I still ache from trying to keep pace

[indagini] dakota + amalie

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    neutral. smartass: Amalie Shapherd
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    2000's ・ ravenclaw ↺ mabel winston crane
    Ci aveva sperato davvero quel giorno, Amalie. Aveva creduto sul serio di riuscire a trovare Erin, o perlomeno riuscire ad ottenere qualche informazione riguardo alla ragazza. Doveva assicurarsi che la Chips stesse bene, ne sentiva il bisogno, e non le importava nulla del fatto che, da quanto aveva capito mettendo insieme le informazioni raccolte insieme agli altri, si trovassero in una sorta di universo parallelo in cui ogni cosa era praticamente l'opposto di come loro la conoscessero. Non aveva mai sentito la necessità di motivare l'affetto che aveva provato nei confronti di Erin fin da quel primo incontro al wicked park, talmente casuale e genuino da non poter che essere considerato una semplice fortuna, il trovarsi nel luogo esatto al momento esatto. Non ci aveva quasi fatto caso, a quanto si fosse affezionata alla ragazza in così poco tempo, lei che per fidarsi di una persona normalmente ci metteva un numero esorbitante di mesi, e difficilmente davvero del tutto. Lei che per una vita intera non aveva fatto che costruirsi barriere intorno, così da non rimaner ferita, così da non legarsi troppo, mossa dalla consapevolezza che prima o poi tutti avrebbero finito per lasciarla indietro, ed era bastato quel primo sorriso accennato della mora per abbassarle tutte ad un tratto e permetterle di passare. Ma non era una porta che si apriva dal nulla, quella.
    Era un ricordo che lottava per tornare in superficie.
    Si lasciò cadere affranta su uno degli sgabelli della cucina di olivander, mentre attendeva che la caffettiera sul fuoco le donasse la sua primaria fonte di sostentamento: non credeva possibile vivere senza assumere un minimo di sei tazzine di caffè al giorno. Poco importava che fosse già sera: le sarebbe servito avere il cervello in funzione per un altro bel po' di ore, e dati gli avvenimenti di quel giorno - ma anche della vita, in generale - dubitava che sarebbe riuscita ad addormentarsi, anche senza quella sproporzionata quantità di caffeina in circolo nell'organismo.
    Quella mattina aveva avuto l'idea di seguire Ellis - in base al principio del "una sorella di barry al giorno toglie quello vero di torno", anche se la ragazza non l'avrebbe mai ammesso ad alta voce - e, guidata dalla ragazza, erano finite con l'entrare in un bar. Amalie aveva dubitato di poterci mai trovare l'amica, ma alla fine tentare non costava nulla. E la speranza di essere ad un passo da lei l'aveva provata davvero, quando aveva messo piede lì dentro ed aveva incrociato lo sguardo con una delle bariste.
    «JESS!!» Le era andata incontro, non riuscendo a trattenersi dal sorridere, felice di vedere finalmente un volto amico di quell'universo. Eppure, forse, avrebbe preferito non vederla mai: se ne rese conto un attimo più tardi, non in tempo, quando il sollievo della Shapherd andò a scontrarsi con lo sguardo freddo e distaccato della mora. Gliel’avevano detto, che le persone lì non erano quelle che conoscevano. Razionalmente, lo sapeva anche lei. Ma era comunque difficile accettarlo: perché la ragazza davanti ai suoi occhi era quella che conosceva nell’aspetto, certo, ma non poteva che essere più lontana da Jess.
    ”E se anche Erin è così? Se riuscirò a stento a riconoscerla?”.
    Ma quella era una missione, e non poteva farsi sopraffare dall’emotività. «Scusa ci siamo mai viste..? Se ti ho detto o fatto qualcosa, sicuramente ero ubriaca» Beh, che la Goodwin avesse un problemino con l’alcol lo sapeva grazie ai racconti di Erin e l’aveva intuito lei stessa, ma gesù, non così. Sembrava ubriaca persino in quel momento. «Si! Cioè, no, però..» grazie a dio lo sguardo seccato della ragazza la fece smettere di balbettare come un impacciata ragazzina beccata in flagrante da un professore per non aver fatto i compiti a casa. Più o meno «Non importa. Io..cioè tu..ti volevo chiedere un secondo…sai dov’è Erin?» e l’espressione vuota di Jess, l’inesistente reazione del suo volto all’udire il nome della ragazza le fece capire da sola che no, non la conosceva. Ed infatti la Goodwin si limitò a scuotere la testa, un diretto «Non so nemmeno di chi stai parlando» per poi tornare a rivolgere l’attenzione ai clienti seduti al bancone. E con quella semplice frase, le aveva portato via quel briciolo di buon umore che la ragazza aveva messo da parte.

    Sapeva che, dopo aver bevuto quel caffè ed aver osservato da lontano Maeve che parlava con Dakota, sarebbe dovuta tornare direttamente nella sua stanza e magari provare a mettere da parte qualche ora di sonno. Ed inizialmente era stato davvero quello il suo obiettivo, mentre camminava diretta verso la porta in fondo al corridoio. Il fermarsi nel bel mezzo di esso, non l'aveva messo in conto. Il vedere la porta socchiusa della stanza dei freaks, lì dove solo due sere prima si era affacciata per portare le foto a Barry, non l'aveva calcolato. Ancor meno di intravedere la figura del ragazzo, seduto da solo nell'ombra.
    Non le sarebbe bastato molto: bastava riportare lo sguardo dritto davanti a se, e tornare sui suoi passi. Fingere di non aver visto nulla, chiudersi nella sua stanzetta per poi stendersi sulla sua brandina e dormirci su.
    Sarebbe stato così semplice.
    Sarebbe stata la cosa migliore.
    Era la cosa migliore.
    La voce della sua coscienza glielo urlava a squarciagola, e lei era solita darle sempre ascolto. Ma la sua ricerca quel giorno era stato un totale buco nell'acqua, così come del resto il giorno precedente, ed erano bloccati in un dannato mondo parallelo per chissà quanto tempo e l'ultima volta che lui le aveva rivolto la parola, lei aveva girato i tacchi ed era scappata via.
    "Giusto cinque minuti"
    Il tempo di una battuta veloce, il solito gioco di darsi punzecchiarsi a vicenda che, nonostante andasse avanti da anni, non li annoiava mai.
    "Giusto il tempo di assaporare una parvenza di normalità."
    Che qualcosa tra loro due era irreversibilmente cambiato, eppure nessuno era abbastanza coraggioso da ammetterlo. O forse, semplicemente, stava solo assumendo la forma di ciò che da sempre era destinato a diventare. Ciò da cui Mabel aveva tentato di metterla in guardia, attraverso le parole di quella lettera. Ciò da cui, al riparo, non si sarebbe messa in ogni caso: e lo aveva saputo bene un tempo Mabel, e lo iniziava a capire anche ora Amalie.
    "Beh, al diavolo"
    «Non hai una bella cera, Cooper.» E chi lo sapeva se dipendesse dal fatto che non si fosse ancora ripreso dalla sera precedente, o da chissà dove le indagini lo avevano portato quel giorno, o dal trovarsi lì, in generale. «È stata una lunga giornata.» Ed infondo lei lo capiva, che dipendesse da un po’ tutto, senza il bisogno che lui le spiegasse nulla. Che il sorriso accennato sul viso del ragazzo non era altro che una semplice finzione, lo sforzo di far vedere che tutto andava bene. E che l’assenza dei suoi amici nella stanza non significasse nulla di buono: dove diavolo erano finiti?. Mabel Winston probabilmente si sarebbe catapultata in strada alla ricerca di suo cugino e dei suoi due nipoti - nipoti! non mi abituerò mai – anche senza un piano o tracce da seguire. Ma Amalie Shapherd non aveva nient’altro da offrire se non l’incapacità di bloccare il tremore alle gambe e pensare lucidamente quando qualcosa andava per il verso sbagliato, la speranza che tutto, in qualche modo, si sarebbe risolto al meglio ed il conforto a chi veniva lasciato indietro. E quindi le sembrò l'alternativa migliore trattenersi in quella stanza un po' più di quanto avrebbe dovuto.
    «Credi che ti abbiano mandato in Francia per Al e la Winston?» Sinceramente? Lo aveva pensato ancor prima di aver la certezza di partire con loro, quando alle parole del cappello parlante i suoi occhi erano andati a ricercarli tra tutti quei visi, sconosciuti e non. Aveva provato il sollievo di passar del tempo al loro fianco, di avere una possibilità per conoscerli meglio, di osservarli da vicino con la consapevolezza di essere loro figlia. Ed ancora, razionalmente, faticava a crederci: era stato difficile da accettare ciò che Kieran aveva rivelato loro, le era sembrata assurda l'idea di esser tornata indietro dal 2043 e riniziare una nuova vita, eppure alla fine aveva molto più senso dell'essere cresciuta credendo di condividere lo stesso sangue degli Shapherd, che da lei non potevano esser più diversi. Quindi si ritrovò ad annuire in risposta al ragazzo. «Avrei scelto loro.» E lo sapeva bene, la ragazza, essendogli stata vicino in quei giorni in cui sentiva la mancanza dei freaks, non sapendo cosa stesse accadendo loro oltreoceano. Il perché fosse stato mandato lì con loro non era ancora del tutto chiaro. Forse per la medesima possibilità data a lei, di osservare i veri genitori da vicino - ok che william barrow non fosse nel loro team, ma akelei? Era letteralmente piombata tra loro dal soffitto - o forse per Murphy e Kieran. Il suo nome, in quella lista, non l'avrebbe mai aggiunto. La possibilità, anche remota, che fosse stato la forza dello shipper heart il legame condiviso tra loro non l'avrebbe mai e poi mai presa in considerazione. Perlomeno, non ad alta voce. «Ma a questo punto immagino lo sapesse meglio di me.» Cosa? Mica stava pensando alla stessa cosa a cui pensava lei, vero? «Cosa?» «Che quelle testine di cazzo non hanno bisogno di me. Il fatto che ne abbia bisogno io non conta davvero.» Ah. AH.
    Avrebbe preferito di gran lunga se se ne fosse uscito con qualche teoria cospirativa sugli alieni ed il governo americano che sta facendo di tutto per nasconderceli. L'avrebbe sicuramente considerato di meno un perfetto idiota. E infatti. «Barry sei davvero un cretino» Come poteva credere che i suoi amici non avessero bisogno di lui? E non solo per il fatto che fosse l'unico corvonero in quanto a testa tra loro (sks joey, tua cugina ti ama tanto comunque ♥︎) ma anche solo perché era lui. E l'aveva provato Amalie stessa sulla propria pelle: anche sforzandosi, sapeva che non sarebbe mai riuscita a far a meno della presenza di Barrow nella sua vita. Così come Mabel Winston Crane non ci era riuscita con Lynch Beaumont Barrow.
    «se ti sentissero dire queste...- cazzate. Ma era sempre un Amalie, e la dose giornaliera di parolacce l'aveva superata. -...stupidaggini, sarebbero ben contenti di fartele rimangiare a testate in faccia.»
    E si stava già voltando per andare via e provare ad addormentarsi, quando avvertì il leggero tocco delle dita di Barry a sfiorarle il polso. «Puoi rimanere?» Talmente a bassa voce, che per un attimo pensò semplicemente di esserselo immaginato nella sua testa. Ma appena si voltò e vide quella muta richiesta riflessa negli occhi del ragazzo, capì che non era accaduto solo nella sua testa.
    Poteva? C'era una parte di lei che avrebbe voluto solo uscire da lì, per poi non dover fare i conti con i suoi sentimenti: era piuttosto difficile metterli da parte, quando il viso della persona che li scatena si trovava a pochi centimetri dal suo. Ma non sarebbe stata in grado di dirgli di no.
    E, a dirla tutta, nemmeno voleva.

    «Ho visto persino Jess, e non la conosceva nemmeno!» Camminava al fianco di Dakota, con le mani nelle tasche del cappotto e il mento affondato leggermente nella sciarpa di lana, tentando inutilmente di combattere il freddo di quel giorno. Aveva scoperto quella mattina che il Wayne era sulle tracce di Scott, ed entrambi erano arrivati alla conclusione che cercare i Chips insieme fosse la cosa migliore. Era ancora fermamente convinta che, trovandone uno, avrebbero anche trovato l'altro. Anche se, l'incontro con Jessalyn il giorno prima le aveva iniziato a far venire dei dubbi a riguardo. E così si erano ritrovati a camminare per le strade di Hogsmeade, ed infine erano arrivati all'aetas, in quello stesso parco dove giorni prima erano arrivati con la speranza di esse tornati a casa sani e salvi. «Non saprei davvero...» Non sapeva un sacco di cose. Non sapeva dove trovarla. Non sapeva che aspettarsi, e soprattutto non sapeva bene cosa avrebbe fatto una volta incontrata: che cosa voleva, in fondo? Sapeva che, in ogni caso, quella non sarebbe stata la sua Erin, eppure non sapeva per quanto tempo sarebbero stati costretti a vivere in quell'universo, diamine, non sapeva neppure se se ne sarebbero mai andati! Doveva perlomeno tentare, no? Non credeva di esser pronta ad una vita senza la Chip, non dopo averla rincontrata da meno di un anno.
    Non era giusto. Sospirò sconsolata. Cosa lo era, del resto, in quegli ultimi giorni?
    «Voglio solo assicurarmi che stia bene»
    do it for the aesthetic -- ms. atelophobia


    [per erin] già che siamo in tema...frequenta/ha mai frequentato Hogwarts?? Magari ha anche una bacchetta e non si difende usando le sedie dell'Ikea!!!
     
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    Ovviamente Dakota aveva preso in considerazione l'idea che in quel mondo le cose fossero molto, troppo diverse. Aveva preso in considerazione l'idea che pochi o nessuno dei suoi amici, in quell'universo, lo avrebbero riconosciuto, e aveva preso in considerazione la possibilità che le persone che amava lì non facessero parte della sua vita.
    Quello che non aveva pensato, tuttavia, era che si sarebbe visto. E che non si sarebbe piaciuto.
    «Gesù, no» aveva sussurrato guardando dalla soglia quella che anche in un'altra vita era stata anche camera sua; quella che era ancora camera dell'Altro Dakota. Aveva fatto un paio di passi esitanti in avanti, finchè la mano era andata a sfiorare la scrivania di legno pregiato; fumetti aperti, poster ai muri, vestiti sparsi in giro, letto ancora da fare. Viveva ancora con i suoi genitori. Quel Dakota viveva ancora con le persone che avevano cercato di uccidere sua sorella; Dakota!AU sapeva almeno di essere fratello di Carrie? Lei era almeno viva? Forse era egocentrico, ma lui stesso era riuscito qualche volta a fermarla dal suicidio: senza un Dakota a chiederle di non farlo, aveva comunque qualcuno a farlo per lui? Jeremy, Cael, Arci? Chiunque?
    Dakota aveva seguito il suo doppione dopo averlo visto per caso per strada mentre si trovava ancora con Beckah in High street, e gli era sembrata un'idea furba seguirlo, visto che di Scott non aveva trovato neanche l'ombra. Aveva sperato che il se stesso di quel mondo lo avrebbe portato dai propri amici, e magari dal Chips... e invece se n'era andato semplicemente nella casa dei suoi genitori. Dak lo aveva pedinato senza farsi vedere, approfittando di conoscere quella casa come le sue tasche per non essere beccato mentre gli entrava dietro (un po' sconvolto dall'assenza di incantesimi protettivi del secondo Dakota; ma non sapeva che era pericoloso??); a quanto aveva letto in un bigliettino sul frigo, i loro genitori se n'erano andati per lavoro, e non sarebbero tornati prima di qualche giorno. A Dakota!AU non era importato particolarmente, e si era limitato a prendersi una bottiglia dal colore torbido dall'armadietto dei liquori, per poi chiamare un tal ragazzo - il cui nome al grifo non diceva niente - avvisandolo che potevano vedersi la sera stessa per- Dakota era rimasto a bocca aperta da dietro la piglia, pensando a come probabilmente solo con Jason (e probabilmente neanche) fosse mai stato così esplicito. In quella breve conversazione, a Dakota era apparso ovvio che il suo doppione non avesse ancora fatto coming out, e dal breve giro della casa era diventato sempre chiaro che quel Wayne non fosse una persona con cui Dakota avrebbe voluto avere a che fare.
    Dakota era stato triste di non avere l'occasione di vedere i propri genitori come dovevano davvero essere, e non come li ricordava nelle fantasie di un bambino di nove anni, ma aveva deciso che forse era meglio così; era diventato uomo non certo grazie a loro due, ma per coloro che col tempo aveva fatto diventare la propria famiglia: niamh, stiles, shane, jess, leaf, jason, scott, maeve...
    Era uscito di casa prima di poter trovare altre brutte sorprese, ma solo dopo aver lasciato un fogliettino con scritto "Carrie Krueger". Chissà, forse Dak!AU avrebbe colto il messaggio e avrebbe investigato. O forse avrebbe buttato il foglietto disinteressato come aveva fatto con quello dei genitori.
    Ora che era passato un giorno, e aveva avuto il tempo - nonchè una notte - per rimuginarci sopra, si chiedeva se non avesse fatto un errore a non aiutarsi di più. Ovviamente non poteva farsi vedere da se stesso, ma forse avrebbe potuto lasciare più indizi, altri nomi. Una lettera in cui gli chiedeva di non buttare la propria vita fingendosi chi non era, un modo per mandarlo da Maeve Winston. L'indirizzo di casa di Jason.
    Camminava al fianco di Amalie con il mento nascosto nella sciarpa, destinazione... nessuna in particolare, a dire la verità. Aveva finito le idee, per quanto lo riguardava. «Ho visto persino Jess, e non la conosceva nemmeno!» Annuì leggermente, senza avere bene idea cosa rispondere; dopo aver visto se stesso, e soprattutto l'assenza di se stesso, non si sorprendeva più tanto. «A... casa mia» era difficile dire casa mia, quando ormai casa era da anni quella che condivideva con Mae e i ragazzi «Neanche io ho trovato nè una foto, nè indirizzi o altro dei miei attuali amici. Probabilmente qui non li conosco- conosce, neanche.»
    La cosa gli spezzava il cuore. Gli dispiaceva per il se stesso di quel mondo quanto gli sarebbe dispiaciuto per un amico, ma era anche peggio: non aveva bisogno davvero di investigare a fondo per sapere come sarebbe stata diversa la sua vita senza particolari persone al proprio fianco o senza la ribellione.
    «Non saprei davvero...» si voltò verso di lui continuando a camminare, un sorriso leggero mentre le dava il tempo di terminare la frase. C'erano così tante cose che Dakota non sapeva, che non aveva idea di quale delle tante lei avrebbe potuto dire. «Voglio solo assicurarmi che stia bene»
    Dak sbuffò una risata dal naso, tornando a guardare avanti a sè. Pensò a Erin, al suo sorriso dolce quando accoglieva tutti al quartier generale. Pensò ai mini reb in generale, al momento in cui i Makota avevano aperto le porte di casa loro promettendo un posto sicuro in cui stare. Pensò a Scott, a quando si nascondeva sotto le coperte, ai suoi occhi che si illuminavano quando accarezzava lo kneazle di Mae, a quella volta in cui aveva provato a cucinare per tutti, e aveva finito per ordinare pizza. Pensò come fosse chiaramente più di un coinquilino, a come fosse diventato più di un amico; un fratello, un figlioccio «Sì. Posso... posso capire» Tolse una mano dalle tasche, dando una leggera pacca sul braccio della bionda e sorridendole. «Sono in gamba. Sono sicura che se la stiano cavando... sono solo triste non si conoscano» aggrottò le sopracciglia. «Un'Erin senza uno Scott e uno Scott senza un'Erin... mi sembra così assurdo. Appena li troviamo, la prima cosa da fare è farli conoscere» si voltò a guardarla «Sei d'accordo?» forse non poteva sistemare la vita di Dakota!Au, ma poteva almeno mettere a posto quella piccola cosa. «Prima che me ne dimentichi... sai dove siano finiti quegli altri studenti?» ovviamente era preoccupato per la sparizione di quei Prescelti, tanto più perchè minorenni. Erano una squadra, bloccati lì insieme: dovevano guardarsi le spalle a vicenda. «Non li ho visti rientrare sta notte, nè li ho beccati questa mattina.»
    healer, 1998's
    rebel scout
    I DON'T BELIEVE THIS
    WORLD CAN'T BE SAVED


    Scott sei un mangiamorte?
     
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