[evento] in loving memory

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    «VIIII/III/IIIIIIN» Gwendolyn Markley, quasi ventun anni di droga e letture di foglie del tè, si sentiva una totale idiota: nel corso dei due anni in cui lei e arci si erano presi cura del bambino ne aveva affrontate tante, di difficoltà da genitore, ma mai aveva avvertito su di se la propria impotenza come in quel momento. Toothy era lì a guardarla, lo sguardo un po' (tanto) confuso in attesa di un qualcosa, una soluzione che la Markley non era in grado di dargli: non era mai successo prima, e il ragazzino era sorpreso da quella situazione quasi quando lei. Gwen non riusciva però a capire se fosse offeso o meno: nel dubbio, lei lo era abbastanza per entrambi. «BUUU/UUUCKYYY» Ma dov'erano nel momento del bisogno????? Perchè non rispondevano???? Erano forse troppo impegnate a prepararsi per darle retta?? OH DAI, ANCHE LEI DOVEVA VESTIRSI PER IL PROM! E naturalmente non poteva quando AVEVA UN RAGAZZINO DA DOVER PREPARARE ALL'EVENTO!!! Un po' stava iniziando a pentirsi dell'essersi presa quella responsabilità con Arci, perchè «Ma sì dai viene a prepararsi da me! Ho tutto sotto controllo» #spoiler: non era tutto sotto controllo.
    Per prima cosa, aveva le mani talmente piene di lacca e cera per capelli da esser piuttosto sicura di potersi arrampicare sui muri stile spiderman senza correr il minimo rischio di cadere a terra e spaccarsi tutte le vertebre: non esisteva mica un manuale d'istruzioni su come domare i ricci di un undicenne che, nel corso della loro vita, erano stati lavati più volte con il fango e l'acqua piovana piuttosto che con un vero shampoo. Il risultato sulla chioma del ragazzino alla fine non era riuscito male come aveva immaginato, ma dopo quella prima battaglia ne era arrivata una seconda ancora più complessa: la cravatta. Ci aveva provato in tutti i modi, affidandosi persino ai tutorial su youtube ma senza successo: non faceva proprio per lei. La conclusione alla quale era arrivata era stata che, nel corso degli anni, l'unica cosa che aveva fatto era stato slegarne, di nodi - di tutte le divise di ragazzi e ragazze che si era fatta nel corso degli anni ad hogwarts? ovviamente sì - e mai il contrario: mica rimaneva fino alla mattina dopo, una come Gwendolyn.
    Dopo esattamente venti (20) minuti di lotta, alla fine era stata costretta ad ammettere la sua sconfitta «pensavo di aver imparato qualcosa dal bondage» le delusioni della vita «cos'è il bondage?» Ah, a volte si dimenticava che certi argomenti avessero determinate fasce d'età, e che nonostante l'aver vissuto con i Simmons, Toothy fosse comunque cresciuto nel far west: non aveva avuto a disposizione una connessione internet per crescer prima del tempo. «richiedimelo tra qualche anno» era pur sempre una madre - cool, ma sempre madre: ci teneva all'innocenza del suo bambino. «o chiedilo a vin» più o meno. Senza nemmeno specificare il quando: non aveva mica le responsabilità materne, lei!!& Poteva essere la zia super cool che gli raccontava tanti fun fact sulla vita. E proprio in quel momento, la bionda finalmente fece capolino nella stanza.
    Forse non c'era nemmeno il bisogno di specificare, vista la disperazione dipinta sul volto della Markley e la cravatta attorcigliata un po' attorno al suo pugno, un po' attorno al collo del ragazzino: se fosse entrato uno sconosciuto, probabilmente avrebbe pensato che Gwen stava tentando di ucciderlo «...lo sai fare il nodo alla cravatta» non era nemmeno una domanda, la sua: andava a fiducia. E, nel dubbio, si sarebbe accontentata di qualunque tipo di nodo, anche il più brutto dell'universo: arrivata a quel punto, le bastava solo che fosse qualcosa. Non fece nemmeno troppo caso all'abbigliamento della ragazza - era sicuramente una moda del futuro, no? che ne voleva sapere una come lei, che le passerelle di moda non le vedeva nemmeno dalle pagine dei magazine - prima di lanciarle la cravatta e lasciarsi cadere a peso morto sul letto alle sue spalle. Si sarebbe messa la prima cosa ripescata dall'armadio, dove le trovava le forze per tirar fuori un vestito decente?? Che fosse pulito era già tanto.
    C'era solo una cosa, però, sulla quale non se la sentiva di lasciar perdere: i capelli. E quindi «me li fai du boccoletti?» che magari era fortunata e di là in bagno avevano lasciato il ferro acceso.

    «ma» in-che-senso.gif
    Se non avesse perso tutto il pomeriggio dietro a Toothy e i venti minuti prima di entrare al ballo a rassicurarlo invece che reperire droga in giro, probabilmente avrebbe dato la colpa agli effetti degli stupefacenti ed al suo cervello che iniziava a darle segnali di cedimento: aveva passato anni a fumare barbabietole, si stava ancora riabituando al ritorno delle sostanze classiche. Ma prima di mettere piede ad Hogwarts era stata con il ragazzino a fargli un rassicurante discorso da brava madre -
    «...e se mi prendono in giro?»
    «tu chiamami ed arrivo io a far ragionare quei figli di - »
    «..buona donna»
    «...puttana, bucky. Vai trà che non rischi più di venir bruciata viva per eresia, possiamo tornare a parlare normalmente!!&»
    - così da non aver avuto tempo per farsi prima di entrare.
    Magari qualcuno le aveva versato qualcosa nel bicchiere? Però non aveva un bicchiere in mano, che strano. iniziò a lanciare occhiate confuse intorno a sè, tornando poi sempre a ripuntare gli occhi sul palco. Erano proprio loro ?? Non c'era stato momento in cui non avesse sognato quell'esatto istante ma mai aveva pensato sarebbe diventato realtà.
    E, nonostante la gioia e la voglia di correre ad abbracciarli tutti quanti, c'era un qualcosa a trattenerla immobile sul posto, paralizzata ed incapace di muovere un dito: la paura che fosse tutto un'illusione. Aveva pianto troppe lacrime per quelle perdite, Gwendolyn Markley: non era pronta a illudersi di riaverli indietro per poi perderli un attimo dopo ed esser investita di nuovo da tutto quel dolore.
    Poi però ecco i primi a lanciarsi verso il palco.
    I primi abbracci, le prime domande personali a cui solo loro avrebbero saputo rispondere.
    E Gwen aveva iniziato a sentir di nuovo le proprie gambe, e il desiderio di stringerli tra le proprie braccia per constatare sulla propria pelle il fatto che fossero lì, vivi e vegeti.
    Spostò lo sguardo su Erin e Barry, Gwendolyn.
    Erano la sua missione, e pensava di averli persi per sempre.
    Di aver fallito, senza alcuna possibilità di rimedio.
    «Siete..» una rapida occhiata a Scott ed alle gemelle, un'altra ai due Barrows: l'avrebbero perdonata per un'uscita simile dai «...DAVVERO I MIEI CUGINETTI PREFERITI VI AMO SAPEVO CHE SARESTE TORNATI» O beh - non tryhard - non era mica da tutti tornare dal regno dei morti. «GRAZIE SATANA SAPEVO CHE AVRESTI ACCOLTO LE MIE PREGHIERE.» Che dire? Il buon vecchio Lucy non ne sbagliava mai una.

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    Con un ultimo tocco sistemò il cravattino rosso sul lungo collo peloso, le dita che scorrevano leggere sulla stoffa rigida e luminosa.
    L’uomo fece qualche passo indietro, studiando così la sua creazione, il volto leggermente inclinato alla ricerca di qualcosa che non fosse assolutamente perfetto. Si chinò in avanti, passando una mano sulla testa piccola, provando a dar forma a un’acconciatura che non ne voleva sapere di restar ferma. Sbuffò esasperato, alzando le braccia al cielo, un mezzo sorriso a increspargli il volto prima di distogliere lo sguardo da quelle iridi pece che sembrava lo stessero giudicando più di quanto non avrebbero dovuto. Forse era solo una sua impressione, forse cercava in quegli occhi tutto quello che non riusciva a dirsi o, semplicemente, tutto quello che aveva bisogno di sentirsi dire.
    “Non ricominciare.” Ammonì il suo accompagnatore mentre infilava la bacchetta nella fodera all’interno della giacca e la fiaschetta di rum invecchiato nell’altra. “Sto bene, davvero.” Per quanto potesse esserlo un Alister Black a due settimane dalla luna piena e con la nuova consapevolezza di non essere l’unico e il solo in questo universo. Almeno poteva gioire del fatto avesse entrambe le braccia e che non era suo l’arto che qualcuno aveva deciso di tranciare di netto dal suo corpo. Fortunatamente quel qualcuno era anche morto.
    Fissò per un attimo la mano sinistra, stringendola in un pugno da rilasciare il secondo successivo, quasi ad assicurarsi fosse lì, che non avesse perso altro quel primo giugno. Una tirocinante, certo, ma erano morti talmente tanti suoi colleghi quel giorno che la ragazzina era diventata un numero, una cifra, una tra le tante persone sostituibili nella sua vita. Morta una scopamica se ne fa un’altra, non era questo il detto?
    Che Alister fosse uno stronzo era noto a tutti. Era un opportunista senza un briciolo di cuore, perché averlo di pietra presupponeva comunque la presenza di un organo che aveva smesso di pulsare anni prima – e che verosimilmente non lo aveva mai fatto -, quindi era facile che nessuno indagasse oltre, che cercasse qualcosa di diverso in quelle iridi glaciali, che provasse a dare un significato ai frammenti di quel bicchiere che si era andato a infrangere contro il muro quando erano stati pubblicati i nomi delle vittime di Hogwarts, che desse un senso alla macchia scura sul tappeto lì dove il Daniels aveva rischiato di vedersi saltare in aria la testa quando era entrato nel suo ufficio la prima volta in quei giorni di caos, rischiando di calpestare quella zona, quasi quel whiskey stesse ancora aspettando di essere bevuto.
    Si passò il palmo sul viso, un sospiro un po’ troppo intenso a sfuggirgli dalle labbra. “Non è come sembra. Fidati. Sono solo ancora troppo sobrio.”

    Fece il suo ingresso trionfale in ciò che restava del Castello con quello che, a tutti gli effetti, era il suo migliore amico. Chi aveva detto che Carlo non potesse essere l’accompagnatore perfetto per quell’evento? Ad Abbadon piaceva il country, uno struzzo alla sua fantasmagalattica-ultra sentita- iper voluta-mirabolante festa non poteva essere altro se non quel tocco di classe in più per farlo sentire ancora più apprezzato in quel mondo in bilico, ancora troppo scosso per poter accettare un cambiamento così radicale come quello che aveva portato il nuovo arrivato.
    Gli Special al pari dei maghi. Per Merlino, a sua nonna era quasi venuto un infarto. Vivere in armonia tutti insieme? Nessuna differenza? W o w. Era proprio un sognatore, di quelli rinchiusi per anni in una cripta e che non aveva assolutamente idea di come andasse il mondo.
    Eppure… eppure i lupi restavano emarginati e gli Special fenomeni da baraccone.
    “Avrei dovuto cavalcarti quando ne ho avuto l’occasione, sai? Dopo questa entrata ad effetto, dubito qualcuno possa ancora stupirsi di qualcosa.”
    Fu tutto quello che riuscì a dire, o credeva di aver detto, dopo l’entrata in scena del nuovo salvatore o, per meglio dire, del nuovo culo da leccare se avessero voluto tener salva la pelliccia. Perché, in fondo, era così: non si lasciava mai nulla al caso e se Vasilov era morto per mano di quell’uomo, o di quell’essere, qualcosa sicuramente ribolliva in quel calderone che era la loro vita.
    Alister doveva solo ricordarsi di sorridere e di evitare che il suo amato amico struzzo diventasse fesa di tacchino, battendo le mani e adulando quel Fondatore ormai ritornato dall’oblio.
    Era tutto facile, tutto così facile che per un attimo restò immobilizzato sul posto, il sangue raggelato nelle vene e sul viso una micro espressione sorpresa.
    Gli ci volle qualche secondo prima di carburare nuovamente il sistema, complice la beccata sul braccio che Carlo gli aveva appena regalato.
    Scosse piano la testa, lo sguardo affilato rivolto verso il palco, prima di tornare ad applaudire con l’espressione plastica in volto il loro nuovo padrone.

    Non si avvicinò subito al palco, non ne aveva alcun motivo. Si versò da bere e iniziò a sorseggiare piano il contenuto del bicchiere, la mano istintivamente sotto la giacca, lì dove sarebbe stato più facile difendersi qualora la situazione fosse precipitata, qualora tutto quello fosse stato il principio di una nuova guerra.
    Lo stupore generale, la gioia e l’isteria collettiva non lo toccavano. Era lì, fermo, impassibile alle emozioni e ai sentimenti altrui, le iridi di ghiaccio inchiodate su quella chioma fin troppo bionda e fin troppo familiare.
    Si avvicinò piano, lentamente, svettando tra la folla col suo metro e novanta d’altezza, quasi in grado di guardare la Serpeverde dritto negli occhi.
    “L’inferno era un posto troppo noioso?” domandò con un sorriso pigro sulle labbra, un modo carino come un altro per non dire che l’erba cattiva non muore mai, che era segretamente contento e sorpreso di rivederla, che quel bicchiere infranto sul pavimento poteva tornare finalmente ad essere integro. Tese la mano in avanti, non sapendo cosa aspettarsi, né sperando che l’altra la stringesse tra le sue, benché meno che accettasse quel silenzioso invito a ballare con lui qualora fosse partita la musica.
    Non si aspettava nulla, neanche fosse viva.
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    Edited by b l a c k w o l f - 1/8/2019, 10:49
     
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    «no vabbèh» se ci fosse stato silenzio nella sala (e fosse stata una tragedia teatrale, ci sarebbe stato; che palle la vita, con i suoi imprevisti e la gente che fa un po' quel che gli pare invece che seguire un copione), tutti avrebbero potuto sentire il fischio ammirato della Fitzgerald. «assurdo. questo trucchetto voglio impararlo anche io» dai, Abbadon aveva fatto tornare dal regno dei morti (anzi, dal nulla, visto che erano scomparsi anche i loro fantasmi) una ventina di persone?? Siam venuti fin qua siam venuti fin qua per vedere abbadon i morti resuscitaaaarrr.
    Davvero magichissimo, Fitz non conosceva nessun medium che potesse fare una cosa del genere! Mr. Henderson non glielo aveva mica detto che allenandosi sarebbe potuta riuscire a far tornare una persona fatta e finita, altro che inferi (per quanto carini e coccolosi nel loro perdere pelle putrefatta). Si voltò a cercare il professore nella sala (ancora accanto al bro di Jane/Gabriel; che otp), ma dal suo viso shokkato pareva che neanche lui sapesse di quel particolare dono dello special.
    Mentre gli altri venivano obbligati ad applaudire, Nikita iniziò da sola a battere allegramente le mani entusiasta. «grande entrata in scena! Much effetti speciali! Very bello!» OH diamo ad Abbadon quel che è di Abbadon!! Era stato majestic nel suo arrivo, poetic country (per quanto la fitzgerald non fosse una grande fan del genere)
    «SELFIE CON IL MORTO»
    «!!! ANCH'IO ANCH'IO ANCHI'IO ANCH'IO !!!!»
    Se quindi mentre la gente gridava, piangeva, puntava armi, lei si strinse di più a Gabe per farsi fare foto con tutti i suoi idoli redivivi? Sì certo. Tanto non erano ormai tutti felici per la lieta novella del ritorno dal regno dei morti di quegli sbandatelli? Narah le aveva chiesto di contenersi con l'esuberanza, visto che praticamente tutti gli invitati sarebbero stati a lutto («ma la morte è normale, fa parte del ciclo della vita» «Sì ma- capisci che stanno male?» «ma i morti non soffrono» «I vivi però sì, e sentono la loro mancanza» «io sento la mancanza del wifi ma tutti continuano a ricordarmi comunque che non prende a hogwarts ????» «Fiiiitz») MA ORA NON C'ERANO PIU PERSONE TRISTI !!! POTEVA ESSERE FELICE E FARSI UN PO' DI FOTO !!!! Aveva un bellissimo vestito per il prom, per una dannatissima volta gli special - o i minorenni - non erano ghettizzati, e lei voleva fare un po' di baldoria. Approfittando del disordine generale e del fatto che fossero tutti così confusi e sospettosi si fece avanti, placcando i defunti di giugno. «Jess!! Jess!!!! Foto!!! Qui!!!» voleva completare il suo album panini "morti non morti e dove trovarli" !! Aveva già la figurina di jess e di nathan (i finti fantasmi più kool della scuola) (sì li aveva sgamati subito come falsi fantasmi, ma era bello fingere di credere alle loro storie; la verità era sopravvalutata) ma ora serviva rifarla visto che era RI morta e RI tornata.
    Ancora appiovrata a Jane (e trascinandosi dietro Nah), si prodigò in un sorriso a trentadue denti verso- qualcuno. Conosceva solo un paio di persone dei morti, e francamente non così bene. Quei due gemelli bruni, ad esempio, c'erano sempre stati a hogwarts????? mai visti prima. «BENTORNATI! Se vi serve qualsiasi cosa, un aggiornamento, un depliant su cosa fare una volta resuscitati, una consulenza per parlare con i vostri amici fantasmi rimasti nel mondo dei morti, non esitate a contattarmi alla Fitz & S.P.A. - Specials and Phantoms Amiki4ever!!»
    tutto ciò non ha senso? No. Ma se qualche morto si sente solo e vuole qualcuno con cui parlare, ve la butto lì. E POI NON DITE CHE FITZ NON FOSSE ALTRUISTA!
    1st july '19
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    Le priorità sono chiare: 74 litri di rum. Ecco cosa ci sarebbe voluto a Darden per superare ciò che i suoi occhi mortali avevano visto, o meglio, quello a cui le sue orecchie erano state sottoposte. L’unico motivo per cui sopportava ancora Old town road era perché gay rights, il solo richiamo del far west e dei cavalli era abbastanza per farla discendere in una spirale di ricordi che avrebbe preferito non esplorare mai più; era facile fingere di non essere stata esiliata per due anni nel 1918 finché il mondo glielo permetteva. Darden non aveva lasciato ai suoi pensieri di vagare a qual primo giugno nell’ultimo mese, dal sangue che aveva macchiato la pietra alla liberazione di Abbadon, e se fosse dipeso da lei avrebbe continuato lungo quella strada. Aveva vissuto quasi tutta la sua vita ignorando parti fondamentali di se stessa (tipo che fosse GHEY), un breve viaggio nell’area 51 non era nulla in confronto. Che poi, che figlio della mignotta Lancaster, perché gli altri erano andati nel futuro e loro in quel buco di merda di Bodie? Avrebbe potuto, che so, farsi impiantare un braccio meccanico e uccidere tutti e invece si era ritrovata ad ubriacarsi col distillato di barbabietola, ovviamente non poteva mai avere una gioia nella vita.
    E il cane
    E il far west
    E i fratelli morti
    E corri lì e vai al funerale
    E Darden fai questo, e Darden fai quest’altro
    E Darden moriamo
    Bellissimo.
    Fino a quel momento il meglio che aveva raggiunto era stato fingere di non essere lì, scrutando con sospetto chiunque osasse avvicinarsi a più di un metro da lei, distogliendo lo sguardo dal Monumento ogni qual volta che il suo sguardo scivolava verso la pietra nera. Non poteva far finta che non facesse male, che sebbene ogni guerra avesse un prezzo, il sangue dei suoi amici non ne valeva la pena. Sapete cos’altro era brava ad evitare? Jericho. Aveva quasi sperato che il suo ribrezzo per i prom la convincesse a rimanere a casa, ma da quello che vedeva il fato non aveva graziato la Larson. Ovviamente, perché avrebbe dovuto essere graziata anche da quella reunion – come se non le fosse bastata quella di un mese prima, anche se non sappiamo come sia andata in realtà Elisa sta solo dicendo cose a caso. «anche io, non mi sono mancati» la ragazza inclinò il bicchiere verso un gruppo di ragazzini, accostandosi a un tipo che aveva l’aria di voler morire quanto lei.

    Hades amava le sue viziatine, anche se certe volte potevano essere opprimenti, non riusciva a mettere un piede dopo l’altro senza che qualcuno lo fermasse per un autografo sulle tette. Non che ci lamentasse, aveva visto delle gran belle tette nell’ultima settimana. Quando era partito per l’Africa insieme a Soho non pensava che avrebbe accumulato così tante groupies, e solo perché i suoi versi erano andati virali? Amava internet e tutti i cazzoni come lui che faceva diventare famosi. «ti sei fatta un tatuaggio leopardato solo per me?» Dio, qui si stava raggiungendo i livelli di Elettra Lambo. Sempre meglio del tatuaggio per Francesco e Giulia, supponeva. Il De la Cruz si sforzò a curvare le labbra in un sorriso cortese, portando il pennarello sulla pelle della ragazza – almeno quella volta non si trattava del seno, sarebbe stato spiacevole a una festa del genere. Non ci si poteva assentare un anno che i tuoi amici ti dimenticavano e ti sostituivano con copie meno fighe e gli altri morivano. Un fair price per averlo buttato del dimenticatoio, quello era sicuro. E sì, sapeva di non potersi aspettare niente dopo aver mollato tutto per seguire Soho, ma il suo orgoglio era ancora troppo ferito per potersene rendere conto. «certo, quella canzone mi ha ispirato un kasino!» ma quale, quella dove comparava la vita a pallone sgonfio? Lungi da lui giudicare le scelte di vita della ragazza, quindi si limitò a una pacca sulla spalla e a un cenno del capo per scusarsi da quella conversazione, nella speranza di trovare un luogo più respirabile. Gli era difficile accettare che quella fosse la sua vita, che la festa davanti a lui apparteneva a un passato che era stato felice di aver lasciato indietro fino a che non aveva intravisto il viso di Nicky tra gli altri mille, eppure aveva preso una decisione quando si era trasferito: tutto per le sue viziatine. Ormai il personaggio era diventato Hades e viceversa, i confini si erano fatti così confusi che alla fine aveva finito col perdersi su un cammino di cui non conosceva la strada per tornare e l’aveva accettato; ecco perché sembrava uscito più da un after party ad Ibiza che un ragazzo vestito a modo per l’occasione, di certo non poteva dire di passare inosservato con la sua camicia leopardata e gli stivaletti glitterati. Almeno gli occhiali da sole perennemente sul naso gli permettevano di nascondersi dal mondo, non credeva di voler avere a che fare con le occhiatacce di quel mondo ristretto. Stupidi gen z, li odiava tutti. «anche io, non mi sono mancati» «cosa?» vi prego, non ditegli che la ragazza che si era avvicinata a lui era una sua fan – non poteva spogliarsi di nuovo. «l’hai detto ad alta voce, che odi tutti» ah, merda. Perché non si cuciva la bocca ogni tanto? Sarebbe stato utile alla sua sopravvivenza. Hades si arrischiò a rubare un’occhiata alla sconosciuta, da quello che vedeva non era il tipo che aveva ragione di odiare il mondo, ma che ne sapeva lui? Chissà se era il momento giusto per scappare e andare a salutare i tanti piccoli Gesù che erano usciti dalla scatola, magari anche farsi un selfie memorabile. No, pessima idea, avrebbe significato attirare l’attenzione dei losers ossia l’ultima cosa che voleva. Così, per tentare di scollarsi la ragazza, utilizzò la sua famosa (no) tattica di distrazione «UAAAAUUU KI SI SPOSA??» urletto da bambina isterica e mani appiccicate alle guance, ed ecco la sua migliore imitazione di Lito Rodriguez.

    Perché
    Stava
    Urlando
    Eh, ma se non lo strangolava lì davanti a tutti.
    C’era un motivo se si era andata a nascondere in uno dei tavoli più lontani dal centro della scena, e quello stronzo faceva saltare la sua copertura così? Doveva smettere di pensare ai mille modi per finire la sua vita e agire - in fretta. Valutò brevemente l’idea di tuffarsi nel punch e affogare, ma temeva che non sarebbe stato di grande aiuto, ma non ne ebbe il tempo dato che lo sguardo di Jericho fu attirato nella loro direzione. Non che le importasse, Darden se la stava giocando molto cool con il suo drink in mano, riuscendo quasi nel parere unbothered «non pensavo che questo fosse il tuo ambiente» forse perché non lo era affatto, non per niente erano diventate amiche odiando quel genere di ambiente «anche se in questo anno potrei essermi persa qualcosa» si strinse nella spalle, piegando le labbra in un sorriso pigro, una frase lanciata lì tanto per fare conversazione. Darden non era partita a indagare, ma figurarsi, non ne aveva bisogno.
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    «ricordami perchè siamo qui..?» un po' iniziava a pentirsi, di esserselo portata dietro come accompagnatore «perchè è un evento importante per la comunità magica britannica?» che, in parte, era la verità «ma sei americana» meh, evidentemente aveva meno cervello di quanto avesse immaginato.
    Quando aveva saputo che l'invito al prom di fine anno ad Hogwarts era stato aperto a tutti, e non soltanto agli studenti, Penn aveva accolto l'idea con entusiasmo: aveva sempre sognato di partecipare al ballo, ma nel corso dei suoi anni da studentessa era stata troppo impegnata tra sfilate e shooting per poter prendersi del tempo per sè al di fuori dei giorni a settimana che ritagliava per la scuola e lo studio ed andarci. Aveva indossato tanti, troppi, abiti da cerimonia, per red carpet o cene di gala, ma non aveva mai sentito nessuno di essi come proprio: per una volta soltanto, avrebbe desiderato essere una ragazza normale e poter vivere una sera lontana dalle telecamere e senza dover avvertire il suo cognome quasi come un peso. Per quello amava tanto il mondo magico, più che quello babbano: si era sempre sentiva tranquilla, a camminare tra i corridoi di Hogwarts, Ilvermorny o Beauxbatons, lì dove era sempre stata considerata una studentessa come le altre e non come un animale in bella mostra allo zoo.
    «....non è un buon motivo per non venire» non lo capiva, che era un evento con la E maiuscola??? Ma oltre al voler un'esperienza da adolescente normale, ed una serata nella quale non doversi preoccupare di Bang e del colore strano della pupù che faceva a volte, c'era un altro motivo: l'ultima volta che si erano riunite così tante persone ad Hogwarts, un sacco ne erano morte.
    Non che la Hilton avesse qualche desiderio suicida o altro, sia chiaro, ma le piaceva esserci e odiava l'aver perso il momento degli scontri: poteva pur non esser così informata sulle varie dinamiche della politica del mondo magico, ma era un'attivista!!& Faceva le proteste in strada, gli scioperi della fame e invitava le persone a firmare petizioni online quando serviva!!&& Cosa c'entra? Ben poco, ma É UN INIZIO!!&&&& E poi, cosa shokkante per molti, nelle lezioni di scherma era molto brava ed a lanciare incantesimi, tra i suoi compagni di scuola, eccelleva. «ochei» faticava ancora a capire il perchè si fosse trascinato lui dietro, ma vabbè: l'invito in principio era stato rivolto a Niamh, ma il caso aveva voluto che in quel momento dietro al bancone nel locale della Barrow ci fosse stato solo il Gates, e così a Penn era toccato accollarselo in onore di anni di (quasi) amicizia e un'infanzia cresciuta tra settimane bianche, gite in yacht e famiglie rikke alle spalle «....ma gli alcolici sono gratuiti?» era un mistero anche per lei il come avesse fatto a farsi tagliare tutti i fondi e cancellare dall'impero di suo nonno, ma dopo i primi tentativi aveva deciso di non far più domande: un «tieniti pure i tuoi segreti» e la questione era stata chiusa. Del resto, nemmeno lei gli aveva risposto quando, tornata dal ritiro spirituale, il ragazzo l'aveva tormentata per scoprire chi fosse il padre di Bang. «sì?» ci sperava, per lui??? Era diventato così povero! «altrimenti dai, offro io» del resto, teoricamente, era stata lei ad invitarlo.
    Ed erano già diretti al bar, quando...
    «quello è abbordabile?» «abbadon» «eh, dici che riesco a conquistarlo?» ah, ochei. Dandogli qualche lieve pacca sulla spalla, scosse il capo lentamente: come glielo spiegava, che non era assolutamente alla sua portata? E che era meglio che non lo fosse, tra parentesi.
    Bisognava rimandare la spiegazione ad un altro momento, però: all'inizio, ingenuamente (ed anche un po' egocentricamente, a dirla tutta) pensò che si trattasse di una mini reunion dei suoi fanz sul palco. Insomma, c'era Stiles!!& E quella ragazzina tanto carina che una volta le era svenuta davanti, e l'amica mora che l'aveva contattata su maginstagram per invitarla ad un programma radio clandestino. «che cariiiini» ma «oh» qualcosa non andava «che succede?» li ricordava, i volti di quelle due ragazzine, perchè erano tra le foto di coloro che erano morti. E ricordava Stiles, tutte le volte che si era presentata a casa sua per chiacchierare con Sutton e lui le aveva aperto la porta per poi rimanere paralizzato sul posto.
    E ricordava che aveva fatto male, sapere che se ne fosse andato.
    Aveva pensato a Jeremy, ed ai suoi familiari, ed al dolore che sicuramente avevano affrontato. Aveva pensato a Nicole, ed a come avrebbe fatto a sopravvivere: lei, se avesse mai perso Dart, dubitava che ce l'avrebbe fatta. «erano morti» cosa stava succedendo.
    Era confusa, e normalmente Philadelphia Sutton Maribel Soledad Hilton non era mai confusa. «mica mi hai drogata? Guarda che non serve mica derubarmi, se ti servono soldi basta chiedere!!»
    Oh, non ci si può fidar neppure più degli amici.
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    «rea.»
    Seduta al tondo tavolo della cucina, portò la tazza di caffè alle labbra; Rea Hamilton, ventotto anni e sentirli tutti, era il ritratto della non curanza, nel sollevare pigra le iridi scure sul Figliol Prodigo.
    «padre.» alzò perfino il contenitore in un cenno di saluto all’Hamilton, soffiando poi cauta sulla bevanda. Come prevedibile, prendendo posto di fronte a lei, non fece alcun commento. Non che ce ne fosse bisogno: era un mese che l’ex Serpeverde portava avanti quel teatrino, e l’avrebbe fatto ancora, prolungando così la silente vendetta nei suoi confronti per essere sparito quasi due (2) anni. Il primo giorno, Gemes aveva accennato un sorriso di scherno; il secondo, anche.
    Ad un certo punto fra il quindicesimo ed il ventesimo, aveva smesso anche di alzare gli occhi al cielo, accettando la nuova realtà come costante della loro vita così da non darle soddisfazioni: embè, lei se le prendeva comunque. Morali. Concluse in silenzio la prima tazza di caffè, alzandola perché un ritrovato Amos la riempisse nuovamente.
    Dio, quanto le era mancato.
    «amen, fratello» il fotocineta fece un inchino, la tunica da vescovo a gonfiarsi attorno a lui come la vela di una nave. Rea aggiustò il velo con movimenti precisi ed oramai abitudinari, tornando quieta a soffiare sul proprio caffè. Se c’era una (1) certezza a villa Hamilton, era che quando qualcosa di incredibilmente idiota s’aggirava nell’aria, i suoi compagni di disavventura non la abbandonavano mai: e così sorrise a frate Elijah, la tonaca bruna a sfiorare quasi il pavimento mentre anch’egli, con un rispettoso inchino al prete, entrava in cucina. Quando Gemes accennò ad iniziare la colazione, fu lesta ad allungare una mano per schiaffeggiargli i polsi, tornando poi ad accomodarsi con eleganza sulla propria seduta.
    «rea»
    «la preghiera, padre» chiuse gli occhi beata, solenne come solo un Hamilton nelle occasioni importanti TM sapeva essere.
    «ed ancora non ho capito perché debba essere io, la monaca di clausura» quanto amava il tintinnio – non necessario, ma gli accessori erano importanti – della cintura di castità di Monaca Aladino.
    Vendetta, Crane. Vendetta. «dove sono i chierichetti?»
    E fu subito coro angelico: «dormono» Bene, la sua conversazione mattutina poteva finire lì: aveva eseguito i propri doveri civici di essere umano civile, e s’era perfino – perfino! – sprecata in futili chiacchiere sulla loro progenie. Si prospettava già una bella giornata.
    Tanto meglio, perché quella sera [17teen again theme] si sarebbe tenuto il prom al quale, per nessun motivo specifico se non infastidire Rea Hamilton, erano tenuti a partecipare.
    Bellissimo.
    «niente comunione stamattina? male» ah già, come aveva fatto a dimenticarsene! Si strinse nelle spalle, indicando il ragazzino seduto al proprio fianco: eh, gemes, lo chiedono i fan.
    «grazie, cigei.» aveva vissuto per mesi con quel buzzurro di CJ Hamilton, ed era partita prevenuta nei confronti del Knowles; inutile dire che la sua ritrosia era sparita nel momento in cui aveva iniziato a raccontarle delle messe di pasqua e natale: ormai erano migliori amici. Il pelatino sorrise, falzo innocente come piaceva a lei, affondando ancora il cucchiaio nel latte cerimoniale. Sì, avevano messo etichette sante ad ogni cosa.
    A loro favore, si annoiavano.
    «padre, la benedizione»
    «già padre, la benedizione»
    Visto? Migliori amici.

    «uau padre, il suo potere è fortissimo» Rea Hamilton fece un rapido segno della croce, le ciglia a battere sugli occhi scuri mentre di fronte a lei iniziavano le rimpatriate con i morti: been there, done that. Ovviamente, a Rea non poteva sbattere una cippa di meno. Trovava decisamente più interessante lo struzzo, ora abbandonato in un angolo mentre il suo proprietario andava a fare il necropedofilo, e dovette perdersi parecchio ad osservare il volatile, perché fra pianti isterici e strilli casuali, l’unica cosa che colse fu: «FRA VOI?»
    Cioè. «ma sei incinta? @al EXPLAIN» perché quello poteva tranquillamente essere l’inizio della fine, eh; gli anticristi nascevano così, quando i cramilton abbassavano le difese.
    Eh, river.
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    ding.
    il corpo del moonarie non parve reagire a quel suono squillante e sgradevole. fissava l'orizzonte con i suoi occhioni azzurri e limpidi, la fronte leggermente corrugata sotto un ciuffo di capelli brizzolati. non voglio dire che se li fosse decolorati di proposito perché il look i'm your daddy facesse più colpo, ma insomma: frequentava il circolo dei vecchi al baretto, faceva puntatine regolari alla bocciofila, ci provava con tutte le over 50 che avessero un po' di grano in tasca, spacciava pillole azzurre della felicità sottobanco.. qualche capelli grigio rientrava semplicemente nell'ordine delle cose.
    Aveva trentatré anni, edward moonarie, la stessa età di Gesù quella volta che si era fatto fregare come un fesso pagando per gli errori del genere umano - come quando ti dicono di fare alla romana dopo che si sono scofanati antipasti, primo secondo contorno dolce caffè e ammazzacaffe, ma tu sei a dieta e hai preso solo un'insalata - e sebbene si sentisse ancora pimpante e stranamente non afflitto dall'artrosi, sentiva di avere un'affinitá con i vecchi impossibile da eguagliare. Adoravano rompere i coglioni alla gente, senza distinzioni - o motivi validi -, e a eddie questo tratto della loro personalità andava proprio a genio. insomma, se c'era una cosa che sapeva fare nella vita era stracciare i maroni al prossimo finché il malcapitato non provava a farlo fuori, o, come aveva sperimentato dick con successo, non si lasciava morire per sfuggire a tale agonia. era ancora convinto che la dipartita di richard quinn fosse stata una scelta calcolata per levarsi finalmente dalle palle e passare in pace un po' di tempo all'inferno, fategli causa.
    ding. ding ding. dingdingdingding.
    «questa è tua, barbie girl.» primo perché si trattava di una ragazzina e edward puntava quanto meno alle maggiorenni - giusto per evitare la galera -, e secondo perché se c'era qualcuno che aveva bisogno di scroccare un appuntamento a una cliente provandoci spudorato tra una manciata di smarties e l'altra, beh, quello era barnaby jagger. gli voleva già bene, eddie, e non solo perché con quella divisa da marinaretto faceva la sua porca figura; era il totale spaesamento sul suo volto imberbe, l'espressione deadpan con cui alle volte fissava il vuoto mentre un bambinetto continuava a cambiare idea sul gusto del topping da mettere sullo yogurt, il leggero tic all'occhio destro ogni volta che passava di fronte alla sua foto in bianco e nero incorniciata e appesa alla parete. aveva l'aria stressata di certe mamme single con tre figli e il doppio lavoro, e edward lo amava anche per quello.
    All'occhiata vacua che barbie gli riservó - quel genere di sguardo che sembra voler dire 'stavo per andare in pausa perché mi vuoi così male' -, eddie rispose con una discreta alzata di spalle, il mento ad indicare un affascinante terzetto di individui seduti nella zona dei tavolini; li osservava da un po', il sopracciglio destro man mano più sollevato, incapace di comprendere come Sinclair Hensen non fosse ancora intervenuto per mettere la parola fine ad una situazione che evidentemente stava degenerando: la ragazza in sua compagnia, che il moonarie ricordava in lacrime, scossa dai brividi e - soprattutto - non così bionda, era già al terzo yogurt di fila. e forse non sarebbe stato un male, se nelle coppette avesse messo effettivamente dello yogurt, oltre a qualunque tipo di schifezze si potesse pescare dalle varie vaschette presenti nel locale. cereali, smarties, biscotti, frutta secca, frutta sciroppata, panna, nutella.. le mancavano solo due fette di bacon per completare l'opera poi il viaggio al San mungo era assicurato. insomma, non conosceva murphy skywalker e non ci teneva ad entrare troppo in confidenza (sia mai che sin pensasse bene di approfittarne per chiedergli di fare da baby sitter a lei e a quel tizio biondo platino con l'aria da fattone che si portavano dietro), ma allo stesso tempo voleva evitare che le venisse un infarto proprio nella yogurteria.
    eugene aveva accennato a qualche possibile bega con le assicurazioni, sempre meglio prevenire che curare.
    «la soluzione non è sul fondo appiccicoso di quella coppetta plus size, tesoro.» la soluzione al problema della skywalker non esisteva, ma chi era eddie per toglierle anche sull'ultimo briciolo di speranza? non sarebbe stato così morbido, se a lagnarsi per la perdita di una - o cinque - persona cara fosse stato un pischello qualunque, ma per qualche strana ragione murphy gli faceva tenerezza, il classico cucciolo azzoppato che si vede sempre nelle pubblicità progresso contro l'abbandono: potevano essere quegli occhioni color cioccolato sempre un po' increspati di sofferenza, il modo in cui tentava di sorridere anche se evidentemente non ne aveva voglia, il fatto che andasse in giro vestita come un evidenziatore ubriaco (cit.) soprattutto quest'ultima era stata la chiave per aprire il cuore avvelenato di edward moonarie. «non saprei dove altro cercarla, signor edward.» signor edward. brividi, but sign me up as terrified AND aroused. e gli sarebbe forse venuto naturale provarci spudoratamente - dopotutto, avevano entrambi perso l'amore della loro vita, quale modo migliore di rincuorarsi a vicenda se non con un po' di sano zichete zachete? -, se solo accanto alla geocineta non fosse stato presente - seduto immobile nella stessa tuta color giallo paglierino - un certo spilungone con i capelli ossigenati e lo sguardo un po' da gattone puntato in direzione di una coppetta ormai vuota. da quando murphy aveva accettato nicole e mgk come parte integrante della famiglia, lei e il biondo andavano sempre in giro di pari passo, impossibile vedere una senza l'altro.
    l'ancora più inquietante versione delle gemelle di shining.
    «ascolta, lo so cosa significa perdere qualcuno. dick..» aveva afferrato una sedia dal tavolino accanto, prendendovi posto tenendola girata al contrario, gambe larghe e braccia appoggiate allo schienale, e già mentre parlava lo sguardo cristallino vagò alla gigantografia di richard quinn appesa alla parete. era stato proprio il moonarie a scegliere la foto, insistendo (c'era voluto poco) con eugene perché venisse esposta proprio all'ingresso del BDE - il bidèt, come lo chiamavano amorevolmente eddie e barbie -: aveva scelto con cura tra quelle che conservava gelosamente dai tempi del college, optando infine per un'istantanea del suddetto quinn lercio come un paguro, gli occhialetti da sole storti sul naso e la bava alla bocca. uno splendore. «non.. non gli ho mai detto quanto mi piacesse-» fece una pausa, il moonarie, probabilmente non voluta, ma abbastanza lunga da permettere a murphy di spalancare le labbra portandosi una mano sul cuore, debole a certe dichiarazioni d'amore anche quando la sua dolce metà giaceva morta in chissà quale buco di merda. che poi, sinceramente, come si fa a morire perdendo 81ps su 81? non c'era da stupirsi che la geocineta fosse alterata, oltre che distrutta.
    «ti piaceva??!?!»
    «-rompergli le palle.»
    «ah.»
    «anche a te piaceva..» altra pausa, questa volta dovuta al fatto che non ricordasse assolutamente il nome del tizio con cui se la spassava la skywalker prima del casino nei sotterranei. aveva fatto in tempo a vederlo di sfuggita, e comunque era arrivato già defunto.
    «rompergli le palle?» eddie annuì, e murphy questa volta sorrise. un sorriso morbido, immensamente triste, che all'ex serpeverde solleticó la pelle delle braccia peggio di una folata d'aria gelida. sapeva cosa stava per arrivare, ed era certo fosse giunto il momento per levarsi dal cazzo. «sì.» poi, in un sussurro «sì, certo.» una lacrima le scese sulle guance seguita da troppe altre, silenziose come lo era stato mgk fino ad un attimo prima, quando di fronte alla disperazione della sorella acquisita aveva ben pensato di affondare la faccia nella coppetta di yogurt tentando di annegarvi.
    «beh io vado..BA / A A A A / EBIE! guarda, un altro cliente soddisfatto!»
    *thumbs up, fine turno*

    non riusciva a respirare, murphy skywalker.
    il respiro le si era bloccato in gola, ossigeno a raspare contro la trachea bruciando i polmoni. anche se in cuor suo sapeva che sarebbe successo, che quel momento doveva arrivare, ritrovarselo sbattuto in faccia senza un minimo di preavviso l'aveva completamente sconvolta. un intero sistema operativo mandato a puttane, un cuore incapace di reggere la tensione accumulata da troppo tempo.
    aveva persino creduto si trattasse solo di un sogno, splendido nella sua forma e portatore di terribili false speranze, eppure loro erano lì, proprio davanti ai suoi occhi, a suggellare un istante che mai nessuno avrebbe dimenticato. certamente non murphy. «SJFMDMFNSNSNAN» letto testuale «VI SPOSATEH???!?!?!1??»
    come dite, dovrei tornare indietro?
    ma giusto qualche minuto eh.
    quasi come per la notte in cui un buon tre quarti della sua famiglia era morta sotto i suoi occhi, qualcuno persino tenendola la mano dopo aver giurato e spergiurato che 'ce l'abbiamo fatta, murph, abbiamo vinto', ciò che era accaduto su quel palco lo aveva fatto semplicemente troppo in fretta. non era nelle condizioni ideali, la geocineta, per star dietro a quei rapidi cambi di situazione, ribaltamenti e colpi di scena. Forse non si era ubriacata come jeremy, ma allo stesso tempo non sembrava particolarmente lucida. Nemmeno ci voleva andare, al prom, e nessuno sarebbe riuscito a convincerla se non fosse stato per lo sguardo triste di mgk al pensiero di non avere accanto sua sorella con il loro abito abbinato. così alla fine si era lasciata trascinare, i capello biondi legati in una coda a dir poco casuale e indosso un completo dal taglio maschile di un bel giallo paglierino. Lo faceva per il nuovo bro, e perché il sorriso di nicole nel far loro una foto commemorativa prima di uscire da casa murin valeva più di mille parole.
    e si era sforzata soprattutto per coloro che le erano rimasti, sfiorando la testa di scott con una carezza gentile, stringendo amalie tra le braccia, affondando il volto nei capelli di run perché quel profumo di vaniglia aveva sempre il potere di farla sentire a casa, anche quando quella parola perdeva significato: non sarebbe mai tornata indietro se avesse saputo che per vincere avrebbe dovuto prima perdere tutto. non aveva reagito, da principio, quando la musica country era esplosa coprendo il brusio generale, un paio di occhiali da sole inforcati sul naso e le braccia conserte sotto il seno; impassibile quanto thor svenuto sulla sedia al quartier generale degli avengers, cosi immobile da far pensare anche alle persone attorno a lei che probabilmente sì, le era venuto un infarto fulminante ed era morta così, in piedi.
    persino quando la scatola gigante si era finalmente aperta rivelando il suo inatteso contenuto, sulle prime murphy non era sembrata in grado di muoversi, o anche solo pensare, nonostante i sospiri attorno a lei, qualche urlo soffocato da mani premute istericamente sulla bocca, il panico ad impregnare i sussurri di chi aveva già visto la bacchetta di mitchell e immaginato il peggio. A riscuotere la geocineta dal momentaneo torpore, dall'evidente convinzione di stare solo sognando ad occhi aperti come le capitava ormai da un mesetto a quella parte, era l'estemporaneo «DICKHEAD HAI UN ASPETTO DI MERDA! MARKINO TE SEI SEMPRE UN FIORE, DAJE DI LINONE WINSTON!» di edward moonarie, apparso non si sa quando al suo fianco con entrambe le mani a coppa intorno alla bocca, il berretto del BDE un po' storto sulla testa. aveva ancora indosso la divisa da marinaretto della yogurteria, e in un momento di confusione totale murphy aveva avuto persino il tempo per chiedersi se fosse stato lui a chiederla di una taglia troppo piccola o se l'idea di mettere in risalto le chiappe dei dipendenti fosse stata partorita direttamente da eugene jackson (#both).
    allora, solo allora, li aveva visti davvero.
    erin
    jess
    obiwan
    stiles
    «shot?»
    si era tolta gli occhiali scuri, la ventitrenne, credendosi vittima dell'ennesima allucinazione, le lunghe ciglia a sbattere rapide tentando di mettere a fuoco la verità. «murph» no, non stava sognando. e no, non era strafatta. erano lì davvero, vivi e bellissimi, così vicini da poter quasi sentir battere i loro cuori mentre il suo perdeva un colpo. «shot!» aveva agito d'istinto, scattando sul posto facendosi spazio tra la gente con le braccia tese in avanti, spintonando estranei e conoscenti dall'alto del suo metro e sessantasette, negli occhi scuri la luce trepidante di chi ancora non crede del tutto al miracolo compiuto. «murph!» cioè, ma ci credete che a quel punto shot aveva aperto le braccia pronto ad accoglierla? cosa credeva, di essere ryan gosling ne 'le pagine della nostra vita'?
    «S H O T .»
    «murph????»
    era quasi balzata sul palco, quando finalmente il guaritore (ah, sei guaritore???? ma pensa. e dove stava sta guarigione quando hai perso 81 punti salute??? quando mi sei morto tra le braccia per la seconda volta??? EH??!??) aveva riconosciuto lo sberluccichio nelle iridi nocciola della geocineta per quello che era in realtà: furia omicida. non che a quel punto gli fosse rimasto molto tempo per scappare, si intende.
    ma lo spettacolo offerto da una skywalker selvaggia che si lanciava addosso a shot saccagnandolo di botte era avvenuto ormai una buona manciata di minuti prima, durante la quale murphy aveva trovato dentro di sé la forza per perdonare il ragazzo di essere morto come un pirla, lo aveva baciato e stretto a sé tra una testata e l'altra, era corsa ad abbracciare i suoi bimbi e pianto ogni lacrima rimasta sulla spalla di stiles quando infine jayson gli aveva permesso di tornare a respirare allentando la presa. nemmeno il fucking tempo di riprendersi un attimo, che era arrivato l'ennesimo colpo al cuore. «SJFMDMFNSNSNAN, VI SPOSATEH???!?!?!1??» here we go again. la volevano forse morta??? se non era il più bel giorno della sua vita quello, poco ci mancava. «i'm over the moon, over the moon» e chissà se era quello il momento giusto per dire loro che aveva già pronto il discorso da fare al matrimonio, tenuto gelosamente in un cassetto sin da tempi non sospetti.
    per loro, almeno.



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    - the score
    «com’è la situazione in francia?» persino la voce di William Barrow, suonava diversa. Un tono lievemente più basso, difficilmente percettibile se non si fosse conosciuto l’ex Corvonero prima del primo giugno; l’uomo seduto di fronte a lui, lo conosceva da ben più tempo perché un dettaglio simile potesse sfuggirgli, ma da grand’uomo qual era, non ne fece parola. Di cose ne aveva perse tante, Will; aveva perso la memoria, aveva perso se stesso, aveva perso la resistenza - i suoi amici, i suoi colleghi - ma non c’era un limite entro cui poter dire di esservi abituati: era sempre la stessa merda, lì a colpire fra ossa e cuore nella parte più tenera e fragile di ogni essere umano. Sapeva incassare, e sapeva perdere. Sapeva che un prezzo da pagare ci fosse sempre, e sin da ragazzino aveva deciso di essere disposto a farlo - che era una merda, ma si andava avanti comunque. Perché il dolore e la sconfitta di un William Yolo Barrow, fosse sedicenne o ventiseienne, non doveva avere rilevanza nel disegno più grande a cui si era immolato da adolescente: in parole molto povere, il mondo se ne fotteva di un Will – naturale che un Will iniziasse a fottersene del mondo.
    Keanu Larrington posò la tazza di tè ancora bollente sul tavolino dell’anonimo locale scozzese in cui s’erano accordati per incontrarsi, gli occhi chiari a saettare oltre la finestra che incorniciava la poco bazzicata strada della cittadina. Sembra più vecchio, aveva pensato Will; sembra più stanco, aveva pensato Keanu – ma nessuno dei due ne aveva accennato a voce alta, perché dirlo non avrebbe cambiato le cose.
    Keanu Larrington si sentiva più vecchio.
    William Barrow era sempre più stanco.
    Ma erano Ribelli, e non poteva avere importanza.
    «complessa, ma non impossibile» tipico del Larrington, mascherare l’ottimismo con l’onestà. Will accennò un sorriso spento, sollevando la birra in direzione dell’uomo. «in pratica, una merda» riuscì a strappare un quasi ghigno al ribelle, che riprese la propria tazza per unirsi al brindisi. «in pratica una merda, sì» Nei quasi due anni in cui il Barrow era stato assente dalla scena politica, Keanu si era trasferito in Francia per organizzare le disperse truppe ribelli sopravvissute all’assalto a Beauxbatons. Dal nucleo meglio organizzato, non erano diventati altro che ombre di loro stessi, privi di un quartier generale che potesse loro assicurare un margine di sicurezza – privi di qualsivoglia manovra che potesse ribaltare la situazione: era andato tutto a puttane, e tutto molto velocemente.
    Se Jeanine Lafayette non fosse stata così arrogante, avrebbe potuto chiedere il loro aiuto prima, che si arrivasse a quello. Ma la donna aveva voluto giocare in grande, inscenando un assalto che avrebbe reso Vasilov colpevole anche agli occhi di non era ribelle; s’era giocata la carta branco, ed il suo fallimento pesava sulle spalle di chi, in lei, ci aveva creduto sempre.
    Conosceva il peso di quella responsabilità, William. Sapeva cosa significasse deludere i propri soldati, metterli in pericolo per un piano troppo azzardato: non c’erano certezze, in un lavoro come il loro. «gli scout come se la cavano?» Era uno dei lavori più delicati e basilari della Ribellione, quello; cercare giovani a cui aprire gli occhi, dare loro uno scopo, una guerra per la quale valesse la pena combattere: i guerriglieri erano mera distrazione per le operazioni più delicate, le spie si occupavano di raccogliere informazioni, ma erano gli scout il cuore della Resistenza. La speranza, cioò che ogni giorno li spingeva ad aprire gli occhi e provarci ancora, perché per ogni uomo, donna, ragazzo o anziano che veniva portato fra le loro fila, s’accendeva una luce in più su un futuro compromesso all’origine. A Londra Will aveva organizzato gli scout infiltrandoli nelle scuole, nei luoghi di incontro fra giovani, perché sapeva che s’insediava la miccia: gli adolescenti cercavano tutti un posto nel mondo.
    La ribellione, glielo dava. Non era forse insito nell’uomo il bisogno di appartenere a qualcosa - di fare la differenza? Offrivano quell’opportunità, loro.
    Ma mai a prezzo economico. «abbiamo dovuto fermare la ricerca di reclute; troppo pericoloso, in anni del genere» Will arricciò il naso, ma non commentò. D’altronde, Keanu lo conosceva abbastanza da sapere che non avrebbe mai potuto essere d’accordo su una politica del genere; piuttosto avrebbe spostato gli scout nelle zone limitrofe, avrebbe attratto ribelli da altre regioni, ma fermare gli scout significava mettere la parole fine alla Ribellione – e proprio in un periodo del genere, la Francia avrebbe avuto bisogno della speranza che solo la Resistenza sapeva offrire. «i laboratori dei doc?» Non gli estremisti, chiaramente – i loro. Sapeva che in Francia i Doc si occupavano di più campi rispetto a quelli britannici, francamente più vicini agli ideali fanatici che a quelli più terreni di riportare l’ordine ed aggiustare quel che altri avevano mandato in malora, ma parte di quelle ricerche erano anche interessanti: le armi, più che la creazione del super uomo. «è andato tutto perduto, era tutto raccolto nello stesso luogo» vedete? Ed ancora a peccare d’arroganza, la Lafayette, credendo i propri fortini indistruttibili. Schioccò con disappunto la lingua sul palato, tornando a dedicarsi al boccale di birra. «a londra come procede?» evitò lo sguardo intenso dell’uomo puntando gli occhi azzurri sulla bevanda dorata, le dita a tamburellare lievi sul tavolo. «mitchell è in gamba» si scrollò nelle spalle, ignorando il sopracciglio arcuato del Larrington. «ma…?» Lo conosceva troppo bene, quel figlio di una buona donna. William sapeva di non avere alcun diritto per pensarlo, considerando che fra perdita di memoria e viaggi temporali non era la persona più affidabile in circolazione, ma: «è mitchell.» sorrise, più sincero delle volte prima, perché William Barrow amava Mitchell Winston abbastanza da riconoscerne limiti e debolezze – non morali, mai morali, ma quando si trattava della Resistenza, bisognava essere più crudeli e brutali di quanto un Mitchell volesse permettersi. Cercava di tenere tutti al sicuro, Mitch; in un mondo utopico, avrebbe fatto bene.
    Nel loro, non potevano permetterselo. «non è te.» concluse Keanu per lui, sorseggiando il proprio tè caldo. Si sentiva una merda anche solo a prenderlo in considerazione, ma che cazzo poteva farci? Era vero - non era un William. Mitch era più amato, di Will; più idolatrato, più l’eroe del quale credevano di aver bisogno, e Will l’aveva sempre adorato anche per quello. Il fatto era che la Resistenzanon poteva avere un solo eroe; non poteva essere sempre Mitch, quello a frapporsi fra i cattivi e loro, e non poteva sempre prendere la strada meno rischiosa per evitare di perdere amici. Non milizie, amici. William ragionava semplicemente in modo diverso, dal Winston.
    Più pragmatico.
    Meno umano.
    «e non è meglio così?» sorrise, ma non lo sentì davvero. Keanu non era mai stato il fan numero uno di Will; non l’aveva mai abbandonato, ma non gli aveva neanche mai nascosto di non essere un ammiratore delle sue scelte, perfino quando quelle stesse decisioni portavano a trionfi. Metteva troppo in ballo, Will. Sceglieva pro e contro valutando i rischi, ma senza tener conto del fattore empatico. E faceva male, ad ogni respiro ed ogni incubo, ma che altro poteva fare? Non gli piaceva, essere così.
    Ma qualcuno doveva pur farlo.
    «non lo so più, will.» Alzò gli occhi cerulei su Keanu, e fu il turno dell’uomo di evitarne lo sguardo. «non lo so più» Rimasero in silenzio per minuti che parvero ore, ed ore che parvero giorni. Fu il Larrington il primo a spezzarlo, atono e ruvido nel «mitchell vorrebbe che riprendessi il tuo posto» Ne avevano già parlato, nulla di nuovo. Si strinse nelle spalle, dedicandosi ancora alla birra fra le mani. «mitchell vorrebbe anche che la smettessi di bere il latte dal cartone, eppure» «ed anche phobos; mi hanno scritto entrambi» L’espressione di Will dovette parlare da sé, perché «pensano che sia l’unico che possa riuscire a convincerti» Perché. Perché. Perché avrebbero dovuto volere un William al comando, quando quel che aveva portato alla Resistenza era solo merda su merda? «non posso» «perché?» Perché è cambiato tutto, Keanu. Vaffanculo, è cambiato tutto. Perché se fino al giorno prima poteva sacrificare la propria vita, e quella d’altri, senza battere ciglio, aver perso Barrow Skylinski aveva cambiato qualcosa. Credeva d’essere un ribelle prima di tutto, William.
    Ma forse si era sbagliato.
    «non avrei dovuto permettere che tornassimo indietro»
    Barrow. Jessalyn. Erin. Jason. Shot.
    «ma l’avete fatto»
    L’avevano fatto. Lo capiva, il problema?
    «da quando william yolo barrow non affronta le conseguenze delle sue azioni?»
    Abbadon, quello era il punto più dolente di Will. Perché Barry, Jess, Erin, non erano stati sacrifici per un bene più grande: erano morti invano per il capriccio di un pesce più grosso. Quella era una delle cose che Will non riusciva a perdonarsi: non avevano vinto. Neanche liberarsi di Vasilov, era stata una vittoria – d’altronde sapeva che la Resistenza, prima o poi, avrebbe vinto.
    Avevano solo
    Perso.
    «non posso»
    «william»
    «gli altri non vorranno»
    «william.»
    «non si fideranno» e non poteva neanche biasimarli.
    «di cos’hai paura?»
    Che invece lo vogliano; che si fidino ancora.
    Non poteva perderli di nuovo. «la resistenza è tutto ciò che sono» una supplica appena bisbigliata, quella di Will.
    «ed è per questo che ti abbiamo scelto, boss»

    Cristo
    «santo.» aprì la bocca e la richiuse, un’occhiata di sottecchi ad Akelei Beaumont. Aveva, ingenuamente!, creduto che il massimo di violenza di quella giornata, Sersha Kavinsky l’avesse dedicato ai pancake che aveva sbrindellato («…sta usando un machete, dovremmo dirle qualcosa?» «oui. buona scelta, ragazzina») quella mattina a colazione, ma chiaramente aveva sottovalutato criminale #3. William fece guizzare lo sguardo sui morti, chiedendosi pigramente se dovessero fermare le botte su Barrow, o se un poco, criminale #1 le meritasse. La confusione si mescolò al sollievo, sostituito rapidamente da curiosità: li aveva davvero riportati indietro? erano completi? Come funzionava? Aveva conosciuto due (2) tipi si resurrezione, e ne sapeva gli effetti collaterali; quella era nuova, e prima di entusiasmarsi per i ritrovati pargoli, baywatch compreso, Will voleva capire.
    Erano sotto controllo di Seth?
    Sapeva della Resistenza?
    Erano davvero loro?
    Misure precauzionali da svolgere in un secondo momento: controllare lo stato mentale di Jason, Jess ed Erin; assicurarsi che non avessero versato il tè, e che non fossero una minaccia per la Ribellione.
    Quel che invece fece in quel momento, bacchetta non sguainata ma pronta nella tasca dei pantaloni, piazzandosi al fianco di un Mitchell ed il suo ritrovato amore, fu: «anche con te usa questi vestiti?» perché era importante conoscere i kink del proprio migliore amico. E chissà, se fosse rimasto abbastanza Barrow Skylinski dopo le attenzioni dei suoi amici, magari gli avrebbe anche piazzato un bacio in fronte al sussurro di: ora sì che sei un vero barrow.
    Se non morivi, eri Barrow solo a metà.
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    «quel cazzone là è il nostro cazzone?» si morse le labbra ed abbassò lo sguardo, momentaneamente incapace di sostenere la vista di un Joey assurdamente – oddio, non era davvero così impensabile, tutto sommato: l’aura empatica di quel ragazzo era più instabile del meteo di quell’anno – quieto e pacato, né quella del palco e di tutti coloro che in un battito di cuore lo avevano affollato. Un battito che, a dire il vero, Sunday De Thirteenth non aveva percepito scuotere il petto; un vuoto doloroso, dietro la cassa toracica, prima che questa prendesse a vibrare come un martello pneumatico mentre afferrava una sigaretta dal taschino della camicia. Cercò, meno immediato di quanto avrebbe dovuto, Sersha tra la folla – e William, ed Akelei.
    Non aveva una risposta, il diciottenne. Non aveva una cazzo di fottutissima risposta, per quanto ad ogni occhiata cerulea che rivolgeva a Barrow Cooper, questo non potesse che sembrare quella merda di suo fratello. Ma udiva ogni brusio di sottofondo, ciascuna ritrosia a muoversi di un solo passo; tutti i dubbi, tutti i non può essere vero, Sandy li percepiva come una cappa di denso fumo a negargli l’ossigeno. Perché, onestamente, di tutte quelle stronzate se ne sbatteva allegramente le palle: non era bisogno di crederci, quello del tassorosso, né mera e vana speranza a palpitare tra lingua e palato incessantemente. Consapevolezza, la sua: potevano aver vissuto separati gli ultimi diciotto anni della loro vita, ed aver saputo d’essere Ronan e Lynch solo prima d’essere separati per quello che, ancora non lo sapevano, avrebbe potuto essere un per sempre, ma era comunque suo fratello.
    Suo fratello, cazzo, non serviva che qualcuno gli portasse le prove della loro reale esistenza in quel posto, per sapere che fosse proprio lui. Ci aveva condiviso l’utero, con Barry; ci aveva vissuto in simbiosi per venticinque anni prima di tornare indietro. Era certo che ogni inspiegabile malessere che aveva provato da quando era Sunday, fosse in qualche modo dovuto al dolore dello Skylinski.
    Lo sentiva, lo fottutamente sentiva nelle viscere, che quello fosse realmente lui – e ce la stavano mettendo davvero tutta, per farlo dubitare. «per forza» biascicò a denti stretti, infilandosi il cilindro di tabacco tra le labbra. «non -» può essere altrimenti; non accetto che sia una farsa; non può permettersi di non tornare e di non farsi prendere un po’ a calci in culo. «sunday, tu non conosci mia madre» «cosa» ??? innanzitutto: «e tu che ne sai» «sì, infatti – aspetta, cosa» era incredibile quanto fosse facile per il De Thirteenth passare dall’angoscia per il fratello morto e risorto alla più ancestrale confusione di quel che gli stava accadendo a pochi piedi di distanza.
    Dov’era Kieran, quando serviva? Dov’era Barry – ah già, sul palco a farsi bello e scemo.
    Perché, siamo onesti: quello era un incontro ravvicinato del terzo tipo. Non poteva essere vera, quella lì. Era un alieno, ovviamente, ed era venuto lì per lui – lo sapeva, Sunday De Thirteenth. Cercò Friday e Wednesday, sapendole sempre pronte per ogni evenienza – cazzo, lo sapevano che i promenade erano gli eventi migliori per quel tipo di contatto, se non si erano portate taccuini e macchine fotografiche erano delle coglionazze – , ma non riuscì ad individuarle.
    Beh, toccava a lui fare il primo passo con la falza Sun. Trovò sicuramente il migliore momento per farlo.
    «hai il reggiseno»
    «mi guardi le tette?? certo che ho il reggiseno, ho i capezzoli sensibili - ti disturba?»

    Che classe, Joseph Moonarie. «tette??? capezzoli???» mano in tasca e fumo a scivolare attorno al filtro della sigaretta, dall’alto dei suoi centottantasei centimetri, Sandy si piegò in avanti, utilizzando la mano libera per tastare metodico e scientifico il seno della (hahaha, tanto lo sappiamo tutti che non sei una) ragazza (bensì un alieno, NON LA DAI A BERE A ME!!). «ma se queste non saranno nemmeno vere, figurati – silicone? antimateria?» e tanto serio, il moro non lo era mai stato in vita sua. Perché poteva trovare dannatamente normale che suo fratello, sua cugina e un macello di altra gente fosse tornata proprio lì dal mondo dei morti, ma che qualcuno avesse la sua faccia da vagina? Col cazzo.
    Per rimanere in tema. «comunque sì, sei più vecchia» piegò la testa verso il biondo, un «beh, io vado a controllare quello sia la nostra merda – moony, non farla scappare: dobbiamo studiarla» e, prima che potesse venir colpito dall’umanoide, corse verso il palco, arrampicandosi su di questo con l’agilità del cheerleader che non sarebbe più stato.
    Ignorò tutti quanti, Sandy – non vedeva nessuno, se non il Cooper. Il quale avrebbe senza dubbio visto il pugno arrivargli sul naso, ma guai a lui se si fosse tolto dalla traiettoria: se lo meritava. «uh,» sciolse le dita smuovendo la mano nell’aria, prendendo poi la faccia del platinato tra indice e pollice. «sì, sei proprio tu» era uno tosto, Barry (... tosto, vabbè), ma la facilità con cui gli sanguinava il naso era mitica; sì, quella era la conferma di Sandy – tanto gli bastava.
    Non credeva di aver avuto tanto bisogno di certezze. Aveva dato per scontato fosse lui, fossero loro, dal primo momento.
    Ma Cristo, stringerlo rendeva tutto ancora più sicuro.
    Aveva bisogno, fosse sicuro. «sei uno stronzo» e Sunday ancora di più, che si era pure tatuato il nome di quel coglione ad memoriam. Ma pensa te.
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    - The Score
    «quel cazzone là è il nostro cazzone?» CJ battè le palpebre, più volte, il capo reclinato sulla spalla nell’osservare il regalo di Abbadon. Era successo tutto troppo in fretta perfino per i canoni del Knowles, che la merda era abituato a vederla arrivare ad ondate piuttosto che a piccoli stronzi: un attimo prima Seth li deliziava con old town road, ottenendo l’approvazione di quei figli di mignotta ignoranti dei vippini (li aveva sentiti i fischi entusiasti alla menzione dei cavalli; gesù cristo, sistematevi il cervello) ed altri decerebrati sparsi, e quello dopo - il nostro cazzone. Fece guizzare la lingua fra le labbra, studiandoli a palpebre assottigliate prima di posare, infine, lo sguardo su Sersha e Sunday: da Hamilton poteva anche aver mandato tutto a puttane, ma aveva imparato la lezione; la sua priorità, erano i vivi.
    E non era certo, che il nostro cazzone lo fosse.
    Nell’universo alternativo, Abby aveva dimostrato un senso dell’umorismo quasi invidiabile, e quello di fronte a loro pareva aver ripreso dal collega del sotto sopra: per quanto ne sapeva CJ, e per quanto ne sapevano tutti loro, poteva aver rarefatto l’aria di quella stanza, ed averli coinvolti in un allucinazione collettiva. Ecco perché piegò lo sguardo smeraldo su Shia Hamilton, generatore di acidi, e Barnaby Jagger, il guaritore - loro avrebbero dovuto esserne immuni.
    A giudicare dai densi occhi bruni di Barbie, il cucchiaio da gelataio ancora appeso a mezz’aria fra la vasca di punch e la bocca, non lo era. Seguì i movimenti del Winston, la bacchetta puntata contro Marcus; osservò quel nano del cugino replicare, ma all’inverso, il gesto del vice, e per un istante, uno solo, fu tentato di andarsi a riprendere Scott, e scuoterlo fino a che anche lui non si fosse fottutamente messo a posto la testa – per una volta, avrebbero anche potuto lasciar decidere agli adulti.
    Ma che diritto avrebbe avuto, CJ Knowles. Se su quel palco ci fosse stato BJ Reynolds, avrebbe reagito in maniera decisamente peggiore: non poteva biasimare Scott Noah Chipmunks, per quella schiena dritta e quel determinato sguardo grigio fisso sull’uomo. «per forza» riportò la propria attenzione sul de thirteenth senza far nulla se non guardarlo: per una volta, una sola cazzo di volta, CJ voleva essere meno realista e più sognatore – meno onesto, e più fallace. Malgrado sentisse pungere sulla lingua un non puoi saperlo, che in altre circostanze avrebbe aggiunto ad un braccio allungato per strattonarlo a sé ed impedirgli di avvicinarsi a ma quel cazzone è il nostro cazzone, il Knowles optò per tacere, e riportare le iridi smeraldo su Barrow.
    Poteva essere lui?
    Era morto. Non era svenuto; non era stato incosciente, quando Abbadon se l’era portato via. Era morto.
    Ma d’altronde
    In quel di oblivion
    Chi non lo era mai stato?
    «l’espressione poco intelligente, è tutta sua.» decretò infine, lapidario ed apatico nello scollare la lingua dal palato, e masticare acre l’aria fra i denti.
    «hai il reggiseno»
    «mi guardi le tette?? certo che ho il reggiseno, ho i capezzoli sensibili - ti disturba?»
    «tette??? capezzoli???»

    Si era distratto solo un (1) secondo: com’erano arrivati a quello.
    «…sandy?» un po’ perchè stava palpando le tette di una ragazza.
    Un po’ perché la ragazza sembrava sull’orlo di un attacco omicida.
    Ma soprattutto: «due sandy?» il sogno erotico di qualunque CJ. Let a bro dream. Tempo di corrugare le sopracciglia e sollevare lo sguardo giada di fronte a sé, e uno dei due Sandy era già sparito. Sersha…? Niente, anche lei dispersa.
    Beh, immaginava fosse giunto il momento di lasciare un po’ d’intimità alle famiglie, prima di prendersi la sua parte di sangue: «chissà se gli ricrescono gli arti» fermò la mano che non curanza era andata a carezzare il tatuaggio della motosega sull’avambraccio, sollevando un sorriso leggero verso il Moonarie. Non aveva davvero voluto dirlo ad alta voce, ma fino a che il suo pubblico era un Joey, poteva permetterselo.
    «barry, CAZZONE DI MERDA, spero la morte ti abbia sistemato l’ordine dei cervelli» ovverosia: se sei davvero tu e vai a sbrodolare saliva sulla faccia della shapherd prima di salutare i tuoi amici, ti sotterro vivo e vediamo se torni.
    «stronzo» il tutto strillato, perchè CJ ancora temeva, ed ancora non voleva sapere, potesse non essere lui.
    Nuovamente, accadde tutto troppo in fretta:
    «fra voi?»
    «sei incinta?»

    Pausa.
    Respiro profondo.
    Rapido segno della croce, che male non poteva mai fare: «oh meo deo.»
    cj knowles
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    - courtship.
    «percy?»
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    «PERCY»
    Mac @ god: so di aver peccato, Signore, ma perché a me. Non aveva neanche un cappuccio in cui nascondersi, Mckenzie Hale, nell’affollata strada londinese che l’avrebbe riportato a quella che oramai considerava casa. Usciva di rado, ma lo faceva. Parlava poco, ma lo faceva. Nell’ultimo mese, Mac ci aveva davvero provato a tornare un essere umano funzionale, qualcuno che meritasse la seconda occasione del quale altri erano stati privati. Gli avevano detto non fosse facile provarci, mac - e tanto se l’era fatto bastare, come opaca giustificazione nell’incrociare liquidi occhi grigi ogni volta che si guardava allo specchio.
    «percy, so che sei tu - fErMaTi» E si fermò, Mac, perché che altra scelta aveva? Alla fine si fermava sempre, e quella scena s’era ripetuta così spesso nell’ultimo mese, da far entrare nel puro dizionario dell’Hale, un nuovo termine: puttaniere, /put•ta•niè•re/, sostantivo maschile; ESTENS. Dongiovanni da strapazzo. Si asciugò al fronte sudata con il polso, un sospiro stanco mentre si voltava ad affrontare il suo destino; sapeva cosa lo aspettava – o almeno, sperava di saperlo. Non erano mai arrivati alla violenza fisica, gli sconosciuti che lo fermavano per strada scambiandolo per …per chi, un suo lontano nipote? Era ancora confuso dalla faccenda Percival, ma non aveva bisogno di sapere chi fosse per odiarlo.
    Per quanto Mac potesse odiare, ossia tre (3) intensi minuti d’orologio per volta.
    Sperava quella non fosse una prima volta, perché come Darden gli aveva ricordato quotidianamente con espressione morbida ma voce ferma, fai davvero schifo, Mac: eh, lo sapeva. Non potevano essere tutti ferrati nel corpo a corpo, altrimenti il mondo sarebbe stato governato da Sylvester Stallone: [yelling] ADRIANAAA (nickyyyyy….jeremyyyyyyy…..; forse il nuovo mondo era già arrivato).
    «ehiiii(…)iii» sorrise cercando (e riuscendo, perchè a conti fatti, lo era) di apparire innocuo, le mani ficcate nelle tasche dei jeans. «com’è?» la ragazza lo squadrò severa e inamovibile, tanto che per un istante – uno! – mac sperò avesse compreso che lui non fosse Percy; oramai smetteva di far notare di avere un fratello gemello, considerando che quando ci aveva provato, le reazioni avevano raggiunto l’isteria, ma non aveva cessato di sperare lo capissero da sé.
    «è tutto quello che hai da dire?» No, in realtà avrebbe voluto dirle che davvero lei non fosse la sua cup of tea, quindi non poteva essere lo stesso percy, ma dubitava avesse tempo –e voglia – di essere informata su universi alternativi, e sulle differenze del mondo lgbt; non lo chiese a Dio perché non era certo avrebbe apprezzato quella domanda, ma perché Percy, oltre ad essere chiaramente più…espansivo di Mac, doveva essere BISESSUALE. Era un incubo che non finiva mai, quello di Mckenzie; non poteva star quieto né fra ragazze né fra ragazzi, temendo sempre che Percival avesse fatto l’infame con qualcuno di loro, e lui dovesse pagarne il prezzo. Per un periodo aveva iniziato a frequentare solo la bocciofila, ma quando anche lì era stato fermato, l’aveva ELIMINATA. CANCELLATA. PER SEMPRE. dalla lista dei luoghi da visitare.
    Perché poi, la parte complessa, era che Mac non voleva quelle persone fossero tristi o arrabbiate con lui, quindi si segnava davvero il loro numero – di conseguenza, l’infame che non chiamava, diventava davvero lui.
    Che stress. Mckenzie era stressato ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette - senza pause. Era un problema che davvero? Non aveva mai – MAI – avuto? Come? Funzionava? Poi voglio dire, santo cielo, Percy era rimasto in quel mondo quanto…meno di un anno, no? AVREBBERO DOVUTO FINIRE, PRIMA O POI.
    [percy, sipping wine doing just fine, accarezzando au!carlo nell’upside down: no]
    «mi dispiace?» ??? qualche volta aveva funzionato.
    «sei davvero….»
    «non fraintendere, sei una ragazza davvero carina, e sono certo che -»
    «UNO STRONZO!!!&&» e via di – cos’era quella volta, granita alla ciliegia? sempre meglio del caffè bollente dell’ultima volta - bicchiere addosso, che pareva una mossa molto in voga di quei tempi. Una parte di lui non poteva fare a meno di essere seccato, sulla lingua un giudicante ed impassibile drama queen; l’altra, stava ben attenta a non dirlo ad alta voce, perché poteva non conoscere nulla di quel secolo, ma non era un deficiente.
    Più o meno.
    «passa una buona giornata!»
    Gocciolando sul marciapiede, salutò allegro il dito medio alzato nella sua direzione: citando pepito, ueppa.

    «ma dai mcchicken, almeno assaggialo!»
    Aveva detto.
    «eddai mac, ma che non fai il brindisi? Su sto bicchiere!»
    Aveva detto.
    «mac, hai provato dalla bottiglia? È più buono!»
    Era l’ultima cosa che ricordava Heidrun avesse detto, prima che diventasse tutto confuso.
    Ricordava di essere arrivato al prom con un Harper stretta al fianco, ma non ricordava che fine avesse fatto la sorella; ricordava, vagamente, di aver fatto delle foto con qualcuno, e di aver salutato Jeremy con un sorriso allegro, ed un finger gun prima di sparire nella folla al grido di «sono terrorizzato, e vorrei davvero andare a casa!» Ricordava di aver accarezzato i capelli di qualcuno chiedendo che shampoo usasse, e di aver poi scoperto si trattasse di uno struzzo.
    Ricordava di essersi seduto per terra a gambe incrociate, bocca spalancata in attesa di tutta la frutta scartata dal Jagger dal punch – e di aver trovato particolare, il sapore di quella frutta.
    Ricordava di aver cercato le stelle, nel buio generale.
    Forse aveva cantato.
    Forse era svenuto in braccio a qualcuno.
    Di certo «VADO» aveva preso un candelabro, e l’aveva usato per colpire al volo un pezzo d’anguria e lanciarlo sul palco a f-f-floydito.
    Che poi «ma non era morto?»
    [stares into the camera] «*chuckles*»
    mckenzie hale
    [far west]
    16 y.o. - time traveler2
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    scusate negli altri non l'ho scritto (perchè non fanno niente) ma mac importuna gente a caso quindi sentitevi liberi di?? essere importunati?? fa foto con qualcuno, parla a sproposito, potrebbe avervi abbracciato o avervi fatte domande esistenziali - lui c'è
     
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    - the workday release
    Inspirò, l’aria a farsi densa sulla punta della lingua, acida al palato.
    Espirò, e nel momento in cui lo fece, Floyd si rese conto di quanto suonasse roco quel respiro – strozzato e rotto, quasi un singulto. Quasi patetico, considerato tutto.
    Considerati tutti, e considerato lui.
    Perché sapeva perfettamente, il colombiano, di non avere alcun diritto nel risultare così spezzato su quel palco, vestito di tutto punto e fresco come una rosa in primavera. Era consapevole, che non ci fosse alcun motivo per quel fiato d’essere tanto rovente nei polmoni, graffiante lungo la gola – perché, capite?, non avrebbe nemmeno dovuto esserci, a pompare ossigeno nei polmoni come se fosse cosa di tutti i giorni.
    Aveva accettato la propria dipartita a ciascun risveglio improvviso in quei sotterranei, ed ogni volta che si rendeva conto d’essere vivo si faceva più palese l’inesattezza di quella conclusione; si era arreso, giorno dopo giorno passato ad aspettare che i propri concittadini si risvegliassero da quella macabra stasi, ad accettarsi che i più piccoli stessero bene – per quanto, naturalmente, possibile – , all’evidenza della sua morte. Aveva abbandonato, da quando era divenuto troppo difficile comprendere quanto tempo fosse passato dal giorno in cui era divenuto martire di una guerra che non lo riguardava, ma che aveva scelto, l’idea di uscire mai da quel posto: in un primo luogo, quella speranza l’aveva covata come un uovo dorato, incapace di lasciarsi alle spalle ciò da cui era stato strappato via senza nemmeno avere modo di opporsi; poi, l’ultimo briciolo di fede aveva offerto il posto ad un terrore che il Villalobos non sapeva di poter mai provare. Che nato ed educato egoista, il suo primo scrupolo era stato patire la mancanza morbosa di un Barbie costantemente nella sua panetteria, i sorrisi leggeri e mai forzati ad ammorbidire le labbra; maledirsi la sprecata opportunità di rendersi ridicolo davanti a Mads e dirle che mh, qualche volta magari… potremmo uscire?; odiarsi, per non aver potuto parlare con Lila, e dirle che non avrebbe mai voluto abbandonarla se avesse potuto; rimpiangere di non avere avuto il tempo per dare a Joey un qualcosa che, almeno un po', potesse sembrare come un futuro migliore. Di rammarichi, ne aveva fin troppi – ma non lo aveva voluto capire dapprincipio, quale che fosse quello ad ancorarlo realmente in quelle segrete.
    «quindi?» non sapeva quanto tempo fosse passato, non sapeva se fossero andati avanti; non sapeva nulla, Floyd Villalobos. L’unica cosa di cui poteva dirsi certo, era che tutti loro l’avessero creduti morti – perché lo erano; a conti fatti, potevano ancora esserlo. Difficile sostenere il contrario, quando controllare il sonno di chi era stato spento equivaleva ad accertarsi che respirasse, e rendersi conto che non se ne poteva essere certi. Complicato dire d’essere vivi, con la consapevolezza d’aver smesso d’esistere per ore.
    Ed a loro, erano stati strappati via tutti quanti – amici, famiglia, amore.
    A loro, spettava ogni diritto in quel di Hogwarts.
    Eppure, ridicolo, era del mimetico l’ansito incerto e lo sguardo vacillante. Indipendentemente da quanto fosse sbagliato, da quanto non gli spettasse, faceva male: aveva cercato d’essere migliore, e ciò che era riuscito a fare era andarsene – ancora.
    «dovremmo davvero fidarci? perché?» si morse le labbra, facendo scivolare lo sguardo fiordaliso dalla punta del bastone fino alle dita a tenerlo, alzando la testa fino ad incontrare gli occhi della Wesley; immaginava di doversi fare la stessa domanda, Floyd. Di dover escludere ogni eventualità, di arrivare a scartare l’idea che non si trattasse dell’ennesimo studio antropologico e sociale di Abbadon – però non era una persona analitica, il biondo. Non ce l’avrebbe fatta, ad esserlo.
    Non quando da sopra la spalla della russa poté notare la figura del Jagger in calzamaglia, o quella di sua sorella poco più lontano, o di Joey, degli Hale, di Bucky e dei Freaks, dei vippini; non quando le iridi nocciola della ragazza di fronte a lui parevano così dense da potercisi tuffare dentro. «io…» deglutì, avvicinandosi di un passo fino a poter sentire l’arma contro il torace: vulnerabile «non lo so, mads», che se avesse voluto avrebbe potuto colpirlo in qualsiasi momento e non doversi più porre il quesito. Sarebbe stato più facile rispondere di sì, dissipare ogni dubbio – suo e proprio – , ma non sarebbe stato onesto. Come poteva non esserlo?
    Ed avrebbe voluto dirglielo, che avesse paura. Una paura fottuta, ed a quel punto non avrebbe saputo spiegargli nemmeno di cosa – di fidarsi, soprattutto. «mi –» dispiace così tanto, mads. non volevo lasciarvi. «sei mancata. mi siete, mancati» fu, invece, l’unica cosa che gli fece alleggerire il peso nel petto.
    Un minimo, non abbastanza.

    Un peso, quello sul petto, che Chariton Deadman – ironia bastarda, quella di chi gli aveva dato quel nome: più giorni passava da uomo morto, più si domandava se dovesse farlo diventare un marchio registrato o se fosse ideale cambiare cognome – sperimentò in maniera più fisica che non metaforica.
    Certamente anche quest’ultimo faceva la sua dannata parte, a scavare come un maledetto fino a toccare corde che Shot stesso fino a poco tempo addietro aveva ignorato – ma era uno Shot. Aveva sofferto quel primo risveglio più per la confusione, che non realmente provato dall’esperienza stessa del proprio decesso, testimoniato dalle due dozzine d’altri cadaveri dai quali si era ritrovato circondato non appena aveva aperto gli occhi. Perché, onestamente, quella era la prima opzione che aveva scartato; era impossibile morire per lui, a meno che non gli sparassero in testa – cosa che era abbastanza certo non fosse successa.
    Il fatto, era che non ci fosse più Murphy a stringergli la mano. Solo più tardi poté capire di quanto fosse stato fortunato a svegliarsi senza di lei, ma in quel preciso istante? Era l’ultima cosa di cui avesse memoria, e tutto ciò che avrebbe voluto avere quando che avesse riaperto gli occhi.
    C’erano arrivati, capite? Per giorni, non aveva potuto accettare d’essere morto perché significava averla persa di nuovo. E con lei, aveva perso l’occasione di riabbracciare Run e Arci senza bisogno di correre a cercare un passaggio; di conoscere Will, ed Akelei e Ken, in un tempo in cui non fossero costretti a sopravvivere lontano da tutto e da tutti; di rivedere Lydia, Sin e Jaden; di essere un padre per Kieran.
    Ma poi, il pragmatismo aveva preso il sopravvento. Si era detto che fossero vivi, che stessero bene – che in un modo o nell’altro, la sua assenza non avrebbe influito a lungo sulle loro vite.
    Si era messo l’anima in pace, per rendersi conto solo quando «murph???» gli piombò addosso con la grazia di un rinoceronte africano e la furia di un’amazzone, di non averlo mai fatto realmente.
    «ti sei ingrassata?» eh, perché mica la resurrezione gli aveva dato il dono del tatto, a Chariton Shot Deadman: se possibile, aveva perso gran parte di quel poco che aveva guadagnato negli ultimi due anni. Fortunatamente, la ragazza era talmente presa a prenderlo a pugni che non ci fece nemmeno caso – o forse sì, e quel pugno sul naso ne fu la giusta conseguenza.
    Era scettico, il guaritore. Lo era sulla propria presenza lì, sulle controindicazioni che sarebbero certamente arrivate nel momento meno opportuno; lo era su ogni singolo dettaglio di quella situazione. Non era affatto certo che nulla di quanto stesse vivendo fosse reale, a dire il vero.
    Ma quando premette le labbra contro quelle di Murphy, non gliene importava già più.
    Si era trattato di un attimo solo, un infinito secondo a premere contro le costole – ma non aveva chiesto di più per tutto quel tempo, Shot.
    Un attimo solo: una misura di tempo che, come ormai sapeva, poteva sconvolgere tutto quanto in maniera drastica.
    «SJFMDMFNSNSNAN, VI SPOSATEH???!?!?!1??»
    «fra voi?»
    «sei incinta?»
    «in che sensoh» oh, non poteva lasciare sola la Crane per due anni che questa faceva i bordelli. «murph… al sta avendo un infarto» così eh, per dire.
    shot + floyd
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    io non... so davvero, non leggete, ciauz SCUSATE vi amano tuttih troppo sonno


    Edited by insomniac; - 2/8/2019, 12:13
     
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    Le erano mancate diverse cose di quel tempo, e Hogwarts non era certamente una di quelle. Fosse dipeso da lei non si sarebbe degnata a metterci piede fino a settembre, ma la promessa di cibo e bevande gratis era stata abbastanza da scollarla dal suo letto. Anche dopo un mese passato nel presente ancora non si era abituata a tutto quel rumore e al quantitativo di gente esagerato, per non parlare dell’acqua corrente. Almeno le persone di merda erano le stesse, su quel fronte non si era persa niente. Un mese in quel posto di merda e ancora non si era abituata alla vista di William e Akelei, nonostante vivesse con il primo, una scelta presa in un momento poco consono e della quale fingeva di pentirsene ogni giorno anche se – Dio, avere un tetto sopra la testa felt good. E poi, i suoi coinquilini erano sempre meglio delle sue famiglie adottive, non che gli standard fossero particolarmente alti. «quel cazzone là è il nostro cazzone?» la bionda continuò a bere dalla propria fiaschetta, senza dare indicazione di essere interessata a ciò che era esploso attorno a lei. Perché disturbarsi, quando poteva continuare a fare finta che suo fratello non fosse tornato dal mondo dei morti? Non conosceva Abbadon e non aveva idea di cosa volesse da loro, ma di certo non si sarebbe fatta incantare da un paio di fantocci. «non cascarci, non ne vale la pena» non fece in tempo a finire che Sunday decise di intervenire dall’alto del suo genio «per forza» aprì la bocca, quasi a ricordargli di non essere un idiota, richiudendola qualche momento dopo ad osservare la certezza sul viso del fratello. Non osava sperare, la Kavinsky, fottuta troppe volte dalla vita da aver perso ogni fiducia nel mondo; non poteva saperlo se quello a pochi metri da lei fosse davvero Barrow, o se Abbadon si fosse divertito con un’illusione, o degli allucinogeni. «l’espressione poco intelligente, è tutta sua» ma veramente? Spostò gli occhi in alto (molto in alto), inarcando un sopracciglio biondo a CJ: era diventato scemo anche lui? Lo sapeva che U&D gli avrebbe bruciato il cervello, non tutti potevano resistere a quel trash senza che il loro cervello venisse compromesso. «beh, non ci resta che scoprirlo» dichiarò piatta nel dirigersi verso quel cazzone di suo fratello, sperando che fosse lui solo per dargli finalmente ciò che meritava, aveva aspettato quasi due anni era ora che pareggiasse i conti. Non osò cercare nella stanza i volti di William e Akelei, più preoccupata dal fatto che fosse costretta ad interagire con loro che per la risurrezione del fratello - vedete, la famiglia Barrow-Beaumont aveva raggiunto un fragile equilibrio in quel mese, che comprendeva il far finta di non sentire i due scopare mentre lei era nella stanza accanto, e il non sprecare troppo fiato in conversazioni inutili: l’aveva reso abbastanza chiaro nell’uccidere i suoi pancakes ogni mattina a colazione. Non si preoccupò di passare inosservata mentre si dirigeva verso il Cooper, non che dal suo metro e sessantatré spiccasse tra la gente, optando per un approccio diretto piuttosto che per un coltello conficcato nei reni. Se lo sarebbe meritato, ma l’occhiata di Sandy era bastata a farle cambiare idea, e va bene quella volta si sarebbe comportata bene. «sei una merda» arrestò il suo passo fino a fermarsi davanti a lui, rimanendo immobilizzata per un momento - era un conto progettare il suo omicidio dall’altro lato della stanza, ma vederlo da vicino l’aveva sconvolta più di quando ci tenesse ad ammetterlo.
    Aveva aspettato un anno e mezzo, solo per perderlo in una manciata di secondi.
    Aveva a malapena potuto stringerlo tra le braccia, prima che le venisse strappato via.
    Non voleva essere illusa, solo perché potessero portarglielo via un’altra volta.
    Aspettò che Sandy finisse la sua piccola riunione, stabilendo che un po’ di sangue dal naso non fosse abbastanza per quello stronzo del fratello «questo è per essere morto» un colpo allo stomaco, per prima cosa «e questo è per il resto» e poi un secondo pugno al naso, siccome Sunday non era riuscito a frantumarglielo. Sentiva qualcosa simile alla speranza premere contro ogni barriera di rabbia che aveva alzato, non avrebbe permesso di essere fottuta un’altra volta, aveva prima bisogno di sapere che quella era la loro merdina.
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    «jess?» Se ne fosse stata in grado, la ragazza avrebbe afferrato la mano dell'amica per rassicurarla, e farle capire che sì, era lì. Se solo fosse stata più forte, avrebbe subito fatto qualcosa per tranquillizzarla, per farle capire che era tutto sotto controllo: era la maggiore, Jess Goodwin, anche se solo di un anno, ed aveva fatto propria la missione di edulcorare il mondo per Erin Chipmunks fin da quando, quasi senza accorgersene, erano diventate una famiglia.
    Ma bisognava ammetterlo: non aveva poi fatto un buon lavoro. Quante, le volte in cui era toccato alla Chips prendersi cura di Jess e non il contrario? Per quanto mascherati da sorrisi e risate tanto forti da far male, alla fine i problemi della Goodwin avevano sempre trovato un modo per riemergere in superficie.
    Per quanto lei avesse tentato di affogarli nell’alcol
    E diciamo che morire non era stato d’aiuto: tante, troppe volte, nei brevi attimi di tempo in cui Abbadon la risvegliava, la Goodwin avrebbe soltanto desiderato un bicchiere tra le dita ed un modo per cancellare la paura che provava.
    Perchè vedeva Erin dormire, e rimaneva paralizzata dalla possibilità che gli occhi non li avrebbe mai più riaperti. Perchè le rare volte in cui Abbadon la graziava riattivandola nello stesso momento di Stiles, tentava davvero di creder alle parole del ragazzo, al fatto che sì, sarebbero usciti di lì, ma ogni volta non ci riusciva fino in fondo. Perchè finalmente aveva avuto l'occasione di spiegare a Barry ciò che le era successo, anni prima, e di chiedergli scusa per esser sparita nel nulla ed averlo totalmente ignorato una volta tornata la prima volta dal (fake) regno dei morti, e non voleva perderlo di nuovo. Era terrorizzata, Jessalyn Goodwin, perchè sentiva la possibilità di morire oscillare sulle loro teste come una spada di damocle, pronta a colpirli al minimo cambiamento d'umore di Abbadon.
    Li poteva uccidere tutti, di nuovo, e nessuno avrebbe potuto far molto per aiutarli. O per aiutarsi a vicenda.
    Non sapeva neppure quanto tempo fosse passato, in quel bunker: sarebbe stato impossibile calcolare il tempo anche sforzandosi di farlo, in una situazione simile. Quello che sapeva era che, quando rivide tutti, il suo primo istinto fu quello di fuggire via: erano state troppe le volte in cui, nei suoi ricordi, si era illusa fosse reale. Poi col passare del tempo aveva imparato a non fidarsi, a ripetersi che era tutto finto e da un momento all’altro avrebbe riaperto gli occhi nel bunker, senza alcuna possibilità di uscire.
    Poi però «abbassa la bacchetta, scott»
    E nella sua testa, mai una singola volta Scott Chipmunks aveva puntato un’arma contro di lei. O contro Erin. E poteva esserci una sola spiegazione, per un evento simile: così come loro, anche lui aveva paura.
    Ed era reale
    Lanciò una rapida occhiata ad Erin, per poi riportare lo sguardo sulle persone davanti a sé. Erano davvero loro: in abiti eleganti e sguardi sconvolti, ma erano loro. Rimase paralizzata un attimo in più, Jessalyn, mentre il tempo sembrava aver ripreso a scorrere normalmente, e le persone a uscir da quello stato di stand-by iniziale. E tornò a sorridere, sorridere davvero, solo quando vide Murphy aggredire Shot in perfetto stile Madagascar e Barry venir preso a cazzotti dai fratelli.
    Era davvero a casa.
    Un attimo dopo, la mora per poco non cadde a terra per l’impatto improvviso con ..uno? no due!!! figure sbucate dal nulla «JESS LO SO CHE DOVREI FINGERE DI CREDERE TU SIA UN FANTASMA MA ORA ABBRACCIAMI» AWWWWWWWWW «FORSE ORA LO SONO DAVVERO!!!&&» Lo era???? Aveva ancora i suoi dubbi a riguardo, ma era felice di poter abbracciare le persone senza passar loro attraverso «SAPEVO SARESTI TORNATA, L’HO DETTO SEMPRE!!!&&& DIGLIELO NICKY, QUANTO TEMPO SONO STATO AD ASPETTARE?????» MA CUCCIOLO DI UN BEH, evidentemente lui pensava ancora che fosse un fantasma!!& Stritolò forte entrambi, grata all'universo e a tutti i pancakes del mondo (cosa) della possibilità di rivederli di nuovo. «ci siamo presi cura dei vostri pokemon!!!» !!!!! «stanno bene??» ma che domande, era quasi offensivo chiederlo: nelle mani dei losers, non aveva dubbi avessero ricevuto le migliori cure «STATE BENE?????» E così, ritrovata la gioia di vivere e presa dall'euforia del momento - fai mai che Abbadon avesse deciso di ucciderla di nuovo da un momento all'altro ah ah ah ah - la Goodwin iniziò a stritolare in abbracci un po' tutti quanti, perchè LE SIETE MANCATI TUTTI VI AMA TANTO QUANTO SIETE BELLI. E anche a...fare foto??? Di solito le persone non si facevano foto con lei, OMG ERA DIVENTATA FAMOUS???????
    «SJFMDMFNSNSNAN, VI SPOSATEH???!?!?!1??»
    «fra voi?»
    «sei incinta?»
    «in che sensoh»

    RUN SI SPOSAVA?????????? JESS ED ERIN DOVEVANO ASSOLUTAMENTE ANDARE A CERCARE I VESTITI DA INDOSSARE!!!!!!
    «AAAAAAAA MA È FORSE IL PARADISO QUESTO????»
    Sperava davvero di no, ma non si può mai star troppo sicuri #oblivion
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    prima abbraccia nicky e beh, poi TUTTI QUANTI PERCHÈ LE SIETE MANCATI TANTISSIMO


    Edited by #rayofsunshine - 2/8/2019, 13:31
     
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    Mentre applaudiva senza alcuna voglia di farlo, Narah si girò verso la bionda al proprio fianco. «Fitz… io non- Fitz, non mi sembra il cas-»
    «grande entrata in scena! Much effetti speciali! Very bello!» semmai effetti special ihih #battutona #no
    Come non detto. Era una causa persa in partenza, cercare di far capire a Fitz che quella sera non sarebbe stato il caso di… be’, di… fare quello che stava facendo, sostanzialmente. Ma mica poteva rimproverarla! Insomma, sotto un certo punto di vista meno male che almeno qualcuno era allegro e le voleva bene anche per le sue uscite fuori luogo. Guardandosi intorno, di facce felici ne aveva visto davvero poche, ed era pur vero che sarebbe stato assurdo notare il contrario. Narah stessa, vedendo il monumento con tutti i nomi dei deceduti, non aveva potuto sopprimere una forte sensazione di tristezza e dispiacere; tristezza per chi non c’era più, dispiacere per coloro che soffrivano l’assenza dei loro cari. Non conosceva nessuno dei caduti, se non di vista, ma sarebbe stata un’insensibile a non condividere una millesima parte del loro stato d’animo – e insensibile era l’ultimo aggettivo che le si poteva attribuire.
    Certo, il fatto che i morti stessi fossero comparsi davanti ai loro occhi, apparentemente vivi e in salute, aveva cambiato le carte in tavola. Narah era rimasta a fissarli uno a uno, sgomenta, senza capire come fosse possibile, come fosse successo, per poi spostare la propria attenzione su Abbadon. Doveva essere sincera? Abbadon non le piaceva neanche un po’ ed essendo una Special si sentiva in colpa per questo, e dopo quel trucchetto – come l’aveva chiamato Fitz – l’inquietudine nei suoi confronti si era rafforzata.
    Tentò di non pensarci, di lasciare che fossero i diretti interessati ad essere sospettosi, sgomenti, scioccati e soprattutto, presumeva, felici dalla presenza delle stesse persone per cui era stata organizzata quella festa. Nah non poteva che… rallegrarsi, nonostante non trovasse un senso a quello che stava succedendo.
    Si passò una mano sulla nuca, come di consueto a disagio in mezzo a tutta quella gente, che poi era il motivo per cui se ne stava ben aggrappata al braccio di Jane come se avesse voluto mettervi radici. Rispetto a mesi prima, in cui aveva visto per la prima volta Jane Gabriel in circostanze piuttosto sfavorevoli – tipo lei vestita da odalisca di ritorno dal Lilum e un ragazzo mai visto più svestito che vestito col pigiama della sua migliore amica addosso. Tipo eh –, era diventata ordinaria amministrazione vederla in quelle sembianze.
    Senza contare che il sarcasmo c’era tutto anche in versione maschile, quindi era Jane.
    Non avendo molto altro da fare, la telepate si lasciò trascinare rassegnata dalla Jitz, in silenzio perché loro due parlavano già per tre. Distratta dal tentativo di individuare Gideon nella calca agitata di gente, quasi si fece fregare in un allegro selfie col morto, ma divenne invisibile alla visuale della fotocamera prima che riuscissero a immortalare anche lei. Cioè, c’era ma non si vedeva. Non che fosse scaramantica(?), semplicemente Nah odiava farsi fare delle foto, come doveva mettersi? Doveva sorridere, fare qualcosa??? Decisamente troppo difficile. E poi non le sembrava il caso!!
    Le scappò un sorriso venato di perplessità e, mentre le sue amiche erano intente a spezzare il mood con la loro collezione di selfie con i redivivi(??) – ma inquietava solo lei quella faccenda? –, osservò la stanza in cui gente abbracciava gente, gente ne picchiava altra e poi c’erano quelli che affogavano i dispiaceri nell’alcol. Li preferivano morti? BAH!!1! Arrossì di colpo, trovando il ragazzo che stava cercando: accennò un saluto timido in direzione di Gideon, accanto a sua sorella e l’amico Perses, il cuore che automaticamente aveva iniziato a battere un po’ più veloce. Probabilmente sarebbe riuscita a raccogliere il coraggio necessario per fare lo slalom fino a raggiungerlo, salutarlo per bene e chiedergli cosa pensasse di ciò che era appena successo, ma fu frenata proprio dalla presenza di Hazel e Perses che, per motivazioni diverse, la mettevano sotto pressione. Specialmente Hazel, dato che Gid non le aveva fatto mistero di quanto la Grifondoro fosse una questione spinosa per quanto riguardava… chiunque gli si avvicinasse e non fosse un ragazzo. Figuriamoci Narah.
    A salvarla dall’indecisione ci pensò Fitz, che la strattonò assieme a Jane in un effetto catena. «FIIIIIITZ,» Le dispiaceva rovinarle il divertimento ma spettava a lei il compito di calmarla ed evitare che spaventasse a morte letteralmente quelli che la circondavano. Anche se in quel caso Fitz – e questo non le sarebbe piaciuto, se gliel’avesse detto – era la cosa meno spaventosa della serata. Ma sì, che male poteva fare? Gli occhi di Narah si spostarono, fermandosi, legandosi alla figura di Jessalyn Goodwin. Senza un perché, senza una spiegazione logica, avvertendo una specie di stretta al petto che attribuì alla contentezza di vederla viva, di nuovo circondata dai suoi amici. Si trattava di questo; che altro, sennò?


    16 Y.O. | TELEPATH
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