccaforti babbane. Voleva essere lui il nemico da incontrare, perché avrebbe provato a risparmiarli. Ci avrebbe provato davvero. Aveva intenzione di tornare a casa con ancora tutti i proiettili in canna e restituirli al generale, o chi per loro.
Non gli interessava abbastanza per mettersi a capire le gerarchie.
Era lì solo perché così nessuno avrebbe dovuto esserci al posto suo; era lì perché sperava di salvare qualche vita stando da quella parte. Un pensiero fin troppo naive, il suo; uno che, di certo, l’avesse condiviso con Sersha lo avrebbe condannato ad una serie di coppini al collo non indifferenti.
Ecco perché non glielo aveva detto. Forse la Kavinsky poteva comunque immaginarlo: per quale altro motivo, altrimenti, Turo si sarebbe mai spinto fino a li?!
Costas.
Costas era un motivo valido.
Quando l’aveva salutato — beh, di certo non aveva pessato che lo avrebbe rivisto al ministero, al momento della partenza. CosadiaminestaifacendoCostas; parole che avrebbero avuto dell’ironico, se avesse trovato il coraggio di pronunciarle ad alta voce. Lui per primo non sapeva cosa stava facendo, come poteva giudicare il minore? Sperava almeno che fossero d’accordo sul perché dovessero essere lì.
Appena un sorriso rivolto in direzione della Kavinsky, un cenno timido del capo e un — ricordati che abbiamo fatto una promessa, anche se lei lo aveva palesemente boicottato. Un po’ ci sperava comunque, sapete? Specialmente visto che Barry era con loro e, se c’era qualcuno di cui doversi preoccupare, quello era di certo suo cognato.
(Sì, non ex, continuava a considerarlo parte della sua famiglia. Ams prima o poi sarebbe tornata, Turo ne era certo.)
«Poi dì che non ti porto da nessuna parte, eh» cosa c’era di più romantico di Parigi? Del lungo Senna? Uno sguardo rivolto al Motherfucka, e un accenno di sorriso a curvare le labbra: speriamo di avere tempo per guardare la città, taciuto e rimasto bloccato a metà tra gola e cuore. Avrebbe voluto che quel viaggio fino ai piedi della torre più romantica del mondo avesse avuto con uno scopo ben diverso.
Non lo aveva.
Erano lì per combattere, e i loro rivali (non poteva pensare di considerarli dei nemici) non sembravano voler attendere un minuto di più. I corpi in terra, tutto intorno a loro, disegnavano uno dei moisaici più macabri che Turo avesse mai avuto modo di vedere.
Sentiva l’ultimo pasto minacciare di tornare su e mischiarsi al sangue in strada.
Era pallido, e lo sapeva pure senza bisogno di specchiarsi; lo sentiva nelle gambe che tremavano e nella presa sull’arma che si faceva a tratti sempre più debole. Aveva fiducia in Franklyn, aveva fiducia in Sersha e un po’ meno in Barry; si sentiva in dovere di proteggere Costas.
E, cosa fondamentale, non sapeva se potesse fare davvero affidamento su di sé.
Fino a che punto avrebbe resistito.
Conoscendosi, non molto; era migliorato, ma era una cazzo di guerra quella che stavano combattendo.
Non voleva pensarci, e allo stesso tempo non poteva non farlo. Si avvicinò istintivamente al — suo ragazzo? Ormai le cose procedevano stabilmente, tra loro, da qualche mese: poteva permettersi di definirlo tale? Ma si.
«Senti—» a quel punto, il primo sparo arrivò a fendere l’aria, dritto verso di loro. Ma questo è per un altro post. «Sta’ giù!» urlato a Costa, urlato a Sersha — onestamente? Andava bene chiunque volesse ascoltarlo. Lui fece lo stesso, nascondendosi dietro uno stand ribaltato.
Iniziò a pregare.
Poteva pure non praticare assiduamente come un tempo, ma ci credeva ancora. A modo suo. Si affacciò oltre la copertura giusto un secondo, e puntò il catalizzatore verso l’emocineta che stava attaccando Costas. «Confundus!»
Grazie a Maeve era migliorato negli incantesimi, anche se era ben lontano dall’essere un portento; ma comunque, rimaneva un’alternativa preferibile allo sparare a qualcuno.

«la prossima volta però voglio andare in un posto di mare» si beh, Turo sperava vivamente che una prossima volta non ci sarebbe stata; non in guerra, per lo meno. Insieme, come coppia, potevano andare dove volevano.
«Va bene, me lo segno.»
E iniziarono i primi spari.
I primi colpi d’arma da fuoco diretti verso di lui — e verso di Costas. Lo sapeva che era una pessima idea, quella di scendere in campo con il minore; Turo non sapeva essere razionale, quando si trattava di Costas. Ed infatti era già pronto a correre contro di lui per toglierlo dalla traiettoria, se non fosse stato che suo fratello fu più veloce, frapponendo tra il serpeverde e il cecchino una lunga lingua di fuoco. Socchiuse gli occhi, Turo, ringraziando con un filo di voce Franklyn per aver almeno tentato. Ricambiò quel favore castando un Remota solo in direzione di colei che stava sparando al Daniels. «se dovesse succedermi qualcosa, ricordati di tenere la mia mazza....» Non riuscì nemmeno a ridere su quella pessima battuta, troppo provato già da così poco tempo: di quel passo qualcosa sarebbe sicuramente successo. «Pensa a sopravvivere, Costas.» Un ammonimento serio, una richiesta disperata. «Non fare—» «devo mandare un messaggio a Run» ...cazzate?
«In che–» lo guardò uscire dal nascondiglio e attaccare uno dei soldati. «In che senso?!» Cercò Franklyn con lo sguardo, confuso, poi tornò a guardare Costas. «Che cosa devi dirle??» Forse, dopotutto, era meglio non saperlo. Perciò si concentrò sul problema — un problema di nome Venkata gli stava sparando. Di nuovo. Si mosse per nascondersi dietro una colonna, pistola e bacchetta strette nella stessa mano, in entrambe le mani, e occhi chiusi, e poi decise che non era ancora il tempo per passare ai colpi di pistola. Lanciò un «impedimenta» per tentare di farle sbagliare mira, e subito dopo uno «yabai» che non passa mai di moda. Almeno non era mortale.