maybe in your eyes.
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| If you could see me now, If you could see my smile See your little boy, Oh would you be proud? | | | | dominic cavendish I learned to tie my own tie too | Un giorno come un altro Dominic era andato al campo di allenamento degli Almighty Gunners, aveva fatto il suo lavoro, aveva curato qualche distorsione, aveva spalmato un po’ di pomata cancellalividi qui e lì sulle braccia di qualche giocatore, aveva guardato con ammirazione l’Huxley impartire ordini e schemi di gioco alla squadra, aveva tentato invano di proteggere il suo petto da tutti i colpi, i pugni, e le gomitate che Chelsey gli dedicava sistematicamente dopo ogni seduta di allenamento, e poi era tornato a casa. Non c’era nulla di strano in quelle azioni, erano tutte parte della sua nuova routine, ci aveva messo un po’ ad abituarsi a quel nuovo stato di cose – aver lasciato il posto da infermiere a Hogwarts, aver accettato di lavorare per Elwyn (con Elwyn), aver deciso di prendersi grosse responsabilità al San Mungo –, ma piano piano ce l’aveva fatta ed era felice; non si aspettava di ricevere sorprese, ormai, non voleva sorprese. Non amava definirsi un ragazzo abitudinario, le cose conosciute spesso finivano per annoiarlo, gli piaceva scoprire cose nuove, essere intraprendente e curioso, ma di solito stuzzicava la sua curiosità andando all’inaugurazione di un nuovo ristorante etiope, e misurava la sua intraprendenza prenotando escursioni guidate sulla cima del Machu Picchu o nel Mare del Nord per vedere foche e pinguini reali, di certo non avrebbe mai pensato di essere messo di fronte a tutto quello che gli era stato rivelato nell’ultimo anno. Il suo curiosometro era già schizzato alle stelle alla confessione di provenire da quel futuro passato alternativo di venti anni dopo (o prima, il prima dopo, non l’aveva ancora ben capito, in effetti), e aveva definitivamente smesso di funzionare quando aveva deciso di leggere la lettera; l’intraprendolo invece era stato messo a dura prova soprattutto nell’ultimo periodo: una relazione quasi stabile? Decisamente non era nei piani. Lasciare il lavoro e il posto fisso? Mh, la crisi era stata annunciata. Gestire medicamente una squadra di quidditch professionale? Un sogno, tant’è che era stato perseguitato dagli incubi di giocatori che gli piombavano sulla testa e lo schiacciavano per mesi interi. Andare a lavorare al San Mungo e per di più candidarsi come responsabile di piano? Il suo cuore aveva retto a malapena. Dominic sapeva che c’erano ancora cosa da mettere a posto, questioni da affrontare, problemi da risolvere, e decisioni da prendere – e l’avrebbe fatto, voleva farlo e doveva farlo, aveva solo bisogno di un attimo di pausa, un momento di pace con se stesso. Quando aveva infilato la mano nella tasca del giubbino in cerca delle chiavi di casa quel giorno come un altro, quindi, era convinto di aver pescato uno scontrino vecchio, una ricevuta, un post it pieno di insulti da parte della Weasley, nella peggiore delle ipotesi il reminder di dover cambiare switchare qualche turno in ospedale – qualsiasi cosa sarebbe stata accettata con maggiore serenità rispetto a quello che invece lesse una volta rientrato a casa. “Sei felice? come va la vita? Se hai problemi chiamami” Poteva essere una sua ex fidanzata? Un vecchio amico? Un suo ex compagno di scuola da cui molto probabilmente non aveva copiato perché non ricordava la sua grafia? Non fu facile decidere quale alternativa fosse la più plausibile, anche perché la seconda parte del bigliettino lo confuse non poco: qualcuno gli aveva dato il suo numero di telefono e poi gli aveva scritto di non chiamarlo all’improvviso, mh okay, e poi cosa significava che uccideva solo se necessario, quand’è che un’uccisione era necessaria? A quel punto era troppo confuso per provare a rispondere anche a quella domanda, che andò semplicemente ad accodarsi alla lista sempre più lunga di quesiti irrisolti. “sii felice” gli spezzò il cuore; “ps comunque ero tuo fratello in un'altra vita” glielo distrusse in mille pezzi. Si sentì mancare la forza nelle gambe e l’aria nei polmoni, mentre nel petto si faceva largo un dolore lancinante. Fu grato in quel momento che Nice non fosse lì, che lui non fosse al campo, in ospedale o da qualsiasi altra parte, fu sollevato, in poche parole, di essere da solo, perché l’unica cosa che poté fare fu chiudere la porta della sua stanza dietro di sé, scegliere la parete più sgombra da mobili e accasciarsi nell’angolo, con le ginocchia premute contro il petto e la testa contro il muro. Sapeva come affrontare i suoi attacchi di panico – non sapeva come affrontare tutto il resto. Si era preso la sua pausa, pensava di aver messo in standby tutte le questioni irrisolte, ma in realtà aveva messo in standby solo se stesso, e le questioni erano andate avanti, si erano accumulate, e avevano trovato nuove strade per arrivare a lui. Un buon psicomago gli avrebbe detto di non colpevolizzarsi e di non tormentarsi, ma come poteva non farlo quando per più di un anno non era riuscito a trovare il coraggio di dire due parole ai suoi fratelli, quando era dovuto scappare da Hogwarts (anche) per non dover vedere Dakota tutti i giorni? C’era scritta una (1) cosa nella lettera che Heathcliff – un ragazzo evidentemente più in gamba di lui – gli aveva lasciato dal 2043: proteggili. E in che modo esattamente Dominic aveva protetto Joey e Hans? Guardandoli, ignorandoli, e poi perdendoli di vista, addirittura. Sapeva che Hans non fosse più a New Hovel ma si era autoconvinto che fosse in viaggio, in vacanza, a un lungo pigiama party a casa di un amico, che comunque stava bene, ma era una convinzione stupida perché aveva osservato così tanto attentamente il Belby nell’ultimo anno che solo in base a quello avrebbe potuto azzardare almeno tre o quattro diagnosi più o meno serie; e Joey, che vedeva ogni giorno al campo, che incrociava tutti i giorni nello spogliatoio, di cui ormai conosceva così bene qualsiasi suo movimento sulla scopa, di cui aveva imparato a prevedere ogni espressione (sì beh gli piaceva vincere facile, era solo una), e che comunque aveva continuato a ignorare in modo palese e in modo imbarazzante. La scusa che si era sempre ripetuto era che non toccava a lui, che non era compito suo, che non era nessuno per poter interferire con le loro vite, ma mancava sempre di realizzare che lui era qualcuno: era Heathcliff Wayne-Maddox, e poi era Dominic Cavendish, e quale che fosse il suo nome, quale che fosse il viso con cui si presentava, era lì perché aveva una responsabilità verso di loro. Alla fine era stato Joey – era stato James – ad avere più coraggio di lui, a comportarsi da fratello maggiore, ad affrontare per primo la situazione, e lui che era effettivamente il maggiore non sapeva neanche se avesse avuto paura, come avesse affrontato la notizia, se lo odiasse, se l’aveva odiato in precedenza, se un po’ era curioso di conoscerlo. Lui in effetti si odiò un po’ per quello, si colpevolizzò per aver aspettato e perso così tanto tempo, lasciò che il dolore al petto si espandesse, e alla fine pianse, si concesse anche di singhiozzare mentre stringeva con forza nel palmo della destra il bigliettino che gli aveva lasciato Joey. Ma alla fine si asciugò anche le guance, smise un po’ di odiarsi, e tornò a sentire l’aria nei polmoni e le gambe muoversi.
Dominic aveva bisogno dei suoi tempi per comprendere il proprio stato d’animo, di sfogare la sua rabbia e di accettare le situazioni, ma alla fine sopravviveva sempre. Alla fine, la sua decisione l’aveva presa e prevedeva di iniziare dalla parte della famiglia che più gli era sconosciuta. Non che non conoscesse Jason Maddox, a scuola si erano incrociati indubbiamente, ma appartenevano a due clique differenti, e non avevano mai avuto modo di legare. Indubbiamente non la migliore delle premesse per conoscere il proprio padre, ma il lato positivo era che perlomeno non era qualcuno con cui aveva litigato, o che gli stava antipatico; sentiva, anzi, di essere in qualche modo particolarmente affine al Maddox, e scoprire che lavorava in un negozio di strumenti musicali non aveva fatto altro che incrementare quella sua sensazione. Certo, ora se ne stava fuori al suddetto negozio di strumenti musicali con un principio di dermatite da stress e la quarta sigaretta di fila tra le dita ma ehy sentiva ancora quell’affinità – almeno fin quando non sarebbe svenuto dritto dritto sul marciapiede di fronte, ma quelli erano problemi che riguardavano il futuro, per il momento si concentrò nel ripetere il suo discorso così come l’aveva preparato davanti lo specchio quella mattina mentre si tagliava la barba: «ciao Jason, sono Dominic, ti ricordi di me? Forse no, ma non è importante, comunque sono interessato a una chitarra, hai qualcosa da consigliarmi? Oddio anche a te piacciono i Fleetwood Mac- dai a chi non piacevano, andava sul sicuro -abbiamo davvero tante cose in comune. Che dici? Sei il fidanzato di Dakota? Ma certo, noi siamo grandi amici ed eravamo anche colleghi, dovremmo veramente approfittarne e conoscerci meglio». Un piano perfetto, no? Beh comunque era l’unico piano che aveva, non aveva alternative, non aveva piani b, non aveva neanche il coraggio di metterlo a punto quell’unico piano che era riuscito a escogitare in effetti, e infatti quando entrò nel negozio e guardò Jason dietro al bancone si bloccò e dimenticò completamente il discorso che aveva preparato davanti allo specchio. Boccheggiò un po’, tentò di parlare e accompagnò il movimento delle sue labbra anche con dei gesti vaghi delle mani, ma dalla sua bocca non uscì una sola sillaba; prese un respiro profondo e indicò con l’indice la parete alle sue spalle, non staccando però gli occhi dalla figura del Maddox «una chitarra» semplice e diretto, del suo discorso di contorno, abbellito con tanta sicurezza e sfacciataggine, neanche l’ombra, e anche quella volta gli toccava improvvisare. Accennò un sorriso più rilassato, poi si schiarì la voce con un colpo di tosse «sto cercando una chitarra, un’acustica possibilmente, mi puoi consigliare qualcosa?» ovviamente Dominic già aveva non una ma ben due chitarre acustiche, e ovviamente aveva già scelto da anni e anni quale sarebbe stata la prossima ad aggiungersi alla sua collezione, ma questo non toglieva che poteva fingersi completamente ignorante per un po’ per provare a bondare con Jason. «so che… insomma mi ricordo anche, dalla scuola, che sei molto bravo, quindi…» quindi niente, improvvisare non era il suo forte, ma i complimenti facevano piacere a tutti, li avrebbe apprezzati anche l’ex serpeverde. Si guardò un po’ intorno nel negozio e già si sentì più tranquillo – essere circondato dalla musica e dagli strumenti musicali gli faceva quell’effetto –, poi puntò con l’indice verso un poster attaccato alla parete «bello quel tour dei green day, sei molto fan?» alla fine provò a rilassarsi per davvero, come se stesse intrattenendo una normale conversazione con un amico altrettanto appassionato di musica – magari era questa la chiave che gli era mancata in quell’anno: la normalità.
| healer, former ravenclaw | | | amateur guitarist | |
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