you have a home in my kingdom

[ dark street. hogsmade ] Sehyung & Ritter

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +5    
     
    .
    Avatar

    起承轉結

    Group
    Member
    Posts
    343
    Spolliciometro
    +389

    Status
    Offline
    세형
    body and soul




    sehyung swing park // I meet the eyes I recognize how they have changed with time, I find myself surrounded by a coffin in the night
    Erano occhi chiusi quelli che nel tragitto hanno solo voluto trattenere quel buio che ha ascoltato, quello che lo ha circondato per cullarlo nella concezione che fosse realmente lì, con un cuore che batteva. Erano occhi chiusi quelli nel bisogno di sentire quella città infilarsi con forza nelle vene, le risate dei bambini che si salutavano per tornare a casa, le loro madri che gentilmente portavano una mano sulle loro spalle come supporto, le prime folate di vento notturno che accarezzava la loro pelle facendoli rabbrividire, lo scricchiolio delle porte dei negozi che si chiudevano per lasciare spazio alla vita notturna di Hogsmade, e poi c’era Park Sehyung: una schiena sempre dritta, sempre composta, sempre eretta con un filo di ferro doppio e resistente che gli impediva di peccare in pochi secondi per chinarla, ma è una costrizione che ha indossato ormai troppi anni fa, fin da quando ne ha memoria, e anche nel farsi più aspra non ha più potuto sfilarla dalle ossa per prendere un respiro tranquillo.
    Forse una parvenza di tranquillità l’aveva soltanto quando era Swing ad avere in possesso il proprio corpo, quando credeva che quelle ombre che si agitavano per mormorargli nella sera fossero soltanto paranoie come sintomo della nostalgia di casa, quando aveva ancora paura di agire per eccesso di preoccupazioni che sapeva fossero segnali d’avviso. Ed ora a Sehyung non restava poi molto oltre alla sciarpa dai colori della sua casata alzata fino alla punta del naso a soffocare caldi sospiri che altrimenti si sarebbero trasformati in condensa, all'invidia nel vedere gli altri trovare un posto in quel mondo ed andare avanti, mentre lui aveva quella consapevolezza che oltreoceano non gli restava poi molto oltre a quella sedia in legno dietro un trono che decade ogni istante di più quando è fatto di sangue versato dove il padre sedeva, ed una scelta forse nemmeno ce l’aveva.
    Aveva sperato così tanto, Swing di tornare nel proprio tempo e Sehyung di tornare a ricordare, che anche fingere di vivere una vita normale, continuare ad impersonare i panni dello studente modello (#dove #ripetente) iniziava a stargli stretto. Aveva bisogno di risposte, di capire cosa fosse quel vuoto all’altezza del petto che continuava a soffocarlo, se ci fosse qualcuno che si sentisse fuori posto come lui (no, non perché fosse kinese e la gente iniziava a lanciargli l’amuchina contro). Ecco perché il coreano si ritrovò a percorrere il cunicolo che lo avrebbe condotto nella dark street; era una scelta intelligente? Assolutamente no, ma non poteva allegramente presentarsi nell’ufficio di qualche professore e chiedergli “we, ma non è che per caso ci sono altri tizi che vogliono avere un governo non dittatoriale? Okay che attualmente al potere c’è un / coso / che mi ha riportato in vita ma…hai capito, insomma” o qualcosa del genere. Quindi sì, Sehyung stava per affidare la propria sanità mentale a dei probabili criminali magici.
    Tenendo gli occhi vigili si passò come abitudine una mano tra i capelli neri e, nonostante fosse passato del tempo da quando era riuscito a riprendere il controllo delle proprie trasformazioni, ormai c’aveva fatto l’abitudine nel vederli cambiare in base al proprio umore – tradendo l’espressione quasi sorridente dell’asiatico; quello di cui era diventato prigioniero e che mostrava immobile sempre, come se non ci fosse nulla a sconvolgere la sua esistenza, come se Swing dalla vita avesse tutto quello di cui aveva bisogno. Un pensiero egoistico, ma aveva visto persone vicine, aveva visto e collezionato fili che si sono intrecciati sotto i suoi occhi e ha avuto il premere di un presentimento che non ha saputo slacciare dai pensieri, per quello era lì che si dirigeva in quella terra di tutti e nessuno con regole precise che si scrivevano sulla pelle ( nell’università della strada ), dove mille occhi guardavano e mille orecchie ascoltavano, ma tutto restava in quella cassaforte inespugnabile.
    «Hai bisogno di qualcosa?» una voce rauca, fu quella che attirò l’attenzione del coreano.
    «In realtà, sì.» e schiuse le labbra per porgergli qualche domanda, perché parlare con il prossimo jack squartatore magico era molto più facile che rivolgersi a qualcuno di competente, ma lo stesso lo precedette «Solo per te 200 galeoni», assurdo, nemmeno per il disinfettante che uccide il 100% dei batteri Sehyung avrebbe pagato così tanto – ma poi, per cosa?
    «Se ti va bene, e ti va bene, lascia i soldi nel cassonetto dietro l’angolo e aspetta che io vada in bagno, te la lascio nella vaschetta del cesso» sembrava parecchio paranoico, e lo si poteva ben vedere dal suo continuo guardarsi intorno, frettolosamente, come se un macigno rotolante alla Indiana Jones lo stesse seguendo «Aspetta, ma che succede? Io sto solo cercando qualcuno non qualcosa » una manciata di secondi di silenzio da parte di Sehyung, diluiti in quella che sembrava essere una palese manifestazione di incapacità di intavolare una conversazione di quel genere degna di essere definita tale, fu tutto ciò che precedette quel quesito «conosci chi possa aiutarmi a rintracciare questo gruppo di persone? Soprattutto se queste persone non vogliono essere trovate?» sempre così fiducioso nel prossimo, che fosse Swing o Sehyung, lui il male e la feccia del mondo continuava comunque a trattarla con un briciolo di speranza; sfortunatamente quel sentimento non era ricambiato e doveva anche aspettarselo.
    A corto della sua pazienza l’interlocutore estrasse dalla tasca la propria bacchetta, premendola al torace del corvonero che istintivamente alzò le mani, indietreggiando fino a quando la schiena non conobbe il freddo e viscido muro «Amico, nulla di persone, ma ho davvero bisogno di quei soldi» ed ora che gli si era fatto più vicino, oltre a notare quanto stanco fosse il suo volto, Sehyung si ritrovò a sospirare nel momento in cui il respiro dell’altro sfiorò la propria pelle, comprendendo quanto avesse bevuto prima di essere lì: «Sono uno studente, non ho soldi qui con me» altre volte si era ritrovato a Bodie in situazioni simili ma, se nel far west aveva delle barbabietole da zucchero o della bigiotteria di Run da scambiare per la propria libertà, in quel caso la situazione si faceva più delicata, «ho delle api frizzole, va bene lo stesso?» se non puoi combatterli, buttala sul ridere, no? ( sperava che almeno il respawn dopo la morte funzionasse ancora, era troppo giovane, bello e stupido per morire due volte!!! ) Infatti non era paura quella che fece rimanere fermo il ventenne, alle volte è il dubbio stesso, ciò che ci induce a rimanere fermi, senza fare alcunché. Non l'essere spaventati, non il timore, bensì l'indecisione, quel continuo porre tutti gli elementi sui piatti della bilancia, nella speranza di riuscire a scorgere una soluzione, seppur lontana. Ed era strano, terribilmente strano, per qualcuno come lui che fino ad un anno prima aveva la fobia della barba di un campagnolo, ed ora eccolo a prendersi tutto il tempo per decidere quello che era meglio fare - in bilico in una situazione che lo aveva comunque preso per il collo: «Forse il mio amico dietro di te vuole comprare.»




    20 yo
    korean
    unofficial rebel
    ravenclaw
    party like jesus
    sheet
    pensieve
    aesthetic
    headphones
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco


    Edited by cerbérus - 8/3/2020, 12:50
     
    .
  2.     +5    
     
    .
    Avatar

    mama raised
    a hellrazor

    Group
    Special Wizard
    Posts
    147
    Spolliciometro
    +142

    Status
    Offline
    sheet
    pensieve
    playlist
    aes
    ritter


    scully

    Girò le chiavi nella fessura, lo sguardo fisso sul manubrio della macchina; attese che il grugnito del motore cessasse prima di voltarsi in direzione del sedile alla sua sinistra, quindi afferrò il pezzo di carta stropicciata su cui, in inchiostro blu, erano stati appuntati i dettagli. E fu allora, rileggendo linee pregne di calligrafia illeggibile e inutili tabelle di marcia, che si concesse finalmente d’imprecare.
    Aveva fatto tante cazzate, Ritter Scully – e se farsi trascinare in un universo alternativo e poi nel futuro poteva essere solo considerato come il suo magnum opus, sicuro accettare simili incarichi non rientrava necessariamente nella teca delle scelte intelligenti. Avrebbe voluto cercare rassicurazione nel fatto che, in tempi migliori, certe cose non se le sarebbe filate, ma spezzare colli a diciotto anni tendeva a renderti un minimo cretino e (di conseguenza) facilmente raggirabile. Sospirò, sistemando la maschera in tessuto su bocca e naso – eh beh, il Coronavirus: safety first –, dunque ripiegò il foglio con mani guantate per poterlo infilare nella giacca. Quest’ultima meno catastrofica di quant’era solitamente, almeno: piccole toppe erano state sistemate nella foderatura interna durante il suo soggiorno in Francia, e la pelle logorata era stata lavata dal sangue residuo che ora segnava chiazze appena visibili ai bordi e sui fianchi, nei punti in cui la giacca era del tutto strappata (s’era rifiutato categoricamente di accettare qualsivoglia ricucitura: era importante, che rimanessero visibili). Il genere di cosa che non si era potuto permettere nel periodo di vagabondaggio che aveva seguito la sua dipartita dalla Corea: non facile, scassinare case per dormire in posti decenti durante le notti invernali e prendersi cura di sé al contempo.
    Aveva un target, in ogni caso, e neanche un minuto da perdere. Sorprendentemente difficile da rintracciare, Abel Stevenson: natobabbano, famiglia di classe media. Mantenuto dai genitori in un edificio appena fuori Londra fino alla loro morte – abusivo nel medesimo edificio da allora. Tra i venti e i venticinque anni. Nessun affetto, o almeno nulla che contasse veramente: l’unica persona che era riuscito a ricollegare a lui era la stessa che l’aveva ingaggiato per farlo fuori. Nessun profilo di social media, il che era strano: criminaletti da quattro soldi di quel genere tendevano a mostrare i frutti del lavoro come medaglie. Un lupo solitario appena scioltosi dal branco, e si vedeva: consigliato bene, probabilmente, perché girava con dispositivi usa e getta. Un peccato (per Stevenson, sottinteso; per quanto riguardava Ritter: prima finiva, meglio era) che fosse prevedibile – il genere di colpo che, se solo quella città non gli fosse risultata ancora così oscura, avrebbe portato a segno nel giro di 24 ore. Dove vuoi che sbrighi gli affari un ragazzino senza territorio o allineamento, dopotutto?
    Non sembravano esserci potenziali testimoni nei paraggi, ma l’abitudine voleva che il passo rimanesse leggero, la postura rilassata. Un dettame del suo mestiere, quello di rimanere sempre nell’ombra – figurativamente o, nel caso dello Scully, letteralmente. Si affiancò alla parete fredda del vicoletto, iridi scure a vagare ovunque senza mai soffermarsi su qualcosa in particolare; prese in mano il telefono e passò il pollice sullo schermo spaccato, dunque, digitando messaggi che mai avrebbe inviato per fare qualcosa. Un bene, probabilmente, che il bisogno di rimanere introvabile lo obbligasse a comprare modelli di cellulare del 2005, vista la frequenza con cui li frantumava. Era questione di tempo, comunque: una paga inaccettabile, quella che si stava per prendere, ma quantomeno il suo stesso obiettivo gli stava rendendo il lavoro più semplice obbligandolo a presentarsi in uno dei punti meno frequentati di Hogsmeade – non poteva veramente lamentarsi.
    Passò la lingua sull’arcata superiore, combattendo l’istinto d’alzare la testa nel sentire passi riecheggiare per il vicolo, finché: «conosci chi possa aiutarmi a rintracciare questo gruppo di persone?» e aggrottò la fronte, Ritter, perché che cazzo stava succedendo. «Soprattutto se queste persone non vogliono essere trovate?» distante, eppure cristallino; piegò la schiena in avanti, girando il collo in direzione della voce. Così familiare – ma non poteva essere.
    In un luogo simile? Doveva essere una qualche tipo d’abilità, un incantesimo di diversione. Serrò la mandibola, spostando nuovamente gli occhi sul punto buio di fronte a sé – non poteva. Non c’era motivo– «Sono uno studente, non ho soldi qui con me» premette il palmo contro la parete e si sollevò da essa, il busto a roteare con una rapidità tale da rischiare di svitarsi dal resto del corpo.
    Non aveva assolutamente senso. Arricciò le labbra, passi silenziosi a guidarlo fino alla fonte del rumore; lasciò che i primi filamenti di materia oscura si arrampicassero sulle dita, risalendo per il braccio come venuzze. Non che avesse un piano in mente, sia mai: istintivo come una bestia, Ritter, nonché forte sostenitore dell’affrontare i problemi di petto –e, anche qui, nella maniera più letterale possibile: il tempo di svoltare l’angolo, iridi a saettare da un lato all’altro della strada, che «Forse il mio amico dietro di te vuole comprare.»
    E menomale che aveva imparato a celare il panico, perché quella era il genere di situazione di merda da cui non se ne usciva bene. Sollevò il palmo senza permettersi di ragionare, le attenzioni ora puntate esclusivamente sullo sconosciuto, e i rami pece a solidificarsi in piccoli pugnali – muscle memory, e per quanto l’idea di mostrare un simile spettacolo non lo aggradasse era senza dubbio migliore di qualunque cosa avesse in serbo l’altro per Sehyung. Non attese nemmeno di udire il tonfo del corpo sgozzato, veloce veloce veloce nel prendere l’infelice testimone per le spalle, poi chiudere i palmi attorno al polso e strattonarlo via dalla scena, incurante del frastuono provocato e deciso ad allontanarsi il più possibile dalle strade principali prima di lasciarlo andare. Quindi «cosa cazzo pensavi di fare.» un basso ringhio, sguardo infuriato a incontrare quello di Park Sehyung per la prima volta in mesi. E fu allora, che si ricordò – braccio destro a premere contro il collo del minore, e lo spinse fino a fargli colpire la schiena contro il muro. «provami che sei tu.» sottinteso: o ti faccio fuori.
    If spring can take the snow away
    Can it melt away all of our mistakes?
    coldest winter
    kanye west
    808s & heartbreak
     
    .
  3.      
     
    .
    Avatar

    起承轉結

    Group
    Member
    Posts
    343
    Spolliciometro
    +389

    Status
    Offline
    세형
    body and soul




    sehyung swing park // I meet the eyes I recognize how they have changed with time, I find myself surrounded by a coffin in the night
    Era stato, Sehyung.
    Dimenticato, abbandonato, recluso, eppure ancora lì, immobile in un angolo oscuro della sua mente, rannicchiato e stretto fra le sue ginocchia, ad osservare passivamente quello che Swing aveva davanti. Fantasma di un tempo che sarebbe potuto essere, ma che gli era stato strappato con violenza quando ancora la giovinezza più pura gli colorava le gote da bambino, quando ancora pensava di giocare a fare il soldatino, l’eroe. Ma non aveva mai avuto scampo, continuava a ripetersi in quei giorni. Quella semplice constatazione appesantiva ogni respiro del coreano, incupiva ogni istante passato in cui aveva creduto di essere superiore, un leader il cui fine avrebbe giustificato i mezzi, più grande dell'uomo che aveva trucidato la sua infanzia e ogni possibile felicità.
    Aveva pensato di aver perso tutto, Sehyung. Aveva creduto di non avere più niente da concedergli. Aveva preso la sua infanzia, aveva preso la sua vera famiglia e la sua mente, che altro avrebbe potuto reclamare? Aveva sbagliato e lo aveva imparato a caro prezzo. Il dominio di Namseok non aveva limiti, e si spingeva violento in ogni parte di coloro che rientravano nelle sue possessioni. Non era altro, lui. Una proprietà su cui aveva aspramente reclamato diritto. Proprio il giovane Sehyung che aveva creduto di essere invincibile, di aver raggiunto la forza e la capacità di liberarsi di quel parassita, alla fine, ne era stato vittima.
    Strinse gli occhi, Sehyung, nel momento in cui quell’ombra fece il suo ingresso in quel palcoscenico; non perché avesse paura, quanto più perché conosceva la fine che il terzo incomodo avrebbe fatto nel giro di qualche attimo. Ecco, quella era una cosa che difficilmente il coreano aveva dimenticato nei panni di Swing: la sensazione del sangue caldo, che fosse il proprio o di qualsiasi altra persona coinvolta, sul volto, quello sulle dita a colargli in modo ritmico come lente goccioline sul pavimento, che precedevano quel senso di estraniamento, a chiedersi a chi appartenesse. Ecco perché il corvonero non fiatò, trattenendo ogni respiro sotto la punta della lingua, quando la testa di quell’uomo rotolò appena poco lontano dai propri piedi, e quelle mani ancora insanguinate a trascinarlo via – eppure, paradossalmente, fu proprio la voce di quel ragazzo a sbatterlo di nuovo nella realtà. E al muro.
    «cosa cazzo pensavi di fare.» «hyung...» ora, se fosse stata una situazione diversa, magari indietro con gli anni, il Park avrebbe pronunciato quella semplice parola con il viso paonazzo, magari balbettando un po’ e con lo sguardo a fissare il vuoto – ma ora? Il coreano pronunciò quell’onorificenza con tono malinconico, e con le iridi a cercare quelle color notte di Mudeom, mentre una mano venne alzata per essere avvicinata al suo volto; non lo toccò, sapeva che nel farlo si sarebbe beccato la terza morte nel giro di un paio di anni, «vi stavo cercando! Pensavo di essere nel posto giusto, magari pagando un po’ avrei trovato dei segugi in grado di -» «provami che sei tu.» okay, rude, si salutano così gli amici ritornati dall’oltretomba? Non bastava il risorgere come prova della propria validità?
    «Credi che tutto finisca, prima o poi?» era stato lui a dirlo anni prima, no? Era un pensiero nato nella sua mente? Non lo sapeva. Non ora che ogni ricordo e pensiero aveva perso la sua voce, mutando in una più cupa, più roca, mescolandosi in quella mente più fragile che mai. Eppure, più che mai, una cosa era chiara: più di altre quelle parole gli erano rimaste impresse come fuoco nella mente, un faro a fare da guida in quel buio, fuochi fatui a guidarlo lungo il proprio destino insieme ai nomi dei suoi amici, e ai loro volti. «Me lo hai chiesto anche tu prima di andare via, quella sera -» pronunciò forse in modo troppo pacato, Sehyung, forse perché fu solamente in quel momento perché Mudeom lo avesse lasciato lì, senza aggiungere altro. «sei riuscito a trovare quello che cercavi? Una risposta, magari?» e quella mano che era rimasta sospesa a mezz’aria, a pochi centimetri dalla sua guancia, venne alla fine portata sul suo capo così da potergli scompigliare le ciocche rese paglia dai numerosi cambi di stile fatti negli anni; e quello che lo rattristò maggiormente non fu la perdita di quel verde menta, ma di quel profumo di muschio e sigarette, sostituito da quello di notte e solitudine. «Se ancora non mi credi... va bene, lo accetto. Ma lascia almeno che ti dica che mi dispiace.» per cosa? Per tutto. Per averti fatto uscire da quella porta. Per non averti seguito. Per avervi abbandonato, tutti. Per essermi dimenticato di voi. Per essere morto. Per aver fallito. Per avervi deluso. Per non essere quello che meritate.


    20 yo
    korean
    unofficial rebel
    ravenclaw
    party like jesus
    sheet
    pensieve
    aesthetic
    headphones
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
     
    .
2 replies since 8/3/2020, 01:38   226 views
  Share  
.
Top