because if we don't, who will?

esercito di amalie !!1!&

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    «Naaate il mio piede!!»
    «sei tu che dovevi muovere il destro»
    «ma se hai detto sinistro!»
    «destro!»
    «sinistro!»
    «eddai shhh, non posso dare sempre la colpa ad Hamtaro!»
    Quella convivenza era...complicata. Non per le persone eh, ci mancherebbe altro: Nate ed Erin erano la sua famiglia nonché le uniche persone con cui ricordasse di aver vissuto, esclusi i pochi mesi spostandosi da un hotel all'altro dopo la liberazione dai laboratori. Ma il modo in cui vivevano i mini reb era notevolmente cambiato: avevano perso non una, ma due case nel giro di pochi mesi. Già dover abbandonare il Quartier Generale era stato un colpo al cuore, per la Goodwin, ma l'aveva saputo superare con la consapevolezza che non è l'edificio, a fare la famiglia. Ma quando a Dicembre all'improvviso Maeve e Dakota non erano più tornati, allora sì che alla ragazza tutti quei cambiamenti avevano iniziato a pesare sul serio.
    Non era abituata, Jessalyn Goodwin, ad accettare le perdite: e così aveva atteso per giorni alla porta, per mattinate si era ostinata a preparare i suoi abituali pancakes sempre facendo due porzioni in più, perché era certa che i due sarebbero entrati dalla porta da un momento all'altro. Ed anche quando i suoi amici le avevano detto che non ce n'era il bisogno, che quei piatti in più a colazione non erano necessari, che sì, sarebbero tornati sicuramente ma l'esitazione nel loro tono di voce cresceva ogni giorno di più, Jess era rimasta salda nella sua convinzione. Non la sapeva assimilare una perdita, capite? Il suo corpo non era abituato a farlo. La sua mente non sapeva come relazionarsi con situazioni simili. Non aveva saputo farlo con April e Nathan, anche se aveva osservato le bare con i suoi stessi occhi, figuriamoci se sarebbe stata in grado di farlo con Maeve e Dakota, quando su di loro non aveva alcuna notizia certa se non la dichiarazione di un generale dell'esercito di Dragomir Vasilov.
    Figuriamoci se sarebbe stata in grado di farlo con Kieran.
    Attendeva anche il suo ritorno, la Goodwin, preparava come di consueto più pop corn quando Erin e Nate decidevano di rivedere per l'ennesima volta la carica dei cento uno e aspettava i suoi commenti durante il film, stupendosi puntualmente della loro assenza. Della sua assenza.
    Quando la Chipmunks aveva detto loro di voler andare ad Hogwarts, Jess non aveva avuto un attimo di esitazione, consapevole che avrebbe seguito l'amica anche se avesse proposto loro di andare in Alaska, in Brasile o a Narnia. E naturalmente la intrigava moltissimo anche l'idea di entrare tra i corridoi di quella scuola di cui aveva sentito parlare solo dai racconti dei suoi amici, anche se sapeva di averci vissuto una parte fondamentale della sua vita, più non avendone più il minimo ricordo.
    Diciamolo: non aveva memoria di cosa si provasse a frequentare Hogwarts come studente, ma avrebbe scommesso tutti i suoi soldi (quali) che trovarsi lì con lo status speciale che avevano lei e Nate era sicuramente meglio: fantasmi. E mentre ad Erin e Scott toccava esporsi davanti a tutta la classe seguendo lezioni ambigue con studenti altrettanto strani, lei e il Wellington se ne potevano stare comodamente seduti in un angolo ad osservare la scena sotto il mantello dell'invisibilità. Era un oggetto tanto bello eh, ci mancherebbe: permetteva loro di spostarsi per le aule della scuola, di far sempre compagnia ai loro amici, fare i pettegoli per eccellenza spiando le persone quando credevano di non esser viste da nessuno (il giornalino online, per far concorrenza a Polgy, Jess avrebbe voluto aprirlo, ma poi aveva dovuto fare i conti con la realtà: non c'era connessione internet) e soprattutto permettere loro di mantenere la propria libertà, non facendosi beccare ed incorrere in spiacevoli inconvenienze come, giusto per dirne una a caso, venir arrestati. E registrati dal ministero. E costretti a vivere a New Hovel.
    Ma sapete qual era la parte difficile del mantello? La coordinazione. Muovercisi in due ne richiedeva una davvero buona da parte di entrambi, e così per i Nass (COME I CARABINIERI #wat) era stato complicato trovare la giusta sincronia di piede destro, piede sinistro per muoversi al meglio ed impedire al mantello di cadere a terra e lasciarli esposti al centro di un corridoio. E Jess era abbastanza sicura che, difficile, non avrebbe mai smesso di esserlo.
    «dai che ci siamo»
    «Ma proprio al settimo piano doveva essere?» Meglio di una torre di astronomia sicuramente, ma era comunque il settimo.
    s-e-t-t-i-m-o.
    Con tutte scale da fare attenta a sincronizzare i suoi passi con quelli di Nate. Un incubo, insomma.
    Quella stanza l'avevano trovata per caso: forse era stato un regalo del fato #maquando, forse Jess ci era già stata in passato ed il suo inconscio l'aveva ricondotta lì, forse era stato soltanto culo. Fatto sta che, durante i primi giorni ad Hogwarts, la ragazza aveva avuto una disperata voglia di mangiare un hamburger ed aveva coinvolto Nate in una missione in cerca di cibo buono - aveva provato a corrompere qualche elfo ma nada, erano troppo duri di testa - quando ecco che aprendo una tra le tante stanze a caso aveva trovato quella aka il paradiso sceso in terra aka il posto più bello e buono al mondo aka il McDonald. Vuoto, per di più: nessun cuoco, nessuna cassiera, ma soltanto tavoli pieni di cheesburger, gran crispy mcbacon, double chicken e porzioni di patatine extra large . Forse la ragazza aveva avuto una reazione un po' esagerata ma, davanti agli occhi altrettanto increduli di Nate, era scoppiata a piangere alla vista di tutto quel ben di dio. Quando poi, qualche ora dopo, ci aveva portato anche Erin e Scott, la stanza era modificata! Ci avevano messo un po' a capirne il meccanismo, ma del resto sembrava funzionare: oramai era diventato il loro posto sicuro, dove i Nass (CARABINIERII) potevano starsene senza temere da un momento all'altro di venir beccati.
    O che le loro azioni cospiratorie non venissero scoperte: quel giorno avrebbe segnato l'inizio di una nuova era. E non solo perché stavano per mostrare ad un gruppo di studenti come procurarsi panini gratis #wat «Ma voi sapete più o meno che dire loro,vero?»
    Il giorno in cui la Chipmunks era arrivata da loro correndo agitando un quadernino tra le mani, Jess aveva immaginato si trattasse dell'ennesima fanfiction e non vedeva l'ora di leggerla. Quando invece l'amica le aveva spiegato cos'era, la Goodwin a leggere si era messa comunque, ma non è che ci avesse capito più di tanto: era una serie di appunti scritti da Amalie con tante idee sparse alla rinfusa. Parlava di informare, la Shapherd, mentre tracciava le linee di un programma da attuare per rendere più attivi e più partecipi gli studenti nella vita della scuola, una serie di idee per fare in modo che si ribellassero a tutto ciò che veniva imposto loro senza che ne avessero voce in capitolo.
    Amalie Shapherd, forse senza nemmeno rendersene conto, aveva buttato le basi di un piano per infondere lo spirito della ribellione negli studenti. E loro avevano deciso che, da quelle fondamenta, sarebbe nato un palazzo.
    Si erano assunti il compito di trasformare quel progetto in realtà.
    Because if we don't, who will?
    18 y/o | rebel
    Jessalyn Goodwin
    pancakes' queen


    SCUSATE MA IO FACCIO SCHIFO CON LE IDEE, non saprei cosa potrebbero fare nel concreto (?????)
    Vabbè intanto si riuniscono alle spalle di tutti , e uau persino con due fantasmi , già si stanno ribellando :jericho:
     
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    scott noah chipmunks
    01.03.2018
    17 y.o. | message man
    Non c’era un singolo elemento, un solo scenario di quella faccenda che facesse stare tranquillo Scott Chipmunks. Continuava a ripetersi, mentre tamburellava nervosamente le dita sul modesto tavolino di marmo - precauzione necessaria, gli era stato riferito con un sorriso particolarmente colpevole stampato sul volto -, che era una pessima idea.
    Tutto quanto, nel dubbio, era una pessima idea - a partire, se vogliamo, dalla decisione presa poco prima di Natale assieme alla sorella gemella. E solo perché colpe precedenti, Noah non sapeva dove trovarle: se solo ne avesse avuto la memoria, probabilmente avrebbe detto che persino quella del viaggio nel tempo era stata una scelta terribile, e che da allora tutto quanto era andato precipitando inesorabilmente.
    Non era in grado di affrontare una decisione in modo normale, il diciassettenne. Sentiva perennemente l’urgenza di boicottarsi da solo, vivendo ogni vicenda secondo un’ottica pessimistica, se non catastrofica: si diceva che essere preparati al peggio avrebbe reso un possibile successo più succulento, ed una probabile sconfitta decisamente meno amara; ripetendoselo ogni maledetta volta, ci credeva davvero Scott. Se quella volta fosse andato tutto a scatafascio, avrebbe potuto – probabilmente poco prima di morire, sempre per restare sulla stessa lunghezza d’onda – redarguire Erin e gli altri con un sentito ve l’avevo detto, spalle strette e sopracciglia sollevate. Se invece, al contrario di ogni prognostico del ragazzo, ogni cosa fosse andata per il verso giusto - beh, tanto meglio per tutti loro.
    Preferiva di gran lunga vederla in questo modo, piuttosto che pensare a quanto avesse, di fatti, paura. Non di fallire: per quanto fosse sempre stato un ragazzo ambizioso, non era l’ipotesi della rovina a spaventarlo; erano le conseguenze a tenerlo sveglio la notte, le iridi verde chiaro ad impegnare la mente con le immagini di un baldacchino dai contorni indefiniti dall’assenza di luminarie.
    Aveva sempre e soltanto voluto vivere una vita mediocre, Scott Noah Chipmunks – quella di ogni adolescente medio, sapete. Videogiochi, libri, serie televisive, scuola se proprio doveva, amici: non normale, che per forza di cose un mago era impossibilitato a chiedere tanto, ma qualcosa che ci si avvicinasse. Ma, da che ne avesse memoria, niente della sua esistenza era stato minimamente simile ad una parvenza di quasi normalità: lui stesso, di ordinario aveva ben poco.
    E poi, suo padre era sparito - per la seconda volta, come se non bastasse. E lo stesso avevano fatto i suoi cugini, i suoi zii. Ed altri parenti, e troppi amici, e troppa maledetta gente.
    Non poteva starsene con le mani in mano, per quanto nulla di tutto quello che s’apprestavano a fare lo rasserenasse.
    Non voleva - e fortuna che era anche iperattivo, Scott.
    Al pari della sempiterna ansia a mordere il petto, non poteva che correre nelle vene una prolungata scarica d’adrenalina: probabilmente, senza di quella, non avrebbe fatto la metà delle cose che doveva fare. O meglio: sicuramente, non ne avrebbe fatta nemmeno una.
    Privo di quella scossa alla spina dorsale, non si sarebbe di certo preso un permesso all’ultimo momento dal tirocinio al Ministero, fingendo un mal di stomaco lancinante: ben contento era stato il signor Langdon, il suo tutore, di liberarsene, firmando qualsiasi giustifica il tassorosso gli propinasse dinnanzi; secondo il Chipmunks, l’uomo non vedeva letteralmente l’ora di avere un pretesto simile per cacciare l’aspirante magiavvocato dal suo ufficio. Senza quella stessa elettricità a vibrargli nel corpo non avrebbe di certo provato a raggiungere la Londra Babbana, tentando una smaterializzazione che non aveva ancora perfezionato (e che minacciava ogni volta di Spaccarlo in più parti di quante fosse umanamente possibile), e vagando senza meta tra metropolitane e strade affollate di troppa gente che non sapeva cosa farsene di quella mattina di marzo, un solo indirizzo tra le dita e nessuna idea di come raggiungerlo.
    E più aveva camminato, il fu Noah Hamilton, più aveva capito quanto poco fosse affibbiabile all’ADHD e quanto, invece, dalla necessità di muoversi – in ogni senso possibile ed immaginabile, non solo quello fisico.
    Doveva fare qualcosa.
    Doveva farlo per CJ e BJ, per Joey, Sersha, Barry e Sunday; per Murphy e per Run, e per Maeve e Dakota, per Darden, Arci, Kieran e Gemes.
    Doveva farlo per suo padre.
    Doveva farlo per Amalie – ed era proprio per lei, che si trovava in quel piccolo appartamento lontano da ogni quartiere magico ed ogni tipo di persecuzione.
    «assolutamente no, noah: non se ne parla.» non riuscì a smettere di premere i polpastrelli sul tavolo dei Daniels, quasi in preda ad una nevrosi, ma lo sguardo scivolò lento e intenzionale sul maggiore dei due biondi, ferito da quel no subitaneo. Aveva messo piede in quella casa da appena dieci minuti, il tempo di farsi offrire qualsiasi cosa avessero nella dispensa – ogni proposta accompagnata da un basso mugugno da parte di Hyde, che ricordava al fratello che non avevano soldi e che un paio di supplenze non avrebbero pagato tutto ciò che continuava a smerciare a chiunque gli capitasse sotto tiro – e di spiegare a grandi, grandissime linee ciò che lui, Erin, Jess e Nate avessero in mente di attuare quel giorno stesso: non potevano liquidarlo in quella maniera. Non aveva ancora tirato fuori il carico da undici per quella partita, insomma; aveva creduto che qualcosa di illegale avrebbe quantomeno convinto Jekyll seduta stante, e invece. «non ho alcuna intenzione di immischiarmi nella roba della resistenza» non conosceva particolarmente bene Jekyll o Hyde, nonostante la consapevolezza da ambo le parti di un altro tempo di appartenenza l’avesse portato a legare con i figli di Maeve: tralasciando il fatto che lui non era lì per quello, aveva stupidamente dato per scontato che il primo più del secondo avrebbe fatto i salti di gioia per qualsiasi cosa una cosa come la Ribellione. Prima che potesse ribattere facendo loro presente che era, a conti fatti, un mangiamorte e che la Resistenza non c’entrava nulla, il minore dei Crane-Winston sospirò, richiamando l’attenzione del più giovane dei tre a tavola. «non ci credo nemmeno io, eh,» deglutì, iniziando a sentire tutti gli sforzi per arrivare fin da loro scivolare via inermi, resi vani dall’evidenza. «ma sono d’accordo con mio fratello» «AW BRUH FATTI ABBRAC-» «no.» «EDDAI» per quanto gli avrebbe fatto piacere continuare a vedere Jack che cercava di fulminare con lo sguardo Franklyn, Scott tossì più forte del dovuto, recuperando dalla tracolla che si portava dietro da quella mattina gli appunti. «non si tratta della resistenza, anzi» poggiò il plico sul tavolo, facendolo scivolare verso i suoi interlocutori. «ad essere sincero, mh, la odio» nonostante quello fosse un sentimento che andava affievolendosi nel corso del tempo, era impossibile al Chipmunks non serbare un certo (alto) quantitativo di rancore nei confronti dei ribelli. «questo è… diverso»
    Attese in silenzio, mentre i biondi leggevano le note prese da Amalie. Forse, dopo tutto quanto, non era stata una buona idea: Scott, al posto loro, si sarebbe odiato. «lo ha trovato erin in camera sua, ad hogwarts» cominciò, iniziando a sentirsi vagamente a disagio sulla sedia; Jekyll gli finse un sorriso passando il quaderno al fratello, ma subito dopo si alzò per recuperare una sigaretta più lontano di quanto non credeva tenessero le loro scorte, e dell’ombra a piegargli il volto non v’era più traccia. Prima che anche Hyde potesse finire di leggere, pregandolo infine di sloggiare, prese di nuovo la parola e recuperò lo zaino da terra. «abbiamo pensato fosse una buona idea, continuare quello che lei aveva iniziato… renderle-» «-cosa? omaggio?» Scott aprì la bocca per proseguire sopra la voce del più grande, ma quando le parole si rifiutarono di scivolargli dalle labbra dovette richiuderla, deglutendo ruvida bile a graffiargli la gola. «non sono morti» «io non…» l’ho mai detto, ma non poteva biasimarlo per quell’accusa ad averlo anche solo pensato: poteva anche dire loro che non l’aveva fatto, ma sarebbe stata una bugia. Lo temeva in ogni momento, da quando aveva letto il bollettino del Morsmordre la prima volta. Ogni giorno più di quello precedente cercava di convincersi che non fosse vero, e ad ogni mattina risultava sempre un po’ più difficile crederlo.
    Perché loro non tornavano, e lui non si era mai reso conto di quanto la loro mancanza potesse far male: pensare che in fin dei conti nemmeno li conoscesse davvero, non era un buon attenuante. «lo so che non è così,» sibilò, gli occhi bassi e le dita a torturare la cintola della borsa. «ed è anche per questo che lo faccio.» non alzò lo sguardo, in quella confessione appena sussurrata. Perché potevano esserci centinaia, migliaia di buone ragioni per portare avanti quel loro progetto; sicuramente, erano anche tra i motivi del Chipmunks.
    Ma se si era prestato a tutto quello, era soprattutto perché sapeva che Amalie ne sarebbe stata entusiasta: che quando sarebbe tornata, avrebbe scoperto che non solo l’avevano aspettata, ma che avevano dato vita a quello che lei aveva pianificato. Che grazie a lei, avevano creato qualcosa.
    Lo faceva perché sapeva sarebbe tornata per godersi tutto quello, e con lei sarebbero riapparsi tutti gli altri; per dirne una, Jayson Matthews (o Frederick Hamilton che fosse) non poteva semplicemente morire senza sapere che aveva due figli di quattro anni, e tre figli tra i diciassette ed i diciannove.
    Deglutì, alzandosi in piedi e recuperando il plico. «pensavo fosse giusto sapeste cosa Am… Mabel aveva in mente» che foste ancora più fieri di lei: che lo fossero già, conoscendo l’amica e conoscendo almeno un poco loro, non l’aveva mai messo in dubbio. «e se mai voleste farne parte… beh» sorrise, gettò uno sguardo all’orologio al proprio polso. «portate amiki»

    Probabilmente, da annoverare assieme a molti altri disturbi patologici, Scott Noah Chipmunks doveva aver sviluppato un accenno di disturbo ossessivo compulsivo: da quando era tornato ad Hogwarts, approfittando dell’ulteriore tempo datogli in permesso dal tirocinio e tentando di farsi vedere il meno possibile per giungere fino alla Stanza delle Necessità, al settimo piano, non aveva fatto altro che sistemarla.
    E sistemarla, e rifarlo ancora: non sembrava mai fosse abbastanza in ordine, quella sala nascosta ai più.
    Non andava mai bene, al giovane tassorosso; ed era strano, a ragion veduta. Da che ne avesse memoria, non era mai stato un tipo particolarmente dedito all’ordine. Tutt’altro: se qualcosa era al proprio posto, solitamente, stonava secondo la sua peculiare visione del reale.
    Nel disordine, Scott aveva sempre trovato sé stesso. Ma quella volta era, e doveva essere, decisamente diverso. Non voleva la perfezione, ben conscio di quanto gli fosse impossibile raggiungerla - ma quasi, quello poteva permettersi di pretenderlo. E poi, era davvero l’unica cosa che potesse fare: per quanto volesse bene ad Amalie e ci si volesse impegnare al massimo in quel progetto, sapeva di non poter mai dare chissà quale contributo alla situazione. Cos’altro poteva combinare un asociale afefobico come lui, che alla prima mosca che volava nella stanza si sarebbe distratto nel seguirne l’inutile volo, se non, perlomeno, preparare l’aula agli ospiti?
    Aveva chiesto alla Stanza delle Necessità più di quanto in realtà non servisse loro, ed era abbastanza certo di aver passato un’ora buona a spostare i tavolini rotondi, la scrivania, le sedie e la lavagna senza mai darsi davvero pace: il tutto, cercando di organizzare lo spazio in base ai divani apparsi nel bel mezzo della stanza – che quelli erano fin troppo pesanti, ed aveva sempre un po’ paura di dar loro fuoco azzardandosi con il più semplice degli incantesimi per sollevarli in aria e spostarli a proprio piacimento. Si era anche fatto dare (sempre dalla mistica stanza) uno schema del feng shui: era rimasto a studiarlo per dieci minuti buoni, il braccio sinistro stretto al petto a sorreggere il gomito destro, indice e pollice a sorreggere il mento, prima di decretare che non ci aveva capito un cazzo.
    E, possibilmente, avrebbe continuato a strusciare le gambe dei tavoli sul pavimento, a disporre le sedie sempre in modi nuovi – fino allo sfinimento, perché ogni volta temeva che a qualcuno poi non sarebbe andato bene.
    Se solo non fossero arrivati Erin, Nate e Jess: il loro arrivo, significava fingere (almeno) di avere un contegno, e che mano a mano sarebbero giunti anche gli altri. Che poi, chi fossero gli altri il Chipmunks non lo sapeva; la migliore delle idee sarebbe stata quella di cercare persone fidate, spargere la voce tramite di loro, creare una fitta tela di contatti che avrebbe raggruppato più gente possibile.
    Il solo, minuscolo problema, era che loro quattro non conoscevano nessuno: Jess aveva perso la memoria, lui ed Erin non avevano mai frequentato Hogwarts. Oltre al volantinaggio mistico pensato dalle ragazze, avevano potuto contare soltanto sulle conoscenze di Nate, e per quanto fossero sempre ben apprezzate probabilmente non sarebbero state abbastanza.
    Come minimo avevano dato un volantino a Van Lidova senza nemmeno rendersene conto.
    E vabbè, era stato bello finché era durato (poco).

    «Ma voi sapete più o meno che dire loro,vero?»
    Era rimasto seduto sulla scrivania, le gambe a pendere indolenti e lo sguardo fisso sulla porta d’ingresso, per più tempo di quanto non credesse possibile: forse, anche quando la gente aveva smesso di entrare aveva continuato a fissare l’entrata, sperando che continuassero a fluire rimandando il momento.
    Quando la Goodwin, nel bel mezzo della loro partita a briscola (truccata.), aveva posto la domanda più difficile dell’anno – seconda probabilmente soltanto al ma voi dove andate? delle pancine -, Scott non aveva saputo cosa rispondere. Fino all’ultimo, le mani incrociate sopra le ginocchia, aveva creduto possibile che non ci fosse bisogno di dire nulla: anche perché, diciamoci la verità, cosa mai avrebbero potuto dire, loro?
    Non erano stati la mente di tutto. Avrebbe dovuto esserci la Shapherd, lì.
    Lei avrebbe dovuto spiegare agli altri studenti tutto ciò che v’era da sapere.
    Inspirò profondamente, si inumidì le labbra; attese qualche altro secondo, giusto per vedere se qualcun altro avesse deciso di entrare all’ultimo momento. «ehm… ciao?» ma lei non ci sarebbe stata: ogni cosa era in mano ai quattro sopravvissuti del team (quale team), e non era loro concesso di mandare tutto all’aria. «allora… sapete tutti perché siamo qui» deglutì, cercando di rimettere il cuore al suo posto.
    Non sapeva perché avesse scelto di parlare, proprio lui. Non era quello più indicato.
    Avrebbe dovuto lasciar fare all’esuberanza degli altri, lo sapeva. «o… forse no? non so cosa ci fosse scritto sui volantini» vero: se ne erano occupati gli altri, ed il diciassettenne era stato ben felice di lasciare loro l’ingrato compito. Era pure dislessico, lui: meglio per tutti che ne fosse rimasto fuori.
    Tuttavia, quella era una figura di merda bella e buona; cercò gli occhi di Erin, sempre gli occhi di Erin. Che fosse per avere un suggerimento, o una conferma, o soltanto la forza di provarci: la migliore amica era sempre stata in grado di dargli tutto ciò di cui avesse mai avuto bisogno.
    Si grattò un sopracciglio nervosamente, per poi voltarsi di nuovo sulla platea. «non… non che ci fosse bisogno di leggerlo da un volantino, dico bene?» tentò un sorriso fin troppo forzato, premendo le mani sul bordo della scrivania dalla quale, probabilmente, non si sarebbe mai più mosso. «credo sia sotto gli occhi di tutti la gravità della situazione: quanti di voi hanno perso qualcuno, qualche mese fa? e quanti hanno visto amici e parenti venire licenziati per ragioni stupide?» aveva bisogno di ingranare, Scott; non era importante quanto gli facesse male ricordarsi del dicembre dell’anno precedente: dovevano farlo per tutti loro.
    «ci addestrano a combattere da quando abbiamo undici anni, qui: sfido chiunque di voi a non saper scagliare una maledizione senza perdono con la massima facilità, o a produrre un perfetto sicarius nonostante si tratti di magia avanzata» erano soltanto ragazzi, loro. Erano stati cresciuti in quel modo, ma quanto era giusto?
    Per Scott Noah Chipmunks, non lo era mai stato. «e come veniamo ricompensati, giorno dopo giorno? con la sala delle torture, se non siamo esattamente come vogliono, come hanno bisogno loro» Amalie voleva che gli studenti si ribellassero, che smettessero di subire passivamente tutto quanto. Forse voleva troppo. «la situazione si fa di giorno in giorno più ingestibile. paradossalmente noi siamo anche fin troppo al sicuro, qui dentro – non tutti, è vero» temeva sempre, una costante a gravare sul petto continuamente, che Van Lidova potesse iniziare ad agire contro gli studenti non purosangue, così come aveva fatto con il personale e come stava facendo con il resto della popolazione. «ma dobbiamo fare qualcosa, finché siamo in tempo. dobbiamo ribellarci» enfatizzò, il petto a gonfiarsi d’orgoglio. «abbiamo bisogno di fare fronte comune, di restare vicini: non sono qui a dirvi di organizzare una rivolta» oddio, eh!, pure pure - ma magari un po’ più in là. «ma dobbiamo davvero cercare, se non di prendere in mano la situazione, di sapere come controbattere; dimostriamogli di saper combattere come ci hanno insegnato, ma non per loro» per noi.
    Lanciò uno sguardo agli altri, per poi posare gli occhi sulla lavagna alle sue spalle. «se avete domande, o proposte, o… qualsiasi cosa, appunteremo tutto lì» sulla superficie d’ardesia, a caratteri cubitali, v’erano tre sole parole.
    Esercito di Amalie.
    I don't know just where I fit in
    'Cause when I open my mouth I know nobody's listenin'
     
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    Ritrovarsi ad essere il più socialmente attivo tra i quattro era stato uno shock per Nathan: reputato deceduto dalla maggior parte dei suoi conoscenti si era dovuto ingegnare per invitare coloro di cui si fidava senza farsi notare. Non voleva confonderli, traumatizzarli o spaventarli, in quel momento la cosa davvero importante era seguire le istruzioni di Amalie: sensibilizzare gli studenti alla causa. Non si trattava di Resistenza, movimento nel quale Nate nutriva sempre meno fiducia, che ci era entrato per debellare l'Oblivion, come potevano i Ribelli conviver con queste informazioni e non volerle più rendere pubbliche? Era certo che anche dalla loro parte della scacchiera c'era bisogno di strategia, burocrazia e tutte quelle cose che in realtà non avrebbero mai dovuto impedire la diffusione della verità, della libertà. L'Esercito di Amalie era la loro possibilità, toccava a loro organizzare le fila di un nuovo esercito. La guerra non era più negabile, il nome del loro movimento lo rendeva chiaro, che non sarebbe stato un attacco verbale, che avrebbero lottato con le unghie e con i denti. Erano ancora dei ragazzini, ma senza i pilastri della resistenza avevano dovuto sbrigarsi a crescere, a continuare a spingere contro il Regime, ora più che mai. Aveva lasciato bigliettini in giro, il mimetico, luoghi dove sapeva che le persone che voleva li avrebbero trovati. Dopo sarebbe toccato a loro spargere la voce e, se il ragazzo aveva saputo scegliere bene, almeno per quella prima riunione nessuno avrebbe dovuto interferire.

    Mancava ancora un po' all'inizio della riunione e il diciannovenne ne aveva approfittato per prendersi una pausa da tutta quella pressione. Si era ritirato in solitudine per quei pochi minuti che gli erano stati concessi, vagando tra i corridoio di una scuola che pensava non avrebbe mai rivisto.
    Non aveva mai capito a cosa fossero servite tutte quelle classi vuote, Nathan, che aveva sempre visto Hogwarts come una scuola che straripava di studenti. Eppure quel giorno sapeva di poter passeggiare senza problemi sul piano deserto della scuola: era ora di lezione e comunque nessuno avrebbe avuto interesse a trovarsi lì. Doveva ammettere che era bello poter respirare di nuovo sentendo solo ed unicamente il proprio battito cardiaco, l'aria polverosa ad entrare nei polmoni senza dover passare attraverso il mantello dell'invisibilità che condivideva con Jess. Non fraintendetelo, la special era la sola persona che comprendeva davvero la sua situazione e non poteva che esserne grato, ma gli mancava la solitudine, quella stessa sensazione che era convinto lo rendesse debole ed inutile, quel senso di vuoto attorno a lui di cui si rendeva conto di aver bisogno. Certo, non che ultimamente fosse stato soffocato da attenzioni, anzi, i mini rebels erano tutto quello che gli rimaneva. Avevano aspettato quasi un mese a casa Makota, attendendo l'arrivo di tutti quelli che si erano accorti mancare all'appello. Il Wellington aveva addirittura tentato di contattare Al chiedendo ospitalità (una soluzione rischiosa visto che sarebbero finiti sotto un tetto di mangiamorte), ma nè lui nè Run erano raggiungibili in alcun modo, il che ampliò la loro lista di persone scomparse.
    Mave, Dakota, Al, Run, Amalie, Kierano, Will, Arci... al tempo, Nate non potette non confessare ad Erin di sentirsi in uno stato di dejavù, con quegli eventi così simili a quelli dell'anno passato... e se fosse andata a finire come a Brecon? I due istituti rivali di Durmstrang erano caduti ma dei corpi nessuna traccia, nè superstiti oltre a quelli alleatisi con Vasilov. Dei presidi non v'era traccia, eccezione fatta per quest ultimo, l'unico di cui molti avrebbero preferito fare a meno. Ancora non capiva come maghi e special potessero credere alle sue parole, non comprendeva come tutti potessero cadere così facilmente nella trappola di quei crucchi maledetti. Era chiaro che Dragomir stava estendendo le proprie radici su tutti i fulcri magici del mondo. E loro stavano lì, segregati in una casa non loro, il terrore di varcare la soglie ed essere scoperti... arrestati... persino uccisi... sembravano spacciati, abbandonati a loro stessi, troppo giovani e ingenui per potersi prendere cura di quella situazione, ma Nathan ci aveva provato.
    Lo sapeva, lo aveva sperimentato sulla sua pelle, non poteva salvare tutti quanti, ma doveva almeno provarci, per loro, per lui. Si sentiva in dovere di aiutare le persone, che ne aveva persi troppi di affetti il Wellington e bastava rivolgergli un ciao per cambiargli l'umore, un sorriso dall'altro lato della strada per farlo affezionare al vostro modo di camminare, alle pieghe della pelle sulle vostre guance quando le labbra si tendevano in quella timida espressione. Apprezzava le piccole cose e le metteva tutte insieme il Mimetico, non era mai stato bravo con i puzzle e allora ce ne aveva fatto un collage di quegli abbracci e quei gesti gentili, le risate e le chiacchiere, i silenzi piacevoli e le serate a bingewatchare netflix. Non riusciva a selezionare persone importanti, perchè tutti avevano diritto ad un posto nel suo cuore, in quel minestrone di affetto che aveva un pezzetto di chiunque. E con la stessa facilità con cui erano entrati se n'erano andati, senza lasciare traccia, senza avvisare... senza volere, speravano un po' tutti.
    «Nate! Andiamo!» la Goodwin si affacciò dalla porta della classe dove il mimetico si era messo a passeggiare esaminando i muri, un pezzo di stoffa dalla fantasia tremendamente orribile stretto in pugno mentre un sorriso eccitato spiccava sulla pelle caramello della ragazza.
    Era ora.
    Quando, poco prima di Natale, Erin aveva deciso di voler andare ad Hogwarts, nessuno dei due special era riuscito a trovare una ragione per cui non seguirla. Non che avessero molta scelta, che separarsi non era nemmeno minimamente pensabile, in più avrebbero avuto vitto e alloggio gratuito e certamente più sicuro della casa della Winston. Mantenendo un basso profilo e servendosi di passaggi segreti e trucchetti vari, sarebbe filato tutti liscio come l'olio e fu così che Nathan dette una seconda possibilità a quella scuola, sebbene evitasse il più possibile il ponte del Lago Nero. Camminare tra quelle mura non potette che corroderlo di nostalgia, il continuo maledirsi per non aver approfittato abbastanza di quegli anni, le inutili lamentele per cose che, se avesse potuto rivivere, il Wellington avrebbe ringraziato di avere. Era proprio vero che si percepisce l'importanza di certe cose solo una volta perse, forse Jess era stata fortunata a non conservarne il ricordo, che sarebbe stato bello potersi godere la scuola come la prima volta ogni volta.
    Il diciannovenne abbandonò la classe impolverata e disabitata per aggiungersi alla sua amica sotto il mantello dell'invisibilità, senza il quale probabilmente sarebbero già finiti nella sala delle torture o, peggio, ad Azkaban. Non era facile la vita da fuggitivi eh.
    «sai se ci sarà qualcuno?»
    «ovvio, noi due e i chips!»
    «intendo gli invitati, Jess!»
    «Aaaaaah... beh, possiamo solo sperare di sì»
    Avevano cercato a lungo una soluzione, qualcosa su cui investigare, qualcosa che li tenesse occupati nel frattempo che i loro amici tornassero allo scoperto. L'Esercito di Amalie era stata una vera e propria manna dal cielo, con tanto di libro delle istruzioni. Appunti, piani e strategie che la corvonero aveva trascritto sul suo quadernino, il desiderio di riscattare il potere dei giovani, che erano il futuro di quella nazione e di quel mondo, era ora che prendessero in mano le redini della situazione. Con i membri centrali della resistenza fuori gioco, Vasilov si era guadagnato una vittoria a tavolino senza mettere in contro che per i ragazzi sarebbe stato come avere casa libera per il weekend: chaos. Senza nessuno a dirgli che erano troppo giovani, troppo ingenui, i mini rebels erano riusciti a mettere in atto il piano della Shepperd, che sfogliare quelle pagine era come averla ancora tra loro, la vera mente del gruppo. Ovviamente, però, anche la Nass e i Chips ci avevano messo del loro, dopotutto la Stanza delle Necessità l'avevano trovata loro, mascherata da McDonald's, Burger King e Subway. Erano stati loro a spargere la voce, sapendo scegliere a chi confidare quel segreto che in nessun modo sarebbe dovuto arrivare ai professori o qualunque altro impiegato della scuola. Nemmeno i fantasmi avrebbero saputo di quella riunione, a parte per Nate e Jess che si spacciavano per spiriti infestanti quando qualcuno notava presenze sospette, non che la cosa dispiacesse loro più di tanto, era sempre divertente vedere le persone urlare durante una lezione mentre le finestre sbattevano senza un filo di vento. Erano dei burloni, dei burloni annoiati per di più, non ci si poteva aspettare altro da loro.
    Ma la vita sotto quel sottile mantello non era tutta rose e fiori, soprattutto quando il settimo piano sembrava il quattordicesimo.
    «Naaate il mio piede!!»
    «sei tu che dovevi muovere il destro»
    «ma se hai detto sinistro!»
    «destro!»
    «sinistro!»
    «eddai shhh, non posso dare sempre la colpa ad Hamtaro!» il povero criceto era stato accusato di talmente tante cose che nessuno si sarebbe stupito se un prete lo avesse preso tentando di esorcizzarlo. Ricordava ancora quando durante Pozioni la Goodwin aveva starnutito e Erin, invece di dire di esser stata lei, aveva incolpato il roditore, peccato che non avesse adottato la stessa strategia la settimana in cui Nate aveva sofferto di meteorismo dopo un biscotto andato a male regalato da un elfo domestico -non ricordava che quelle creaturine potessero essere così malvagie. Ad ogni modo, potevano credersi leggeri come farfalle e agili come ninja, ma, grazie all'incapacità di allacciarsi bene le scarpe e la poca coordinazione, i due ragazzi dati per morti finivano sempre per buttare giù qualcosa (che fosse un vaso o una persona o addirittura una parete non faceva molta differenza). Vorrei poter dire che questa volta furono fortunati, ma la povera Erin dovette fingere di inciampare fin troppe volte per mettersi tra i suoi amici e studenti che rischiavano di fare voli di tre piani dalle scale. «appena riusciamo ad avere più di mezzo galeone compriamo un altro mantello, p e r f a v o r e» non erano mai stati rinomati per la loro ricchezza economica (che compensavano con le coccole) ma se non si fossero sbrigati a comprare un altro di quei teli, il mimetico ne avrebbe risentito notevolmente sull'aspetto fisico: provate voi a stare sotto un foulard insieme ad uno scricciolo come Jess quando si è alti quasi due metri -dovevano sempre stare attenti a non far sbucare le scarpe dalle suole luminescenti!
    Salire le scale mobili senza cadere giù o perdere la loro copertura era una vera e propria arte nella qualei Nass (comei carabinier -cit) facevano pena, ma finchè nessuno se ne accorgeva per loro andava più che bene e, eventualmente, i quattro arrivarono fino alla Stanza delle Necessità che, come dice il nome, quel giorno si adeguò ai loro bsiogni: non più un fastfood che puzzava di fritto con tanto di schiere di gomme da masticare sotto sedie e tavoli, ma un ambiente più sobrio e adeguato al tipo di riunione che si sarebbe tenuta quel pomeriggio, arredato ad opera d'arte con uno Scott che sembrava aver faticato ore per preparare tutto. O ci teneva davvero molto o aveva dovuto tenersi occupato aspettando il momento della verità: chi si sarebbe presentato?
    Stavano per cambiare la storia, stavano per segnare un nuovo capitolo, stavano piantando il seme di una nuova rivoluzione.

    «Ma voi sapete più o meno che dire loro,vero?» disteso su uno dei divani al centro della sala,Nathan smise di giocare con la pallina trovata in uno dei cassetti dei mobili apparsi nel nuovo quartier generale. Si mise a sedere compostamente e arricciò le labbra pensando a parole di incoraggiamento e discorsi motivazionali. Avrebbe voluto poter affermare che lui e d Erin erano diventati esperti nelle iniziazioni ribelli, ma la verità era che quando arrivavano nuovo membri loro si occupavano semplicemente dei tour del QG... tour che non avrebbero più potuto mostrare... «se venissero anche degli special potrei fare qualche trucchetto» perdonatelo ma voleva subito fare bella figura con quei ribelli in erba, sempre che decidessero di fare effettivamente parte dell'Esercito.
    Li avevano incuriositi, ora dovevano convincerli.
    Si sentiva abbastanza in soggezione lì, in piedi davanti a quegli studenti, loro quattro che mai avrebbero pensato di trovarsi in una situazione del genere. Loro erano i soldati, lo erano sempre stati, non sapevano come funzionavano quel genere di cose, e mentre la Stanza si riempiva i dubbi si affollavano. E se fossero stati semplici visionari? Se fossero riusciti ad auto-illudersi di qualcosa, aggrappandosi agli ultimi brandleli di speranza, alle ultime tracce che i loro cari, scomparsi nel nulla, avevano lasciato dietro. Che Amalie sapesse della sua imminente sparizione? Che lo avesse lasciato apposta quel quaderno? O forse avevano avuto fortuna, forse avevano voluto trovarlo quel qualcosa che li tenesse impegnati, che se non fosse stato il quaderno sarebbe potuto essere il libro di ricerche sugli alieni di Kieran e loro ci si sarebbero adattati, o almeno Nate lo avrebbe fato. Non poteva dire addio così a quelle persone, perchè non poteva lasciarle andare via come si era lasciato andare via anni prima in quella stessa scuola.
    «ehm… ciao?... allora… sapete tutti perché siamo qui» lo sapevano? aveva scritto i bigliettini a mano ricordandosi di specificare ora e luogo, gli altri dettagli probabilmente differivano o (conoscendolo) si contraddicevano tra loro. Tentò di mascherare il proprio dubbio senza effettivo successo, lo stesso Scott rivelò la sua insicurezza al riguardo. Da un lato era felice che si fosse messo a parlare il Chips, dall'altra avrebbe voluto potergli dare una dose di Felix Felicis per farlo sembrare meno sull'orlo di una crisi -e forse lo sembravano tutti, che i cambiamenti di quel tipo non erano mai ben accetti. Ma si rese conto ben presto che il Chips non aveva bisogno di alcun aiuto, doveva solo ingranare la marcia per poi partire in quarta. In men che non si dica era riuscito a riassumere il perchè di quella riunione meglio di quanto chiunque altro avrebbe potuto. Quando ebbe terminato, il Wellington gli rivolse un sorriso fiero e un rapido occhiolino. A dir la verità, non si sarebbe aspettato quel genere di leadership da parte del mangiamorte, forse da Erin, ma Scott era sempre stato più discreto, meno esuberante.
    E forse era quella stessa riservatezza, quel suo modo di fare essenziale e a volte timido a fare di lui la persona giusta per quel lavoro.
    Il gesso tracciò il nome dell'esercito sulla lavagna per poi tornare a riposo in attesa delle prime domande sollevate. Si augurò di vedere special oltre che studenti, perchè se lui e Jess si erano finti morti non era certamente per sport, ma perchè anche prima di Van Lidova e della sparizione del Ministro, wizard e muggle erano tenuti sotto stretto controllo, come se la pirocinesi non fosse stata pericolosa tanto quanto l'incantesimo Incendio. Dovevano unirsi, maghi ed esprimenti, e la loro generazione era la più probabile ad essere disposta a quel genere di comunione.


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    Morte. Erano state ritenute morte. Tutte quelle persone che scomparse. Giravano voci, alcuni ancora speravano di rivederli, altri si erano arresi al fatto che fossero morte o sparite improvvisamente nel nulla. Lei non aveva creduto al fatto che fossero morti. Erano ritenute morte così tante persone e non tutte avevano qualche legame con le altre, erano spariti tutti nello stesso momento. Come potevano pensare che fossero morti? Ci doveva essere sicuramente qualcosa sotto, ma non aveva idea di cosa. Picchiettio sul labbro inferiore squadrando il foglio ancora interamente immacolato che teneva fra le mani. Quella giornata di stava rivelando particolarmente noiosa, insomma non avevano nulla da fare e stavano lì a girarsi i pollici. Stravaccata su uno dei divanetti, con la schiena appoggiata alla parte dove solitamente ci si sedeva e le gambe appoggiate alla testata, cercava di trovare ispirazione per disegnate qualunque cosa. Da tempo non faceva altro che disegnare boschi ed esplosioni, persone che lottavano, concentrandosi sul dolore pensando che incidendolo sul foglio lei non avrebbe più passato le notti insonni, fatto incubi o ricordato nei momenti meno adatti quello che era successo tempo addietro. Le cose da allora erano cambiate ma di sicuro non sembravano migliorate, andavano a peggiorare sempre di più sotto i suoi occhi e non ce la faceva più ad aspettare e a rimanere a guardare tutto senza poter far nulla. Puntò la mina sul foglio tracciando i lineamenti dolci di una bambina, ma venne bombardata da palline di carta. Stava già cercando di trovare le altre palline di carta intrecciate chissà dove nei suoi capelli quando un'altra le colpì la testa. Ovviamente non le aveva fatto niente, ma in quel momento l'aveva infastidita. «JONATHAN LANCELOT BLACKWOOD» Si ribaltò tornando a sedersi composta e scivolò velocemente vicino a lui, le sue parole furono accompagnate da un pugno verso la spalla e se non fosse stato lui e non avrebbe voluto rovinargli quel bel faccino gli sarebbe arrivato dritto in faccia. «'ammazza oh a tosta annamo all'esercito che je rompemo er culo a tutti» La player cita qualcosa del genere but io lo terrò così perché spacca ma è da prendere con le pinze, quindi fate come volete, volevo scrive lo anche per aumentare il numero di righe come sto facendo ora per non rendere il post come un panino senza niente dentro come diceva la mia prof delle elementari. Farcisci il panino! I post saranno più idioti ma lunghi mlmlmlmlml «A volte ti potrei ammazzare, seriamente.» Disse senza poter trattenere comunque un sorriso. Insomma, quale persona normale tira un pugno a qualcuno e poi sorride amichevolmente? Syria ovviamente, che domande. Ma sì era solo un pugnetto, non gli aveva fatto sicuramente niente e non sarebbe riuscito sicuramente ad ammazzarlo. Le era bastato vedere tutte quelle persone morire davanti ai propri occhi, colpire lei stessa. Prima di allora aveva sempre pensato che tutto quello che le insegnavano a scuola non le sarebbe mai servito e invece era stato utile per salvarsi la vita e al contempo a far del male. Certo, la volevano uccidere e si era trattato di sopravvivenza, ma non era stato un bello spettacolo,
    soprattutto quello che ne era seguito quando aveva creduto che fosse finito tutto. «Allora, cos'è questa cosa dell'esercito?» Lance gli porse il volantino e lesse velocemente le poche informazioni che conteneva. «Oh sì che ci andiamo. Su su alza le chiappe. Un due, un due. Su su su non è momento per riposare questo.» Si pentì di non portare sempre con se un fischietto, in molte occasioni poteva risultare utile. A quel punto non si era fatta problemi a trascinarlo fuori dalla sala comune per dirigersi al luogo indicato. Era praticamente ora e se Lance non l'avesse avvisata in tempo avrebbero potuto perdere un'occasione d'oro. Se sapeva di cosa si trattava? Non ne aveva la minima idea ma se c'entrava Amalie non sarebbe di certo mstoria.. Magari sapevano qualcosa. Nutriva una piccola speranza che era ancora accesa in lei e sarebbe andata a fondo di questa storia.

    Aveva sentito parlare di quel posto, quasi fosse una leggenda, le solite storie metropolitane che però si pensava non fossero vere eppure si trovava proprio di fronte alla stanza delle necessità. Guardò Lance e gli diede un piccola gomitata dato torturarlo ogni giorno come lui faceva con lei era d'obbligo ed inserito nella sua lista di cose da fare quotidiana mente. «Non farci fare la figura degli idioti.» Ma in fondo chi non era un po' idiota? «ehm… ciao?... allora… sapete tutti perché siamo qui» Per disintossicarsi da questo mondo? Ciaaaaao io sono Syria e non vedo la luce da quando sono nata. Stranamente era troppo entusiasta di partecipare a qualcosa a cui avrebbe voluto partecipare da una vita, qualcosa di grande. Il problema era che non sapeva bene cosa avessero intenzione di fare. Dopotutto era andata lì per un motivo: risposte. Sì, la sua decisione era stata presa su due piedi, frettolosamente, ma l'argomento la interessava e non si sarebbe tirata indietro. Ormai era tardi per tirarsi indietro, era passato quel tempo ormai da anni. «o… forse no? non so cosa ci fosse scritto sui volantini» No, insomma aveva una vaga idea di quello che avevano in mente, aveva letto il volantino solo cinque minuti prima, ma era abbastanza chiaro cosa avrebbero fatto. «non… non che ci fosse bisogno di leggerlo da un volantino, dico bene? Credo sia sotto gli occhi di tutti la gravità della situazione: quanti di voi hanno perso qualcuno, qualche mese fa? e quanti hanno visto amici e parenti venire licenziati per ragioni stupide?» Il mondo in cui vivevano era assurdo. Aveva visto morire delle persone davanti ai propri occhi, aveva visto il dolore riflesso negli occhi degli altri quanto nei suoi, aveva da ricevuto una lettera da sua madre che la avvisava che suo padre era stato licenziato. Non avevano avvisati subito lei e suo fratello per non farli preoccupare, la lettera era stata tutt'altro che aspettata. «ci addestrano a combattere da quando abbiamo undici anni, qui: sfido chiunque di voi a non saper scagliare una maledizione senza perdono con la massima facilità, o a produrre un perfetto sicarius nonostante si tratti di magia avanzata» Era veramente stanca di essere un'arma nelle mani di persone che fomentavano la visione di quel mondo. C'era qualcosa di dannatamente sbagliato in tutto quello che stavano vivendo. Non poteva essere quella la giustizia e se quella lo era allora lei non la accettava. Non la accettava per niente. «e come veniamo ricompensati, giorno dopo giorno? con la sala delle torture, se non siamo esattamente come vogliono, come hanno bisogno loro. La situazione si fa di giorno in giorno più ingestibile. paradossalmente noi siamo anche fin troppo al sicuro, qui dentro – non tutti, è vero» E sapevano tutti a chi si stava riferendo, c'era solo un gruppo di persone che non era completamente al sicuro lì e quelli erano coloro che non erano purosangue, gli studenti come lei. Quando aveva saputo che tale personale era stato licenziato aveva temuto che succedesse qualcosa anche agli studenti, ma per ora non era cambiato molto. «ma dobbiamo fare qualcosa, finché siamo in tempo. dobbiamo ribellarci. Abbiamo bisogno di fare fronte comune, di restare vicini: non sono qui a dirvi di organizzare una rivolta ma dobbiamo davvero cercare, se non di prendere in mano la situazione, di sapere come controbattere; dimostriamogli di saper combattere come ci hanno insegnato, ma non per loro» L'arte del combattere ormai scorreva nelle loro vene. Era veramente impossibile dire che non sapessero combattere, perché era quello a cui erano stati addestrati da quando avevano messo piede ad Hogwarts. Le era stato subito chiaro come funzionassero le cose lì e che era difficile ritagliarsi un angolo di sicurezza lì. «se avete domande, o proposte, o… qualsiasi cosa, appunteremo tutto lì» Esercito di Amalie. Avrebbe stato voluto che l'amica fosse lì presente, se tutto quello era stato generato da lei avrebbe dovuto essere lì per spiegarlo. Sfortunatamente non era così. «Avrei un paio di domande» Disse dopo aver alzato la mano. «La prima: come mai creare l'esercito di Amalie proprio ora? È piuttosto palese che c'entri lei, ma da cosa è partita l'idea?» Quella era una domanda di pura curiosità che non era riuscita a risparmiarsi. «Per la seconda invece metto in chiaro che sono pro alla ribellione, ma come facciamo a ribellarci esattamente? Prendiamo in considerazione la sala delle torture. Non siamo come loro, finiamo dritti lì dentro, ci ribelliamo e facciamo la stessa fine. L'unico modo per evitarla è rigar dritto.» Ci aveva provato a ribellarsi a coloro che avevano intenzione di portarla alla sala delle torture, era andata peggio del solito. L'infermeria l'aveva vista più volte di quante lei avrebbe voluto essere lì. «E scusate ma piuttosto che seguire i loro obiettivi, certamente che mi ribello e piuttosto preferisco fare un giretto nella sala delle torture a questo punto.» Picchiettò l'indice sul labbro inferiore prima di riprendere la parola. «D'altro canto così non risolviamo niente. Ci ribelliamo e veniamo puniti anche per questo.» Quello sembrava essere un circolo vizioso, magari gli altri avevano delle risposte, il tassello mancante che le rimaneva da attaccare al puzzle. «Come facciamo a resistergli per davvero? Questa è la mia domanda.»

    | ms.



    Fa schifo scusate ma ho perso tempo, mi si è cancellato un pezzo e l'ho appena finito di scrivere Se c'è qualcosa che non va, sicuramente c'è, ditemelo domani che ora non so nemmeno quello che ho scritto *nervous fake laughter*
     
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    Fin da quando era nato, Tripp Wellington era stato destinato ad una vita di graduale tristezza e disperazione.
    La seconda volta non gli andò meglio, anzi, già dall'inizio lo avevano avvisato che non sarebbe stato come tutti gli altri bambini, che era nato per contribuire ad un bene maggiore. Che quella vita era sacrificabile, ma aveva fatto i conti con la realtà, si era messo l'anima in pace dopo sedici anni di dubbi e incertezze. Non era una vita che aveva scelto, non quella versione di lui perlomeno, ma ormai ne era dentro fino al collon e tirarsi indietro non sembrava contemplabile. Il passato -o futuro, che dir si voglia- sarebbe sempre tornato a cercarlo e aveva scoperto di non potergli sfuggire. Se non poteva sottrarsi al suo dovere, tanto valeva servire allo scopo per cui, in primo luogo, si trovava lì. Certo, se avesse saputo prima che avrebbe avuto più incontri ravvicinati con la morte avrebbe mostrato sintomi di riluttanza, e forse è proprio per questo che non gli avevano detto nulla fino all'ultimo, ma una volta varcate le soglie di Durmstrang aveva davvero raggiunto un punto di non ritorno.

    Erano ovviamente strani, Nathan Wellington e Freya Gardner. Una coppia inusuale e curiosa, con le loro abitudini, i particolari e piccoli gesti che potevano passare inosservati al resto del mondo ma non all'uno o all'altra, che dopo dieci anni insieme a lottare contro le ingiustizie, qualcosa che gli altri non potevano cogliere ci dovevano essere. Le dita a stringersi con uno spasmo attorno alla mano del partner,
    Non avevano avuto una vita semplice, non era stata una passeggiata, ma da quando avevano avuto Joelle e Tripp sembrava che tutto potesse andare per il meglio. Certo, il mondo era ancora una merda, guerre e malattie a imperversare su un continuo mare in tempesta, eppure casa Wellington sembrava quasi un luogo sicuro, un posto dove quelle brutte notizie potevano entrare solo attraverso le pagine del giornale e lo speaker della radio. Stavano facendo il possibile per garantire ai due piccoli una vita normale, priva di preoccupazioni. Chi non lo stava facendo, dopotutto? Chi non aveva tentato di tutto per ritardare un momento che sembrava sempre più incombente? E non potevano rendersene conto, la special dai capelli rossi e il maghetto dagli occhi cioccolato, troppo ingenui, ancora protetti dall'innocenza dell'infanzia, come era giusto che fosse. Pareva quasi che l'universo stesse tentando di strapparli via dalla loro stessa casa: special e maghi, babbani e streghe, nessuno veniva risparmiato. Avevano cercato di dare loro quel che la coppia si era visto privare anni prima, catturati entrambi nei laboratori, resi diversi da quel che erano abituati a vedere nello specchio.
    Si facevano forza a vicenda, il sogno di una famiglia a cui entrambi era mancata da giovani a rendersi concreto con quei due fagottini di tenerezza e amore. Nella guerra i due sembravano aver trovato una sorta di stabilità.


    Scoprire che c'erano altri ragazzini come lui ai quali, però, era stato concesso il dono di non sapere la verità sulla loro provenienza gli fece desiderare di non essere mai entrato nell'Accademia. In realtà, non sarebbe cambiato molto, visto che l'istituto era situato abbastanza lontano da casa sua: le gite in Inghilterra erano frequenti, ma non erano certo la spesa più economica che la famiglia russa poteva permettersi. Erano infiltrati della resistenza, una coppia talmente dedita alla Causa da aver rinunciato alle proprie vite private per lavorare come spie inglesi, avendo dalla loro parte il patrimonio genetico dell'Europa dell'est. Se non fosse stato per l'Inglese dall'accento britannico, nessuno avrebbe potuto dire che non fossero stati originari di San Pietroburgo. Matvey e Stefanida Slavinsky erano talmente convinti di poter servire utilmente la Ribellione da essere disposti a sacrificare una terza vita: Tripp Wellington entrò a far parte di quella famiglia sotto l'identità di Rudolph Slavinsky. A quanto pare chiunque si trovasse ai vertici di quella curiosa organizzazione doveva fidarsi abbastanza della coppia da cedere il giovane custode alle loro cure, probabilmente anche perchè non ci sarebbe stato altro modo di "informare" futuri ragazzi del 2043 che fossero finiti a Durmstrang. Dopotutto chi non aveva paura di quella scuola?
    Be', in effetti gli Slavinsky non la temevano affatto, ma loro almeno non erano costretti a studiarvici come invece lo era Rudy. Smistato tra gli Psykhran aveva scoperto più cose di quante uno studente della sua età non avrebbe dovuto. Cosa aveva fatto la scuola? Ne aveva approfittato, costringendolo a fare cose che il fu Tripp Wellington non avrebbe ma pensato di doversi ritrovare a fare.
    Quanti nomi erano stati associati al suo volto, quante identità aveva dovuto vestire, quante voci messe a tacere con un ultimo grido, il fumo dalla canna della pistola fantasma di ogni corpo steso davanti a lui. Nessuno, o quasi, avrebbe potuto sospettare di un ragazzino, di uno come Rudoplh per di più. Non era un caso se una volta scappato e tornato nel Regno Unito era finito tra i Corvonero: senza logica, inventiva e attenzione sarebbe schiattato subito. E aveva creduto di aver chiuso con quella storia, fuggito da quella casa che casa non era, scappato dall'orrendo spettacolo a cui era stato esposto, che era bastato un passo falso per giocarsi quella vita. Mat e Stef non erano mai stati dei genitori, bravissimi a sembrarlo all'esterno ma subito tornando ad essere severi e rigidi tutori, come degli zii a cui era stata affidata l'educazione di un nipote rimasto orfano, non c'erano effusioni amorose o esplicite manifestazioni d'affetto quando nessuno li guardava, ma i tre sapevano di amarsi in quel modo inspiegabile a parole, in un modo che andava taciuto. Erano spie, tutti loro, e bisognava restare oggettivi e l'affetto li avrebbe traditi, e l'amore li aveva traditi.

    Pur non condividendo una singola goccia di sangue con i Wellington, Tripp non si era mai nemmeno sognato di non essere parte di quella famiglia, non aveva mai nemmeno pensato che quello lo rendeva meno amato o più distante di Joelle. Anzi, la creatività e l'ingegnosità sembravano incise nel suo DNA come in quello della madre e non era difficile credere che lui e Nate condividessero le stesse sfumature di castano negli occhi, gli stessi riflessi biondo scuro sui capelli quando l'estate si avvicinava. Aveva scoperto col passare degli anni di essere adottato, lo aveva imparato a scuola che era impossibile essere loro figlio biologico... e con ciò? Aveva chiesto perchè e per-come ma non si era mai sentito offeso o messo in secondo piano,
    che lo amavano come amavano Joelle e lei amava il fratello come se avesse condiviso con lui il grembo materno. Era impossibile per il ragazzo pensare a duna vita senza quei genitori, una vita senza quella gemella (che ovunque andassero era così che si presentavano). Esisteva una famiglia in cui il padre non trovava nuove acconciature per la barba per metterlo in imbarazzo? Avrebbe mai potuto avere una madre che si emozionava per ogni cosa come se fosse la prima volta? Poteva esserci un Tripp senza una Joelle? Erano suoi, erano la sua famiglia e nessuno aveva avuto il diritto di strappargliela, che il cognome del mimetico doveva essere una maledizione per i suoi discendenti. Avrebbero mai potuto avere una gioia famiglia senza temere da un momento all'altro l'arrivo del cupo mietitore? E la strinse forte a sè, la rossa i cui capelli erano
    davvero uguali a quelli di Freya e li strinsero gli zii, i nonni e i cugini, perchè non potevi non amare i Wellington, la coppia che viveva nel loro mondo esclusivo di cui rendevano partecipi gli altri con quei sorrisi enigmatici e apparentemente casuali. E non potevi sentirti appassire almeno un poco vedendo i due ragazzi, anzi, adulti davanti a quelle lapide fredde e pulite. Almeno allora il mondo aveva dato loro tregua e non il tempo nè la natura osarono intaccare quelle lastre di pietra per molti anni, molti ne passarono prima che il più coraggioso dei rampicanti incorniciasse quell'amore. E aveva promesso di risolvere tuta quella merda, aveva detto a Joe che insieme ce l'avrebbero fatto, ce la facevano sempre. «sono qui, Tripp, ci sarò sempre» che non era mai stato lui quello forte, che le stringeva la mano per non cadere e rompersi in mille pezzi. Non era lui quello ad aver preso da suo padre, non era lui quello che si faceva carico di tutte le vite perse. Ma lo aveva promesso comunque, aveva promesso che avrebbe trovato un modo e «so cosa sto facendo» aveva detto, mentre entrambi sorridevano con gli occhi umidi sapendo che non era vero, che non era giusto... e magari alla generazione successiva sarebbe andata meglio.

    «ci addestrano a combattere da quando abbiamo undici anni, qui: sfido chiunque di voi a non saper scagliare una maledizione senza perdono con la massima facilità, o a produrre un perfetto sicarius nonostante si tratti di magia avanzata» non lo ricordava così Noah Baudelaire. Non lo ricordava affatto, a dirla tutta, ma qualcosa gli diceva che nel 2043 doveva essere diverso, non così insicuro e titubante, non così ... Scott. Ovviamente Erin non aveva nulla a che fare con Therese e non aveva bisogno dei ricordi per saperlo, erano bastate le lettere, i pensieri scritti, le testimonianze che chissà come erano tornate con loro o prima di loro. Aveva sempre pensato che, appena li avesse incontrati, avrebbe sentito qualcosa, come una calamita che aveva finalmente trovato il suo polo complementare, come se avessero potuto riempire i vuoti che ogni tanto erano troppo vuoti per essere ignorati. Ma sapeva di starsi illudendo, sapeva che voleva solo qualcosa per consolarsi, il magro compenso di provare dei sentimenti per loro in quel corpo e in quella epoca. La verità era che il ragazzo allampanato come una spiga di grano che ondeggiava al vento non gli aveva detto nulla di più e nulla di meno di quello che già sapeva. Nonostante ciò, Rudy non era disposto a venir meno al suo buonsenso, facendo le domande che avrebbe dovuto fare se non ci fosse stato il suo fottutissimo papà dall'altro lato della Stanza delle Necessità: «okay, non per essere rude ma... loro due chi sono?».
    Era estremamente difficile non aver mai incontrato i due Chipmunks ad Hogwarts, in poco tempo avevano conquistato il cuore di mezza scuola o comunque avevano trovato il modo di arrivare alle orecchie di tutti con il criceto che starnutiva in modo decisamente umano e gli strani rumori che li perseguitavano ovunque andassero. Fatto sta che, se suo padre almeno quella vote fosse riuscito a non finire nei casini, nessuno doveva avere davvero idea di chi fossero lui o la ragazza dalla carnagione scura e i capelli castano miele. Chissà cosa avrebbero risposto, magari sarebbero stati abbastanza intelligenti da non scoprirsi subito (come era venuto a sapere erano soliti fare i minirebels).
    «ah, un'ultima cosa: ci addestreremo? Ci armeremo davvero contro la scuola?» aveva visto fin troppi leader di pezza e ribellioni di fumo per potersi immischiare in una cosa del genere senza sapere se avesse delle fondamenta o meno, anche se ciò comportava allontanarsi da Nathan.
    Forse, in realtà, non si sarebbe mai dovuto avvicinare e, se lo avesse saputo,il buon senso gli avrebbe detto di non andare. Sicuramente non poteva negare che la presenza del diciannovenne era stata una piacevole sorpresa.
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    «Lo stiamo davvero per fare?» Nicky si strinse più forte le braccia attorno al peluches a forma di rana in un abbraccio protettivo, affondando poi il viso nel pelo verde (aveva chiesto a Beh di potersi tenere Epic Fail, ma il ragazzo -a ragione- aveva reputato più saggio lasciarle un oggetto inanimato). «Insomma... non si torna indietro» Sentì Meh deglutire al suo fianco, notò con la coda dell'occhio Hades torturarsi le dita a disagio. Fu Behan il primo a reagire, allungando la mano avanti a sè con il palese invito a fare lo stesso, posando le loro sulla sua.
    «Insieme» Insieme. Nicky conosceva quei tre disagiati da quasi cinque anni, ormai, e si rese conto che non c'era niente che non avrebbe fatto per (e in questo caso con) loro; probabilmente erano la cosa migliore che le fosse mai capitata, la parte più bella della sua altresì tristissima vita mainstream. Erano stati lì per lei quando aveva avuto le prime crisi identitarie riguardo alla propria sessualità, le avevano fatto compagnia con lettere imbarazzanti e piene di orrori grammaticali nei lunghi mesi in America, l'avevano amata nonostante tutto - nonostante fosse lungi da lei essere perfetta -, sempre. Non avrebbe potuto chiedere di meglio dalla vita, non avrebbe chiesto di meglio dalla vita.
    Alzò il braccio, sfiorando le dita di Beh.
    «Insieme» Gli altri due ragazzini, dopo essersi guardati un attimo e aver annuito, si unirono. Nicky non potè fare a meno di notare che Hades aveva esitato prima di sfiorare Meh #gayradar ma per una volta evitò di lanciargli uno sguardo allusivo: era un momento magico fra tutti e quattro, colmo di significato, importante. Forse, da lì a qualche secondo le loro vite sarebbero cambiate per sempre: non c'era tempo per essere una psycho!shipper.
    In quel momento, insieme, i quattro losers fecero play.
    «Devo metterti in riga!»
    Niente, non ce la poteva fare. Nicky fu la prima a scoppiare a ridere fra i commenti stizziti degli amici, perdendo così in tempo zero la challenge che i quattro amici si erano imposti, ovvero riuscire a guardare un telefilm trash (uno a caso, eh) in modo serio, commentandolo come alti critici cinematografici. «Non ce la faccio» biascicò arrivata alle lacrime in mezzo alle risa «vi prego» Si sentiva più stupida del solito (e ce ne voleva), tanto più che la sua era una di quelle risate incontrollabili e imbarazzanti da bambina, ma stava davvero così male. Non riusciva neanche a spiegarselo! Non era la sua prima volta alle prese con quello show ma ogni volta la mandava in visibilio; era così perfetto. Il trash era decisamente il suo punto debole.
    «Eddai, Winston» L'avevano persa. Dondolava avanti e indietro, le dita nel pelo del peluches (chiamato Giovanni; Giovanni Rana), e fra poco le sarebbe partito un polmone a furia di ansimare. «Stai attenta, stai scherzando col fuoco...» Nicky alzò gli occhi verso l'amico, dicendo insieme a lui: «Il fuoco lo domo io. Stai attento tu a non spegnerti precocemente!» la volevano morta. A volte era sicura che dal ridere si potesse morire davvero (ah, se solo sua cugina Maeve le avesse raccontato di quando aveva ucciso una a colpi di freddure!). Le venne tirato un cuscino in faccia, e Nicky si rese conto che se fosse rimasta ancora lì, a guardare lo show, le sarebbe venuto un infarto. «Devo... aria... acqua... ora» cercò di comunicare, e senza commentare altro (non ce l'avrebbe fatta), sperando i losers avessero inteso che voleva dire "vado a prendere una boccata d'aria e già che ci sono prendo da bere, e magari qualche spuntino. volete qualcosa? Si Hades ti porti i Kit kat". Mollò il peluches sul letto del dormitorio tassorosso, e uscì con la mano davanti alla faccia ancora ridendo.
    Quando si imbattè (sbattè, imbattè, siamo lì) in Erin si fermò, cercando di darsi un contegno. Non erano amiche da abbastanza tempo per mostrarsi ancora così disagiata. «Scusami non ti avevo vista»
    La vide tentennare. Nicky attese, chiedendosi se volesse dirle qualcosa, e quando le porse il volantino la Winston abbassò gli occhi confusa. «Cambia in base a chi lo legge» Le disse, e Nicky non capì subito perchè dovesse dirle una frase del genere con quel tono di rassicurazione... poi si rese conto di cosa aveva fra le mani. Alzò lo sguardo di scatto. «Pensavo potesse... interessarti»
    Nicky non rideva più. C'era ancora il fantasma di un sorriso sulle labbra, ma si era fatta seria. Il cuore ora batteva velocemente contro il petto, facendogli quasi male o fastidio che dir si voglia, ma non era più per il divertimento o per l'infarto che gli avrebbe portato il continuare a ridere come una pazza. Non era sicura di chi fosse più a disagio fra lei ed Erin, finchè non si rese conto che Erin non era propriamente a disagio, solo colma di aspettativa e in attesa di una risposta, e neanche lei stessa lo era, quanto... emozionata? Eccitata? Anche un po' lusingata perchè Erin pensava potesse interessarle.
    Tossicchiò per cercare di darsi un contegno. «Posso... posso pensarci?» che domanda stupida. Si corresse: «Posso dirlo agli altri?» perchè non l'avrebbe mai fatto senza di loro.
    Due minuti dopo, stava rientrando nella camera maschile dei tassorosso. Qualcuno le tirò Giovanni addosso incitandola a sbrigarsi, perchè stava arrivando il meglio, ma Nicky non aveva più testa per The lady (assurdo, lo so). Si umettò le labbra, controllò che fossero gli unici nel dormitorio, e aprì il foglio davanti agli amici. «Ehi, che-»
    «Ragazzi» interruppe «Cosa ne pensate di far parte di un movimento ribelle?»


    «Voglio vomitare.» mormorò «Posso vomitare? No, scherzavo, non vomito, scusa... Non è vero scherzavo a dire che scherzavo, penso che vomiterò davvero. Scusa»
    Appiccicata a Hades, Nicky fissava la gente che li circondava abbassando rapida lo sguardo quando si trattava di semisconosciuti di cui rischiava di incrociare gli occhi. Le piaceva fingersi badass (????) e dire nei momenti meno inopportuni e più casuali i'm a strong independent woman who don't need no man («Nicky, come lo vuoi il gelato?» «i'm a strong independent woman who don't need no man» «Si ok ma sto gelato?»), ma a volte era felice di poter fare la parte della ragazza indifesa che si accolla ai suoi amici maschi che con la pubertà si alzano manco ci fosse un rampino invisibile a tirarli per la testa. Afferrò la mano di Hades. Nel dubbio, dopo un attimo di elaborazione, con l'altra mano prese quella di Beh «Se svengo-» «Ti prendo» «Cosa? No. Lasciami a morire: lo svenimento è un meccanismo di difesa»
    Sapeva che era la cosa giusta partecipare all'esercito di amalie, sebbene questo non lo rendesse più facile, ma allo stesso tempo non poteva che tormentarsi già solo all'idea del nome: esercito. Era abbastanza difficile partecipare alle lezioni di corpo a corpo e strategia senza voler morire, non era mai riuscita a finire neanche un gioco di Tomb Rider perchè non aveva cuore di sparare ai lupi e gli altri animaletti del primo livelli (e perchè le faceva paura già dal nome, ma dettagli), e ora voleva partecipare ad un esercito? Signore, sperava non le avrebbero messo in mano una pistola. Si confortava solo pensando che, dai, quanto poteva essere violento un gruppo con componenti erin e scott? Erano delle patate, non dei soldati. Il nome doveva essere stato scelto per deviare gli impiccioni (????????).
    L'altro motivo per cui era in ansia (e insieme eccitata) era l'illegalità del tutto. Se fossero stati scoperti, quante probabilità c'erano che il neo preside avrebbe fatto fare a tutti un viaggetto di sola andata nella sala delle torture? Tante.
    E forse proprio per questo motivo, ovvero perchè il rischio di venir uccisi solo per incontri clandestini era reale (oltre ovviamente a voler dare supporto alla sua nuova amika erin e il suo nuovo compagno di casa disagiato scott), aveva deciso di andare. Era cresciuta circondata da violenza, non aveva mai conosciuto altro... ma nell'ultimo anno aveva letto i giornali (ogni tanto) (raramente) (ok non è vero, però aveva letto le news condivise sui social) (d'accordo, neanche questo: in realtà aveva solo guardato i titoli e le foto), e il suo mondo si era allargato: esisteva altro oltre a Hogwarts, esisteva la possibilità di tranquillità, esistevano (o erano esistite) scuole in cui la tortura e la violenza psicologica, meh, non erano così gettonate. E GLI STUDENTI USCIVANO FATTI E FINITI COMUNQUE DOPO IL DIPLOMA!!!!111 assurdo. I suoi genitori le avevano sempre detto che i nati babbani che avevano ricevuto un'educazione elementare nelle scuole non magiche senza tortura erano dei caproni, e Nicky ci aveva creduto: la violenza era brutta, ma serviva.
    Pazzesco che fosse venuta a conoscenza dell'importanza della pace grazie ad una guerra.
    Il primo a parlare fu Scott.
    Nicky non si rilassò affatto (continuando a lanciare occhiate fugaci a Ophelia e Nathan - i due fantasmi meno fantasmi che avesse mai visto prima; erano lì per cercare giustizia dopo la loro morte?), ma almeno il modo di parlare di Scott non era da pazzo fissato. «Dobbiamo ribellarci»
    Ebbe un brivido lungo la schiena, e si strinse di più all'amico. La ribellione era male, questo le avevano insegnato durante tutta la vita; non voleva diventare una terrorista come loro, e sperava sinceramente nessuno di loro si sarebbe spinto a tanto (lo sapevano tutti che i ribelli facevano esplodere edificie rapivano i bambini dei ministeriali mangiamorte per mandarli nei laboratori!)... ma a parte quello, il discorso di Scott filava. Dimostrare di saper combattere, ma non per una guerra che non era la loro, non per il fronte che altri avevano deciso. C'era solo un problema:
    «Io non voglio combattere» mormorò verso i losers, ma non potè aggiungere altro perchè a quanto pareva tutti avevano da dire la loro. Li capiva, ovviamente: sentiva il cuore esploderle in petto come ogni volta che voleva prendere parola in pubblico. Se avesse conosciuto meglio le persone nella stanza, avrebbe parlato lei stessa.
    «Avrei un paio di domande»
    Ascoltò attentamente quanto aveva da dire Syria; nell'ultimo anno, aveva sempre pensato che l'avventura a Brecon l'avesse fatta uscire di testa, ma si accorse che non era pazza, era solo incredibilmente motivata. Provò un moto d'ammirazione verso di lei. «La prima: come mai creare l'esercito di Amalie proprio ora? È piuttosto palese che c'entri lei, ma da cosa è partita l'idea?» Nicky si sentì punta sul vivo, e ripensò alla propria radio. Quanto aveva aspettato per parlare della situazione attuale? Perchè proprio ora? Era terribile, era brutto rendersene conto e la faceva sentire una persona di merda, ma se lei stava reagendo, se in quel periodo si stava accorgendo di quanto facesse schifo il suo mondo, era soltanto perchè adesso la situazione la toccava. Era una purosangue, ed era sempre sembrato ovvio (comodo) lasciare che la vita scorresse così com'era, voltare la faccia dall'altra parte quando capitava qualcosa di brutto ad altri; guardare nati babbani e poi special maltrattati era la sua normalità. Non era così scontato che potesse esistere altro oltre a quello per loro. Negli ultimi mesi le cose erano cambiate a tal punto che era diventato impossibile far finta di niente, e lentamente notare certe cose, le aveva aperto gli occhi su tutto il resto. Aveva iniziato a lottare quando si era accorta di essere un possibile target a discapito del proprio sangue ma per le proprie idee, e da ciò si era resa conto davvero di quanto fosse tutto profondamente sbagliato.
    Ma non avrebbe detto niente di tutto ciò ad alta voce, ovviamente; la domanda non era neanche stata posta a lei, ed era meglio così. Immaginava che Scott ed Erin le avrebbero semplicemente risposto "Beh, non eravamo qui per creare il gruppo e non è che voi abbiate mosso il culo per farlo".
    «Per la seconda invece metto in chiaro che sono pro alla ribellione, ma come facciamo a ribellarci esattamente? Prendiamo in considerazione la sala delle torture. Non siamo come loro, finiamo dritti lì dentro, ci ribelliamo e facciamo la stessa fine. L'unico modo per evitarla è rigar dritto.» annuì velocemente (...) «Come facciamo a resistergli per davvero? Questa è la mia domanda.»
    La domanda di tutti: cosa fare? Cosa ci facevano davvero lì? Si sarebbero allenati, avrebbero fatto scherzi ai professori cattivi? Ad un certo puntò anche il ragazzo nuovo decise di prendere la parola.
    Era slavo.
    «okay, non per essere rude ma... loro due chi sono?».
    Nicky si voltò verso il ragazzo che aveva parlato. Si avvicinò all'orecchio di Beh, sussurrando: «Glielo diciamo o non glielo diciamo che Nathan e Ophelia sono morti da almeno due anni?» Insomma, non era un discorso... facile da affrontare, e il nuovo ragazzo poteva prenderla male (????)
    «ci addestreremo? Ci armeremo davvero contro la scuola?»
    Fu Elaine a rispondergli, almeno riguardo la seconda: «Se è la guerra che vogliono, dovremmo assicurarci che non rimangano delusi» Oh, Madonna Louise Veronica Ciccone. Questa voleva davvero far la guerra a qualcuno.
    Nicky deglutì, e debolmente infine sollevò la mano per richiedere la parola. Si rese conto di aver alzato - per forza di cose - anche il braccio di Hades, non avendo lasciato la presa sulle sue dita, ma non le importava. Neanche era la più strana di quel gruppo.
    «Non sarebbe meglio, mh, trovare metodi di ribellione più, ecco, pacifici?» si umettò le labbra. Fissava intensamente Erin (il maglione di Erin in realtà), perchè era quella che la metteva meno in soggezione lì dentro a eccezione dei losers (e sarebbe stato davvero troppo strano guardare uno di loro) «Per far vedere che non siamo come loro. Tipo, sapete no? Combattere con... la forza dell'amore...» la sua voce si spense entro la fine della frase. Avvampò rendendosi conto di che idiozie stesse dicendo, sentendosi improvvisamente una bambina in mezzo ad un branco di giovani adulti. Aggiunse rapida, a mo di scusa: «Nei film funziona» Oddio, aveva detto una cazzata, vero? Ora l'avrebbero scacciata. Perchè non pensava dieci volte prima di parlare?? Doveva cercare di aggiustare il tiro «Come diceva Scott conosciamo già incantesimi parecchio potenti, e idealmente tutti sapremmo uccidere, se ci servisse farlo. Non credo, mh, basti, allenarci ancora fra di noi su come diventare degli assassini, quello è ciò che facciamo normalmente» ed era quello contro cui volevano ribellarsi in primo luogo. Guardava il ragazzo straniero, e la sua non voleva essere un'accusa, ma una normale risposta al suo "ci alleneremo?", nonchè una messa in chiaro di cosa ci faceva lei lì. «Penso che sarebbe carino invece aiutare gli special a rendere il tutto più... sopportabile. Sono quelli che stanno patendo di più il nuovo governo. Credo.»
     
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    01.03.2018
    Non aveva mai creduto alle teorie cospirative, Behan Tryhard: troppo impegnato a leggere fumetti o farsi venire il diabete in età precoce a furia di ingozzarsi di gelato davanti a film strappalacrime. Le uniche occasioni in cui gridava "COMPLOTTO!!1!" si verificavano quando in uno dei mille film d'amore con cui riempiva i suoi pomeriggi e le sue notti la coppia per cui tifava fin dal primo minuto non si metteva insieme, o uno dei due moriva male, o quando in uno dei suoi telefilm preferiti una sua notp si metteva insieme e faceva vacillare nel ragazzo la convinzione dell'esistenza delle anime gemelle o del vero amore nel mondo. Anche se alla fine gli bastava solamente guardare una puntata di Once Upon A Time o qualche video su youtube dei Fitzsimmons per riprendersi e consolidare la sua fede nel meant to be
    Ma non era mai stato a riflettere troppo sull'esistenza di spiriti, fantasmi o altre entità ultraterrene, e l'unico motivo per cui era convinto dell'esistenza degli alieni era per i discorsi che Nicky gli aveva fatto milioni di volte, esponendogli le sue teorie in base alle quali la ragazza fosse nata direttamente da loro e poi abbandonata sulla terra. E le credeva solamente perché era Nicky e praticamente da quando l'aveva conosciuta, il suo primo anno ad Hogwarts, il Tryhard non aveva fatto altro che fidarsi ciecamente di lei e credere totalmente a tutto ciò che diceva. Ma se qualcun altro gli avesse esposto la medesima teoria? Meh, non ci avrebbe creduto sicuramente.
    L'unica volta che lui stesso aveva escogitato teorie assurde, assieme al fratello, riguardavano l'origine dei loro nomi: perché mai , si erano chiesti i gemelli Tryhard, i loro genitori li avevano battezzati con nomi simili? Di quale assurdo peccato oltre i confini fisici e metafisici #wat si erano macchiati quando erano solamente due embrioni eterozigoti nella pancia della madre? Meh aveva avanzato l'ipotesi che forse papà aveva perso una scommessa con gli amici, Beh era convinto che, chiamandoli così, mamma aveva sperato di apparire in un qualche articolo sul Timeturner, a cui era abbonata da anni. Alla fine però erano arrivati alla conclusione che, semplicemente, i coniugi Tryhard non avevano avuto la minima idea su come chiamare i gemelli fino alla loro nascita e così si erano arrangiati. Che ne potevano sapere, i due ragazzi, che in realtà quella era una piccola vendetta presa da loro padre nei confronti di quello biologico ("MEH, non sono figli miei...BEH, me li tengo comunque")(ciao phobos hihihi)
    Ma, quando quel pomeriggio di fine Febbraio entrò nella serra di erbologia e si ritrovò davanti un fantasma, tutte le sue certezze vacillarono. Chiariamoci: Beh era ben consapevole dell'esistenza dei fantasmi in generale, visti quanti ne giravano anche solo per i corridoi della scuola. Ma si trattava sempre degli spiriti di vecchi ammazzati decenni , se non addirittura secoli #wat, prima, che di umano sembravano avere oramai ben poco. Era abituato ad incrociarli mentre camminava dal dormitorio alla Sala Grande, oppure quando si spostava da una classe all'altra, e nonostante la paura provata nei mesi iniziali del suo primo anno, oramai ci aveva fatto l'abitudine ed incrociarli era naturale come vedere il sole sorgere ogni mattina. Ma Jessalyn Goodwin?? La stessa Jess che fino a qualche anno era naturale vedere spiaggiata su un divano in sala grande intenta a divorarsi un intera pizza fatta arrivare da non so dove, o arrampicata su qualche albero per, secondo una sua particolare teoria, prendere meglio il sole. Era inevitabile averci parlato almeno una volta nella vita, ancor di più se eri tassorosso: la ragazza attaccava discorsi dal nulla, su qualunque argomento.
    «JESS???»
    «RAGAZZO???»
    «FANTASMA????»
    «RUDE DIRLO COSì???»
    E così era iniziata quella che per il ragazzo si rivelò, probabilmente, la conversazione più strana della sua vita. La Goodwin non sembrava ricordarsi minimamente di lui, il che lo ferì profondamente anche perchè dai, non ricordava le innumerevoli volte in cui aveva usato i losers come cavie per testare l'ultima ricetta di brownies inventata insieme a Maple?? E nemmeno tutte le volte in cui si era offerta volontaria per andare a recuperare EpicFail ( III, a quel tempo) dai posti alti e complessi in cui andava a nascondersi?? Il Tryhard cercò di riportare a galla quei ricordi nella ragazza, raccontando piccole parti di quelle giornate ma senza risultati: era chiaro come il sole che Jess non se li ricordasse minimamente, bastava guardare l'espressione spaesata dipinta sul suo volto. Tuttavia sembrava sinceramente dispiaciuta, tanto che provò a giustificarsi.
    «Sai, è un problema comune dei fantasmi...nei primi anni dalla morte perchè...il cervello deve elaborare...cose ..e»(?????) non sembrava esserne convinta neppure lei ma chi era Beh per giudicare? Mica era lui il fantasma in quella situazione, quindi si fidava decisamente più di lei che di ciò che pensava lui riguardo all'argomento «...col passare del tempo dovrebbe tornarmi. Così dicono...loro»
    Il ragazzo annuì, facendo finta di aver capito seriamente qualcosa di quel discorso. Però un dubbio non poteva metterlo da parte. «Mhh capisco...ma loro chi?» «Uh sai, loro. Quelli ai piani alti, che ad esempio decidono quanto il tuo organismo si possa ingozzare di gelato prima che ti venga il diabete. Insomma, hai capito. Loro» E Beh non ci aveva capito proprio un bel niente, ma nuovamente si limitò ad annuire, questa volta non aggiungendo alcun interrogativo: era consapevole che non sarebbe servito a nulla chiedere altro se non a lasciarlo con ancora più dubbi di prima. «Ma posso dire agli altri che sei qui???» Voleva correre dai suoi amici a riferire il tutto: sapeva che sarebbero stati contenti di rivederla «Meh» « Quello è mio fratello, io sono Beh » La sua memoria non ancora completa da neo fantasma aveva mantenuto il ricordo di Meh e non il suo? Era lui il tassorosso di casa, non era mica giusto! «No ma intendevo proprio meh, per ora non dire nulla...sai, sono in missione segreta» «Ma sei un fantasma» «E quindi?» «Meh» «Cosa c'entra ora tuo fratello?» «No, era proprio un meh» «Aaah...sai, sembri il tipo giusto» «Per..?» Ecco, una minima cotta per Jessalyn Goodwin l'aveva avuta per un breve periodo di tempo, come del resto l'aveva avuta per praticamente ogni ragazza in quella scuola. E le più grandi, per anni, erano state il suo punto debole, e lo erano ancora, anche se non l'avrebbe mai ammesso: non era raro che diventasse dello stesso colore del maglione natalizio di suo fratello ( quello rosso acceso con i piccoli pon pon verdi, abbinato a quello di Beh verde con i pon pon rossi ) quando Syria Hollins gli rivolgeva un sorriso di sfuggita in sala comune. Ma stare con un fantasma?? Un po' troppo persino per lui.
    «La missione top secret!» AAAH. «Girati un secondo» E naturalmente lo fece, perchè si chiamava Behan Tryhard e si fidava ciecamente delle persone. Solo che se ne pentì un attimo dopo , quando si sentì leggermente spintonato e, riaprendo gli occhi, lo spirito di Jess era svanito nel nulla: e si convinse di esserselo immaginato , eppure mentre usciva dalla serra gli sembrò sentire la voce della ragazza dargli un avvertimento, anche se non riuscì a capire da dove provenisse. «Cambia solo se vuoi vederlo cambiare»

    «Cosa ne pensate di far parte di un movimento ribelle?» Fu solo in quel momento, quando Nicky allungò loro un volantino, che lo strano incontro avuto nella serra di erbologia con il fantasma di Jessalyn Goodwin che per giorni aveva tenuto segreto agli amici prese finalmente senso. Perchè, proprio come preannunciato dalle parole della ragazza che Beh aveva quasi creduto di essersele solamente immaginate, il volantino cambiò davanti ai suoi occhi, rivelando un messaggio segreto. E non aveva esitato un attimo a esclamare «OVVIO!» con voce convinta, fiero di avere la conferma di esser il tipo giusto, come l'aveva definito Jess. Naturalmente fu l'adrenalina del momento, a farlo acconsentire così in fretta senza rifletterci un attimo, o forse la maratona di The Lady e l'influenza di Lory Del Santo l'avevano contagiato a comportarsi da persona coraggiosa
    Ma quando l'hype del momento fece posto alla realtà, Beh non era più così convinto della sua scelta: stavano correndo così tanti rischi! Era un ragazzo tranquillo, e poteva vantare di non esser mai stato spedito in sala torture, probabilmente perchè aveva una faccia impossibile da prendere sul serio e punire: dai, ce lo vedete a venir torturato? Per cosa poi? La più grande trasgressione in quindici anni di vita era stata prendere la bici del fratello, uscire senza il permesso dei genitori e schiantarsi dopo aver fatto appena duecento metri contro la macchina dei vicini.
    Nicky, dal canto suo, non sembrava esser messa meglio, Hades non si capiva bene se volesse morire in quel momento o trattenersi per altri dieci minuti e Meh non era ancora arrivato.
    Respira Beh, ce la puoi fare
    D'altronde, era il tipo giusto.
    «Sono il tipo giusto»
    Bastava crederci.
    «Eh?» Cavolo, l'aveva detto a voce alta e non solo nella sua testa. «Esercizi di meditazione tibetana» Nel dubbio, funzionava sempre. O almeno, era ciò che diceva sempre mamma Tryhard quando faceva uscite infelici.
    Ascoltò le parole di Scott, sentendosi un po' fuori posto lì in mezzo perchè a) lui le torture non le aveva mai provate sulla propria pelle b) in un certo senso si sentiva in colpa perchè lui e la sua famiglia non avevano avuto perdite: aveva visto ragazzi scomparire per la scuola, così come gli insegnanti. E per quando gli dispiacesse, non si sentiva colpito direttamente e c) era una pippa a lanciare incantesimi, quindi portò gli occhi in basso, trovando particolarmente interessante la disposizione delle mattonelle nella stanza quando il Chipmunks parlò delle maledizioni senza perdono. In un certo senso lui era cresciuto in un modo ovattato, lontano dai problemi, lontano dalle sofferenze che gli special ed i loro familiari erano costretti a provare, lontano un po' da quel mondo complesso e violento: si poteva dire che fossero dei privilegiati, i Tryhard, nati in una famiglia purosangue ma allo stesso tempo leggermente distaccata dal governo, cresciuti quasi più immersi nella cultura babbana che in quella magica. Ma lo sapeva anche Beh, che era arrivato il momento di fare i conti con il mondo reale.
    Anche se lo spaventava a morte.
    «dobbiamo fare qualcosa, finché siamo in tempo. dobbiamo ribellarci» Aiuto
    «ah, un'ultima cosa: ci addestreremo? Ci armeremo davvero contro la scuola?» Addestrarsi?? Armarsi contro la scuola??? Aiuto
    «Se è la guerra che vogliono, dovremmo assicurarci che non rimangano delusi» Tu quoque, Elaine?? Ripetere a sè stesso le parole dette da Jess qualche giorno prima non sarebbe servito: sapeva che da lì a poco sarebbe scappato via, se avessero continuato a parlare di guerre, combattere e tutte le altre cose brutte nel mondo. Già evitare di per sè la violenza in una scuola come la loro era complicato, ed era ciò che Beh cercava di fare sempre, ma andarsi a mettere in un gruppo clandestino così non poteva che peggiorare la situazione.
    «Non sarebbe meglio, mh, trovare metodi di ribellione più, ecco, pacifici? Per far vedere che non siamo come loro. Tipo, sapete no? Combattere con... la forza dell'amore...»
    Eccolo. Ecco l'esatto motivo per cui Beh aveva provato un bene infinito ed incondizionato per D.D. Winston dal primo momento in cui l'aveva vista. Ecco il motivo per cui, nel suo futuro ideale, condivideva una casa con lei, Meh ed Hades. Ecco il motivo per cui non si sentiva solo, in quel mondo, perchè qualcuno come lui esisteva. «Io la penso come lei! Possiamo far capire che ciò che fanno è sbagliato senza abbassarci ai loro livelli, senza macchiarci delle loro stesse colpe, no??» Lanciò un'occhiata a Jess, sperando di ottenere uno sguardo di incoraggiamento, o cercando nei suoi occhi nuovamente la certezza di essere "il tipo giusto" per il loro progetto: perchè a sentire gli altri, aveva iniziato a convincersi di esser completamente fuori posto lì tra loro.
    «Penso che sarebbe carino invece aiutare gli special a rendere il tutto più... sopportabile. Sono quelli che stanno patendo di più il nuovo governo. Credo.» Credeva anche lui, anche se poteva solo immaginare cosa fossero costretti a sopportare. «Potremmo puntare all'informazione?? A divulgare notizie che non vengano filtrate dal governo???» Un po' credeva che fosse quello, il motivo per cui il mondo magico era così ostile alla tecnologia: gufi e lettere erano decisamente più facilmente censurabili che un post su tumblr «Nel nostro paese governa la paura: non basterebbe mostrare al mondo che gli special sono esattamente come noi? Non credo un incantesimo sia meno pericoloso di un potere, ciò che conta sono le intenzioni delle persone »
    E se avesse potuto, Behan avrebbe volentieri fatto un reportage sul modo in cui venivano trattati gli studenti che non si comportavano seguendo le regole, riprendendo la sala delle torture o una qualsiasi lezione : quello era il mondo in cui erano nati e cresciuti, la realtà che da sempre avevano insegnato loro a considerare come giusta, semplicemente perchè nei secoli tutto aveva sempre funzionato in quel modo. Ma Beh sapeva, grazie alla conoscenza del mondo babbano, che una situazione simile nel mondo ignaro della magia sarebbe stata considerata disumana: perchè allora i maghi, che da sempre con presunzione si ritenevano superiori, in certe cose erano dei veri e propri barbari? Era questo ciò che Behan avrebbe voluto far capire al mondo intero, era la realtà che molti ragazzi ignoravano: la certezza, che possedevano fin da bambini non per una loro colpa, di esser superiori ai babbani li rendeva cechi davanti a simili atrocità, considerandole normali.
    Ma il ragazzo aveva troppa speranza nel genere umano e troppa fiducia nell'amore che trionfa nel mondo, in un modo o nell'altro, per rassegnarsi a una tale situazione: il sogno di vivere in un mondo diverso non l'avrebbe mai abbandonato.
    E forse quell'incontro poteva esser il punto di partenza per costruire qualcosa di bello
    Long live the pioneers, rebels and mutineers
    Go forth and have no fear, come close the end is near.
     
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    Maple ci mise un po’ per decidere di accettare quell’invito. All’inizio aveva optato per un categorico no, insomma, i suoi genitori non avrebbero mai accettato qualcosa del genere: una Walsh che si schiera in prima linea per far sì che un cambiamento avvenga. Ma quando mai. Poi però penso anche che lei, i suoi genitori, non li aveva mai davvero ascoltati. “JESS” si ritrovò a strillare una volta attraversata una porta apparsa dal nulla - #hogwartsstateofmind -. Era proprio lei, quella che non si ricordava niente di tutte le cose assurde che avevano fatto insieme, quella che le ha insegnato a fare i pancakes (e che poi se li è mangiati tutti), quella che ogni dannata notte la svegliava per dirle di smettere di russare. Proprio lei, quella Jessalyn dai capelli inspiegabilmente perfetti con cui era cresciuta insieme, adesso se ne stava seduta lì, come se fosse assolutamente normale il suo ritrovarsi all’interno del castello. Finalmente sorridente, reduce da settimane passate in agonia per la morte di Aidan, Maple non riuscì a non correrle incontro ed avvinghiarsi al suo collo. “Mi sei mancata” le sussurrò all’orecchio, lasciandole un bacio innocente sulla guancia. “Ma come cavolo hai fatto ad entrare?” un sorriso impertinente stampato in volto, non si può mica semplicemente entrare ad Hogwarts, lo saprebbero tutti in un battito di ciglia. L’ultima volta che si erano incontrate era stato al cimitero, per quel funerale a cui un po’ tutta la comunità aveva partecipato, quello che poi si era inaspettatamente trasformato in un vero e proprio tutti-contro-tutti. Una lampadina si accese. Ci mise un po’, certo, è di Maple Walsh che stiamo parlando, tutto deve essere fatto con estrema calma e tranquillità, ma si accese. Il funerale, quella battaglia, la sala delle torture, quel genocidio improvviso, Maple aveva sempre avuto le prove sotto il proprio naso, ma mai si era permessa di domandarsi quale fosse davvero la sua parte. Tremila pensieri, tremila dubbi la assalivano in quel momento. Sedici anni senza preoccuparsi di cosa la circondasse ed ora, tutt’insieme, sembrava che il suo prendere una posizione avrebbe potuto davvero cambiare qualcosa. Affiancò inevitabilmente Beh, il concasata per cui aveva un debole del quale non avrebbe mai parlato con nessuno, ascoltando silenziosamente ciò che gli altri avevano da dire, mentre tentava di oliare i marchingegni del proprio cervello, così che cominciassero finalmente a funzionare. “credo sia sotto gli occhi di tutti la gravità della situazione: quanti di voi hanno perso qualcuno, qualche mese fa? e quanti hanno visto amici e parenti venire licenziati per ragioni stupide?” Aidan. Arci. Amalie. Degli altri neanche le importava (#egoista) “dobbiamo fare qualcosa” Un bel discorso, doveva ammetterlo, avrebbe quasi voluto fare un applauso Maple, perché lei una cosa del genere non sarebbe mai stata in grado di dirla, o anche meno di pensarla. C’era un motivo se l’avevano smistata in quella casata. Avvertì un qualche calore formarsi al centro del proprio petto, un fervore, una rabbia, una voglia di azione a cui non era proprio abituata, che stesse diventato coraggiosa tutta d’un tratto??? E’ possibile?? Vivi una vita rifugiandoti nel cibo, nelle battute tristi e nel rincorrere lumache e poi, boom, realizzi di aver sbagliato tutto della tua vita. Cambiò radicalmente idea quando le parole armi ed allenamento entrarono nel discorso. Maple Walsh non era in grado di ferire una mosca, figurati un altro essere umano. ”Per far vedere che non siamo come loro. Tipo, sapete no? Combattere con... la forza dell'amore... Fu così che tirò un sospiro di sollievo, alleggerita da un peso che sapeva di non voler avere. ’GRAZIE MI STAI SIMPATICA’ Poi si voltò in direzione di Behan, occhi improvvisamente a cuoricino, che si era ovviamente schierato dalla parte di Nicky. Che ci volete fare? I tassorosso non sono fatti per la violenza, non sanno neanche come si fa, a portare rancore. “Anche io per la non violenza!!!” alzò velocemente la mano Maple, come si fa quando si è a lezione e si vuole chiedere la parola Maleducata! Non ci si intromette così. Guardò Beh, mimando un ‘sorry’ con le labbra per averlo interrotto, abbassando l’arto per averlo interrotto e tornando ad ascoltare ciò che aveva da dire. “Si potrebbe pubblicare un qualcosa in anonimo?? Tipo – non so - ‘IL GOVERNO VI MENTE’ o ‘GLI SPECIAL SONO TUOI AMICI’ Sognava, mentre si immaginava già i titoli dei giornali (ma quali) che avrebbero spedito in giro. L’idea era di far aprire gli occhi alle persone, proprio come era capitato a lei; più gente si rende conto di cosa accade, meno drammi, no? Maple proprio non li sopportava, i drammi. Mentre parlava cercava con lo sguardo tutti i presenti, li conosceva bene o male tutti, i più solo di vista, e non riuscì a non pensare che fosse estremamente fuori luogo. Lei, una Walsh, figlia di mangiamorte, sorella di mangiamorte, da sempre e per sempre vissuta in una famiglia di mangiamorte; o aveva battuto la testa da piccola, o l’erballegra doveva averle bruciato tutti i neuroni. Il calore che aveva avvertito poco prima si era trasformato in un enorme masso di cemento, proprio lì, all’altezza del petto; la stava portando giù, mentre il cervello lavorava, pianificava, univa i pezzi e faceva due più due, realizzando l’enorme bugia in cui le aveva permesso di rifugiarsi in quegli anni, serrandole gli occhi davanti la triste realtà.
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    Ok 1) mescema pensava Connor fosse morto ops quindi ho riscritto il post
    2) MA CHE MAPLE SI CONVERTE


    Edited by tired™ - 19/4/2018, 12:07
     
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    1.03.2018 | afternoon
    o0LTcwc
    «reginald.» una singola goccia di sudore scivoló sulla fronte del tryhard soffermandosi sul sopracciglio, ma mehan nemmeno ci badó. Immobile come la statua di un dio greco, ma non altrettanto prestante, osservava con espressione imperscrutabile il manipolo di ragazzini a poca distanza da lui, dalla parte opposta della grande sala. Tra loro, anche un paio di giovanotti dall'aria un po' più vissuta, con quel briciolo di esperienza necessaria a competere per un posto ufficiale alle sue già affollatissime lezioni; insomma, c'erano tutti tranne quegli infidi del losers, come da normale prassi. «si, mehan?» eh ma se non gliel'aveva detto almeno ventimila volte: fuori da quella stanza, nei corridoi o nelle aule di hogwarts, meh e reggie potevano essere amici, nonostante i quattro anni di differenza e abitudini discordanti, ma lì dentro, nel suo tempio sacro, non c'era posto per simili confidenze. Sapeva essere un insegnante crudele, il sedicenne, quando questo serviva a spingere i propri allievi ad accellere. «maestro..» «ma no meh, sei tu il maestro!» che meravigliosa, piccola testina di vitello. A mehan tremó lievemente l'angolo destro della bocca, un tic nervoso ed incontrollabile, chiaro segnale che si stava concentrando al massimo per raccogliere tutte le energie residue evitando così di tirare giù santi e madonne, sicuramente impegnati a loro volta con indisciplinati seguaci. Un borbottio sommesso scalfí il silenzio della sala, gli altri ragazzi in canottina e pantaloni attillati si diedero gomitate frenetiche scommettendo a bassa voce quanto ci avrebbe messo il maestro a buttare fuori reginald: una prospetiva, quella, cui meh non aveva mai davvero pensato. «si reggie, appunto, intendevo.. anzi lasciamo perdere.» scosse la testa, mentre il dodicenne gli sorrideva tutto felice, ingenuo come solo un ragazzino nato e vissuto insieme alla famiglia del mulino bianco poteva essere. «te l'ho detto mille volte: devi trovare un punto fisso nella parete e mantenerlo. questo vale anche per voi bamboccioni.» sollevò il mento di scatto, indicando gli studenti più grandi ancora intenti a ridacchiare, e questi subito si misero sull'attenti chinando il capo verso il pavimento di legno lucido, le spalle nuovamente dritte e tese. eh, già meglio «ci tengo a ricordarvi che mancano pochi mesi al saggio.. non fatemi fare brutte figure.» IL SAGGIO! un vero incubo, per il giovane tryhard, sulla cui testa gravava tutto il peso di quell'enorme responsabilità: ci andava della sua reputazione, e che cavolo! «ma la smetti di bacchettare questi poveretti?» quando li vide sulla porta della stanza delle necessità, mehan quasi si illuse avessero finalmente deciso di partecipare alla lezione - seppur in imperdonabile ritardo!!! -, dimentico dell'appuntamento segreto che si erano dati solo quella mattina, durante l'ennesima partita a chi ride prima. Un gioco truccatissimo al quale vinceva sempre e comunque hades, perché era uno spaccagioie. Il quale, ovviamente, già guardava da un'altra parte, l'espressione scocciata di chi si sarebbe voluto trovare ovunque tranne che lì, di fronte ad una decina di ragazzi in calzamaglia, mehan compreso. Nicky e Beh gli stavano accanto, le spalle poggiate allo stipite della porta, il dito indice del fratello a picchiare contro il suo stesso polso. «eddai meh, ti muovi? siamo in ritardo!» Il che, per il grifondoro, significava non avere nemmeno il tempo di cambiarsi d'abito prima di presenziare alla riunione segreta, costringendolo ad un'entrata in scena che avrebbe lasciato poco spazio all'immaginazione, un dettaglio questo capace di mettere a disagio chiunque.
    Ma non lui.
    Mai mehan barolo tryhard.


    «Voglio vomitare. Posso vomitare? No, scherzavo, non vomito, scusa... Non è vero scherzavo a dire che scherzavo, penso che vomiterò davvero. Scusa» bene, ma non benissimo. Mehan la fissó per in istante, battendole delicatamente una mano sul ginocchio per infonderle sostegno morale, mentre nicky si aggrappava come una piovra attorno alla sua preda, nel caso specifico beh e hades: il grifondoro si era messo do proposito seduto all'ultimo posto libero alla loro sinistra, accanto solo al gemello, per poter così tenere le gambe ben divaricate. Seduto come uno scaricatore di porto, ma con la calzamaglia, mehan ascoltò lo scambio di battute generale senza fiatare, le braccia incrociate contro il torace magro; se l'argomento lo preoccupava in qualche modo, non lo stava dando a vedere.
    «dobbiamo fare qualcosa, finché siamo in tempo. dobbiamo ribellarci»
    «ah, un'ultima cosa: ci addestreremo? Ci armeremo davvero contro la scuola?»
    «Se è la guerra che vogliono, dovremmo assicurarci che non rimangano delusi»

    Un solco profondo si formò sulla fronte del tryhard, proprio in mezzo agli occhi; un segnale di concentrazione, ma non solo. Al contrario di Behan e Nicky, troppo impegnati a sudare freddo, il ragazzino stava già pensando oltre, più in là di quel dibattito la cui premessa sembrava ormai già scritta: usare l'attacco come una difesa, rispondere alla violenza con altrettanta forza. O con l'idea della stessa, perché in fondo si trattava sempre di studenti alle prime armi contro un esercito di maghi adulti e ben più preparati. Avrebbe potuto comunque accettare di buon grado quell'idea, il sedicenne, trovando nel proprio cuore e senza eccessivo sforzo il coraggio necessario per suonare la carica e dar contro agli oppressori, se solo la formulazione di una domanda non lo avesse temporaneamente bloccato. Era a quella che pensava, mentre i due losers facevano le loro proposte di pace, amore e tolleranza, così tipiche del loro essere carini e coccolosi da non sorprenderlo minimamente. Li consoceva troppo bene, per aspettarsi movimenti incauti e incitazioni alla violenza. «Si potrebbe pubblicare un qualcosa in anonimo?? Tipo – non so - ‘IL GOVERNO VI MENTE’ o ‘GLI SPECIAL SONO TUOI AMICI’» si riscosse in quel momento dal suo stato di intensa riflessione, mehan tryhard, la mano destra poggiata sul ginocchio corrispettivo e la mancina sollevata in aria a chiedere la parola. Quando Scott gli fece un cenno e i brontolii generali scemarono in un silenzio denso di dubbi e domande, il ragazzino si schiarí leggermente la voce, sporto in avanti sulla sedia traballante. «forse lo sanno già. la gente, dico.. magari hanno semplicemente troppa paura per prendere una posizione che metterebbe in pericolo le persone che amano.» una considerazione che gli pesava sul petto, quel famoso pensiero capace di frenare anche il più impavido dei sentimenti. Lanciò un'occhiata al fratello, prima di spostare l'attenzione sui presenti, le spalle più curve di quanto avrebbe voluto: era solo un ragazzino, il grifondoro, e quel peso sulla schiena fin'ora non lo aveva mai dovuto portare. «forse sanno che ogni loro azione potrebbe rappresentare una condanna per i loro cari. Ad esempio, diciamo che decidiamo davvero di "scendere in guerra"» mimó le virgolette in aria con entrambe le mani, lasciando intendere chiaramente cosa ne pensasse di uno scontro di quel tipo: non si trattava certo di due fazioni dello stesso livello con eguali possibilità di vittoria, mettiamola così. «se ci beccano... sbatteranno mio padre e mia madre ad azkhaban? li tortureranno e picchieranno per punire me e mio fratello?» si strinse nelle spalle, nascondendo alla bell'e meglio l'accelerazione improvvisa del battito cardiaco, stringendo nuovamente le braccia al petto per impedirgli di sollevarsi e abbassarsi troppo rapidamente. Non guardava più behan, per ovvi motivi, solo le proprie scarpe poggiate contro la sedia vuota di fronte a lui. «dico solo che se si fa, allora bisogna prepararsi a tutto. e sinceramente non credo di essere ancora arrivato a quel punto.»
    tanto lo sapevano tutti, che a volantini e belle parole non avrebbero risolto un beneamato par di balle.


    You're a teaser, you turn 'em on. Leave 'em burning and then you're gone
    Looking out for another, anyone will do. You're in the mood for a dance and when you get the chance
     
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    Guardò ancora quei volti, così giovani e ignari di tutto il mondo che si nascondeva dietro le parole del governo, dei professori e dei libri stessi. Avrebbe voluto dire la verità, risvegliare l'antico ideale sulle quali basi si era fondata l'intera Resistenza, ma non poteva.
    Quello che stava chiedendo a quegli studenti era già troppo, non li avrebbe mai sottoposti all'estenuante carrellata di informazioni che si era dovuto sorbire lui anni prima, quando nel suo malsano equilibrio tutto funzionava nel Mondo Magico. Per la prima volta nella sua vita. Nathan J Wellington credette di capire cosa intendessero le persone quando dicevano "si stava meglio quando si stava peggio".
    «forse lo sanno già. la gente, dico.. magari hanno semplicemente troppa paura per prendere una posizione che metterebbe in pericolo le persone che amano.» si morse un labbro, domandandosi ancora una volta se fosse giusto tenerli all'oscuro dell'Oblivion. Guardò Erin, quasi sperando che gli leggesse nel pensiero annuendo con approvazione, consentendogli di svuotare il sacco una volta per tutte.
    Non lo fece, incontrò solo gli occhi vispi di una ragazza troppo eccitata all'idea di poter fare qualcosa di utile da poter acconsentire a ciò che Nathan stava pensando. Erano rimasti rinchiusi per troppo tempo al QG, non potevano mandare in fumo così i loro progetti, non poteva essere egoista e affrettato tentando di far sorgere una nuova resistenza così presto, con membri così giovani.
    «dico solo che se si fa, allora bisogna prepararsi a tutto. e sinceramente non credo di essere ancora arrivato a quel punto.» sciolse le braccia conserte sul petto poggiandole ai fianchi, come se la cosa si fosse improvvisamente fatta più interessante di quanto già non lo fosse stata. Il ragazzino non aveva torto, prendere parte a quell'assemblea e a tutte quelle che ne avrebbero seguito significava accettare i rischi di quelle responsabilità. Avrebbero cambiato il mondo, si spera, ma non potevano certo aspettarsi un futuro costellato di sole vittorie.
    I Minirebels non erano più semplici soldati, si erano fatti demagoghi di un movimento che rischiava di soffocare tra le macerie dell'antico Quartier Generale, ma ciò significava anche dover fare i conti con le perdite, le sconfitte e i caduti che sarebbero potuti venire.
    «hai ragione, dovremo essere pronti a tutto e oggi non lo siamo... forse alcuni di noi non lo saranno mai, ma non possiamo farci fermare dalla paura. Chi oggi sceglie di seguirci dovrà assumersi le proprie responsabilità per tutti gli eventi futuri, non una parola dovrà uscire da queste mure» la segretezza era forse uno dei punti fondamentali di quel piano. Bastava un anello debole, una persona sbagliata su cui fare affidamento e tutto sarebbe potuto crollare come un castello di carta. Avrebbero trovato un modo per rendere sicuro lo scambio di informazioni, sarebbe venuto qualcosa in mente a qualcuno su come poter provare la fedeltà di un aspirante membro senza ricadere in atti estremi e violenti. «per di più non so quanti di voi sanno cosa significa scendere su un campo di battaglia, ma è anche compito nostro insegnarvelo. Un conflitto non è da escludere, ma lo eviteremo il più a lungo possibile. I nostri insegnamenti serviranno a difendere voi e coloro che davanti ai vostri occhi subiranno ingiustizie, saranno stratagemmi e trucchetti per rendervi anonimi nelle folle» sarebbero stati un esercito migliore, più giusto e coscienzioso. Dovevano stare attenti a non sfociare nella violenza gratuita, nel vandalismo e nelle rivolte estremiste. Quello di cui avevano bisogno era costruirsi un nome ed una fama che serpeggiassero tra gli studenti con l'appoggio di chi avrebbe voluto parlare ma temeva le aspre conseguenze di una risposta troppo esuberante. «e infine dovrete essere scaltri, furbi ed inafferrabili. Essere scoperti significa finire dritti nella sala delle torture per periodi al limite della legalità. Ne va della vostra salute, dunque, e della continuità dell'Esercito di Amalie». La cosa che più lo rattristava era forse che avevano dovuto perdere amici e parenti per finalmente darsi una svegliata, che ancora una volta il mondo aveva dovuto martirizzare degli innocenti per aprire gli occhi.
    Quello che stavano facendo, lo facevano per lei ma sopratutto grazie a lei. E non si sarebbero arresi, mai, nemmeno davanti al Wizengamot Nate avrebbe negato la sua devozione alla giustizia vera e disinteressata, quella che se applicata al loro mondo avrebbe fatto dissolvere il Regime in una nuvola di vapore.


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    01.03.2018
    17 y.o. | message man
    Ok, con calma. Con… davvero molta, calma.
    Innanzitutto, cos’era tutta quella gente. Non che ne fosse triste, Scott Noah Chipmunks; soltanto, non se lo aspettava: aveva creduto che i volantini, nonostante il magistrale impegno messoci dal trio dei pancake, sarebbero passati in prescrizione, e non di certo per colpa loro. Unicamente per il fatto che la gente aveva troppa paura, a quel punto, e anche soltanto riunirsi in segreto ma sempre sotto gli occhi di Biochemist Van Lidova era un rischio che, molti e giustamente, non avrebbero preso volentieri. Li capiva, anche Scott aveva una paura fottuta: non poteva biasimarli in alcun modo, anche se avrebbe preferito lui per primo non averne affatto.
    Ma poi… perché tutte quelle domande. Sentiva già di star andando nel panico, ed avrebbe voluto nascondersi dietro la scrivania e fingere di non essere mai esistito. Cosa cavolo gli era saltato in mente, quando aveva deciso di parlare per tutti? Non - non era da lui, e soprattutto non faceva per lui. Della coppia Batman & Robin, lui solitamente si riteneva un Alfred – il maggiordomo, sì: sempre dietro le quinte, discreto ed invisibile, con una passione ossessivo compulsiva per la pulizia.
    Per quanto fosse stato gratificante parlare per tutti e davanti a tutti, come un leader del quale Capitan America sarebbe stato fiero, non… era sicuro di averlo fatto bene. Non lo avevano capito???
    Non era certo di essersi capito nemmeno lui, in realtà.
    Alla domanda di Syria, prese da dietro le proprie spalle il quaderno di Amalie, tenuto come un cimelio per tutto quel tempo. Lo mostrò al pubblico, invitandoli ad avvicinarsi nel caso lo avessero voluto; a leggerlo, se erano curiosi, ma solo sotto la loro supervisione: non aveva idea di come lo considerassero gli altri tre, ma per lui era di certo una reliquia. Una testimonianza, qualcosa a cui aggrapparsi costantemente. Il segno tangibile ed indelebile della sua esistenza, e dell’esistenza di suo padre, dei suoi cugini, di Maeve e Dakota – di tutti quelli additati come traditori, ma che tali non erano mai stati. Non per Scott.
    Era la speranza, quel quaderno. Di un futuro migliore, o semplicemente del loro ritorno.
    «abbiamo trovato il quaderno di amalie ed i suoi pensieri poco tempo fa, dopo…» si morse le labbra, gli occhi verde argento posati sulla Hollins. «dopo il disastro di dicembre. l’idea era sua, in pratica, per questo ci siamo dati questo nome» continuò, indicando la lavagna, dove un gessetto incantato prendeva nota delle varie domande. «lei sperava in un futuro migliore, come tutti noi, ma è stata la prima di cui ho letto qualcosa di pratico e realmente realizzabile.» fece scivolare gli occhi su tutti i presenti, indugiando su coloro che avevano proposto metodi pacifisti con un sorriso, ed annuendo convinto a coloro che invece chiedevano se si sarebbero dovuti preparare a scendere sul campo di battaglia.
    Capiva… capiva davvero tutti, e per la prima volta in vita sua – il che, inutile dirlo, lo scombussolò davvero molto. Era il primo a voler mettere fiori nei cannoni di tutti, prendersi un unicorno e cavalcare un arcobaleno fatato lanciando glitter su tutto il pianeta, magico o meno che fosse; ma era anche stato in guerra, aveva visto gente morire.
    Aveva ucciso. Sapeva come funzionava quel mondo, ma non voleva che chi non era ancora capitato male come lui, o Erin, o Nathan, perdesse la fiducia in metodi più delicati.
    Fu su quest’ultimo che gli cadde di nuovo lo sguardo quando prese la parola, sorridendo mesto ai suoi discorsi. Ancora ricordava, Scott, quando lo aveva conosciuto ed il suo unico pensiero era rivolto ad un metodo semplice e poco sanguinolento per toglierselo dalla propria vista per sempre, lui ed i suoi abbracci non richiesti. Chi lo avrebbe mai detto, che sarebbero stati la guida dei più giovani e meno esperti?
    Nessuno. E giustamente, okay, ma questa è un’altra storia.
    Annuì convinto quando ebbe terminato, e volse un’occhiata alle domande poste. Vorrei dire che le aveva sentite tutte, ma mentirei spudoratamente: se avevano preso una lavagna ed un gesso che scriveva da solo, c’era un motivo.
    Questo motivo si chiamava Scott Noah Chipmunks, ed aveva un disturbo da deficit dell’attenzione – per cui no, aveva sentito mezzo quesito in generale, ma avrebbe rimediato.
    «voglio innanzitutto dirvi che nessuno è costretto a restare se non è ciò che vuole,» si soffermò su Mehan Tryhard, l’unico che aveva detto ciò che in molti pensavano ed avevano taciuto: bisogna prepararsi a tutto, e sinceramente non sono ancora arrivato a questo punto. Come poteva dargli torto? «ma è anche vero che chi vuole davvero restare deve essere… tutelato» guardò i suoi amici, cercando cenni di consenso. Prese un quaderno (da dove? Eh boh, è la Stanza delle Necessità) e ne strappò una pagina, scrivendoci lo stesso che era stato appuntato a capo della lavagna. «se volete restare, dovete firmare – non subito eh, mh, non… non correte? diciamo entro la fine della riunione, però» ??? «ma, se non firmate… diciamo che entrare in seguito potrebbe essere difficile per voi. come ha detto…» poteva dirlo il suo nome? POTEVA DIRLO IL SUO NOME? Forse no, ma Edward Cullen gli diede la forza necessaria: dillo. Ad alta voce. Dillo. «nathan, ci deve essere un patto di segretezza tra tutti i presenti.»
    Si strinse tra le spalle, volgendo la propria (labile) attenzione sui pacifisti del gruppo. «c’è molta censura nel mondo magico, e sarà molto difficile pubblicare articoli o qualsiasi altra cosa, ma non è per niente una brutta idea» era sicuro che il Ministero già sapesse di essere nel torto, e che quindi gli attivisti new age non avrebbero scalfito il loro cuore di pietra, ma chi era Scott per privare i suoi compagni di un tentativo? «segnate tutto quello che pensate sia utile, ci lavoreremo insieme. e certo, dobbiamo trovare un modo per aiutare gli special, ma non sarà facile. e…» respirò profondamente, il Chipmunks. «sì, ci addestreremo. non ci armeremo contro la scuola, non dobbiamo raderla al suolo e molta gente che ci lavora è… normale?» insomma, di normale ci era rimasto praticamente soltanto il Campbell e, eh. Era un Phobos, non faceva davvero testo. «non ancora, almeno. ma dobbiamo essere pronti a tutto, e non soltanto nella maniera scolastica che ci hanno insegnato fino ad ora. là fuori è tutta un’altra storia.» deglutì, cercando Erin. Loro erano stati temprati dalla vita in maniere che non conoscevano nemmeno l’un dell’altro, o che avevano lasciato sepolte sotto cumuli di cenere, impossibilitati ad essere recuperati. Eppure? Non erano di certo stati preparati per Brecon.
    «ripeto, non siete obbligati. né a restare, né a fare ciò che non volete»
    I don't know just where I fit in
    'Cause when I open my mouth I know nobody's listenin'
     
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