The Longest Night

Hunter x Charlie

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    Segue questa discussione.


    I am not a hero.
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    La rabbia e il nervosismo erano rimasti indietro, bloccati nella Sala Torture. Non li sentiva più montare a ogni passo, non percepiva più la magia fremere al punto da fargli quasi desiderare si accendesse la scintilla in grado di far scoppiare qualcosa. Qualunque cosa. Rissa o duello di incantesimi non aveva importanza. Era conosciuto come l’Oakes pacato e razionale, quello che utilizzava il cinismo come scudo difensivo, che si lasciava scivolare addosso ogni cosa. Quella notte, però, tutto era andato storto, lasciandolo in balia di emozioni e sensazioni che faceva fatica a metabolizzare. Aveva superato quella linea sottile oltre la quale c’era solo l’apatia. Era stanco, fisicamente e mentalmente. Era provato, perché se da un lato avrebbe dovuto onorare l’obbligo che la spilla di Prefetto gli imponeva, dall’altro non voleva condannare nessuno. Perché non era un violento. Non era un codardo. Non era neanche uno stronzo. L’indomani si sarebbe svegliato col rimorso di aver fatto la scelta sbagliata, di aver venduto i propri compagni, solo con la consapevolezza di essere fottuto. Le labbra si incrinarono in un sorriso di scherno al pensiero che, quella volta, era stato proprio lui a mettere a repentaglio la sua intera carriera accademica, per restare ottimisti. Non Halley, la ribelle di cuore che si batteva per i diritti di qualsiasi specie animale o vegetale, essere vivente o cosa inanimata, bensì lui, a quanto pare ex fratello responsabile e con la testa sulle spalle. Il professor Cambpell era stato limpido come un Veritaserum: tutti si sarebbero dovuti presentare nel suo ufficio e l’unica certezza di quella frase era che non ci sarebbero stati sconti per nessuno. Alla fine, ognuno dei presenti era stato coinvolto senza la benché minima possibilità di appello, per quanto questo potesse sembrargli ingiusto era forse l’unica alternativa: che si fosse andati lì con l’intento di far cambiare idea agli occupanti o meno. Erano stati tutti posti sullo stesso piano di quella che, con ogni probabilità, sarebbe stata una giustizia sommaria.
    Si passò una mano tra i capelli, come se rianimare quei fili sottili potesse smuovere qualcosa in lui, accendere uno sguardo ormai perso nel nulla. Cosa gli sarebbe rimasto da fare in quelle ore una volta predisposta l’Infermeria per il giorno dopo? Probabilmente avrebbe potuto scrivere il suo testamento, giusto perché era un ragazzo realista e previdente. Aveva talmente poche cose che non ci avrebbe impiegato più di cinque minuti: a Nicky avrebbe lasciato tutti i suoi libri di astronomia, così, forse, si sarebbe sentita un anno luce più vicina a casa; a Meh avrebbe lasciato le sue camicie di flanella e i suoi cappellini, perché erano fighi; Beh si sarebbe ritrovato con il suo zainetto magico super estendibile, così avrebbe potuto portare con sé tutto il necessario durante i suoi viaggi a caccia di Pokémon. Rudolph avrebbe potuto avere la sua stanza in Istituto e Halley tutti i suoi skateboards, la collezione di funko, miniatures e figures di Star Wars, la maglia originale di Ramsey – avrebbe disposto la indossasse ad ogni partita giocata dall’Arsenal – e, soprattutto, la sua batteria. Se fosse stata una persona egoista, avrebbe lasciato scritto che nessuno avrebbe potuto suonarla; ma credeva nel potenziale dei name-not-found e nel fatto che avrebbero scelto un degno batterista che avrebbe preso il suo posto, per questo avrebbe avuto il permesso di suonarla ad ogni loro live.
    Fine. Non c’era nient’altro. Gli serviva solo una pergamena e una piuma per mettere tutto per iscritto. Melodrammatico? No, solo realista. Onestamente, quante chances avevano di sopravvivere indenni alla mattina successiva? O di sopravvivere e basta.
    Arrestò il passo quando sentì la voce alle sue spalle, ma non si girò subito. Aveva cose più importanti da fare – tipo organizzare il proprio funerale e scrivere il discorso che non avrebbe mai pronunciato durante il conferimento del Nobel per la scienza (o quello per la vittoria del primo Grammy dei 404, stessa cosa) – che stare lì ad ascoltare quello che l’altro aveva da dirgli. Aveva avuto due mesi, DUE, per parlare con lui e lo aveva ignorato. Aveva invertito le ronde per evitare di capitare in coppia con lui e, cosa ancora più grave, non si era mai presentato per lezioni extra di Combattimento Corpo a Corpo.
    Gli rodeva. Aveva passato ore e giorni interi a chiedersi se fosse lui ad essere sbagliato, se avesse commesso un torto irreparabile, a cercare una dannata spiegazione per quella sparizione inaspettata.
    Non una parola.
    Non un biglietto.
    Niente.
    “Non so se te ne sei accorto, ma forse queste sono le ultime ore che potremmo passare nel Castello. Arriva al dunque.”
    Incrociò le braccia, ricambiando lo sguardo dell’Anderson con uno privo di espressione. Non era un comando, non era un’esortazione, non era niente. Non voleva fosse niente, forse perché non gli importava cosa avesse da dire. Doveva svegliarsi prima, non stava ad Hunter fare il primo passo nella sua direzione e quella notte aveva già fatto abbastanza. Per sé, per Charlie, per tutti.
    Fissò il Serpeverde per un lungo istante, quasi perplesso. Non sperava fosse rinsavito tutto d’un colpo, ma non credeva neanche lo stesse prendendo in giro, sebbene non si fidasse propriamente del suo metro di giudizio, non in quel momento, almeno. Arrivò persino a domandarsi se quella proposta di compagnia, più che uno scherzo, non fosse in realtà una richiesta da parte dell’altro Prefetto.
    “Niente più favori, Anderson. Credo tu abbia perso questa prerogativa settimane fa.” Iniziò quasi atono, non propriamente convinto delle parole del coetaneo, nonostante avesse espresso la sua volontà a parlargli poco prima di fare irruzione nella Sala delle Torture.
    Si massaggiò piano le palpebre, riflettendo sul fatto che, in fondo, non avesse davvero più nulla da perdere.
    “Se accetti quest’unica condizione, seguimi. Altrimenti fa’ un po’ come ti pare.”
    Non era più un suo problema. Era come se si fosse lasciato indietro qualcosa uscendo da quella maledetta stanza e che, ormai, quel qualcosa fosse quasi del tutto irrecuperabile. Era una sensazione strana, imprecisa, dai contorni sfuocati.
    Non gli andava di discutere, ma neanche di tirarsi indietro davanti a quella proposta così lontana dal modo di fare solito dell’Anderson. Fosse stato per lui, sarebbe rimasto a fissare il soffitto per ore, o le pagine di un libro che avrebbe preso dallo scaffale senza neanche prestare attenzione alla copertina, figuriamoci al contenuto.
    C’era solo un luogo dove sarebbe potuto andare in quel momento, che avrebbe potuto aiutarlo a calmarsi? No, era fin troppo tranquillo. Sfogarsi? Non aveva neanche la forza di urlare, figuriamoci di fare altro. Trovarsi. Ecco, forse quello sarebbe stato il verbo giusto, quello che stava cercando in quel momento.
    Si incamminò in silenzio, senza voltarsi, verso la Torre di Astronomia. Se fosse stato abbastanza fortunato e se il cielo avesse deciso di graziarlo, forse sarebbe riuscito ad osservare la costellazione di Orione, la regina delle notti invernali. Non che ci sperasse davvero, ma gli sarebbe piaciuto vedere un’ultima volta (forse) quello spettacolo dalla torre più alta del Castello. Entrò nella piccola aula circolare, i movimenti fluidi e attenti di chi ormai era abituato a muoversi in quella penombra, e si andò a sedere su uno sgabello vicino il telescopio che puntava a sud.
    “Allora, di cosa volevi parlarmi?”
    Degnò, finalmente, l’Anderson della sua attenzione, prima di evocare il suo piccolo kit di sopravvivenza e iniziare a girarsi una canna. Tanto, dopo quella notte, cos’altro avrebbe avuto da perdere?

    Hunter Oakes | 17 y.o.
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    10.09.2001 | 10.06.2017
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    Se lo meritava. Aveva accettato a testa bassa la reazione del corvonero nei suoi confronti – come si era comportato negli ultimi due mesi? Da stronzo. Si era comportato da stronzo menefreghista. Ma aveva buone ragioni. Ragioni che Hunter – evidentemente – non sapeva. Non ne aveva la più pallida idea. Tuttavia non stava chiedendo favori – il tempo dei giochi era finito e lo sapevano entrambi molto bene. Alla fine dei conti Hunter era uno dei pochi – lì ad Hogwarts – che per Charlie si avvicinava alla definizione di “amico”. Anche se oltre agli impegni da prefetti e le lezioni extra, non avevano mai davvero parlato molto – soprattutto perché il serpeverde era abituato a non aprirsi. Quindi aveva incassato il colpo, cosciente del fatto che al corvonero – la sua presenza – non faceva né caldo né freddo. Anzi, forse avrebbe preferito non avere Charlie tra i piedi in quel momento. A quel pensiero si era fermato un attimo, giusto qualche secondo, guardando il corvonero avviarsi altrove – prima d'incamminarsi con lui. Avrebbe potuto andarsene, invece di seguirlo. Avrebbe potuto dire “Okay, allora ciao”. Ma non l'aveva fatto. Quella notte non solo aveva messo a rischio se stesso – decidendo di non chiamare i professori – ma aveva anche scelto di dare spiegazioni sul suo comportamento negli ultimi mesi. E doveva essere premiato, per questo? No. Stava solo facendo la cosa giusta, per una delle poche volte nella sua vita. Voleva dire tanto, nel suo piccolo – ma non abbastanza per il corvonero. Non abbastanza perché riuscisse a capire gli sforzi, quel cercare di piegarsi a se stesso – di mettere a tacere per quella notte la maschera che lo stesso Charlie aveva costruito e che indossava ogni giorno alla perfezione. Non era colpa di Hunter – che come gli altri, non riusciva a capire il serpeverde. Si era guardato intorno, una volta arrivato nella torre di astronomia – in cui non andava quasi mai se non per lezioni. Non si era mai fermato davvero a fissare il cielo di notte, illuminato da tutte quelle stelle – e che per molti era uno spettacolo. «Allora, di cosa volevi parlarmi?» Charlie spostò finalmente lo sguardo verso Hunter, rimanendo per un secondo senza parole. Si era perso nei pensieri, e quella voce lo aveva fatto cadere bruscamente dalle nuvole – come un brutto risveglio. Ecco la realtà, di nuovo. Ho messo io il filtro d'amore nel punch. Cioè..teoricamente lo ha fatto JJ, ma l'idea è stata mia. Ma comunque non lo sa nessuno..e non è questo il punto, in ogni caso. Si stava allargando con il discorso, più del dovuto. L'ho bevuta anche io perché.. Pensandoci bene, non era importante dire ad Hunter il perché di quella sua scelta. Si era fermato, sentendo la gola improvvisamente secca, prima di scuotere la testa come per dire “niente d'importante”. Così, per provare. A malapena riusciva a guardare il corvonero in quel momento. Si era schiarito la voce, spostando lo sguardo sulla canna che stava facendo il ragazzo, prima di continuare a parlare – con la speranza di non fermarsi nuovamente fra una parola e l'altra. Insomma, dopo aver bevuto il filtro mi sono messo a guardare per puro caso una ragazza che era di spalle, perché aveva un bel vestito che riusciva a cambiare colore, senza contare il fatto che ero fin troppo fatto..e sai che cosa c'è di ironico in tutto questo? Che quella non era una ragazza, ma tu. Non ricordo molto, ma ho impressa nella memoria una scena di te a petto nudo, probabilmente fatto tanto quante me, e ubriaco. E moine, credo. Ho paura di averci provato spudoratamente con te per colpa di quel filtro. Hai la minima idea di ciò che significa? Potrei aver fatto una grossa cazzata davanti a tutte quelle persone. Niente, ancora non riusciva ad alzare lo sguardo – ma solo ad incrociare le braccia rimanendo con la fronte corrugata. Ti sei mai davvero chiesto perché io sia sparito il giorno dopo halloween? Sul serio Hunter, che cazzo. Uno non smette di parlarti da un momento all'altro senza una motivazione. Non ti è mai passato per l'anticamera del cervello che, magari, avessi una buona scusa? Pensavo fossi più intelligente di così. E lo so che non mi sopporti, che ti scoccia parlarmi e che lo fai solo perché mia sorella è nella band. Ti fa comodo perché ogni tanto vado a zonzo con le vostre magliette e gli altri lo notano. Anzi no, ti faceva comodo. Hai sentito Heather, mh? “Se non ci espellono, dì pure addio alla tua vita sociale ad Hogwarts”. Che tradotto, tanto perché tu lo sappia, significa “diventerai uno sfigato”. E a Charlie non piaceva affatto quell'idea. In due mesi non ti sei degnato neanche una volta di alzare il culo per venire a cercarmi e avere delle spiegazioni, visto che mi hai detto stasera di esserti sentito umiliato. Umiliato per cosa? Io non mi sono fatto vivo, è vero, ma tu hai fatto qualcosa? Avresti potuto chiedere a Rose, o presentarti davanti la sala comune dei serpeverde oppure..non lo so. Qualsiasi altra cosa. La verità è che a te non interessa un fico secco, ma preferisci comunque farmi credere di sentirti offeso e umiliato per..Mi sfugge il motivo. Pensi davvero che aspettare qualcuno con le mani in mano sia la scelta più giusta da fare? Hai due gambe e due braccia funzionanti, mi sembra. Io ho deciso di allontanarmi perché ero in imbarazzo, pieno di vergogna e avevo paura che tu non volessi più avere niente a che fare con me per la storia di halloween. Perché quando le cose si complicano, me la squaglio. E le persone, beh..le persone me lo lasciano fare. E va bene così, no? Perché alla fine se qualcuno tiene a te anche solo un pochino, non ti lascia sparire in questo modo. Aveva fatto spallucce con le mani in tasca, guardando fuori dalla torre di astronomia senza dire altro. Doveva prendere fiato, riflettere su quello che aveva appena detto in modo del tutto spontaneo. Infine aveva guardato verso l'uscita della torre, fissandola qualche secondo e facendo un paio di passi in quella direzione - prima di fermarsi e degnare finalmente Hunter di uno sguardo. Mi prendo tutte le colpe. Anche quella di stasera, di come è andata a finire, se questo ti fa sentire meglio. In fondo è colpa mia se Cambpell ha deciso di punire anche noi. Mi avevi detto di chiamare i professori e non l'ho fatto. Aveva creduto davvero di poter risolvere le cose nel migliore dei modi – anche con i suoi gesti un po' bruschi. Dì questo a tua sorella, quando te lo chiederà. Dille che è tutta colpa mia.
    ABRACADABRA!

    Nope. You're still a bitch.
    20.12.2018 | 16 y/o | slytherin
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    Charlie
    Anderson
     
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    Hunter soppesava ogni scelta quasi potesse essere l’ultima della sua vita. Era sempre lì a pensare se stesse facendo la cosa giusta o meno, a stilare una lista di pro e contro per ogni cosa. Al momento, il dramma esistenziale che aveva davanti e che non riusciva a risolvere era quello se farsi un purino o meno.
    Metti il tabacco o togli il tabacco? Questo è il dilemma.
    Fissò per un lungo istante il grinder che aveva tra le dita, valutando se fosse il caso di utilizzare le ultime riserve di erballegra da solo, senza aver prima avvisato Halley. La bionda lo aveva già centrifugato come un calzino solo per il sospetto avesse fumato senza di lei, non osava immaginare cosa sarebbe potuto succedere qualora effettivamente si fosse fatto senza prima avvisarla. Ma, in quella circostanza, come avrebbe potuto? Le avrebbe dovuto scrivere un messaggio? Dicendole cosa, poi? Ehi, domani faccio un giro in Sala Torture perché mi hanno beccato mentre provavo a dissuadere gli occupanti che volevano dare il via a una rivolta non ben organizzata. Ti volevo solo dire che ho finito il nostro oro verde per allentare la tensione ed evitare un attacco di panico. Scusa se ho fumato da solo. Non ti preoccupare, se dovessi tornare a Londra, la prossima la pago tutta io.
    No, la Grifondoro lo avrebbe ucciso. Sentiva già il brivido di paura corrergli lungo la schiena e le dita della sorella colpire la pelle liscia e imberbe del suo viso. Certo, se tutto ciò si fosse limitato a dover contenere la reazione della sorella, poco male, le sue mosse gli erano statisticamente prevedibili; tuttavia, era il mix Queen e Oakes il problema.
    Sospirò appena, prima di sistemare il trinciato sulla cartina trasparente, la precisione di un chirurgo che si approccia a un intervento a cuore aperto. Ormai, non c’era molto altro che potesse fare per evitare il suo destino, tanto valeva entrare nell’ufficio del Cambpell in grande stile, pronto ad accogliere quella decisione che aveva già il profumo di un’espulsione. Cosa avrebbe fatto dopo? Sarebbe andato a Durmstrang? A Beauxbatons? Avrebbe continuato i suoi studi in Istituto come aveva fatto fino a qualche mese prima? Impossibile dirlo con certezza, per quanto sulla carta risultasse maggiorenne, la sua vita era scandita dai ritmi e dalle decisioni dei Grandi Capi e lui, in tutto ciò, non aveva mai avuto voce in capitolo. Era semplicemente una pedina, in un gioco più grande di lui, mosso dal volere altrui e con l’unico scopo di fare il suo dovere, possibilmente in silenzio. La testa china in segno di umiltà e assenso.
    Se fosse curioso di quello che Charlie gli volesse dire? Non del tutto. Non quando erano passati all’incirca 60 giorni dall’ultima volta che gli aveva parlato e, in un ambiente ristretto come Hogwarts, l’Anderson aveva davvero fatto un ottimo lavoro per evitare anche solo il suo sguardo. Complimenti alla creatività. Eppure c’era qualcosa in quell’atteggiamento quasi remissivo che lo incuriosiva. Perché Hunter era fatto così: si faceva distrarre dalle anomalie, dalla percezione che ci fosse qualcosa di inusuale ed era proprio ciò che non andava a valere tutta la sua attenzione. Lo aveva seguito senza fare storie, non aveva opposto resistenza e sembrava aver accettato di buon grado le sue condizioni, se non fosse stato certo fosse veramente il Serpeverde, probabilmente avrebbe iniziato a dubitare della persona che aveva davanti in quel momento. Restava soltanto chiedersi il perché di quel cambiamento, cercare di capire cosa fosse a smuovere Charlie in quel momento. La paura per quello che sarebbe accaduto l’indomani? Il voler provare a lavarsi la coscienza prima di prendere strade diverse qualora fossero stati messi sull’Espresso per Hogwarts con un biglietto di sola andata per Londra? Era davvero il capolinea di quella stramba amicizia? Un non voglio avere nessun rimorso, quindi facciamo che chiariamo ogni cosa e poi addio. Non riusciva davvero a darsi una risposta, non se tutto quello che il Serpeverde stava facendo era guardarsi attorno.
    Hunter lo capiva, pretendeva solo di non farlo. Immaginava cosa passasse per la mente del coetaneo, abituato sempre a essere al centro dell’attenzione, a flirtare con chiunque gli passasse a tiro, a dare un peso maggiore alle apparenze piuttosto che alla sostanza. Poteva quasi vedere gli ingranaggi della sua mente lavorare senza sosta, il fumo uscire da quella testa che stava compiendo quasi uno sforzo titanico per star dietro a tutto. Non voleva aiutarlo. Così come l’Anderson aveva smesso di aiutare lui, senza dargli neanche la più piccola opportunità di fare qualcosa per poter rimediare ciò che, a quanto pare, non aveva neanche fatto. Era tutto nella mente del verde-argento e al Corvonero era stato negato persino il diritto di dire la propria. Come al solito, come sempre.
    Il filtrino gli restò sospeso tra le labbra davanti a quella rivelazione così inaspettata e improvvisa. Lo fissò a lungo, incapace di chiudere anche solo le palpebre per qualche istante, come se quel gesto avrebbe potuto modificare la realtà. Li aveva drogati. In un modo o nell’altro, direttamente o indirettamente, li aveva drogati tutti.
    Tornò indietro a quella notte, le scene che si susseguivano a rallentatore nella sua mente, come se ogni fotogramma avesse ora un significato tutto nuovo, da Erin che avviluppava Meh in un boa di piume colorato, a Rose che baciava Nicky, Gideon che… che…
    Erano passati due mesi, eppure quell’immagine faceva ancora male. Sentiva ancora gli occhi pizzicare al ricordo, la gola improvvisamente secca, come se l’aria fosse improvvisamente venuta a mancare. Serrò le labbra in una linea sottile, le dita rigide che sostenevano ancora la canna mezza rullata. Senza saperlo, Charlie aveva distrutto ogni sua certezza, lo aveva mandato in frantumi, sgretolando quel sentimento che stava iniziando a provare, per la prima volta, contro qualcuno. No, non ci voleva un genio a capire che qualcuno lì dentro avesse alterato le bevande, ma aver davanti il responsabile gli faceva torcere le budella nello stomaco. Se fosse stata un’altra persona, se fosse stato aggressivo per natura, avrebbe stretto i pugni e si sarebbe scagliato contro l’Anderson, sfogando con la violenza la sua rabbia e la sua frustrazione. Era stato un periodo pessimo, aveva persino evitato Halley mentre cercava di capire chi fosse la figura di quel ragazzo che gli rimandava lo specchio e che faceva fatica a riconoscere. C’era qualcuno che voleva davvero bene al Serpeverde per non avergli fatto trovare davanti l’Oakes sbagliato.
    Non era mai stata colpa di Hunter, mai. Si era colpevolizzato, era arrivato a diventare persino il proprio boia, e il vero artefice di tutto quel casino era in quella stanza, dinanzi a lui. Era anche arrivato a credere di aver fatto qualcosa di male, di aver commesso un danno irreparabile nei confronti dell’altro Prefetto che, tra le altre cose, stava anche provando a rigirare la frittata, passando per la vittima predestinata.
    Incredulo, si passò una mano tra i capelli, prima di accendere la canna che aveva portato alle sue labbra.
    Aspirò piano, continuando ad ascoltare quel monologo e combattendo la voglia di interrompere quel flusso di parole che stava riempiendo la distanza tra loro.
    “Hai finito?” provò a chiedere durante una pausa, la cenere che cadeva leggera sul pavimento. “No, evidentemente no…” Continuò sistemandosi meglio sulla seduta, mentre il ragazzo riprendeva il filo del discorso.
    Quando finì, c’erano tante, troppe cose cui Hunter avrebbe dovuto rispondere, ma c’erano delle questioni che avevano una certa priorità, perché potevano gettare contro il Corvonero tutta la melma che volevano, non avrebbe battuto ciglio, ma non quando venivano coinvolte le persone a cui teneva di più in quel Castello, non quando queste non avrebbero avuto i mezzi per difendersi.
    “Pensi davvero che gli sfigati facciano schifo?” Domandò allora, la testa inclinata leggermente, lo sguardo glaciale. “Pensi che quella della Morrison sia davvero una minaccia? Perché ti sto per svelare un segreto Anderson, quindi vedi bene di aprire le orecchie: quelli che tutti si divertono a chiamare Losers, sono le persone più vere e più autentiche che abbia incontrato finora e sono orgoglioso di essere loro amico.” Di essere uno di loro. Perché quando ancora non conosceva nessuno, perché quando ancora non aveva scoperto come fosse la vita a Hogwarts, quando ancora non aveva detto a nessuno della sua omosessualità, Nicky, Behan e Mehan erano sempre stati al suo fianco. Colpa di quel boomerang che li aveva colpiti durante un corso di pittura al quale non voleva neanche partecipare, o di un dono del destino, loro lo avevano accettato per quello che era, senza fare domande, senza chiedere nulla in cambio. Si erano trovati ed era come se fossero stati amici da una vita e non solo da una manciata di mesi. Teneva a Nicky quasi fosse sua sorella, e ai gemelli come se fossero parte di quella famiglia che non aveva mai avuto. Non lo aveva ancora detto ad alta voce, perché non si fidava delle parole, quanto dei fatti, ma voleva bene a quel terzetto che, con i suoi modi alternativi e quasi strampalati, aveva rallegrato le sue giornate e si era fatto spazio nel suo cuore con una semplicità disarmante.
    Se Charlie pensava che diventare uno sfigato, essere etichettato come uno di loro fosse il dramma più grande che avrebbe dovuto affrontare ad Hogwarts, allora non meritava i sorrisi impacciati di Beh, le freddure di Mehan e gli abbracci di Nicky. Non meritava neanche i modi gentili con cui Halley importunava la gente e neanche la vicinanza di Hunter. Non che questo fosse stato un problema negli ultimi due mesi.
    “Sarei dovuto venire io a cercarti? Pensi davvero non abbia una dignità? Credi davvero che sia uno zerbino? Che sia così disperato da andare in giro ad elemosinare l’attenzione di chi non ha neanche avuto la decenza e l’accortezza di scrivere un messaggio, un bigliettino anche solo per dire che ogni lezione extra sarebbe stata sospesa? Sarei dovuto venire da te per vedere cosa? Te che mi voltavi le spalle o che sparivi dietro il primo angolo pur di evitarmi? Chiediti se saresti stato in grado di rivolgermi la parola, chiediti se saresti stato in grado di trattarmi da tuo pari e poi, una volta avuta la risposta, e solo allora, vieni a insultare la mia intelligenza.”
    Lo aveva aspettato. Aveva chiesto di lui e tutto quello che si era sentito dire era stato un: sicuramente non vorrà vederti. E questo gli era bastato. Perché imporre la propria presenza? Perché forzare qualcuno a trascorrere del tempo con lui? Non si imponeva, Hunter, non era nella sua natura. Era talmente abituato a fare da tappezzeria nella vita altrui che gli era sembrato quasi scontato che il Serpeverde si fosse stufato di lui. Così, senza alcun motivo apparente. Non serviva più ai suoi scopi e lo aveva messo da parte, come un gioco rotto. Come Gideon aveva fatto prima di lui.
    Era tutto così lineare che non aveva avuto bisogno di altre spiegazioni, di scavare a fondo in una faccenda che pareva essersi risolta da sola.
    Senza contare che Hunter aveva avuto paura. Non ricordava cosa fosse successo ad Halloween dopo l’esibizione dei Not-Found, se non che si fosse bevuto l’impossibile. Aveva vuoti di memoria e fino a quel momento andava bene così, non ricordava cosa fosse successo a quella festa e tutto quello che Charlie gli aveva raccontato poco prima era come se lo stesse ascoltando per la prima volta. Non ricordava di averlo vissuto in prima persona, non ricordava Charlie provarci con lui. Non ricordava cosa si fossero detti, cosa avessero fatto o se, in tutto ciò, avessero davvero fatto qualcosa di diverso dal… parlare? Ballare? Il Corvonero non ne aveva idea. Se avesse avuto anche solo un minuscolo frammento di lucidità di quella notte, probabilmente si sarebbe sotterrato. Non per Charlie. Quanto per se stesso. Perché sarebbe giunto a un’inevitabile conclusione con giorni d’anticipo.
    “Non esisti solo tu, Charlie. Non orbitiamo attorno a te. Se pensi che per me sia stato un periodo tranquillo, sei totalmente fuoristrada. Non si tratta di tenere a te o meno… in realtà non lo so neanch’io di cosa si tratta.” Non voleva fare la vittima, ma non riuscì a trattenere quelle parole, che uscirono dalle sue labbra più rassegnate del previsto. Il Serpeverde lo accusava di non aver a cuore la loro amicizia, e il Corvonero avrebbe potuto fare lo stesso con lui, domandandosi addirittura se l’altro lo considerasse davvero un amico, dando il via a una spirale dalla quale non sarebbero più usciti. “Ma non dire che indossavi la maglia della band per farmi un piacere. Non continuare ad attribuirmi colpe che non ho, come io sono stato con le mani in mano, tu hai deciso di allontanarti. Non so perché lo fai, ma prendertela con me per ogni cosa che non va, non ti aiuta a risolvere nessun problema. Se fuggi… beh, aspettati che non tutti ti inseguano e no, non è sempre perché non vogliono farlo.” Solo che a volte pensano di non essere abbastanza, di essere sempre sacrificabili.
    Si alzò in piedi, il filtro in bilico tra le labbra, la mano sulla spalla del Serpeverde a bloccarne i movimenti. Non aveva ancora finito di parlare, non era ancora arrivato il momento per l’altro prefetto di andarsene via, sparendo, ancora una volta, quando le cose si facevano per lui complicate.
    “Non devi prenderti nessuna colpa. Non essere stupido. Non nego che se avessi seguito il piano, la nostra situazione sarebbe meno critica ma… sono sollevato. Nessuno di noi due ha tradito gli altri studenti. Potranno chiamarci codardi, potranno dire che siamo vigliacchi, ma so che, alla fine, non li abbiamo venduti.” Lasciò andare la presa, le iridi azzurre ancora ancorate in quelle del ragazzo. Era serio, più di quanto non lo fosse normalmente ma, soprattutto, sentiva che avevano fatto la scelta giusta, la cosa migliore, per quanto questa non fosse stata quella programmata. “Non è di mia sorella che ti devi preoccupare, ci sarà anche Rose, domattina, ad avere il peggiore dei risvegli.”
    E, per quanto stupido, il pensiero che fossero entrambe nella loro Torre, lontano dagli eventi di quella notte, bastava a tranquillizzarlo. Era quello che entrambi speravano: che le sorelle non fossero nella Sala Torture, che non fossero invischiate in quella situazione che non avrebbe mai potuto avere dei risvolti positivi. Tuttavia, non voleva soffermarsi troppo su quello che sarebbe accaduto di lì a qualche ora, della notizia che sarebbe rimbalzata da una parete all’altra del Castello, fino a giungere alle loro orecchie. Non voleva immaginare la reazione di Halley, la sua espressione. Non avrebbe voluto darle quel dispiacere, farle credere anche per un solo istante di essere in pericolo, eppure aveva miseramente fallito nell’intento. Così come aveva fallito nel far allontanare da quella maledetta stanza l’unica persona che non avrebbe voluto lasciarsi dietro. Uno dei pochi che gli aveva parlato senza peli sulla lingua e che aveva fatto per lui molto più di quanto potesse immaginare. Non riusciva a non pensare che, tra loro, non si fosse rotto qualcosa. Distolse lo sguardo, concentrandosi sul panorama che si stagliava oltre le ampie finestre, mentre più pensieri si accavallavano nella sua mente. C’era ancora una cosa a cui non aveva risposto, un dettaglio importante che non si poteva permettere di tralasciare. Ormai era troppo tardi per lanciarsi in una ramanzina su quanto fosse stato infantile il suo comportamento ad Halloween, su quanto abbia potuto compromettere l’equilibrio e le dinamiche sociali all’interno del Castello, su quanto fosse pericoloso giocare al piccolo pozionista e sull’impatto che alcune delle conseguenze di quel gesto avevano avuto su di lui.
    “Quando hai detto che provavi vergogna, che avevi paura, a cosa ti riferivi? Al fatto che ci che stessi provando con qualcuno sotto gli occhi di tutti, o che quel qualcuno fossi io?”
    Hunter Oakes | 17 y.o.
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