Hi, do you remember me?

Ft Arturito | @ helius foundation

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    Costas Motherfucka
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    San Valentino era finito e come ogni anni non aveva trovato la sua anima gemella; non ci credeva comunque ma era incredibile come potesse andare in bianco ancora e ancora.
    Aveva Doris, potreste dire, ma erano solo amici per il momento e lui non aveva neanche mai forzato la cosa; sapeva che la ragazza aveva una cotta per lui e poteva approfittarne ma non era avvenuto, stava crescendo il Motherfucka.
    Quel giorno dopo le lezioni aveva deciso di non fare allenamento di quidditch e aveva dato il giorno libero alla sua squadra; si era preso un pomeriggio di riposo da tutto perché essere il capitano non era così facile, non lo era mai stato ma quell'anno sembrava pesare di più. Diventare un adulto era davvero una grande fregatura.
    Aveva avvertito anche Doris che non si sarebbero visti quella volta dato che di solito se non era sul campo da quidditch era con lei, ma quel giorno aveva voglia di stare solo.
    Dopo essersi smaterializzato in città prese a camminare, senza una vera metà, si ritrovò davanti ad una scuola.
    Sapeva chi ci lavorava ma come poteva essere davvero lì? incredibile il subconscio. Aveva spesso ripensato a lui e aveva ammesso a se stesso già da tempo che gli mancava ma era anche andato avanti, entrambi lo avevano fatto, vero? Era passato quasi un anno e lui aveva anche avuto l'opportunità di conoscere altre persone, non così tante quante aveva fatto credere ma comunque non aveva di certo trascorso quei mesi a piangere per lui. Aveva Doris nella sua vita ma forse non gli bastava; in fondo era finito davanti alla scuola dove lavorava e anche solo il fatto di sapere che fosse proprio quello il luogo di lavoro voleva dire che non aveva mai perso davvero interesse nei suoi riguardi. Ed eccolo lì, il latino, a pochi passi da lui, sorrideva e sembrava così rilassato; pensò di fare un passo indietro così che non lo vedesse, non voleva piombare così nella sua vita. Non riuscì comunque a muoversi e non appena si voltò e i loro sguardi si incrociarono sussurrò debole «Arturito» Era la fine.
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    arturo maria hendrickson
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    Arturo non si sarebbe azzardato a dirlo a voce troppo alta, ma riteneva che la sua vita avesse finalmente iniziato a prendere la piega giusta: alla buonora.
    Non si lamentava. Anzi! Andava benissimo così: era già qualche mese, ormai, che tutto procedeva per il meglio e le cose accadevano senza stravolgere (troppo) la sua esistenza. Certo, c'era stato qualche piccolo intoppo tipo l’incontro con Aloysius e l'incidente che l'aveva lasciato senza memoria per qualche giorno, che avevano minacciato di far crollare quanto di buono avesse costruito fino a quel momento, ma si era risolto tutto per il meglio!
    (E se ogni tanto Arturo si bloccava, congelato dalla paura di non ricordare subito qualche particolare o qualcosa che sapeva di dover sapere, questo rimarrà un segreto tra Arturo e Arturo.)
    Quindi sì: per una volta tanto, era felice.
    Mesi prima aveva temuto anche solo di poter pensare una cosa del genere, figurarsi accettarla, ma era ineluttabilmente così. Era felice: di dove era, di ciò che era, di come aveva affrontato tutto quello che era accaduto dai MAGO fino a quel giorno per poterci arrivare. Poteva non essere molto, ma per lui, per Arturo Maria Hendrickson, era tutto.
    Il che significava che avesse anche avuto modo e maniera di processare alcune cose e accettarle. Non era stato facile, ma nulla nella vita lo era, no? Perciò si riteneva soddisfatto anche solo per esserci riuscito. Aveva superato il trauma della rivelazione, il trauma dell’adozione, il trauma di Hogwarts e dei MAGO; era sopravvissuto ad un’estate con Yale Hilton e all’amicizia con i freaks; aveva accettato che Costas fosse felice senza di lui e non era mai tornato sui suoi passi per minare la serenità del minore. Aveva trovato un lavoro che gli piaceva e di cui andare orgoglioso. Aveva ripreso a coltivare amicizie importanti e aveva iniziato a fare nuove esperienze che lo facessero sentire un po’ meno sfondo, nel mondo, e leggermente più un attore a metà tra la comparsa e la recurring star. Piccoli passi, e poi tutto insieme dei salti in avanti enormi che l’avevano portato dietro la cattedra dell’Helius.
    Turo aveva un sacco di rimpianti, legati ai primi diciannove anni di vita, ma non aveva rimorsi legati agli ultimi sei mesi.
    Certo, qualche sera succedeva che, specchiandosi in un bicchiere di troppo, tornava con la mente ad un anno e mezzo prima, quando si era concesso di essere felice pur dovendo fare i conti con un’educazione rigida che gli aveva inculcato nella testa quanto fosse sbagliato, quell’atteggiamento; e ripensava a quanto i momenti belli, con Costas, fossero stati belli davvero. E si domandava se avesse fatto una stupidaggine. Ma poi si guardava allo specchio e si trovava sereno e si rendeva conto che, per arrivare dov’era, era stato necessario anche quello. Ecco, forse uno dei suoi rimorsi era proprio quello: aver ferito Costas, avergli promesso di poter rimanere amici sapendo che per due come loro era impossibile
    Aveva mentito sapendo di mentire, e l’aveva fatto per egoismo; solo quando aveva davvero messo un po’ di distanza tra lui e il suo ex vice capitano, aveva capito quanto male aggiuntivo avesse fatto ad entrambi, decidendo di rimanere aggrappato con tutto se stesso a quell’amicizia che non poteva rimanere tale molto a lungo. E in quel periodo, Arturo aveva avuto bisogno di capire se stesso in funzione di se stesso prima di poters dedicare a qualcun altro.
    Quando poi era tornato... Beh, Costas aveva Doris, era felice, e Arturo era troppo una brava persona per poter mettere le proprie esigenze al primo posto. Lo aveva lasciato andare. E col tempo si era convinto di averla superata.
    Non era così.
    E se ne rese conto proprio quel giorno, alzando gli occhi dal disegno di un alunno (e perché proprio Davide) e spostandolo verso il giardino che dava su Quo Vadis. E quando le iridi azzurre si posarono sulla figura familiare, ci mise un attimo più del necessario a metterla a fuoco; il sorriso ancora sulle labbra, immortalato come in una diapositiva.
    Rimasero a fissarsi qualche istante, ciascuno dal proprio lato della barricata, indecisi sul da farsi. O, per lo meno, Turo era sicuramente combattuto: andare da lui, o aspettare che fosse l’altro a decidere se fermarsi e chiacchierare oppure andarsene?
    La decisione, alla fine, la presero i suoi piedi al posto suo: si ritrovò a muoverli ancora prima di rendersene conto, il disegno ancora stretto fra le dita e una mano a sistemare inconsciamente il colletto della camicia. Q
    Quando attraverso la porta a vetri, diretto verso il cortile, si rese conto che quella era la prima volta che si vedevano da mesi. Come doveva comportarsi? Il sorriso si incrinò appena, ormai a pochi passi dal minore, ma cercò di riportarlo sulle labbra quando lo salutò con un cenno della mano e gli indicò il cancello di ferro battuto che delimitava i confini dell’Helius. «Ciao... Non dovresti essere al castello?» Perché chiedere “non dovresti essere agli allenamenti” implicava il fatto che Turo sapesse quando i serpeverde si allenavano.
    (Era così. Chiedeva a Liz aggiornamenti sulla squadra, fingendo nonchalance e di essere interessatissimo alle routine delle cheerleader — non era così.)
    «Io... Sto finendo di lavorare. Devo assicurarmi che le aule siano pulite e-» aggrottò le sopracciglia, confuso, «controllare sia tutto chiuso. A quanto pare qualcuno si è infilitrato nella scuola, la scorsa notte.» Non si spiegava come, ne tantomeno perché, ma non era certo di voler sapere. Preferiva l’ignoranza. Per lo meno, (le lettere.) gli intrusi non avevano rotto o vandalizzato nulla.
    E poi niente, mantenne lo sguardo sul Motherfucka pur reprimento quella domanda che sentiva premere contro le labbra: ci beviamo qualcosa insieme? Sapeva di non poterlo fare, non poteva permetterselo, e soprattutto doveva a Costas almeno l’opportunità di decidere se rimanere, o se mandarlo a fanculo e andarsene.
    Ci siamo detti basta senza mai dirci addio
    perché sappiamo già che un giorno ci rincontreremo; in una vita o un'altra con te ci sarò io
     
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    Ma quanto cazzo era bello il latino e quanto cazzo era bello col volto rilassato. Da sturbo.
    Poteva chiaramente vedere, mentre si avvicinava, quanto stesse in pace con se stesso finalmente; magari se si fossero frequentati ora sarebbe andata diversamente la loro storia, ma oramai era passato, no?
    Rimase fermo immobile, con le mani in tasca che sudavano per l'ansia, mentre l'altro si avvicina a lui. Per la barba di Merlino quanto gli era mancato; già lo sapeva ma ora che lo rivedeva dopo mesi sentiva quasi un nodo alla gola.
    Sembrava così diverso ma splendente, dannazione avrebbe avuto impressa quell'immagine per giorni e magari ci si sarebbe perfino masturbato. (Scusa si cresce ma a piccole dosi)
    «Ciao... Non dovresti essere al castello?» lo stava rimproverando? Non era cambiato completamente «Ciao, io sto bene e vedo che anche tu non stai niente male» gli sorrise, sembrando il più tranquillo possibile mentre lo divorava con gli occhi già da qualche minuto.
    Quanto era difficile non scavalcare quel cancello per fiondarsi sulle sue labbra. Aveva una voglia irrefrenabile di assaggiarle di nuovo,di scorrere le mani sulla sua schiena fino a quel sedere che aveva palpato e voluto fare suo per mesi.
    Aveva voglia di perdersi nei suoi occhi chiari ancora una volta e dannazione che voglia di limonarlo pesantemente. Oh cazzo...Pensa ad altro!non poteva eccitarsi al pensiero; era diventato un diciottenne pronto per un mondo serio e fatto di responsabilità. Che cazzo di fregatura.
    «Vuoi compagnia?» ti prego dimmi di sì, aveva troppa voglia di toccarlo o di stargli abbastanza vicino da sentire ancora il suo profumo. Che cazzo di pervertito; forse aveva bisogno di fare sesso. Ma non avrebbe di certo fatto qualcosa di stupido con Arturo, erano amici ora,vero?
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    arturo maria hendrickson
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    Come al solito, Arturo aveva detto la cosa sbagliata.
    Era vero che ci stava lavorando, e che aveva imparato a non farlo più con così tanta frequenza, ma gli succedeva ancora ogni tanto. Specialmente, poi, quando era nervoso. E avere Costas a pochi metri da lui, dopo tutto quel tempo, lo metteva molto in agitazione. Avrebbe voluto mentire e dire che non fosse così, ma che senso aveva negarlo.
    Abbassò impacciato il volto, sorridendo appena alle parole del minore. «Hai ragione, scusa.» Era andato in palla e dritto al punto; un po’ troppo, forse, dimenticandosi dove stava di casa l’educazione e che forse, in quel caso, un po’ di chiacchiere senza impegno era esattamente ciò di cui entrambi avevano bisogno. «Come stai? È-» tanto che non ci vediamo. Ma non lo disse; non serviva. Serrò le labbra, cercando qualcosa di diverso da dire e al contempo ammonendosi di non arrossire, nel momento stesso in cui sentiva collo e gote imporporarsi.
    Non c’era situazione, non c’era vita, in cui Costas Motherfucka non gli facesse quell’effetto.
    «Grazie. Sto... bene.» solo a quel punto trovò il coraggio di alzare lo sguardo sul minore, il sorriso sempre lì: un po’ più mite, ma mai incerto. Un sorriso che si allargò notando quello di Costas. L’impressione che aveva avuto inizialmente, quella di un Costas sulla difensiva, stava pian piano cambiando: forse aveva solo proiettato in quella lettura tutti i dubbi che lui stesso aveva, e non c’entravano assolutamente nulla con l’atteggiamento dell’altro.
    Gli indicò il cancello che separava il cortile dalla via, un tacito invito ad entrare. A rimanere. Lo guardò intensamente un’ultima volta, prima di dargli le spalle e dirigersi verso l’interno della scuola.
    Un colpo basso, da parte sua, lo sapeva, ma non poteva mica indietreggiare come un gambero no?!? Sarebbe stato imbarazzante. Certo, avrebbe potuto attendere Costas e camminare fianco a fianco ma — aveva bisogno di un attimo. Di intercettare il proprio riflesso sulla porta a vetri della scuola e assicurarsi di essere decente, di non aver assunto un colorito troppo acceso e di non avere l’espressione da pirlotto innamorato che aveva sempre avuto quando si trattava del minore.
    Voleva credere di poter essere ciò di cui Costas aveva bisogno (un amico); voleva provarci.
    Ah, se solo avesse saputo quali erano i veri pensieri del Motherfucka!
    Sospirò silenziosamente, tornando a raccogliere pennarelli sparpagliati ovunque. «Non ci metto molto... Nel frattempo... Vuoi...» si strinse nelle spalle. Cosa volevano? Non era chiaro ad nessuno dei due. «Parlare.... Di qualcosa... Aggiornarmi.... Come vanno le cose ad Hogwarts.....?» Non voleva saperlo davvero — aveva messo quanta più distanza possibile tra se stesso e il castello e non voleva essere trascinato nuovamente nei drammi interni ma non sapeva come fare chiacchiere leggere. Il prossimo passo sarebbe stato quello di parlare del tempo.
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    Fuori Costas poteva apparire calmo e distaccato, ma dentro era un fuoco. Ah! Se solo Arturito avesse potuto leggere i pensieri dell'ex. Non si era fermato al bacio ma era andato molto più avanti coi pensieri e quasi sicuramente Arturo lo avrebbe rimproverato o assecondato; ancora ci sperava. Per fortuna che aveva le mani in tasca o avrebbe davvero rischiato di palpare il sedere del maggiore, che aveva deciso di ancheggiare in modo provocatorio davanti a lui; ok, forse era tutto nella sua testa ma sapevano entrambi che effetto gli faceva. L'aveva fatto apposta! Avrebbe potuto accelerare il passo per affiancarlo ma preferì godersi lo spettacolo che comunque gli era mancato e solo quando furono abbastanza vicino dall'entrata che si ritrovarono spalla contro spalla. Rimasero in silenzio, dettato anche da un leggero imbarazzo, ma cosa poteva fare o dire? Nonostante avessero deciso di rimanere amici non lo erano davvero, non lo sarebbero mai stati, inutile fingere il contrario. Ci stavano provando anche se Costas aveva ancora voglia di limonarselo pesantemente.
    Si poggiò allo stipite della porta con le braccia incrociate mentre ammirava ancora una volta il sedere di Arturo mentre raccoglieva pennarelli e matite.
    Era adorabile quando provava a non essere in imbarazzo; era una cosa che aveva sempre trovato affascinante.
    «Fai pure con calma, non ho altri impegni» stava per caso dando per scontato che avrebbe voluto fare qualcosa dopo? Ovvio. In amicizia s'intende. «niente Hogwarts...niente quidditch oggi, ho solo voglia » di te. Di noi. «di non pensare, è così difficile l'ultimo anno» ma soprattutto sapere di non poter vivere più come voleva una volta uscito da lì.«ma non voglio parlarne..tu invece»stai bene senza di me? «ti piace il lavoro? Ti vedo davvero bene.» era sincero ed era felice di vederlo così sereno, forse non era il caso di tornare nella sua vita. fece un passo per raccogliere un pennarello «dopo che hai finito ti va di andare a bere qualcosa?»
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    arturo maria hendrickson
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    I pennarelli in terra non erano nemmeno così tanti, ma era una scusa come un'altra per prende tempo: il fatto che Turo fosse maturato e cambiato nell'ultimo mezzo anno, non voleva dire che fosse improvvisamente spigliato e sicuro di sé al punto da sapere subito cosa dire, cosa fare, come comportarsi.
    La presenza di Costas, poi, non gli facilitava di certo le cose.
    «Fai pure con calma, non ho altri impegni»
    Ok.
    Okay.
    Quindi l'ex concasato non era lì solo di passaggio, non era arrivato all'Helius per errore: lo era andato appositamente a cercare?!
    (No, non proprio, ma l'Hendrickson non poteva saperlo.)
    Turo abbassò di nuovo gli occhi sul pavimento, la mano ad indugiare sull'ultimo colore rimasto in terra e la voglia di gettare di nuovo l'intera scatola e ricominciare da capo a solleticare una parte non molto nascosta del proprio incoscio: una Penelope del mondo moderno, che prendeva tempo nell'unica maniera che conosceva, temporeggiando.
    Non è che non volesse finire e godersi la compagnia del minore, anzi! Il problema era decisamente l'opposto: ora che Costas era lì, Turo non riusciva a pensare più a giocattoli da ordinare, finestre da chiudere, aule da pulire — voleva solo godersi la presenza del Motherfucka e quello poteva essere un potenziale problema nell'ingegnoso piano “siamo solo amici”. Quindi, di fatto, cercava solo di evitare (o, se proprio, di rimandare il più possibile) la cazzata che sentiva avrebbe compiuto se non avesse avuto le mani impegnate a riordinare pennarelli colorati. Aveva un buon autocontrollo, Arturo, ma non così tanto e l'ultima estate gli aveva insegnato che, infondo, imporsi limitazioni e paletti poteva rivelarsi solo controproducente e doloroso.
    Con Costas, invece, sentiva di averne bisogno per il motivo opposto: si erano già scottati - no, anzi, bruciati una volta, e Turo non voleva essere l'artefice di una nuova sofferenza.
    Non quando Costas si stava comportando così bene .
    «niente Hogwarts...niente quidditch oggi, ho solo voglia» si rimise in piedi, ordinando alcuni raccoglitori che non avevano alcun bisogno di essere ordinati, cercando di non pensare o di non leggere nulla in quella brevissima pausa fatta dal minore: con ogni probabilità, Turo se l'era solo immaginata. «di non pensare, è così difficile l'ultimo anno» Il sorriso si fece più morbido sul viso dell'ispanico, più solidale: chi meglio di lui poteva capirlo. «non ti mentirò dicendo che migliorerà,» lasciò che le iridi azzurre studiassero intensamente il viso del minore, cercando di convogliare nell'espressione preoccupata tutto il suo supporto, «a ridosso degli esami sarà anche peggio» e gli esami ti faranno venire voglia di mollare tutto ad un passo dalla fine. Almeno quello ebbe la compiacenza di non dirlo.
    «ma non voglio parlarne..» ok, onesto, lo capiva perfettamente. «tu invece...ti piace il lavoro? Ti vedo davvero bene.»
    A quel punto, distolse lo sguardo e si avvicinò alla cattedra dove aveva già raccolto le sue cose, cercando qualche distrazione con cui perdere tempo. «molto. cioè, mi piace molto il lavoro. non che sto molto bene. cioè, anche ma-» passò una mano sul viso, posando i fianchi contro la scrivania. faceva ridere, senza riflettere, che fosse proprio lui l'adulto della situazione. «non credevo di poterlo dire ma penso di aver trovato un posto adatto a me» pieno zeppo di ragazzini senza ancora uno scopo nella vita e che scoppiavano a piangere anche per le cose più piccole: proprio il suo mondo. «per alcuni non sarà un granché» eh Mort «ma per me è molto. e -» si rese conto, parola dopo parola, che parlare con Costas fosse ancora facile come un tempo — forse anche di più. Chissà, magari avevano davvero fatto dei passi avanti; rimanere separati così a lungo sembrava aver aiutato il loro rapporto. Almeno di quello, Turo poteva rassicurarsi. «non lo so,» si strinse nelle spalle, «nessuno lo riteneva possibile, me per primo» una risata amara sfuggì dalle labbra dello spagnolo, «eppure-» eppure era lì, a fare un lavoro che gli permettesse di tornare a casa ogni sera e potersi specchiare senza provare vergogna: non era certo che, lavorando al ministero, avrebbe raggiunto lo stesso risultato. Anzi no, ne era certo.
    Si strinse nelle spalle. «so che non è proprio la stessa situazione,» Merlino solo sapeva i problemi di Costas e le aspettative dei Motherfucka, «ma...» non sapeva cosa volesse dire: di certo non avrebbe consigliato a Costas di tagliare i ponti con la sua famiglia come aveva fatto lui, nonostante sapesse la verità sul minore — non era comunque compito suo farlo. Non voleva che l'altro si sentisse come si sentiva lui: libero, ma al contempo rattristato dal fatto di aver chiuso del tutto i rapporti con gli Hendrickson. Voleva che Costas arrivasse alla verità con i suoi tempi, a modo suo, e che decidesse cosa farne senza essere influenzato dalle esperienze di Turo stesso.
    Ma voleva comunque che sapesse ci fossero delle alternative, anche per lui. E Arturo ne era l'esempio lampante. «so che ora non la vedi così, credimi lo so, se ricordi ero nella tua stessa situazione un anno fa» forse era anche messo peggio, «ma non ti sentirai sempre così» ebbe l'istinto di muovere un passo verso di lui, allungare un braccio e posarlo su quello del minore in un gesto di solidarietà e affetto, ma si trattenne. «devi solo stringere i denti. luglio arriverà prima di quanto immagini» il subito dopo sarebbe stato tremendo e costellato di incertezze, ma poi sarebbe migliorato. Turo ci credeva.
    Eeeee aveva parlato davvero tanto.
    «dopo che hai finito ti va di andare a bere qualcosa?»
    «Ho finito.» Detto di getto, senza nemmeno rifletterci su. «Di lavorare, dico. Ma anche di parlare,» si grattò la nuca con imbarazzo, «scusa non volevo-» parlare così tanto, fare l'uomo esperto, dargli consigli di vita quando lui stesso stava ancora cercando di capire la propria: i possibili finali per quella frase erano molti.
    «Non hai davvero nulla» di meglio «da fare?» Il pensiero di rimanere ancora un po' in compagnia del minore gli fece battere più velocemente il cuore perché, alla fine della fiera, certi sentimenti poteva solo negarli fino ad un certo punto, ma mai spegnerli o dimenticarli.
    A scanso di equivoci: «sì, mi andrebbe. Così puoi raccontarmi di cose di cui vuoi parlare» oppure no, a Turo andava bene tutto, anche non parlare affatto.



    Eh già. Proprio così amici.
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    Quando Arturo iniziava a parlare di qualcosa che gli piaceva era difficile fermarlo e di solito Costas lo baciava o ci provava per poterlo distrarre ma in quel momento rimase solo ad ascoltare, stava crescendo. Sospirò quando gli sentì dire che luglio era vicino e altre cazzate che odiava ricordare «non so se voglio uscire da Hogwarts, vorrebbe dire seguire i piani dei miei» scrollò poi le spalle come se quella cosa fosse poco importante, semplicemente non voleva davvero pensarci dato che quel pomeriggio aveva solo voglia di Arturo; si proprio di lui ma dirlo ad alta voce era un'altra cosa. Non voleva fare un passo falso soprattutto vedendo l'ex compagno felice. Lo poteva vedere dal suo sguardo come quella vita gli stesse piacendo. Non era più stressato e gli occhi gli brillavano mentre parlava del lavoro, era felice.
    «avrei voluto vederti più spesso così» diede voce a quel pensiero, ricordando che forse una volta l'aveva visto così ed era stato quando erano scappati insieme per una mini vacanza. Erano stati liberi e loro stessi, potevano tornare a quel momento?spesso se lo chiedeva. «sembri così diverso ma.. » gli sorrise cercando le parole giuste, avrebbe voluto dire che era splendido, e cazzo se era ancora più sexy che lo avrebbe volentieri fatto suo su quei banchi. Lo ammirò dalla testa ai piedi soffermandosi per un attimo sulle sue labbra, avrebbe volentieri fatto un passo verso di lui e posato le proprie labbra su di esse e assaporare la sua lingua. E quel sedere, gli mancava palparlo. Cazzo! Si stava eccitando, con un gesto involontario si di leccò le proprie labbra , aveva decisamente voglia di lui. Tornò a guardarlo negli occhi«ma sempre con un bel sedere» rise perché certe abitudini erano difficili da togliere soprattutto se continuava a chinarsi e a mostrargli il culo. «dai usciamo da qui prima che diventi volgare e che mi cacci» fece un passo verso di lui e poggiò il braccio sulle sue spalle.«ho voglia di qualcosa di caldo» no comment.
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    «non so se voglio uscire da Hogwarts, vorrebbe dire seguire i piani dei miei» Non era un commento leggero, quello di Costas, fatto tanto per dire qualcosa, pur conservando un tono quasi distaccato: era la verità e Turo non aveva bisogno di guardare il minore in faccia per saperlo. E per stare male. Il fatto che Costas peferisse rimanere a scuola piuttosto che andare incontro al futuro che i suoi genitori avevano scelto per lui, la diceva lunga. Specialmente se la scuola in questione era Hogwarts.
    Arturo avrebbe voluto sapere cosa dirgli, come rendere più sopportabile quegli ultimi mesi di scuola e, se possibile, anche il dopo: ma non sapeva come fare. Perché non poteva di certo convincere i Motherfucka a lasciare Costas libero di viversi la sua vita (chi era lui, per farlo? Nessuno, lo avrebbero fatto arrestare per stalking o diffamazione, probabilmente, se avesse provato a fare una cosa del genere); e allo stesso tempo non poteva dire a Costas l’altra grande verità perché non era compito suo farlo. Un po’ avrebbe voluto — ma non spettava a lui. Quindi non gli rimaneva nulla se non abbassare il capo e osservare un punto del pavimento, spalle curve e cuore pesante.
    «avrei voluto vederti più spesso così»
    Non riuscì a trattenersi, e quando sentì quelle parole tornò istintivamente a guardare Costas, un sorriso leggero sulle labbra, nello sguardo tante emozioni che Turo non riusciva ad esprimere a voce. Avrebbe voluto verdersi anche lui più spesso così. Ancora di più: avrebbe voluto essere quel Turo la prima volta che aveva incontrato Costas — forse, in quel modo, magari le cose tra loro sarebbero andate diversamente.
    Forse avevano ancora tempo.
    Era un pensiero troppo invitante per non concederselo, ma non voleva crederci più di tanto: non riteneva opportuno caricare Costas con problemi aggiuntivi, doveva lasciare che vivesse il suo settimo anno in pace e lontano da tutti i pensieri che avrebbe potuto portare un loro riavvicinamento.
    O, perlomeno, così credeva Turo.
    Il minore non sembrava dello stesso avviso. E forse “diverso” poteva essere interpretato in un sacco di modi, forse Turo poteva scegliere di leggerci quello che voleva, ma il modo in cui il serpeverde si soffermò ad osservare le sue labbra, e la lingua passata lentamente ad umettare le proprie, lasciavano ben poco spazio all’immaginazione.
    Turo deglutì a fatica, sentendo un calore familiare alle gote — e non solo lì. Distolse lo sguardo perché erano in un’aula dell’Helius e Merlino solo sapeva cosa fosse successo lì dentro la sera prima: di certo Turo non voleva deturpare quel luogo ulteriormente. Quindi fece finta di niente, ridendo alla battuta (lo era?) di Costas, staccandosi dalla scrivania. Una volta recuperate le sue cose, borsa a tracolla, libri da riconsegnare alla biblioteca di Hogwarts sotto braccio, e chiavi per chiudere la scuola, lo invitò con un cenno della testa ad uscire. «Non ti caccerei mai.» Sarebbe stato un bugiardo, dicendo il contrario: voleva Costas nella sua vita, e quel tanto era chiaro, ormai.
    «ho voglia di qualcosa di caldo» Poteva scegliere di leggere un doppio senso in qualsiasi parola del minore, e convincersi di avere un’occasione che, pur senza rendersene conto, aspettava da mesi; oppure poteva scegliere di far finta di nulla e continuare a camminare, senza darsi false speranze.
    Oppure, visto che le ipotesi erano sempre tre, poteva scegliere di tastare il terreno ancora un po’, e vedere su che sentieri stavano camminando: sperava vivamente fossero stabili, e non costellate di trappole letali. «Ti dispiace se passiamo prima a casa mia a lasciare questi?» Mostrò i libri presi in prestito dal Castello, «non vorrei si rovinassero.» Ad un anno quasi dal diploma aveva ancora paura delle punizioni inflitte a chi rovinava il materiale didattico, o chi infrangeva qualche regola. «Ci mettiamo poco, non abito molto lontano da qui.»
    Vi giuro che quella dei libri non era nemmeno una scusa.
    Non una volontaria, comunque.
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    perché sappiamo già che un giorno ci rincontreremo; in una vita o un'altra con te ci sarò io
     
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    Costas quando diceva qualcosa quasi sempre erano frasi ambigue o fraintendibili,quella volta non fu da meno anche se ci aveva provato, lo giuro, ma alla fine c'era cascato di nuovo. Ma la cosa che lo accese furono le parole dolci che gli riservò l'ex compagno dopo quella provocazione poco velata sul sedere. Che avesse qualche possibilità? Era meglio non sperare e godersi quella bevuta come amici. Ma si sa la fiamma della passione si riaccende quando meno te lo aspetti e Costas era sempre pronto.
    «Ti dispiace se passiamo prima a casa mia a lasciare questi?» ma stava flirtando con lui?aveva appena detto che glielo dava? Forse non stava andando proprio così anche se Costas non era ingenuo e aveva iniziato lui coi doppi sensi dai tempi in cui erano in classe insieme, quindi quello non poteva essere un semplice "metto via i libri e andiamo a bere". Anche se era pur sempre Turo e sapeva quanto poteva tenerci agli oggetti, soprattutto i libri e ciò che gli veniva prestato «non vorrei si rovinassero.» appunto.
    «anche questo non è cambiato....»si fermò per guardarlo mentre chiudeva l'ultima porta e penso il cancello. Doveva controllarsi, non voleva vederlo scappare di nuovo ma da quando lo aveva rivisto non riusciva a pensare ad altro se non a baciarlo e se ancora non gli era saltato addosso era solo per orgoglio perché un altro rifiuto sarebbe stato troppo per l'ego del Motherfucka. Allo stesso tempo però non riuscì a non dare voce a quei pensieri «e continua a piacermi» altra piccola dichiarazione, poi gli fece segno di fargli strada, così avrebbe goduto ancora per qualche attimo della vista del suo culo. «andiamo nella tua dimora Arturito..ma ci vivi da solo?»
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    Quando Turo aveva detto di abitare vicino, intendeva: davvero vicino. Cinque minuti scarsi di camminata, perfetto per quelli a cui piaceva oziare sotto le coperte al mattino così tanto da rischiare poi di fare tardi per il lavoro; e sì che c’era la smaterializzazione, ma farlo tutte le sacrosante mattine sembrava un po’ esagerato, e la nausea che seguiva ad ogni spostamento risultava sempre molto sgradevole allo spagnolo.
    Quindi sì, pochi ma interminabili minuti di camminata — al fianco di un Costas che era sempre lo stesso Costas che aveva fatto innamorare Arturo anni prima – e una vita prima – ma allo stesso tempo un Costas nuovo, diverso. Uno che ci stava provando davvero a rispettare quei paletti che, ad essere sinceri, ogni tanto Arturo malediva; si domandava perché fossero necessari, e poi si ricordava di quanto avessero sofferto entrambi, l’anno prima, e non gli sembravano più così esagerati.
    Salvaguardia, diceva. Protezione. Ci credeva solo fino ad un certo punto; specialmente, poi, quando voltava appena lo sguardo e beccava quello del minore già intento a fissarlo, occhi verdi che, nonostante il tempo e nonostante il modo in cui Turo si era comportato nei suo confronti, non avevano perso quella luce di passione che gli aveva riservato sin dal primo giorno che l’aveva visto. Visto davvero.
    Anche a lui, per quanto si sforzasse di convincersi del contrario per il bene di entrambi, continuava a piacere; avrebbe voluto dirglielo, urlarlo, ma poi rifletteva che forse non fosse giusto nei confronti di Costas dare fiato ai suoi pensieri solo adesso, solo ora che lui si sentiva pronto: e se il Motherfucka non lo fosse stato? Se non fosse disposto a mettere da parte tutto il resto, se si fosse fatto una vita, se fosse andato avanti e tutte quelle erano solo illusioni che lo spagnolo si stava autoinfliggendo....
    «andiamo nella tua dimora Arturito..ma ci vivi da solo?»
    Battè le palpebre un paio di volte, richiamato alla realtà dalle parole del capitano verde-argento. «eh...sì.» imbarazzato, portò lo sguardo sul palazzo dove aveva affittato un monolocale con un solo balcone: niente di speciale, ma accogliente abbastanza; ed economico al punto da non pesare troppo sul misero stipendio da insegnante di scuole elementari. «non è granché, ti avviso» ma almeno era in ordine.
    Quando raggiunsero lo stabile, lo invitò a precederlo sulla scala interna, fino al secondo piano, dove poi aprì la porta che dava sul piccolo appartamento: sulla destra un piano cottura ordinato, un tavolo con alcune pergamente la cui lettura era stata lasciata in sospeso la notte precedente, e di fronte un divano letto aperto, ma rifatto con tanto di piumone tirato e cuscini sistemati. Una porta sulla sinistra portava al bagno e, tra quella e la porta principale, c’era una struttura in legno che fungeva da mobile e da armadio. Non era molto, ma almeno era suo.
    Posò i libri su una delle mensole a giorno, e attaccò la tracolla all’appendiabiti. Poi si osservò intorno, smarrito. «mh, uh» quello che doveva fare, lo aveva fatto; ora doveva solo invitare Costas ad uscire e proseguire verso un locale che fosse, tra le tante cose, anche un terreno più neutrale.
    Ma avere Costas lì, a casa sua, e così vicino per la prima volta in un sacco di tempo, gli aveva fatto dimenticare come far funzionare il cervello. Onestamente? Avrebbe voluto chiudere la porta, ancora aperta per fingere che la cosa fosse meno reale di com’era, e dimenticare il mondo esterno.
    Ma non poteva.
    Poteva?
    «se vuoi qualcosa di caldo ho della cioccolata.» parlò velocemente, l’accento spangolo a farsi più marcato come succedeva ogni volta che era in imbarazzo e vagamente a disagio. Si avvicinò al mobile, e per farlo dovette passare tra il minore e il tavolo. Troppo vicini. «se- se vuoi possiamo comunque uscire,» bisbigliò, in difficoltà, «se volevi qualcos’altro. O-oppure possiamo rimanere, cioè-» deglutì a fatica, senza mai raggiungere la meta; era fermò lì, al centro della stanza, Costas da una parte e il tavolo dall’altra. Ebbe nuovamente l’impulso di allungare una mano e toccare il minore, già sapendo che fosse una pessima idea.
    Non lo aveva invitato a casa con un doppio fine.
    Ma ora che erano lì, non riusciva a pensare a nient’altro.
    «Costas–»
    Cedette, e allungò la mano fino a sfiorare il braccio del minore. Un errore che sapeva già dal principio essere tale, ma al quale non riuscì a resistere: non era corretto, per nessuno dei due, ma — se lo fosse stato? Se quella, finalmente, era la volta in cui ci riprovavano e funzionava? Potevano rischiare?
    (No. Ma Turo voleva farlo.)
    Potevano provarci?
    (Ancora una volta: no. Ma Turo voleva fare anche quello.)
    La lasciò scivolare piano sulla stoffa della sua maglia, fermandosi solo una volta raggiunto il polso: lo stava immaginando, o il battito del minore era impazzito almeno quanto il suo? Lasciò che i polpastrelli imprimessero maggior forza in quel punto, rimanendo in ascolto per qualche istante in più del necessario, poi iniziò a picchiettare seguendo il battito cardiaco del Motherfucka, come ipnotizzato da quel ritmo.
    Pensò di dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma aveva la gola secca e dubitava di essere in grado di proferire parola — o di formulare frasi di senso compiuto, in quel preciso momento. C’era solo il tum-tum-tum gemello a rimbombare nella propria cassa toracica, nelle orecchie, nella testa, e lo sguardo incollato in quello del minore. Sguardo che, suo malgrado, scivolò brevemente sulle labbra del battitore, e in quello stesso istante Turo smise di avere pensieri coerenti.
    Prima ancora di rendersene conto, aveva stretto la presa intorno al polso del minore e lo aveva tirato a sé, chiudendo del tutto la distanza fra loro, e poi con l’altra mano premuta alla base della nuca di Costas, lo aveva tenuto vicino mentre le labbra cercavano, affamate e disperate, quelle che non avevano mai smesso di desiderare.
    Nemmeno dopo tutto quel tempo.
    E che, con ogni probabilità, avrebbero continuato a desiderare sempre.
    Anche in altre cento vite diverse.
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    Si stavano baciando! Dopo un anno, dopo che si erano lasciati, dopo che entrambi sembravano essere andati avanti con la propria vita i due ragazzi si stavano baciando.
    Costas era stato nervoso fino a quel momento, mentre camminavano vicino fino all'appartamento del maggiore. L'aveva seguito fino dentro e aveva chiuso la porta senza pensare che erano lì solo per poggiare dei libri e uscire, probabilmente era stato il suo subconscio ad andare oltre, il lupo perde il pelo ma non il vizio o forse sì era semplicemente sentito speranzoso che quella non sarebbe stata solo la loro prima tappa ma unica.
    Si era sentito eccitato quando Arturo aveva volontariamente parlato in modo provocatorio e con l'accento spagnolo.
    «Arturo...» si morse il labbro e strinse i pugni cercando di pensare ad altro che non fosse saltare addosso al latino, ma quanto cazzo era difficile!
    Si era sentito in trappola quando l'ex compagno si era avvicinato ad un soffio da lui per fingere di prendere qualsiasi cosa fosse, aveva iniziato a smettere di pensare e capire.
    Si era sentito confuso quando sempre il maggiore aveva poggiato la mano sul suo braccio, un semplice tocco che lo bloccò e che gli fece perdere qualche battito. Rimase in silenzio, rendendosi conto solo in quel momento che Turo stava per fare il primo passo.
    Si era sentito felice quando percepì la sua stessa emozione nel compagno, in fondo nessuno dei due era andato davvero avanti. Quando senti il proprio nome sussurrato andò completamente in tilt, non ci fu più spazio per le parole e soprattutto per i pensieri. I due ragazzi finalmente si baciarono, Costas assaporò di nuovo quelle labbra, percepì il calore del latino e ricambiò avvicinandosi col corpo al suo. Fu un bacio lento e dolce, dettato dalla voglia di rincontrarsi e godersi l'uno dell'altro. Con la mano libera lo tenne dal fianco per non allontanarlo,aveva il bisogno di sentirlo vicino mentre quel bacio si fece più serio, con le loro lingue che si cercavano e i loro fiati si facevano sempre più corti. Si staccò solo per riprendere fiato e lo guardò negli occhi. Si sentiva felice, sollevato, confuso ma eccitato e non si sarebbe fatto scappare l'occasione, sentiva che quello era il loro momento. Erano cresciuti, cambiati e pronti per affrontare un nuovo rapporto. «tu....» cosa?mi sei mancato, mi fai impazzire, mi ecciti, me lo fai venire duro...e che altro poteva dire?tante e troppe cose che decise di non aggiungere perché il loro corpi parlavano da soli, così tornò a baciarlo per non perdere l'attimo. Lo prese dai fianchi per girarlo mentre la propria lingua pretendeva le attenzioni di quella di Arturo che non esitò un secondo ad assecondare. Con le mani scese sul sedere e lo palpò..cazzo! Quanto gli era mancato quel sedere sodo e invitante. Sorrise mentre lo baciava, perché si rese conto che tutto quello era reale, non era al dormitorio nel suo letto che sognava e si masturbava. No. Erano nell'appartamento di Arturo con il ragazzo ora seduti sul tavolo e lui tra le sue gambe sempre più voglioso di lui. Fece scorrere le mani sulle schiena del latino,sotto la maglia per sentire così la pelle calda del latino che rabbrividì al suo passaggio mentre la bocca del Motherfucka continuava a godersi delle labbra del compagno «mm...» era uscito da lui?! Ok quella era la via del non ritorno.
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    TW: soft porn, ma non lo rimarrà ancora molto col post di Costas, me lo sento, quindivoyeur avvisato, mezzo salvato .
    🙈👀🤡


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    arturo maria hendrickson
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    Sarebbe stata una menzogna, e francamente anche un po' offensivo nei confronti di entrambi, dire che Turo si fosse lanciato in quel bacio in maniera irrazionale e senza lucidità. L'aveva fatto perché lo desiderava, pure se una scintilla di incoscienza v'era, innegabilmente, nel modo affrettato con cui aveva portato le labbra ad incontrare, dopo tutto quel tempo, quelle di Costas.
    Lo voleva così tanto, così intensamente, da non riuscire a capire nient'altro: c'erano solo loro due, l'appartamento minuscolo ma improvvisamente enorme, il loro personale universo, e niente più.
    Più intenso delle altre volte.
    Più disperato.
    Avevano passato – sprecato – fin troppo tempo a trattenersi, a ripetersi che fosse giusto per entrambi non fare nulla, andare avanti con le proprie vite, e Arturo si sentiva così stupido, in quel momento, che se avesse potuto far tornare indietro il tempo, sarebbe tornato volentieri all'anno prima per prendersi a calci nel culo da solo. Che idiota; non c'era altro posto in cui volesse esistere, se non tra le braccia del battitore, stretto al suo petto, le mani ad accarezzare ogni centimetro di pelle lasciato libero dagli abiti.
    (Troppo pochi.)
    Come aveva fatto — no, come aveva potuto privarsi di tutto quello così a lungo?
    Strinse la presa alla base della nuca del serpeverde, spingendolo il più possibile contro il proprio viso, i nasi schiacciati l'uno contro l'altro e le labbra a cercarsi, affamate e desiderose di recuperare tutto il tempo scioccamente perso; sentiva ogni cellula del suo corpo bruciare, ogni nervo inviare intense scariche di piacere che lo facevano tremare, sotto anche le insistenti pressioni del minore per portarlo a concedere qualcosa di più — sempre qualcosa di più.
    Turo non aveva alcuna intenzione di resistere.
    Lo lasciò fare, occhi chiusi e fiato corto, le lingue a rincorrersi e cercarsi, riscoprirsi, e allo stesso tempo trovarsi facilmente come se il tempo non fosse mai passato. C'era qualcosa di familiare, di naturale e perfetto, nel baciare Costas Motherfucka, che Turo non era mai riuscito a spiegare, e che aveva provato sin dalla prima volta nei dannati spogliatoio del campo scolastico; una sensazione che rendeva tutto quello al contempo meraviglioso e terrificante.
    Ma, soprattutto, lo rendeva giusto.
    Sorrise sulle labbra del compagno nel sentirlo gemere, e istintivamente lo strinse di più contro il proprio corpo, interrompendo brevemente il bacio solo per riprendere fiato, testa reclinata e collo ben in vista — ma gli occhi ancora chiusi; temeva che, aprendoli, avrebbe scoperto che fosse tutto un sogno.
    Un sogno bellissimo, ma pur sempre un sogno.
    Per lo stesso motivo, si affrettò a zittirlo quando provò a parlare, uno «shh» appena sussurrato, e un dito passato sulle labbra arrossate di Costas. Lo lasciò lì per qualche istante, il polpastrello ad accarezzarle leggero, l'istinto di premere, e osare, a stuzzicare i recessi della sua mente, salvo poi trattenersi e sostituire quel diro con le labbra. Di nuovo, sempre.
    Si sentiva di avere tutto il tempo del mondo, Turo, eppure voleva anche accelerare i ritmi, diviso a metà tra il bisogno di averlo, per davvero, e quello di assaporare ogni singolo istante, ogni singolo gesto, ogni singolo gemito di piacere che riusciva a strappare al minore.
    E ogni singolo gemito di piacere che Costas strappava a lui.
    Non riusciva a trattenersi; non voleva trattenersi. Erano a casa sua, erano da soli, non c'era nemmeno il gatto ad aggirarsi calmo per il monolocale; delle pareti sottili gli interessava ben poco, in quel momento, e dubitava comunque che i vicini fossero in casa.
    Le sue preoccupazioni erano altre. Delle mani smaniose a scendere inesorabili verso il suo sedere, ad esempio. Turo le lasciò fare, un suono indefinibile a sfuggire dalle sue labbra e allo stesso tempo un sorriso a nascere quando le sentì stringere: certe cose non sarebbero cambiate mai.
    Riaprì finalmente gli occhi, e si accorse che anche il minore stava sorridendo; erano felici.
    Lo erano?
    Sì, in quel momento Turo non poteva negare di aver fatto la scelta giusta; una scelta che avrebbe rifatto altre cento volte, pur di replicare quello stesso risultato. Ancora una volta si maledì per aver perso così tanto tempo, come un completo imbecille — lo consolava solo il pensiero che, almeno, stando all'urgenza che sentiva nei movimenti e nei baci di Costas, quella separazione non aveva fatto altro se non accrescere il desiderio anche in lui, piuttosto che smorzarlo.
    Lasciò per un attimo il controllo al serpeverde, facendosi guidare del tutto verso il tavolo e mettendosi seduto per stare più comodo, pergamene gettate in terra senza la minima cura, le mani di Costas a salire sulla sua schiena, sotto la maglia, sulla pelle; le sue gambe a incrociarsi dietro le ginocchia del minore per stringerlo sempre più vicino. Non era mai abbastanza.
    Poteva sentire ogni cosa, Arturo, dal fiato corto di Costas al battito accelerato del muscolo nascosto sotto la gabbia toracica — lo stesso ritmo irregolare si rifletteva nel suo; e sentiva anche il fastidio di avere fin troppi strati di stoffa a dividerli, denim sempre più stretto all'altezza del cavallo; e sentiva le mani di Costas accarezzarlo, cercare, premere, stringere.
    Si rese distrattamente conto di essere grato del fatto che fosse seduto, poiché dubitava seriamente che le gambe gli avrebbero retto. Già così, le mani tremavano mentre scendevano lungo i fianchi del minore alla ricerca dell'orlo della maglia, per poi stringerlo delicatamente e sollevarlo; sperava in un po' di collaborazione da parte del giocatore, perché non era certo di riuscire a sfilarla, c'erano così tante che Turo voleva fare che ogni movimento risultava impacciato e frettoloso, e allo stesso tempo non veloce abbastanza.
    Interruppe il bacio nuovamente, quel poco che serviva per riprendere fiato e liberarsi della maglia del minore, poi tornò ad assaggiare la pelle nuda, un bacio dopo l'altro, sul collo, le clavicole, le spalle, il petto; il cuore.
    Avrebbe potuto farlo per tutto il pomeriggio, e tutta la notte; goderselo e avere la certezza che stesse davvero succedendo, che non si sarebbe svegliato l'indomani per scoprire di aver immaginato tutto. Lo voleva fino infondo, voleva tutto e anche di più; voleva farlo, finire e poi ricominciare da capo; fermare il tempo e vivere in quella bolla il più a lungo possibile, con Costas stretto a sé e nessun problema a minacciare una ritrovata serenità, che gli era costata già fin troppo.
    In fin dei conti, si meritava di essere egoista al punto di pensare di meritarselo, almeno una volta nella vita.
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    Non c'era più spazio per le parole perché quello era il momento di amarsi, lentamente, godendosi ogni attimo insieme e lui voleva assaggiare ogni parte del latino, lo avrebbe amato tutta la notte.
    Aveva sognato quel momento per mesi «È anche meglio...» tutto era decisamente meglio nella realtà. Il tocco di Arturo lo stava mandando fuori di testa, i baci lo stavano uccidendo e i vestiti erano così fastidiosi, gli mancava l'aria. Fremeva dalla voglia di togliere tutto di dosso al latino e fu proprio lui che iniziò a spogliarlo. Lo lasciò fare anche se poteva vedere nei suoi movimenti l'imbarazzo. Non disse niente, aveva il terrore di dire qualcosa che avrebbe poi interrotto quel momento così si limitò ad accarezzargli i capelli mentre lasciava delicati baci sul suo corpo, stava rischiando l'infarto. Lo bloccò prima di impazzire e riportò il suo viso al proprio «ora tocca a me...» sorrise malizioso e aiutato dal maggiore fece volare anche la sua di maglia. Baciò prima un capezzolo e morse l'altro, salì sulla spalla e lasciò un segno sul collo per poi tornare sulle sue labbra per assaporarle ancora una volta mentre gli sganciava i pantaloni. Si staccò per riprendere fiato «baby...alza il culo» aveva bisogno di liberare il ragazzo dai pantaloni. Col suo aiuto ci riuscì e poté godersi un Turo senza vestiti, eccetto
    per l'intimo. Gli baciò l'ombelico e risalì con la lingua fino alle sue labbra,si poggiò col proprio bacino al suo.«lo senti quanto ti voglio?!» non doveva davvero rispondere, potevano sentirlo entrambi quanto erano eccitati. Lo baciò dolce per afferrarlo dalla vita «tieniti che ti porto a letto, voglio che la nostra prima volta non sia su un tavolo...magari faremo la seconda e la terza» rise mentre veniva schiaffeggiato sulla spalla per la battutaccia. Lo poggiò sul letto e tornò a baciarlo, sistemandosi tra le sue gambe. Era così difficile fare tutto lentamente, ma voleva godersi ogni centimetro di Arturo così scese sul mento, sul petto poté sentire il suo battito correre, andava di pari passo col suo. Si alzò rimanendo in ginocchio tra le sue gambe e si sganciò i jeans che volarono via insieme all'intimo. Finalmente erano nudi. Eccitati. Lo ammirò ancora qualche istante «mio...tutto mio» tornò a baciarlo e non ci fu più tempo per le parole.
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    Edited by Costa(nzo)s - 6/6/2023, 02:52
     
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