contro: champs élysées

In quei giorni, il tempo aveva preso a scorrere diversamente. Sembravano passati mesi, anni persino, dal giorno dalla dichiarazione di guerra. Dall’ultima volta in cui aveva visto Sorta.
Eppure, da quel sibilo sulle sue labbra, da quel bacio, non era trascorso che un respiro, un battito saltato del cuore.
Uno strano incubo, quei giorni, da cui però sapeva, temeva, sentiva che non si sarebbe svegliato. Anche se avrebbe dato qualsiasi cosa per sopravvivere quel tanto che bastava perché la Motherfucka potesse vendicarsi di quell’addio.
Era stato insensato, ma soprattutto stupido, da parte sua, pensare di poter fare qualcosa sempre e solo dalle retrovie. L’ennesimo modo, in fondo, per sfuggire alla realtà… e alle responsabilità. Ritrovarsi in quello che, per quanto improvvisato, era a tutti gli effetti un campo di addestramento, non aveva fatto che prolungare lo straniamento di quell’incubo, sbattendogli al contempo in faccia il fallimento, personale e di tutti. Una manciata di giorni non sarebbero bastati a nessuno, figurarsi a lui.

Ma adesso era lì. Nei Campi Elisi. Gli venne quasi da sorridere, sotto la pioggia battente, davanti a quell’ennesima assurdità. Quando, non se, sarebbe successo, di certo non si sarebbe ritrovato nell’aldilà degli eroi, dei buoni. Non solo perché non esisteva una vita dopo la morte, ma anche perché era lui. Certo, stava per combattere dalla parte giusta, l’unica possibile, nella sua ottica, ma non sarebbe bastato.
Non quando, dietro a quella ragazzina dallo sguardo vuoto, vide suo padre. Non quello dei suoi ultimi ricordi, invecchiato precocemente per il dolore. Quello di quando era bambino. Il Tyler Wood reale.
Sapeva che un tempo era stato così. Un tempo, appunto. Nel passato. Quel passato che però, adesso, era il presente. Non riusciva a concepirlo. Non voleva farlo.
Ma gli attacchi, ancora di più della pioggia, avevano cominciato a cadere su di loro. Si sentiva inutile, anzi, era certo di esserlo, ancora più del solito, ma doveva provarci. «diffindo!», provò a lanciare, con l’intenzione di tagliare la frusta che rischiava di strozzare il King. Kinky, sicuramente, ma non era il momento. Non con suo padre che guardava. E loro, tutti, che rischiavano di morire. E non tramite il choking. Forse.
Si strofinò gli occhi, cercando di spazzare via la pioggia, e non solo, giusto in tempo per vedere un pugnale sfrecciare nella direzione di Wind, che fissava il ragazzo che l’aveva lanciato con un’espressione rapita. Non poteva biasimarla… Non mentre il suo sguardo sfuggiva per l’ennesima volta in direzione di suo padre. «glutinosus!» Sperò che il chilanum si tramutasse in gelatina, prima di raggiungere lo stomaco della ragazza. «Taci. Sul serio, smettila di rantare. Non sei la Mort SR di nessuno.» O forse sì. Un’altra occhiata, un altro brivido, un’altra lacrima verso Tyler. «Per favore.»

Teneva la mano di Halley stretta nella sua quando i piedi toccarono terra, quando, riaprendo gli occhi, si ritrovò quasi faccia a faccia con il suo passato.
L’Avenue des Champs-Elisées si stagliava davanti a lui in tutta la sua bellezza, ma non abbastanza da distrarlo, non quanto quell’accento francese che aveva smesso di ascoltare da ormai qualche anno. Era così diverso, sbagliato… non era quello cui lui era stato abituato, quello che gli aveva fatto provare qualcosa.
Portò lo sguardo sulla ragazzina, la mano libera già sulla bacchetta, in un gesto ormai diventato parte di sé stesso. Ironico fossero stati diretti proprio ai Campi Elisi, lì dove dimoravano le anime dei morti che erano stati considerati meritevoli, lì dove lui non era poi così convinto di finire.
Le dita sciolsero la presa e lasciarono libera la sorella, le iridi chiare ormai concentrate sulle figure alle spalle di chi li aveva appena accolti. Non c’era più tempo per i ripensamenti, non che ne avesse mai avuti.
Neanche osservando i lineamenti familiari di chi lo stava per colpire.
Non lo aveva mai completamente perdonato per lo shower-gate (no, non è vero, aveva solo una buona memoria e ogni tanto gli piaceva punzecchiarlo), per averlo costretto per settimane a fare una doccia gelata. Assottigliò lo sguardo, l’Oakes, alla ricerca di qualcosa che potesse dargli la certezza che il suo nemico fosse proprio “Mehan…”. L’unica differenza sarebbe stata, probabilmente, il senso di rimorso se lo avesse ucciso, ma aveva un unico obiettivo l’ex Corvonero e non si sarebbe fatto scrupoli per raggiungerlo, neanche se il suo avversario fosse stato uno dei suoi migliori amici. Non si sarebbe stupito di vedere una Nicky davanti a sé, aveva contezza delle sue folli idee politiche, ma Meh? Meh non era così.
Chiuse gli occhi, prendendo coraggio, perché non era mai facile colpire o attaccare un volto amico, ma alla fine era tutta una questione di sopravvivenza, riconducibile al classico mors tua, vita mea.
Provò a spostarsi dalla traiettoria del fendente della katana, estraendo il suo ventaglietto di metallo con l’intento di calarlo con poca gentilezza sul braccio della copia del Loser.
“… nessuno ti ha insegnato le buone maniere?” E colpì, perché l’educazione veniva sempre prima di tutto.

«ma se tu credi lo siano, non è un po’ come se lo fossero?»
“Spero proprio di no. Altrimenti, in queste circostanze, saremmo costretti a ucciderla.” Gli occhi di Hunter erano fissi davanti a se, la voce bassa, priva di particolari inclinazioni. L’ex Corvonero era cinico, pragmatico, trasparente. Non avrebbe potuto dirlo diversamente, perché farlo avrebbe significato indorare una pillola che ormai avevano assunto fin troppe volte e che, anche in quel momento, faceva schifo come la prima volta.
Non parlava mai di politica, né in pubblico o in casa, e non perché fosse un Ribelle, quanto per evitare di entrare in netto contrasto con le opinioni della Winston. Dentro di sé, sapeva quale sarebbe stata la scelta dell’amica e, sebbene combattessero la stessa guerra, le fazioni non sarebbero state le stesse. Era un sollievo non vederla lì – lui, Halley la vedeva più che nitidamente – ma solo perché non sarebbero stati costretti a farsi del male a vicenda.
Non la risposta che Joe cercava, ma Hunter era sempre la persona meno indicata quando si voleva ricevere un briciolo di speranza o empatia. Comprensione, quella sì, sempre. Si sentiva fortunato ad avere la sua famiglia lì, al suo fianco. Eppure, era terrorizzato all’idea che potesse succederle qualcosa. Lo era sempre, in quei giorni un po’ di più, al punto da cercarla costantemente, da volerla tenere sempre dentro il suo campo visivo. Hunter si fidava di lei, si era sempre fidato solo di lei, era con se stesso che aveva qualche problema.
«è catartico, almeno?»
“Sempre.” Sorrise, almeno questa volta, mentre il suo colpo andava a segno. Non perché avesse sognato di menare Meh o che lo facesse di continuo, ma l’Oakes aveva la tendenza a tenere per sé i problemi, accumulandoli e sotterrandoli sotto strati di pergamene e appunti, sotto montagne di provette e soluzioni chimiche. Si sfogava un po’ nel QG, quando era costretto ad allenarsi, ma aveva sempre fatto pena nel corpo a corpo. Tuttavia, anni e anni passati a giocare a calcio nelle periferie di Londra gli avevano donato uno sprint non indifferente, soprattutto quando il suo istinto gli urlava di darsi alla fuga.
Non rispose alle successive parole del King, un po’ perché era intento a scagliare un expelliarmus in direzione del suo gemello – al momento – meno preferito, un po’ perché non sapeva cosa dire. Di rimpianti lui ne aveva tanti, forse troppi, confidava solo nel fatto che per l’altro Custode potesse essere l’unico – e l’ultimo -, e che ovunque guardasse potesse riuscire a vedere un futuro o una prospettiva di successo. Nonostante tutto.
“Oh Mehan…” sospirò guardandolo come si fa un bambino piccolo che ha solo intenzione di fare capricci per diverse ore, “io ci ho sempre provato, inutilmente.” A quanto pare. No, non lo avrebbe mai detto al vero Meh, ma era in vena di chiacchiere quel giorno; in fondo, poteva essere l’ultima occasione per ascoltare la propria voce. Tuttavia, perché un 17PA non lo si dimentica facilmente e perché potrebbe fargli a breve veramente male, essendo Hunter un piccolo bacchettone di natura, non si fece sfuggire l’occasione di provare a colpire la gola del Tryhard con il ventaglietto, come una qualsiasi vecchietta di paese alle prese con dei turbolenti ragazzini.