So are you ready for the dancehall tonight?

aperta a tutti gli studenti!!&&

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    Probabilmente un giorno sarebbe cresciuto ed avrebbe smesso di essere tanto incline alla dipendenza, assottigliando via via la lunga lista di vizi che aveva accumulato negli anni senza averci mai prestato la dovuta cura. Aveva iniziato a fumare durante il suo secondo anno ad Hogwarts, a bere poco dopo, a praticare sesso compulsivo tra il terzo ed il quarto. E poi c'erano tutte quelle abitudini di routine che, se non eseguite alla perfezione, lo portavano a star male come in preda all'astinenza: il rito mattutino per mettere a posto i capelli, la macchina fotografica sempre pronta all'uso, la perla di saggezza giornaliera per una qualsiasi delle sue povere vittime. A proposito di queste, poi, si poteva aprire un intero capitolo a parte; il suo compagno di stanza - forse jonas, forse juan, forse un qualunque altro nome con la j che charles si rifiutava di imparare - era il suo prediletto quando si trattava di scaricare il fiume in piena delle sue frustrazioni e lamentele. Le chiacchierate con jonas non erano abbastanza soddisfacenti? Allora era di perses che aveva bisogno, perché guastarsi con lui era più divertente che con chiunque altro. E poi iden, forse la sua dipendenza con la D maiuscola, quello che proprio non riusciva a lasciare in pace pur di ricevere un pugno d'attenzioni. Letteralmente.
    Ecco, forse un giorno l'avrebbe fatta finita con tutte queste fissazioni ma, all'alba del suo settimo anno, era ben lontano dal raggiungimento di un tale grado di responsabilità. Se ne stava nella sua stanza quel pomeriggio, stravaccato sul proprio letto con un braccio dietro la testa ed una sigaretta fra le dita, meno lucido che dopo un graffio di snorton per l'appunto. Era giunto al mistico momento delle confessioni inappropriate assieme a perses, come detto il compagno perfetto per quel genere di cose, e stava blaterando su qualcosa a proposito di rubare dei gatti. «dovremmo rifletterci bene e lontani da orecchie indiscrete» affermò con convinzione, indicando con un cenno del capo il baldacchino alla sua destra, quello di jeronimo. «sembra morto, ma ci sente.» sussurrò dunque allungandosi verso il sinclair, scuotendo la testa con rassegnazione. Non credeva che jonathan fosse tanto infame, ma di tanto in tanto il coinquilino l'aveva minacciato di sputtanare tutte le cose che gli aveva visto fare o sentito dire tra le pareti della stanza che condividevano, motivo per cui era meglio non rischiare. Per charles mr. j era solo terribilmente noioso, ma chiunque altro l'avrebbe senz'altro compatito: non era facile vivere assieme al dumont, sopportare i suoi deliri e fingere di non esistere durante le sue spassate notturne in compagnia. In verità jhonny doveva essere un santo. «un giorno cette garçon finirà per spedirmi in sala torture, vero josé?» lo chiamò a gran voce, senza aspettarsi una reale risposta. Rimase in silenzio per qualche istante fino a che, spostando lentamente lo sguardo verso perses, rivolse a lui un sorriso tutt'altro che rassicurante. «mon ami, penso di aver appena avuto l'idea della vita» si rizzò a sedere, lo sguardo fisso sul sinclair e le labbra ancora piegate in un ghigno. «jacomin non può spedirmi in sala torture, se la sala torture non esiste» e si picchiettò la tempia con un dito, un modo per sottolineare la genialità di quella trovata. Ecco, probabilmente in quel frangente era più la fattanza a parlare, ma c'era da dire che anche il sobrio charles non avrebbe trovato cattiva l'idea di opporsi in qualche modo all'utilizzo della tortura come mezzo punitivo in una scuola. Il francese aveva un rapporto tutt'altro che positivo con quel genere di cose e non perché ne fosse stato vittima chissà quante volte - a dirla tutta, soltanto una, ma ancora la ricordava piuttosto vividamente -, piuttosto per come l'utilizzo della violenza aveva profondamente turbato la normalità della sua famiglia, rendendolo di fatto quasi un orfano. Sua madre era stata ridotta alla follia dalla maledizione cruciatus, suo padre era andato via perché i suoi ideali improntati sull'uso della coercizione mal coincidevano con gli atteggiamenti di sua moglie e di suo figlio, suo cugino viktor era diventato così tanto viktor dopo una serie di abusi impronunciabili. E poi c'era stato iden, vessato dinanzi ai suoi stessi occhi in maniera decisamente più cruenta di quanto non avrebbero mai osato su un purosangue, tanto da faticare a reggersi in piedi una volta fuori. E poi sé stesso, sebbene per quella sola occasione, vessato più nell'orgoglio che nel fisico ma ugualmente compromesso. Talvolta gli capitava di avere ancora degli incubi su quella sua breve eppur intensa visita alla sala torture. Insomma, per quanto non fosse affatto sua intenzione invischiarsi in questioni politiche o mettersi personalmente nei guai, credeva che fosse necessario esprimere il proprio dissenso per l'utilizzo di determinati metodi. Forse non si sarebbe mai esposto da solo, ma se a farlo fosse stata una buona parte della scuola... «pers, noi dobbiamo prendere in mano le redini di questo posto» annunciò con convinzione, spegnendo la sigaretta nel posacenere sul comodino ed alzandosi in piedi. «insieme possiamo fare la storia, capisci? l'histoire

    Quello che doveva essere il delirio di due teste bacate in preda a chissà quale nuova sostanza, in qualche modo aveva cominciato a prendere consistenza nell'immaginario di charles. Invero, perses non gli era sembrato altrettanto convinto e, a dirla tutta, sospettava che l'avrebbe mollato al primo confronto con sua sorella theia sottone. Eppure, forse anche per quella storia della dipendenza, il francese aveva proprio difficoltà a togliersi dalla testa un'idea una volta datole forma, e quella di una revolutión contro l'uso della sala torture gli pareva proprio una buona pensata. Certo, avrebbe avuto bisogno di materiale, di organizzazione e, soprattutto, di persone disposte ad unirsi alla causa. Non è che dubitasse della posizione generale degli studenti in merito alla questione, solo che molto probabilmente la maggior parte di loro sarebbero stati sottoni quanto perses eccessivamente condizionati dalla paura di una ritorsione per accettare di mettersi in gioco.
    «sti coqs» poteva charles dumont farsi fermare da una matta di codardi? C'était impossible. Innanzitutto, voleva avere fiducia quanto meno nei suoi compagni di casata. Certo, i serpeverde e il rischio di rimetterci la pelle non andavano un granché d'accordo, ma la casata verde-argento era secondo lui l'unica ad avere componenti abbastanza entusiasti e di certo non così ligi alle regole da farsi problemi ad andar contro la scuola. Avrebbe cominciato da loro, esponendo l'idea in gran segreto e mai oltre le mura della sala comune, evitando accuratamente l'intrusione di infami leccaculo tassogrifonero. Se mai si sarebbe deciso di coinvolgere anche le altre casate, la selezione dei componenti della revolutión sarebbe stata accurata e non lasciata al caso: non è che avesse tutta questa voglia di farsi fare il culo a strisce per qualche ragazzino dalla bocca larga.
    Dopo aver sparso la voce, si sarebbe occupato della preparazione vera e propria, sperando nell'aiuto di qualche altro serpeverde volenteroso ciao jj. Non voleva dar fuoco e fiamme alla sala torture (sarebbe stato un tantino eccessivo anche per i suoi standard), ma era convinto che azzardare un'occupazione notturna con tanto di musica e casino vario ed eventuale sarebbe stato sufficiente quanto meno a dare un assaggio della voce degli studenti. Poi, se si fossero rifiutati di muoversi dalla stanza, forse le cose si sarebbero fatte ancora più interessanti, who knows.
    «se non vieni, sei un chickenshit poteva forse desistere tanto facilmente dal cercare di convincere perses ad unirsi all'idea che lui stesso in principio aveva appoggiato? Nope, ci avrebbe provato fino alla fine. «cioè, ci viene anche jackie» il che era tutto dire per quel che lo riguardava. «no, tais-toi, hai detto che saresti venuto quindi adesso non si torna indietro.» ed il fatto che fosse stato praticamente costretto ad accettare non era certo un buon motivo per dubitare della sua parola, ci mancherebbe. «dammi soddisfazioni almeno tu, mon compatriote» ormai i francesi erano la sua unica speranza, motivo per cui non poté non rivolgere a jj la più complice delle espressioni, seguita da un certo sdegno per quegli altri poveri eretici inglesi.
    «una volta mi hai chiesto di far innamorare un certo corvo di me» aveva sussurrato poi ad heather durante l'ora di pranzo, avvicinando le labbra al suo orecchio con estrema discrezione. «workin' on it. non ce l'hai un altro favore per me? cercherò non di non fartene pentire.» aveva tentato, speranzoso in una risposta affermativa. Poi era stato il turno di aaron icesprite, probabilmente la persona più seria che conoscesse ma anche quella a cui aveva visto fare più avanti e indietro dalla sala torture della storia. «se non hai una buona ragione tu, non vedo chi altro dovrebbe avercela» si era limitato a dire con una certa razionalità, convinto di non poter usare altro per convincere l'altro a partecipare a quella sua folle iniziativa.
    Interpellati uno per uno i serpeverde, aveva infine deciso di andare contro le sue stesse regole per due sole eccezioni: «vik, je te fais confiance» alias mi fido di te o anche vedi di muovere il culo o alle prime vacanze potresti trovarti delle cimici sotto il cuscino.

    E dunque eccolo, ben oltre il coprifuoco, a passeggiare nervosamente dinanzi alla sala torture in attesa che qualcun altro lo raggiungesse prima di decidersi ad entrare. Nell'evenienza, aveva già preparato tutto: proiettore + maratona della terza stagione di Game of Thrones per il toto-morto alcolico, qualche bottiglia raccattata in giro, musica di scarsa qualità, erba allegra ed essenza di snorton per condire il tutto. Insomma, chi mai avrebbe potuto rifiutare un'offerta del genere?
    I want no money
    but write the story.
    I bet you're sorry,
    Don't fuck my homies.
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    charles
    dumont


    Edited by ‚soft boy - 4/2/2021, 00:37
     
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    Era una follia.
    Una stupida, terrificante, angosciante,
    controproducente follia. Non sapeva nemmeno perché stesse camminando di notte, tra i corridoi deserti del Castello, per raggiungere quel tosser di suo cugino Charles. Chi diamine gliela aveva data l’idea? Forse nessuno, a giudicare dal guizzo psicopatico nei suoi occhi chiari; forse, quella genialata era stata partorita dai meandri più reconditi di quello che, aveva sempre sperato, fosse un cervello. Sorpresa delle sorprese: Charles possedeva un neurone funzionante, chiaramente privo di spirito di sopravvivenza. Era un rischio, una condanna bella e buona. Quando glielo aveva detto non aveva avuto modo di controbattere, tanto era stato lo shock.
    I professori non si sarebbero limitati solo a togliere punti alle case e nemmeno a punirli con quelle che fino a quel momento erano sembrate carezze, tra frustate e altre torture, da cui si era tenuto ben lontano facendo tutto il possibile; no, non appena sarebbero stati scoperti (perché l’ingegno non faceva parte dei Serpeverde, a quando sembrava) non avrebbero nemmeno dovuto muoversi da quella stanza. Anzi, probabilmente, potevano portare già i bauli e le brande, solo per coricarsi lì dentro e venire puniti per tutto l’anno. Era sicuro che sarebbe finita male, per tutti, soprattutto per quell’incosciente del Dumont.

    A differenza del Serpeverde, possedeva quello che, per definizione, poteva essere definito amor proprio. Non aveva assolutamente voglia di scatenare una révolution, come si ostinava a chiamarla Charles, né mettersi in mezzo a cose che non sarebbero assolutamente cambiate con un festino in Sala Torture. Fino alla fine, aveva sperato di ricevere una disdetta, ma nessuno a quanto sembrava era riuscito a convincere il Dumont a lasciar perdere; diamine, era una testa così dura, ma così dura, da potergli spaccare su le noci di cocco. Ogni volta che aveva un’idea, deleteria o geniale che fosse, nessuno (nemmeno lui) riusciva a placarlo o a fargli venire dei dubbi. Tutto quello che pensava era giusto, perfetto, anche se non lo era affatto.

    Era un Grifondoro, gli atti istintivi spettavano a lui. Da una Serpe si sarebbe aspettato un piano più studiato, forse persino diverso; era evidente che si fossero scambiati di Casata e che Charles nulla avesse a che fare con lo spirito, più che onorevole, dei verdi-argento. La cosa più saggia, a suo parere, sarebbe stata quella di prendere le cose sottobanco, dilaniare il sistema dall’interno in modo subdolo e calcolato, non invadendo una stupida Sala che fungeva solo da concetto, non da principio. Non era quello che doveva essere sradicato, ma i Mangiamorte dal Ministero della Magia, che era ben diverso. E poi, sul serio… come pensava di competere con i professori? Non avrebbero perso tempo a Cruciarli tutti o, peggio, ad utilizzare la peggiore tra le tre Maledizioni Senza Perdono: l’Avada Kedavra.
    Non voleva, in nessun modo, essere testimone della morte di Charles o della sua sofferenza. Aveva già abbastanza morti sulle spalle per poterne reggere un altro, soprattutto uno di cui gli importava a tal punto da mettere da parte il motto di una vita, ovvero “prima io e poi tutti gli altri”, e immolarsi al suo posto.
    Si sarebbe fatto uccidere per Charles, ma non in quel modo, non così stupidamente.

    Quindi era palese il motivo di quello sguardo serioso, delle sopracciglia aggrottate come se non avessero mai assunto un’altra espressione. Le labbra tese in una linea dritta e gli occhi azzurri a fiammeggiare di frustrazione. Il passo svelto, ma silenzioso, per arrivare prima di chiunque altro, forse per cercare, un’ultima volta, di convincere quel testone a smetterla con quelle stupidaggini e dedicarsi ad altro.
    Non gli aveva insegnato niente provocare il cane che dorme? Per poco Iden non lo ammazzava. E quel nano da giardino era solo un pidocchio se messo in confronto con gente molto più adulta e cattiva di lui. Il Kaufman gli sembrava solo un granello nell’occhio, un micetto spelacchiato, pericoloso certo, ma non come altri più esperti di lui.
    E allora, che cazzo stava facendo il Dumont se non mettere a rischio la sua vita e quella di tanti altri studenti? Si domandava se, tra le file di quella rivoluzione, ci fossero anche primini. Se la voce si fosse sparsa così tanto da giungere alle orecchie di quei bambini convinti di fare la differenza, senza capire davvero a quale gioco stessero giocando. Mon dieu, se ci pensava, gli venivano i brividi o, più semplicemente, da piangere. E non che l’idea di veder soffrire gli altri suoi compagni lo allettasse, al contrario. La sua mente non poteva fare altro che andare ad Hunter, se mai avesse partecipato, con una preoccupazione tale da stringergli lo stomaco; ad Halley e al pensiero di come l’Oakes avrebbe reagito se le avessero torto un capello. Ad Erin, quella piccoletta sempre allegra, ma fin troppo esuberante.
    E non era da lui preoccuparsene, invero. In genere si metteva nelle ultime file a guardare, preferendo non agire se non strettamente necessario. Ma lì era diverso. Quel gesto avrebbe potuto portare problemi ben peggiori, forse persino espulsioni in massa.

    «Charles» lo richiama, voltando l’angolo, notando chiaramente il nervosismo del cugino. Il fatto che stesse passeggiando avanti e indietro davanti alla Sala era esplicativo «Mon dieu. Vous faites une chose stupide.» mormora, guardandosi intorno, all’erta. Ci mancava solo che li scoprissero ancora prima di fare qualsiasi cosa; e forse sarebbe stato meglio «fermati, mon cher, finché sei in tempo. Lascia perdere questa stupidaggine» gli si avvicina, bloccandogli per un attimo il cammino, tanto vicino da potergli prendere le mani. Le iridi azzurre, velate dalla notte, chiaramente colme di apprensione «non andrà bene. Avrà delle conseguenze catastrofiche—ti rendi conto che questa non è una rivoluzione? Non è un piano studiato. Verranno i professori a punirci e non ci toglieranno solo i punti, ma probabilmente ci Cruceranno a tutti. Dimmi che è così. Che non ti è caduto l’ultimo neurone dall’orecchio.» poteva risultare un po’ duro, forse per via di quelle parole dette con la convinzione di farlo svegliare e porre fine a quella cazzata «Charles» sussurra, stringendo le mani del Dumont nelle proprie, teso «io ti ho appoggiato sempre. Sempre. Lo sai questo e sai che lo farò anche ora, nonostante non sia d’accordo. Ma questa volta ti devo chiedere di fare un passo indietro» ma non lo avrebbe fatto. Lo sapeva.

    Se lo sentiva.

    Viktor Asmodeus Dallaire
    The greatest and most powerful revolutions often start very quietly, hidden in the shadows.
    Remember that.
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    Edited by Fancy|Bitch - 28/11/2018, 01:44
     
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    Quando Charles le aveva parlato dell'occupazione alla sala delle torture, Heather aveva preso in considerazione ogni possibile finale per quella storia; aveva valutato bene i pro e i contro, ed era giunta ad una conclusione matura e soppesata: «chérie» aveva detto languidamente alzando gli occhioni su Charles, un marcato accento francese copiato da quello del Dumont a mo di sfottò «è davvero un'idea del cazzo» un buffetto sul naso del compagno, ed era tornata a a osservarsi le unghie commentando poco dopo se fosse il caso cambiare colore.
    Occupare la sala delle torture era davvero una pessima, pessima idea per chiunque volesse restare vivo - e sebbene la Morrison si chiedesse giornalmente se valesse la pena restare in vita, non era certo così che voleva morire ed essere ricordata. Heather viveva in Inghilterra da un anno, ma ci aveva messo pochi giorni a inquadrare il governo in auge e a capire che con i pezzi grossi lì non si scherzava. Quella non era Salem, il preside non era Lancaster, e cercare di lottare contro un sistema basato sulla violenza era infantile e utopico: andando nella sala delle torture, avrebbero finito per farsi ammazzare tutti quanti, o minimo per venir espulsi.
    Nonostante ciò, nelle ore a seguire Heather era stata tormentata dall'idea di quella piccola rivoluzione, una pulce nell'orecchio che non 'aveva lasciata in pace nè durante le lezioni, nè quando finalmente aveva potuto farsi i fatti propri in pace in biblioteca. Era come se la voglia di rivalsa, sopita per tanto tempo, cercasse il proprio spazio nel cuore della ragazza; non si era mai resa conto di agonare così tanto la libertà, di odiare così tanto il sistema di punizioni inglese o lo stesso governo. La falsa identità di Van Lidova, la notizia travisata della morte degli scomparsi di dicembre... tutto gli era scivolato addosso per mesi, e ora - click. Heather provava la necessità di fare qualcosa. Gli era mai importato dei ragazzini torturati? Delle grida e dei pianti? Non che lei ricordasse. Doveva essere colpa della nostalgia di casa (l'America aveva Trump, ma almeno era un po' più libera di quell'isola di puritani) mischiata agli occhi da cucciolo di Charles con un pizzico di bionda russa random. Quest'ultima neanche una settimana prima le era apparsa davanti, sguardo confuso (disgustato?) e sigaretta fra le labbra ciliegia; non le aveva chiesto alcunchè, aveva solo commentato un po' delusa «volevo vederti di persona» prima di andarsene.
    Heather non era stupida: la prima cosa a cui aveva pensato era che si potesse trattare della propria versione au o di una sorella che non aveva mai incontrato nel proprio mondo - troppo simile a lei nell'aspetto per crederla una coincidenza -, e non le era piaciuto il suo sguardo insoddisfatto. Nessuno poteva guardare Heather a quel modo, neanche se aveva ragione, neanche se era vero che (nonostante mentisse al riguardo ogni giorno) fosse un fallimento.
    E quindi, dopo infinite pare mentali, dopo milioni di dubbi, eccola lì, nel corridoio senza finestre con un maglione spesso dei serpeverde e una bottiglia di rum, un'apparizione divina in quel luridume proprio mentre Viktore Dallaire (un altro casta francia, uau) si lamentava e chiedeva a Charles di tornare a dormire.
    «Vicky ha ragione» Heather, entrata random nella conversazione, fece spallucce, e con un gesto veloce aprì la bottiglia «Senza un piano, è davvero un'idea stupida... spero per te verrà abbastanza gente per impedirgli di ucciderci» un primo sorso di rum «Sempre che non ci pensi il tuo ragazzo psicopatico» richiamando l'attenzione del ragazzo - ignorando del tutto il grifo - heather alzò la mano, un dito in alto alla volta, partendo dall'indice, mentre elancava: «Se serpeverde perderà più punti delle altre casate, te li farò riguadagnare con la lingua. Letteralmente: non mi interessa chi dovrai lavorarti per riguadagnarli... e santo cielo, non. Dire. A. Nessuno. Che è stata un'idea tua, comprend? Due: se mi espellono, sempre sperando mi prendano di nuovo a Salem, verrai a trovarmi in america una volta al mese e in quelle occasioni sarai il mio schiavo personale. Tre: se muoriamo per questa cosa, ti uccido. Quattro: se il tuo ragazzo mi tocca ancora, lo ribalti - non me ne frega niente se ha ragione. Cinque» alzò la bottiglia, un sorriso appena accennato sulle labbra «Se vomiti prima di me, offri da bere fino a giugno» schioccò la lingua sul palato «odio ammetterlo ma... siamo amici. Se non posso portarti via di peso, penso di poter sopportare di stare qua a ribellarci ai barbari inglesi, a costo di qualche tortura; le giubbe rosse hanno già dovuto accettare una volta le nostre rivoluzioni, e abbiamo vinto in entrambe le occasioni»
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  4. chrysalism
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    Non fu semplice costringersi ad alzarsi dal letto ed abbandonare il tepore delle coperte che, fino a quel momento, le aveva tenuto compagnia. Aveva tentato di ignorare i movimenti sospetti dentro il dormitorio ed oltre la porta, nella sala comune. Ma cosa diavolo stava succedendo? Avevano deciso di dare un party in piena notte, per giunta senza invitarla? Si nascose sotto le coperte, nella speranza che quella sensazione di sospetto abbandonasse del tutto la sua testa, costringendosi a dormire. Aveva tentato di scacciare il ronzio nelle orecchie che le suggeriva che qualcosa quella notte, sarebbe andata per il verso sbagliato e più di una testa sarebbe saltata, ma non ci era riuscita. Dopo vari giri e rigiri nel letto si era convinta a scostarsi di dosso le coperte, con l'intenzione di alzarsi. Poggiare i piedi sul pavimento freddo fu più complicato del previsto e non appena lo fece, una serie di brividi le percorse la spina dorsale. Con aria assonnata, si massaggiò il volto desiderando di trovarsi in un brutto sogno dal quale svegliarsi il prima possibile. Guardandosi intorno alla penombra della stanza, si rese conto che, se alcuni letti erano ancora infagottati, altri apparivano del tutto vuoti. Stava succedendo qualcosa.

    Dieci minuti dopo si era ritrovata a percorrere i corridoi dei sotterranei, i capelli legati una crocchia fatta male, e sul volto un'espressione omicida che avrebbe fatto invidia a qualsiasi serial killer. Maledetti gggiovani. Non amava doversi svegliare di soprassalto, nel cuore della notte, ma si sentiva quasi costretta a verificare cosa stesse succedendo, quasi fosse una sua responsabilità. Non era una prefetta, nè tanto meno una caposcuola, ma aveva a cuore gli studenti del castello quasi come se fosse un obbligo, quello. Un brusio proveniente dal corridoio antistante la sala tortune, le indicò la via precisa da seguire. Era vestita con la gonna della divisa, spesse calze nere di lana per atturire il freddo, solo la camicia a difenderla da quel freddo notturno, e la cravatta Serpeverde ben in vista.

    La Sala torture era diventata un secondo dormitorio, per lei, e no, non perché ci dormisse davvero – al solo pensiero le si accapponava la pelle -, ma perché, di recente, ci aveva passato molto tempo, quasi diventando immune ai suoi odori pungenti e nauseabondi. Non era impressionabile, Virginee, era una ragazza profondamente deadpan *nuovo termine imparato al raduno* e questo le garantiva un’indifferenza tale da poter svolgere quel lavoro senza essere scoperta. Non era semplice nemmeno per lei essere una ribelle e dover assistere alle torture procurate agli studenti, ma non lo faceva per una qualche vena sadica nascosta nel suo cuore, ma perchè quando possibile assumeva il posto della torturatrice che, durante le pause, usciva dalla sala lasciandole completa libertà di azione. A quel punto lei finiva la questione lanciando un confundus sullo studente e mandandolo direttamente in infermeria, a volte si premurava persino di curarli lei stessa dalle ferite più gravi e li rimandava indietro dopo vari insulti pronunciati tra sé e sé. Li aiutava, quanto possibile, era così che contribuiva alla causa dentro le mura di Hogwarts, sotto gli occhi ignari dei professori più estremisti come la Queen, complice invece di altri – Phobos - che come lei, facevano parte della resistenza. Non era semplice fare il doppio gioco, era rischioso, avrebbe potuto farsi scoprire e far saltare tutto ad un minimo passo falso.
    Non le piaceva fare la guastafeste, ed in quel momento avrebbe trovato più volentieri conforto tra le proprie lenzuola, al caldo, piuttosto che nei freddi sotterranei che ospitavano la sala torture.

    Che pessima idea. Più ci pensava, più non ci voleva credere. Davvero pensavano che quella stupida occupazione avrebbe cambiato qualcosa? Si rendevano conto di quanto fosse inutile? E che il male era un albero che andava estirpato dalle radici e non tagliando semplicemente le foglie in superficie? Stavano rischiando tanto, rischiavano tutto. Magari volevano morire, magari non avevano il coraggio di farla finita e pensavano che morendo in quel modo sarebbe stato eroico, ma alla fine chi era lei per mettersi in mezzo se avevano intenzioni suicide?
    Non aveva scuse per trovarsi fuori dal dormitorio a quell’ora di notte, ed era probabile che persino lei, da torturatrice, sarebbe finita vittima di una tortura se li avessero scoperti, ma voleva assicurarsi che tra quegli sprovveduti non ci fossero i suoi cugini, Perses ed Antheia. Il solo pensiero di vederli lì, a rischiare per niente, le faceva mancare un battito, stringendole un nodo alla gola.

    Virginee non era nessuno per giudicare i suoi compagni, dopotutto lei per prima era una ribelle - che brutta parola, poi, ribelle! Implicava l’accettare l’esistenza di qualcosa contro cui ribellarsi, e per Virginee non esisteva, o meglio, esistevano tante cose contro cui andare, ed alla fine, non erano forse ribelli nella vita? - si trattava solo di giustizia.
    Dovreste davvero tornare nel vostro dormitorio, il pijama party è finito.
    Il ruolo della stronza guastafeste le calzava a pennello, era per questo che si ritrovava bene nel recitarlo, era una maschera davvero credibile, la sua. Una maschera insospettabile. Non le fregava niente dei punti casa, in quel momento quello era l'ultimo dei suoi pensieri, sebbene da brava serpeverde fosse senza dubbio ambiziosa, ciò che le importava, più di ogni altra cosa in quel momento, era che i compagni non si mettessero nei guai.

    Nel suo cuore, in fondo, sperava che Anjelika Queen non venisse mai a sapere di quel colpo di testa, perché era pazza, non avrebbe lasciato che la passassero liscia, li avrebbe giustiziati lei stessa. Pensavano di essere i primi? Erano convinti che sarebbero stati gli ultimi? Purtroppo l’ignoranza abbondava tra gli studenti più di quanto Virginee fosse disposta a credere.
    Amiamo il dramma. Amiamo il conflitto. Abbiamo bisogno di un demone, o ce ne creeremo uno.
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    Kanye sbatté per l’ennesima volta la testa al muro, sperando di farsi venire una concussion, Tutto pur di non continuare ad ascoltare le lamentele di Lucinda – non che ci chiamasse davvero così, ma le ricordava la tipa dei Pokemon. «per l’ennesima volta, penso che sia un grande coglione» si strinse tra le spalle rivolgendole il solito sguardo saccente. Non era colpa sua se, come al solito, ci vedeva più lungo dell’amica: Georgy (Orgy per gli amici) si meritava solo botte e insulti. «e che tu lo debba mollare» buttò fuori la nuvola di fumo, passando la sigaretta alla ragazza al suo fianco. Avrebbe dovuto incominciare a farsi pagare per i suoi consigli di vita, in quella scuola ne avrebbero avuto bisogno in diversi, non tutti potevano essere intelligenti come lei. Non che avesse chissà quali esperienze, specie considerando che avesse diciassette anni, ma si considerava superiore alla plebe che girava tra quei corridoio. Cristo, c’era gente che si cimentava in Musically e si fingeva youtuber, non ci voleva molto. «james, lo sai com’è fatto» «male» sottolineò l’ovvio, riprendendo il cilindro tra le dita «ci vediamo poco, è normale che voglia uscire quando possiamo dai» per la decima volta, la East ebbe un forte impulso di buttare l’amica giù dalla torre. Come poteva esistere gente così stupida sulla terra? Le voleva bene, non fraintendetela, ma Orgy l’aveva davvero rincoglionita.
    Fosse stato gnocco avrebbe anche potuto capire, ma sembrava un umpa lumpa mal riuscito.
    Kanye pizzicò il naso nel vano tentativo di calmarsi, non voleva esplodere in un rant a quell’ora «ti rendi conto che vi vedete ogni giorno, vero?» qualcuno doveva portarla alla realtà, perché era arrivata al punto di credere di essere lei pazza. «e ci sta che vogliate uscire, ma non hai più una vita al di fuori di Orgy» inutile che le chiedesse se quello le sembrasse normale, il sopracciglio inarcato diceva tutto. Prese un altro tiro, concedendosi qualche secondo per riposare la mente. Era addirittura più tragica di convincere i fascisti della loro stupidità. «e te con gyansygismundu?» lo sapeva che odiava quando tirava fuori il suo sugar daddy, ogni giorno si pentiva di essere nata averglielo detto. Almeno lei si guadagnava la pagnotta in modo onesto, non come certa gente che spacciava!!111!! «la settimana scorsa mi ha portato a buluña, e no non mi sto prostituendo?? Basta lucy non questa storia» spense il mozzicone sul pavimento, mentre portava lo sguardo sul cielo ormai buio: doveva decisamente andare. «lo sai che la verginità la devo vendere su internet» oh, mica era scema come tutte le sue compagne che si facevano bucare l’imene gratis da qualche scimmione. James era nata in un mondo capitalista, e aveva tutta l’intenzione di sfruttarlo.
    Prima che l’amica potesse aprire bocca, si tirò in piedi e dopo aver stropicciato la gonna fece per dirigersi verso le scale «non divertirti troppo con orgy, eh» rivolse un ultimo saluto alla bionda, per poi iniziare a scendere.
    Dopo anni di vagabondaggio oltre il coprifuoco ormai sapeva come passare inosservata, nascosta dal mantello scuro delle ombre e da prefetti troppi occupati a limonare duro contro un muro. Era fortunata a non averne beccato uno quella sera, aveva già sopportato abbondantemente adolescenti ormonali.
    Si arrestò all’improvviso nel sentire delle voci alla fine del corridoio, la schiena a schiacciarsi contro il muro e lo sguardo a correre verso il gruppo di studenti. «sperando mi prendano di nuovo a Salem, verrai a trovarmi in america una volta al mese e in quelle occasioni sarai il mio schiavo personale. Tre: se muoriamo per questa cosa, ti uccido» sollevò lo sguardo al soffitto, Cristo se la Morrison non era una drama queen; avete presente i ragazzini spocchiosi a cui si riferiva prima? Ecco, Heather e il suo gruppetto erano ancora peggio.
    James si era quasi dimenticata dell’occupazione che Robespierre aveva messo su, quell’informazione subito rimpiazzata dalla nuova collana regalatole da Gyansygismundu. Se pensava che quella scenetta fosse ridicola? Decisamente. Tuttavia erano quasi tutte serpi, e quando sarebbe andato tutto a puttane qualcuno avrebbe dovuto salvare loro il culo. Iniziò ad avanzare in direzione dei concasati, le mani affondate nelle tasche della felpa e lo sguardo puntato sulla bionda che aveva appena parlato «jeez sinclair, prenditi una birra e calmati» si arrestò al fianco di Viktor, spostando poi l’attenzione sulle altre serpi (e Iden, ciao Iden) «se lo facciamo bene non ci sarà bisogno di uccidere nessuno. Forse, sono sempre nuove esperienze» oh, era così che ci si faceva le ossa che avevano da guardarla male‼&& «Robespierre, spero che non stessi mentendo quando hai detto di avere got» sperava solo di non fare la stessa fine di Roby, ci teneva alla sua testa.
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    Rilesse la stessa frase per la centesima volta, cercando di sovrastare l'orribile accento italiano del corvonero alla sua sinistra per comprendere quanto meno il senso generale delle parole impresse sul suo libro di Incantesimi. Godric ci provava a mantenere la calma, a rimanere il serio studente che si supponeva fosse, a star zitto per non risultare eccessivamente pignolo, ma la gente non faceva che mettere a dura prova la sua pazienza. Per esempio, cosa diavolo c'era di difficile da capire nella sua specifica richiesta di silenzio? Doveva solo terminare un capitolo, un solo fottutissimo capitolo, ma Romeo proprio non poteva farcela a tenere la bocca chiusa, doveva essere una richiesta eccessiva per il suo evidentemente scarso quoziente intellettivo.
    «ma mi state ascoltando?» ebbe persino il coraggio di chiedere tra uno sproloquio e l'altro, finalmente accortosi della mancanza d'interesse ai suoi discorsi da parte dei suoi compagni di stanza. E dire che doveva averci fatto l'abitudine: lui passava praticamente la vita a studiare e a scrivere, Iden era per la maggior parte del tempo assente, fisicamente e mentalmente parlando. Ma, per quel che poteva dire di avere imparato nel corso della sua breve eppur intensa vita, gli ignoranti avevano delle gravi difficoltà a comprendere quand'era il caso di tacere (sempre). Non aveva niente di personale contro Romeo, solo che per lui chiunque non dimostrasse uno standard minimo d'intelligenza e serietà non era da tenere neppure in considerazione. Aveva già i suoi problemi per dover anche perdere tempo dietro persone lente per natura. Se nemmeno Dio era stato caritatevole con loro, perché mai avrebbe dovuto esserlo lui?
    «no.» si limitò dunque a rispondere, posando la penna sulla scrivania con un tonfo seccato, ringraziando il proprio autocontrollo per non essersi ancora alzato in piedi a tappar la bocca a quel dannatissimo italiano. Lanciò un'occhiata alla sua destra, cercando d'individuare il Kaufman per condividere con lui tutto il suo disappunto. Non è che avessero chissà quale rapporto, al contrario, ma almeno era piacevole far fronte comune verso uno stesso nemico.
    Qualora non fosse già chiaro, Godric non era propriamente una persona simpatica. Aveva dell'ironia, sapeva essere a suo modo divertente quando, ma per lo più mostrava una chiara incapacità nel cogliere l'umorismo e tutti i suoi derivati. Probabilmente la colpa era da attribuire al fatto che i suoi genitori lo avessero chiamato Godric in onore del fondatore della Casata Grifondoro e poi lui fosse stato smistato in Corvonero. Quando si dice i casi della vita.
    Ma Godric si era dimostrato un Corvonero sin dalla nascita, incarnava perfettamente tutti i principi della sua Casa d'appartenenza, nessuno avrebbe potuto contestare la scelta del Cappello Parlante. Invero, aveva l'ambizione dei Serpeverde e non mancava certo di coraggio, ma il suo amore per la conoscenza superava di gran lunga qualunque sua altra qualità, al punto da diventare quasi morbosa. In altri termini, non avrebbe esitato più di un istante a dissezionare un cadavere solo per analizzarne il contenuto, ecco. Per sua fortuna, se così si poteva definire, non era mai stato un tipo impressionabile. Persino le torture per lui avevano un che di affascinante, e non che fosse d'accordo sul loro uso: no, era il materiale umano ad attirare la sua attenzione, tutte quelle variabili psicologiche che intervenivano tra il carnefice e la sua vittima, gli effetti della violenza sulla mente di un individuo.
    Non era una persona convenzionale Godric, questo andava ammesso.
    «lo uccido.» mormorò fra sé e sé all'ennesima ripresa del compagno di stanza, respirando sonoramente per impedirsi di alzarsi e soffocare l'altro con un cuscino. «assolutamente, lo uccido.» trascinò rumorosamente la sedia indietro e si voltò verso romeo, osservandolo con espressione tutt'altro che rassicurante. «ti conviene dormire con un occhio aperto, ventimiglia» si limitò a suggerire, con tono piatto ed inespressivo «a volte ai ragni piace salire sui letti, chi lo sa.» fece spallucce, dirigendosi poi verso la porta per uscire fuori e lasciarsi alle spalle quell'improvvisa voglia di omicidio.
    Godric disapprovava la violenza, invero, ma di tanto in tanto aveva quella dannata voglia di sfogare la propria frustrazione su qualcuno nel peggiore dei modi. Probabilmente, se fosse nato Babbano, sarebbe stato uno di quegli adolescenti americani che, a un certo punto, entravano a scuola con una pistola ed iniziavano a sparare sulla gente senza curarsi di chi potessero colpire. Ma era un mago, uno anche piuttosto abile, e discendeva da una famiglia con principi sani e piuttosto rigidi che gli rendevano praticamente inammissibile lasciarsi andare a certi comportamenti impulsivi. Razionalità e controllo erano i suoi capi saldi.
    Aveva oltrepassato l'ingresso della Sala Comune Corvonero ed aveva cominciato a vagare senza meta per i corridoi del Castello, deciso a smaltire la rabbia prima di far ritorno alla propria stanza e noncurante di trovarsi fuori dal dormitorio oltre l'orario consentito. Gli parve di udire delle voci ed in un primo momento s'immobilizzò, per niente intenzionato ad incappare in un prefetto o, peggio, un insegnante.
    «se lo facciamo bene non ci sarà bisogno di uccidere nessuno. Forse, sono sempre nuove esperienze» legit. Si avvicinò con cautela al gruppetto fermo dinanzi alla Sala Torture, cercando di capire cosa diavolo stessero facendo lì a quell'ora.
    «dio, allora diceva sul serio.» alzò gli occhi al cielo, ricordando del breve accenno che jack doveva avergli fatto nei giorni passati su quell'assurda idea dell'occupazione. «se quello lì è Robespierre, io sono Carlo Magno.» si lasciò sfuggire in risposta alle parole della mora. «beh, quanto meno sarà divertente» veder morire tutti? Morire a sua volta? Ecco, aveva uno strano concetto di divertimento Godric «lascia pure che si ammazzino, sinclair. i millenials sono tutti un po' aspiranti suicidi, perché privarli di un tale piacere?» sorrise, scrutando poi uno per uno i soggetti presenti a quella stronzata di massa. Riconoscendoli, aveva ancor meno da stupirsi sul perché avessero deciso che star lì fosse una buona idea.
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    Edited by two|faces - 4/12/2018, 19:55
     
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  7. big eyes‚
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    Non sapeva perché diamine si stesse incamminando per i corridoi di hogwarts, in piena notte, con una bacchetta che non riusciva più ad utilizzare sotto la giacca e le mani infilate dentro le tasche fino al polso – fissandosi guardingo attorno come un ladro. Non era lì per gli altri, né per qualche nobile ideale alla dumont -anche se dubitava fosse vero- e più ci pensava, più nasceva qualche dubbio a riguardo. Lo stava facendo per se stesso?
    Più o meno.
    Andava detto che di per sé iden non era il nobile cavaliere in cerca di rivincita o vittoria, disposto a sfidare mari e monti per togliere l'umile condizione di servo della sala delle torture dal proprio scudo – ecco, no: iden era più il classico scudiero che preferiva l'ombra, e prendersi a botte con gli altri ignoranti invece che tentare attivamente di cambiare le cose. Una volta per tutte.
    Allora, che cosa ci faceva lì?
    Quale motivo lo spingeva a disubbidire a tutti i vigenti regolamenti scolastici, trascinandosi a passo spedito verso un luogo che avrebbe potuto – oggettivamente – raggiungere ad occhi chiusi? Storse le labbra: non erano stati gli incitamenti dei suoi amici, conoscenti o alcun senso del dovere, quanto più il bisogno di fare casino – prima di andarsene.
    Perché fra sé e sé sapeva che i suoi giorni lì dentro fossero sul punto di finire; immaginava non ci volesse molto prima che un professore o lidova scoprissero come il kaufman non fosse più... in grado di creare magie, o per lo meno di farle andare a buon fine. E dato che il problema non sembrava della bacchetta, a iden non servì molto tempo per arrivare alla conclusione che fosse lui il problema. Non ne voleva parlare con nessuno e continuava a girare con la bacchetta alla mano, ma ormai erano finiti i giochi: non provava neanche più ad esercitarsi, non aveva più la pazienza per nulla, nemmeno per affrontare le domande degli altri.
    Da dopo la festa di halloween, sentiva di essere sinceramente pronto ad abbandonare hogwarts, a lasciarsi alle spalle tutto ciò vi fosse legato e ricominciare la propria vita – da babbano o magonò che fosse improvvisamente diventato. L'avrebbe presa con più amarezza, se solo non si sentisse più energico che mai – come se una strana forza avesse preso a circolargli nelle vene con irruenza, scaldando i polpastrelli e i lobi come mai gli era capitato. Si sentiva forte, a tratti invincibile, e la nostalgia per la bacchetta era svanita nel giro di poco, appena era successo quello.
    Già alla festa aveva avvertito qualcosa, volutamente ignorato per non farsi distrarre – però era forte, sempre di più, e più di una volta dalle sue dite si erano dipartite piccole scosse che gli avevano fatto cadere dalle mani libri e quant'altro, tanto da costargli il soprannome di “mani di burro” da parte di romeo e godric, il nuovo fantastiko coinquilino, che per lo meno lo aiutava a far fronte comune contro l'altro.
    Ormai in camera erano loro due a discutere, e iden si preoccupava di fissarli e ridacchiare fra sé e sé, chiedendosi fino a dove si sarebbero spinti prima di uccidersi fargli trovare la camera sotto sopra per qualche schiantesimo di troppo. Vbb, forse gli sarebbero mancati – forse avrebbe smesso di nascondere le cose dell'uno e dell'altro lasciandoli poi incolparsi vicendevolmente ops.
    In ogni caso, anche quella sera il suo corpo fremeva per una strana dirompente energia, stringeva i pugni nelle tasche sentendo ancora quella scossa percorrergli le braccia facendo alzare i sottili peli sulla pelle, elettrizzati – e accelerò il passo, raggiungendo il punto di ritrovo. Cosa avrebbe dovuto fare, una volta arrivato lì? Non era così informato, godric gli aveva solo detto che quella notte alcuni studenti serpeverde avrebbero occupato la sala delle torture – e che era il caso di andare a godersi un po' la loro dipartita #piùpuntiaicorvi. All'annoiata alzata di spalla di romeo, iden aveva risposto con uno sguardo pensieroso: tutt'ora si chiedeva il motivo di una tale decisione, gli era persino giunta voce fosse stato charles a far partire il moto di rivolta... e allora i dubbi diventavano sempre più numerosi, e lui più curioso e confuso.
    Non sapeva più come rapportarsi col dumont: certo era che, dalla notte di halloween, charles stesso aveva ridotto al minimo le occasioni di approccio – e sembrava fingere di non vederlo, o conoscerlo, come se -effettivamente- non fosse successo nulla. Al contrario, l'effetto di quel totale disinteresse nei suoi confronti, aveva scatenato in iden una profonda curiosità verso il francese. Onesto?, non pensava che con una frase avrebbe portato il loro rapporto ad una così tragica rottura – specie perché tutt'ora faticava a comprendere quali fossero i pensieri dell'altro. Dopo mesi di provocazioni, il silenzio; quasi iden avesse compiuto l'atto estremo di strappargli la lingua, o direttamente il cuore dal petto... nulla su cui avesse razionalmente riflettuto, naturalmente. Ora, col passare dei giorni, iniziava a credere che il dumont avesse voluto ammettere qualcosa di più profondo e intimo con le parole dell'altra sera, e che l'improvvisa chiusura nei confronti del corvo fosse dovuta al suo esagerare.
    Perché sì, lo aveva fatto, era inutile negare.
    Non se ne pentiva, ma gli effetti erano stati più curiosi che mai, e nel fare il suo ingresso nella sala torture, il suo sguardo cercò immediatamente quello di charles: non aveva paura, la rabbia era lentamente scemata – era semplicemente curioso. E non sembrava l'unico: non c'era ancora un gran numero di persone, e nel guardarsi attorno riconobbe la sinclair-rompipalle, quel montato di godric /e vbb, lo sapeva/, il cugino (con cui forse avrebbe dovuto scusarsi) di charles, viktor, e la west... gente fika insomma, che poteva davvero fare qualcosa.

    ah, ah – senza prendersi in giro, erano morti.
    Ma non solo; affianco a charles, difatti, aveva appena scorto la figura di heather, che volentieri avrebbe voluto evitare quella notte. Anche lei; che cazzo ci faceva lì?, non aveva da mettersi lo smalto e fette di cetriolo in viso con le sue adorabili compagne del cuore? no. Heather ad una rivoluzione, proprio no. In un primo momento fu anche tentato di fare dietro front e lasciarli morire lì da soli, per la sola gioia di sopravvivere a heather, ma incontrare lo sguardo del dumont seppe frenarlo dal fare dei passi indietro.
    «lascia pure che si ammazzino, sinclair. I millenials sono tutti un po' aspiranti suicidi, perché privarli di un tale piacere» «hai dimenticato il pannolone in camera godric» esordì con un ampio sorriso, palesandosi così agli altri, «a meno che tu non sia qui per renderti utile» e andò a sedersi, lì dove qualcuno aveva piazzato un po' di bottiglie. Si guardò attorno restando sorpreso di come, anche un simile posto, con qualche ragazzo, delle bottiglie sparse e un proiettore a terra perdesse completamente il potere di incutere timore o reverenza – era una stanza come le altre, sulle cui pareti scure rimbalzavano le fiamme dei fuochi magici; e loro la stavano, tranquillamente, occupando.
    In fondo, poteva dirsi un modo differente di passare la serata a recuperare un po' di episodi di got – che da quando quell'infame di romeo aveva preso ad usare il suo pc, gli riempiva netflix e co di anteprime stupide e episodi da finire di serie troppo gay per lui.
    Aveva già voglia di fumarsi una sigaretta, ma al solito, non ne aveva manco mezza «dumont, li fai tu gli onori di casa offrendo una sigaretta ad un povero ribelle squattrinato?» era la prima volta dopo settimane, ragionò, che gli si rivolgeva nuovamente con aria superba e divertita – la propria, in tutto per tutto, riservata in particolare a coloro che gli interessavano.
    Lo fissò, prendendo posto in modo comodo, quasi stiracchiandosi – aveva tutta la notte per morire divertirsi con lui.

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    Le persone avevano l'irritante tendenza a porsi decisamente troppi problemi.
    Invero, era il primo a tenere un certo riguardo per la propria condotta scolastica ma, diciamocelo: non si era mai sottratto alle occasioni di far casino, bastava essere abbastanza furbi da tirarsene fuori prima di rimetterci la pelle. Era sempre stata questa la filosofia di vita del Dumont: vivere il rischio, ma pararsi il culo fino alla fine. Lo faceva da bambino, quando lui e i suoi amici francesi si divertivano a tappezzare le strade di Le Havre con murales magici ed estremamente imbarazzanti, assicurandosi di scappar via prima di essere beccati dalla polizia babbana. Lo faceva ad Hogwarts, tra una fuga ad Hogsmeade ed una gita clandestina notturna e nelle settimane di vacanza - ogni scusa era buona per lasciare casa dei suoi nonni e divertirsi un po' -. Le volte in cui si era pentito di esser contravvenuto alle regole si potevano contare sulle dita di una mano, quelle in cui si era messo in pericolo erano praticamente impossibili da enumerare. Che poteva farci? Aveva proprio un talento per tirarsi fuori dalle situazioni spiacevoli, specie perché non era tipo da farsi troppi scrupoli nello scrollarsi di dosso le proprie responsabilità. L'aveva fatto con Iden un anno prima, ma l'aveva fatto con altri cento prima di lui, probabilmente anche dopo. Non si sarebbe definito uno stronzo per questo, no, piuttosto uno con uno spiccato spirito di sopravvivenza. Stronzo lo era per ben altre cose.
    Tipo per il modo in cui si ostinava a trattare il suo compagno di stanza, per l'approfittarsi troppo spesso di Viktor nel momento del bisogno, per l'aver sbattuto la porta in faccia ad Amélie quando gli aveva solo chiesto un fratello, per non aver mai parlato con Iden in modo maturo, troppo impegnato a dar prova del suo Sé grandioso per applicarsi davvero a migliorare il loro rapporto.
    E ancora, nel suo essere stronzo, non riusciva a pentirsi di nessuna di quelle cose. Solo di una, ad esser sincero: quell'ultima, la più recente e quella che ancora non era riuscito a scrollarsi di dosso, che ancora sentiva bruciante da qualche parte a destra del petto. Ma, non faceva che ripeterselo, era solo questione di tempo, presto sarebbe sparita assieme a tutte il resto. Il Kaufman aveva fatto l'unica cosa in grado di ferirlo: non un colpo allo stomaco, non un pugno in pieno viso e non certo l'odio che mai si era risparmiato di sbattergli in faccia. Aveva mirato al suo orgoglio, chissà poi se conscio o meno del male che avrebbe fatto, ed aveva ricordato a Charles quanto fosse stupido rischiare senza prima guardarsi le spalle. Era stato uno sciocco a corrergli dietro come se ne andasse della sua stessa vita, rivelando almeno in parte i propri sentimenti, mettendo la dignità sotto i piedi e giustificandosi come uno sciocco adolescente infatuato, ma non l'avrebbe più fatto. Sarebbe tornato il Charles Dumont di sempre, insofferente ed arrogante, impossibile da deludere.
    Quella della Sala Torture era una buona distrazione, ma non per questo da confondere con la sua personalissima lista di rischi per divertimento. Aveva preso la questione sul serio sin dal principio, perché credeva di essere in grado di portare avanti un'iniziativa del genere, perché se l'unica gioia rimastagli era confinata ad un letto d'ospedale era proprio a causa della stessa violenza perpetuata in quella dannata stanza, perché il suo ego sarebbe forse potuto essere risanato dal prendere le redini di una questione tanto delicata. Lo faceva più per sé stesso che per altri, ma di questo c'era poco di cui essere stupiti. Era Charles Dumont, ed era un fottuto Serpeverde.
    «non dirmi che hai paura, chérie. qualunque cosa dovessero farci, abbiamo entrambi visto di peggio, non?» e sì che era un colpo basso mirare proprio al punto debole di Viktor, la sua famiglia, i traumi che si portava addosso come cicatrici, ma Charles non era più solo uno stronzo. Era uno stronzo ferito, e stanco, e disilluso per la millesima volta. Uno stronzo arrabbiato con sé stesso per averci creduto ancora, per non aver imparato dai propri errori. Uno stronzo che non aveva più niente da perdere perché aveva già perso tutto, e che nemmeno la sincera preoccupazione di Viktor avrebbe potuto rinsavire.
    Poggiò una mano sulla spalla del Dallaire, rivolgendogli un sorriso tutto meno che rassicurante, annuendo leggermente per mostrargli, almeno in quel modo, la propria gratitudine per averlo raggiunto nonostante tutto.
    «chérie, è davvero un'idea del cazzo» lo distrasse la voce della Morrison, un po' sorpreso di vederla davvero arrivare. Non ci aveva sperato neanche per un istante.
    Non è che non lo sapesse, Charles, di aver avuto proprio un idea del cazzo: senza uno straccio di piano, completamente all'avventura e nel bel mezzo di una battaglia contro i mulini a vento. Non sapeva più neanche perché fosse tanto determinato, ma voleva crederci fino alla fine, e l'avrebbe fatto anche a costo di restare l'ultimo in piedi in mezzo alla Sala delle Torture.
    «chi ti dice che io non abbia un piano?» rispose mellifluo, rivolgendole uno dei suoi sorrisi ammiccanti. D'accordo, non aveva un vero piano, ma forse sarebbe potuto essere sufficiente a non farli uccidere tutti quanti. O magari no. «Sempre che non ci pensi il tuo ragazzo psicopatico» ecco, senza dubbio il peggior argomento da tirare in ballo, proprio l'ultima cosa che desiderava sentirsi dire. Invero, era stato lui a tirar fuori la storia di Iden per convincere la bionda a presentarsi, ma sentirselo ricordare era un'altra cosa. Gli faceva venire ancora più voglia di tentare quell'assurda impresa suicida, solo per sfogarsi un po'. «christ morrison, smettila con 'sta storia del fidanzato e rila—» «Se vomiti prima di me, offri da bere fino a giugno» così sì che si ragionava. Aveva fatto male a non prestare fiducia alla Serpeverde, fino a quel momento l'unica ad aver afferrato il senso di quell'occupazione. Certo, non senza l'evidentemente d'obbligo ramanzina, ma era pur sempre qualcosa. «potrei quasi mettermi a piangere» si posò una mano sul petto con fare melodrammatico, ma in fondo era lieto di sentir rimarcare all'altra che fossero amici. Si erano sempre assomigliati lui ed Heather e, per quanto questo potesse spesso portarli al conflitto, restava sempre fra loro un certo feeling. «per l'accenno patriottico, mica per altro eh» aggiunse, scoccando un'occhiata a Viktor come a dire 'visto? si fa così'. «e per la birra che ti dovrò da qui a giugno. sono realistico, ci sono troppe condizioni da rispettare.» alzò le spalle con noncuranza, perché la prospettiva di dover pagare da bere ad heather era niente in confronto a ciò che avrebbe potuto aspettarli come conseguenza all'occupazione.
    «Dovreste davvero tornare nel vostro dormitorio, il pijama party è finito.» per un attimo gli si gelò il sangue nelle vene, nel terrore che qualcuno dei professori avesse potuto fermarli ancor prima di cominciare. Si voltò dunque, scoccando un'occhiata dubbiosa alla Morrison per poi constatare, con un certo sollievo, di trovarsi dinanzi a nessun'altro che la cugina di Pers. «voi sinclair siete sempre così carini» sorrise, piegando la testa d'un lato come se si trovasse dinanzi a un cucciolo particolarmente interessante. Avvicinò la bionda, passandole un braccio attorno alle spalle e trascinandola con sé verso Heather, Viktor e la East. «se vuoi proprio correre a dirlo alla mamma aspetta almeno che siano arrivati tutti alla festa, mh? magari nel frattempo riusciamo a farti cambiare idea, qui sait» e le lasciò una birra in mano, così, a tradimento. «certo che ho got: full hd, 1080p, 4k. roba da babbani super figa, per chi mi hai preso?» ammiccò verso kanye, per poi avvicinarsi nuovamente alla sinclair per sussurrarle «ah, e comunque questa cosa è anche un'idea di pers. sarebbe un vero peccato se venisse a saperlo qualcuno tipo, je ne se pas, la queen» e le rivolse un sorriso soddisfatto prima di allontanarsene definitivamente. Sì, era abbastanza stronzo da fare minacce sul suo migliore amico e, sì, se necessario non si sarebbe fatto troppi problemi a trascinarlo con sé nella fossa. In fondo Perses se lo meritava: era stato lui il primo a lanciare il sasso e nascondere la mano.
    «se quello lì è Robespierre, io sono Carlo Magno.» s c u s a?? Era così fiero dell'appellativo che la mora Serpeverde gli aveva appena assegnato che non poté risparmiarsi la più temibile delle occhiate verso il giovane Osborne. E figurarsi, solo un Corvonero poteva essere tanto acido ed irritante, specie uno che condivideva la stanza con Iden Kaufman. Doveva essere una specie di persecuzione, il karma aveva deciso di fargli scontare tutte le volte in cui aveva irritato Iden con la sua presenza bombardandolo di suoi continui riferimenti, quasi a volergli far testare un assaggio di quello che il Corvo doveva aver provato avendolo intorno per tutto quel tempo. Se ne rendeva conto adesso di quanto sciocco fosse stato, di quando patetico il suo tentativo di attirarne l'attenzione col solo scopo di farsi odiare ancor di più. E quasi non credette ai suoi occhi vedendo arrivare proprio lui, pur non essendosi mai premurato di fargli sapere dell'occupazione e non avendo mai osato neppure sperare di vederlo lì, partecipe ad un'iniziativa che in fondo era stata principalmente sua, era risaputo. Per quale assurdo motivo Iden Kaufman aveva pensato che fosse una buona idea raggiungerli? Aveva sempre pensato di essere lo stronzo fra i due, ma negli ultimi tempi aveva avuto di che ricredersi: Iden l'aveva trattato come la più inutile delle puttane, si era beato della sensazione dell'essersi finalmente liberato di lui, sottovalutando i sentimenti che gli aveva più o meno rivelato quella notte nella Stanza delle Necessità e gettandoli al fuoco come niente, non facendosi scrupoli nel presentarglisi in quel modo, sorridente come poche volte l'aveva visto, parlando come se nulla fosse successo, come se non l'avesse già ucciso una volta.
    L'avrebbe volentieri colpito come già una volta aveva fatto, avrebbe assaporato la sensazione delle nocche sulla sua guancia chiara, avrebbe scaricato su di lui tutta la rabbia che provava nei suoi confronti e nei propri. Ma Charles non era Iden. Charles non risolveva le cose con la violenza, ma con le parole e con i silenzi. In quello sì che era bravo.
    Evitò accuratamente di guardarlo, così come cerco di non pensare a quanto lo rendesse se non felice almeno soddisfatto l'idea che fosse lì.
    «beh comunque» si schiarì la voce dandogli le spalle, sperando così di scrollarsi così l'orribile sensazione che la sua presenza gli aveva messo addosso. Voleva fargli male, voleva fargliela pagare ma, per qualche sconosciuta ragione, lo voleva ancora. E si odiava per questo. «il piano è questo: entriamo, facciamo un po' di casino e, quando arriveranno i prof - perché arriveranno - noi resteremo dove siamo fino a che non si decideranno ad ascoltarci, clair?» si passò una mano fra i capelli osservando i presenti uno per uno. «se dovessero cercare di ucciderci tutti c'è il piano b, ma facciamo che è una sorpresa» anche perché non era troppo sicuro che fosse un buon piano neppure quello, quindi era meglio lasciare un vago alone di mistero piuttosto che dar loro la certezza di essere praticamente in mano a nessuno. Dove cazzo era finito jj col suo quaderno anti-spia? E chissà se l'idea dei bradipi narcotizzanti di perses si sarebbe davvero rivelata una buona trovata. «se pensate di non poter reggere la pressione, a nanna. se avete intenzione di incolpare solo me per la vostra presenza qui, a nanna. se volete fare la spia, a fanculo.» e, detto ciò, aprì la porta della Sala Torture - già sistemata per l'occasione - e fece il suo ingresso.
    «dumont, li fai tu gli onori di casa offrendo una sigaretta ad un povero ribelle squattrinato?» socchiuse le palpebre, chiedendosi se davvero fosse necessaria una punizione tanto dura per i suoi misfatti. Il fato doveva volergli davvero tanto male.
    «pardon, l'ultima la smezzo con heather» gli rispose dunque con tono piatto, facendo roteare la sigaretta tra le dita con fare svogliato. «potrebbe essere l'ultima della nostra vita a quanto pare, meglio non sprecarla.» immaturo? Senza dubbio. Stupido? Sicuramente. Ma se anche a Iden non fosse importato, se anche non avesse notato il suo improvviso cambio di rotta, il modo in cui aveva preso ad ignorarlo in netto contrasto con l'interesse che invece gli aveva mostrato nell'ultimo anno, per Charles sarebbe stata comunque una vittoria. La dimostrazione che, malgrado non riuscisse ancora a toglierselo dalla testa, non aveva ancora perso il suo amor proprio. «ti consiglio di fare lo stesso» aggiunse e, stringendosi nelle spalle, si chinò ad accendere il proiettore per dare inizio alle danze.
    I want no money
    but write the story.
    I bet you're sorry,
    Don't fuck my homies.
    2000's | slytherin | revolutión
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    charles
    dumont



    Eeee sì, non ero sicura di poter postare domani e mi prudevano un po' le mani quindi NUOVO GIRO NUOVA CORSA ♥
    Però potete tipo infilarvi in qualunque momento, anche prima di entrare, insomma fate un po' quello che vi pare.
    REVOLUTION!! :jericho:
     
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    «E prendile altre quattro bottiglie, compà*! Dobbiamo farci dire che siamo dei pezzenti? Avanti, metti ste’ robe nello zaino e zittuti.* Che già mi hai spaccato tre quarti di cazzo.»

    La delicatezza, davvero, non era mai stata nelle sue corde. In realtà, non lo era nemmeno la capacità di far silenzio, di essere abbastanza discreto da passare inosservato per i corridoi del castello, specialmente ad un’ora tanto tarda, con il rischio di svegliare non solo i propri compagni di stanza, ma anche i professori.
    L’unico che sembrava dargli corda, comunque, in quel delirio fatto di bottiglie di birra e parole in siciliano buttate qui e lì, era Ryan. Insomma, quel ragazzo aveva lo Spirito Santo dalla sua parte per potergli stare vicino, tanto quanto bastava per limitarne la portata distruttiva.
    Non poteva farci molto, in realtà. Il suo temperamento era stato stoicamente forgiato dalla vita in Italia, la patria della pizza, del mandolino, ma soprattutto delle madri dalla ciabatta facile e gli inconfondibili “A TAVOLA CHE È PRONTO” quando poi non era pronto proprio un cazzo, ma guai a farlo notare. Pena, la ciabatta nei denti. E allora, cosa si poteva pretendere da lui, umile ragazzo vissuto nell’ambiente siciliano per tutta la sua vita, con un padre mago milanese e una madre mezzosangue made in Sicily che più che tale somigliava alla nonna Pina della canzoncina per bambini, sempre pronta con un piatto di lasagne fumanti tra le mani? Niente, non si poteva pretendere proprio un bel niente!
    La sua voce era alta di natura. Forse era diventato persino sordo e l’Amplifon lo stava aspettando al ritorno per le vacanze estive, dove sicuramente non avrebbe perso tempo nel bruciare i libri (poteva sentire sua mamma urlare dalla finestra della villetta, tutta indignata “Quanti galeoni buttati!” e Renzi che fa?? Piange?? E gli ottanta euro!??) e correre verso le spiagge bianche con la protezione cinquanta per evitare di bruciarsi. Fanculo l’abbronzatura, il pallore elitario era meglio.

    «Cam’a fari.* Ti porto in braccio? Jack e Gordon ci stanno aspettando. Se quello stronzo di Gordon mi ha tradito con Romero-- Romino-- quel tizio, lo ammazzo. Sta sera, coca e mignotte tutta la notte» certo, come no. L’ironia nella sua voce era intuibile solo dal guizzo di preoccupazione negli occhi chiari, forse dallo scintillio di speranza nel non essere acciuffati. Era cosciente che il Dumont, però, avesse intenzione di farsi scoprire eccome, magari anche di farsi ammazzare. Wow, il livello di feticismo toccava vette altissime ad Hogwarts! Era contento di essere andato dagli zii in Inghilterra per poter frequentare la scuola, una delle migliori del mondo magico. Non che in Italia si trovasse male, anzi, ma era tutto così—italiano. Che du palle, oh. English era meglio, almeno aveva conosciuto le Tre Grazie (Jack, Gordon e Rayan, rispettivamente Grazia, Graziella e Grazie a sto cazzo) ed insieme erano diventati il quartetto della "brioscia cco kiwi*. Tiè Losers, beccatevi questa nel cu—no, dai, li voleva bene. Ad alcuni aveva pure portato dei cannoli alla ricotta che levatevi tutti inglesi maledetti, che cazzo ne dovete capire di dolci.

    «Maronn mia, che stress» si lamenta, uscendo dal dormitorio con l’agilità di un ninja sotto acidi, ma pur mantenendo in equilibrio perfetto le bottiglie di birra tra le braccia. L’alcol costava assai e lui non era mica un Mangiamorte al Ministero, ma un Grifondoro dalle mille risorse «Cu cazzu mu fici fari*» borbotta, sbuffando dalla bocca, ma stranamente mantenendo un tono di voce discreto. Okay che era abituato a parlare come se il suo interlocutore fosse a trecento metri di distanza, ma non era così cretino da volersi far scoprire prima di arrivare dagli altri «Rayan, ta putissitu pigghiari n’antra buttigghia*, no? Devo fare tutto io in questa relazione!? Cosa sono, la tua schiava!?» cosa. Meno male che i suoi amici, ormai, erano abituati a quelle stupidaggini, ma soprattutto ai suoi continui borbottii da vecchio bacucco. Dubitava che, comunque, capissero qualcosa quando inveiva in siciliano. E non l’avevano sentito parlare in milanese!
    Era proprio un imbecille.

    «Che poi—geniale questa occupazione. Speriamo che non finisca male. Facciamo un minuto di silenzio per i defunti non ancora defunti.» ma che presto lo saranno, amen. Pff—ma quale minuto di silenzio? Era assai se riusciva a cucirsi la bocca per mezzo secondo «Non so perché stiamo andando, forse per lo spirito della festa, forse perché morire a diciassette anni è più che accettabile, che dici? Cioè, che palle. Arrivare a quarant’anni, decrepiti, con la voglia di mettersi i coglioni nel frullatore e tritarseli. Ci pensi? Eh? Ci pensi, Rayan? Nemmeno mi ascolti. È proprio vero che ti amo solo io, è a senso unico, che schifo.» una volta svoltato l’angolo, nota un gruppetto di persone, molti volti conosciuti tra cui Charles, Viktor, Heather—persino quel cagacazzi di Iden, tutti intente a discutere tra di loro del piano d’azione (che riguardava principalmente l’esposizione di qualche perplessità sulla riuscita generale del piano o, più semplicemente, cosa vedersi tra GoT e American Horror Story).

    «Io voto per GoT!» esclama, sventolando in aria una birra, tenendo in equilibrio precario tutte le altre «che Jon mi pare un coglionazzo e voglio vedere se resuscita, come Gesù! – weeee! Gordon, Jack, allora non avete tirato il pacco! Stavo già per prendere delle vostre foto e photoshopparvi sopra due bidoni dell’umido!» poggia le bottiglie per terra, in modo tale da recuperarle una volta in procinto di entrare nella stanza, solo per avvolgere le braccia rispettivamente alle spalle dei due ragazzi che trascina, letteralmente, verso l’ultimo dei tre, Ryan «sta sera, soldati, potrebbe essere la nostra ultima notte insieme. Siete stati amici fedeli, non mi avete spoilerato Game of Throne e avete adempiuto bene al ruolo di Guardiani della Sacra Brioscia» recita, solenne, quasi serio. Quasi «eppure, ahimè! Aspetto ancora il Blue-ray di Django per il compleanno. Posso morire sapendo che i miei tre migliori amici sono dei pezzi di merda? No. Sipario.»

    Alla fine, tira su con il naso, teatrale.
    Quando però, finalmente, sente ciarlare il Dumont di cose realmente interessanti… ecco che si volta, tendendo le orecchie.

    «Il signorino francesino ha intenzione di fare le cose per bene, mh?» solleva entrambe le sopracciglia, abbandonando i due poveri malcapitati, sospirando «Avanti, compari, andiamo a fare bordello» rivolge ai tre un sorriso a trentadue denti, con tanto di occhiolino, recuperando la birra.

    La sacra birra del coraggio.

    Dante Renzo Rinaldi
    Even though you're growing up, you should never stop having fun.
    17 y.o.
    Gryffindor
    Sicilian boy


    TRADUZIONI SICILIANO-ITALIANO (perché immagino che altrimenti non capireste una fava ehehehehe):

    Compà: “compare”, “amico”, “persona con cui si ha un certo legame di confidenza”
    Zittuti: “stai zitto”, “non ti lamentare”
    Cam’a fari: “che dobbiamo fare”
    Brioscia cco kiwi: “Semplice stupidaggine dal sound musicale che vuol dire Brioscia con il kiwi”
    Cu cazzu mu fici fari: “Chi cazzo me lo ha fatto fare”
    Ta putissitu pigghiari n’antra buttigghia: “Te la potresti prendere un’altra bottiglia”


    Edited by Fancy|Bitch - 5/12/2018, 03:39
     
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    Se glielo avessero detto, non ci avrebbe mai creduto.
    Eppure, se ne stava lì, con gli occhi di Charles puntati addosso come delle lame, taglienti tanto quanto le sue parole. Il fatto era che aveva una certa stima del Dumont, tanto da dimenticare che non fosse altro che un altro ragazzo come tanti, uno incapace di accettare le cose per com’erano, che solo per il principio di scombinare l’ordine, voleva farsi valere. Che fossero i muri francesi, imbrattati di colore o le aule cupe e piene di segreti di Hogwarts, non aveva importanza. Paura, diceva? Di cosa doveva avere paura? Il terrore era molto di più che semplice presa di posizione, di chiaro intento nel fermarlo; eppure, era sciocco da parte propria ricercare un minimo di senno in quella testa ormai montata da idee assurde, anticonformiste, anti tutto, persino anti ragione. Non c’era senno in quello che stavano per fare; non c’era un piano, non c’era un esercito. A pagarne sarebbero stati solo loro che, scioccamente forse, avevano deciso di partecipare a quella rivolta, tramutatasi in scherzo. Serie TV? Musica? Alcool? Cos’era, l’ennesima festa nella Sala Comune dei Tassorosso? Un party organizzato per la fine dell’anno? O era, magari un momento importante che avrebbero dovuto vivere con un pizzico di coscienza, infervorati dalle ingiustizie e dalle barbarie subite in quella stessa stanza? Forse, in fondo, c'erano tutte quelle cose, ma non le riusciva a percepire. Si parlava di rivoluzione come se fosse la più semplice delle sciocchezze, ma lo stupido era stato lui a tentare, almeno per un attimo, di fidarsi di quella marmaglia di ragazzini, troppo imbottiti di stupidi preconcetti, ma soprattutto nascosti dietro alle fantasie utopistiche di rivalsa. Avevano visto troppi film per scindere la verità dalla finzione.

    «Mi piacerebbe sentirlo questo piano b, sempre che esista» mormora, allontanandosi appena dal ragazzo, ignorando gli schiamazzi dietro di sé.

    Il problema principale, alla fin fine, era la sua incapacità di dire no a Charles. Un giorno, avrebbe finito con il farsi uccidere per quell’idiota. Un giorno, avrebbe pagato il prezzo per l’affetto che si era concesso di provare per suo cugino. Perché mantenere la sua solita filosofia, ovvero “prima io e poi tutti gli altri” l’aveva preservato dal dover fronteggiare quel mostro nero e cupo che era la depressione. E non era di certo un idiota, sebbene molti lo pensassero e credessero che fosse futile, tanto quanto il sesso che elargiva in giro. Era a conoscenza della capacità del Dumont di approfittarsi di lui, in qualsiasi modo la si volesse mettere. Forse era un po’ colpa propria, che aveva permesso che questo avvenisse, ma l’avrebbe fatto mille volte ancora, solo per essere trattato in quel modo. Forse, masochista, lo era davvero.
    Perché dietro la semplicità di quell’affermazione, c’erano situazioni che Charles non aveva il diritto di tirare fuori, dolori così acuti da essere radicati come schegge nel suo cuore. Suo cugino, alle volte, dimenticava che non fosse il solo a soffrire e forse non gli interessava nemmeno ricordarlo.
    Lo sapeva che non aveva nessun rispetto nei suoi confronti, che a conti fatti non fosse altro che l’ennesimo tassello del suo piano per la liberazione della scuola, uno sacrificabile come tutti gli altri. Avrebbe rischiato la sua incolumità per lui? Se qualcuno l’avesse attaccato, sarebbe rimasto o scappato?
    Erano quesiti che lo turbavano, terribilmente. Lì non si parlava di stupide camicette gialle o di pantaloni bordò. Si parlava della loro vita, del loro rapporto che, implicitamente, l’altro aveva appena assottigliato con l’uso di quella lingua da serpe.

    Ecco cos’aveva visto il Cappello Parlante in lui, per inserirlo tra le file dei verde-argento. Una parlantina in grado di ferire più delle spade affilate, di tagliare con precisione ogni contatto con le persone che lo amavano più della loro stessa vita. Attaccarsi così a Charles l’aveva sempre considerato una debolezza a cui, però, non si sentiva di rinunciare. E sebbene il suo sguardo tradisse quel guizzo ferito, negli occhi dell’altro non vedeva altro che insofferenza, vuoto e totale abbandono. Era successo qualcosa che, inevitabilmente, l’aveva riportato all’inizio, al Charles Dumont di qualche anno prima.

    Con la coda dell’occhio nota Heather. L’ascolta parlare quasi con disinteresse, soffermandosi sui capelli biondi, sul viso tondo, sulle dita flessuose che elencavano cose a cui lui non era interessato.
    Avrebbe riso, in un altro contesto. Sarebbe stato il primo a scherzare e provocare come un idiota.
    Ma le parole di Charles l’avevano turbato, rendendogli impossibile persino respirare. La pacca sulla spalla gli sapeva di contentino, un tentativo futile per renderlo mansueto.

    «se pensate di non poter reggere la pressione, a nanna. se avete intenzione di incolpare solo me per la vostra presenza qui, a nanna. se volete fare la spia, a fanculo.»

    Oh, i sensi di colpa. Era su questo che basava la sua arringa?
    Eppure, il guizzo sorpreso negli occhi del cugino alla vista di Iden non era sfuggito. Anzi, forse era stato ancora più palese quanto fosse ritroso nei confronti del Corvonero, rifiutandogli persino la solita sigaretta. L’avrebbe fumata lui, se solo non avesse nominato Heather.

    Incrocia le braccia al petto, rimanendo in silenzio per qualche istante. Stava combattendo per qualcosa in cui nemmeno credeva, ma non se la sentiva di lasciare Charles scoperto. Doveva proteggerlo, nel caso in cui le cose si fossero messe male e non dubitava che sarebbe successo. Ne avrebbe pagato le conseguenze consapevolmente, non poteva dare la colpa al Dumont.

    Sospira, di nuovo, dando un’altra occhiata al cugino. Avrebbe voluto avere lì Mortimer per guidarlo, unico vero sostegno della sua vita. Per un abbraccio, per un conforto, per uno sguardo. Forse si sarebbe accontentato persino d'avere Hunter lì, voce della ragione, che si confaceva meglio all'Oakes che non a lui. Aveva bisogno di un viso amico, in mezzo a tutto quello sfracello. Aveva bisogno che qualcuno gli stringesse la mano e gli dicesse "respira".

    «Bene» dice, alla fine, impotente di fronte alla sua stessa mancanza di polso «allora entriamo in questa maledettissima Sala, niente più chiacchiere» con decisione, forse esasperazione, spinge il portone in ferro per ampliare il raggio del proiettore e, soprattutto, per far riecheggiare il rumore della musica nel corridoio.
    Non avrebbero atteso tanto, i professori sarebbero arrivati da un momento all’altro.
    Viktor Asmodeus Dallaire
    The greatest and most powerful revolutions often start very quietly, hidden in the shadows.
    Remember that.
    17 y.o
    Gryffindor
    Concerné


    Edited by Fancy|Bitch - 5/12/2018, 03:35
     
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  11. wabi·sabi
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    You know, I'm getting pretty damn tired of everybody.
    Ryan Allen
    Erano le tre di notte quando Ryan si svegliò di soprassalto a causa delle urla sguaiate del suo, sempre delicatissimo, compagno di stanza Dante, un bravo ragazzo un po' cazzone proveniente da qualche angolo dimenticato dell'Italia.
    «che cazzo hai da urlare coglione» gli chiese Ryan infastidito per esser stato strappato al suo sonno, così Dante gli parlò dell'occupazione e cerco in ogni modo di convincerlo ad andare con lui.
    Il Grifondoro aveva praticamente tutto da perdere visto che la sua permanenza alla scuola era sospesa a un filo, le sue condizioni economiche non erano delle migliori così come la sua carriera scolastica. Una mente brillante che si rifiutava di applicarsi, malgrado tutto per lui fosse estremamente semplice. Se l'avessero espulso il mondo non sarebbe cambiato più di tanto per il ragazzo, la cui ambizione era praticamente pari a zero, ma sarebbe stato un problema perchè in fondo, la ragione per cui aveva deciso di studiare ad Hogwarts era legata al desiderio di poter diventare qualcuno e risollevare così le sorti della sua famiglia.
    Nella penombra della stanza si sporse dal letto e cercò a tastoni il pacco delle sigarette, ne sfilò una, l'accese e ne assaporò l'acre gusto, mentre Dante non faceva che parlare in quel suo dialetto incomprensibile, così si lasciò trasportare lontano dai suoi pensieri.
    Ad un tratto la luce si accese e si trovò davanti una cassa piena di birre, così si alzò, si vestì e si aprì una bottiglia. «E prendile altre quattro bottiglie, compà*! Dobbiamo farci dire che siamo dei pezzenti? Avanti, metti ste’ robe nello zaino e zittuti.* Che già mi hai spaccato tre quarti di cazzo.» lo ignorò totalmente e si avviò verso la porta, armato di birra stretta tra indice e medio e la sua seconda sigaretta, incurante delle proteste del compagno. «Cam’a fari.* Ti porto in braccio? Jack e Gordon ci stanno aspettando. Se quello stronzo di Gordon mi ha tradito con Romero-- Romino-- quel tizio, lo ammazzo. Sta sera, coca e mignotte tutta la notte» in realtà l'idea di provarci con qualcuna era una delle principali ragioni per cui si era lasciato convincere ad imbarcarsi in un'avventura tanto sconsiderata. In fin dei conti aveva voglia di divertirsi un po' e sicuramente ad un raduno così idiota avrebbe trovato qualche ochetta disposta ad accontentarlo.
    «Rayan, ta putissitu pigghiari n’antra buttigghia*, no? Devo fare tutto io in questa relazione!? Cosa sono, la tua schiava!?» anche fuori dal dormitorio Dante non faceva altro che parlare ad un tono così vertiginosamente alto che avrebbe fatto svegliare l'intera scuola «Prova a gridare ancora di più così ci espelleranno di sicuro, non avremo nemmeno il tempo di arrivare alla sala torture, altro che mignotte» ignorandolo continuò a blaterare senza sosta «Che poi—geniale questa occupazione. Speriamo che non finisca male. Facciamo un minuto di silenzio per i defunti non ancora defunti. Non so perché stiamo andando, forse per lo spirito della festa, forse perché morire a diciassette anni è più che accettabile, che dici? Cioè, che palle. Arrivare a quarant’anni, decrepiti, con la voglia di mettersi i coglioni nel frullatore e tritarseli. Ci pensi? Eh? Ci pensi, Rayan? Nemmeno mi ascolti. È proprio vero che ti amo solo io, è a senso unico, che schifo.».
    In effetti era vero, Ryan non lo stava più a sentire, di nuovo perso nei suoi pensieri, finchè svoltando l'angolo la sua attenzione fu rapita da un gruppo di ragazzi tra cui Charles il fautore della rivolta per quanto detto da Dante e Heather la bionda Serpeverde che stava sempre incollata al culo del francese. Stava per andare in quella direzione per tentare di attaccare bottone, ma fu letteralmente trascinato via dal compagno che già stringeva Jack e Gordon «sta sera, soldati, potrebbe essere la nostra ultima notte insieme. Siete stati amici fedeli, non mi avete spoilerato Game of Throne e avete adempiuto bene al ruolo di Guardiani della Sacra Brioscia. Eppure, ahimè! Aspetto ancora il Blue-ray di Django per il compleanno. Posso morire sapendo che i miei tre migliori amici sono dei pezzi di merda? No. Sipario.». L'idiota completò la scena tirando su col naso quasi trattenendo le lacrime, i quattro scoppiarono a ridere esilarati dall'ennesima plateale dimostrazione di stupidità, malgrado il suo carattere ed i suoi modi nettamente agli antipodi rispetto ai suoi, Ryan iniziava ad affezionarvisi. Sentì dei passi e con la coda dell'occhio vide la Serpeverde allontanarsi, al momento la sua occasione era sfumata, ma avrebbe ritentato più tardi, così si volse nuovamente ai suoi amici e bevendo un lungo sorso di birra ascoltò gli ultimi vaneggiamenti di Dante «Avanti, compari, andiamo a fare bordello» sorridendo malinconico riflettè sul fatto che il ragazzo non si sarebbe potuto contenere nemmeno volendo, il suo unico desiderio era quello di riuscire a sopravvivere a questa stupida ribellione, magari anche illeso.
     
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  12. heart/breaker ©
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    ladies, take off your panties for
    (AFRO) JACK
    17 yo
    gryffindor
    braindead
    black pride
    Come spesso gli accadeva, si era fermato a contemplare il vuoto attorno a sé con aria enigmatica e persa, la bottiglia di schweppes in una mano a premersi sulle labbra schiuse in silenziose considerazioni – in viso, tutto tranne una faccia degna del laborio del cervello: ricordava vagamente un vecchio con un principio di alzheimer, perso nel cercare di distinguere il vero dal falso nei suoi pensieri – quando un lampo di luce seppe farlo alzare all'improvviso, ed esordire sopra tutti «HO CAPITO.»
    La reazione degli altri fu affatto insospettabile: non se lo cagarono di striscio – dante impegnato a ficcare bottiglie di ogni genere e dimensione in uno zaino che a stento poteva contenerne un paio, ryan ancora più preso dall'ignorare entrambi per dormire; ignorò il fatto di essere stato ignorato (?), e iniziando a fare su e giù per la camera, con le braccia dietro la schiena, assunse il modo di fare che riteneva adatto ad un investigatore. Ore passate a casa della nonna a guardare con lei il detective colombo avrebbero dovuto portare a qualcosa – ma il risultato era tutt'altro che armonico, con quel fisico atletico impegnato in una posa curva e frenetica.
    «finalmente ho compreso la verità, ho afferrato – con le mie dita tangibili – l'inafferrabile e essenziale verità» sentì vagamente dante dire qualcosa a riguardo, annuire compulsivamente probabilmente nel ragionamento che non c'è quattro senza cinque, alcolizzato parlando e per ciò si fermò, guardandosi sospetto attorno, prima di esordire «... terry crews è il mio /fottuto/ sosia dell'altro universo... sì dai, lo sapete, quella leggenda che narra del viaggiatore dei mondi, andreius – quella che tutti sanno ma nessuno ammette» complottista, acuto, indagatore; ai più, jackson “jackie” reynolds era semplicemente stupido come qualunque giocatore di football spedito in un mondo a cui non sarebbe mai riuscito ad appartenere davvero. Già si stupiva che l'inghilterra magica non avesse trovato un valido sostituito al football americano – sì, certo, il quidditch era carino, ma la sua massa muscolare era sprecata lì!!1!, e questo era oggetto di lamentele con gli amici più spesso di quanto si potesse sopportare credere.
    Guardò in ogni caso trionfante un... punto, totalmente a caso, di fronte a sé: tutto tornava, e per le mammine kritikone!!1! «cioè, guardateci(?): lui è fiko – come me – , nero – come indovinate chi altro? – e, soprattutto, con una carriera brillante. Deve essere arrivato nel nostro mondo prima, essersi realizzato ecc...» poi, d'un tratto, come il più psicolabile dei psicopatici lunatico della golden foursome, si oscurò in viso, e il tono calò di numerosi decibel «questo significa che ha rubato la mia carriera, il mio talento (space jam quote) ...e che mi toccherà ucciderlo.»
    Guardò i suoi due compagni, vedendoli totalmente disinteressati a lui (as usual); tuttavia stavolta ne era sollevato – non voleva farli finire in qualche casino per colpa dei suoi piani da omicida provetto, anche se preferiva farsi chiamare “giustiziere della notte” (“giustiziere, banalmente → porto giustizia... poi, vabbè, “della notte” → sono nero, ihih che simpatico che sono”). Li fissò, con l'amore negli occhi: li amava troppo per metterli in pericolo... ecco, ecco già che pensava a loro nei guai, gli venivano le lacrime agli occhi!, “ma dico, si può essere più persi di così?” e avevano solo appena deciso all'ultimo di recarsi all'occupazione nella sala delle torture, con tanto di disappunto di dante che non era riuscito a raccattare più bottiglie di così in giro.
    Tirò su col naso nel vano tentativo di nascondere le lacrime, e fissando l'orologio si accorse che era già tarduccio – rischiava di perdersi il toto-gnocca!!, tuttavia dante non accennava a smettere coi drammi, e ryan non pareva così interessato a muoversi dal letto.
    «beh, pensieri complicati a parte – io mi appropinquo, boyz, e inizio a dare un'occhiata alla gnocca. Per voi, sure» e senza aspettare risposta si dileguò. ihih era davvero un cattivo ragazzo; lo sanno tutti che prima vai, prima rimorchi – cioè, era la classica legge del “chi dorme non piglia gnocca”, e ryan ora come ora partiva svantaggiato.
    Percorse così rapidamente il tratto dal dormitorio dei grifi fino alla sala delle torture, luogo che aveva visto solo di sfuggita: lui nella sala delle torture?, p f f, era il classico giocatore di quidditch che con la scuola non aveva mai problemi – anche perché oggettivamente non ricordava nemmeno l'ultima volta in cui si era preoccupato di fare un compito, e in generale sembrava abbastanza portato per la magia. Certo, non abbondava di intelletto o arguzia (anzi, gli altri probabilmente erano ancora a chiedersi dove avesse sentito il termine “appropinquarsi” e come avesse azzeccato quando usarlo...), ma andava detto che non aveva mai avuto bisogno di aiuti – e se rompeva le scatole a godric, era solo per pigrizia personale e bisogno di dargli fastidio. Affettuosamente, si intende.
    Si apprestava a raggiungere il gruppetto radunato davanti alla porta della sala con ben poco: i vestiti (e sì, nel suo caso era sempre necessario specificarlo), la bacchetta, il nuovo cd dei muse (“merlino, questo ragazzo ha il cuore da nero, inutile fingere”) e la bottiglietta di schweppes in mano. Perché?, beh – non si sapeva mai quando fosse il caso di utilizzarla.
    Un gruppetto si era già radunato davanti, capitanato dalle serpi che avevano dato il via alla rivolta (ci credereste voi?, no perché jackie ancora era sorpreso) «po-poro-po arriva la cavalleria» annunciò, per richiamare l'attenzione – conosceva, chi più chi meno, tutti lì davanti, ma certo godric era l'unico che potesse chiamare “amico” e gli si affiancò immediatamente, dandogli una pacca energica sulla spalla – col rischio di romperlo; e w, quante volte gli aveva detto di iscriversi a quidditch!, mai una che fosse stata ascoltata «ciao bruh, inizi a portare jella a là revolushion?» male, lo guardò con sguardo ferito e rammaricato – giusto per qualche istante, prima di sentire la sinclair aprire bocca, con quel suo solito tono bacchettone che... mmm, quali inenarrabili pensieri nella testa di jack. Ve ne offrirò una versione censurata, in cui la ragazza stava a rimbeccarlo con una bacchetta in legno, l'esagerata scollatura censurata dal volto sorridente di terry crews,...
    Le si avvicinò, agitando la bottiglietta davanti a lei «calma, sinclair... già che sei qui, che ne dici – un po' di schweppes, tu ed io, da soli alla penombra?» e le fece un occhiolino che voleva essere provocante – ma che restava il metodo di approccio di un imbecille cronico. Poi si voltò verso gli altri, e agitò cd e bottiglietta «ah, dumont, naturalmente ho portato io la musica. Lascia fare a noi neri, lo sai che cosa abbiamo» e di nuovo, un'occhiata di intesa (a senso unico) verso la bionda «un luuuungo senso per la buona musica.»
    In quel momento l'arrivo di ryan e dante svegliò tutto il castello, attirando la loro attenzione: ma ancor prima di poter dire qualcosa, si trovò coinvolto nell'abbraccio di gruppo di dante – tenero ma «regà, mi state facendo passare per ghei, e lo sapete che ho la reputazione da sciupa-femmene...» «sta sera, soldati, potrebbe essere la nostra ultima notte insieme. Siete stati amici fedeli, non mi avete spoilerato Game of Throne e avete adempiuto bene al ruolo di Guardiani della Sacra Brioscia. Eppure, ahimè! Aspetto ancora il Blue-ray di Djando per il compleanno. Posso morire sapendo che i miei tre migliori amici sono dei pezzi di merda? No. Sipario» «ehi, quella è stata colpa di godric: io gliel'ho detto, “piglialo durante i saldi del black friday su amazon, ti fai il quinto account premium gratis e arriva in tempo” ma lo sai com'è perbenino lui...» p f f, doveva ancora far uscire la dark side dal suo amichetto.

    Ah, ma voi ancora aspettate un motivo per la sua decisione di presentarsi all'occupazione?

    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco


    tolta la premessa con dante e ryan
    molesta godric
    molesta (davvero...lo... lo potrebbe denunciare?) virgi
     
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    Aveva sentito dei rumori nel dormitorio della sua casata. Chi parlava, chi usciva dalla sala comune, chi invece faceva semplicemente rumore. Si era svegliato quasi subito, maledetto sonno leggero, rimanendo comunque a letto girato su un fianco. Stava accadendo qualcosa. «Anderson?» Sul ciglio della porta c'era un ragazzino, probabilmente del primo anno, con il pigiama addosso ed uno sguardo preoccupato. Ma che ore erano? Si era alzato con il busto dal materasso morbido dando un'occhiata veloce in giro, fissando infine quel piccolo serpeverde. «Dovresti proprio venire..Alcuni studenti stanno occupando la sala delle torture. Non..non finiremo tutti nei guai, vero?» La voce tremava, punzecchiava le sue dita nervosamente all'idea di venir punito per colpa di quell'occupazione a cui lui, come altri, non aveva minimamente partecipato. Il prefetto intanto si era alzato dal letto facendo mente locale, prima di avvicinarsi al ragazzino con le man sulle sue spalle. Per un momento, aveva rivisto in lui il Charlie undicenne sempre spaventato. Tranquillo, ci penso io. Tu adesso torna a letto e cerca di dormire, d'accordo? Aveva leggermente stretto la presa sulle sue spalle, un gesto di conforto, con un tono di voce sicuro in modo da non preoccupare ulteriormente il ragazzino -che nel mentre aveva annuito, tornando nella propria stanza-. Lo aveva seguito con lo sguardo, passandosi poi le mani sul viso e tra i capelli con un sospiro d'ansia. Cosa diavolo era saltato in testa a quei degenerati? Il pensiero della sorella coinvolta in tutto questo non era certo d'aiuto al prefetto, che già se la immaginava laggiù in mezzo a far casino. Rose che non seguiva le regole. Rose che protestava. Rose che veniva punita per questo. Si era vestito velocemente indossando i primi stracci tirati fuori dall'armadio -non aveva la testa per pensare a certe in cose in quel momento- per uscire dalla sala comune dei serpeverde e percorrere i sotterranei a passi veloci. Erano le tre di notte o poco più, aveva parecchie ore di sonno arretrate e l'idea di andare a “rovinare” il party ad altri studenti non era di certo nel programma della sua agenda. Ma doveva farlo. Perché era il prefetto e i serpeverde una sua responsabilità. Doveva fare la parte del cattivo per mettere in sicurezza i suoi concasati? Così sia. Di certo non aveva paura di un branco di studenti piazzati nella sala torture con l'intenzione di occuparla -che poi, fino a quando esattamente?- solo perché le regole di quella scuola non erano di loro gradimento. Ci faranno uccidere tutti. Maledetti stolti. Aveva pensato con rabbia dopo aver sbagliato strada per la terza volta. Sentiva le mani leggermente sudate, in testa aveva così tanti pensieri da annebbiare la sua parte razionale e adesso neanche ricordava la via giusta per la sala delle torture? Good job. Un momento dopo si era fermato, di colpo, guardandosi intorno con il respiro affannato e le ginocchia che sembravano diventate improvvisamente di gelatina. Aveva poggiato la schiena contro il muro freddo, insieme ai palmi aperti delle mani, con lo sguardo rivolto a terra -sulle sue scarpe- e la bocca leggermente aperta. Doveva calmarsi. Non poteva farsi venire un attacco d'ansia proprio in quel momento, non così, non lì. Anche se forse era meglio, per lui, non farsi vedere preoccupato in mezzo ad altri studenti. Aveva chiuso gli occhi iniziando a fare dei profondi respiri, alzando la testa fino a toccare il muro con la nuca -prendendo e rilasciando aria-, con calma, per poi scivolare fino a mettersi seduto a terra. Era bravo ad improvvisare quando si trattava di cose più alla mano -non di certo fare irruzione di fronte un branco di studenti forse mezzi ubriachi e fatti per dire loro di tornare nei dormitori-. La sua paura più grande era quella di venir pestato da tutti e ridotto a brandelli, cosa abbastanza probabile. Di parlare e venir deriso. Di fallire. Quindi si sarebbe trattenuto ancora un po' lì, seduto a terra in quel corridoio cercando di pensare ad un piano. A cosa dire o fare una volta laggiù. E chissà se c'erano anche gli altri prefetti.
    Roses are red, shit is brown. Shut the fuck up, and sit the fuck down.
    3am | 16 y/o | prefect
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
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    Jourdain "Jo" Raleigh
    «Io volevo solo dormire.» Dura la vita, quando ci si metteva.
    Atono, con la sua migliore espressione di scocciato disorientamento, Jo e la sua tombale voce della verità risposero asciutti a un concasato che si era sorpreso di vederlo camminare verso la Sala Torture, sveglio. Lui, sveglio a quell’ora? Sul serio? Che poi non era neanche tardissimo, nonostante l’ora del coprifuoco fosse passata da un pezzo, ma Jo aveva già iniziato a ronfare come un angioletto piuttosto molesto da un’ora abbondante: adorava dormire, non era un mistero che la mattina si perdesse lezioni intere solo per quello. Adorava il suo letto comodo che non rompeva le scatole parlandogli mentre era in dormiveglia – JJ –, che non si lamentava se qualcuno gli derubava l’armadio che neanche il ratto delle sabine – Perses, con quelle orribili ciabattine col pelo che di certo non potevano definirsi delle piacenti sabine – o che gli strappasse promesse o assensi approfittando del suo sonnambulismo e, a caratteri cubitali, CHARLES.
    Era stato lui a ribaltarlo dal letto, ricordandogli della protesta in programma: avrebbe dovuto rispondere «Aaah, quello. Come ho fatto a dimenticarmene, ci tengo così tanto!». Tuttavia non gliene fregava una ceppa, non appena sveglio almeno, e si era stropicciato gli occhi, stiracchiato per terra come il gatto che si rotola sui pavimenti dello spot di Iperceramica e infine aveva fulminato Charles con lo sguardo. Perché, sì, ogni tanto pensava di non sopportarlo, quel dannato Dumont con la sua cotta isterica per Iden, ma ogni tanto sentiva di odiarlo in maniera viscerale: quella, poi, era un’occasione perfetta per odiarlo. «Cos’è questa storia della rivoluzione? Francesi e rivoluzioni, francesi e rivoluzioni. Dio, non bastava lamentarvi del formaggio che servono in Sala Grande.»
    Un auto-insulto, in pratica. Dovreste sapere – ma non lo sa nessuno – che, a dispetto del cognome assolutamente inglese, Jo aveva ereditato il sangue francese della madre; per qualche bizzarra circostanza, però, tutti erano sempre stati convinti che lui fosse Jo, solo Jo e tuttora il suo nome intero e le origini erano sconosciuti a tutto il castello. D’altronde, non è che Jo andasse in giro a parlare metà francese e metà inglese a discapito di quei poveracci che avrebbero potuto non capire una mazza come facevano Charles, Viktor o JJ. Seriamente, quella cosa non l’avrebbe mai capita. Faceva figo? Non riuscivano a separare le due lingue? Avevano i complessi? La teoria dei complotti non reggeva, dato che capiva cosa dicevano e anche gli insulti in francese di Charles nei suoi confronti, che mica erano pochi. Misteri da baguettari. Cosa certa era che non gliene importava un fico secco, quindi ci pensava soltanto quando doveva far finta di non capire il francese: sì, depistava appositamente Charles, perché aveva la sensazione che, se l’avesse saputo, avrebbe iniziato a parlare fino a quando lui non si fosse addormentato dalla noia.
    Percorrendo il corridoio, non si preoccupò di essere furtivo – che rivoluzione era se avessero voluto non se ne accorgesse nessuno? – e sbadigliò pigramente, tendendo le orecchie al vociare dei ragazzi che iniziava a distinguersi nel silenzio della tarda ora. Avrebbe voluto tornare sotto il teporino delle coperte e rimanerci per ore e ore, fino a dimenticarsi del trauma del suo sonno ininterrotto che nemmeno la sveglia urlante che mesi prima aveva regalato a Charles per ripicca riusciva a interrompere.
    Ma se stava assecondando quella pazzia avendo la consapevolezza che i professori avrebbero fatto loro il culo a stelle e strisce – se non altro i McPherson avrebbero apprezzato, w gli USA! – non era solo per non sopportare un’altra delle crisi esistenziali del Dumont in preda alle mestruazioni, di cui francamente aveva le pluffe piene. Jo era un Ribelle e, di questo, nemmeno Virgi era al corrente. Voleva un profondo cambiamento del sistema, in ogni sua forma e sostanza. Voleva ribaltare la supremazia dei Mangiamorte, ristabilire un equilibrio in cui gli atti di violenza non fossero l’ago della bilancia. Voleva una società in cui tutti fossero liberi di essere amici, amanti e anche nemici di chiunque, senza che in questi rapporti vi fossero pregiudizi, astio o diffidenza.
    Se avrebbe ottenuto tutto questo con una manifestazione studentesca campata in aria?No, certo che no. Quella sarebbe stata una mossa intelligente se avessero desiderato di morire in maniera lenta e dolorosa. Per il resto, diciamo pure che era la più stupida che un corpo studentesco avesse mai deciso di fare. Eppure, forse un po’ voleva persino partecipare, lui che guardava a tutto con indolenza e senza preoccupazioni, che a volte prendeva sottogamba le situazioni. Forse per testare coi propri occhi che effetto avrebbe avuto provare a far sentire la propria voce, diverse da quelle di incitamento al terrore, ma rappresentanti di una libertà negata. Oh, gli effetti sarebbero stati pessimi, ma Jo era stanco di sottostare a tutta quella merda. Voleva far capire che non era d’accordo con il regime, anche se sarebbe stato inutile. Non era un codardo, non se riguardava solo se stesso. Era pronto a prendersi le responsabilità, le conseguenze e le cicatrici di quel gesto, perché se si sottostava alla paura per sempre, si rimaneva un perdente per tutta la vita. Jo non si sentiva e non era un perdente.
    Svoltando l’angolo e proseguendo dritto, si avvide di un ragazzo seduto per terra, fuori dalla Sala Torture. Jourdain inarcò un sopracciglio e rallentò l’andatura. Quello era niente di meno che Charlie, Prefetto Serpeverde, e poté comprendere almeno in parte le motivazioni che glielo facevano sembrare così poco sereno e così tanto angosciato. Non gli piaceva vedere le persone soffrire, sia che fosse una sofferenza fisica che psicologica, e lui una bella cera non l’aveva affatto. Allora, mosso da sincera compassione, Jo si chinò appena per raggiungere la sua spalla, su cui assestò una leggera pacca sperando che lo riscuotesse dalla sua condizione di immobilità. Che coach motivazionale, mamma mia. «Caro Prefetto, fossi in te non mi farei prendere dall’ansia adesso.» Avrebbe voluto dirgli che oh, il bello sarebbe venuto dopo, ma era solo un gran pigrone, non un insensibile come quello stronzo di Charles che lo strappava dal suo bozzolo di piumone.
    Gli lanciò un’occhiata per controllare la sua espressione e tolse la mano, alzandole entrambe: magari Charlie l’avrebbe preso per menefreghista, chi lo sa, ma non avrebbe potuto sicuramente dargli consigli su come agire, non quando era uno di quelli che si stava buttando tra le fauci della bestia. Non si voleva accollare la responsabilità della propria colpa nel caso in cui la scelta consigliata si fosse rivelata la più disastrosa. Gli piaceva che ognuno pensasse con la propria testa.
    Sondò la stanza alla ricerca di quel grandissimo fattone di Charles, e si stupì di quanti suoi concasati si trovassero là dentro. Non aveva creduto che loro due sarebbero stati gli unici, questo no, eppure non si aspettava un’affluenza così consistente; se fosse stato parecchio stupido, avrebbe pensato che quello potesse costituire un vantaggio consistente, che l’unione faceva la forza e siccome erano in tanti chi comandava Hogwarts gli avrebbero dato retta. Siccome tendeva a essere realista, nonostante a volte scegliesse di comportarsi come se fosse il contrario, semplicemente ne prese atto e si strinse nelle spalle, ritornando alla ricerca dell’indiscussa drama queen del castello.
    Individuandolo, si stupì che accanto a lui vi fosse Virginee. Perché proprio lei, una torturatrice, era nel bel mezzo di una rivolta contro la Sala Torture? Lo sgomento lasciò il posto a un sorriso automatico, perché nonostante il contesto Virgi rimaneva sempre la sua biondina deadpan preferita; le si avvicinò in tempo per sentire cosa stesse dicendo Charles e, in barba al suo solito animo pacifista che gli faceva ignorare il compagno di dormitorio ventitré ore su ventiquattro – non si contava l’ora bonus di ascolto, sparsa durante l’arco dell’intera giornata, esclusa dalle nove di sera al risveglio –, provò l’immensa voglia di tappargli la bocca con un pugno.
    Ma conosceva il francese come le sue tasche e sapeva che non era mosso da reale cattiveria, era solo un tipo particolare, invece Virgi la conosceva come fosse stata sua sorella. Era perfettamente in grado di difendersi da sola dagli stronzi, modestamente in parte grazie a tutti gli anni passati a sopportarlo fin da piccoli, e lui non poteva essere sempre il suo paladino della giustizia. Si limitò a irrigidirsi appena, scuotendo la testa con un sorrisetto teso. «Charles! Prendi atto della mia presenza, non voglio lamentele per una volta che ci sono!» Si assicurò di aver ottenuto la sua attenzione, alzando il mignolo di una mano in una gestualità che lui avrebbe compreso, proprio perché nato in una di quelle serate in cui lui si stava sfogando peeeer… una delle infinite cose per cui Charles Dumont avrebbe potuto lamentarsi, e quando lui gli aveva rivolto il mignolo alzato, alla sua perplessità aveva risposto con un candido: «Vorrei mandarti a fanculo, ma il medio pesa troppo.»
    Salutò Heather e Viktor, passandosi una mano tra i capelli e avvedendosi della presenza di un Grifondoro, Jack. Stava per rivolgergli un cenno, nonostante non avessero mai parlato davvero, poi incominciò a pensare che parecchi dei presenti, incluso quest’ultimo, avessero voglia di morire prima ancora che iniziasse la rivoluzione. Fissò Jack con l’impassibilità insegnatogli proprio dalla sua regina di ghiaccio e, aaah, a volte immaginare tutti i modi +1 per indurre la gente a sloggiare con metodi dolorosi dava le sue soddisfazioni. “Ah ah, ti do la bottiglia di schweppes sui denti, coglione.” Generalmente Jack gli stava persino simpatico. Jo non aveva nulla contro di lui, anzi, contro nessuno, perché essenzialmente era non un bonaccione ma quasi, capace di dormire con gli occhi aperti in qualunque – sì, qualunque momento – e con una parola gentile con tutti. In quanto a possedente-di-status-fratellone di Virginee, però, era leggermente incline alla gelosia e avrebbe voluto sbranare tutti quelli che ci provavano con quella che lei. Lei avrebbe potuto rimproverarlo, picchiarlo, minacciarlo di rubargli il suo cuscino preferito, ma il suo lato protettivo/territoriale non si sarebbe mai attenuato.
    «Jack, ti apprezzo molto, sei tanto simpatico e tutto ma lei è la mia ragazza, cerca altrove, okay? Okay,» pronunciò candidamente e con tranquillità, prima di cingere da dietro Virgi e stringerla a sé, spalmandosi con la guancia sulla sua spalla, il volto rivolto verso il suo. Socchiuse gli occhi, e complice il calore corporeo dell’amica quasi quasi gli venne voglia di addormentarcisi sopra. Si spostò appena, scostando con un soffio la ciocca di capelli chiarissimi che gli avevano fatto prudere il naso. «Mi hanno buttato giù dal letto. Ci credi? Mi hanno buttato giù dal letto,» ripeté, il tono lamentoso, sicuro che Virgi avrebbe, se non condiviso, almeno colto appieno la gravità del gesto. Allentò la presa delle braccia e alzò il capo, osservandola serio e interrogativo. «Cosa ci fai qui? È pericoloso.» “Qui, non sei al sicuro nemmeno tu.” «È stato Charles a darti la birra? Da quando è stato drogato dai bradipi è peggiorato parecchio.» Il Dumont gli aveva pure chiesto di portare altre birre e se n’era ineluttabilmente dimenticato, ma era già tanto se aveva portato il suo sedere. #onesto

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    Era strano vedere l’infermeria del Castello così vuota, specialmente in quel periodo dell’anno. Erano giorni, se non settimane, che il raffreddore mieteva le sue vittime tra gli studenti di Hogwarts, riempiendone i lettini. Era una cosa solita, gli avevano spiegato, ma ciò non bastava a fargli credere che, in quell’ambiente, nessuno fosse abbastanza immune da scamparsela. Niente di grave, sia chiaro, ma gli pesava leggermente dover fare ogni 5/6 ore avanti e dietro dall’ufficio del professore di Pozioni, chiedendogli la cortesia di poter aumentare le loro scorte e di dover ripescare dalle diverse Sale Comuni gli studenti che erano stati costretti a tornare più tardi a causa di un’infermeria troppo affollata. Senza contare i traumi dovuti al Quidditch, alla Sala Torture e alle risse dei suoi fedelissimi che trovavano sempre un modo di passare a trovarlo col volto tumefatto, che carini.
    Quando aveva avuto la brillante idea di inoltrare la domanda come assistente del Capo Infermiere Miller, non pensava minimamente che gli abitanti della Scuola potessero essere così avvezzi a farsi del male o, peggio, torturare. Trovava insensata quella predisposizione del Preside alla violenza, come se questa potesse essere l’unico modo per educare quegli adolescenti che erano lì semplicemente per imparare, per diventare la nuova generazione di streghe e maghi. Non erano carne da macello, ma esseri pensanti che avevano il diritto di esprimere la loro opinione, di pensarla diversamente da un professore, e per questo non dovevano essere puniti. Non dovevano essere costretti al silenzio, a dover tener la testa china e sopportare ogni angheria.
    Tuttavia, ogni membro del corpo docente era preparato e sapeva il fatto suo, questo bastava ad Hunter per sopportare pazientemente la lunga lista di difetti della Scuola che ogni giorno aveva modo di aggiornare.
    Saranno state le vacanze di Natale imminenti, l’idea di dover evitare con tutto se stesso di farsi coinvolgere dalla sorella nelle preparazioni più inutili e irritanti del mondo, o il fatto che tutti sembravano sotto effetto di una Pozione Corroborante, ma trovava conforto in quell’ala deserta, anche se solo per una manciata di ore. Aveva più tempo per sistemare le fiale di pozioni con calma, sistemandole nell’armadietto seguendo una logica tutta sua che, in fin dei conti, aveva senso. Amava ottimizzare ogni cosa, sapere dove fosse ogni strumento e tenere sempre a portata di mano quelli più utilizzati. In quei mesi aveva imparato ad essere più reattivo, ad alleggerire il tocco, a riconoscere fratture e contusioni utilizzando solo la vista. Aveva fatto dei progressi e si era interessato sempre di più alla materia, spesso a spese degli altri studenti, ma non era colpa sua se covavano il desiderio di passare tra le sue amabili grinfie, servendosi addirittura su un piatto d’argento.
    Dopo aver compilato la griglia delle pozioni presenti in Infermeria, di quelle in fine e di quelle di cui avevano una certa urgenza in quanto terminate, non gli restava altro da fare se non sdraiarsi sulla brandina, alla ricerca di un riposo che non era destinato a durare. Saranno state più o meno le tre di notte – o del mattino, dipende dai punti di vista -, quando si sentì chiamare in modo insistente – urlando – da uno dei quadri appesi alle pareti. Non sapeva dire chi fosse, né voleva saperlo, a dirla tutta. Passò una mano sul viso, sibilando un quiznak tra i denti una volta visto l’orario, prima di scattare in piedi, infilando il camice più per abitudine che per altro. Si guardò attorno, cercando di capire dove fosse l’emergenza e perché fosse stato buttato giù dal letto a quell’orario infelice. Si voltò verso il quadro, fulminandolo con le iridi azzurrine che promettevano tempesta ogni qualvolta qualcuno avesse avuto la brillante idea di rovinare il suo sonno senza un apparente motivo. Aka solo in caso di morte.
    Ci mise qualche secondo a registrare i gridolini striduli del dipinto, cercando di capire se quella fosse l’ennesima geniale trovata del quadro. Quando capì la gravità della situazione, sgranò gli occhi, incapace di reagire. Accadde tutto quasi a rallentatore, dal camice che toccava terra, abbandonato a se stesso, ai suoi piedi che si muovevano frettolosamente, arrivando a farlo correre per raggiungere il centro di quella rivolta prima che lo facesse uno dei professori.
    Quanto erano idioti? Chiunque avesse dato il via alle danze, probabilmente non sapeva che stavano tutti per mettere in scena la morte del cigno. Merlino, si poteva essere così stupidi? Così sadici e masochisti? A quanto pare sì. Non era un’azione dell’esercito di Amalie, lo avrebbe saputo. Non era così che si inscenava una rivolta, dal nulla, occupando la Sala Torture come se niente fosse, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Era opera di qualche decerebrato, e su questo non aveva alcun dubbio, il problema era che se la voce fosse giunta a una persona, Hunter avrebbe mandato all’aria la sua compostezza, la sua razionalità, la sua diplomazia. Se Halley Oakes fosse stata presente tra le file dei finti ribelli, il Corvonero sarebbe impazzito.
    Un conto era attirare i guai, finire nei casini per sbaglio, un conto era compiere consapevolmente un atto che avrebbe potuto compromettere la sua intera vita. No, non si parlava di una semplice espulsione, non si trattava di terminare gli studi, quanto di restare illesa, possibilmente intera. Ogni giorno aveva sotto gli occhi le conseguenze di chi osava sfidare il sistema, ogni giorno curava ferite avvelenate, cambiava bende inzuppate del sangue che fuoriusciva da lesioni che faticavano a rimarginarsi, sentiva le urla di chi non riusciva a riposare neanche con una buona dose di distillato soporifero. Venivano spezzati, piegati con la forza a sottostare a quelle regole troppo rigide da essere pienamente rispettate e non voleva che la sorella fosse la prossima a subire uno dei trattamenti speciali della Queen. Gideon semi-incosciente gli era bastato a spegnere ogni qualsivoglia istinto di compiere cazzate.
    Purtroppo, la conosceva abbastanza bene da sapere che avrebbe fatto davvero fatica a resistere a quel richiamo, ma sperava nel fatto che potesse essere più una ribelle di cuore che lottava battaglie che sapeva di poter vincere, evitando così di rafforzare la posizione del nemico, e non un’irresponsabile. Della peggior specie, poi!
    Era così preso da quei pensieri, dalla rabbia scatenata dalla preoccupazione e dalla mancanza di sonno – se vi avesse aggiunto caffeina, probabilmente sarebbe diventato una bomba ad orologeria – che solo il suo animo da crocerossino lo costrinse a bloccarsi quando vide una figura familiare accasciata al suolo. Fu il tentativo di controllare la respirazione, abbinato allo strano pallore, a suggerirgli che il ragazzo stava avendo (o aveva appena avuto) una crisi di panico.
    “Rose non è stupida. Se la beccherai in sala torture, probabilmente è perché sta cercando di far valere le sue ragioni in qualità di Prefetto.”
    Non lo salutò, ma si sedette accanto a Charlie, provando a indovinare cosa gli passasse per la mente. Erano entrambi fratelli maggiori di due Grifondoro e, se la rossa sembrava fosse dotata di un po’ di amor proprio e materia grigia, lo stesso non si poteva dire per la bionda, costantemente alla ricerca di emozioni forti. Era un po’ il suo modo per confortarlo, strano, ma pur sempre un tentativo.
    “Certo, non è detto che questo basti a proteggerla dal gregge – perché sono tutti delle capre -, ma a quello ci penserai tu una volta arrivati, ammesso sia lì e la situazione lo richieda.”
    Poggiò la testa sulla fredda pietra, l’urgenza di arrivare in Sala Torture sostituita dal senso del dovere. Riempiva l’aria di parole per aiutare il Serpeverde a pensare ad altro, cercando di spostare i suoi pensieri su qualcosa di diverso, su qualcosa lo aiutasse a concentrarsi su altro. Avrebbe voluto mettergli una mano sulla schiena, dargli una pacca, essere più comprensivo, ma c’era qualcosa che lo frenava, che, anzi, gli faceva venir voglia di prendere per capelli l’altro Prefetto e fargli fare con la faccia al muro tutto il percorso fino al luogo dell’occupazione.
    “Sei sparito.” Esordì allora, preferendo una modalità d’azione più soft rispetto a quella paventata poco prima, ma non completamente esclusa. “È dalla festa di Halloween che mi eviti. Son quasi due mesi che mi dai buca a ogni incontro e non uscirtene con la scusa del: sai, sono una persona impegnata, sono un Prefetto. Non umiliarmi, non più di quanto tu non abbia già fatto.”
    Continuò, l’indice alzato volto ad interrompere ogni tentativo dell’Anderson di prendere parola. Gli aveva concesso i suoi spazi, si era anche rassegnato all’idea di avergli mancato di rispetto in modo irreparabile, pur non volendolo, o di averlo offeso per sbaglio.
    “Non so cosa sia successo quella notte. Ero ubriaco, ho vuoti di memoria e non ne vado fiero. Se in qualche modo ti ho ferito oppure ho detto qualcosa che ti ha spinto ad evitarmi per tutto questo tempo, ti chiedo scusa.”
    Era stato onesto, diretto come sempre. Non poteva fare altrimenti, dato che quella era la sua realtà dei fatti e l’altro Prefetto non si era ancora preso la briga di metterlo al corrente di cosa fosse successo, ammesso fosse successo qualcosa.

    […]


    “Non dico di sedare la rivolta, siamo pur sempre in due e non abbiamo dati a sufficienza sui partecipanti, ma dobbiamo quantomeno provare a ridurre al minimo i danni.”
    Erano quasi arrivati davanti la Sala Torture e gli parse veramente strano che tutta quella caciara non avesse ancora attirato l’attenzione di qualche docente.
    “Qualora non dovessero ascoltare ragioni, manda tre Sicarius: professor Cambpell e professoresse De Thirteenth. Non la Queen, o Quinn, in caso ti confondi. Non vogliamo un bagno di sangue.”
    La loro era una posizione scomoda, decisamente sconsigliabile a chiunque. Da un lato dovevano far rispettare le regole, dall’altro Hunter non se la sentiva di condannare nessuno senza aver prima dato la possibilità di un ripensamento; per quanto potesse sembrare una mossa azzardata e inutile in una situazione del genere.
    Poggiò le dita sul pesante legno della porta, spingendola piano per rivelarne l’entrata. Si poggiò sullo stipite, le iridi cerulee che passarono in rassegna la stanza, soffermandosi prima sull’ingente quantità di alcol presente, e poi sui volti allegri dei partecipanti. Era un rave, non l’inizio di una rivoluzione.
    “Festino natalizio anticipato?” Domandò sarcastico, le braccia incrociate e l’espressione di chi davvero ne aveva fin sopra la punta dei capelli di quel teatrino. C’era Dumont, che dopo averle prese da Kaufman aveva intenzione di alzare l’asticella e raggiungere la soglia massima del dolore; c’erano Iden e Godric, e se il primo era probabilmente mosso dalla sadica voglia di veder soffrire Charles, non aveva una spiegazione logica abbastanza valida da spiegare la presenza dell’Osborne lì e non con la testa china sulle pergamene in Dormitorio. C’era la Sinclair, il grande ossimoro della nottata, ammesso non l’avessero sedata e portata lì con la forza per ricambiare la sua gentilezza in sala torture, ma non sembra fosse quello il caso; addirittura la Morrison aveva deciso di graziare tutti con la sua presenza. C’era il gruppetto capitanato da Rinaldi, cui appartenevano la maggior parte delle voci che riecheggiavano nel corridoio e c’era il Dallaire.
    Lo sguardo duro di Hunter si fermò un secondo di più sul ragazzo, la mascella che si irrigidiva appena, prima di passare oltre, il disappunto ben visibile negli occhi azzurri. Davvero? Credeva che, tra tutti i Grifondoro, almeno lui si salvasse. Ok che agivano ancor prima di pensare, che non avevano il benché minimo senso del pericolo, ma a tutto c’era un limite, anche alla stupidità. Nonostante Einstein sostenesse il contrario.
    “Sgomberate la stanza. Fate sparire gli alcolici, le sigarette e tutte le sostanze stupefacenti. Tornate nei vostri dormitori, possibilmente in silenzio, e ve la caverete, con molta probabilità, con qualche punto in meno. Non costringeteci a compiere il nostro dovere, informando Professori e Preside. Avete 5 minuti.”

    Hunter Oakes | 17 y.o.
    2043: Uran Jackson
    10.09.2001 | 10.06.2017
    Ravenclaw


    Edited by Messier_43 - 8/12/2018, 02:03
     
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